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Bollettino delle Assise Sommario Bagnoli: l’incompatibilità del vincolo paesistico con qualsiasi progetto di porto di Francesco Iannello Relazione sulla proposta di vincolo su Bagnoli (estratto) di Antonio Iannello p. 2 primo piano Il porto canale e la Bagnolifutura di Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raf- faele Raimondi, Aldo Loris Rossi p. 8 Evitare nuovi errori di Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raf- faele Raimondi, Aldo Loris Rossi p. 9 Il Regno del possibile o l’Utopia realizzabile di Aldo Loris Rossi p. 10 Tre interventi possibili per il centro storico di Aldo Loris Rossi p. 12 Case vecchie da rottamare di Aldo Loris Rossi p. 14 La città metropolitana è una sfida storica di Aldo Loris Rossi p. 16 C’è chi vuole costruire per creare la paralisi di Aldo Loris Rossi p. 18 La disfida di Castel Nuovo “Salviamo le rovine aragonesi” di Stella Cervasio p. 20 L’antica dipendenza della cultura dal potere di Aldo Loris Rossi p. 22 rassegna stampa p. 24 resoconti Assise p. 30 proposte editoriali p. 34 Analfabetismo p. 36 di Antonio Gramsci Il ministero per i Beni Culturali il 6 agosto 1999 ha emanato per la Piana di Bagnoli e lo specchio d’acqua antistante un Decreto di Vincolo (ai sensi dell’art. 139 del D.L. 490/99 titolo II sui Beni Pae- saggistici e Ambientali). Promotore del- l’iniziativa fu Antonio Iannello, negli an- ni ’90 funzionario della competente sovrin- tendenza che redasse nel 1996 la relazione di vincolo. In tale documento è ricostrui- ta la storia del sito, dall’epoca felice in cui esso era uno dei luoghi termali più cele- brati dell’antichità alla disastrosa scelta di destinazione industriale fatta agli inizi del Novecento. La relazione è stata recen- temente ripubblicata in una pregevole edi- zione a cura della Fondazione Biblioteca “Benedetto Croce” con una postfazione del sovrintendente ai beni ambientali ed architettonici di Napoli Enrico Guglielmo che la definisce «la più approfondita, do- cumentata ed ampia mai prodotta per un vincolo paesaggistico». Nonostante l’apposizione del vincolo, però, il piano urbanistico esecutivo del Co- mune di Napoli prevede ancora la co- struzione di un porto canale, evidente- mente considerato dall’amministrazione locale compatibile con lo strumento go- vernativo di tutela. Un’attenta lettura delle pagine della relazione sulla proposta di vincolo scritta da Iannello conduce tut- tavia alla conclusione opposta. In primo luogo bisogna ricordare che nell’atto stesso dell’apposizione del vinco- lo è implicita la sfiducia, che l’autore della relazione non senza fondati motivi nutriva, verso i poteri locali e la consape- volezza che la tutela dei beni paesaggisti- ci può essere pienamente realizzata solo dallo Stato centrale. Il fine perseguito dal vincolo, inoltre, come si legge nella relazione, è la riquali- Il nostro, come disse Sciascia, è un paese senza memoria e verità, e io per questo cerco di non dimenticare. P. P. Pasolini della Città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia www.napoliassise.it Poste italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CNS/CBPAS/07 - Iscrizione ROC 15908 26/10/2007 Sosteniamo il Bollettino delle Assise È cominciata la campagna abbonamenti. Per ulteriori informazioni, vedi p. 35 Anno I, speciale settembre 2007, nn. 10, 11 - Periodico quindicinale - 1,00 segue a p. 2 La crisi della città Bagnoli: l’incompatibilità del vincolo paesistico con qualsiasi progetto di porto Le immagini di questo numero sono tratte dalle opere di Antonio Sant’Elia (1888-1916) Ricordando Lorenzo Tomatis di Patrizia Gentilini p. 33

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Bollettinodelle Assise

SommarioBagnoli: l’incompatibilità delvincolo paesistico conqualsiasi progetto di portodi Francesco Iannello

Relazione sulla proposta divincolo su Bagnoli (estratto)di Antonio Iannello p. 2

primo piano

Il porto canale e la Bagnolifuturadi Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raf-faele Raimondi, Aldo Loris Rossi p. 8

Evitare nuovi erroridi Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raf-faele Raimondi, Aldo Loris Rossi p. 9

Il Regno del possibileo l’Utopia realizzabiledi Aldo Loris Rossi p. 10

Tre interventi possibiliper il centro storicodi Aldo Loris Rossi p. 12

Case vecchie da rottamaredi Aldo Loris Rossi p. 14

La città metropolitana èuna sfida storicadi Aldo Loris Rossi p. 16

C’è chi vuole costruire percreare la paralisidi Aldo Loris Rossi p. 18

La disfida di Castel Nuovo“Salviamo le rovine aragonesi”di Stella Cervasio p. 20

L’antica dipendenza dellacultura dal poteredi Aldo Loris Rossi p. 22

rassegna stampa p. 24

resoconti Assise p. 30

proposte editoriali p. 34

Analfabetismo p. 36di Antonio Gramsci

Il ministero per i Beni Culturali il 6agosto 1999 ha emanato per la Piana diBagnoli e lo specchio d’acqua antistanteun Decreto di Vincolo (ai sensi dell’art.139 del D.L. 490/99 titolo II sui Beni Pae-saggistici e Ambientali). Promotore del-l’iniziativa fu Antonio Iannello, negli an-ni ’90 funzionario della competente sovrin-tendenza che redasse nel 1996 la relazionedi vincolo. In tale documento è ricostrui-ta la storia del sito, dall’epoca felice in cuiesso era uno dei luoghi termali più cele-brati dell’antichità alla disastrosa sceltadi destinazione industriale fatta agli inizidel Novecento. La relazione è stata recen-temente ripubblicata in una pregevole edi-zione a cura della Fondazione Biblioteca“Benedetto Croce” con una postfazionedel sovrintendente ai beni ambientali edarchitettonici di Napoli Enrico Guglielmoche la definisce «la più approfondita, do-cumentata ed ampia mai prodotta per unvincolo paesaggistico».

Nonostante l’apposizione del vincolo,però, il piano urbanistico esecutivo del Co-mune di Napoli prevede ancora la co-struzione di un porto canale, evidente-mente considerato dall’amministrazionelocale compatibile con lo strumento go-vernativo di tutela. Un’attenta letturadelle pagine della relazione sulla propostadi vincolo scritta da Iannello conduce tut-tavia alla conclusione opposta.

In primo luogo bisogna ricordare chenell’atto stesso dell’apposizione del vinco-lo è implicita la sfiducia, che l’autoredella relazione non senza fondati motivinutriva, verso i poteri locali e la consape-volezza che la tutela dei beni paesaggisti-ci può essere pienamente realizzata solodallo Stato centrale.

Il fine perseguito dal vincolo, inoltre,come si legge nella relazione, è la riquali-

Il nostro, come disse Sciascia, è unpaese senza memoria e verità, e ioper questo cerco di non dimenticare.

P. P. Pasolini

del la Città d i Napol i e del Mezzogiorno d’ I ta l ia

w w w . n a p o l i a s s i s e . i t

Poste italiane s.p.a. - sped. in abb. post. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, CNS/CBPAS/07 - Iscrizione ROC 15908 26/10/2007

Sosteniamo il Bollettino delle AssiseÈ cominciata la campagna abbonamenti.

Per ulteriori informazioni, vedi p. 35

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segue a p. 2

La crisi della cittàBagnoli: l’incompatibilità del vincolo

paesistico con qualsiasi progetto di porto

Le immagini di questo numerosono tratte dalle opere di

Antonio Sant’Elia (1888-1916)

RicordandoLorenzo Tomatis

di Patrizia Gentilini p. 33

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ficazione dell’area mediante un grande parco urbano, unarete di attività produttive connesse alla ricerca e adeguateattrezzature turistiche, ma soprattutto mediante la restitu-zione alla città della spiaggia di Bagnoli Coroglio che, silegge nella relazione, «per la bellezza paesistica, per la lim-pidezza del mare, per la ricchezza delle acque termali rap-presenta la soluzione ideale per soddisfare le esigenze di bal-neazione della città ed assicurare un grande sviluppo turi-stico di livello internazionale».

Il progetto del porto canale non può evidentemente nonmettere in pericolo il raggiungimento di tale obiettivo, dalmomento che prevede, una volta rimossa la colmata, che hadeturpato la linea di costa per oltre 40 anni con un’orrendae velenosa piattaforma di cemento nel mare, un’operazionesostanzialmente analoga e simmetrica a quella della colma-ta, ossia lo sventramento della stessa linea di costa, median-te la creazione di un largo canale artificiale nella terrafermadove circoleranno circa un migliaio di barche inquinanti (sidice, ipocritamente che si tratta di barche a vela, dimenti-cando che tutte le barche a vela sono dotate di motore e checome barche a motore sono utilizzate nella maggior partedei casi). Come può tale progetto ritenersi compatibile conil ridisegno della linea di costa secondo “la documentazionestorica esistente”, con l’effettiva “riqualificazione della zo-na litoranea” e soprattutto con la restituzione alla balnea-zione della spiaggia, lunga tra l’altro poco più di un chilo-metro e con la caratteristica, che la rende ancora più prezio-sa, di essere l’unica in tutta la città?

È importante ricordare infine che tutte le vicende relativealla pianificazione urbanistica per Bagnoli, ivi compresa l’op-posizione di Antonio Iannello e di tutti i principali gruppiambientalisti della città alle ipotesi di portualità turistica nel-l’area, sono dettagliatamente descritte nel libro di FrancescoErbani, Uno strano italiano. Antonio Iannello e lo scempio del-l’ambiente, Laterza, Bari, 2002 (pp. 127 e 128). Si tratta di unafedele interpretazione della posizione di Iannello, espressa dachi, oltre ad esserne stato legato da una sincera amicizia, haprofuso anni di lavoro per ricostruire queste vicende, che oggisono parte della storia urbanistica della nostra città.

Gli avvenimenti successivi all’apposizione del vincolo,Coppa America compresa, dimostrano la lungimiranza dellesue tesi: le scandalose condizioni in cui versa oggi l’area di

Bagnoli sono sotto gli occhi di tutti e gli appetiti speculati-vi continuano a rendere sempre più remota la possibilità diun effettivo recupero ambientale e civile di una delle zone dipiù elevato valore paesaggistico della città.

È sconfortante constatare come da più parti sia ancoranegata l’enorme evidenza che qualsiasi ipotesi di portualità,sia nell’area di Coroglio-Bagnoli, sia a maggior ragione nel-l’area della riserva naturale di Nisida (da cui si gode uno deipanorami più straordinari del mondo e che è inspiegabil-mente ancora sottratta ai cittadini italiani, con il pretestodell’esistenza di un carcere minorile), è assolutamente in-compatibile con la restituzione dell’area, di eccezionale va-lore paesistico, alla sua originaria vocazione naturalistica,termale e balneare, prevista dalla stessa variante al pianoregolatore generale del 1996.

Riportiamo di seguito alcuni dei passaggi più significa-tivi della Relazione che contiene le testimonianze di grandiautori del passato, tra cui Johann Wolfgang Goethe, sullabellezza, l’amenità, la salubrità e la ricchezza che tali luoghipossedevano in tempi meno sciagurati.

Francesco Iannello

Relazione sulla proposta di vincolo su Bagnoli

La piana di Coroglio-Bagnoli, delimitata dai rilievi colli-nari di Posillipo, Monte Olibano, Monte Spina e Monte S.Angelo, è la parte che ricade nel comune di Napoli del miticoterritorio dei Campi Flegrei, la cui caratteristica morfologica èlegata alla sua origine vulcanica. Accrescono il fascino di que-sto straordinario paesaggio i ricordi mitici cantati da Omero eVirgilio, la ricchezza delle testimonianze della cultura e dellaciviltà greca e romana presenti in ogni parte del suo territorio1.

Da questo sito si può godere uno straordinario spettacolo dibellezze panoramiche o quadri naturali che si susseguono senzasoluzione di continuità al ruotare dello sguardo per un’ampiez-za di trecentosessanta gradi.

Partendo da sinistra, per un osservatore che guarda l’isoladi Nisida, in primo piano si erge la collina di Posillipo rico-perta di lussureggiante vegetazione che nella estremità espostaall’azione del mare e dei venti si fa sempre più rada e mette inmostra la nuda parete tufacea. Di fronte si staglia sul marel’isola vulcanica di Nisida; volgendo lo sguardo verso destra in

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secondo piano si distingue l’intero arco del golfo di Pozzuoli(ora denominata Rione Terra) a Baia, da Bacoli al promonto-rio di Capo Miseno e al Monte di Procida.

Sullo sfondo appaiono le isole di Procida, Vivara ed Ischia.Verso l’entroterra si scorgono i profili dei rilievi di MonteOlibano, Monte Spina e Monte S. Angelo.

Questo suggestivo spettacolo di quadri naturali si può goderedagli innumerevoli punti di vista panoramici lungo la spiaggiadi Coroglio e di Bagnoli e lungo le strade esistenti nei punti in cuila visuale è libera dalle costruzioni industriali che costituisconouna vera e propria barriera visiva: via Coroglio, via Pozzuoli, viaLeonardi Cattolica, via Cavalleggeri d’Aosta e via Bagnoli.

La bellezza, l’amenità, la salubrità e la ricchezza di risorsenaturali di questa piana e dei siti circostanti furono fattori certa-mente decisivi per l’insediamento nei Campi Flegrei delle primecolonie greche nel VIII secolo a.C. Successivamente anche i Ro-mani furono attratti dalle bellezze naturali, dalla salubrità delsuolo, dalla limpidezza del cielo e dalla purezza e qualità delleacque. Posillipo, Nisida, Coroglio-Bagnoli e Pozzuoli, Baia eBacoli furono le località più ricercate ed ambite dagli imperatorie dall’aristocrazia romana come testimoniano le lussuose ville,terme, teatri, anfiteatri, acquedotti che essi vi edificarono.

Una ricostruzione sommaria, per grandi linee, delle trasfor-mazioni di questi luoghi indotte nel corso degli anni da fenomenio calamità naturali o apportate dall’intervento dell’uomo si puòtracciare attraverso le notizie che fornisce la letteratura sulla topo-grafia, sulla geografia e sulla storia civile di Napoli e, per gli an-ni a noi più vicini, mediante la documentazione grafica e carto-grafica costituita da mappe topografiche, disegni ed incisioni.Sui Campi Flegrei e sui siti di Coroglio e di Bagnoli in partico-lare, esiste una vasta letteratura tra cui le testimonianze dei gran-di viaggiatori stranieri. Basterà citare il più celebre di essi, JohannWolfgang Goethe che nel suo Viaggio in Italia (1786-1788) defi-nisce i Campi Flegrei «la regione più meravigliosa del mondo.Sotto il cielo più puro il terreno più infido… Ci siamo con-tinuamente palleggiati fra le vicende della natura e della storia».

Tra gli autori italiani non si può non citare Benedetto diFalco che giustamente Croce chiamò il primo descrittore di Na-poli2 autore della Descrizione dei luoghi antiqui di Napoli edel suo amenissimo distretto3.

[…] Più avanti nel capitolo “Delli bagni” il di Falco dopoaver citato Petrarca che esalta l’amenità di quei luoghi, scriven-

do in una sua epistola: «Nulla contrada del mondo è più ame-na e più frequentata di quella di Pezzuolo o di Baia», e Plinioche afferma «in nessuna altra parte del mondo è tanta abbon-danza di acqua quanto in Pezzuolo»4 descrive quelli di Ba-gnoli: «Dirò bene io quelli ch’io so e sono in prezzo ed in usan-za, come sono li Bagnoli, stanno al lito del mare innanzi chetu vadi a Pezzuolo». «Vidi ancora il bagno degli Astroni, lacui acqua deriva da due fonti, e li bagni di Tripergole, il bagnodelle Scrofole. E posso dare testimonio di due sudatari, l’uno èquello del lago di Agnano dove è una casetta»5.

Da questa descrizione «quelli che io so e sono in usanza»come «li Bagnoli» stanno «al lito del mare innanzi che tu vadaa Pezzuolo», risulta chiaramente che la spiaggia di Bagnoliera nel 1535 frequentata e che i bagni di acque termali eranosituati in prossimità del mare prima di Pozzuoli.

[…] Dell’«incantevole spiaggia di Bagnoli» parla An-tonio Candido autore di una monografia sullo stabilimentotermominerale del Balneolo di cui era direttore. Dopo aver de-scritto nell’introduzione l’interesse degli antichi per le acquetermo-minerali ricorda «quanto fossero dai prischi popoli gre-co-romani celebrate e frequentate le acque termo-minerali, cheabbondantemente scaturiscono dal vulcanico suolo dei CampiFlegrei», ed avverte «come lo spazio compreso tra il promon-torio di Posillipo e Baia fosse letteralmente ingombro di ter-mali edifici stimo inutile farne parola» dal momento che ledescrizioni unanimi degli storici e «l’immensità delle ruinerinvenute» ne sono una prova sicura6. Il Bartoli per ordinedel vicerè don Pedro d’Aragona nel 1669 ne elencò 48 in tre«grossi lapidi: una fissata a sinistra prima di entrare nellagrotta di Pozzuoli» l’altra a Pozzuoli e la terza a Baia7; Al-calino medico salernitano ed archiatro di Federico I, ed Eu-stasio medico napoletano sotto il regno di Carlo II, coi loroepigrammi descrissero e celebrarono coi loro famosi epigram-mi i nomi e le virtù di 31 di esse e poi Eliseo ne aggiunge altreportandone il numero a 428.

Nell’agro napoletano ne elenca otto: Sudatorium S. Ger-mani, Balneum Bullae, Astruni, Floris cryptae, Juncariae,Balneoli, Petrae, Calaturae9.

Di questi otto bagni i primi tre erano presso il lago diAgnano, e gli altri cinque lungo la spiaggia dei Bagnoli, mala più elogiata di queste acque come atta a guarire le più osti-nate malattie è quella detta Balneolana o della spiaggia.

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Il celebre archeologo Giuseppe Fiorelli, direttore del museoNazionale di Napoli, nel 1865 durante i lavori di dissodamen-to del terreno nella villa Patamia riconobbe la antica terma ro-mana del Balneolum. E sul giornale «L’Italia» del 19 aprile1865 il Fiorelli scrisse: «Il Cav. Patamia, nell’ampliare lefondamenta di una Terma costruita sotto la direzione dell’ar-chitetto Francesco Danese presso la spiaggia dei Bagnoli, oveuna larga vena di acqua minerale scorrendo dai vicini colliscaturisce nel mare, si è incontrato negli avanzi di una termapiù antica, edificata nel medesimo sito. È noto come la spiag-gia fra il promontorio di Posillipo e Pozzuoli fosse altra volta perl’abbondanza delle acque salutari che vi scorrono, popolata di edi-fizii balneari, quivi mantenuti sino al secolo XVII, e come poiquesti venissero trascurati fino a perdersi di molti la memoria».L’‘antica terma’ identificata da Fiorelli è quella «che fu la piùcelebrata fra tutte quelle della spiaggia puteolana, dando il nomeall’intera contrada dei Bagnoli».

Il sito di questo bagno, ed il riscontro delle fabbriche esistenticon la descrizione del Balneum Balneoli data nella Termologiaaragonese, afferma Fiorelli, «ci persuade a riconoscere nello sta-bilimento del Patamia l’antico Balneolum detto volgarmente loBagnuolo, le cui acque tanto celebri, riescono anche oggi somma-mente giovevoli a non pochi mali; però a differenza di altri edifi-ci termali caduti in dimenticanza, questo dei Bagnoli fu semprefrequentato e tenuto in venerazione dai Napoletani: «Hoc bal-neum summae venerationis apud Neapolitanos antiquitusfuit; ut illius, cum minime de aliis, hactenus superstes essetmemoria»10.

Nel capitolo II il Candido descrive poi dettagliamene il nuo-vo stabilimento termo-minerale del Balneolo. «Da Fuorigrotta siprolunga in mezzo a campagne fertili una via dritta, larga, edombrata di pioppo ed olmi, la quale dopo breve tratto menaall’incantevole spiaggia de’ Bagnoli; avente di rimpetto Nisida,di dietro ed a sinistra vaghi ed ameni colli, ed a destra Pozzuoli,Baia, l’Averno, i Campi Elisi, il Capo Miseno, e le isole diIschia, Procida e Capri. Volgendo sulla destra dei Bagnoli, lun-ghesso il lido, a piè di amena collina ed in una pianura, s’incon-tra il nuovo Stabilimento a mezz’ora di cammino dalla bellaPartenope, il sito incantevole, pittoresco ed ameno, il climadolce e temperato, sono un presagio sicuro dell’avvenire».

Il libro si conclude con il giudizio dell’idrologo A. Dardel,medico dello stabilimento termale d’Aix in Savoia, che, in unalettera del 5 aprile 1865, esalta la bellezza del paesaggio, la salu-brità e la dolcezza del clima, la molteplicità degli effetti terapeu-tici delle acque e afferma: «Allorquando nel cuore dell’inverno sipercorre la collina ammirabile che domina lo Stabilimento diacque del Balneolo; allorquando ai piedi della collina stessa siscuopre la flora propria dei paesi più favoriti dal sole; quando sirifletta l’orientamento della località ch’è al coperto di venti siacapace di beneficare i suoi abitanti con un moderato tepore nellastagione in cui in tutt’altro luogo si soffre il freddo e che tutto ciòdà luogo ad un clima dolce e salubre veramente invidiabile;quando infine si pensi che tutte queste meraviglie si trovano apoca distanza di una grande città come Napoli, è a domandarsicome mai i malati che accorrono in altri luoghi ove alla deficien-

za della natura si cerca di supplire con artifizi, non ricorronopiuttosto nell’inverno nella località in discorso, dove la naturaha supplito e dove si può usufruire e dell’acqua di mare e di unasorgente alcalina eccellente e di tutti i mezzi di cura idroterapi-ca. Certo un florido avvenire è da attendersi per Bagnoli!».

È l’esaltazione delle risorse naturali di Bagnoli e l’auguriodi un florido avvenire che potrà essere assicurato dall’utilizza-zione «di una nuova ricchezza»: «Io credo di non errare, anti-cipando che a Bagnoli ben presto i malati che vi accorrano perl’acqua alcalina nelle state si sostituiranno incessantementecon tutti quelli che nell’inverno hanno bisogno di aria pura e diun sole vivificante». E conclude: «Non dubito che i vostri let-

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Scrive Giancarlo Alisio: «Per Young occorreva dar nuovoimpulso ad una così grande fonte di ricchezza ed ideale, a talscopo, sarebbe stata Bagnoli, località splendida per la bellezzadel suo panorama e per la limpidezza del mare cui si aggiun-gevano una straordinaria distesa di sabbia e la presenza diacque termali»12.

Negando qualsiasi prospettiva valida di sviluppo indu-striale per Napoli, sia presente che futura, Young ritiene con-veniente puntare sul turismo attraverso la valorizzazione delleeccezionali risorse naturali e paesistiche della città.

L’idea è quella di creare a Napoli una stazione balneare etermale di livello europeo che egli inserisce in una fantastica estravagante invenzione urbanistica: una colmata a mare daMergellina verso Posillipo per una lunghezza di 1500 metri percostruirvi il rione Venezia collegato attraverso un canale trafo-ro al rione Campi Flegrei entrambi costruiti sull’acqua secon-do il modello della città lagunare veneta.

La sistemazione di via Marina e l’apertura di via Carac-ciolo avevano determinato la scomparsa di tutte le spiagge dellacittà dal Carmine a Mergellina prima frequentate da migliaiadi napoletani che vennero così privati del loro mare.

L’idea di Lamont Young nasce dalla necessità di trovareun’alternativa: la spiaggia di Coroglio-Bagnoli per la bellezzapaesistica, per la limpidezza del mare, per la ricchezza di acquetermali rappresenta la soluzione ideale per soddisfare le esigen-ze di balneazione della città ed assicurare un grande sviluppoturistico di livello internazionale.

Le idee e le proposte di L. Young non trovarono alcuna rea-lizzazione ed anzi le scelte operate negli anni successivi anda-rono in pratica in tutt’altra direzione e determinarono non sol-tanto la perdita dell’ultima spiaggia ancora presente entro iconfini della città e delle risorse idrotermali di cui si è prece-dentemente parlato, ma anche una manomissione mostruosadel tratto di costa più bello di Napoli e certamente uno dei piùcelebrati d’Italia.

[…] Ma un errore così madornale non si può giustifica-re con l’assenza o le carenze della legislazione in materiaurbanistica e di protezione delle bellezze naturali. Esso inve-ce è conseguenza dell’arretratezza della cultura urbanisticaitaliana rispetto a quella dei paesi europei più evoluti comel’Olanda che nei primi anni del secolo diede inizio allapianificazione della città di Amsterdam, il cui piano regola-tore costituisce ancora oggi un modello di pianificazioneurbanistica.

La scelta di Bagnoli come area industriale e per di più perinsediamenti di industrie di base si ispira piuttosto alla vec-chia concezione dei primi anni dell’Ottocento che generò le mo-struose città industriali inglesi le cui condizioni di vita inci-vili furono descritte dalla famosa inchiesta di Engels sulla si-tuazione della classe operaia in Inghilterra pubblicata nel1845. Inspiegabile è quindi che, a distanza di un secolo daquelle prime disastrose esperienze di industrializzazione sel-vaggia che videro come reazione la nascita delle utopie del XIX

secolo (Owen, Fourier, Godin), si commetta l’imperdonabileerrore di sacrificare l’ultima spiaggia rimasta in uso ai napo-

tori saranno contenti di essere informati di una nuova ricchez-za che offre il loro paese e quanto a me sarò felice se avrò con-tribuito in qualche modo a dargliene contezza»11.

Circa quarant’anni dopo questo auspicio la scelta demenzia-le dell’incantevole località, di eccezionale valore paesaggistico, perl’insediamento del centro siderurgico, segnò negativamente perquasi un secolo il destino di Coroglio e della spiaggia di Bagnoli.

Eppure nella direzione di una utilizzazione di queste stra-ordinarie risorse naturali della città di Napoli, nel ventenniosuccessivo al 1865, non erano mancate idee e proposte alcuneanche molto originali e singolari come quella dell’ingegnereinglese Lamont Young.

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letani e di deturpare uno dei paesaggi più incantevoli e cele-brati di Italia per impiantarvi un centro siderurgico.

[…] La zona compresa tra via Nisida, via Pasquale Leo-nardi Cattolica fino all’intersezione con il prolungamento divia Enrico Cocchia, via Diocleziano, via Bagnoli, via di Poz-zuoli fino al limite con il confine di Pozzuoli e la linea di costadal confine suddetto fino all’altezza di via Nisida, nonostantecostituisca, come si è visto, parte integrante del mitico territo-rio dei Campi Flegrei e presenti notevole valore paesistico eambientale, non risulta vincolata perché quando ebbe iniziol’applicazione della legge sulla protezione delle bellezze natura-li a Napoli con il primo decreto ministeriale emesso il 24 gen-naio del 1953, l’insediamento dell’acciaieria dell’ILVA avevagià gravemente compromesso questa località.

Sicché furono escluse dai vincoli sia la spiaggia che tutta lapiana di Coroglio ritenute non più meritevoli di tutela compro-messe ma soprattutto per il timore di creare con il vincolo osta-coli alla permanenza dell’insediamento industriale siderurgi-co, del cementificio e della Montedison.

Come si è detto l’attività industriale è da tempo definitiva-mente cessata e il Consiglio comunale di Napoli ha recentemen-te approvato la variante per la zona occidentale che ha comeoggetto: «un segmento dei Campi Flegrei» e come obiettivo fon-damentale il recupero delle «risorse che restano» di «un luogounitariamente configurato da prodigi naturali e dall’azione del-l’uomo che non aveva confronti al mondo prima di essere diso-norato dalla speculazione e dagli abusi»13.

[...] Allo stato l’unico vincolo vigente è quello relativo allasola fascia costiera della profondità di 300 metri dalla linea dibattigia ai sensi della lettera a) del 5° comma dell’art. 82 delD.P.R. 616 /77 che risulta insufficiente a garantire la tutela deglieccezionali valori paesistici e ambientali della zona che ilComune di Napoli ha assunto come scelta fondamentale delrecupero e riqualificazione dell’area industriale dismessa.

Da questo sito, come si è visto, si può godere uno straordi-nario spettacolo di bellezze panoramiche o quadri naturali chesi susseguono senza soluzione di continuità al ruotare dellosguardo per un’ampiezza di trecentosessanta gradi: la collinadi Posillipo ricoperta di lussureggiante vegetazione che nel-l’estremità esposta all’azione del mare e dei venti si fa semprepiù rada e mette in mostra la stupenda parete tufacea, l’isola diNisida, l’intero arco del golfo di Pozzuoli: dall’acropoli greco-romana di Pozzuoli (ora denominata Rione Terra) a Baia, daBacoli al promontorio di Capo Miseno e a Monte di Procida.

[…] Questo suggestivo spettacolo si può godere dagli innume-revoli punti di vista panoramici lungo la spiaggia di Coroglio edi Bagnoli e lungo le strade esistenti: via Coroglio, via Pozzuoli,via Leonardi Cattolica, via Cavalleggeri d’Aosta e via Bagnoli.Pertanto questa zona ha notevole interesse pubblico perché, oltrea formare un quadro naturale di non comune bellezza panorami-ca, offre numerosi punti di vista accessibili al pubblico dai qualisi può godere lo straordinario spettacolo delle bellezze naturaliche si susseguono senza soluzione di continuità.

[…] Il Comitato di Settore per i beni ambientali e architetto-nici14 ha ritenuto indispensabile mettere a confronto la proposta di

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vincolo ex lege 1089/39 inoltrata dalla Soprintendenza compe-tente per le due aree pianeggianti, poste a monte e a valle della viaCoroglio, e le proposte di interventi previsti nella Variante per lazona occidentale al P.R.G. del Comune di Napoli adottata dalConsiglio Comunale con la delibera n. 14 del 13 gennaio 1996.

Questo confronto muove dall’esigenza di valutare la coeren-za della proposta di tutela ai sensi della legge 1089/39 con «lelinee di una politica territoriale complessiva volta prioritaria-mente alla riqualificazione dell’ambiente».

Tale politica dell’Amministrazione comunale ha assuntol’obiettivo fondamentale «di realizzare il recupero complessivo del-la zona occidentale di Napoli attraverso un programma articola-to in due parti fondamentali: la riqualificazione della zona lito-ranea e la bonifica e il recupero dell’area industriale ex ILVA, conla destinazione a parco urbano». Tale programma prevede «laformazione di un unico vasto territorio di grande rilievo storico-archeologico e paesaggistico, che dalla collina di Posillipo, con ilsuo parco archeologico, si estende sino all’Acropoli di Cuma».

Ed è nella qualità della tutela prevista da questo program-ma che il Comitato di Settore ritiene di cogliere momenti fon-damentali di indirizzo, di scelta e di attuazione.

«Su queste scelte il Comitato dispiega il suo orientamento,non accettando, da una parte la concezione di una ‘ridotta’ tute-la, così come espresso nella proposta di vincolo per le due areesuddette e, dall’altra, proponendo attraverso gli strumenti dellalegislazione di tutela del Ministero, la riqualificazione dell’in-tera zona litoranea e della zona a parco».

«Tale riqualificazione per la zona litoranea, d’altra parte,dovrà necessariamente prevedere la demolizione di tutte le co-struzioni esistenti nell’area suddetta, ivi compreso l’edificio, avalle di via Coroglio, per il quale è stato proposto il vincolo, e ilridisegno dell’area e della linea a mare, anche tenendo conto,per quest’ultima della documentazione storica esistente».

Antonio Iannello (1923-1998)[estratto a cura di Francesco Iannello]

Note1 Con il toponimo «Campi Flegrei» viene indicata l’area compresa tra

la collina di Posillipo, quella dei Camaldoli e il versante settentrionale dellapiana di Quarto e Licola.

2 B. Croce, Il primo descrittore di Napoli. Benedetto di Falco, in «NapoliNobilissima», II serie, 1920, vol I, fasc. IV, pp. 49-51 e fasc. VI-VII, pp. 81-83.

3 B. di Falco, Descrizione..., Napoli, per Mattia Cancer, 1535. A questaprima edizione seguirono altre sette edizioni del 1539, 1548, 1580, 1589,1617, 1679, e 1680.

4 Ivi p. 73.5 Ivi p. 75.6 A. Candido, Cenno su lo Stabilimento termo-minerale del Balneolo,

Napoli, Tipografia Angelo Trani, 1865, p. 10.7 Ivi, nota I.8 Ibidem.9 Ivi, pp. 18-19.10 Ivi, p. 22 che cita Sebastiano Bartoli, Termologia aragonese, tomo 2,

p. 133.11 Lettera pubblicata nel giornale medico «L’imparziale», 15.05.1865.12 G. Alisio, Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica napoletana

dell’Ottocento, Roma, Officina edizioni, 1978, p. 47.13 Delibera della Giunta comunale n. 2408 del 22. 5. 95, p. 5 dal titolo

«Gli obiettivi della variante».15 Voto n. 49 espresso nelle sedute del 12 e 13 giugno 1995 (verbale n.

30) del 2.4.1996 (verbale n.43), del 22.4.1996 (verbale n. 44), del 4.6.1996(verbale n. 46) e del 23 e 24 luglio 1996 (verbale n. 47).

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È quanto mai strano che non si sia ancora capito daparte della presidenza di Bagnolifutura che a norma dilegge (n° 582/1996 comma 14 articolo 1), sul litorale diBagnoli Coroglio occorre ripristinare la morfologia origina-ria della costa per dar luogo ad una grande spiaggia idoneaalla balneazione dei cittadini napoletani.

Di qui discende la necessità della demolizione della col-mata, del disinquinamento dei fondali, del ripascimentodegli arenili, dell’eliminazione della portualità – in partico-lare del porto canale – incompatibile con la balneazione(vedi «la Repubblica» di sabato 10 febbraio).

Non si tratta di esternazioni estemporanee (vedi dichia-razioni a «Repubblica» di martedì 13 febbraio 2007 del pro-fessor Rocco Papa) ma di argomentazioni tecnicamente fon-date. E a riprova delle gravi perplessità dell’amministrazio-ne comunale circa la compatibilità del porto canale conl’ecosistema spiaggia e con la ubicazione prevista per ilporto, esistono due ordini del giorno allegati alla delibera diapprovazione del Pue (n° 290 all. prot. 7 e prot. 8).

Si tratta di assunzione di responsabilità dell’ammini-strazione comunale per verificare l’agibilità navigazionaledel porto e per constatare il progressivo insabbiamento del-

l’imboccatura e l’assenza di circolazione del corpo idrico inesso contenuto.

In merito all’agibilità (ordine del giorno prot. 7) si impo-ne all’amministrazione di predisporre un modello di simula-zione navigazionale idoneo a valutare l’orientamento delpasso d’ingresso e la stessa funzionalità dello specchio d’ac-qua interno.

Circa i problemi di movimentazione delle sabbie e di cir-colazione del corpo idrico (ordine del giorno prot. 8) gli uffi-ci comunali sono impegnati in sede di progetto preliminarea predisporre uno studio su modello fisico in vasca del nuovoporto in scala idonea ad evidenziare problemi di insabbia-mento, di dinamica del corpo idrico e di quant’altro interes-sa la funzionalità e la conservazione della spiaggia limitrofa.

Tali verifiche non solo non sono state attuate, ma nonvengono mai menzionate nei programmi di Bagnolifutura.

«la Repubblica» del 17/02/07

Il porto canale ela Bagnolifutura

Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raffaele Raimondi, Aldo Loris Rossi

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Le recenti dichiarazioni, prima del vicesindaco TinoSantangelo, poi del preside di Architettura BenedettoGravagnuolo, nonché le motivazioni a favore della rimozio-ne della colmata espresse da Italia Nostra, mostrano quan-to inadeguati siano stati i tempi e gli spazi destinati alladiscussione dell’argomento in Consiglio comunale.

Un chiarimento nel merito, per amore della verità, sem-bra quindi necessario.

È altrettanto evidente ancora una volta che le scelte dicoloro che governano il territorio, anziché essere guidate daanalisi tecniche (formazione di un arenile idoneo alla bal-neazione, eliminazione del porto canale, disinquinamentodei fondali) sono frutto di una ideologia del mantenimentodello status quo o al più di una populistica affermazione diutilizzare la colmata (posta a 3.5 metri sul medio mare) perun gradevole giardino pensile che, come per lo sciaguratopseudo porto canale, va a tagliare la continuità della lineadi costa, togliendo spazio alle finalità previste dalla legge582 del 1996 che riguarda il ripascimento degli arenili e ilripristino della balneazione nell’arco di costa da Bagnoli aCoroglio.

I risultati ottenuti in tempi non sospetti dal geochimicoBenedetto De Vivo, componente della commissione di con-trollo e monitoraggio delle attività di bonifica di Bagnoli,mostrano che l’inquinamento è localizzato per la fascia

costiera essenzialmente sui fondali e che le sostanze tossichepresenti nell’area, soprattutto in prossimità dei pontili,sono costituite da idrocarburi policiclici che, senza la rimo-zione della colmata, non possono essere trasferiti altroveperché intrappolati sui fondali sottostanti in quanto giàpresenti prima della costruzione della stessa colmata.

Un efficace disinquinamento è irrealizzabile senza rimo-zione della colmata, ovvero richiederebbe accorgimenti tec-nici e costi assolutamente improponibili qualora la colmatanon fosse rimossa.

Modalità e costi della rimozione sono legati da un lato aiprogrammi della bonifica, dall’altro al sito di recapito deimateriali (Porto di Piombino o Porto di Napoli); assicura-zioni sulla fattibilità dell’operazione sono pervenute daparte del ministero dell’Ambiente disposto ad accollarsibuona parte delle conseguenti spese.

La possibilità offerta quindi dal sia pure parziale finan-ziamento statale non deve essere un’altra occasione perdu-ta per la bonifica di Bagnoli. Dopo tanti inutili confronticon Barcellona – che ha avuto il coraggio di delocalizzare leindustrie per riconquistare la spiaggia davanti alla città –sarebbe disastroso rinunciare a tale opportunità.

«la Repubblica» del 16/03/07

Evitare nuovi errorinel sito di Bagnoli

Edoardo Benassai, Giulio Pane, Raffaele Raimondi, Aldo Loris Rossi

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urbanisti, architetti, giuristi, ecc.); inoltre sono espresse inun migliaio di disegni nel Piano-Progetto Econeapolis (’94)esposto all’Istituto delle Scienze della Comunicazione (’94),all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (2001) e in nume-rose altre mostre e pubblicazioni. Peraltro, questo piano èarticolato nei progetti esecutivi dei 12 quartieri storici deiquali si fornisce il rilievo tipologico di tutti gli edifici che licompongono (rilievo inesistente nel Regno del Possibile).

Qual’era lo spirito del Regno e in quale contesto si inqua-drava?

In nuce, era condensato nella sentenza emessa da unodei due responsabili del progetto:

«È indispensabile abbattere quasi tutti i palazzi deiQuartieri Spagnoli, i Quartieri sono un antico accampa-mento dove non esiste quasi nulla che merita di essere con-servato». Questa, registrata in un dossier della rivista «Iti-nerario», curato da P. Gargano, era ribadita ed ampliata sulsettimanale «Epoca» (23.10.88): «Abbattere? […] neiQuartieri Spagnoli, al Cavone, alla Sanità, ai Vergini, losfoltimento è da realizzare».

Tali assunti scaturivano anche dalla convinzione che ilcentro storico di Napoli: «È il più grande d’Europa». (E.Giustino, Napoli a confronto, ’89, p. 52): una favola metropo-litana! Il centro storico riconosciuto dall’UNESCO è circa 750ettari, cioè la metà di quello di Roma (1400 ettari) inclusonelle mura aureliane del 275 d.C.; e oltre 11 volte più picco-lo di Parigi (8.750 ettari) incluso nelle mura del 1845. Si con-fondeva estensione urbana con densità abitativa.

Ma come si progettava il suddetto “sfoltimento”?Mediante due strade che lo tagliavano da nord a sud e da

est a ovest. «L’intervento sul centro storico è […] occasioneper riproporre la ormai storica parallela a via Roma, conte-nuta in quasi tutti gli studi sui piani regolatori» – si scrivenel Vol. I (La rigenerazione dei centri storici, ’88 p. 444) – pre-cisando che essa «non ha senso se non ha tutti i connotati diuna strada di scorrimento». Questa (3,5 km) andava, insuperficie o in tunnel da Piazza Vittoria a Capodimonte, at-traversando i quartieri Chiaja, San Ferdinando, Montecal-

Nella illuminante intervista di Patrizia Capua al dott.Giustino, letta da me in ritardo, si afferma: «A intellettualie tecnici come Aldo Loris Rossi, Piero Craveri e Cesare deSeta, rimproverai di non aver letto i documenti. Alla fine miresi conto che era un dialogo tra sordi». Il dott. Giustino haragione circa l’incomunicabilità. Ma essa non è dovuta allamancata lettura dei documenti; bensì, al contrario, ad unostudio approfondito della proposta del Regno del Possibile.Al punto che tale studio mi ha indotto ad elaborare una pro-posta alternativa, l’Utopia Realizzabile, che nell’ossimoro deltitolo lo ricorda per contrappasso. Le tesi sostenute sonostate pubblicate in parallelo a quelle del Regno nei volumi:L’utopia realizzabile (’88), Progetto per Napoli metropoli euro-pea (’94) con prefazione di Bruno Zevi elaborato da 23 esper-ti interdisciplinari (economisti, geografi urbani, trasportisti,

Il Regno del possibile

o l’Utopia realizzabileAldo Loris Rossi

Ordinario di Progettazione architettonica e ambientale presso l’Università “Federico II” di Napoli

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vario, Avvocata, Stella. Analogamente «è possibile studiarela fattibilità di una parallela a monte della Sanità cogliendole opportunità offerte dalle ipotesi di ristrutturazione urba-nistica». Questa “parallela a via Foria” (3 km) sventrava iquartieri Stella e San Carlo all’Arena.

Dal quadro riassuntivo (vol. I, p. 618) risulta che su82.932 abitazioni coinvolte nel progetto: 16.173 erano sogget-te a manutenzione; 22.891 a risanamento conservativo,13.021 a restauro; 21.066 a ristrutturazione urbanistica(25,4%) che cancella edifici e strade; 9.123 a ristrutturazioneedilizia (11%), che distrugge i soli edifici. Dunque, venivademolito il 36,4% delle abitazioni! Tradotti in vani significa-va che sui 253.411 esistenti erano distrutti oltre 90 mila vani.Nello stesso volume si chiariva: «Le zone di ristrutturazioneurbanistica interessano, nel loro complesso, il 14% dell’inte-ra superficie del centro storico (720 ettari). In particolare, sinota che l’area totale di tali zone (103,3 ettari)» (p. 190) equella di ristrutturazione edilizia (26 ettari) erano riedificatecon un incremento del 3,2% di vani, cioè con 8.802 in più.

In sostanza, tale intervento era più di tre volte maggio-re dello “sventramento di Napoli” di fine ’800 che demolì 40ettari di tessuto storico! Il piano haussmanniano del Regnodel Possibile giustificava le critiche di Cederna: «Col proget-to in questione si ritorna all’infausta pratica degli sventra-menti» (Nel cuore di Napoli vanno di moda le ruspe, «Repub-blica», 1.07.88); a cui seguivano le critiche di Craveri (ANapoli diciamo addio?, «Repubblica» 16.07.88), di chi scri-ve (Il giorno dei nuovi faraoni, «Paese Sera», 18.07.88);mentre l’amico de Seta interveniva due mesi dopo (Santaruspa, patrona di Napoli, «Corriere della sera», 19.09.88). Inseguito Benevolo scriveva nel volume della Fondazione 99:«Ho esaminato con attenzione l’iniziativa del Regno del Pos-sibile. La definirei piuttosto dell’impossibile, perché scienti-ficamente e tecnicamente non sta né in cielo né in terra»(’89). Legittimo il monito di Gorbaciov che, all’Esposizione“Italia 2000” a Mosca «volgendosi di scatto verso i Ministricol dito alzato ha affermato: state attenti a non rovinare ilcentro storico di Napoli» (E. Mauro, «la Repubblica»,17.10.1988). Monito ripreso da M. Valenzi: «Quel brevemessaggio è scoccato da Mosca, passando per Roma fino aNapoli, come una freccia che inchioda la sciatteria, l’indif-ferenza di molti e la sfrontatezza di quelli che credono chequesta città sia roba loro, da trattare sotto banco». («Ma-nifesto», 17.10.1988).

Ma lo sventramento del centro storico non è isolato!Il presidente dell’Unione Industriali assicura: «Eccoci

pronti a far nascere nella zona orientale quella che io, all’at-to dell’insediamento, ho definito la Napoli 2, cioè una cittànuova dalle fondamenta, che si collega con la vecchia chepure sarà rigenerata» («Mattino», 6.08.87). La connessionetra Napoli 2 (da costruire tra Piazza Garibaldi e Ponticelli)e lo sventramento del centro storico è confermato dal presi-dente dell’ACEN: «Abbiamo dato pieno mandato alla Societàper gli Studi sul Centro Storico che, ideata, proposta e crea-

ta dall’ACEN è diretta con impareggiabile e assoluto rigorescientifico da Enzo Giustino»; precisando «l’incremento del-la residenzialità urbana potrà andarsi a collocare, almeno inparte, nell’area orientale». Dunque nel disegno dell’ACEN ildott. Giustino presiede il Regno del Possibile e la società Polis2000 per l’urbanizzazione dell’area orientale, nella qualel’onorevole Scotti «vede un massiccio intervento sulla basedel progetto Siola-Gregotti» («L’espresso», 12.04.87). Ov-viamente i due progetti dell’ACEN sono affidati al presidedella facoltà di Architettura, che prevede ad est la costruzio-ne di 350 edifici a corte: un «disegno aberrante e paranoico»per Bruno Zevi («L’architettura», n° 351, luglio ’87).

Ebbene questi due progetti, che avrebbero fatto implo-dere la città già sovraurbanizzata, sono stati sconfitti dallalungimirante politica dell’attuale Governatore della Regio-ne da quando divenne Sindaco di Napoli nel ’93. Egli hapuntato su tre obiettivi diversi: 1. la salvaguardia del Cen-tro Storico; 2. i tre parchi verdi, orientale, occidentale e set-tentrionale; 3. una visione metropolitana della città!

Questi tre obiettivi strategici – da noi anticipati conl’Utopia Realizzabile Econeapolis – si inseriscono in unagrande strategia di decongestione dell’ex capitale e del rie-quilibrio economico-territoriale dell’area metropolitana,vertebrato dal sistema integrato dei trasporti a scala regio-nale e euro-mediterranea.

Su queste nuove conquiste strategiche, credo, possa con-venire anche il dott. Giustino, animato da sempre da unavisione complessiva dei problemi che travagliano la città esono sicuro che in tale prospettiva non farà mancare il suoprezioso contributo.

«la Repubblica», del 25/07/06

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«Napoli ha raggiunto il punto in cui i piccoli vantaggiche ognuno ottiene infischiandosene degli altri si traduconoin una catastrofe collettiva». Questa osservazione diSaverio Vertone è un’istantanea sul deficit di spirito civicodella società napoletana. Esso ha, com’è noto, cause lonta-ne e profonde, tanto indagate quanto refrattarie ai rimedi,e fanno ritenere la situazione immodificabile.

Tale deficit è particolarmente evidente nel centro stori-co: sebbene sia uno dei più studiati al mondo, non si riescead arginare il degrado incombente.

L’area di 720 ettari, dichiarata dall’UNESCO (’95)“Patrimonio Mondiale dell’Umanità”, è quella del Decreton. 1829 (31 marzo 1972). È tre volte maggiore di Palermo(252 ettari), ma metà di quello di Roma (1420) e compren-de la parte più densamente abitata dei dodici quartieri sto-rici. Questi individuati già nella Prammatica del 6 gennaio1779 e disegnati da Luigi Marchese nel 1798, furono chiusiall’interno del “muro finanziere” tra il secondo e terzodecennio dell’800. Nell’esaminare la struttura e la dinami-ca di tale area negli ultimi due secoli, risulta che la popola-zione è passata da circa 400 mila abitanti ad un massimo di631 mila nel 1951, per calare progressivamente ai 350 milaattuali. I vani residenziali oggi ammontano a 465 mila, cioè115 mila in più degli abitanti, di cui 42 mila vuoti e 150 edi-fici storici abbandonati o ruderizzati.

Dunque, la densità abitativa è ridotta a 0,75 abitanti pervano; mentre nel più popoloso dei quartieri, San Lorenzo,gli abitanti da 121 mila nel 1951 sono scesi a 53 mila.Tuttavia, la densità raggiunge ancora i 30 mila abitanti perchilometro quadrato, cioè tre volte quella di Roma.

Su trecento chiese esistenti, ottanta sono attive e due-centoventi chiuse, abbandonate, depredate o distrutte;inoltre due terzi degli alloggi hanno urgente bisogno di

restauro e un terzo è in condizioni allarmanti; mentresopravvivono circa diecimila “bassi”. A via Marina, ogget-to del piano di ricostruzione post-bellico, resistono indistur-bati dopo sessant’anni ruderi dei bombardamenti, mentreda allora nei dodici quartieri storici sono stati costruitiquasi 500 edifici privi di qualità compreso il grattacielodella Cattolica (1957), un attentato al paesaggio, corrispon-denti a 65 mila vani.

Intanto, la riduzione degli abitanti ha mutato la strut-tura economica della città storica attraverso una terziariz-zazione incalzante e una contrazione delle attività artigia-nali tradizionali. Nel decennio ’81-’91 le unità produttivesono calate da 3.944 a 1.258 con una riduzione del 65,6% euna caduta degli addetti da 25 mila a 14 mila, del 40%.

In merito agli standard previsti dal D.L. 2.04.68 n.1444, basti ricordare che il deficit complessivo di verde,attrezzature, servizi, parcheggi, è di oltre sei milioni dimetri quadrati! I maggiori proprietari nel centro storicosono quattro: Comune, Curia, Risanamento e Banco diNapoli-San Paolo; ma dalla mole dei problemi irrisoltiappare che essi riescono a fare ben poco. Con grandi limitieconomici opera la stessa Soprintendenza, mentre recente-mente un contributo al recupero è venuto dal ConsorzioSirena. Tuttavia quest’ultimo agisce con tre condiziona-menti: interviene solo nelle parti comuni degli edifici;distribuisce i finanziamenti affidandosi alle richieste occa-sionali degli utenti; non esclude dalle risorse gli edifici post-bellici privi di qualità.

I dati suddetti, misconosciuti o rimossi, evidenziano inestrema sintesi la gravità delle patologie del centro storicoe, dunque, l’inadeguatezza delle terapie adottate.

Ma è possibile superare questa condizione di stallo e,soprattutto, l’indifferenza della maggioranza dei napoleta-

Tre interventi possibili per il centro storico

Aldo Loris Rossi

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Il restauro di 12 piazze-campione, una per ogni quartierestorico. Procedendo oltre il recupero dei singoli complessimonumentali bisogna coinvolgere nel restauro tutti gli edifi-ci prospicienti tali spazi pubblici, compreso le pavimentazio-ni e l’arredo urbano. In tale contesto si può prevedere la rot-tamazione dell’edilizia post-bellica priva di qualità e nonantisismica mediante una accorta politica di incentivazione.

Il restauro delle strade che collegano le suddette dodici piaz-ze tra loro e, possibilmente con le nuove stazioni del metrò,in modo da realizzare una rete di itinerari completamenterestaurati; da estendere in progressione connettendoli allealtre aree storiche già recuperate.

Intanto, per rendere più fattibile tale programma inte-grato sarà utile coinvolgere nell’operazione i suddetti mag-giori proprietari in tale area, utilizzando anche la opportu-nità offerta dalla “fiscalità di vantaggio” promossa dalComitato di Difesa Ecologica dei Magistrati.

Infine, in analogia alla pianificazione strategica degli EntiLocali il restauro del centro storico anche nella prima faseche ricomincia dai tre tipi di interventi suddetti, può essereguidata da un pool interistituzionale composto da Regione,Provincia, Comune, Circoscrizione, Sovrintendenza, Univer-sità, Associazioni Culturali, ecc. al fine di neutralizzare i con-flitti di competenza tra gli uffici e garantire la partecipazio-ne attiva della collettività nella più ampia trasparenza enella prospettiva condivisa della salvaguardia integrale diun patrimonio da considerare unico e irriproducibile!

«la Repubblica», del 04/01/07

ni di fronte alla dilapidazione di tale patrimonio storico-artistico? È verosimile sovrintendere ad esso senza un pianostrategico-gestionale, strutture e fondi adeguati? Cioè senzaquello che prescrive l’UNESCO con la Legge 20 febbraio 2006,n. 77 e lo stesso “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”approvato col D.L. del 22 maggio 2004, n. 42? Infatti men-tre il primo recita nell’art. 3: «Per assicurare la conservazio-ne dei siti italiani UNESCO e creare le condizioni per la lorovalorizzazione sono approvati piani di gestioni (comma 1); ipiani di gestione definiscono le priorità di interventi e lerelative modalità attuative, nonché le azioni esperibili perreperire le risorse pubbliche e private necessarie […](comma 2)»; il “Codice” precisa: «La conservazione delpatrimonio culturale è assicurata mediante una coerente,coordinata e programmata attività di studio, prevenzione,manutenzione e restauro» (art. 29, comma 1).

Considerato che il centro storico è definito “un unicuminscindibile” è evidente che solo un piano strategico-gestio-nale ne può garantire la conservazione nella sua organicainterezza, stratificata in una eccezionale sequenza di mura,spesso obliterate, di epoca greca, angioina, aragonese, vice-reale e borbonica.

Ma in attesa di un tale piano è possibile uscire dalla logi-ca dell’emergenza, degli interventi episodici e disorganici, evalutare opportunità ancora trascurate?

Proviamo a segnalare all’amministrazione comunale ealle circoscrizioni tre tipi di interventi inediti realizzabili intempi brevi.

L’utilizzazione dei suddetti 150 ruderi di edifici esistentifinora ignorati, al fine di ridurre il deficit di verde, attrezza-ture e servizi dei quartieri storici in cui sono ubicati; senzaescludere la possibilità di destinarli a case parcheggio peravviare il recupero degli edifici circostanti.

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sviluppi differenziati. Londra, protagonista della rivoluzio-ne industriale, alla metà dell’800 giunge a 2.320.000 abitan-ti; Parigi artefice della rivoluzione borghese oltrepassa ilmilione; Napoli, tagliata fuori dalla modernità, ristagna trale tre colline e il mare, chiudendo nel “muro finanziere” i 12quartieri tradizionali fino al crinale Capodimonte-ColliAminei-Vomero e il cratere di Chiaia, con circa 400 mila abi-tanti. All’Unità la ex capitale risulta più del doppio diPalermo, Roma o Milano.

Nei primi 90 anni unitari non decolla una modernaespansione urbana. Mentre i vecchi casali agricoli si dilata-no progressivamente, la popolazione dei dodici quartieristorici cresce su se stessa fino al 1951, giungendo a 631 milaabitanti, cioè il doppio di quella precedente alla peste del1656: una densità demografica mai toccata prima, né dopo,nella sua storia millenaria. Lo sventramento del Risana-mento e la realizzazione delle “case popolari” tra le dueguerre, arginano ma non risolvono la questione delle abita-zioni, che esplode nel dopoguerra.

Nel 1946 il piano di Luigi Cosenza tenta di governarel’espansione urbana, ma è travolto dal centro-destra che,

«Il rischio Vesuvio non mi fa dormire la notte». È la con-fessione fatta a Pannella da Prodi nel summit di Caserta. Maqual è la situazione della stessa Napoli chiusa tra due “zonead alto rischio permanente”: il Vesuvio e i Campi Flegrei?

Lo stereotipo di Napoli città caotica, sovrappopolata,ipercongestionata è tanto consolidato che si fa fatica a im-maginare che essa, viceversa, è stata per quattro quintidella sua storia una città piccola, ordinata nel suo impiantoa scacchiera e in equilibrio con lo straordinario paesaggio.Così come appare nella magnifica veduta Strozzi, quando lacittà aragonese intramoenia aveva circa 200 ettari e 40 milaabitanti (B. Capasso). Le città coeve più popolose delmondo erano: Nanchino con 470 mila abitanti e Il Cairo 450mila; mentre Venezia aveva 600 ettari e 183 mila abitanti;Parigi 450 ettari e150 mila abitanti.

Ma qual è la struttura e la dinamica della città per oltre2000 anni? Essa si sviluppa su tre colline prospicienti l’inse-natura portuale. Sulla prima, Monte Echia, di 20 ettari alta60 m., si insedia alla metà del VII sec. a.C. l’epineion diParthenope; cioè non una città ma un presidio marittimo delgolfo denominato sinus cumanus di qualche migliaio di abi-tanti. Le sue tracce sembrano estinguersi dopo un secolo.Quasi 80 anni dopo sorge Neapolis sulla seconda collina, il“Pendino” della stessa altezza ma di estensione quadrupla.La città murata, circa un terzo di Capua, antica metropolidella Campania felix, ha forse 15 mila abitanti. È compresatra due “lavinari”: quello est, convoglia le acque dalla concadei Vergini alla foce del Carmine; l’altro ovest, canalizza leacque dai due valloni Antignano-Cavone e S. Elmo-S.Antonio ai Monti fino al porto, provocandone nel tempol’interramento.

In questo piccolo sito Napoli vive per 18 secoli finoall’epoca angioina, quando viene costruito Castelnuovo(1279) fuori la città, che conta 25-30 mila abitanti (J.Beloch) e tende a collegarsi a esso formando il Borgo delleCorregge (attuale via Medina). Nel sessantennio aragonesele nuove mura scavalcano i due lavinari includendo: i duerilevati di San Giovanni a Carbonara e Monteoliveto, il bor-go angioino e il porto, attestandosi su Castelnuovo.

Questo equilibrio bimillenario entra in crisi col vicere-gno. «Insomma – scrive Gino Doria – fino al principio delsecolo XVI Napoli e i napoletani erano qualche cosa di bendiverso da quel che saranno nel viceregno, e che sono anco-ra oggi» (1952).

Da allora la crescita accelerata della popolazione impo-ne di urbanizzare la terza collina intermedia: S. Elmo.Molto più alta delle prime due (250 m.), è raggiunta dallenuove mura bastionate e presidiata da un imponente fortez-za, che tiene sotto tiro l’intera città. Ma non basta. La pres-sione demografica scavalca tali mura invadendo la conca deiVergini e il semicratere di Chiaia. All’inizio del Seicentoconta 300 mila abitanti (T. Campanella); quando Parigi neha 415 mila, Londra 250 mila, Venezia 150 mila. Alla metàdel XVIII sec. Napoli è la terza città più popolosa d’Europadopo Londra e Parigi; ma da allora le tre capitali avranno

Case vecchie da rottamareAldo Loris Rossi

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nel trentennio 1946-’75, costruisce 716 mila vani a macchiad’olio, triplicando la città; mentre la popolazione giunge nel’71 al suo massimo storico: 1.236.594 abitanti. Nel trenten-nio successivo, sebbene si riscontri un esodo biblico di 250mila abitanti, il consociativismo consente altri 450 milavani. Risultato? Abbiamo quasi 1.500.000 vani per meno diun milione di abitanti, avendo consumato tre quarti del ter-ritorio. Intanto dagli anni ’70 si innesca il processo di dein-dustrializzazione culminata nel ’91 con la chiusuradell’Italsider, mentre pochi si accorgono che l’era post-indu-striale non si identifica col solo rilancio del turismo.

In tale contesto quale strategia si può attuare? Oltre allasalvaguardia della città storica (discussa su «la Repubblica»,4.1.2007) occorre affrontare due questioni capitali.

Il disinquinamento e il risanamento idrogeologico dellearee industriali dismesse. Venti anni fa, quando le industrieinquinanti erano ancora in vita e il “diritto all’ambiente”non era diffuso, denunciammo inascoltati: «l’urbanizza-zione della conca di Fuorigrotta, dei crateri di Soccavo, Pia-nura e parzialmente Agnano, nonché la presenza di impian-ti altamente nocivi come l’Italsider, la Cementir, l’Eternit,

la Fertilgest, che hanno creato un dissesto idrogeologico ge-neralizzato […] mentre tutto il fondo sabbioso dello spec-chio d’acqua compreso tra Nisida e Monte Olibano è inqui-nato in profondità da depositi ferrosi in disgregazione e dasostanze chimiche» (Napoli, l’Utopia Realizzabile, 1988, p.142). Stessa denuncia per l’area orientale devastata dallaraffineria. Oggi le indagini hanno confermato quei dati, mail problema resta irrisolto.

Queste grandi aree, oggi sono sistematicamente allagate epresentano il conto alla collettività. Le amministrazioni dal1993 hanno fermato la demenziale politica di sventramentodel centro storico e di ulteriori urbanizzazioni proposte dalconsociativismo degli anni ’80; ma i progetti-fantasma intra-visti finora per tali aree non hanno credibilità tecnica e eco-nomica. La riprova? Non si sono mai visti piani di fattibilitàe di gestione capaci di mobilitare risorse finanziarie.

La riqualificazione dell’edilizia post bellica priva di quali-tà e non antisismica. Questa strategia, complementare alrestauro del centro storico, è inderogabile per un semplicefatto, ignorato o taciuto. Le prime leggi che esigono calcolistatici antisismici sono degli anni Settanta (Legge 2 febbra-io 1974, n. 64; D.M 3 marzo 1975; D.M. 3 ottobre 1978).Questo significa che i 716 mila vani costruiti tra il 1946 e il’75 non avevano ancora l’obbligo dell’antisismicità comeoggi. Guardandoci bene dal diffondere allarmismi è tuttaviadoveroso chiedere alle istituzioni di rilanciare il cosiddetto“fascicolo dei fabbricati” per verificarne la sicurezza. Untale esame individuerà l’edilizia a rischio favorendone la rot-tamazione e rigenerazione. Così come l’Amministrazionecapitolina sta sperimentando a Roma nella zona Giu-stiniano Imperatore, anche sulla base del Manifesto sullarottamazione da noi pubblicato su «L’Architettura, cronachee storia» (n. 535 maggio 2000), richiesto a sua tempo dalneosindaco Veltroni.

A coloro che ritengono tale strategia complessa, difficileo onerosa, bisogna ricordare due punti fermi: 1) Napoli, giàsovraurbanizzata, non può sopportare altri carichi urbani-stici che aggraverebbero la sua crisi fino al collasso; 2) è fini-ta l’era delle periferie invertebrate, prive di attrezzature,servizi di livello superiore e attività produttive; cioè, crimi-nogene. Si apre una grande prospettiva per il recupero dellearee industriali dismesse, il riequilibrio della città e per met-tere in moto la sua economia: la rottamazione e riqualifica-zione incentivata della parte più degradata dell’ediliziapost-bellica priva di qualità e non antisismica relativa anzi-tutto al trentennio ’46-’75. Questa politica potrebbe essereperseguita soprattutto dalla Regione con lo stesso impegnoprofuso nella rivoluzione trasportistica in atto, premessaindispensabile per strutturare la “Grande Napoli”.

«la Repubblica» del 14/01/07

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e da rottamareoris Rossi

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Il Governo ha proposto la trasformazione di nove gran-di province in città metropolitane, in esecuzione del DecretoLegislativo n. 267/agosto 2000, Testo Unico degli EntiLocali. Proposta da approvare in Parlamento. Quali pro-spettive si aprono per la provincia di Napoli che ha la piùalta densità abitativa d’Italia (2.641 ab./kmq), quasi 4 voltequella di Roma, dieci volte Palermo?

Per avere un idea dei suoi limiti basti considerare che ladistanza tra Napoli e Caserta è pari al diametro del granderaccordo anulare (23 km). Dunque, S. Pietro si trova all’in-circa dov’è Aversa, cioè al confine tra le province di Napolie Caserta. Fino agli inizi dell’800 questo confine non c’era.La piana campana, quale unità geomorfologica, storica,economica, formava una sola provincia: la Terra di Lavoro.

A tali limiti si aggiungono quelli del Comune di Napoli.Solo nel 1925-’27 fu raddoppiato restando, comunque, 13volte più piccolo di Roma, ma cinque volte maggiore perdensità abitativa.

Insomma, Napoli trasformandosi negli ultimi cinquesecoli da piccola città in equilibrio con lo straordinario pae-saggio («la Repubblica», 14.1.2007), nella metropoli piùdensamente popolata d’Europa, è implosa su se stessa inca-pace di svilupparsi in modo organico sul territorio.

«Mai la città ha avuto una guida capace di travasare l’an-tica struttura in un nuovo organismo aperto […]. All’oppo-sto: si è lasciato che la città si chiudesse in se stessa proponen-do […] sviluppi concentrici […] e ha raggiunto in forma dif-fusa le più assurde densità edilizie». Questa lucida diagnosi fuformulata nel Piano del Comune e del Comprensorio diNapoli (’63-’64) coordinato da Luigi Piccinato, il solo piano

comprendente la città e l’area metropolitana. Ma quando ecome si è configurato tale impianto radiocentrico implosivo?

L’armatura urbana antica non era centrata su Napoli, cheaveva un ruolo del tutto marginale; bensì su Capua, la piùgrande città della Campania Felix. Essa era la metropoligeneratrice della dodecapoli etrusca che dal Volturno si sno-dava ai piedi dell’Appennino fino al Sele, in un sistema linea-re formato da Acerra, Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Pon-tecagnano, ecc.; mentre le coste erano controllate dalle poleisgreche e l’appennino dalla rete dei recinti fortificati sanniti.Questi tre sistemi urbani paralleli furono unificati nell’arma-tura urbana romana incardinata su due grandi arterie: la viaAppia, regina viarum, Roma-Capua-Brindisi diretta a orien-te; e la via Popilia, Capua-Reggio-Palermo, verso l’Africa;antesignane del “Corridoio Transeuropeo V” Bari-Sofia-Varna e del Corridoio I Roma-Capua-Palermo. Da Capua siirradiavano sette strade consolari. Una, l’Atellana giungevaoltre Atella, a Napoli, città di otia dove: «fanno continuare[…] la vita greca coloro che […] vi accorrono da Roma percercarvi riposo e hanno atteso alle lettere, oppure per vec-chiaia o infermità desiderano vivere in pace» (Strabone). Be-loch ricava da Tito Livio i pesi demografici: Capua contava80-100 mila abitanti; Pozzuoli, Baia, Miseno e Cuma, 100mila; Napoli 30 mila; Nocera e Nola 25 mila; Pompei 20 mila,Ercolano e Sorrento 10 mila; mentre l’intera piana campanane aveva circa 450 mila, un decimo di quelli odierni.

Tale armatura urbana entra in crisi nel V secolo, ancheper la mutazione ambientale definita dai paleoclimatologi“Piccola Età Glaciale Alto Medioevale” (500-750). Essainstaura un periodo freddo-piovoso che impaluda coste edepressioni orografiche infestate dalla malaria, causandol’estinzione di città litoranee (Miseno, Volturno, Literno,ecc.) e interne (Cales, Teano, Calatia, Suessula, Atella, ecc.).Due ulteriori eventi mutano tale assetto. Il primo, la distru-zione di Capua (841) ad opera dei saraceni, sconfitti pocodopo da Cesario Console nell’849, figlio del duca Sergio I indue battaglie navali, Gaeta e Ostia. Questo segna l’ascesa diNapoli che contende il primato a Capua, rifondata nell’ansadel Volturno (856) sito dell’antica Casilinum. Il secondo è lafondazione di Aversa (1030) concessa dal duca Sergio IV ainormanni per difendersi dalla riemergente Capua. Si formacosì un asse tripolare Napoli-Aversa-Capua quale spina dor-sale della Campania normanna, mentre la città più popolo-sa del regno è Palermo (300 mila abitanti per L. Benevolo),dieci volte Napoli.

La città metropolitana è una sfida storica

Aldo Loris Rossi

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Questa, divenendo capitale angioina, dopo la perditadella corona della Sicilia (1282), modifica tale strutturaassiale in radiocentrica per collegarsi direttamente contutte le province. Avendo ceduto Benevento al Papa crea,anzitutto, una nuova strada per le Puglie; quindi ritraccia ledirettrici calabra e sannita, potenzia la via Latina, mentrel’Appia pontina e la Domitiana restano abbandonate allamalaria. In tale contesto Capua assume il ruolo di “chiavedel regno”. Dalla Generalis Subventio (1320) che censiva letasse dei “fuochi”, A. Filangieri (2002) calcola nell’odiernolimite provinciale circa 126 mila abitanti; cioè quelli attua-li del Vomero-Arenella.

Con il viceregno spagnolo l’impianto radiocentrico siconsolida, costruendo lungo le strade che si diramano daNapoli verso i confini terrestri e costieri un sistema di impo-nenti fortezze. L’area che oggi chiamiamo provincia si ingi-gantisce in modo ipertrofico toccando il massimo della popo-lazione prima della peste (1656) con 553 mila abitanti. Nel1789 tale popolazione giunge a 790 mila abitanti. Pochi anniprima Gaetano Filangieri aveva denunciato: «Io non dicoche non ci dovrebbe essere una capitale di una nazione beneregolata, dico solo che se la testa si ingrandisce troppo, setutto il sangue vi corre e vi si arresta, il corpo diviene apo-plettico e tutta la macchina si scioglie e perisce» (1781). Madalla metà del Settecento si conferma ancora l’impiantoradiocentrico ristrutturando la città e l’area metropolitanacon le grandi direttrici che vanno: - verso sud-est, alla reggiadi Portici, ai siti archeologici di Ercolano e Pompei allorascoperti e ai cantieri navali di Stabia, attraverso il Migliod’Oro arricchito da oltre un centinaio di ville aristocratiche:- verso nord alla incomparabile reggia di Caserta e agli opi-fici reali di S. Leucio; - verso ovest, ai siti reali degli Astronie del Fusaro. In realtà mentre l’assolutismo regio e la nobil-tà attuano tale prestigiosa sistemazione territoriale, sottova-lutano o ignorano l’arretratezza del regno, denunciata vice-versa dagli illuministi, e contrastano la borghesia, che intan-to diviene in Europa la protagonista della storia con le rivo-luzioni industriale e francese.

Quei problemi, insoluti nell’ultimo periodo borbonico eparzialmente affrontati nei primi 90 anni unitari, esplode-ranno nel secondo dopoguerra quando la provincia diNapoli giunge a 2.421.000 abitanti con la suddetta devasta-zione urbanistica e ambientale che collassa lo stesso impian-to radiocentrico. Dunque, sono le ragioni storiche suddetteche rendono irresponsabili le massicce urbanizzazioni e lo

sventramento del centro storico proposti dal consociativi-smo negli anni ’80.

Oggi Napoli è chiamata ad assumere il ruolo di cittàmetropolitana e a integrarsi sempre più col territorio provin-ciale che ha problemi non meno gravi. Mentre la provinciasupera i 3 milioni di abitanti, i 91 comuni che assedianoNapoli raggiungono i 2 milioni, cioè il doppio dell’ex capita-le. Quindi, bisogna riequilibrare tre Napoli! Questo, inun’area con oltre 4 milioni di vani in maggioranza post-belli-ci privi di qualità ampiamente “calcuttizzati” (F. Compagna),una deindustrializzazione incalzante e un insufficiente inqua-dramento terziario del territorio, nel quale la disgregazionesociale ed economica è conseguenza e, insieme, causa delledisfunzioni che lo soffocano. In tale situazione la città metro-politana rappresenta una sfida storica che non si può vinceresenza una mobilitazione etico-politica generalizzata. Essadeve porre tra gli obiettivi quello mai affrontato di “travasa-re l’antica struttura in un nuovo organismo aperto” al terri-torio come chiedeva il piano comprensoriale di Piccinato. Difronte a una tale sfida si pongono due interrogativi. Si riusci-rà, in generale, ad attuare un piano strategico economico-ter-ritoriale capace di far uscire l’area metropolitana dal labirin-to del sottosviluppo e dall’impianto radiocentrico implosivi,introducendo una direzionalità che guidi lo sviluppo futuro?E, in particolare, si riuscirà a trasformare la rivoluzione tra-sportistica in atto basata sulla creazione di un sistema inte-grato a scala euro-mediterranea in un’occasione per rifonda-re la suddetta armatura urbana, ormai in decomposizione?

«la Repubblica», del 30/01/07

metropolitana ida storica

oris Rossi

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lo scontro tra Luigi Cosenza e Amadeo Bordiga sul Pianodel ’46 e la Ricostruzione della via Marittima, progettatidal primo. Il co-fondatore del P.C.I. nel 1921 denunciava la«mastodontica via Marittima che avanzerà distruggendoedifici monumentali e ambienti storici» e l’urbanizzazionedi: «Posillipo, considerata alla stregua di ogni altro terreno,zona di ampliamento! Occorre, al contrario, che la collina diPosillipo non sia ulteriormente deturpata e venga mantenu-ta allo stato in cui si trova» (26 maggio 1946). Questa cultu-ra, ribadita dai piani del ’58 e ’70 fu sconfessata nel ’72 dal

Negli ultimi 60 anni l’Italia, registrando la più grandeespansione demografica e urbana della sua storia, non è riu-scita a controllare, come altri paesi avanzati, lo sviluppodella sua armatura urbana.

Nel 1945 l’Italia contava 45 milioni di abitanti e 35milioni di vani, oggi definibili “storici”; ridotti da allora acirca 30 milioni. Le città erano disimpegnate da 20 mila kmdi strade statali, 479 di autostrade e 18.655 di ferrovie;mentre le auto erano solo 300 mila.

Oggi gli abitanti sono aumentati di 12 milioni, ma i vanidi ben 90 milioni, quadruplicando le città, supportate da6.000 km di nuove autostrade, cioè 12 volte quelle del ’45. Es-se hanno favorito la moltiplicazione delle auto per 134 volte,giunte a circa 40 milioni, con le città congestionate e trasfor-mate in isole di calore inquinate a limite della vivibilità.

Ma è possibile riequilibrare e modernizzare tale armatu-ra urbana?

Negli anni ’70 sono emersi due fenomeni che hannosegnato una discontinuità economica e culturale. Il primo èla crisi del sistema di produzione fordista e l’avvento del-l’era post-industriale individuata alla fine degli anni ’60 daDaniel Bell (The post-industrial society, ’67) e da AlainTouraine (La societè post-industrielle, ’69), che ha espulsoindustrie pesanti, grande distribuzione, logistica, ma ancheabitanti, dalle città mutandole in senso quaternario. Ilsecondo è l’insostenibilità dello sviluppo tardo-industrialedenunciata dalla cultura ambientalista impostasi all’atten-zione mondiale con la “Prima Giornata della Terra” (aprile’70) e la pubblicazione del Rapporto del MIT su I limiti dellosviluppo (D. Meadows, ’72) da parte del Club di Roma.Questi due fenomeni sono effetti di una rivoluzione epoca-le: la transizione dal paradigma meccanicista-razionalistaal paradigma ecologico-organico, che ha provocato, tra l’al-tro la crisi irreversibile dell’urbanistica tardo-razionalista.Questa, indifferente alla storia e alla natura, ha dominatodal dopoguerra considerando le aree agricole come superfi-ci da occupare con scacchiere di edifici “razionali”; e i cen-tri storici come resti di culture superate da sostituire conedifici “funzionali”.

A Napoli tale concezione ha avuto effetti più devastan-ti che altrove. Mentre la popolazione è restata praticamen-te immutata (circa un milione, dopo aver toccato il massi-mo storico di 1.232.000 nel ’71) la città è più che quadrupli-cata. Tutti i piani regolatori (’46, ’58, ’70), benché ispirati aconcezioni diverse o opposte, paradossalmente coincideva-no su non poche proposte. Basti pensare alla famigerataparallela a via Roma che sventrava i quartieri S.Ferdinando, Montecalvario, Avvocata, o alle aree da urba-nizzare, mentre dilagava l’edilizia speculativa. Memorabile

1818C’è chi vuole costruireper creare la paralisi

Aldo Loris Rossi

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Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con una nuova peri-metrazione del centro storico, riconosciuta nel ’95 dall’UNE-SCO come “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”.

Ma alla fine degli anni ’80 un vasto fronte consociativo –ignorando i vincoli ministeriali imposti al PRG del ’72 e ladenuncia dell’insostenibilità del paradigma meccanicista innome del diritto alla natura e alla storia, reclamate dallacultura post-funzionalista – riproponeva sventramentitardo haussmanniani e massicce urbanizzazioni paleo-razio-naliste con due progetti correlati: il Regno del Possibile e

Polis 2000. Il primo distruggeva 130 ettari del centro stori-co, cioè più di tre volte quelli del Risanamento, ricostruen-do le aree con più vani di prima; il secondo edificava 355fabbricati tra piazza Garibaldi e Ponticelli con una cubatu-ra pari a cinque volte il centro direzionale, cioè a circa 350mila vani, secondo i calcoli di Giulio De Luca, che aggiun-geva: «quel che meraviglia e allarma è che simili mostruoseproposte provengano da docenti universitari di sinistra chedi fatto si dimostrano molto più arretrati e rapaci della piùretriva destra economica e speculativa» (I problemi urbani-stici di Napoli, ’87, p. 138)

A tali progetti, che avrebbero fatto implodere la città,collassare le reti infrastrutturali e paralizzare il traffico giàcongestionato, si opposero: A. Croce, M. Valenzi, B. Zevi, A.Cederna, L. Benevolo, G. Marotta, P. Craveri, C. de Seta, M.De Cunzo, Italia Nostra, Comitato Difesa Ecologica deiMagistrati, Progetto Econeapolis (’86-’94), Fondazione ’99con A. Arbasino, P. Allum, A. Carandini, A. Chastel, R. LaCapria, D. Mack Smith, G. Vallet, ecc.

Questa protesta è stata trasfusa nell’ultimo PRG fondatosu tre principi: 1) la salvaguardia integrale del centro storicomediante un recupero soft iniziato dal Consorzio Sirena; 2) lacreazione dei parchi verdi nelle due aree ex-industriali e sullecolline, ricordando che Napoli è urbanizzata al 75%; 3) laproiezione della città verso l’area metropolitana attraversoun sistema integrato dei trasporti che coinvolge la culturaarchitettonica mondiale. Principi che aprono la prospettivadella rottamazione e riqualificazione di almeno 250 mila vanidi edilizia post-bellica, priva di qualità e non antisismica rela-tiva soprattutto al trentennio ’45-’75, alla quale è interessatala nuova generazione dei costruttori napoletani.

Oggi questa grande strategia di riequilibrio territoriale,decongestione e modernizzazione della città è attaccata dalvecchio consociativismo sconfitto nel ’93 che, invece di pro-durre nuove idee, riesuma il Regno del Possibile, riportandoindietro di 20 anni l’orologio della storia. Riproporre losventramento del centro storico significa: a) sfidare l’UNE-SCO mettendo a rischio la prestigiosa collocazione mondialedi Napoli; b) rifare il Piano Regolatore; c) invertire il natu-rale esodo dalla città ipercongestionata previsto dal Pianodel ’72; d) mettere a tacere l’opposizione culturale oggi piùviva che mai. Una tale politica, temeraria quanto irriflessi-va rivela la debolezza etica e il cinismo cronici della cittàcosì apostrofata da Salvatore Di Giacomo: «la mia fissazio-ne è questa, che Napoli è una città disgraziata in mano digente senza impegno, senza cuore e senza iniziativa» (1886).

«la Repubblica», del 07/03/07

ole costruirere la paralisi

oris Rossi

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Il nostro belvedere, sul quale batte un sole impietoso, èla passerella di legno costruita quasi un anno fa a partiredalla porta di Federico d’Aragona. Era qui il primo pontedi collegamento tra la cittadella e il castello. Sotto il picco-lo arco passa la lunga pedana sospesa che mira dritto alporto. Il percorso delle travi inchiodate domina una distesasconfinata di scavi alla quota del fossato del MaschioAngioino. Pardon, di Castel Nuovo. Perché Aldo LorisRossi, l’architetto urbanista che insegna Progettazionearchitettonica e ambientale alla Federico II, e che più hastudiato il pezzo di Napoli che va da Palazzo Reale allaStazione Marittima, tiene a ribadirlo: «Non è né Maschio,né Angioino. Semmai “mastio”, una parola che non haniente a che fare con questioni di genere: è solo la parte cen-trale di una fortezza. E poi, così come lo vediamo oggi, èaragonese, non angioino».

Mentre il professore illustra con mappe e foto d’epoca lacittadella fino a ieri invisibile che contornava il castello dipiazza Municipio, intorno a noi, proprio all’ombra dellaporta di Federico, sorge in silenzio una bancarella dopo l’al-tra, un mercatino di abusivi extracomunitari che offronoborse taroccate agli invitati dei matrimoni civili celebratinel castello.

Un’intera cittadella prima sepolta sotto aiuole di pratoe rose rosse. Basta mettersi quassù per abbracciarla quasitutta: il primo ponte di accesso alla reggia aragonese con ilbattiponte originario, il torrione di difesa di cui nei recentiscavi è venuto alla luce il basamento e ancora: quasi un kmdi cinta bastionata che circonda per quattro lati il castello,e poi in corrispondenza di via Vittorio Emanuele III, difronte al palazzo della Fondiaria, il posto in cui sorgeva iltorrione aragonese ritratto nientemeno che nella TavolaStrozzi. Già, perché il documento “fotografico” in cui i din-torni di Castel Nuovo appaiono chiari, è proprio la quattro-

centesca mappa di Napoli vista dal mare conservata almuseo di S. Martino.

Il problema è che quattro anni fa, quando l’architettoportoghese Alvaro Siza ricevette dal Comune di Napoli l’in-carico di concepire la stazione della metropolitana di piazzaMunicipio e di ripensare il waterfront, questa distesa di pietreimbiancate dal sole era ancora sepolta. Mura merlate, fine-stre con grate di ferro, ambienti a volta, forse polveriere earmerie sovrastate dai cannoni messe a dividere il castellodalla città, e a guardar bene, due strati di pavimentazioneviaria: i basoli grigi come ormai sopravvivono solo in pochestrade e il lastricato vesuviano chiaro precedente, che risaleforse all’epoca angioina, erano in parte un lontano ricordo,in parte un’ipotesi che cercava il conforto della realtà.

Il progetto targato Siza prevede cose diverse. Il palinse-sto della città l’ha tradito, dicono gli storici del comitato dicirca dieci tecnici e intellettuali che si è formato intorno alpresidente dell’Istituto Italiano per gli Studi FilosoficiGerardo Marotta, e che ha stabilito un collegamento conl’UNESCO, ponendo oggi la questione della conservazionedella cittadella e dei bastioni vicereali di Castel Nuovo (nelgruppo c’è Angerio Filangeri, professore di economia agra-ria, figlio dell’autore del restauro del 1925-30 di CastelNuovo, Raffaele Raimondi, giudice di Cassazione, EdoardoBenassai, ordinario di Costruzioni marittime, GiovanBattista de’ Medici, docente di Geologia alla Federico II).Una cittadella che s’impone in tutta la sua vastità, nono-stante il progetto preveda altrettanto vasti abbattimentidel reticolo intorno al castello. L’architetto portogheseaveva infatti pensato a un percorso prevalentemente sotter-raneo tra la stazione portuale e quella della metropolitanadi piazza Municipio. Nel suo progetto il fossato aragonesedoveva essere quasi raddoppiato, via Depretis chiusa nellosbocco su piazza Municipio, il ponte che c’è servito da bel-

La disfida di Castel Nuovo“Salviamo le rovine aragonesi”

Stella Cervasio

giornalista della «Repubblica»

2020

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vedere nel progetto Siza sparirebbe lasciando solo la portadi Federico, che verrebbe adibita ad ascensore.

«Seicento anni di storia con i quali ci tocca relazionarci.Tre anni e mezzo fa ho evidenziato in sette punti – spiegal’urbanista Aldo Loris Rossi, che di quel comitato fa parte –la serie di elementi che il progetto della metropolitana igno-rava, ma che comunque esistevano. Sarebbe un delittodistruggere la cinta bastionata vicereale e anche il fossatoaragonese che fu ricomposto con pazienza da certosina daRiccardo Filangieri». Rossi raccomanda di non confondere lapolemica per la polemica con l’amore per la storia. In un arti-colo su «Repubblica» Giulio Pane, che ha aderito alle istanzedel comitato, ha criticato la metodologia della committenzapubblica basata sull’affidamento fiduciario e «una gestionedegli scavi archeologici che non condivido – dice Pane, stori-co dell’architettura –. In questa situazione potremmo scopri-re solo dopo anni che cosa è stato demolito e che cosa no, eperché: simili decisioni non possono essere prese negli uffici,devono confrontarsi con la cultura locale: non c’è mai statauna esposizione pubblica del progetto di Siza».

Fin qui la pars destruens. Ma esiste una visione organicache mette insieme il palinsesto di Napoli antica, la cittàmedioevale, quella ottocentesca e le esigenze sempre piùinvasive dei trasporti contemporanei? Rossi è convinto di si,e diversi pareri concordano con il suo. Pensa a una doppiapiazza, una più in alto, corrispondente alla quota attuale dipiazza Municipio, e una sotto, alla quota dell’uscita delmetrò e della fascia verde e del porto greco-romano. «Nonho mai esercitato il diritto di critica senza ipotizzare ancheuna soluzione», dice l’urbanista. «E la soluzione non soloesiste, ma è anche a costi bassissimi. Ho pubblicato un pro-getto che rispetta il fossato aragonese, senza alterare l’ac-cessibilità a Castel Nuovo, ed è possibile ripristinare ancheil fossato vicereale e la cinta muraria del lato nord, più i duetorrioni, quello circolare dell’Incoronata, è quello quadran-golare del molo. In più tra la cortina aragonese e vicerealevi è uno spazio immenso, di quasi 5000 metri quadrati, orasvuotato, che potrebbe diventare uno straordinario museonavale in prossimità del porto, destinato a riunire e mostra-re i modelli di navi antiche ora sparsi in vari musei. Unospazio museale di enorme importanza che utilizzerebbeanche la parte bastionata contigua dell’Università Parthe-nope, sede dell’Istituto Navale: agli studenti sarebbe suffi-ciente aprire una porta per affacciarsi su quello spazio, e perturisti che vengono a Napoli accedere a una raccolta di

reperti che hanno a che vedere col mare, sarebbe una gran-de attrattiva. Con questa soluzione, via Depretis potrebbeanche non essere chiusa, ripristinando la situazione topogra-fica della metà dell’Ottocento, quando ci si affacciava nelfossato di circa 7 metri d’altezza dalla quota attuale».

Cita la torre di Londra, il professore, dove il restaurodella cinta con i bastioni è stato prioritario e ora, per arri-vare al celebre monumento si passa attraverso i fossati. Citaanche il caso di Perugina, dove i palazzi dei Baglioni sonostati inglobati nella rocca Paolina. «Il livello del fossato aNapoli è quasi lo stesso del porto romano – continua Rossi– e così chi esce dalla stazione della metropolitana, che saràsituata più o meno dove oggi c’è quella costruzione circola-re che serve da punto di informazione sui cantieri, invece diinfilarsi in cunicolo stretto come quello progettato dagliarchitetti portoghesi, camminerebbe all’interno di un per-corso aperto sui bastioni vicereale e sul fossato destinato alverde, che nel Settecento era addirittura un vigneto: i pas-seggeri del metrò potrebbero costeggiare 250 metri linearidi parco, dove la luce del sole arriva naturalmente, e giran-dosi alla loro sinistra vedere il porto romano».

Torniamo sul “belvedere”: verso via Medina, resti di va-rie costruzioni illeggibili. «Qui sorgevano i palazzi dei prin-cipi angioini, che nella guerra tra durazzeschi e aragonesifurono distrutti – dice l’architetto. I loro resti si trovanoalla stessa quota della chiesa dell’Incoronata: potrebberoessere scavati e collegati sia alla chiesa che alla nuova sta-zione del metrò». Un modo per rimettere insieme pezzi dicittà ridotti a un puzzle da una serie di interventi nei seco-li. «Voglio solo evidenziare che possono esserci soluzionialternative». Ma a questo punto, giunti al momento delledecisioni circa le demolizioni, non è tardi? «Sono convintoche non è consentito a nessuno distruggere pezzi di storiadella città, dobbiamo non solo difendere il restauro di Filan-gieri del 1925 che ha il suo peso storico: fu presentato insie-me a quello del Partenone alla Conferenza mondiale del re-stauro di Atene nel 1921. Ma abbiamo la possibilità di ag-giungere degli elementi nuovi e utili. Ho fiducia che i primia essere d’accordo con queste idee saranno proprio gli archi-tetti autori del progetto. Si tratta di uomini di cultura, equando si parla di temi così importanti come la storia diuna città, non può esistere il pensiero unico».

«la Repubblica», 17 luglio 2007

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L’asservimento della cultura al potere è un tema chenon conosce confini temporali e geografici. È universale epermanente. In generale esso risulta praticato in modo pro-porzionale all’arretratezza di un paese; cioè, dove lo spiritocivico è più deficitario.

Queste condizioni si verificano soprattutto quando il po-tere è più concentrato o illiberale. Infatti, come scrive Tacito:«Non c’è mai da fidarsi di un potere eccessivo». In tale con-testo non si può sviluppare il libero confronto delle idee e del-la cultura, cioè, il diritto alla democrazia, ma solo l’eserciziodi un potere autoritario espressione di interessi di parte. Diqui la legittimità della sentenza di Edmund Burke: «Quantomaggiore è il potere, tanto più pericoloso è l’abuso».

Se si aggiunge che il potere per esercitare la sua forzasceglie a piacimento gli esecutori dei suoi mandati soprat-tutto nella folta schiera dei tecnici di partito o della mezzacultura, appare evidente la sua tendenza all’emarginazionedella libera cultura e, in breve, alla distruzione delle deon-tologie professionali che rispettano il diritto della scienza.

Questo spiega la crescita progressiva della burocraziapartitocratrica, della rapida ascesa e della caduta, altret-tanto rapida, della mezza cultura accademica e, in genera-le, l’instaurarsi di una selezione de-meritocratica che con-nota in modo preoccupante l’odierna società napoletana.

In tale contesto non dovrebbe suscitare alcuna meravi-glia o irritazione da parte del potere che ogni questionerelativa al governo della cosa pubblica o della polis divengapour cause questione culturale, cioè, tecnico-scientifica.

Pertanto il ricorso al giudizio delle libere associazioniculturali e della comunità dei cittadini diviene indispensa-bile. Di qui la funzione insostituibile, dei giornali e di ognialtro medium di comunicazione di massa.

Ovviamente sorge un quesito dolente. Come mai la sud-detta prassi tende a radicarsi in alcune aree geografichepiuttosto che altrove? E come mai tende a consolidarsi inmodo tanto veloce quanto perverso sconfessando qualsiasiipotesi di presunto rinascimento della società che, peraltro,non si sa bene quale epoca della sua storia debba prenderea modello da far rivivere?

Proviamo ad andare indietro nel tempo. Nel 1992, cioèprima dell’odierna stagione politica iniziata nel ’93, SaverioVertone scriveva: «Napoli ha raggiunto il punto in cui i pic-coli vantaggi che ognuno ottiene infischiandosi degli altri sitraducono in una catastrofe collettiva». Dunque la finedella prima repubblica non era l’Eldorado come sostengonoi nostalgici.

Forse era migliore la situazione all’inizio del ventenniodella dittatura tra le due guerre?

Nei Taccuini di lavoro del 1917-’26, Benedetto Croce an-notava: «Napoli è un paese in cui è impossibile promuovereun pubblico interesse senza rimetterci il cervello o la salute».

Ma era più accettabile la società prima della guerra mon-diale? Nel 1911 Gaetano Salvemini in un lucido ritratto dellacittà osservava: «la vita politica è assolutamente impratica-bile per chi non sia una canaglia». Forse nel pieno della Belle

Epoque la situazione era meno intollerabile? Il senatore Sa-redo che aveva presieduto la Regia Commissione di Inchiestaper Napoli aveva scritto a Giolitti nel 1901: «Io posso attesta-re che quasi tutti i Comuni della Provincia di Napoli, quasitutte le opere pie sono in balia di associazioni di delinquenti».

L’antica dipendenzadella cultura dal potere

Aldo Loris Rossi

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Proviamo a ricollegarci al clima del Risanamentopromosso dopo l’epidemia colerica. Salvatore Di Gia-como nel 1886 di fronte ai gravi problemi della città de-nunciava: «La mia fissazione è questa che Napoli è unacittà disgraziata in mano di gente senza ingegno, senza

cuore e senza iniziative». Forse Salvatore Di Giacomo nonamava Napoli?

Qualche nostalgico borbonico potrebbe ritenere che lasocietà pre-unitaria fosse più felice. Ma è così? Dopo il falli-mento della rivoluzione del ’48 narra Benedetto Croce: «Ne-gli ultimi dodici anni del Regno la vita intellettuale e mora-le fu a Napoli squallida non meno di quella politica. Era ve-nuta meno ogni possibilità di attività autonoma, e non dimeno mancavano le forze per una rivoluzione. La spedizio-ne di Pisacane si abbatté sanguinosamente senza suscitareil più piccolo moto del paese».

Ma se era deprimente la situazione alla fine del Regnoborbonico chi può dubitare che nel mitico XVIII secolo Na-poli fosse la prestigiosa terza capitale d’Europa? Tuttavia iproblemi anche allora certamente non mancavano. Nel1775, al marchese De Sade la città appare così come raffigu-rata nella Carta del duca di Noja cioè inserita organicamen-te nello straordinario paesaggio: «Non vi è nulla di più pia-cevole al mondo della posizione di questa bella città, addos-sata alla collina di Posillipo e che forma un anfiteatro sul belgolfo, le cui due estremità sono Capo Miseno e Capo Miner-va, con di fronte l’isola di Capri che sembra servire da pro-spettiva. È difficile trovare un’esposizione più deliziosa». Edaggiunge: «Per giudicare bene l’estensione di questa superbacittà, bisogna costeggiare il semicerchio che forma sul maredal ponte di Posillipo fino al ponte della Maddalena, un’esten-sione di circa 5 miglia. Questa è la passeggiata che bisognache uno straniero compia per giudicare alla perfezione que-sta magnifica città». Essa ha un’estensione di circa 700 etta-ri, cioè metà del centro storico di Roma incluso nelle muraaureliane, e circa 400 mila abitanti cioè meno della metà diquelli odierni, mentre la natura circostante è praticamenteintatta. Tuttavia confessa: «È con dolore, lo ammetto, vede-re il più bel paese dell’universo abitato dalla specie più ab-brutita»; quindi suggerisce: «Credo che ciò che lo stranieropossa fare di meglio è di evitare ogni rapporto con questopopolo corrotto»; infine conclude: «In generale è una nazioneda formarsi; ma non è opera né di un giorno né di un regno».

Infatti, sono trascorsi il Regno Borbonico, il Regnod’Italia, mentre la Repubblica italiana vive da oltre 60 an-ni, ma il rinascimento della città, come si è detto, è ancoradi là da venire.

Ma in tale situazione depressiva cosa è possibile fare senon si vuole seguire l’esempio di Luigi Compagnone che siautocandidava a giusta ragione al ruolo di “assessore al pes-simismo”?

Forse è opportuno proporre sistematicamente progettialternativi, fattibili e competitivi rispetto a quelli dell’esta-blishment ; nella consapevolezza che il compito della cultu-ra libera e indipendente è quello «di preparare i materialiutili a coloro che governano. I principi non hanno il tempodi istruirsi. Costretti ad operare, un gran movimento gliagita, e la loro anima non ha il tempo di fermarsi sopra semedesima» (Gaetano Filangieri, 1780).

«la Repubblica», del 24/10/07

dipendenzara dal potere

oris Rossi

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adulti. Questa è oggi la nostra società. Cosìtutte le società cosiddette “avanzate”.Pensiamo di essere già grandi ma nonsiamo ancora davvero adulti. Ed è questoche ci mostra il cinema: la condizione dellanostra realtà in uno stato piuttosto confu-sionale e disorientata. E anche il cinema èparte di questa realtà. Ma è da quando hocominciato la mia avventura nel cinema – esono ormai più di cinquant’anni – chesento lamenti di crisi del cinema italianodopo la gloriosa stagione del neorealismo edei suoi grandi padri. È vero: quei maestrisegnarono la scena mondiale del cinemaitaliano, quello fu il momento più alto delnostro cinema, ma perché? Proprio perchéc’erano stati cinque anni di guerra, appun-to. Tragedie e sofferenze comuni che aveva-no creato un sentimento comune. Anni chefurono una scuola poderosa, una scuola checi costringeva a cercare valori essenziali.Primo fra tutti quello della vita. Eravamoindividui in mezzo ad altri individui cheavevano fame di pane e civiltà. Ma a queltempo, tutto era coinciso con la rinascitadalle macerie, con la ricostruzione, con unasperanza nuova, col sogno di un mondo piùumano, di bella convivenza. È durato poco.Già nei primi anni ’50 si faceva avanti lacrisi del contrappasso determinata dalboom economico – così si chiamava – e chealla fine durò un istante. Come sempre, loslancio della ricchezza cancella le tensionimorali e, per quanto riguarda il grandeschermo, spinge anche il cinema verso lacommedia – giustamente per carità! – epoi, pur con capolavori di grande maestria,verso una spensieratezza che non vuolesaperne di nuovi segnali di insofferenze ecrisi mondiali. Le guerre “lontane” non ciriguardano. Ma ecco la morte di Kennedy,il Sessantotto, la Guerra Fredda cova tra legrandi Potenze. Sono cominciati in queglianni i grandi cambiamenti del mondo e daallora a oggi tutte le nostre società stannovivendo queste fisiologiche trasformazioni.Che possono anche produrre esiti devastan-ti, come fu da noi il terrorismo di casa, ocome è oggi il terrorismo internazionale.Dunque trovo che quello che hanno scrittoGalli della Loggia sul «Corriere della sera»o Lizzani e Bellocchio su «Repubblica» cisollecita una giusta considerazione sul cine-ma. La segnalazione di una crisi – che siintende di inadeguatezza – dei film italianinei confronti della realtà in cui viviamo.Giusto. Tuttavia, la medesima domandadobbiamo porla alla letteratura, alle arti,alla politica dei nostri governi e all’econo-

ancora pronti a partecipare a una rivoltache stroncherà tutti i servizi. La rivoltadelle tasse è una grande trovata didestra. La rivolta contro i lavavetri è unpiccolo servizio (acclamato non so perchédalla grande stampa) tributato alla cul-tura fascistoide della Lega. Una emer-genza c’è. È nel distacco, nella solitudine,nel rischio di una cultura che rende sem-pre più vasti i due fenomeni. Già adesso èun aspetto della vita americana, dove letasse sono più basse ma si chiudono leporte degli ospedali. Per questo a VeneziaGeorge Clooney, l’attore, ha detto a chigli chiedeva del suo Paese: «Voglio unpresidente democratico, non uno ricco».E a chi gli chiedeva del nostro PaeseClooney ha detto: «Almeno voi avete gliospedali aperti per tutti». […] Midomando che cosa penserà l’intelligenteattore e regista americano dell’Italia cheammira appena gli diranno che il cetoprivilegiato del Paese dichiara «emergen-za fiscale» due giorni dopo che il peggiorleader xenofobo d’Europa Umberto Bossiha chiamato i suoi fedeli alla rivoltafiscale contro l’Italia, il paese in cui Bossiè uno dei capi dell’opposizione. GeorgeClooney e molti italiani continuano osti-natamente a condividere la speranza diuscire presto dall’incubo di una politicacosì squallida per approdare a un poco diciviltà. Pensano che così finirà l’epocatriste della solitudine e del distacco.

«L’Unità», 2 settembre 2007

Cinema: torniamo ai valoridi Ermanno Olmi

[…] Quando è uscito il mio ultimofilm Centochiodi ho annunciato che colcinema narrativo avevo chiuso: ma non èperché il cinema italiano – e non solo ita-liano – sia in crisi. È tutta la società chein questo momento è in crisi – e non soloquella italiana. Stiamo attraversando unperiodo di grandi trasformazioni necessa-rie per affacciarci a nuove soglie del futu-ro. Trasformazioni che non abbiamoancora del tutto metabolizzate. Uso que-sto termine, anche se un po’ scaduto, mache mi torna in mente ora per indicarequei particolari momenti della storia incui necessari e inevitabili cambiamenticreano necessarie e inevitabili condizionidi crisi. È un po’ come succede con ilcorpo umano, quando da bambini sidiventa adolescenti e il corpo si carica diturbolenze e ancora non si ha la consape-volezza né di essere bambini né di essere

Il distaccodi Furio Colombo

[…] C’è qualcosa che non va, o alme-no qualcosa da chiarire se, il 29 agosto, ilpresidente della Confindustria, nella sualettera a piena pagina al «Corriera dellaSera», chiede una tregua fiscale, e il gior-no dopo, sullo stesso giornale, a partireda pag. 1, l’economista di sinistra NicolaRossi interviene con un articolo dal tito-lo: «La tregua fiscale? Non basta». Ècome se fosse esplosa in tutte le teste, intutte le coscienze, in tutto il Paese, dalgrande imprenditore all’ultimo contri-buente in busta paga, la persuasione chele tasse sono solo una rapina per finan-ziare la politica. Gira e rigira, anche lenobili e grandi denunce sui privilegi dichi legifera e di chi governa sono andatea finire nel pentolone cannibalesco dellaLega. Ed è anche per questo, forse, cheValentino Rossi, con i suoi 126 milioni dieuro sottratti – a quanto ci dicono – alfisco, appare meno ma molto menodeplorevole del barbiere di Montecitorio.È come se ci si fosse dimenticati che,nonostante problemi gravi e disserviziingiustificabili, le tasse tengono in vita inItalia una vasta rete di sostegno pubblicoche gli americani in visita nel nostroPaese non considerano né inutili né spre-gevoli, dagli ospedali ai treni. In Americamolti ospedali sono chiusi ai poveri, itreni quasi non esistono e molti giornaliamericani stanno denunciando proprio inquesti giorni ritardi e confusione semprepiù grave per gli aerei di linea a causadella grande quantità di jet privati che inmolti aeroporti americani hanno la pre-cedenza. […] Il danno sociale è immenso.E questo afferma il «New York Times»come drammatico avvertimento al pros-simo presidente degli Stati Uniti. IlPaese che forma più ricchezza nelle manidi alcuni, crea, allo stesso tempo, piùrischio di malattia (poiché manca la pre-venzione e ogni rete di protezione) pertutti gli altri cittadini. Quanto il rischiosia grave lo dimostra, adesso, l’annunciodei due ultimi giganti dell’industria Usa:General Motors e Ford stanno annun-ciando tagli drastici alle loro residue assi-curazioni sanitarie, perché gli affarivanno male. Tutto ciò dice – con vocemolto autorevole – che non è saggio spin-gere un Paese a una rivolta basata suldistacco, ciascuno per sé, alcuni fortiabbastanza da esigere ciò che vogliono,altri disposti al ricatto politico, altri

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mia del denaro. Non è forse in crisi que-sta economia? Quella italiana e non solo?Abbiamo forse un disegno economico cherappresenta l’anelito ideale di questonostro paese? Via! I dati che ci fannovedere sono fasulli. Ma non perché nonsanno fare i conti coi “valori”. Nonhanno ancora capito – o non voglio capi-re – quanto vale una zolla di terra e unbicchiere di buona acqua. Viviamo daricchi in una condizione di miseria dibeni naturali. Ma appena il baracconedelle ambiguità comincerà a scricchiola-re, saranno, come si dice a Roma, …amari. Il cinema non è un dopolavoroidilliaco dove nel tempo libero si celebra-no le smanie artistiche di quattro giova-notti – come eravamo noi del tempo pas-sato. Il cinema di ieri come quello dioggi, vive il sentimento della realtà. Eccoperché il senso di crisi. Non c’entra nien-te dire che non ci sono più buoni autori.Perché non è vero. Anzi, i germogli dellanuova generazione ci sono, eccome. […]Per questo, con simpatia e con calore,ribalto io la domanda a «Repubblica» eal «Corriere». Forse i giornali italianistanno davvero rappresentando la realtàitaliana? Sono all’altezza del compito chegli compete? O sono vincolati dalla pub-blicità e la servono “devotamente”? Nonè anche questo un segno di crisi?

«La Repubblica», 1 settembre 2007

Contractors in Iraq, Baghdadprova a chiedere delle regoledi Sabina Morandi

[…] I mercenari di una nota societàdi sicurezza privata, la Blackwater,hanno reagito con la fermezza che li con-traddistingue all’attacco di un convogliodiplomatico da parte della guerriglia e sisono messi a mitragliare gli abitanti delquartiere a predominanza sunnita diMansour anche con l’aiuto di un paio dielicotteri. Risultato: 12 morti e 36 feriti.[…] Le parole di fuoco di al-Maliki(primo ministro iracheno) hanno costret-to Condoleeza Rice a chiedere scusa e adannunciare la solita indagine interna.[…] Che il governo iracheno fosse furiosolo si è intuito più tardi quando un porta-voce del governo annunciava la decisionedi «riesaminare le operazioni di tutte lecompagnie di sicurezza, straniere e locali,presenti in Iraq». […] Il tutto sembrauna sceneggiata bella e buona: allaBlackwater non è stata notificata for-malmente alcuna espulsione e nulla risul-

ta al Dipartimento di Stato a propositodella cancellazione della licenza. Delresto, sarebbe stato semplicementeimpossibile, per al-Maliki, dare corso aquanto annunciato in televisione persedare la rabbia degli iracheni esasperatidal grilletto facile dei contractor: unalegge istituita nel 2004 sancisce la totaleimmunità dei cittadini statunitensi, sianoessi militari (che però debbono risponderealla corte marziale) o contrattisti privati.Un esperto di sicurezza che ha volutorimanere anonimo ha chiarito al «NewYork Times» che l’Ordine numero 17(questa le denominazione della leggevoluta dal proconsole Bremer) non è maistato ritirato e i superpagati mercenaricui è stata affidata la sicurezza dell’am-basciata e del personale diplomaticodevono rendere conto soltanto alla pro-pria coscienza. Al massimo il governo ira-cheno può ritirare il porto d’armi, eneanche è detto. […] Del resto, cosa valela pelle di un iracheno, foss’anche laguardia del corpo del vice-presidente, difronte alla potentissima società(Blackwater), che dal 2000, si è assicura-ta ben 500 milioni di contratti per lasicurezza senza uno straccio di gara d’ap-palto? […] Ufficialmente i privatidovrebbero aiutare l’esercito regolare mai militari temono che le truppe e le loromissioni siano messe a rischio se i lavora-tori a contratto, che operano al di fuoridel comando e del controllo delle forzearmate, dovessero rifiutarsi di fornireapprovvigionamenti essenziali in batta-glia. […] Per aggiungere un elementoulteriore di confusione, non c’è un enteunico che tenga un registro con il numeroo la sede dei lavoratori a contratto – pro-babilmente per rendere più difficile alleautorità controllare l’allegra gestione deisoldi dei contribuenti americani. Fra l’al-tro, cosa che preoccupa alquanto icomandi militari, non è nemmeno chiaroa quanto ammonti il numero degli ira-cheni sotto contratto: fino a maggio, ilPentagono aveva riferito al Congressoche i suoi appaltatori davano lavoro a22000 iracheni, ma la cifra è balzata a65000 dopo un controllo più approfondi-to dei contratti. Inutile dire che, in unasituazione di guerra civile diffusa, nonsembra proprio una buona idea armarefino ai denti una parte, quella che alme-no momentaneamente appoggia gli sta-tunitensi. Ma forse pecchiamo di ingenui-tà: basta dare un’occhiata ai bilanci della

Blackwater per capire invece che l’idea èottima.

«Liberazione», 19 settembre 2007

La ‘Ndrangheta Spa e lo Statoche non c’èdi Elio Veltri

Chiunque non sia Paperon deiPaperoni, se va in banca e chiede di averemoneta contante in cambio di un assegnodi qualche entità, viene sottoposto adomande e verifiche. A Santo Stefanod’Aspromonte, l’agenzia del Monte deiPaschi di Siena era più “democratica” enon badava a verifiche. Questa è una storiavera. Il 4 aprile del 1996 una signora pen-sionata, Briganti Caterina, che in base aicontributi versati dovrebbe avere una pen-sione di 22 mila lire al mese, ma che conl’integrazione al minimo Inps ne prende720, entra nella locale agenzia del Montedei Paschi, che da poco ha comprato labanca popolare di Reggio in odore dimafia, e cambia un assegno di suo maritodi cui ha la procura. L’unica stranezza, sesi può definire tale, è che quell’assegno è dicinque miliardi e la signora Briganti loincassa in contanti per 4 miliardi. Il maritodella Briganti, anche lui pensionato Inps sichiama Rocco Musolino, ha precedentipenali perché considerato dagli inquirentipersonaggio di spicco della ‘ndrangheta,nel 1995 era stato arrestato per associazio-ne mafiosa, ma non era stato mai condan-nato. […] L’agenzia del Monte sembra dav-vero la banca dei miracoli. Mai chiariti eneanche giustificati. Compra una banchet-ta di Reggio Calabria nella quale RoccoMusolino aveva fatto operazioni per 15miliardi comprando a sua volta azioni eintestandole a prestanome con legami disangue. Fa trovare alla signora Briganti 4miliardi in contanti e glieli consegna senzaalcuna precauzione e preoccupazione. Equando il fatto viene notificato allaCommissione antimafia del Parlamento ini-zia lo scaricabarile delle responsabilità trala Banca d’Italia che avrebbe dovuto vigi-lare, l’Ufficio Italiano Cambi e il Nucleo dipolizia valutaria della guardia di finanza efinisce tutto a tarallucci e vino. La ‘ndran-gheta, mafia della pastorizia e dell’abigea-to, si scopriva mafia di imprenditori poten-ti e finanzieri carichi di soldi, capaci dicambiare assegni di miliardi in un paesesperduto dell’Aspromonte e di investirlialtrove, a migliaia di chilometri di distan-za, partecipando magari con i rappresen-tanti della cosca della terza generazione ai

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ni: efficienza sconosciuta e invidiabile! Ilcapitale ammonta a circa 50 miliardi, inquanto nel frattempo la società italiana eradiventata cessionaria delle quote di parteci-pazione di 26 società. […] L’economia ita-liana fa fatica a competere nell’economiaglobalizzata perché oberata da conflitti diinteressi, non rispetta le regole della con-correnza e del mercato. La ‘ndrangheta chele regole se le fa da sé, compete e vince.

«L’Unità», 29 agosto 2007

Tolleranza zero per la stupiditàdi Diego Novelli

[…] L’unica distinzione reale che vafatta tra coloro che sono preposti al gover-no della cosa pubblica è tra gli intelligenti egli stupidi. Non c’è difficoltà dove collocareBorghezio, Gentilini, Gasparri, ecc. Il guaioè che, ad essere onesti, la lista da qualchetempo si è allungata ed è trasversale. Inquesta demenziale rincorsa al consenso(sperando che si tramuti in voti) dei cosid-detti benpensanti, ne stiamo leggendo ditutti i colori. I bulli quindicenni ad esem-pio, non si correggono costringendoli a scri-vere cento volte, «sono un cretino, sono uncretino». Tutt’al più si possono convertirese a dire loro «sei un cretino» sono i compa-gni di classe a condizione che questi sindalla scuola del pre-obbligo abbiano avutoun’educazione intelligente. In un Paesedove (come ci ricorda Tullio De Mauro) il60% degli abitanti è analfabeta di ritornocioè sa leggere e scrivere (una cartolina diauguri), ma non sa compitare una letteranella quale trascrivere il proprio pensiero,c’è di che per stare allegri. Viviamo in unarealtà dove i nuovi modelli, per i giovani,sono il fotografo Corona, il quale ha recen-temente firmato un’autobiografia (scrittada due giornalisti), pubblicata non a casodal berluschino Cairo, nella quale ci rivelache il carcere (che avrebbe ingiustamentesubito) gli è stato utile, perché finalmente èriuscito a leggere il primo libro della suavita. Viviamo nella patria delle sorelleCappa, aspiranti veline, quelle del fotomon-taggio con la cugina assassinata. Dellasquillo al servizio del democristiano doc(che ha regalato alla moglie per riappacifi-carsi, un maxi-brillante) che spera di trarreprofitto dalla sua disavventura nell’albergoromano, magari con un invito all’Isola deifamosi. Viviamo nell’Italia dei Lele Mora,del Briatore (anche se ha la residenzaall’estero ai fini fiscali) dei Moggi, in pelle-grinaggio a Lourdes in compagnia del car-dinale Ruini. Quale messaggio viene quoti-dianamente trasmesso alle nuove generazio-

anni di latitanza con il suocero sapendoche dopo dovrà andare in carcere, nelquale attualmente sconta 16 anni perassociazione mafiosa. Fedele alla conse-gna, il dottore non si sottrae. Prima peròi Morabito si impadroniscono anche delPoliclinico di Messina che per la città èl’equivalente della Fiat di Torino. E nonsolo per ragioni economiche. Possono con-trollare gli appalti, gli acquisti di beni eservizi, ma anche, cosa più importante,gli esami in molte facoltà e soprattuttonella facoltà di medicina attraverso unaccordo con fedelissimi dell’Università diMilano. I rapporti sociali per la ‘ndran-gheta sono essenziali, si sa, e quindi ilcontrollo di settori dell’Università è fun-zionale agli affari, ma anche a stringererapporti con la società che conta. […]Dalla latitanza “U Tiradritto” intuisceche la globalizzazione è alle porte. Perciòstabilisce rapporti con gruppi slavi inmaniera assolutamente “paritaria” sosti-tuendosi ai turchi che vengono estromes-si. Sapendo che i soldi non possono essereinvestiti in Calabria i capi della coscaprima puntano alle banche lombarde, agliimmobili del centro di Milano e poiall’Europa. Barbaini racconta: «Una fidu-ciaria della banca San Paolo di Brescia,della quale la banca è socia, ha fatto daintermediaria tra il gruppo Talia-Mollica-Morabito e un gruppo in sofferenza pressola banca sopra citata. Siamo a conoscenzadi transazione anche con l’Argentina econ paesi europei sempre nell’ordine dimiliardi (occhio alle date: 1998!). Il capi-tale quindi esisteva e non si recava al Sud,ma rimaneva al Nord». Ma i Morabitopensano di fare il grande salto e nel 1997cercano e trovano un commercialista diMilano, Enrico Ciglio, casualmente cogna-to di Michele Sindona, e «decidono di tra-sferire all’estero il patrimonio rappresen-tato da 26 società che gestivano attivitàquali alberghi, ristoranti, bar, garage nelcuore di Milano, tutte addirittura lungo ilperimetro del tribunale». E pensare cheDia, Ros e squadra mobile avevano indet-to appalti per lasciarvi le loro macchine!Ciglio si rivolge a un referente svizzero ilquale trova immediatamente per l’opera-zione di transazione una società, laEurosuisse italiana, partecipata dellaEurosuisse Holding lussemburghese diJean Paul Faber. Le quote della nuovasocietà, necessaria per la transazione,sono poi cedute a una società svizzeraanonima con una triangolazione Milano-Lussemburgo-Lugano nel giro di 15 gior-

lavori di ovattati consigli di amministra-zione. E lo Stato? Lo Stato, parla, discu-te, inventa garanzie, incassa sconfitte acatena e lascia indisturbate le cosche,contento solo se non si spara più ditanto. Sembra impossibili che paesidell’Aspromonte come San Luca e SantoStefano, dimenticati da dio e dagli uomi-ni, resi familiari alle persone colte daCorrado Alvaro, con la descrizione dellecondizioni di vita dure e aspre come laterra e le facce delle donne e degli uomi-ni, o da Africo, che è difficile individuaresulla carta geografica, possano partireuomini carichi di banconote o di conticifrati collocati nei forzieri di quasi tutti iparadisi fiscali o semplici telefonate oordini attraverso il Web con i quali sicomprano quote giganti dell’energiacome la Gazprom russa alle direttedipendenze di Putin; palazzi e supermer-cati a Francoforte, Milano e Hong-Kong,immense distese di terre di cui non sivedono i confini, in Australia. […] Lalatitanza dello Stato per tutti gli anni 90di cui fatti, come quello raccontato, con-tenuti nei documenti parlamentari e giu-diziari sono testimonianza inoppugnabi-le, essa sì, costituisce la grande vergognadella resa. Per conferma ne raccontiamoun altro. Il 5 marzo del 1998 alle 10,40del mattino sotto la presidenza del sena-tore Michele Figurelli, relatore anche sulcaso precedente e sparito dalla scenapolitica, la Commissione Antimafia delParlamento ascolta il dr. Manlio Minaleprocuratore aggiunto della direzionedistrettuale antimafia di Milano e i suoisostituti Laura Barbaini e ArmandoSpataro. Si parla di ‘ndrangheta.Oggetto della discussione è la capacitàimprenditoriale in Lombardia e a Milanodella cosca Morabito-Palmara-Bruzzanitidi Africo. Giuseppe Morabito è latitanteed è un vero patriarca della ‘ndrangheta.Quando i carabinieri lo braccheranno litratterà con galanteria: «Siete statibravi». Morabito, “U Tiradritto”, capisceprima degli altri che la ‘ndrangheta devediventare una potenza economica da affi-dare a persone incensurate. Laurea lafiglia Giuseppina in medicina, la fa spe-cializzare in psichiatria e la colloca nel-l’ospedale di Locri. Poi la sposa aGiuseppe Pansera, anch’egli medico e locolloca in un altro ospedale dell’Asl diLocri. Entrambi mantengono buoni rap-porti con il dr. Fortugno e l’onorevoleLaganà. Ma “U Tiradritto” ha bisognodel genero il quale non esita a farsi 5

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ni? Nel 1976 l’amministratore comunaledi Torino inventariò i danni provocatialla città dal vandalismo adolescenziale(circa un miliardo all’anno delle vecchielire). Per combatterlo fu istituito il«tempo pieno» nelle scuole dell’obbligo,«l’estate ragazzi», l’uso di tutte le strut-ture pubbliche ai fini didattici, ad esem-pio visite e lezioni presso la caserma deivigili del fuoco contro gli incendi, aglistudi Rai per un «consumo» diverso dellatelevisione nella scelta dei programmi,all’acquedotto municipale per non spre-care il bene acqua. L’obiettivo era quellodi occupare, nel modo più intelligente,senza pedanteria, senza annoiare, anzidivertendo il tempo «vuoto» dei ragazzi.Quattro anni dopo, il costo dei danni per«vandalismo domestico» era stato piùche dimezzato. Buon ultimo è arrivato inquesti giorni il ministro dell’interno pro-ponendo il modello Giuliani: «tolleranzazero». Si presume che il ministro, almenoattraverso gli uffici studi di cui dispone,sia informato. Evidentemente no.L’editore Laterza ha pubblicato lo scorsoanno, un illuminante libro, di una stu-diosa italiana, Lucia Re, dell’universitàdi Firenze (la città dell’assessore Cioni!),nonché redattrice del centro di filosofiadel diritto internazionale.

Scrive la Re: (cito testualmente)1. Il tasso di detenzione degli Stati

uniti è il più alto del mondo, con 726 cit-tadini incarcerati ogni centomila (fra lepersone residenti negli USA, 1 ogni 138 èin carcere)

2. Il segreto del successo di NewYork, se di successo si deve parlare, èdovuto alle modalità operative e organiz-zative adottate dal New York PoliceDepartment.

3. I metodi di polizia adottati a NewYork hanno portato un forte aumentodelle violazioni del diritto delle personefermate ed arrestate. Molti caso di abusodella polizia hanno condotto alla mortedelle vittime.

4. Le uccisioni con armi da fuocodalla polizia sono aumentate del 34,8%mentre le morti di civili detenuti incustodia dalla polizia sono cresciuti del53,3%. È questo che vuole in Italia ilministro per l’interno (un tempo sociali-sta si fa per dire)?

Si documenti per favore e meditiprima di lanciare certe campagne.

«Il Manifesto», 2 settembre 2007

27rassegna stampa

Amara Lucaniadi Enzo Mangini

La grande gru verde e le impalcaturesembrano macchine d’assedio attorno lacastello di Brienza. La torre longobardaguarda verso la valle che, più giù, diven-ta la valle del fiume Agri. È la stradadegli invasori. Si stanno armando diescavatrici, trivelle, tralicci, e, sullacarta, il territorio da conquistare è giàstato delimitato: 21 mila ettari sul monteCavallo e 7 mila sulla Cerasa. Sono lezone che a metà luglio la Shell ha chiestoper due concessioni di perlustrazionepetrolifera nel cuore dell’Appennino luca-no. Oltre al Val di Noto, in Sicilia, le tri-velle minacciano anche la Basilicata. […]Le relazioni di impatto ambientale conse-gnate a metà luglio, quasi contempora-neamente, da compagnie diverse e incomuni diversi, alimentano il sospetto diuna strategia del fatto compiuto. La stes-sa che il governo Berlusconi aveva tenta-to con il deposito di scorie nucleari aScanzano, scatenando una protesta diffu-sa ed efficace. […] In effetti, dalla metàdel 2006, c’è stata un’accelerazione sututta la partita dei giacimenti lucani, inparticolare per i pozzi nella Val Calastra,attorno ai comuni di Corleto Perticara eGuardia Perticara. Tra Corleto Perticarae Viggiano c’è una bellissima strada cheattraversa un bosco molto fitto. […] Unadelle ragioni del “successo” delle multi-nazionali è questa geografia di valli,comuni piccoli, pochi abitanti. […] Ipaesi continuano a perdere abitanti,nonostante il petrolio, o forse anche acausa del petrolio. La strada sbuca sullavalle di Viggiano, che doveva essere ilcentro del «Texas d’Italia» di cui vaneg-giavano governi e multinazionali dieci oquindici anni fa. Sulla destra, dopo l’en-nesima curva, appare infine la primatorre di trivellazione, bianca e rossa.Aliena, illuminata dalle fotocellule anchedi giorno, spezza l’orizzonte delle colline.[…] Anche a centinaia di metri si sente ilronzio dei motori che spingono la trivellae alimentano le pompe. Qualche curvaancora e la frontiera petrolifera ha l’odo-raccio di combustione del Centro olii diViggiano, sdraiato lungo la statale 598,come l’accampamento di un esercito cheassedia il paese rifugiato in alto. Di unesercito ha fatto i danni. La campagnaattorno è triste. I vigneti autoctoni, por-tati qui dai romani quando fondarono lacittà di Grumentum, non hanno avuto

l’etichetta Doc. Molti hanno svenduto levigne, perché l’uva non la vuole più nessu-no. Le royalties, cioè i diritti di estrazioneche le compagnie pagano alla Regione,sono un capitolo complicatissimo, e sonoservite per rifare qualche piazza o qualchepiscina comunale, ma non hanno innescatoalcun processo economico virtuoso. «Inostri amministratori credono ancora aquesta economia passeggera», diceFrancesca Leggeri. Dal 2003, lei è in causacontro l’Eni per cercare di salvare la suaazienda di agricoltura biologica e il suoagriturismo, il Querceto, a Marsico Vetere,da una pipeline che collega uno dei pozzidel giacimento Volturino con l’oleodottoprincipale. «Cosa resterà quando le royal-ties saranno finite? Quando avremo perso,grazie al petrolio, la terra e l’acqua?».

«Carta», 1 settembre 2007

Intanto Coca cola si portavia l’acquadi Enzo Mangini

Rionero è «il» paese del Vulture. Quelloche una martellante campagna pubblicita-ria, nelle ultime settimane, presenta come illuogo dove si custodisce il segreto dellafonte dell’eterna giovinezza, imbottigliata evenduta in ogni supermercato. […] E comeil petrolio, anche l’acqua della Basilicatastuzzica la sete delle multinazionali. Pocopiù di un anno fa, il gruppo Traficante,proprietario dei marchi più rinomati tra laquindicina di acque minerali che vengonoimbottigliate a Rionero e dintorni, ha ven-duto la propria concessione alla Coca cola.Che ha iniziato il “rilancio” degli stabili-menti di imbottigliamento puntando sul“prodotto” di punta, l’acqua Lilia, appun-to, miracolosamente responsabile, nellospot televisivo, della trasformazione deilucani del Vulture in un popolo di atleticigiovanotti e avvenenti fanciulle. Nel giro dipochi mesi, all’inizio di quest’anno, la pro-duzione è cresciuta tanto da spingere Cocacola a usare anche gli impianti di un altrogruppo, che nel frattempo aveva messo incassa integrazione i suoi lavoratori. Quantaacqua in più venga “spremuta” dal Vulturenon si sa. Perché non si sa nemmeno quan-ta ne veniva prelevata prima. La RegioneBasilicata, infatti, dalla fine degli anniNovanta, ha sostanzialmente abdicato aqualsiasi controllo pubblico sulle fonti,limitandosi a riscuotere una concessionerisibile: per le quattro aziende principali diimbottigliamento si arriva a meno di 700mila euro l’anno. «Ma solo per il primolotto di opere per la manutenzione del baci-

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no abbiamo speso 3,5 milioni di euro –spiega Antonio Placido, da meno di unanno sindaco della giunta di centrosini-stra di Rionero, – ma non è solo una que-stione di soldi, si tratta di cercare dicostruire degli strumenti di governo pub-blico delle risorse, senza i quali siamocompletamente in balia delle multinazio-nali». Cosa voglia dire lo si è visto nellaprima metà di agosto. Da mezzanottealle 6 di mattina a Rionero, per oltre duesettimane, è mancata l’acqua. […] C’è inpaese chi comincia a sospettare che l’au-mento di prelievo dalle sorgenti delVulture sia collegato alla chiusura deirubinetti delle case. Le spiegazioni possi-bili sono due: le aziende potrebbero avercaptato anche l’acqua per uso civicooppure l’aumento dei prelievi per l’im-bottigliamento ha creato qualche scom-penso nel sistema di falde e di sorgenti.Al momento non si sa, anche perché nonci sono studi che spieghino se e per quan-to tempo le falde minerali siano in gradodi sopportare una spremitura intensiva.«Non sappiamo quanto tempo richieda ilprocesso di mineralizzazione dell’acqua –spiega Placido – non sappiamo se e comela situazione sia cambiata negli ultimianni e negli ultimi mesi. Manca una rile-vazione sistematica dello stato dellefalde». Il passaggio delle concessioni dalgruppo Traficante alla multinazionalestatunitense è avvenuto usando il princi-pio del silenzio-assenso, introdotto dauna modifica legislativa approvata sultraguardo della legislatura regionale del2005. Sullo sfondo, il solito ricatto deiposti di lavoro da salvare. Come per ilpetrolio, non c’è modo di verificare laquantità d’acqua estratta, un passaggioindispensabile per trasformare le conces-sioni in un meccanismo simile alle royal-ties petrolifere. E soprattutto per far tor-nare in circolo l’idea che le fonti non pos-sano essere gestite senza il consenso deicittadini.

«Carta», 1 settembre 2007

Vesuvio: l’eruzione più pericolosaal mondodi Stephen S. Hall

[…] Nel maggio del 2001, vicino a undesolato incrocio invaso di erbacce nel-l’immediata periferia di Nola, un gruppodi operai dava inizio agli scavi per le fon-damenta di un supermercato. Un archeo-logo della Soprintendenza di Napoli notòdiverse tracce di legno bruciato a circa

un metro di profondità nel terreno, segnodi un precedente insediamento umano.Poi, a circa sei metri di profondità,cominciarono a emergere i resti di un vil-laggio dell’Età del Bronzo in perfettostato di conservazione. Nei mesi successi-vi lo scavo ha portato alla luce tre grosseabitazioni preistoriche: capanne a formadi ferro di cavallo, in cui erano nettamen-te demarcati l’ingresso, la zona giorno el’equivalente di una cucina. Sono statitrovati decine di vasi, piatti di terracottae rozzi contenitori a forma di clessidra incui c’erano ancora tracce fossilizzate dimandorle, farina, frumento, ghiande,noccioli d’oliva, e persino funghi. Le stan-ze erano separate da semplici tramezzi, euna delle capanne presentava qualcosa disimile a un soppalco. Sul cortile esternoerano rimaste impresse le orme di capre,pecore, bovini e maiali, oltre a quelle deiloro proprietari umani. All’interno diun’area recintata, che includeva ancheuna sorta di ovile, giacevano gli scheletridi nove capre gravide. Un altro scheletro,quello di un cane evidentemente terroriz-zato, era accucciato sotto la gronda di untetto. A conservare questo villaggio prei-storico, lasciandone un calco perfetto finoai minimi dettagli, come le foglie usateper rivestire i tetti o le granaglie contenu-te nei recipienti delle cucine, furono laricaduta di ceneri, il flusso piroclastico el’ondata di fango prodotti dall’eruzionedi Avellino. Claude Albore Livadie, l’ar-cheologo francese che ha pubblicato ilprimo rapporto sul sito di Nola, l’haribattezzato “la prima Pompei”. Gliarcheologi della Soprintendenza effettua-rono gli scavi tra maggio e giugno del2001.[...] A questo punto però, il raccon-to della scoperta scientifica si trasformain una sorta di opera buffa non insolitanel mondo dell’archeologia italiana. Ilproprietario del terreno ha cominciato aprotestare perché riprendesse la costru-zione del supermercato o, in alternativa,gli fosse accordato un risarcimento per ilritardo nei lavori. Gli archeologi dellaSoprintendenza si sono affrettati a porta-re a termine gli scavi e a portar via tuttigli oggetti. Alla fine, il supermercato nonè stato più costruito, e oggi tutto quelche rimane del sito è una fossa scavatanel terreno, con le fondazioni delle paretidelle capanne appena visibili. Una picco-la insegna scolorita che annuncia la“Pompei della preistoria” penzola malin-conicamente da un cancello chiuso con un

lucchetto. Il desolante copione andato inscena a Nola si è ripetuto diverse volte. Nel2002, durante i lavori per la costruzione diuna struttura di supporto per la base diNapoli della Marina americana, un altrovillaggio preistorico sepolto dalle ceneri èvenuto alla luce nei pressi di Gricignanod’Aversa.[...] Ma gli archeologi incaricati disorvegliare i lavori «hanno fatto una rapida“documentazione” del sito e poi tutto èandato distrutto». Ancora: nell’estate 2004,durante la costruzione della linea ferrovia-ria ad alta velocità tra Roma e Napoli, neidintorni di Afragola sono state trovatemigliaia di impronte umane. L’analisi geo-logica ha stabilito che a lasciarle eranostati uomini dell’Età del Bronzo che scap-pavano dall’eruzione di Avellino.Mastrolorenzo, Petrone e Pappalardo sisono precipitati sul posto per fotografare ivividi resti di quell’antico terrore.Malgrado la perdita di questi siti, nella pri-mavera 2006 i tre studiosi italiani, coadiu-vati dal vulcanologo americano MichaelSheridan, hanno illustrato le loro scopertesulla rivista Proceedings of the NationalAcademy of Sciences (PNAS) suscitandogrande interesse nella comunità scientificamondiale. L’importanza della loro ricercava al di là della semplice documentazionearcheologica. L’eruzione delle pomici diAvellino, scrivono gli studiosi, “causò uncollasso socio-demografico che portò all’ab-bandono dell’intera area per secoli”. Inuovi ritrovamenti, corredati da simulazio-ni al computer, mostrano che un’eruzionedella portata di quella di Avellino scatene-rebbe un’ondata concentrica di distruzionecapace di devastare Napoli e buona partedel suo hinterland. […] Analizzando lastruttura dei depositi e le tracce visibili neldiverso spessore delle stratificazioni, i vul-canologi hanno potuto stabilire che in quel-la sola eruzione il Vesuvio scatenò almenosei cicli di flusso e colata: sei scariche divento infuocato seguite da sei furiosi tor-renti di fango, che distrussero qualunquecosa in un raggio di circa 15 chilometri dalcratere del vulcano. Il cataclisma immedia-to durò probabilmente meno di 24 ore, mabastò a trasformare un paesaggio idilliacoin un deserto monocromatico, che sarebberimasto inabitabile per tre secoli. […] Letestimonianze geologiche mostrano come,in un arco di tempo geologicamente recen-te, le eruzioni pliniane del Vesuvio si sianosusseguite secondo un ritmo irregolare maallarmante. Le eruzioni maggiori ebberoluogo 25 mila, 17 mila, 15 mila, 11.400 e

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8.000 anni fa. Poi è seguita l’eruzione diAvellino, 3.780 anni fa, e infine quella diPompei, nel 79d.C., quindi quasi 2.000anni fa. L’intervallo tra due eruzioniprincipali, dunque, sarebbe di circa 2.000anni: basandosi su questo dato, Sheridane Mastrolorenzo sostengono che ognianno la probabilità che si scateni un’eru-zione maggiore è superiore al 50 percento, e che le chance aumentano manmano che gli anni passano e ci si allonta-na dall’ultimo grande evento pliniano.Queste previsioni così dirette hanno cau-sato polemiche infuocate, soprattuttoperché ipotizzano una minaccia perl’area metropolitana di Napoli. In realtà,Napoli non è contemplata nel pianod’emergenza messo a punto dalle autori-tà italiane nel 1995 e modificato l’ultimavolta nel 2001. Il piano ipotizza un’eru-zione subpliniana, quindi di portataminore, e prevede l’evacuazione di “sole”600 mila persone: gli abitanti dei 18comuni più vicini al cratere, la cosiddetta“zona rossa”. Enzo Boschi, presidentedell’Istituto nazionale di Geofisica eVulcanologia, ha definito «allarmista eirresponsabile» l’analisi dei rischi effet-tuata da Sheridan, e ha annunciato che«i piani d’evacuazione non saranno cam-biati». «L’articolo pubblicato da PNAS,fin dal titolo, è una descrizione del “peg-gior caso possibile”», conferma GiovanniMacedonio, studioso ed ex direttoredell’Osservatorio Vesuviano. […]Secondo i calcoli dell’Osservatorio, laprobabilità che nei prossimi 150 annicirca si scateni un’eruzione devastantecome quella di Pompei, o, peggio, diAvellino, è intorno all’1 per cento;un’eruzione minore è data al 60 percento, una gravità media, sul 30. E suquest’ultimo dato si basano i piani dellaProtezione Civile. «In ogni caso nonabbiamo nessun segnale di imminenterisveglio del vulcano», precisaMacedonio. La previsione a breve termi-ne delle eruzioni vulcaniche è, nellamigliore delle ipotesi, una scienza inesat-ta. Prima dell’eruzione del 1980, il MonteSt. Helens, in Alaska, aveva dato cre-scenti segni di inquietudine; ma, secondoun rapporto del Servizio Geologico degliStati Uniti, “nel mese precedente il qua-dro non si era modificato”. Di più: lastessa mattina del 18 maggio 1980, leapparecchiature di monitoraggio “nonregistrarono alcun cambiamento insolitoche potesse essere interpretato come un

segnale d’allarme per la catastrofe chesarebbe avvenuta solo un’ora e mezzapiù tardi”. Se il Vesuvio desse segni dirisveglio, i vulcanologi sono convinti dipoter prevedere un’eruzione “in brevetempo”. Ma cosa significa, esattamente,in breve tempo? «Questo è il problema:non lo sappiamo», rispondeMastrolorenzo. «Non siamo certi dipoter prevedere un’eruzione come orapossiamo prevedere un uragano». Non èbello spaventare la gente senza motivo,ma è ancora peggio rischiare che miglia-ia di persone terrorizzate si precipitino afare la stessa cosa nello stesso momento.Penso a questo scenario un pomeriggio,chiuso in una macchina bloccata da uningorgo sulla tangenziale di Napoli. Cosasuccederebbe se il Vesuvio all’improvvisodesse segni di seria agitazione?

Come sempre accade quando ci sipuò basare su previsioni probabilistiche,regnerebbero confusione e incertezza. «Èdifficile immaginare come sarebbero igiorni prima di un’eruzione», ammetteMastrolorenzo. «Sarebbe peggio dell’eru-zione vera e propria». Probabilmenteuna parte dei napoletani fuggirebbe aiprimi cenni di turbolenza sismica, altrideciderebbero di restare, altri ancorapotrebbero andarsene, e magari, doposettimane o mesi di incertezza sismica,decidere di fare ritorno. Nella storiamoderna non esistono precedenti diun’evacuazione urbana di tale portata.Intanto, sulla tangenziale, le macchineavanzano a passo di lumaca; quattro filedi veicoli fanno a gara per infilarsi nelledue corsie dirette a nord. Impiego quasiun’ora per percorrere un chilometro emezzo, in una giornata in cui per lamaggior parte della popolazione l’impe-gno più urgente è una gita al mare. Conun traffico del genere, qualsiasi piano dievacuazione sembra nulla più che unapia speranza. E infatti, nell’ottobre del2006, durante un’esercitazione che simu-lava lo sgombero della zona rossa, il traf-fico sulla vicina autostrada Napoli-Pompei si è completamente bloccato, eun improvviso temporale ha ulterior-mente complicato l’esodo. Le autoritàhanno espresso soddisfazione per i risul-tati, ma i media parlavano di “ritardi ecaos”. E si trattava di un’esercitazioneridotta, che coinvolgeva solo un centina-io di abitanti per ognuno dei 18 comunidella zona rossa. Comunque sia, qualsia-si evacuazione dovrebbe essere già com-

pletata al momento di un’eruzione dellaportata di quella di Avellino. Il vulcanoscaglierebbe nell’aria milioni, forse miliardidi metri cubi di cenere, roccia e detriti, chericadrebbero a pioggia sul terreno, renden-do del tutto inutile qualsiasi mezzo di tra-sporto. Gli aerei non potrebbero volare. Itreni non viaggerebbero. Macchine, auto-bus e motorini non riuscirebbero a muover-si sul manto di cenere, anche se fosse spessosoli 10 centimetri.

Resterebbe un unico mezzo di trasporto,e di fuga: i piedi. Quattromila anni dopol’evento di Avellino, gli abitanti dellaCampania sarebbero costretti, ancora unavolta, a lasciare le loro impronte nella cenere.

«National Geographic», settembre 2007

rassegna stampa

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La riapertura della discarica di Lo Uttaro, in provincia diCaserta, alla luce del disastro ambientale e sanitario provocatodalla precedente gestione, appare ai cittadini un atto ingiustificatoe incomprensibile. Nonostante sia emersa - ed è agli atti della pro-cura di Caserta - l’esistenza, al di sotto del perimetro della nuovadiscarica autorizzata dal Commissariato, di una discarica abusivadi rifiuti tossici risalente agli anni Ottanta e mai bonificata, le isti-tuzioni continuano a sostenere che il conferimento di rifiuti stiaavvenendo in sicurezza e nella piena legalità. Non sono state forni-te risposte esaurienti riguardo agli interrogativi posti dall’ing.Orrico e dall’avv. Adinolfi: 1) perché il commissariato non ha uti-lizzato la cava Mastroianni, anch’essa in provincia di Caserta, chenon solo presentava caratteristiche più idonee per la realizzazionedi una discarica ma offriva maggiori garanzie di sicurezza rispettoalla cava Mastropietro su cui già gravava il disastro ambientale acausa del pluriennale sversamento illegale di rifiuti pericolosi diogni genere; 2) perché si consente lo sversamento a Lo Uttaro dirifiuti che, dalle analisi del Chelab, incaricato dallo stesso consor-zio CE3 di monitorare la composizione del materiale conferito, risul-tano essere talmente pericolosi per la salute e l’ambiente da rende-re necessario persino un trattamento preventivo in appositiimpianti per rifiuti tossici prima di essere conferito in discaricheper rifiuti speciali; 3) perché non è stata ancora ufficialmentesmentita l’ipotesi che il percolato prodotto dalla discarica utilizza-ta dal commissariato sia stato volutamente sversato nelle faldefreatiche invase per ciraca quattro metri dalla discarica stessa cheha raggiunto i 30 metri di profondità, nonostante la falda affioras-se già ad una profondità di 24 metri. Di fronte al silenzio assensodelle istituzioni il ruolo della magistratura diventa sempre più cen-trale, per questo l’ing Orrico e l’avv. Adinolfi da mesi hanno intra-preso azioni giudiziarie prima con il ricorso al Tar Campania – eso-

nerato per legge dall’occuparsi di contenziosi relativi alla gestionedei rifiuti campani in favore del Tar Lazio – quindi al Tar del Lazio,presso il tribunale di Caserta, ed infine al Tribunale di Napoli, dovela serietà del giudice Como blocca il conferimento dei rifiuti nelladiscarica, accogliendo il ricorso sulla base dell’ex art. 700 (pericu-lum in mora, che si applica quando il pericolo per la salute incom-be direttamente sul cittadino). Questa decisione viene però cancel-lata dalla richiesta da parte dell’avvocatura dello Stato di rigetta-re la sospensiva, che viene accolta immediatamente. “Lo Stato stacombattendo contro sé stesso” conclude l’ing. Orrico. L’avv.Adinolfi sottolinea che il ruolo dell’avvocatura dello Stato è quellodi difendere l’interesse pubblico. Gli fa eco Nicola Capone, segreta-rio generale delle Assise, sostenendo che anche il decreto legge n. 61dell’11 maggio 2007, cosiddetto “apri discariche”, è una pericolosacontraddizione del sistema giudiziario italiano in quanto conferisceun potere illimitato ad organi quali il Commissariato di Governo,potere che è servito non solo a rendere carta straccia le sentenzedella Magistratura, ma a vanificare la lotta condotta in passato dapubblici funzionari, come il prefetto Improta – ricorda Orrico –contro l’infiltrazione della criminalità organizzata nelle fila dellapubblica amministrazione.

Nella sola città di Caserta sono state censite circa 500 caveabbandonate. Questo enorme degrado potrebbe essere in breverisolto se i 5 milioni di tonnellate di “ecoballe” che infestano tut-t’ora il nostro territorio, perdendo senza alcun controllo un’ingen-te quantità di veleno che finisce nelle falde acquifere, fossero trat-tate e rese inerti con la tecnologia più avanzata, quella del tratta-mento meccanico biologico, riconvertendo gli ex impianti di cdr inimpianti per il T.M.B. e utilizzando le immense quantità di rifiutiora giacenti in Campania per la ricomposizione geomorfologica delterritorio, operazione prevista oltretutto dalla legge.

SEDUTA DELLE ASSISE DELLA CITTÀ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA DEL 2 SETTEMBRE 2007

“Lo Uttaro: un disastro ambientale. Il ruolo della magistratura e l’indifferenza della politica”

Relatori: Bruno Orrico, ingegnere chimico già responsabile della struttura tecnica del prefetto di Napoli Commissario delegato per l’emergenza rifiuti inCampania dal 1994 al 2003; Luigi Adinolfi, avvocato di cassazione specializzato in diritto amministrativo

SEDUTA DELLE ASSISE DELLA CITTÀ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA DEL 9 SETTEMBRE 2007

“Dagli incendi alle frane: l’emergenza in un territorio senza pianificazione”

Relatori: Giovan Battista de’ Medici, geologo; Gaetano De Simone, presidente dell’onlus “Progredire territorio - Carmine Iuorio”

Il prof. de’ Medici: «La terra è sottoposta a due tipi di modifica-zioni: interne ed esterne. Alle prime sono legati fenomeni quali terre-moti ed eruzioni, causati da movimenti interni alla Terra; le seconde,come le erosioni e le frane, sono dovute a dissesti ambientali. L’uomoè una delle cause dirette della rottura degli equilibri ambientali. Lospostamento in pianura degli abitanti delle colline e delle montagne,causato dalla perdita di identità e di funzione di queste aree all’inter-no del nostro modello di sviluppo, ha determinato il venir meno dellatradizionale manutenzione operata per secoli dalle popolazioni.

La svalutazione di queste aree, dovuta alla rottura del rappor-to tra individuo e territorio, ha fatto sì che la speculazione selvag-gia investisse anche i luoghi che per secoli hanno rappresentato unadelle risorse basilari dell’uomo. Tra i processi di speculazione quel-lo degli incendi, in queste ultime settimane, si è imposto all’atten-zione di tutti: dolosi nella quasi totalità dei casi, gli incendi arreca-

no danni gravissimi al territorio. Oltre alla perdita incalcolabile dipreziose aree boschive, gli incendi di quest’estate causeranno gravifrane nel periodo delle piogge autunnali: gli alberi infatti sono unargine naturale per i fenomeni di smottamento del terreno, poichéda un lato, con le radici, lo mantengono compatto, e dall’altro ridu-cono la velocità di discesa a valle delle acque piovane.

Da questo quadro si possono evincere due considerazioniimportanti: la prima è che la devastazione e l’abbandono dei terri-tori extra urbani e le catastrofi ambientali che ne derivano sono lospecchio dello schizofrenico modello di sviluppo occidentale cheporta l’uomo ad alienarsi dal proprio ambiente; la seconda è cheuna delle più gravi imputazioni che possono essere rivolte alla clas-se politica del nostro tempo è di non aver predisposto un pianorazionale per il governo del territorio. In Campania, dove interestrutture clientelari si reggono sul continuo perpetuarsi di emer-

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genze, il business degli interventi non mira alla prevenzione dei pro-blemi ma alle soluzioni, preferibilmente più costose che efficaci.Quando gli enti statali preposti al controllo del territorio sono statichiusi e le loro competenze trasferite alle regioni si è realizzato losfacelo dovuto allo sfruttamento delle emergenze».

Gaetano De Simone: «Il 75% del territorio campano è zonarossa per il rischio idrogeologico; nonostante ciò le istituzioni non sisono mai realmente preoccupate di realizzare un piano preventivoper scongiurare gravi catastrofi come quella di Sarno. Anche quan-do fortemente sollecitate dalle iniziative di singoli e comitati, leautorità politiche non hanno dato risposte adeguate, mirando inve-

ce ad una continua distrazione della popolazione dai problemi reali.Questo ha creato una democrazia senza cittadini, in cui i poteriforti dell’economia e della mafia si sono istituzionalizzati, arrivan-do a controllare i principali processi di gestione ed amministrazio-ne delle risorse e del territorio. Per l’uomo e l’ambiente, in questopatto, resta uno spazio davvero ridotto».

Francesco Iannello propone che, di fronte alla continua operadi rimozione dei gravi problemi della regione da parte dei cittadinicampani, incoraggiata dalle amministrazioni locali, le Assise realiz-zino un documentario sul disastro ambientale, sul dissesto idrogeo-logico e sul degrado generalizzato della città di Napoli.

SEDUTA DELLE ASSISE DELLA CITTÀ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA DEL 16 SETTEMBRE 2007

“Energie alternative e pulite”

Relatori: Massimo Dentice D’Accadia, docente di Energetica presso l’Università di Napoli “Federico II”

“Inquinati dentro: biomonitoraggio delle diossine, PCB e metalli pesanti su cittadini campani”

Relatori: Giampiero Angeli, ex Colonnello; Antonio Marfella, tossicologo-oncologo dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione “G. Pascale” di Napoli;Predsiede: Giovan Battista de’ Medici, geologo presso l’Università di Napoli “Federico II”

Dopo la relazione sulle energie rinnovabili esposta dal prof.Massimo Dentice D’Accadia, Giampiero Angeli, Colonnello del-l’esercito residente a Castel Volturno e primo cittadino campano adaver analizzato il livello di inquinanti presenti nel proprio corpo, hapresentato un quadro dell’inquinamento in Campania, illustrandole mappe delle aree a più alta concentrazione di siti inquinati, evi-denziando delle strane e pericoloso coincidenze: queste stesse areedelle province di Napoli e Caserta, le più colpite dall’aumento diincidenza e di mortalità per tumori, sono zone ad alta concentra-zione camorristica, ma soprattutto sono le stesse zone dove sorgo-no la quasi totalità degli impianti per lo smaltimento, lo stoccaggioe l’incenerimento dei rifiuti urbani. Giampiero Angeli ha poimostrato dettagliatamente i risultati delle analisi commissionate adue laboratori (Consorzio interuniversitario nazionale, “la chimicaper l’ambiente” Marghera-Venezia (VE) e Pacific Rim LaboratoriesSurrey, Canada, entrambi provvisti del certificato di qualità) sullaquantità di inquinanti presenti in quattro cittadini campani: duepastori di Acerra (uno dei quali già deceduto per un tumore deva-stante), proprietari di un gregge di pecore decimato dalle malfor-mazioni e dagli aborti spontanei, in cui è già stata attestata la pre-senza di 51 picogrammi di diossina per grammo di grasso; lo stessoGiampiero Angeli, residente a Castel Volturno e il dott. Marfella,oncologo del Pascale residente a Napoli.

I risultati sono a dir poco allarmanti: il pastore di Acerra dece-duto presentava un valore tossico equivalente who teq di 255 pico-grammi/g di grasso; il dott. Marfella, residente a Napoli 74 pg/g; ilsecondo pastore di Acerra 47 pg/g e Giampiero Angeli 45 pg/g afronte di un limite fissato internazionalmente di 9 pg/g. È scontatodire che queste analisi non hanno valore statistico, ma sono unmessaggio d’allarme che le istituzioni hanno il dovere di raccoglie-re e attivare finalmente, anche se con colpevole ritardo, un labora-torio in Campania capace di analizzare gli inquinanti sull’uomo einiziare le pratiche per evacuare la regione così come è stato fatto aSeveso e Caffaro a fronte di un inquinamento molte volte minore diquello registrato nella provincia di Napoli e Caserta.

Nicola Capone conclude: «Un ex colonnello dell’esercito haacquisito, nell’ambito di questo seminario di formazione perma-

nente, competenze che sono nettamente superiori a quelle espressedalle sette università della Campania che clamorosamente tacciono– o si rendono inconsapevoli complici – di uno dei più gravi disastriambientali che il mondo conosca. Oggi ci è sembrato, in questaAssise, di vedere uno dei grandi medici napoletani intento, dietro alsuo tavolo anatomico, ad esaminare un cadavere. Ma se non si com-prende che la disgraziata sorte di questa regione è stata segnata daquell’azienda che si è accaparrato l’appalto per la gestione dei rifiu-ti campani, che con disonestà scientifica e spietato interesse, haimpedito che si realizzasse la raccolta differenziata ed un ordinatociclo di gestione dei rifiuti, allo scopo di accumulare milioni di ton-nellate di false ecoballe (declassate, dopo essere state sequestratedalla magistratura, a semplice immondizia tritata) disseminate sulterritorio regionale su improvvisate piattaforme grandi come città,nelle uniche zone più fertili della Campania; se non si comprendeche ciò è avvenuto con l’unico intento di bruciare tutte quelle ballenel mega inceneritore di Acerra per incassare gli enormi proventidel Cip6 – vergogna italiana, impensabile nel resto dell’Europa –che assimila fraudolentemente il combustibile derivato da rifiuti afonte di energia rinnovabile, non si capiranno le vere cause del-l’emergenza rifiuti in Campania. La terra che ha dato i natali aGiordano Bruno e a Giambattista Vico e a decine dei più grandiintelletti dell’umanità ha avuto l’umiliazione di aver subito il piùgrande termovalorizzatore (tecnologia di per se già vecchia di tren-t’anni e superata) d’Europa ben tre volte quello presente a Vienna.

Gli anni sono trascorsi senza che nessun provvedimento venis-se adottato, il numero dei morti e dei malati è cresciuto esponen-zialmente e la magistratura non è ancora riuscita a sequestrare l’in-ceneritore di Acerra, atto dovuto che solo può imporre una svoltaa questa terribile storia di veleni. In caso contrario questo mostropasserà alla storia come il simbolo dell’ecatombe campana.

Tutto ciò è avvenuto perché a Napoli non ci sono più unDomenico Cirillo, un Domenico Cotugno o un Antonio Cardarelli,ma soltanto un Mariano Semmola redivivo nella persona del profes-sor Antonio Marfella, oncologo dell’Istituto dei Tumori di Napoli eun Giuseppe Comella, erede di Pietro Rondoni».

31resoconti Assise a cura di Rosaria Manzillo

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SEDUTA DELLE ASSISE DELLA CITTÀ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA DEL 23 SETTEMBRE 2007

“L’eterna vicenda di Bagnoli”

Relatori: Edoardo Benassai, ordinario di Costruzioni Marittime presso l’Università di Napoli “Federico II”; Giovan Battista de’ Medici, geologo pressol’Università di Napoli “Federico II”; Benedetto De Vivo, ordinario di Geochimica Ambientale presso l’Università di Napoli “Federico II”; Antonio Palma, ordina-

rio di Teoria generale del diritto presso l’Università di Napoli “Federico II”; Presiede: Raffaele Raimondi, Presidente Emeritodella Suprema Corte di Cassazione

Il prof. De Vivo ha mostrato la mappa dei risultati delle anali-si compiute dall’Icram sul litorale di Coroglio-Bagnoli e sui fonda-li antistanti. Queste zone sono inquinate in maniera grave da pcb(policlorobifenili) e ipa (idrocarburi policiclici aromatici). Durantele riunioni della commissione di vigilanza tecnica dei lavori di boni-fica dell’area ex Italsider il prof. De Vivo e i suoi colleghi hannochiarito – prima che la struttura di controllo fosse abolita – che labonifica doveva interessare soltanto, ma con urgenza, gli ipa e i pcb(in quanto composti organici fortemente cancerogeni), e non i me-talli pesanti perché presenti per ragioni naturali (in quanto l’areainsiste in zona vulcanica). I metalli pesanti presenti nelle scorie difonderia, inoltre, non costituiscono alcun problema per la salutepubblica. La fonte principale di inquinamento, ribadisce il profes-sore, resta la colmata a mare che impregnata dai liquidi provenien-ti dal deposito di carburanti della zona industriale, rilascia costan-temente in mare questi potenti inquinanti, come dimostrano le ela-borazioni grafiche delle analisi compiute dall’Icram.

Il prof. De Vivo ha denunciato, infine, la gravità della decisione diabolire la commissione di controllo sulla bonifica la quale, per questomotivo, procede alla cieca con un enorme spreco di denaro pubblico.

L’architetto Gerardo Mazziotti ha sottolineato nel suo interventogli enormi ritardi della trasformazione urbana di Bagnoli decisa findal giugno 1994 dall’amministrazione Bassolino col programma direalizzare tale trasformazione entro il 2004: sedici anni dalla dismis-sione dell’Ilva e delle altre industrie avvenuta il primo settembre1991, undici anni dall’inizio dei lavori di bonifica dei suoli affidati nel1996 alla Bagnoli spa e cinque anni dalla creazione nel 2002 della

società mista Bagnolifutura. L’arch. Mazziotti ha rilevato ancora che,pure essendo stati spesi fino ad oggi circa 700 miliardi di lire, con loscandaloso consto di oltre 2 miliardi per ettaro, non sono stati com-pletati i lavori di bonifica di tutti i 330 ettari della Variante dell’AreaOccidentale, non sono stati bonificati i litorali e i fondali marini diCoroglio per ripristinare la balneabilità delle spiagge, non è statarimossa la colmata a mare e non sono stati acquisiti e bonificati i suolidell’area del cementificio di proprietà Caltagirone e degli altri proprie-tari. L’arch. Mazziotti conclude perché venga disposto l’immediatoscioglimento della società Bagnolifutura e che vengano ripristinati ipoteri del Comune di Napoli con un ufficio apposito di controllo e divigilanza al fine di realizzare: la demolizione dei pontili e la rimozionedella colmata a mare ai fini della ricostituzione della linea naturale dicosta nel rispetto della legge n. 582/96 e del vincolo paesistico del-l’agosto del 1999 e il ripristino della spiaggia di Coroglio da via Napolifino al pontile di Nisida, con la decisione di affidare la progettazionedi tutta l’area attraverso concorsi internazionale e, infine, l’inclusionedi Nisida tra gli attrattori di sviluppo nel pieno rispetto degli attualivalori ambientali e naturalistici e dei volumi esistenti. L’Assise harinviato a una delle prossime sedute la discussione sulle propostecontenute nello schema di mozione presentata dall’arch. Mazziotti.

Il prof. Benassai ha trattato con una dettagliata relazionel’inattuabilità di un porto canale a Bagnoli perché solo la totaleincompetenza sul problema può progettare un porto canale dovenon esiste un canale e dove i venti e le correnti marine farebberoinsabbiare qualsiasi tentativo di porto come provato dalle prove invasca effettuate nel Politecnico dell’Università “Federico II”.

SEDUTA DELLE ASSISE DELLA CITTÀ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA DEL 30 SETTEMBRE 2007

“Salute e ambiente, dall’identità alla contrapposizione”Relatori: Michelangelo Bolognini, Medicina Democratica, Medico igienista Usl 3 Pistoia, ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente)

Michelangelo Bolognini: L’art. 32 della Costituzione Italiana con-sidera la salute un diritto fondamentale dell’individuo, sessant’annidopo, nella respinta Costituzione Europea del 2004, si ritrova un sem-plice diritto alle prestazioni sanitarie. Contestualmente a questa ridu-zione giuridica la prevenzione primaria – la vera e propria prevenzio-ne che mira ad eliminare le cause della malattia, intervenendo sullaproduzione e con la bonifica di ambienti già inquinati – viene semprepiù sostituita da «una falsa prevenzione, detta secondaria, che ha co-me funzione fondamentale quella di mantenere le famiglie delle figu-re professionali che se ne occupano (laboratoristi, addetti agli scree-ning ecc.)!». Negli anni ’60 e ’70 c’è la prima crisi generale del model-lo di vita, di produzione e sviluppo occidentale, per la prima volta siinizia a parlare di “limiti dello sviluppo”. Tutto questo viene raccol-to negli Stati Uniti da personaggi come il presidente Nixon che di-chiara guerra la cancro, fissando nel 2000 la data della sua definiti-va sconfitta. Un fiume di denaro inonda il settore della ricerca bio-medica, che diventa il secondo capitolo di spesa, dopo quello milita-re, degli Stati Uniti, senza riuscire minimamente a fermare quellache oggi si presenta come una epidemia di malati di cancro. Neglianni ’90 in Italia si istituiscono le agenzie nazionali e regionali perl’ambiente (ANPA e ARPA) superando il liberismo s tatunitense con un

divorzio nocivo tra salute e ambiente che dilapida un patrimonio dicompetenze e conoscenze racchiuse nei dismessi e sostituiti enti nazio-nali di controllo ambientale. Oggi ci restano delle buone norme comela Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) che se ben applicata – quista la maggiore difficoltà di reperire dei funzionari pubblici preparatie scrupolosi ed educati ai principi della prevenzione primaria – per-mette dei buoni margini di tutela. «Importanti responsabilità sono daimputare agli “ecolocrati” e ai “patolocrati” che non lavorano per sop-primere le fonti di nocività, ma le gestiscono per trarne potere». Em-blematico il caso della VIS (Valutazione d’Impatto Sanitario) sponso-rizzata dal dott. Fabrizio Bianchi e dalla dott. Eva Buiatti, peggioredella VIA, ma indicata come la panacea di tutti i mali. Concretamen-te si potrebbe, in linea con le indicazioni dello IARC della prima gestio-ne, giungere alla sostituzione, nella catena produttiva, delle sostanzecancerogene con materiali innocui, ma la legislazione recente sembraessere indirizzata in tutt’altre direzioni (l. 340/2000 e D.L. 152 del3/08/07), cancellando principi già fissati nel 1901 da Giolitti e mante-nuti nel 1934 da Mussolini: un modello generale inclusivo di nocività,l’onere della prova al produttore e il principio per cui la possibilità (ilpericolo) che un inquinante potesse danneggiare l’ambiente o le per-sone bastasse per prendere immediati provvedimenti cautelativi.

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La notizia della scomparsa a 78 anni, a Lione, di LorenzoTomatis ci ha lasciato desolati e sgomenti: siamo tutti più soli, vor-rei dire orfani. Questa morte era attesa, da tempo Lorenzo combat-teva con coraggio e dignità contro quella malattia a cui aveva dedi-cato tutta la sua vita di ricercatore e medico, ma non per questo ilvuoto che lascia è meno grande.

Fino all’ultimo momento di vita la sua voce pacata, il suo silen-zio paziente, la sua lucida intelligenza, era lì, per noi, per ascoltarciinnanzi tutto, per correggere il nostro lavoro, per scrivere un com-mento, per rispondere ai nostri dubbi, per darci un consiglio semprediscreto e puntuale, per indicarci ancora una volta la strada.

E la strada che Lorenzo per tutta la vita e, non solo a noi, haindicato era quella di una ricerca e di una medicina che mai, e pernessuna ragione, poteva essere disgiunta dal suo fine ultimo: quel-lo di essere sempre e comunque al servizio dell’uomo, della sua sa-lute, della sua dignità.

Lorenzo Tomatis è stato un ricercatore in campo oncologico difama mondiale, negli anni in cui ha diretto la IARC (AgenziaInternazionale per la Ricerca sul Cancro) ha posto le basi scientifi-che e metodologiche della cancerogenesi, identificando e classifican-do gli agenti inquinanti e le loro conseguenze per la salute umana.

Lorenzo ha sempre strenuamente difeso e posto l’accento sulruolo della Prevenzione Primaria, ovvero sulla tutela della saluteattraverso la riduzione dell’esposizione alle sostanze nocive che –come lui diceva – non smettono di essere tali una volta che esconodalle fabbriche o sotto latitudini diverse…

Purtroppo non è stato ascoltato; certamente oggi, anche perquesto, il mondo è più iniquo, sofferente, avvelenato. Tutto sembraormai ineluttabile, così Lorenzo chiamava quella sorta di oblio,quella rassegnazione, quello stringersi nelle spalle che sembra averecontagiato tutti, che ci porta ad accettare ogni compromesso, ognisopruso, che ci porta a pensare che niente e nessuno possa ormaiarrestare la deriva del nostro mondo, come se non fossimo più capa-ci di progettare il nostro destino, di pensare, di sognare, di ricercaresalute, equità, pace. In questo mondo malato lui vedeva una medi-cina parimenti malata, sempre più tecnologica ed orientata esclusi-vamente alla cura, ma sempre più lontana dalla ricerca delle verecause delle malattie. La chiamava: “la Grande Distrazione” «unafollia riduzionista sembrava essersi impossessata della mente digran parte dei ricercatori […] ogni laboratorio doveva scegliersi […]il suo gene»; il ricercatore andava a caccia della proteina alterata,senza più domandarsi il perché di quel danno.

Nel corso del suo lavoro, Tomatis ha dovuto assistere all’ac-quiescenza di ricercatori e scienziati che, condizionati sempre più

dagli interessi economici delle grandi corporation, producono risul-tati ambigui e confondenti in modo da rimandare ogni misura diprevenzione, molto più attenti a non ridurre i profitti di chi coman-da piuttosto che a proteggere la salute pubblica. «Quando mi sonolasciato comprare? Quando ho capito che la ricerca è al servizio delpotere e che il ricercatore è un’oca che produce uova d’oro e chequell’oro andava tutto sulla tavola di chi comanda» : queste sono leparole di un suo collega riportate nell’ultimo libro autobiograficodi Lorenzo, Il Fuoriuscito, in cui già il titolo bene esprime la suavolontà di porsi fuori da questo sistema malato, un sistema in cuinon è stato per lui più possibile riconoscersi.

L’attività letteraria di Lorenzo è l’altra grande espressionedella sua personalità: Tomatis infatti non è stato solo un grandemedico ed un grande ricercatore, ma anche un grande scrittore eproprio nei suoi romanzi egli rivela la sua umanità più profonda.Nelle anamnesi alle vecchiette che si protraevano oltre misura onell’abbraccio di Giannino, che gli butta i suoi i braccini attorno alcollo quando Lorenzo lascia il suo primo lavoro in un sanatorio, c’ètutto lo struggimento di un medico di fronte al dolore ed alla soffe-renza, specie a quella innocente di un bambino.

Lorenzo non era religioso ed ancor più, proprio per questo, lasua pietas ci commuove. Quanto rammarico, nei suoi occhi e nellesue pagine, per i malati, i morti, per le sofferenze evitabili ed inuti-li, specie quelle dei bambini sacrificati sull’altare degli interessi edel profitto! L’infanzia! Lorenzo aveva ben chiaro lo scenario che siva preparando ed il prezzo che pagherà chi verrà dopo di noi per ildegrado e l’inquinamento generalizzato dell’ambiente. Non potròmai dimenticare le parole da lui pronunciate il 25 novembre 2005,all’inizio dell’audizione in Comune a Forlì: «Le generazioni a veni-re non ci perdoneranno il danno che noi stiamo loro facendo».

Mi piace anche ricordare le altre parole che, sempre in quell’oc-casione, Tomatis ci disse: «A Forlì ho visto la scintilla del cambia-mento e da una scintilla può nascere anche un grande incendio […]è il momento della Resistenza».

Lorenzo, potrei continuare a riempire pagine e pagine pensan-do a te, certa che non arriverei mai ad esprimere compiutamentetutto ciò che sento, in particolare l’amicizia, l’affetto, la gratitudi-ne. Sono sicura in questo di esprimere anche i sentimenti di tanti etanti cittadini di Forlì che hanno avuto la grande opportunità diconoscerti, di ascoltarti, di stimarti.

Lorenzo, nel Giardino dei Giusti che c’è dentro il mio cuore,l’albero che in tuo onore ho piantato non si seccherà mai.

33

Ricordando Lorenzo TomatisRicercatore in campo oncologico di fama mondiale

di Patrizia GentiliniOncoematologa, Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia

(Agor@ magazine, 27 settembre 2007)

memorie

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3434La scuola di Pitagora editrice

presenta

Gli hegeliani di NapoliStudi e testi

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Gli hegeliani di Napoli. Studi e testi è una collana direttadalla Società di studi politici allo scopo di promuovere laripresa della tradizione filosofica e politica degli hegeliani

napoletani, le cui opere rappresentano il puntopiù avanzato della speculazione filosofica

e politica dell’età del Risorgimento.

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trando Spaventa compì durante gli anni dell’esilio. È in queste le-zioni ai suoi corsi universitari che il filosofo napoletano, appenacompiuta l’Unità d’Italia, fa una vera e propria opera di rannoda-mento «ripigliando», come egli stesso scrisse più volte, «le fila in-terrotte di quella tradizione veramente nazionale», disfacendo «l’o-pera di tre secoli, con la quale si tentò di distruggere sino le vesti-gia dell’ingegno italiano».

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armata di un più maturo concetto di libertà e tesa verso un nuovodiritto e un nuovo ethos. Silvio Spaventa, che fu uno dei più giova-ni protagonisti di quella stagione rivoluzionaria, si fece interprete e

propugnatore del risorgimento della coscienza politica e, dallecolonne del «Nazionale», s’impegnò a comprendere gli avvenimen-ti a lui contemporanei, sia nella loro necessità etica e pratica, sianel loro significato storico. Gli articoli del «Nazionale», che pub-blichiamo in questo volume, sono – come scrive Benedetto Croce –«la “filosofia” di quella “rivoluzione”» e insieme alla Riazione e ilprogresso, crediamo, rappresentano un documento storico e politicoindispensabile non solo per intendere la ragione di una rivoluzioneche ha cambiato il volto e la coscienza europea, ma anche per riap-propriarci pienamente di una tradizione politica e culturale chel’opera della reazione ha, dopo il Risorgimento, a più riprese, ten-tato di sconficcare dalle nostre coscienze.

Francesco Fiorentino

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Il metodo che io propongo per l’insegna-mento della filosofia ha questo scopo, direstaurare cioè in Italia il concetto filosofi-co. È tempo ormai che noi diventiamo ciòche siamo secondo natura, e che esplichia-mo tutto il ricco contenuto dell’ingegno

italiano. [...] Lo studio della filosofia non è un semplice eserciziodella intelligenza, è una necessità, un dovere. [...] Ciò che mancain Italia non è l’amor della libertà e dell’eguaglianza civile, ma lacoscienza del diritto, senza la quale la libertà e l’eguaglianzacivile sono astratte determinazioni e senza contenuto; ciò chemanca è la razionale notizia delle scienze morali e politiche,senza la quale le istituzioni non hanno realità, perché la solaragione è reale; e questa coscienza e questa notizia non si deriva-no che dalla filosofia.

proposte editoriali

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direttore responsabile Francesco de Notarisdirettore editoriale Francesco IannelloredazioneMassimo Ammendola, Luigi Bergantino, NicolaCapone, Antonella Cuccurullo, MilenaCuccurullo, Anna Fava, Carmen Gallo, AntoniaManca, Rosaria Manzillo, MassimilianoMarotta, Flora Micillo, Antonio Polichetti,Teresa Ricciardiello, Stefano Sarno, AlessandraStraniero

Progetto grafico e impaginazione:Teresa Ricciardiello, Carmen Gallo

editoreLa scuola di Pitagora srlwww.scuoladipitagora.it

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Assise della Cittàdi Napoli e del Mezzogiorno d’Italia

Bollettino delle Assisedella Città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia

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Bertrando Spaventa

Principi di eticaisbn 978-88-89579-22-0, p. 224euro 16,00

Sarebbe doveroso da parte dei numerosi scolari di lui, che copronoora cattedre di filosofia nelle università italiane, di raccogliere gliscritti sparsi del maestro, che sono assai importanti. Se qualcunovorrà porsi a quest’opera, io sarò lieto di mettere a sua disposizio-ne la corrispondenza letteraria e filosofica di Bertrando Spaventa,che si serba presso di me.

Benedetto Croce

[...] Questo libro dello Spaventa si ripresenta agli studiosi e vuol essere studiato; e chi loripubblica, non crede di dissotterrare un morto, poiché i vivi di oggi non sono riuscitiancora a leggere l’elogio funebre di questa filosofia, né dicono parola che mostri aver essisuperato la posizione di questo libro, aver inteso ciò che in esso si dice, e saper dire pergiunta qualche cosa di piú. Giudicar senza leggere o, che è lo stesso, senza capire, non èfare i conti con i libri; e i libri non se ne stanno a sentenze non motivate.

Giovanni Gentile

Questa esposizione non sarà né un compendio, né un estratto, né una parafrasi, ma il con-cetto, – direi quasi l’imagine, – che io mi son formato di essa [l’etica di Hegel, n.d.r.],spiegato e definito nelle forme piú essenziali in cui si individua sempre piú l’assolutezzadel volere.

Bertrando Spaventa

in preparazione

Bertrando Spaventa

Saggi di critica filosofica, politica e religiosaisbn 978-88-89579-08-4, p. 416euro 25,00

Page 36: Bollettino AssiseCase vecchie da rottamare di Aldo Loris Rossi p. 14 La città metropolitana è una sfida storica di Aldo Loris Rossi p. 16 C’è chi vuole costruire per creare la

Analfabetismo*

Perché in Italia ci sono ancora tanti analfabeti?Perché in Italia c’è troppa gente che limita la pro-pria vita al campanile, alla famiglia. Non è senti-to il bisogno dell’apprendimento della lingua ita-liana, perché per la vita comunale e familiarebasta il dialetto; perché la vita di relazione si esau-risce tutta quanta nella conversazione in dialetto.L’alfabetismo non è un bisogno, e perciò diventaun supplizio, un’imposizione di prepotenti. Perfarlo diventare bisogno occorrerebbe che la vitagenerale fosse più fervida, che essa investisse unnumero sempre maggiore di cittadini, e così faces-se nascere autonomamente il senso del bisogno,della necessità dell’alfabeto e della lingua. Ha piùgiovato all’alfabetismo la propaganda socialista ditutte le leggi sull’insegnamento obbligatorio. Lalegge è un’imposizione: può importi di frequenta-re la scuola, non può obbligarti a imparare, e,quando abbia imparato, a [non] dimenticare. Lapropaganda socialista desta subito il sentimentovivo del non essere solo individui di una piccolacerchia d’interessi immediati (il Comune e la fami-glia), ma i cittadini di un mondo più vasto, con glialtri cittadini del quale bisogna scambiare idee,speranze, dolori. La cultura, l’alfabeto ha cosìacquistato uno scopo, e fino a quando questoscopo vive nelle coscienze, l’amore del sapere siaffermerà imperioso. È verità sacrosanta, di cui isocialisti possono andar fieri: l’analfabetismo spa-rirà completamente, solo quando il socialismol’avrà fatta sparire, perché il socialismo è l’unicoideale che può fare diventare cittadini, nel sensomigliore e totale della parola, tutti gli italiani cheora vivono solo dei loro piccoli interessi personali,uomini nati solo a consumar vivande.

Antonio Gramsci1

Note* Articolo tratto da «La Città futura», numero unico pubblica-

to dalla Federazione giovanile socialista piemontese, Torino, 11 feb-braio 1917).

1 A. Gramsci, Scritti scelti, a cura di Marco Gervasoni,RadiciBur, Milano 2007.