BOLLETTINO PARROCCHIALE 22 OTTOBRE...

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BOLLETTINO SETTIMANALE

DOMENICA 22 OTTOBRE 2017

6° SETTIMANA DEL TEMPO DELLA CROCE

ORARIO SANTE MESSE IN PARROCCHIA

LETTURE DELLA DOMENICA

TEMPO DELLA CROCE

* Lettera ai Galati 6:1

* Santo Vangelo di Matteo

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*** BOLLETTINO SETTIMANALE

DOMENICA 22 OTTOBRE 2017

6° SETTIMANA DEL TEMPO DELLA CROCE

*** ORARIO SANTE MESSE IN PARROCCHIA

Feriali: Ore 13.30

Festivi: Ore 11.00

***

LETTURE DELLA DOMENICA

TEMPO DELLA CROCE

* Lettera ai Galati 6:1-10

* Santo Vangelo di Matteo 25:14-30

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6° SETTIMANA DEL TEMPO DELLA CROCE

ORARIO SANTE MESSE IN PARROCCHIA

"Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone"

*** FESTA DI SAN GIOVANNI PAOLO II IN PARROCCHIA

DOMENICA 22 OTTOBRE 2017

FESTEGGEREMO TUTTI INSIEME

LA MEMORIA LITURGICA DI

SAN GIOVANNI PAOLO II

LA SANTA MESSA IN SUO ONORE SARA' ALLE ORE 11.00 PRESSO LA NOSTRA PARROCCHIA

DOPO LA SANTA MESSA CI SARA' LA VENERAZIONE DELLA

RELIQUIA DEL SANGUE DEL SANTO

CON CUI VERRÀ DATA LA BENEDIZIONE FINALE

PARTECIPIAMO NUMEROSI!!!

CARISSIMI PARROCCHIANI ED AMICI

DOMENICA 22 OTTOBRE 2017

PRESSO LA NOSTRA SAN MARUN, ROMA

SARÀ CELEBRATA LA MESSA IN SUFFRAGIODEL NOSTRO CARO DEFUNTO

ENRICO DE SANTIS

MARITO DELLA NOSTRA PARROCCHIANA

L'ETERNO RIPOSOE SPLENDA A LUI

SANTA MESSA PER I CADUTI DELL'ESERCITO LIBANESE

***

CARISSIMI PARROCCHIANI ED AMICI

DOMENICA 22 OTTOBRE 2017

ALLE ORE 11,00

PRESSO LA NOSTRA CHIESA PARROCCHIALE DISAN MARUN, ROMA - VIA AURORA 6

SARÀ CELEBRATA LA MESSA IN SUFFRAGIO

DEL NOSTRO CARO DEFUNTO

ENRICO DE SANTIS

MARITO DELLA NOSTRA PARROCCHIANALAURA KHALIL

L'ETERNO RIPOSO DONA A LUI O SIGNORE

E SPLENDA A LUI LA LUCE PERPETUA RIPOSI IN PACE AMEN.

***

SANTA MESSA PER I CADUTI DELL'ESERCITO LIBANESE

CHIESA PARROCCHIALE DI

SARÀ CELEBRATA LA MESSA IN SUFFRAGIO

MARITO DELLA NOSTRA PARROCCHIANA

DONA A LUI O SIGNORE

SANTA MESSA PER I CADUTI DELL'ESERCITO LIBANESE

Domenica 15 ottobre scorso nella chiesa di San Marun, il nostro cappellano Mons. Tony Gebran

ha presieduto una celebrazione eucaristica, organizzata dal Movimento Patriottico Libero

(Tayyar Italia) in Suffragio dei Caduti dell'Esercito Libanese, del 13/10/1990. All’evento erano

presenti Sua Eccellenza il Sig. Albert Samaha, Ambasciatore del Libano presso il Sultanato

dell’Oman, il Rev.do Mons. Abdo Yaacoub Prelato Uditore della Rota Romana, il Rev.do Padre

Maged Maroun OAM, Superiore del Convento di Sant’Isaia in Roma, il Rev.do Padre Abdo

Raad, il sig. Marwan Atallah, direttore della MEA Italia, e tanti simpatizzanti del Movimento

Tayyar, nonché i nostri parrocchiani. Durante La sua omelia, Mons. Tony ha spiegato il

Vangelo della Domenica, riguardo alle vergini sagge e stolte, sulla precarietà della nostra vita su

questa terra, e sul fatto che dobbiamo sempre tenerci pronti per quando Nostro Signore ci

chiamerà a se, avendo sempre una buona scorta di opere buone, e non lasciarci prendere alla

sprovvista. Entrando nel vivo della questione. Alla fine Mons. Tony ha precisato in maniera

chiara ed inequivocabile l’assoluta apoliticità della Chiesa. Infatti, per la Chiesa di Cristo, non

esistono cristiani di destra o di sinistra, perché tutti sono figli di Dio, e come Dio ama in maniera

uguale e disinteressata tutti i suoi figli, così, ha detto mons. Tony, per la Chiesa Maronita a

Roma e nel mondo, non ci sono distinzioni, perchè tutti i cristiani sono uguali, e quando ci si

riunisce in Chiesa lo si fa per pregare e non per discutere di politica: tutti sono i benvenuti nella

nostra Parrocchia, purché ci sia il rispetto reciproco e si ci impegni comunemente per il bene

della nostra gente libanese qui a Roma ed in Italia. Al termine della Santa Messa ha preso la

parola il presidente dell’associazione Tayyar Italia, dott. Andrè Chakarji, ringraziando tutti i

presenti. Dopo la Santa Messa seguito un momento di condivisione e di festa presso i locali

del Collegio Maronita.

***

IL PATRIARCA RAI HA INCONTRATO IL PRIMO MINISTRO SAAD HARIRI A ROMA

Il Primo Ministro Saad Hariri, venerdì 13 ottobre scorso, ha tenuto un incontro e dei colloqui col

Patriarca Maronita Cardinal Bechara Rai presso il Pontificio Collegio Maronita di Roma,. Alla

riunione hanno partecipato il capo dello staff di Hariri Nader Hariri e il suo consulente Daoud

Sayegh. Dopo la riunione, Hariri ha detto ai giornalisti che le discussioni hanno riguardato

"questioni che riguardano l'unità e la stabilità del Libano. Abbiamo anche discusso della

questione degli sfollati siriani, e il governo libanese preparerà un documento su questo tema.

Per me, il mantenimento del consenso in Libano e la stabilità del Paese sono essenziali ". Hariri

ha aggiunto: "La questione degli sfollati deve affrontare innanzitutto l'interesse supremo del

Libano e deve essere affrontato in modo tale che il Libano non sia influenzato esternamente,

all'interno della comunità internazionale, o addirittura sul piano umano. Gli sfollati sono i nostri

fratelli e dobbiamo preservare la loro sicurezza e la loro stabilità. Partirono dalla Siria perché

erano minacciati. Dobbiamo preservare il supremo interesse del Libano, l'economia e la

sicurezza del nostro paese, e le opportunità di lavoro per il popolo libanese ". Ha continuato:

"Possiamo affrontare questo problema. Le politiche precedenti, a causa delle divisioni politiche,

non erano in grado di trovare soluzioni, ma oggi esiste un consenso libanese per affrontare

questa questione e Dio volentieri ". A una domanda che la questione controversa sfollata

potrebbe far saltare in aria la situazione interna e forse portare alle dimissioni del governo, il

Primo Ministro ha risposto: "Al contrario, credo che esista un grande consenso nel governo su

questo tema, e ci sono alcuni dettagli su cui dobbiamo concordare. Non abbiate paura, questo

governo non esploderà perché stiamo lavorando a beneficio del Libano ". "Le differenze

politiche stavano avvenendo perché ognuno era incastrato dietro le sue posizioni politiche.

Siamo ancora in piedi dietro queste posizioni politiche, ma la differenza è che c'è una situazione

libanese e la stabilità del Libano che non ha nulla a che fare con quello che sta accadendo

intorno a noi. Quindi dobbiamo lavorare per l'interesse del Libano ". Hariri ha aggiunto che

esiste "un documento comune tra il ministro degli Affari esteri e il ministro dell'interno in materia.

È la carta di base su cui il governo precedente ha lavorato ".

HARIRI IN UDIENZA DAL PAPA, LO INVITA A VISITARE IL LIBANO

Papa Francesco ha ricevuto in udienza il primo ministro del Libano, Saad Hariri, che lo ha

invitato a visitare il paese mediorientale. Al centro del colloquio, ha comunicato la Santa Sede,

la «soddisfazione per il rafforzamento della stabilità del Paese», l’apprezzamento per

l’accoglienza che il Libano dà a numerosi profughi siriani e «il valore della collaborazione tra

cristiani e musulmani per promuovere la pace e la giustizia». «Ho invitato papa Francesco a

visitare il Libano perché la sua visita beneficerà positivamente l’intera regione, non solo cristiani

e musulmani», ha detto Hariri a quanto riporta la televisione libanese Mtv. Il Premier libanese ha

detto, ancora, che il Paese dei cedri «è fortunato ad avere la coesistenza tra cristiani e

musulmani» e che il Papa ha indicato il Libano come «esempio di coesistenza per la regione»

mediorientale. Hariri era accompagnato dalla moglie Lara Bashir Al Azem e dai tre figli

Houssam, Loulwa e Abdulaziz, oltre che da un entourage di un’altra decina di persone. Dopo

l’udienza papale il Premier libanese ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato

vaticano, e il «ministro degli Esteri» vaticano, monsignor Paul Richard Gallagher. «I colloqui,

svoltisi in un clima di grande cordialità», ha riferito la Sala stampa della Santa Sede, «hanno

permesso di esaminare vari aspetti della situazione in Libano e gli ultimi sviluppi in Medio

Oriente. Si è quindi espressa soddisfazione per il rafforzamento della stabilità del Paese,

auspicando una sempre più proficua collaborazione tra le varie forze politiche a favore del bene

comune dell’intera Nazione». È stato inoltre «ribadito l’apprezzamento» per l’accoglienza che il

Libano presta ai «numerosi profughi» siriani e «ci si è soffermati sulla necessità di trovare una

soluzione giusta e globale ai conflitti che travagliano la Regione. Si è, inoltre, richiamata

l’importanza del dialogo interculturale e di quello interreligioso, nonché il valore della

collaborazione tra cristiani e musulmani per promuovere la pace e la giustizia, rilevando il ruolo

storico e istituzionale della Chiesa nella vita del Paese e l’importanza della presenza cristiana in

Medio Oriente». Il colloquio a porte chiuse è durato 25 minuti alla presenza, come interprete,

del segretario particolare del Papa, l’egiziano Yoannis Lahzi Gaid. Al momento dello scambio

dei doni, il Premier ha offerto una collana d’argento con una grande croce e il Papa ha

ricambiato con una copia della propria enciclica «Laudato si’» in francese e in arabo e la

medaglia che raffigura l’ulivo della pace: «Questo è simbolo di pace, e del fatto che persone di

diverse fedi possono andare d’accordo», ha chiosato Francesco. Congedandosi sulla soglia

della biblioteca, la moglie del premier ha detto al Papa: «L’Italia è il paese più bello del mondo»

e Hariri ha aggiunto: «Sta studiando l’italiano». Il Papa li ha poi accompagnati alla grande

finestra oltre la biblioteca, l’ha fatta aprire, e ha fatto loro contemplare una splendida vista su

Roma.

***

PAPA FRANCESCO: NÉ TRUCCHI NÉ IPOCRISIE, SOLO VERITÀ DEL CUORE

Il Signore ci dia la grazia della “verità interiore”. Questa la preghiera di venerdì 20 ottobre scorso

del Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta - riportata da Radio Vaticana -,

soffermandosi sulla Lettera di San Paolo apostolo ai Romani, in cui si esorta ad aderire con un

atto di fede a Dio, spiegando quale sia il “vero perdono di Dio”, quello cioè - dice Francesco -

che è “gratuito”, che viene “dalla sua grazia”, “dalla sua volontà”, e non certamente quello che

“pensiamo di avere per le nostre opere”. “Le nostre opere sono la risposta all'amore gratuito di

Dio, che ci ha giustificato e che ci perdona sempre. E la nostra santità è proprio ricevere sempre

questo perdono, per questo finisce citando il Salmo che abbiamo pregato: “Beati quelli le cui

iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti. Beato l’uomo al quale il Signore non

mette in conto il peccato”. E’ il Signore, Lui è quello che ci ha perdonato il peccato originale e

che ci perdona ogni volta che andiamo da Lui. Noi non possiamo perdonarci i nostri peccati con

le nostre opere, solo Lui perdona. Noi possiamo rispondere con le nostre opere a questo

perdono”. Nell’odierno Vangelo di Luca, prosegue poi il Papa, Gesù ci fa capire “un altro modo

di cercare la giustificazione”, proponendoci l’immagine di “quelli che si credono giusti per le

apparenze”: quelli cioè, dice Francesco, che sanno fare la “faccia di immaginetta”, come “se

fossero santi”. Sono gli ipocriti, spiega il Pontefice. Dentro di loro “è tutto sporco”, ma

esternamente vogliono “apparire” giusti e buoni, facendosi vedere quando digiunano, pregano o

danno l’elemosina. Ma dentro il cuore non c’è nulla, “non c’è sostanza”, la loro “è una vita

ipocrita”, la loro verità “è nulla”: “Questi truccano l’anima, vivono del trucco, la santità è un trucco

per loro. Gesù sempre ci chiede di essere veritieri, ma veritieri dentro al cuore e che se

qualcosa appare che appaia questa verità, quello che è dentro al cuore. Per questo quel

consiglio: quando tu preghi, vai a farlo di nascosto; quando tu digiuni, lì sì, truccati un po’,

perché nessuno veda nella faccia la debolezza del digiuno; e quando tu dai l’elemosina che la

tua mano sinistra non sappia quello che fa la destra, fallo di nascosto”. La loro, aggiunge il

Papa, è “la giustificazione dell’apparenza”. Sono “bolle di sapone” che oggi ci sono e domani

non ci sono più: Gesù ci chiede coerenza di vita, coerenza fra quello che facciamo e quello che

viviamo dentro. La falsità fa tanto male, l’ipocrisia fa tanto male, è un modo di vivere. Nel Salmo

abbiamo chiesto la grazia della verità davanti al Signore. E’ bello quello che abbiamo chiesto:

'Signore, ti ho fatto conoscere il mio peccato, non l’ho nascosto, non ho coperto la mia colpa,

non ho truccato la mia anima. Ho detto: ‘Confesserò al Signore le mie iniquità’ e tu hai tolto la

mia colpa e il mio peccato'. La verità sempre davanti a Dio, sempre. E questa verità davanti a

Dio è quella che fa spazio perché il Signore ci perdoni”. L’ipocrisia diventa così una “abitudine”:

la via indicata da Francesco allora è quella di non accusare gli altri ma imparare “la saggezza di

accusare se stessi”, senza coprire le nostre colpe davanti al Signore.

***

***

GIOVANNI PAOLO II: IL SUO GRANDE AMORE PER IL LIBANO

Il Libano è più di un Paese, è un messaggio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”: Questa

formula coniata da Giovanni Paolo II negli anni ’80, ha fatto fortuna in Libano. Non c’è settimana

in cui un leader politico o religioso, cristiano o musulmano, non se ne serva per esprimere il suo

ideale di quello che dovrebbe essere il nostro Paese, sempre scosso e tirato di qua e di là da

correnti politiche e ideologiche contrarie. É un fatto che dalla sua elezione nel 1978, Giovanni

Paolo II è stato strettamente coinvolto alla storia della guerra in Libano (1975-1990).

L’attenzione straordinaria che ha manifestato verso di noi, l’ha indotto nel 1997 a consacrare al

Libano un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il nostro Paese. Tutto ciò ha una

spiegazione. Ricordare questa storia ci permette di vedere come una trama provvidenziale si

intesse nello spessore delle nostre azioni quotidiane, e quasi a nostra insaputa. Alcuni storici

l’hanno affermato: il Libano nato nel 1943 da un patto di intesa nazionale concluso fra le

comunità cristiane e musulmane, avrebbe potuto semplicemente sparire dalla carta geografica,

sotto la pressione delle forze, o delle congiunture esterne, o disintegrarsi sotto la pressione dei

fattori interni, e soprattutto a causa del carattere eterogeneo della sua società. Il fatto che

questa esplosione non si sia prodotta è dovuto a un insieme di fattori. Il ruolo giocato, in questo

senso, da Giovanni Paolo II e dalla diplomazia vaticana meriterebbe più di un articolo. Ci sia

permesso di illustrarne almeno alcune linee. Nessuno ha sottolineato con maggior forza del

grande Papa la vocazione all’unità dei libanesi. L’ha fatto ripetutamente, in maniera insistente,

indirizzando al Libano un messaggio dopo l’altro; facendo pregare per il Libano i vescovi del

mondo intero; andando persino contro le aspirazioni di alcune forze politiche cristiane in Libano,

tentate dall’idea di una spartizione. Ecco un racconto sorprendente, per tutti coloro che si

interrogano su chi ha incoraggiato concretamente Giovanni Paolo II a occuparsi con tanta

costanza del dossier Libano. Si entra forse qui in quella che si chiama la “piccola storia”, ma

nondimeno è un dettaglio rivelatore. Lo si deve a Gilberte Doummar, una madre di famiglia del

movimento dei Focolari, che ha rappresentato il Libano, per lunghi anni al Pontificio consiglio

per i laici. A questo titolo si è spesso recata in Vaticano, e ha incontrato a diverse riprese, il

Papa e i suoi collaboratori più vicini. Ecco la sua testimonianza: “Siamo nel 1984, durante la

prima assemblea del Pontificio Consiglio per i Laici. Siamo riuniti nella Sala Clementina, Il

cardinale Pironio, allora presidente di questo Consiglio, mi presenta al Papa. Lo ringrazio per

tutto quello che fa per il Libano, e mi risponde: ‘Sì, il Libano è al centro delle mie

preoccupazioni, delle mie preghiere’. La sera stessa incontro un amico di lunga data del Papa,

lo scrittore Stephane Vilkanovitch, e gli dico: ‘Il Papa ha un amore speciale per il Libano. Come

mai, perché’? Mi risponde : ‘Lo incontro questa sera. Gli pongo la questione’. Il giorno dopo mi

dice: ‘Ho la risposta. Eccola. Quando, nell’ottobre 1978, dopo la sua elezione, è uscito per

salutare la folla su piazza San Pietro, e all’epoca i cartelli e gli striscioni erano proibiti, è saltato

fuori un cartello: ‘Santo Padre, salvi il Libano!’, prima di essere fatto sparire rapidamente. E, ha

detto il Santo Padre, quel messaggio l’ha colpito al cuore come una freccia. Alla fine dei

festeggiamenti, dopo aver salutato tutti, è rientrato, ed è andato a inginocchiarsi davanti al

Santissimo, e ha chiesto a Gesù, presente nell’eucaristia, abbastanza vita per poter salvare il

Libano”. Ecco come un semplice gesto può influire sul corso degli avvenimenti! Già nel 1978

Giovanni Paolo II aveva fissato come obiettivo alla diplomazia vaticana quello di impedire la

frammentazione del Libano. E Dio non solo ha dato abbastanza vita a Giovanni Paolo II per

“salvare il Libano”; e l’ha anche salvato, secondo quando pensava il Papa stesso, nel corso

dell’attentato del 13 maggio 1981, per permettergli di compiere quella missione particolare che

si era assegnato, e che, naturalmente, si inserisce in una trama globale a dimensione mondiale.

“Quello che soprattutto importava al Papa – sottolinea Gilberte Doummar – era l’unità del

Paese. Voleva che i cristiani lavorassero per l’unità del Libano. Nel marzo 1986 la Santa Sede,

sotto il suo impulso, ha lanciato un piano di uscita dalla guerra che il cardinale Achille Silvestrini,

principale figura diplomatica del Vaticano nel suo pontificato, è stato incaricato di mettere in

opera. Ha tentato, in particolare, di riunire un vertice nazionale islamo-cristiano. Ma Silvestrini

non è riuscito ad aprire una breccia nel muro che si era innalzato fra i libanesi. In precedenza, il

Vaticano si era speso invano tentando di impedire che le milizie cristiane si armassero,

pensando che le vie della pace erano preferibili a quelle della violenza. Ha rimproverato ad

alcuni responsabili di ordini monastici di aver dimenticato la loro vocazione fornendo armi ai

cristiani”. “Nel 1987 – riprende Gilberte Doummar – dopo il fallimento della missione Silvestrini,

molto triste e con un gesto della mano, il Papa mi ha detto: ‘Pregate, fate pregare per il Libano’.

Quando ha dichiarato il Libano ‘Paese-messaggio’, vedeva con uno sguardo profetico quello

che il Libano poteva offrire, l’irraggiamento, la missione molto grande che poteva avere. Il

Libano è fatto per l’unità. Il Papa aveva il dono di vedere quello che noi non vediamo”. Il Papa

finirà per raggiungere, in parte, il suo obiettivo, almeno sul piano spirituale. Ha convocato

un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi sul Libano. Si è tenuta nel 1995. Due anni più

tardi, nel 1997, la pubblicazione dell’esortazione apostolica “Una speranza per il Libano” ha

consacrato, contro venti e maree, la sua visione per il nostro Paese.

***

PELLEGRINAGGIO DIOCESANO A POMPEI

SABATO 11 NOVEMBRE 2017

Programma:

07.00 partenza: in treno dalla Stazione Termini, in bus dalle cappellanie, parrocchie, collegi

universitari

10.30 accoglienza nel Santuario

11.00 riflessione introduttiva

11.30 celebrazione Eucaristica

14.00 itinerari archeologici e caritativi

16.30 momento conclusivo nel Santuario

17.15 fiaccolata e rientro

Quota di partecipazione €10 per gli studenti delle università del Lazio e per i maturandi

La quota comprende anche le spese di viaggio

Ufficio Pastorale Universitaria - Piazza San Giovanni in Laterano, 6 /a – 00184 Roma

Email: [email protected]

tel. +39 06 69886584

***

DIOCESI, MANDATO MISSIONARIO, DE DONATIS: «DONATEVI GRATUITAMENTE»

Da Roma al Camerun, al Bangladesh e in Brasile per annunciare il Vangelo. Due religiose e una

missionaria hanno ricevuto ieri sera, giovedì 19 ottobre, il mandato missionario durante la veglia

diocesana svoltasi nella basilica di San Giovanni in Laterano e avente per tema “Ho udito il

grido del mio popolo” tratto dall’Esodo. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» è il

messaggio che il vicario del Papa, monsignor Angelo De Donatis, ha invitato a scolpirsi nel

cuore, lo stesso che Gesù consegnò ai discepoli inviandoli in missione. Già allora esisteva una

sproporzione tra il numero degli operai e la messe, ha evidenziato «ma è una sproporzione

necessaria affinché la missione sia vissuta nella logica della croce e dell’affidamento a Dio e

non in se stessi. Pregare significa lasciarsi inviare». Suor Lucia Citro missionaria delle

Saveriane svolgerà il mandato in Camerun, suor Celestina Sebastine, dell’Immacolata – Pime,

sarà destinata in Bangladesh e Raffaella Campana missionaria della comunità di Villaregia

andrà in Brasile. Hanno ricevuto il Vangelo e la croce realizzata con il legno recuperato da un

barcone degli immigrati con due chiodi sopra per raffigurare Cristo ed assemblata dai giovani

della cooperativa sociale “Rò La Formichina” della comunità Papa Giovanni XXIII. La veglia si è

aperta con una preghiera di ringraziamento per la liberazione, mercoledì 18 ottobre, di don

Maurizio Pallù, il sacerdote della diocesi di Roma rapito da un gruppo di miliziani in Nigeria e per

il popolo somalo colpito dall’attentato che sabato 14 ottobre ha provocato nella capitale oltre

300 morti, tra cui molti bambini. Un atto terroristico che per Papa Francesco «merita la più ferma

deplorazione» come ha detto nell’udienza di mercoledì. Significative le testimonianze di

monsignor Giorgio Bertin e padre Daniele Mazza missionari all’estero da molti anni. Il primo è

vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio e ha lavorato in Somalia accanto al

vescovo Pietro Salvatore Colombo assassinato il 9 luglio 1989. Ha esortato ad essere

«sacramento di salvezza» più che missionari affinché anche gli altri popoli possano essere

«operatori di quella vigna dove la messe è veramente abbondante». Citando alcuni martiri

italiani uccisi in Somalia negli ultimi decenni ha ricordato che sono «semi che producono,

esempi che hanno aperto gli occhi a tante persone lontane dal Vangelo» e ha auspicato che

possano essere una testimonianza per musulmani e non credenti affinché si impegnino per la

giustizia, la pace, la fraternità e la ricerca della verità. Per il vescovo è importante «coinvolgere

persone al di là dei confini della nostra fede perché la missione e l’evangelizzazione vanno oltre

il numero dei battesimi, devono portare le persone all’incontro con Cristo nascosto nei piccoli e

nei poveri». Padre Daniele Mazza del Pime, dal 2008 è impegnato in Thailandia dove si dedica

al dialogo interreligioso con i buddisti e organizza attività legate all’educazione e all’assistenza

degli anziani e dei bambini disabili e abbandonati. Ha condiviso i doni ricevuti in questi anni di

missione come l’aver vinto le proprie paure e trovare il coraggio di lavorare in luoghi non facili

come il carcere minorile, il braccio della morte e le baraccopoli. Ha invitato ad andare oltre i

propri confini raccontando la sua esperienza all’università dove era l’unico cattolico tra 27 mila

monaci buddisti. «Il sacramento dell’incontro mi ha permesso di allacciare belle amicizie che

hanno portato ad un dialogo vero e alla richiesta di insegnare cristianesimo in una università

buddista». Ha consigliato di vivere ogni momento con passione ma senza affanno. Monsignor

De Donatis durante la meditazione si è soffermato sullo sguardo compassionevole di Gesù nei

confronti di chi lo seguiva e lo ascoltava «affaticati soprattutto dall’assenza di qualcuno che si

occupasse di loro, li aiutasse a tessere legami. È quello sguardo che genera la chiamata al

servizio e l’impegno dei discepoli perché il Suo amore non è egoista, non ci trattiene ma ci

consegna agli altri affinché, attraverso di noi, possano amare quello sguardo». «Udire non con

le orecchie ma con il cuore il grido di dolore degli scartati del mondo» è l’esortazione di don

Michele Caiafa, addetto al Centro per la cooperazione missionaria tra le Chiese.

***

***

COMMENTO AL VANGELO DELLA DOMENICA: SERVO BUONO E FEDELE

Il Vangelo di questa domenica è la parabola dei talenti, tratta da san Matteo (25,14-30).

Racconta di un uomo che, prima di partire per un viaggio, convoca i servitori e affida loro il suo

patrimonio in talenti, monete antiche di grandissimo valore. Quel padrone affida al primo

servitore cinque talenti, al secondo due, al terzo uno. Durante l’assenza del padrone, i tre

servitori devono far fruttare questo patrimonio. Il primo e il secondo servitore raddoppiano

ciascuno il capitale di partenza; il terzo, invece, per paura di perdere tutto, seppellisce il talento

ricevuto in una buca. Al ritorno del padrone, i primi due ricevono la lode e la ricompensa, mentre

il terzo, che restituisce soltanto la moneta ricevuta, viene rimproverato e punito. E’ chiaro il

significato di questo. L’uomo della parabola rappresenta Gesù, i servitori siamo noi e i talenti

sono il patrimonio che il Signore affida a noi. Qual è il patrimonio? La sua Parola, l’Eucaristia, la

fede nel Padre celeste, il suo perdono… insomma, tante cose, i suoi beni più preziosi. Questo è

il patrimonio che Lui ci affida. Non solo da custodire, ma da far crescere! Mentre nell’uso

comune il termine “talento” indica una spiccata qualità individuale – ad esempio talento nella

musica, nello sport, eccetera –, nella parabola i talenti rappresentano i beni del Signore, che Lui

ci affida perché li facciamo fruttare. La buca scavata nel terreno dal «servo malvagio e pigro» (v.

26) indica la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura

dei rischi dell’amore ci blocca. Gesù non ci chiede di conservare la sua grazia in cassaforte!

Non ci chiede questo Gesù, ma vuole che la usiamo a vantaggio degli altri. Tutti i beni che noi

abbiamo ricevuto sono per darli agli altri, e così crescono. È come se ci dicesse: “Eccoti la mia

misericordia, la mia tenerezza, il mio perdono: prendili e fanne largo uso”. E noi che cosa ne

abbiamo fatto? Chi abbiamo “contagiato” con la nostra fede? Quante persone abbiamo

incoraggiato con la nostra speranza? Quanto amore abbiamo condiviso col nostro prossimo?

Sono domande che ci farà bene farci. Qualunque ambiente, anche il più lontano e impraticabile,

può diventare luogo dove far fruttificare i talenti. Non ci sono situazioni o luoghi preclusi alla

presenza e alla testimonianza cristiana. La testimonianza che Gesù ci chiede non è chiusa, è

aperta, dipende da noi. Questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra

appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra

vita, nelle relazioni, nelle situazioni concrete, come forza che mette in crisi, che purifica, che

rinnova. Così pure il perdono, che il Signore ci dona specialmente nel Sacramento della

Riconciliazione: non teniamolo chiuso in noi stessi, ma lasciamo che sprigioni la sua forza, che

faccia cadere muri che il nostro egoismo ha innalzato, che ci faccia fare il primo passo nei

rapporti bloccati, riprendere il dialogo dove non c’è più comunicazione… E così via. Fare che

questi talenti, questi regali, questi doni che il Signore ci ha dato, vengano per gli altri, crescano,

diano frutto, con la nostra testimonianza. Oggi sarebbe un bel gesto che ognuno di voi

prendesse il Vangelo a casa, il Vangelo di San Matteo, capitolo 25, versetti dal 14 al 30, Matteo

25, 14-30, e leggere questo, e meditare un po’: “I talenti, le ricchezze, tutto quello che Dio mi ha

dato di spirituale, di bontà, la Parola di Dio, come faccio che crescano negli altri? O soltanto li

custodisco in cassaforte?” E inoltre Il Signore non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo:

ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti, in tutti c’è qualcosa

di uguale: la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi, Dio ha speranza in noi! E questo è lo

stesso per tutti. Non deludiamolo! Non lasciamoci ingannare dalla paura, ma ricambiamo fiducia

con fiducia! La Vergine Maria incarna questo atteggiamento nel modo più bello e più pieno. Ella

ha ricevuto e accolto il dono più sublime, Gesù in persona, e a sua volta lo ha offerto all’umanità

con cuore generoso. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere “servi buoni e fedeli”, per partecipare

“alla gioia del nostro Signore”.

***

IL SENSO ESCATOLOGICO DELLA CROCE

(PARTE 5 )

La croce – come dicevamo in principio – diviene nella simbologia del vescovo di Ippona la nave

che conduce l’uomo attraverso le avversità del mondo fino al porto della tranquillità celeste.

Questa nave è certamente la Chiesa che si riconosce in Cristo e in tutti coloro che credono in

Lui e nella sua crocifissione: «Credi nel crocifisso – dice Agostino – perché la tua fede possa

elevarsi fino alla croce. Non verrai sommerso, ma sarà la croce a portarti» 49. Se la croce di

Cristo viene interpretata da Agostino e da Ambrogio come la nave che conduce i naviganti nel

mare del mondo, un altro autore latino propone una metafora diversa ma altrettanto bella e ricca

di significati. Cromazio di Aquileia infatti equipara la croce alla scala di Giacobbe 50. Nella

Genesi il patriarca Giacobbe riferì di aver visto una scala la cui sommità toccava il cielo e il

Signore in cima a essa. «Quella scala è la croce di Cristo – sottolinea Cromazio –; attraverso

essa ci è consentito l’accesso al cielo». I gradini di quella scala vengono spiegati come piani

diversi di virtù, come la fede, la giustizia, la castità, la santità, attraverso i quali ci eleviamo al

cielo. Poi ancora: «Come i gradini sono tenuti fra due montanti, così anche la croce di Cristo si

innesta fra i due Testamenti, avendo in sé i gradini dei precetti divini per mezzo dei quali si sale

al cielo» . Nella seconda metà del V secolo il pontefice Leone Magno torna sui passi di

un’analisi cristologica più concentrata sulla figura di Cristo quale uomo e Figlio di Dio. La

debolezza dell’uomo e la divinità di Cristo divengono infatti centrali nella teologia escatologica di

questo vescovo, che riporta l’attenzione dei fedeli sulla duplice natura di Gesù, uomo e Dio, il

quale dovette riconoscersi uomo per poter liberare l’uomo: «L’abbassamento della divinità –

sottolinea Leone – è lo strumento della nostra elevazione» . Solo Dio fattosi carne per noi

poteva salvare l’uomo dal peccato e dalla morte. Infatti, «dopo la prima e universale caduta

provocata dal peccato dell’uomo» − dice Leone Magno – la morte avvolse l’umanità e nessuno

sfuggì alla tirannia del demonio; «nessuno allora avrebbe ritrovato la strada della riconciliazione

e del perdono e del ritorno alla vita, se il Figlio di Dio non si fosse degnato di essere anche figlio

dell’uomo» . Pertanto l’umanità non deve vergognarsi della croce di Cristo giacché: «Essa

deriva dalla forza del disegno divino, non dalla condizione di peccato». Leone considera la

crocifissione e morte di Cristo come un atto di misericordia, anzi come l’atto più alto della bontà

e carità divina: «Tra tutte le opere della misericordia di Dio, che egli ha consacrato alla salvezza

degli uomini – dice il vescovo − la più meravigliosa e la più sublime è indubbiamente costituita

dal fatto che Cristo sia stato crocifisso per il mondo» . Con una definizione che rende

perfettamente giustizia al pensiero teologico di questo padre latino: «La croce di Cristo

racchiude tutto il mistero del vero altare, sul quale – come era stato annunziato – per mezzo di

un’ostia di salvezza si sarebbe celebrata l’offerta della natura umana» . Se l’esegesi di Leone

Magno ha dimostrato un’attenzione più rigorosa agli aspetti cristologici e teologici della morte in

croce, l’opera di un altro pontefice, Gregorio Magno, si inserisce letterariamente e storicamente

in un contesto assai diverso, ove più forte si fa nella Chiesa l’esigenza di indirizzare i fedeli

verso una comprensione più adeguata dei limiti dell’uomo e dei peccati che lo affliggono, in

visione della fine dei tempi e del giudizio ultimo. Pertanto la croce di Cristo è per noi un segno di

gloria e di speranza verso la vita eterna: «È la luce che illuminò le nostre menti tenebrose» . In

conclusione desidero fare riferimento a Beda il Venerabile, il quale sottolinea che nelle avversità

della vita quotidiana, il vero cristiano è colui che con animo semplice si gloria soltanto nella

croce del Signore Nostro, desiderando di rimettere la propria anima nelle mani del Creatore e

rendendosi così partecipe insieme con Lui delle glorie del regno celeste. (FINE).

***

CALENDARIO LITURGICO

E

RICORRENZE SETTIMANALI

22 OTTOBRE

SAN GIOVANNI PAOLO II

Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo papa slavo e il primo Papa non italiano dai tempi di

Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del pontificato ha ribadito di voler portare avanti

l'eredità del Concilio Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della

prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un colpo di pistola dal

turco Alì Agca. Al centro del suo annuncio il Vangelo, senza sconti. Molto importanti sono le sue

encicliche, tra le quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in misericordia", la

"Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e l'"Evangelium vitae". Dialogo interreligioso ed

ecumenico, difesa della pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo

ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque continenti emerge la sua

passione per il Vangelo e per la libertà dei popoli. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti

indimenticabili: dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla preghiere al Muro

del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla traghetta l'umanità nel terzo millennio.

(Avvenire)

.

23 OTTOBRE

SAN GIOVANNI DA CAPESTRANO

Era nato a Capestrano, vicino all'Aquila, nel 1386, da un barone tedesco, ma da madre

abruzzese. Studente a Perugia, si laureò e divenne ottimo giurista, tanto che Ladislao di

Durazzo lo fece governatore di quella città. Ma caduto prigioniero, decise di farsi francescano,

diventando amico di san Bernardino e difendendolo quando, a causa della devozione del Nome

di Gesù, venne accusato d'eresia. Anch'egli così prese come emblema il monogramma

bernardiniano di Cristo Re. Il Papa lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si

allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l'unione degli Armeni con

Roma. Aveva settant'anni, nel 1456, quando si trovò alla battaglia di Belgrado investita dai

Turchi. Per undici giorni e undici notti non abbandonò mai il campo. Ma tre mesi dopo, il 23

ottobre, Giovanni moriva a Ilok, in Slavonia, oggi in Croazia orientale.

(Avvenire)

28 OTTOBRE

SANTI SIMONE E GIUDA

Il primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di

Giacomo. Nei vangeli i loro nomi figurano agli ultimi posti degli elenchi degli apostoli e le notizie

che ci vengono date su di loro sono molto scarse. Di Simone sappiamo che era nato a Cana ed

era soprannominato lo zelota, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli zeloti.

Secondo la tradizione, subì un martirio particolarmente cruento. Il suo corpo fu fatto a pezzi con

una sega. Per questo è raffigurato con questo attrezzo ed è patrono dei boscaioli e taglialegna.

L’evangelista Luca presenta l’altro apostolo come Giuda di Giacomo. I biblisti sono oggi divisi

sul significato di questa precisazione. Alcuni traducono con fratello, altri con figlio di Giacomo.

Matteo e Marco lo chiamano invece Taddeo, che non designa un personaggio diverso. È,

invece, un soprannome che in aramaico significa magnanimo. Secondo san Giovanni,

nell’ultima cena proprio Giuda Taddeo chiede a Gesù: «Signore, come è accaduto che devi

manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù non gli risponde direttamente, ma va al cuore della

chiamata e della sequela apostolica: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo

amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». L’unica via per la quale Dio

giunge all’uomo, anzi prende dimora presso di lui è l’amore. Non è un caso che la domanda

venga da Giuda. Il suo cuore magnanimo aveva, probabilmente, intuito la risposta del Maestro.

Come Simone, egli è venerato come martire, ma non conosciamo le circostanze della sua

morte. Secondo gli Atti degli Apostoli, però, sappiamo che gli apostoli furono testimoni della

resurrezione, e questa è la gloria maggiore dell’apostolo e di ogni discepolo di Gesù.

***

SACRAMENTI

BATTESIMO

I modi e tempi sono da concordare con la Segreteria Parrocchiale, per la preparazione

dei genitori, per la scelta adeguata dei padrini e delle madrine, per la presentazione dei

documenti richiesti; per il battesimo degli adulti sarà richiesto un percorso

individualizzato

CONFESSIONI

Le confessioni sono disponibili in Parrocchia DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ prima e dopo la

Santa Messa delle 13.30 e OGNI DOMENICA dalle ore 10.00 alle ore 13.00.

CRESIMA

Al termine del cammino di preparazione (iniziazione cristiana), si potrà accedere al

sacramento della Confermazione in data e modalità da concordare col Parroco.

COMUNIONE AI MALATI

Per le persone trattenute in casa da una lunga o invalidante malattia si prega

di contattare la Segreteria Parrocchiale per la visita del sacerdote a portare l’Eucaristia

nelle case.

UNZIONE DEGLI INFERMI

l’Unzione è chiesta in caso di malattia di lunga durata o in pericolo di vita, in questi casi

si prega di contattare il Parroco h24 .

CELEBRAZIONE DELLE ESEQUIE (FUNERALI)

La data e l'ora della celebrazione delle esequie sono fissate d'intesa coi familiari, previo

contatto con la Segreteria .

MATRIMONIO

per ricevere informazioni circa le pratiche civili e Parrocchiali, richieste dalla disciplina

del sacramento è necessario rivolgersi alla Segreteria Parrocchiale, almeno 6 MESI

prima della data prevista per la celebrazione del matrimonio. La Parrocchia ogni

anno predispone dei corsi per fidanzati.

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