Brancaccio Su Cm 5 2014

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 La forbice macroeconomica che da tempo squarcia l’eurozona non sem- bra affatto destinata a richiudersi. Stando agli ultimi dati della Com- missione europea, gli andamenti dei redditi e dei livelli di occupazione nei diversi paesi membri dell’euro- zona non mostrano tangibili segni di avvicinamento dopo la lunga di- vergenza che si è registrata negli anni passati. Alla fine del 2014 il numero degli occupati in Germania dovrebbe segnare un incremento di due milioni e duecentomila unità ri- spetto al 2007. Di contro, nello stes- so arco di tempo Spagna, Italia, Gre- cia, Portogallo, Irlanda e Francia si ritroveranno con una perdita com- plessiva di quasi sei milioni e due- centomila posti di lavoro 1 . La divaricazione dei redditi e dell’occupazione contribuisce poi a creare faglie più profonde, di carat- tere strutturale, che riguardano i li- velli di solvibilità dei capitali indu- striali e bancari dei diversi paesi dell’area euro. L’ultimo rapporto di Credit Reform segnala che tra il 2008 e il 2013 le insolvenze annue delle imprese sono aumentate del 22 percento in Francia, del 77 per- cento in Irlanda, del 120 percento in Italia, del 185 percento in Portogal- lo e del 254 2 percento in Spagna, laddove in Germania nello stesso periodo sono diminuite dell’11 per- cento. Si tratta di un divario ecce- zionale, che inevitabilmente si ri- percuote sui bilanci degli istituti bancari. Non è un caso che i recen- ti “stress test” coordinati dalla Ban- ca centrale europea abbiano evi- denziato uno scarto superiore alle attese tra gli indici di robustezza patrimoniale delle banche dei di- versi paesi dell’eurozona, in parti- colare tra istituti tedeschi e italia- ni. Il risultato dipende da diversi fattori, ma in buona misura riflette semplicemente la voragine macroe- conomica che si è aperta in questi anni tra i membri dell’eurozona, in particolare tra i due paesi in que- stione: dal 2007 al 2014 oltre quat- tordici punti di differenza nella cre- scita reale dei Pil tedesco e italiano. Sono scarti che non hanno prece- denti in epoca di pace, e che prean- nunciano nuove crisi bancarie. I dati più recenti sembrano dunque confermare lo scenario trat- teggiato poco più di un anno fa dal  Monit o degli econo mist i pubblicato sul  Fina ncia l Time s il 23 settembre 2013 (www.theec onomistswarning . com) 3 . Il documento evidenzia «una serie di contraddizioni nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione monetaria europea». Sotto accusa sono le scelte delle autorità europee e nazionali «che, contrariamente agli annunci, hanno contribuito al- IL “MONITO DEGLI ECONOMISTI”, UN ANNO DOPO Emiliano Brancaccio  A poco più di un anno dall a pubblicazione sul Financial Times del “monito degli economisti”, la forbice tra paesi creditori e debitori continua ad allargarsi e  pot reb be ren dere ins ost eni bil e l ’at tua le ass ett o d ell ’Un ion e mone tar ia eur opea .  Apriamo un a discussione a pa rtire da un testo d i Brancaccio, uno dei promotori del “monito”, che solleva il problema del “che fare” di fronte alla prospettiva di una implosione della moneta unica.  L’euro: un destino se gnato?

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  • La forbice macroeconomica che datempo squarcia leurozona non sem-bra affatto destinata a richiudersi.Stando agli ultimi dati della Com-missione europea, gli andamenti deiredditi e dei livelli di occupazionenei diversi paesi membri delleuro-zona non mostrano tangibili segnidi avvicinamento dopo la lunga di-vergenza che si registrata neglianni passati. Alla fine del 2014 ilnumero degli occupati in Germaniadovrebbe segnare un incremento didue milioni e duecentomila unit ri-spetto al 2007. Di contro, nello stes-so arco di tempo Spagna, Italia, Gre-cia, Portogallo, Irlanda e Francia siritroveranno con una perdita com-plessiva di quasi sei milioni e due-centomila posti di lavoro1.

    La divaricazione dei redditi edelloccupazione contribuisce poi acreare faglie pi profonde, di carat-tere strutturale, che riguardano i li-

    velli di solvibilit dei capitali indu-striali e bancari dei diversi paesidellarea euro. Lultimo rapporto diCredit Reform segnala che tra il2008 e il 2013 le insolvenze annuedelle imprese sono aumentate del22 percento in Francia, del 77 per-cento in Irlanda, del 120 percento inItalia, del 185 percento in Portogal-lo e del 2542 percento in Spagna,laddove in Germania nello stessoperiodo sono diminuite dell11 per-cento. Si tratta di un divario ecce-zionale, che inevitabilmente si ri-percuote sui bilanci degli istitutibancari. Non un caso che i recen-ti stress test coordinati dalla Ban-ca centrale europea abbiano evi-denziato uno scarto superiore alleattese tra gli indici di robustezzapatrimoniale delle banche dei di-versi paesi delleurozona, in parti-colare tra istituti tedeschi e italia-ni. Il risultato dipende da diversi

    fattori, ma in buona misura riflettesemplicemente la voragine macroe-conomica che si aperta in questianni tra i membri delleurozona, inparticolare tra i due paesi in que-stione: dal 2007 al 2014 oltre quat-tordici punti di differenza nella cre-scita reale dei Pil tedesco e italiano.Sono scarti che non hanno prece-denti in epoca di pace, e che prean-nunciano nuove crisi bancarie.

    I dati pi recenti sembranodunque confermare lo scenario trat-teggiato poco pi di un anno fa dalMonito degli economisti pubblicatosul Financial Times il 23 settembre2013 (www.theeconomistswarning.com)3. Il documento evidenzia unaserie di contraddizioni nellassettoistituzionale e politico dellUnionemonetaria europea. Sotto accusasono le scelte delle autorit europeee nazionali che, contrariamenteagli annunci, hanno contribuito al-

    IL MONITO DEGLI ECONOMISTI, UN ANNO DOPO

    Emiliano Brancaccio

    A poco pi di un anno dalla pubblicazione sul Financial Timesdel monito degli economisti,

    la forbice tra paesi creditori e debitori continua ad allargarsi epotrebbe rendere insostenibile lattuale assetto dellUnione monetaria europea.

    Apriamo una discussione a partire da un testo di Brancaccio,uno dei promotori del monito, che solleva il problema del che fare

    di fronte alla prospettiva di una implosione della moneta unica.

    Leuro: un destino segnato?

  • linasprimento della recessione e al-lampliamento dei divari tra i paesimembri dellUnione. Il problemaprincipale, secondo i firmatari delMonito, risiede nel fatto che le po-litiche deflattive praticate in Ger-mania e altrove per accrescere la-vanzo commerciale hanno contri-buito per anni, assieme ad altri fat-tori, allaccumulo di enormi squili-bri nei rapporti di debito e creditotra i paesi della zona euro4. Pensa-re oggi che i soli paesi debitori pos-sano accollarsi lonere del riequili-brio a colpi di austerity, ulteriori ri-duzioni delle tutele del lavoro e fles-sibilit salariale verso il basso, si-gnifica pretendere da questi una re-strizione dei bilanci pubblici e unacaduta dei salari e dei prezzi di taleportata da determinare un crollo an-cora pi accentuato dei redditi e unaviolenta deflazione da debiti, con ilrischio concreto di nuove crisi ban-carie e di una desertificazione pro-duttiva di intere regioni europee. Ildocumento si chiude dunque con unaprevisione netta: proseguendo con leattuali politiche economiche il de-stino delleuro sar segnato: lespe-rienza della moneta unica si esau-rir, con ripercussioni sulla tenutadel mercato unico europeo. Di con-seguenza, presto o tardi, ai decisoripolitici non rester altro che unascelta cruciale tra modalit alterna-tive di uscita dalleuro.

    Centralizzazionee crisi bancarie

    Il Monito degli economisti statosottoscritto da alcuni tra i princi-

    pali esponenti della comunit ac-cademica internazionale, apparte-nenti a scuole di pensiero molto di-verse tra loro: Dani Rodrik, JamesGalbraith, Wendy Carlin, AlanKirman, Heinz Kurz, TonyThirlwall, Mauro Gallegati, Dimi-tri Papadimitriou e molti altri. Ilfatto che sul documento siano con-fluiti rappresentanti di filoni di ri-cerca cos eterogenei costituisceevidentemente un punto di forza,un potenziale indizio circa la bontdelle sue previsioni. Tale preroga-tiva, daltro canto, non impediscedi leggere il testo in base a uno spe-cifico paradigma di ricerca.

    Il riferimento immediato, pe-raltro citato nel testo, ovviamen-te il Keynes oppositore del Tratta-to di Versailles e critico delle poli-tiche deflazioniste. Sotto questaprospettiva il Monito riflette la tesisecondo cui la deflazione in ultimaistanza deprime i redditi e rendequindi pi difficile il rimborso deidebiti. Pi in profondit, tuttavia,il Monito pu essere interpretatorinviando anche allanalisi marxi-sta, e in particolare ad alcuni stu-di recenti dedicati a quella ten-denza che Marx e Hilferding defi-nivano centralizzazione dei capi-tali5. Per Marx, come noto, lacentralizzazione consiste nel fattoche, sebbene la produzione capita-listica veda le imprese contrappo-ste luna allaltra come produttricidi merci reciprocamente indipen-denti e la competizione capitalisti-ca si presenti di norma come ri-pulsione reciproca di molti capita-li individuali, possibile rilevareunopposta tendenza alla concen-

    trazione di capitali gi formati edunque al superamento della loroautonomia individuale, che si rea-lizza mediante lespropriazionedel capitalista ad opera del capita-lista, della trasformazione di mol-ti capitali minori in pochi capitalipi grossi: vale a dire, medianteuscite dal mercato dei capitali pideboli, liquidazioni, acquisizioni,fusioni, e cos via. La tendenza allacentralizzazione, oltretutto, puricevere spinte ulteriori dallazio-ne delle autorit di politica econo-mica. stato osservato, in partico-lare, che il banchiere centrale pucontribuire a fissare condizioni disolvibilit particolarmente re-strittive per i capitali in lotta traloro, e per questa via pu aggrava-re la posizione dei capitali pi de-boli e accelerare il processo di cen-tralizzazione6. Ebbene, non diffi-cile rilevare che lintera architet-tura dellUnione monetaria euro-pea risulta preposta a favorirequesta tendenza. Gi prima dellacrisi si registravano importanti fe-nomeni di accorpamento dei capi-tali, specialmente in campo banca-rio. Si trattava tuttavia di dinami-che in larga misura confinate en-tro i perimetri dei singoli paesi.Dopo la crisi, invece, si assiste a unsalto di qualit del processo di cen-tralizzazione. La divaricazionedelle insolvenze, i relativi processidi desertificazione produttiva e leconnesse, crescenti difficolt dellebanche nelle periferie dellUnione,preannunciano una nuova crisibancaria e una nuova fase di liqui-dazioni e acquisizioni, questa vol-ta non pi interne ai confini nazio-

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  • nali ma realizzate su scala euro-pea. Il passaggio di fase, del resto, intrinseco agli indirizzi politicicorrenti. Dallazione del banchierecentrale che, contrariamente allavulgata, contribuisce a fissare con-dizioni di solvibilit tuttaltro cheaccomodanti per le periferie euro-pee; alla politica fiscale nazionale,che si fa pi restrittiva proprio neipaesi in maggiore sofferenza; finoalla decisiva unione bancaria, cheesclude forme di assicurazione eu-ropea sui depositi, dispone di ri-sorse limitatissime per fronteggia-re nuove crisi bancarie e si costi-tuisce esplicitamente con lo scopodi liquidare gli istituti pi deboli:insomma, ogni elemento della go-vernance europea sembra volerpreludere a una escalation del pro-cesso di centralizzazione capitali-stica. Vale a dire, a una resa deiconti definitiva tra i capitali pifragili dislocati soprattutto nelSud Europa e i capitali pi forti si-tuati prevalentemente in Germa-nia. Potremmo definirla, in so-stanza, una forma particolarmen-te violenta di mezzogiornificazio-ne europea: ossia, una riproduzio-ne su scala continentale del duali-smo che ha storicamente condizio-nato i rapporti tra Settentrione eMeridione dItalia.

    Messo in questi termini sem-bra un processo inesorabile, unasorta di grande meccanismo dellaStoria, come lo definirebbe un ce-lebre interprete di Shakespeare7.Ma non cos. Contro le semplifi-cazioni di alcuni suoi epigoni, bi-sognerebbe ricordare che per Marxla legge di tendenza alla centra-

    lizzazione ostacolata da continuecontrotendenze, e quindi nonpu mai esser considerata un pro-cesso rigidamente lineare. La cen-tralizzazione capitalistica oggetti-vamente avanza ma il suo pro-gresso storico tormentato, fat-to di accelerazioni, contraccolpi,temporanee marce indietro, e so-prattutto di continue creazioni edistruzioni degli assetti istituzio-nali votati a favorirla. La consape-volezza di questa dinamica irrego-lare tanto pi necessaria quandosi esamina la crisi delleurozona. infatti possibile mostrare che, nel-lo scenario deflazionistico che las-setto politico-istituzionale dellU-nione favorisce, le liquidazioni dicapitale da parte dei paesi debito-ri non risolvono lo squilibrio con ipaesi creditori ma anzi possono ad-dirittura aggravarlo. Infatti,quanto pi intensa sia la deflazio-ne, tanto meno la vendita di capi-tale allestero potr contribuire alsoddisfacimento delle condizionidi solvibilit8. Limplicazione chiara: lUnione monetaria euro-pea, favorendo la centralizzazionedei capitali, di fatto non riduce mapu persino accrescere gli squilibritra paesi creditori e paesi debitori,e in tal modo contribuisce a scava-re la sua stessa fossa. Alle tradi-zionali problematiche keynesianesugli effetti perversi della defla-zione, dunque, lanalisi della cen-tralizzazione capitalistica offre ul-teriore supporto alla previsionedel monito degli economisti sui de-stini delleurozona.

    Lo studio della crisi dellareaeuro dal punto di vista dei proces-

    si di centralizzazione dei capitalicostituisce in parte una novit perla ricerca economica. bene chia-rire, tuttavia, che i problemi di te-nuta delleurozona che abbiamofin qui tratteggiato sono oggi inlarga parte riconosciuti dalla stra-grande maggioranza degli econo-misti. Nel campo della teoria puraPaul Krugman li ha recentementeriproposti sotto il nome di para-dosso della flessibilit9. Sul ver-sante della politica economica, purtra numerose contraddizioni, per-sino il Fondo Monetario Interna-zionale ha dovuto ammettere chequei problemi sono tuttaltro cherisolti e in tal senso ha espressa-mente evocato il rischio di unbreakup delleurozona10. Po-tremmo dire, in un certo senso, chela tesi del monito degli economistisecondo cui leurozona sta proce-dendo lungo un sentiero insosteni-bile costituisce ormai la posizioneprevalente, almeno tra gli studio-si. Non un caso, del resto, che icritici di questa tesi solitamenteevitino di attaccare le sue basi lo-giche. Di norma essi preferisconoobiettare sostenendo che ancorapossibile realizzare un significati-vo cambiamento negli indirizzi dipolitica economica europea, unnuovo corso che finalmente inver-ta le tendenze divergenti in atto ein un modo o nellaltro riporti inequilibrio i rapporti di credito e de-bito interni alleurozona. Almenofino a qualche tempo fa questa po-sizione non pareva del tutto idea-listica: qualche ragione materialeper avanzarla effettivamente ce-ra. Tuttavia, man mano che gli

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  • anni passano e la crisi si inaspri-sce, questo tipo di argomentazionesi fa pi flebile, perde la sua forzapersuasiva. Bisogna riconoscere,infatti, che allinterno delle istitu-zioni europee risultato finora im-possibile anche solo approssimarsia un consenso diffuso nei confron-ti di qualsiasi ipotesi di riforma,dalle pi ambiziose come lo stan-dard retributivo europeo11 a quel-le pi blande come un allentamen-to almeno temporaneo dei vincolidi bilancio nazionali. La stessa po-litica monetaria della Bce si ri-velata finora molto pi conserva-trice di quanto ci si attendesseguardando alle recenti esperienzedi altri paesi. I dissidi politici inseno allestablishment europeo,tra laltro, negli ultimi tempi sisono ulteriormente accentuati. Ilmotivo in fin dei conti semplice:perch mai la Germania e gli altripaesi che stanno traendo vantaggirelativi dalle attuali dinamiche do-vrebbero contribuire a modificar-le? In altre parole, le divergenzenegli andamenti macroeconomiciaccentuano anche le divergenzepolitiche e riducono ulteriormentele chances per una svolta negli in-dirizzi di politica economica. Cer-to, vi chi tuttora prevede che pri-ma o poi la crisi dei paesi periferi-ci dellUnione colpisca anche leesportazioni su cui la Germaniaprospera, e induca quindi le auto-rit tedesche a rivedere le proprieposizioni. Ma lidea che quel paeseabbandoni la propria storica stra-tegia mercantilista appare oggipi che mai sganciata dai fatti. Inrealt, i portatori degli interessi

    prevalenti in Germania appaionoaffezionati allUnione monetariaeuropea solo se e nella misura incui la moneta unica agevoli il sur-plus tedesco e il connesso, feroceprocesso di centralizzazione capi-talistica. Il giorno in cui non risul-ti pi funzionale allo scopo sarleuro a dover soccombere, non ilmercantilismo germanico.

    Gattopardie nazionalisti

    Se dunque cos stanno le cose, la-sciano un po il tempo che trovanoi numerosi appelli a contrastare ilcorso logico degli eventi su basi so-stanzialmente idealistiche. Piut-tosto, si pone un problema urgen-te, di ordine materiale: del tutto in-dipendentemente da opinioni, au-spici e speranze, occorre valutarele possibili implicazioni di una im-plosione dellattuale assetto del-leurozona. A questo riguardo,come abbiamo accennato, la tesidel Monito degli economisti chepresto o tardi bisogner compiereuna scelta cruciale tra modalitalternative di uscita dalleuro.

    Volendo interpretare anchequesto passaggio in unottica marxi-sta, Althusser pu essere daiuto: sipu infatti sostenere che la crisi diun regime monetario costituisce unesempio di crocevia, di congiuntu-ra del processo storico che pu es-ser governata in modi molto diversitra loro, ognuno dei quali potr ave-re diverse ripercussioni sulle diver-se classi sociali in gioco. In questot-tica, allora, diventa necessario do-

    mandarsi: quali sono gli attori so-ciali maggiormente in grado disfruttare la congiuntura che siprofila allorizzonte? Quali soggettiappaiono oggi pronti ad affrontareuna precipitazione della crisi del-leurozona al fine di piegarla a pro-prio vantaggio? Ebbene, anche sot-to questo aspetto il Monito offrequalche spunto di riflessione. Il te-sto, infatti, accenna con grandepreoccupazione allammassarsi diconsensi intorno a due ipotesi poli-tiche: da un lato le apologie delcambio flessibile quale panacea diogni male e dallaltro gli inquie-tanti sussulti di propagandismo ul-tranazionalista e xenofobo.

    La prima ipotesi politica, sibadi bene, non va confusa con lov-via constatazione che il cambio fis-so irrevocabile imposto dalleuroentra ormai in contraddizione conlo sviluppo dei costi e dei prezzi neidiversi paesi dellUnione. Tale ipo-tesi va molto oltre: essa infatti so-stenuta da coloro i quali suggeri-scono di risolvere gli squilibri tracreditori e debitori europei unica-mente attraverso il passaggio a unregime di cambi flessibili governa-ti dal gioco delle forze del mercato.Dal punto di vista dottrinale sitratta di una ricetta tipicamenteliberista, che trova in MiltonFriedman il suo tradizionale rife-rimento12. Essa pu rientrare inquella che talvolta abbiamo defini-to una soluzione gattopardescaalla crisi delleuro. Vale a dire, lasoluzione di chi sarebbe disposto acambiare tutto, al limite persino lamoneta unica, pur di non cambia-re in fondo nulla, ossia pur di non

    20Emiliano Brancaccio

  • mettere in discussione le politichedi austerity, di liberalizzazione deimercati, di flessibilit del lavoro edi deflazione salariale che stannofavorendo i processi di centralizza-zione dei capitali e di mezzogiorni-ficazione europea. Questa soluzio-ne trova consensi presso la City diLondra, qualche estimatore anchea Francoforte e in Italia sostenu-ta da alcuni fautori delle privatiz-zazioni e delle dismissioni di capi-tale allestero. A tale riguardo valela pena di notare che, in assenza diopportune contromisure, il meroabbandono di un regime di cambifissi e la eventuale, conseguentesvalutazione ridurrebbero il prezzoin moneta estera degli asset nazio-nali e potrebbero favorire i cosid-detti fire sales, vale a dire svendi-te di capitale a favore di acquirentistranieri in misura ben superiore aquelle che gi si registrano oggi. Laletteratura scientifica e lesperien-za storica, anche italiana, segnala-no che quello dei fire sales costi-tuisce un rischio concreto13. Ancheper questo motivo la soluzione gat-topardesca sembra la pi adatta atutelare gli interessi dei capitali pigrandi e pi forti dEuropa.

    La seconda ipotesi politicastigmatizzata dal monito degli eco-nomisti quella che il Fronte Na-zionale in Francia ha ribattezzatocon il termine patriottismo econo-mico. lidea di chi vuol mettere indiscussione non soltanto la monetaunica ma anche il mercato unico eu-ropeo, nonch il sistema dei dirittiindividuali incardinato nelle regolecomunitarie. Beninteso, il fatto chela critica della moneta unica sia qui

    accompagnata da una critica delmercato unico europeo costituisceun fatto logico, in s difficilmentecontestabile. Ma per tutto il restoquesta ricetta evoca ombre per nul-la rassicuranti: essa infatti consistein una miscela di protezionismo, xe-nofobia e restringimento delle li-bert civili incardinata in una ideo-logia del ritorno ai cosiddetti valoritradizionali, ben rappresentati dalvecchio trittico Dio, patria e fami-glia. innegabile che tale visionestia raccogliendo sempre pi con-sensi tra i lavoratori colpiti dalla cri-si e dalla disoccupazione, e semprepi insofferenti verso la concorrenzadegli immigrati. Ma soprattutto,questa ipotesi trova la sua base so-ciale di riferimento nella miriade dipiccoli capitalisti afflitti dalla reces-sione, dal debito e dal rischio cre-scente di insolvenza. Di fatto, essaincarna la pretesa di elevare un ar-gine contro la centralizzazione: difronte alla spinta centralizzatricedei capitali e alla sua tendenza a va-licare ogni confine statuale, il dis-sotterramento di una qualche ideaeconomica di nazione costituisce laprevedibile reazione strategica deigruppi capitalistici relativamentepi deboli e in difficolt. Potremmoin definitiva considerarla una ipote-si politica reazionaria, di tipo na-zionalista, con tratti potenzialmen-te neofascisti.

    Il tempo dellautocritica

    Non difficile riconoscere che, difronte alla previsione di una futu-ra crisi delleurozona, gli sviluppi

    politici conseguenti potrebbero fa-cilmente riflettere le due ipotesiestreme appena elencate, o persi-no una combinazione dialettica tradi esse. Dinanzi a simili prospetti-ve, suscita grande inquietudinelassordante silenzio dei socialisti,dei comunisti, e pi in generale de-gli eredi pi o meno degni e diret-ti della tradizione novecentescadel movimento dei lavoratori. Perquanto incredibile possa sembra-re, questi soggetti sembrano tutto-ra ostinarsi a escludere anche solola possibilit di una implosionedelleurozona tra i possibili futuristati del mondo. Dal tracollo delgrande altro sovietico, alla crisidel movimento sindacale, allasce-sa di quella ideologia ingenua cheabbiamo talvolta definito libero-scambismo di sinistra, altrove ab-biamo cercato di indagare sulle va-rie e complesse determinanti diquesta eccezionale opera di rimo-zione e del tremendo ritardo poli-tico che essa sta producendo14. Inquesta sede tuttavia ci pare oppor-tuno sollevare una questione im-pellente: esiste la possibilit di col-mare o almeno ridurre questo ri-tardo? Difficile a dirsi. Di certo, seuna possibilit in tal senso esiste,questa dipender dalla disposizio-ne di chi oggi pretende di incarna-re leredit storica del movimentooperaio a definire un sentiero, unarotta adeguata allattraversamen-to dellimpervio crocevia che si in-travede allorizzonte.

    Se questo lobiettivo da per-seguire, il nodo pi urgente che bi-sognerebbe sciogliere riguarda ipossibili effetti salariali e distri-

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  • butivi che deriverebbero da unu-scita dalleuro. In alcuni studi re-centi abbiamo mostrato che gli ab-bandoni dei regimi di cambio fissoe delle unioni monetarie che sianostati accompagnati da svalutazionidella moneta, risultano mediamen-te correlati a una diminuzione deisalari reali e della quota salari.Questo significa che alla deflazionesalariale che gi in atto dentroleurozona potrebbe far seguito undeclino ulteriore delle retribuzioniuna volta usciti da essa. Questaprospettiva tuttavia non inesora-bile: al di l dei valori medi, levi-denza storica riporta anche casi incui le uscite dai regimi di cambiosono state gestite con opportune po-litiche di salvaguardia del lavoroche hanno tutelato le retribuzioni ein alcuni casi le hanno pure accre-sciute. Ed interessante notare chein tali casi landamento della pro-duzione stato mediamente miglio-re di quello che si registrato nellecircostanze in cui, dopo luscita, i sa-lari sono declinati15. Limplicazioneche si pu trarre da tali evidenze ovvia: chiunque intenda indicareuna rotta favorevole ai lavoratoridovrebbe immediatamente chiarireche il crocevia delluscita dalleurova affrontato con opportuni inter-venti a tutela del potere dacquistodelle retribuzioni e delle quote sala-ri. Chi su questo terreno si muoveambiguamente, addirittura negan-do levidenza pur di minimizzare ilproblema, ricade inevitabilmente inuna logica gattopardesca.

    Quello dei salari, ovviamente, solo il primo problema da affron-tare, non certo lunico. Molti sono i

    tasselli che dovrebbero concorrere adefinire una modalit di gestionedelluscita dalleuro che possa rite-nersi favorevole alle istanze del la-voro. Uno di essi, ad esempio, do-vrebbe riguardare lesigenza dicautelarsi contro la possibilit,evocata in precedenza, che unasvalutazione del cambio favoriscale svendite di capitale a favore diacquirenti esteri. Questo proble-ma assume rilevanza soprattuttoin campo bancario, ma costringe inrealt a cimentarsi con una que-stione di carattere pi generale: difronte a un tracollo della monetaunica, quale dovrebbe essere la po-sizione degli eredi della tradizionesocialista e comunista nei confron-ti della libert degli scambi sanci-ta dal mercato unico europeo? Ladomanda cruciale. Basti notareche essa implica, tra le altre cose,una scelta di posizionamento tra latendenza alla centralizzazione deicapitali da un lato e le rispettivecontrotendenze che mirano a osta-colarla dallaltro. Ed implica an-che, allargando il campo di anali-si, una scelta tra una riformula-zione di quel concetto di modernitche ha attraversato il marxismofin dalle sue origini e un sostan-ziale abbandono di esso. Lopinio-ne di chi scrive che c un solomodo per risolvere questo dilem-ma in termini moderni e progres-sivi. Come abbiamo gi detto, lacrisi della moneta unica implicainevitabilmente una crisi del mer-cato unico europeo; solo una visio-ne falsificante, di tipo gattoparde-sco, potrebbe negarlo. Questa in-negabile evidenza logica, tuttavia,

    non dovrebbe essere sfruttata perassecondare forme di patriottismoeconomico votate alla tutela deipiccoli capitali, potenzialmentereazionarie e in fin dei conti anti-moderne. Al contrario, bisognereb-be verificare se la crisi dellUnioneeuropea possa costituire unoppor-tunit per creare consenso e parte-cipazione di massa intorno a unadiversa ipotesi politica, che po-tremmo in estrema sintesi rac-chiudere in due punti: 1) da unlato, attribuire nuovamente ai po-teri pubblici un ruolo guida neiprocessi di centralizzazione del ca-pitale nazionale; 2) dallaltro, con-dizionare gli scambi necessari allacentralizzazione su scala interna-zionale al rispetto di un nuovostandard del lavoro, che recupe-ri e rilanci la logica anti-deflattivadello standard retributivo euro-peo. Stiamo parlando, in buonasostanza, di una proposta di go-verno della crisi che consentirebbedi affrontare i processi di deserti-ficazione produttiva attribuendoalle strutture dello Stato un ruoloattivo nella ristrutturazione capi-talistica: a partire dal settore ban-cario, dove le irrazionalit siste-miche dellobsoleto regime di accu-mulazione trainato dalla finanzaprivata potrebbero esser superatepromuovendo una moderna, nonossificata logica di piano. E stiamoparlando di un criterio di riorga-nizzazione delle relazioni interna-zionali regolato da uno standard,che non necessariamente freni lacentralizzazione capitalistica mala imbrigli in uno schema coordi-nato, anti-deflattivo, in ultima

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  • 23 Leuro: un destino segnato?

    istanza favorevole al lavoro. Po-tremmo definirlo un progetto di go-verno democratico e sociale delprocesso di centralizzazione capi-talistica, una soluzione modernache consentirebbe di ridisegnare irapporti economici continentalialla luce di un nuovo protagonismodel lavoro e di una nuova questio-ne meridionale su scala europea.

    Ovviamente una svolta poli-tica di tale portata non potrebbemai derivare da singole elabora-zioni. Solo unintelligenza colletti-va potrebbe delinearne gli snodi everificare la sua praticabilit omeno nella congiuntura storicache ci data. Il dramma, come evi-denzia il monito degli economisti, che quella congiuntura gi inatto. Un allenato pessimismo del-la ragione induce a sospettare chetra gli eredi pi o meno degni e di-retti delle tradizioni socialista e co-munista possa non esservi il tem-po per unautocritica, figurarsi perla costruzione di un pensiero col-lettivo in grado di elaborare untale cambio di paradigma. La tra-gedia shakespeariana tuttavia in-segna: i vuoti politici sono destina-ti a esser colmati, in un modo o nel-laltro. Se nella dialettica politicanon entreranno rapidamente forzein grado di proporre una modalitdemocratica e sociale di governodella crisi, a sciogliere i nodi del-leuro giungeranno forze ostili alleistanze del lavoro, del progresso edellemancipazione civile.

    Note:

    1) Salvo diversa specificazione, i dati ri-portati in questo articolo sono tratti da Eu-ropean Commission,AMECO Annual ma-cro-economic database of the EuropeanCommissions DG ECFIN, 2014,http://ec.europa.eu/economy_finance/db_indicators/ameco/index_en.htm.

    2) Credit Reform, Unternehmensinsol-venzen in Europa, Jahr 2013/14.

    3) The Economists Warning: Europeangovernments repeat mistakes of the Treatyof Versailles, in Financial Times, 23September 2013, www.theeconomistswarning.com.

    4) Basti qui ricordare che lenorme sur-plus verso lestero della Germania statoconseguito anche grazie a una politica dicompetizione relativa sui salari: dalla na-scita delleuro la crescita dei salari tede-schi, monetari e reali, stata rispettiva-mente di sedici punti percentuali e di cin-que punti percentuali inferiore a quella me-dia delleurozona.

    5) Karl Marx, Il Capitale, Editori Riu-niti, 1994, Libro I, cap. 23. Rudolf Hilfer-ding, Il capitale finanziario, Milano, Mi-mesis, 2011 (ed. orig.: 1910).

    6) Emiliano Brancaccio e Luigi Caval-laro, Leggere Il capitale finanziario, in-troduzione a Rudolf Hilferding, Il capitalefinanziario, cit. Emiliano Brancaccio e Giu-seppe Fontana, Solvency rule versus Taylorrule. An alternative interpretation of the re-lation between monetary policy and the eco-nomic crisis, in Cambridge Journal of Eco-nomics, 2013, 37, 1.

    7) Ian Kott, Shakespeare nostro con-temporaneo, Milano, Feltrinelli, 2002 [ed.orig.: 1961].

    8) Emiliano Brancaccio and GiuseppeFontana, Solvency rule and capital central-ization in a monetary union, Mimeo, 2014.

    9) Gauti Eggertsson and Paul Krug-man, Debt, Deleveraging, and the Liquidi-ty Trap: A Fisher-Minsky-Koo Approach, inQuarterly Journal of Economics, 2012, 127(3).

    10) International Monetary Fund(2012), Growth Resuming, Dangers Re-main, in World Economic Outlook, April.

    11) Emiliano Brancaccio, Current ac-count imbalances, the Eurozone crisis anda proposal for a European wage standard,in International Journal of Political Econ-omy, 2012, vol. 41, 1. Lo standard retribu-tivo europeo una proposta di coordina-

    mento europeo della contrattazione sala-riale finalizzata a contrastare le strategiedeflazioniste attuate dalla Germania e ingenerale dai paesi che siano caratterizzatida una tendenza ad accumulare surplusverso lestero. La proposta di standard re-tributivo europeo venne inserita nel Con-tributo del Partito democratico al Pro-gramma Nazionale di Riforme 2012. La de-legazione italiana della FEPS propose di in-serire lo standard retributivo nel docu-mento della Foundation for European Pro-gressive Studies, Renaissance for Europe. Acommon progressive vision, 2013. La pro-posta tuttavia incontr lopposizione dei de-legati tedeschi.

    12) Milton Friedman, The Case for Flex-ible Exchange Rates, in Essays in PositiveEconomics, University of Chicago Press,1953.

    13) Si veda ad esempio Paul Krugman,Fire-Sale FDI, in Sebastian Edwards (ed.),Capital Flows and the EmergingEconomies: Theory, Evidence and Contro-versies, University of Chicago Press, 2000.Coloro i quali minimizzano il problema inbase al fatto che in Italia le svendite di ca-pitale nazionale si stanno gi verificando acausa della crisi e della deflazione internaalleurozona, curiosamente sembrano nonavvedersi di una distinzione elementare:quella tra investimenti diretti esteri lordi enetti. Essi si concentrano sui primi ma inrealt sui secondi che in letteratura si va-luta lesistenza o meno di un nesso tra sva-lutazione e fire sales. A tale riguardo vanotato che, dallinizio della crisi, in Italia gliinvestimenti diretti esteri in uscita sonostati sempre superiori agli investimenti di-retti esteri in entrata.

    14) Emiliano Brancaccio e Marco Pas-sarella, Lausterit di destra. E sta di-struggendo lEuropa, Milano, il Saggiatore,2012.

    15) Emiliano Brancaccio e Nadia Gar-bellini, Currency regime crises, real wages,functional income distribution and produc-tion, di prossima pubblicazione su Euro-pean Journal of Economics and EconomicPolicy: Intervention. Si veda pure EmilianoBrancaccio e Nadia Garbellini, Sugli effet-ti salariali e distributivi delle crisi dei regi-mi di cambio, in Rivista di Politica Econo-mica, luglio-settembre 2014. Per una ver-sione divulgativa si rinvia a EmilianoBrancaccio e Nadia Garbellini, Uscire o nodalleuro: gli effetti sui salari, in econo-miaepolitica.it, 19 maggio 2014.