Bisogna Difendere La Societa- Michel Foucault

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  • MICHEL FOUCAULT "Bisogna difendere la societ" Sotto la direzione di Frangois Ewald e Alessandro Fontana A cura di Mauro Bertani e Alessandro Fontana

    Un nuovo fondamentale strumento che si aggiunge al mosaico della "genealogia del sapere". Foucault conduce la sua indagine intorno alle pratiche politiche e le relazioni di potere. In questo corso, tenuto al Collge de France durante il 1976, esse vengono esaminate in rapporto al modello della guerra. L'analisi delle cronache e dei discorsi di argomento bellico conduce cos a una definizione del "bio-potere" inteso come ordine strategico, e quindi a un'articolazione della politica come prosecuzione, con altri mezzi e altre strutture di discorso, del modello suggerito dalla guerra. La storia delle lotte razziali e dei regimi totalitari si inserisce cos all'interno delle diverse forme disciplinari di sapere, col risultato di delineare i principali termini delle strategie di resistenza al potere e al "bio-potere".

    Michel Foucault (1926-1984) stato filosofo, archeologo dei saperi, saggista letterario, professore al Collge de France e autore di opere di importanza fondamentale per il pensiero contemporaneo. Dei suoi scritti, tutti improntati a un metodo che rifiuta ogni rigida distinzione tra teoria e storia, Rizzoli ha pubblicato: La storia della follia, Le parole e le cose, L'archeologia del sapere-, Einaudi: L'ordine del discorso. Sorvegliare e punire. Nascita della clinica. Il discorso, la storia, la verit; Feltrinelli: Scritti letterari. Storia della sessualit in tre volumi (La volont di sapere, L'uso dei piaceri. La cura di s). Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste in tre volumi (1. 1961-1970. Follia, scrittura, discorso; 2. 1971-1977. Poteri, saperi, strategie; 3. 1978-1985. Estetica dell'esistenza, etica, politica), "Bisogna difendere la societ", I corsi al Collge de France. I Rsurns, Gli anormali. Corso al Collge de France (1974-1975), L'ermeneutica del soglio. Corso al Collge de France (1981-1982), Il potere psichiatrico. Corso al Collge de France (1973-1974), Antologia. L'impazienza della libert, Sicurezza, territorio, popblazione. Corso al Collge de France (1977-1978), Nascita della biopolitica. Corso al Collge de France (1978-1979) e II governo di s e degli altri. Corso al Collge de France (1982-1983).

    In copertina: Michel Foucault. Foto di Carlos Frei re/Kapho/Grazia Neri. i r ufficio ^ lafico Kfltriiu'lli.

    ISBN 978-88-07-72089-5

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  • MICHEL FOUCAULT

    "Bisogna difendere la societ"

    Sotto la direzione di Fran5ois Ewald e Alessandro Fontana A cura di Mauro Bertani e Alessandro Fontana

    < Feltrinelli

  • Titolo dell'opera originale " IL FAUT DEFENDRE LA SOCIT" Hautes tudes Seuil-Gallimard, 1997

    Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione in "Campi del sapere" settembre 1998 Prima edizione nell"'Universale Economica" - SAGCiI gennaio 2009

    Seconda edizione febbraio 2010

    Stampa Nuovo Istituto Italiano d'Arti Grafiche - BG

    ISBN 978-88-07-72089-5

    www.feltrinellieditore.it Libri in uscita, Interviste, reading, commenti e percorsi di lettura. Aggiornamenti quotidiani razzlsmobruttastoria.net

  • Avvertenza

    Questo volume inaugura l'edizione dei corsi di Michel Foucault al Collge de Franca.

    Foucault ha insegnato al Collge de France dal gennaio 1971 fino alla morte, avvenuta nel giugno 1984 - ad eccezione del 1977, anno in cui egli pot beneficiare di un anno sabbatico. Il titolo della sua catte-dra era: "Storia dei sistemi di pensiero".

    Tale cattedra fu istituita il 30 novembre 1969, su proposta di Jules Vuillemin, dall'assemblea generale dei professori del Collge de France, in sostituzione della cattedra di Storia del pensiero filosofico, tenuta fino alla sua morte da Jean Hyppolite. La stessa assemblea elesse Michel Fou-cault, il 12 aprile 1970, come titolare della nuova cattedra.' Aveva qua-rantatr anni.

    Michel Foucault vi pronunci la sua lezione inaugurale il 2 dicem-bre 1970.2

    L'insegnamento al Collge de France obbedisce a regole particola-ri. I professori hanno l'obbligo di impartire 26 ore di insegnamento al-l'anno (possono essere svolte in forma di seminari di 13 ore al massi-mo).^ I docenti debbono presentare ogni anno una ricerca originale, e ci li costringe a rinnovare ogni volta il contenuto del loro insegnamento. La partecipazione ai corsi e ai seminari del tutto libera; non richiede n iscrizione n titoli di studio. Ma neppure gli insegnanti ne rilasciano alcuno.'* Nel vocabolario del Collge de France si dice che i professori non hanno studenti ma solo degli uditori.

    I corsi di Michel Foucault si svolgevano ogni mercoled dall'inizio di gennaio alla fine di marzo. Il pubblico, assai numeroso, composto da studenti, insegnanti, ricercatori, curiosi, molti dei quali stranieri, impe-gnava due anfiteatri del Collge de France. Michel Foucault si spesso dispiaciuto della distanza tra lui e il suo "pubblico", e del ridotto scam-bio che la forma del corso rendeva possibile.' Avrebbe desiderato un se-minario che fosse il luogo di un vero lavoro collettivo, e fece al riguardo numerosi tentativi. Negli ultimi anni, alla conclusione di ogni corso, si dedicava per un po' di tempo a rispondere alle domande degli uditori.

    Ecco come, nel 1975, un giom^ista del "Nouvel Observateur", Grard Petitjean, cercava di descrivere l'atmosfera che regnava ai suoi corsi:

  • "Quando Foucault entra nell'arena, rapido, quasi scagliandosi, co-me qualcuno che si stia gettando in acqua, scavalca dei corpi per rag-giungere la sedia, allontana i magnetofoni per depositare le sue carte, to-glie la giacca, accende una lampada e inizia, a cento all'ora. Voce forte, efficace, amplificata dagli altoparlanti, sola concessione al modernismo di una sala appena illuminata da una luce diffusa da coppe di stucco. So-no disponibili trecento posti e ci sono cinquecento persone incollate, che occupano anche il pi piccolo spazio libero [...]. Nessun effetto oratorio, ma tutto limpido e terribilmente efficace. Neanche la pi piccola con-cessione all'improwisazione. Foucault ha a disposizione dodici ore al-l'anno per spiegare, in un corso pubblico, il senso della ricerca che ha condotto durante l'anno precedente. per questo che concentra al mas-simo e riempie i margini come quei corrispondenti che hanno ancora troppo da dire e sono gi arrivati al termine dello spazio a loro disposi-zione. 19.15: Foucault si ferma. Gli studenti si precipitano verso la sua cattedra. Ma non per parlargli, bens per spegnere i loro magnetofoni. Nessuna domanda. Nella calca, Foucault solo". E Foucault commenta: "Si dovrebbe poter discutere quel che ho proposto. Talvolta, quando il corso non stato soddisfacente, basterebbe poco, anche solo una do-manda, per rimettere tutto a posto. Ma questa domanda non arriva mai. In Francia, l'effetto di gruppo rende ogni discussione reale impossibile. E dato che non c' nessuna risposta di ritomo, il corso si teatralizza. Con quelli che sono presenti ho allora un rapporto quasi da attore o da acro-bata. E quando ho finito di parlare, un sentimento di solitudine totale...".^

    Michel Foucault affrontava il proprio insegnamento come un ri-cercatore: esplorazioni per un libro a venire, ma anche dissodamento di campi di problematizzazione, che tuttavia risultavano formulati come un invito lanciato ad eventuali ricercatori futuri. per questo che i cor-si al Collge de France non reduplicano i libri pubblicati. Non ne sono l'abbozzo, anche se taluni temi possono risultare comuni ai libri e ai cor-si. Hanno il loro proprio statuto. Procedono da un regime discorsivo spe-cifico nell'insieme degU "atti filosofici" effettuati da Michel Foucault. In particolare, nei corsi egli tenter di mettere in opera il programma di una genealogia dei rapporti sapere/potere in funzione del quale, a par-tire dagli inizi degli anni settanta, orienter il proprio lavoro - in oppo-sizione a quello di una archeologia delle formazioni discorsive che lo aveva fino ad allora orientato.'

    I corsi avevano anche una funzione nell'attualit. Il pubblico che si recava a seguirli non era solamente avvinto dal racconto che veniva co-struito settimana dopo settimana; non era soltanto sedotto dal rigore del-l'esposizione; vi trovava anche un tentativo di messa in luce dell'attua-lit. L'arte di Michel Foucault consisteva nel "diagonalizzare" l'attualit attraverso la storia. Poteva parlare di Nietzsche o di Aristotele, della pe-rizia psichiatrica nel xix secolo o della pastorale cristiana, ma il pubbli-co ne traeva sempre un lume sul presente e sugli avvenimenti che gli era-no contemporanei. La potenza particolare di Foucault nei suoi corsi di-pendeva proprio da questo sottile incrocio tra una erudizione profonda, un impegno personale e un lavoro sull'avvenimento. Durante gli anni set-tanta abbiamo assistito allo sviluppo, e al perfezionamento, dei regi-stratori a cassetta. La cattedra di Michel Foucault ne fu ben presto in-vasa. Ci ha cos consentito di conservare i corsi (e taluni seminari).

  • Questa edizione ha assunto come riferimento la parola pubblica-mente proferita da Michel Foucault. Essa ne fornisce la trascrizione pi letterale possibile. Avremmo voluto consentirne la diffusione tale e quale. Ma il passaggio dall'orale allo scritto impone un intervento del-l'editore: necessario, come minimo, introdurre una punteggiatura e stabilire dei paragrafi. Il principio che ci ha guidati sempre stato quel-lo di restare il pi possibile fedeli al corso effettivamente pronunciato.

    Quando ci parso indispensabile, le riprese e le ripetizioni sono sta-te soppresse; le frasi interrotte sono state ristabilite e le costruzioni scor-rette rettificate.

    I punti di sospensione segnalano che la registrazione non udibi-le. Quando la frase oscura compare, tra parentesi quadre, una inte-grazione congetturale o un'aggiunta.

    Un asterisco a pi di pagina indica le varianti pi significative, ri-spetto a ci che stato effettivamente detto, tra quelle contenute nelle note utilizzate da Foucault.

    ' Le citazioni sono state verificate e i riferimenti ai testi utilizzati so-no stati indicati. L'apparato critico si limita a delucidare i punti oscuri, a esplicitare talune allusioni e a precisare i punti critici.

    Per facilitare la lettura, ogni lezione stata preceduta da un breve sommario che ne indica le principali articolazioni.

    II testo del corso seguito dal riassunto pubblicato neW'Annuaire du Collge de Franca. Michel Foucault lo redigeva generalmente nel me-se di giugno, qualche tempo dopo la fine del corso. Quella era per lui l'occasione per circoscriverne, retrospettivamente, l'intenzione e gli obiet-tivi. E tali riepiloghi rappresentano la miglior presentazione di ciascun corso.

    Ogni volume si conclude con una "nota dei curatori" di cui sono re-sponsabili unicamente gli editori di ogni corso: in essa si cerca di forni-re al lettore alcuni degli elementi del contesto di ordine biografico, ideo-logico e politico, situando il corso all'interno dell'opera pubblicata e in-dicandone la collocazione all'interno del corpus utilizzato, allo scopo di facilitarne la comprensione e di evitare i controsensi che potrebbero sor-gere dall'oblio delle circostanze nelle quali ciascun corso stato elabo-rato ed enunciato.

    Con questa edizione dei corsi al Collge de France, una nuova di-mensione deir'opera" di Michel Foucault risulta pubblicata.

    Non si tratta, in senso proprio, di inediti, dal momento che questa edizione riproduce la parola proferita pubblicamente da Michel Fou-cault, con la sola esclusione del supporto scritto che egli utilizzava e che poteva essere anche molto elaborato. Daniel Defert, che possiede le no-te di Michel Foucault, ha permesso agli editori di consultarle. Vorrem-mo qui esprimergli la nostra profonda gratitudine.

    Questa edizione dei corsi al Collge de France stata autorizzata dagli eredi di Michel Foucault che hanno voluto cos soddisfare la forte pressione esercitata su di loro, tanto in Francia quanto all'estero. E ci entro incontestabili condizioni di seriet. Gli editori hanno cercato di essere all'altezza della fiducia che stata loro accordata.

    Frangois Ewald e Alessandro Fontana

  • Note

    ' Foucault aveva concluso ropuscolo redatto in occasione della sua candi-datura con questa formula: "Sarebbe necessario intraprendere la storia dei si-stemi di pensiero" ("Titres et travaux", in Dits et crts, 1954-1988, a cura di D. Defert e E Ewald, Gallimard, Paris 1994, voi. i, p. 846).

    ^ Verr pubblicata dalle edizioni Gallimard nel marzo 1971 col titolo L'or-dre du discours, tr. it. L'ordine del discorso, Einaudi, Torino 1972.

    ^ Cosa che Foucault fece fino agli inizi degli anni ottanta. " Nell'ambito del Collge de France. ^ Nel 1976, nella (vana) speranza di ridurre l'uditorio, Foucault modific l'o-

    ra del corso, che pass cos dalle 17.45 pomeridiane alle 9.00 del mattino. Si ve-da in questo volume l'inizio della prima lezione (7 gennaio 1976).

    ^ G. Petitjean, Les grands prtres de l'Universitfranfaise, "Le Nouvel Obser-vateur", 7 aprile 1975.

    ' Cfr. in particolare, "Nietzsche, la gnalogie, l'histoire", in Dits et crits, cit., voi. II, p. 137, tr. it. "Nietzsche, la genealogia, la storia", in Microfisica del po-tere, Einaudi, Torino 1977, pp. 30-31.

    Sono state in particolare utilizzate le registrazioni effettuate da G. Burlet e da J. Lagrange, oggi depositate presso il Collge de France e presso la Bibliothque du Saulchoir

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  • Corso del 7 gennaio 1976

    Che cos' un crso? - / saperi assoggettati - Il sapere storico delle lotte, le genealogie e il discorso scientifico - Il potere, posta delle genealogie - Con-cezione giuridica ed economica del potere - Il potere come repressione e come guerra - Rovesciamento dell'aforisma di Clausewitz.

    Vorrei che tutti voi aveste in qualche modo chiaro come fun-zionano i corsi che si tengono al Collge de France. Sapete cer-tamente che l'istituzione in cui vi trovate, e in cui mi trovo an-ch'io, non propriamente destinata all'insegnamento. In ogni ca-so, al di l del significato che gli si voluto attribuire al momen-to della sua creazione, ormai tanto tempo fa, il Collge de Fran-ce adesso funziona soprattutto come una sorta di organismo di ricerca: si viene pagati per fare ricerca. E ritengo - al limite - che l'attivit di insegnamento che vi viene svolta non avrebbe senso se non le si conferisse, o se almeno non le si riconoscesse, il se-guente significato, che mi limito a suggerire: dal momento che si viene pagati per fare della ricerca, chi pu controllare tale ricer-ca? In che modo si possono tenere al corrente tutti quelli che pos-sono essere interessati ad essa e tutti quelli che hanno una qual-che ragione per collegarvisi? Come si pu fare a realizzare que-sto obiettivo, se non per mezzo dell'insegnamento, vale a dire at-traverso la pubblica illustrazione, il rendiconto pubblico, e al-l'incirca regolare, del lavoro che si viene facendo? Non conside-ro quindi queste riunioni del mercoled solo come delle attivit di insegnamento, ma piuttosto come una sorta di rendiconto pub-blico di un lavoro che sono libero, d'altra parte, di svolgere pres-sappoco come desidero. Proprio per questa ragione credo che sia assolutamente mio dovere esporvi all'incirca quello che sto fa-cendo, a che punto mi trovo e verso quale direzione [...] procede il mio lavoro. E per la stessa ragione vi considero interamente li-beri di fare, con quello che dico, ci che volete. Si tratta di piste di ricerca, di idee, di schemi, di linee generali. In altri termini: sono strumenti. Fatene pure quello che volete. Certo che, al li-mite, mi interessa sapere che cosa farete di quello che dico, ma non mi riguarda. E non mi riguarda, nella misura in cui non spet-ta a me stabilire le leggi dell'uso che potrete fame. Mi interessa.

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  • invece, nella misura in cui, in un modo o nell'altro, si ricollegher a quello che faccio e si innester su di esso.

    Sapete come sono andate le cose nel corso degli anni prece-denti: per una sorta di inflazione, di cui si comprendono a fatica le ragioni, eravamo arrivati ad una situazione senza sbocchi. Voi eravate obbligati ad arrivare alle sedici e trenta [...] ed io mi tro-vavo di fronte un uditorio composto da persone con le quali non avevo, alla lettera, alcun contatto, dal momento che buona parte, se non la met, degli ascoltatori doveva recarsi in un'altra aula per sentire quello che stavo dicendo attraverso un microfono. Tutto ci non risultava neppur pi una forma di spettacolo - dato che non ci vedevamo. Ma si trattava di una situazione senza vie di un-scita soprattutto per un'altra ragione. Dover fare, tutti i mercoled sera, questa specie di circo era ormai diventato per me qualcosa che stava tra il supplizio e la noia (il primo termine forse un po' esagerato e il secondo troppo debole). Riuscivo infatti a prepa-rare i corsi con una certa cura e attenzione. Tuttavia consacravo molto tempo, pi che alla ricerca vera e propria e alle cose inte-ressanti e insieme un po' incoerenti che avrei potuto dire, a do-mandarmi come avrei potuto, in poco pi di un'ora, inventare qualcosa per non annoiare i presenti e far s che, in ogni caso, la buona volont mostrata nel venire cos presto e nello stare ad ascoltarmi per un tempo cos breve fosse, almeno in parte, ri-compensata. Ho pensato a tutto questo per mesi, ma non credo che quanto ha costituito la ragion di essere della mia e della vo-stra presenza qui - cio fare ricerca, raschiare, togliere la polvere accumulatasi sopra tante cose, avere delle idee - fosse effettiva-mente la ricompensa del lavoro [svolto]. Le cose restavano trop-po in sospeso. Allora mi sono detto che non sarebbe stata una cat-tiva idea ritrovarsi in trenta o quaranta in un'aula dove mi fosse possibile dire, in un qualche modo, ci che facevo, avendo per al contempo un contatto con voi, parlando con voi, rispondendo alle vostre domande. Insomma, dove fosse possibile ristabilire al-meno alcune delle possibilit di scambio e di contatto abitual-mente legate alla normale pratica di ricerca o di insegnamento. Ma come fare, dato che legalmente non posso porre delle condi-zioni formali di accesso a quest'aula? Ho adottato allora il meto-do selvaggio consistente nel collocare il corso alle nove e mezzo del mattino, ritenendo, come qualcuno mi diceva proprio ieri, che gli studenti non sappiano pi alzarsi cos presto. Voi direte che si tratta comunque di un criterio di selezione non molto giusto dtil momento che discrimina tra quelli che si alzano presto e quelli che si alzano tardi. Ma se non si fosse trattato di questo criterio, avrei dovuto sceglierne un altro. E in ogni caso, mi sono detto, ci sono pur sempre dei registratori ad assicurare la circolazione del-le mie lezioni, che talvolta restano in forma di nastro, talaltra di-

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  • ventano un dattiloscritto e, in qualche caso, finiscono persino in libreria. Perci tenteremo di fare cos. [...] Scusatemi dunque se vi ho fatto alzare presto. E scusatemi anche con quelli che non possono venire. Ma converrete che - per poter rimettere, almeno in parte, queste conversazioni e questi incontri del mercoled nel quadro pi normale di una attivit di ricerca, di un lavoro che vie-ne svolto e che deve rendere conto di s ad intervalli istituzionali e regolari - era necessario farlo.

    Che cosa vorrei dirvi allora quest'anno? In primo luogo che ne ho abbastanza, che vorrei cio cercare di chiudere, o almeno di porre, fino a un certo punto, termine a una serie di ricerche (an-che se si tratta di un'espressione che viene usata un po' a caso, sen-za sapere esattamente che cosa significhi) che ho svolto da quat-tro o cinque anni, praticamente da quando sono qui, e che - me ne rendo conto - procurano a voi come a me degli inconvenienti. Si trattava di ricerche che erano molto vicine le une alle altre, ma non riuscivano mai a formare un insieme coerente e continuo. In-somma: erano ricerche frammentarie che non solo non venivano portate a termine, ma che non avevano nemmeno un seguito; era-no ricerche disperse e al contempo assai ripetitive, che ricadeva-no negli stessi tracciati, negli stessi temi, negli stessi concetti. Ho fatto brevi accenni alla storia della procedura penale, qualche ca-pitolo sull'evoluzione e l'istituzionalizzazione della psichiatria nel XIX secolo, alcune considerazioni sulla sofistica, sulla moneta gre-ca o suU'inquisizione nel medioevo. Ho delineato i tratti di una sto-ria della sessualit (o forse solo di una storia del sapere sulla ses-sualit) attraverso le pratiche della confessione nel xvii secolo e le forme di controllo della sessualit infantile nel xviii-xix secolo; ho tentato di individuare la genesi di una teoria e di un sapere sull'a-nomalia con le molteplici tecniche che vi sono collegate. Ma tutto questo si trascina inerte, non va avanti, si ripete e non trova con-nessioni al proprio intemo. In fondo, non cessa di dire la stessa co-sa, eppure - forse - non dice nulla; si aggroviglia in una confusio-ne poco decifrabile, che non riesce ad organizzarsi. In breve, co-me si dice, non approda a niente.

    Potrei dire che, dopo tutto, si trattava di piste da seguire e quindi poco importava dove conducessero. Potrei anzi dire che era importante che non andassero da nessuna parte, in nessuna direzione determinata in anticipo. Erano non pi che linee ge-nerali. A voi tocca di continuarle o di condurle altrove; a me, even-tualmente, di svilupparle o di dar loro un'altra configurazione. Un giorno o l'altro vedremo, forse, che cosa si pu fare di tutti questi frammenti. Per parte mia, mi sembrava di essere come un capodoglio che salta sulla superficie dell'acqua, lasciandovi una piccola traccia incerta e provvisoria di schiuma, e lascia credere - fa credere, o vuol credere, o crede forse effettivamente lui stes-

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  • so - che al di sotto, l dove non lo si vedo piCi, l dove non pi scorto e controllato da nessuno, segua una traiettoria pi profon-da, pi coerente, pi ragionata.

    Ecco, all'incirca, com'era la situa/ione, o almeno come io la percepivo. Non so come essa apparisse ai vostri occhi. Ma dopo tutto, il fatto che il lavoro che vi ho presentato abbia avuto que-sto andamento insieme frammentario, ripetitivo e discontinuo, potrebbe senz'altro corrispondere a qualcosa come una "pigrizia febbrile", quella che colpisce caratterialmente gli amanti delle bi-blioteche, dei documenti, dei riferimenti, delle scritture polvero-se, dei testi che non sono mai stati letti, dei libri che, appena stam-pati, vengono subito richiusi e dormono sugli scaffali delle bi-jlioteche, da dove verranno ripresi solo qualche secolo pi tar-di. Tutto ci converrebbe bene all'inerzia indaffarata di coloro che professano un sapere per nulla, una specie di sapere sun-tuario, una ricchezza da parvenu i cui segni esteriori, lo sapete bene, si trovano disposti a pi di pagina. Converrebbe a tutti co-loro che si sentono solidali con una delle pi antiche, e anche del-le pi caratteristiche e stranamente indistruttibili tra le societ segrete dell'Occidente - societ che il mondo antico non cono-sceva e che si sono formate all'inizio del cristianesimo, proba-bilmente all'epoca dei primi conventi, ai margini delle invasioni, degli incendi e delle foreste. Voglio parlare della grande, tenera e calorosa massoneria dell'erudizione inutile.

    Ma non semplicemente il gusto di questa massoneria che mi ha spinto a fare ci che ho fatto. Mi sembra che il lavoro svol-to - e che intercorso in maniera talvolta empirica e aleatoria tra voi e me, e reciprocamente - potrebbe venir giustificato dicendo che stato adeguato a un determinato periodo, assai limitato, ap-pena trascorso: gli ultimi dieci, quindici, al massimo vent'anni. In questo periodo si possono infatti notare due fenomeni che so-no stati, se non realmente importanti, almeno, mi sembra, ab-bastanza interessanti. Da una parte, quello che abbiamo vissuto stato un periodo caratterizzato da quella che si potrebbe chia-mare l'efficacia delle offensive disperse e discontinue. Ho in men-te molte cose. Penso, per esempio, alla strana efficacia, quando si trattato di ostacolare il funzionamento dell'istituzione psi-chiatrica, del discorso, dei discorsi localizzati dell'antipsichiatria; discorsi che, come noto, non erano e non sono ancora soste-nuti da nessuna sistematizzazione di insieme, quali che abbiano potuto essere o possano essere ancora i loro riferimenti. Penso al riferimento originario all'analisi esistenziale' o ai riferimenti che attualmente vengono fatti, approssimativamente, al marxi-smo o alla teoria di Reich.^ Penso anche alla strana efficacia de-gli attacchi che sono stati rivolti contro quella che potremmo chiamare la morale e la gerarchia sessuale tradizionale, attacchi

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  • che non si riferivano se non vagamente e alla lontana, in ogni ca-so in modo molto incerto, a Reich o a Marcuse.^ Penso ancora all'efficacia degli attacchi contro l'apparato giudiziario e penale, alcuni dei quali si connettevano molto da lontano alla nozione generale (e d'altronde assai dubbia) di giustizia di classe e altri si ricollegavano in modo di poco pi preciso, in fondo, ad una te-matica anarchica. Penso infine, e pi precisamente, all 'efficacia di qualcosa - non oso neppure dire di un libro - come L'anti-Edi-po* che non era e non si riferiva praticamente a quasi nient'al-tro che alla sua stessa prodigiosa inventivit teorica; libro, o piut-tosto cosa, avvenimento che riuscito a rendere rauco, sin nella sua pratica pi quotidiana, il mormor io purtuttavia cos a lungo ininterrotto che passato dal divano alla poltrona.

    Dunque, direi che da dieci o quindici anni quello che emerge l'immensa e proliferante criticabilit dell c'^, delle Istituzio-ni, del[ej)ratiche, dei discorsi; una spci di'friatiilit generale dei suoli, anche" e Frs soprattutto di quelli pi familiari, pi solidi e pi vicini a noT^ al nostro corpo, ai nOglrTgesti quotidiani. Ma, in-sieme a questa friabilU.e a j ^ ^ t a stpeEciile e f f i cac la l^ cri-tiche discontinue, particolari,e locali^ si scopre^ancterlli realt, qualcosa che forse, non era previsto aTTfriizio e che si potrebbe chiaiiiare l 'effetto inibitore proprio delle teorie tqtal t^ie, o in ogni caso delle teorie avvolgenti e ^ lobali_^ NorTche questeTorie non abbiano fornito e non forniscano ancora, inlioSo^osTante, degli strumenti ufilTzzabili Toclrnnt: il rhrxismo e la psicoanalisi stann l pfovrl". Ma credo ch'ess iifi abbiatiD fornito que-sti struirienti localmente utilizzabili se non a cndiztOTie, appun-to, che l'unit teorica del discrso fpss comun-que ritagliata, lacerata, fatta a pe_^zi, rovesciata", "spStata, messa in caricatura, derisa, " t ea t ra^^ ta . In ogni caso, ognlr ipresa ne-gli stessi termini della tot^it ha mhQ^^u In pri-mo luogo, dunque, le cose che sono accadute dUiia quindicina d'annT questa parte mostrano, se volete, che te critica ha avuto un carattere locale. Il che non vu'l'dire, crdo""STTrpirismo ottu-so, ingnuo o primitivo, e neppure significa eclettismo confusio-nario, opportunismo, permeabilit a qualsivoglia impresa teori-ca. Ma nemmeno vuol dire ascetismo un po' volontario, che si ri-durrebbe da s alla pi grande povert teorica. Credo che questo carattere essenzialmente locale della critica indichi, in realt, qual-cosa che sarebbe una specie di produzione teorica autonoma, non centralizzata, che non ha bisogno cio, per stabilire la propria va-lidit, del beneplacito di un regime comune.

    E qui si tocca una seconda caratteristica di quel che acca-duto da qualche tempo a questa parte: la critica locale si ope-rata, mi sembra, attraverso ci che potremmo chiamare dei "ri-torni di sapere". Con "ritorni di sapere" vogl io dire che senz'al-

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  • tro vero che negli anni appena trascorsi si incontrato spesso, almeno a livello superficiale, tutta una tematica di questo gene-re: "non pi il sapere, ma la vita", "non pi conoscenze, ma il rea-le", "non libri, ma soldi"^ ecc. Ma mi sembra che al di sotto di questa tematica, attraverso di essa, in essa, abbiamo visto pro-dursi quella che potremmo chiamare l'insurrezione dei saperi as-soggettati. Quando dico "saperi assoggettati", intendo due cose. In primo luogo, voglio designare dei contenuti storici che sono stati sepolti o mascherati entro coerenze funzionali o in siste-matizzazioni formali. Concretamente, ci che ha permesso di fa-re la critica effettiva del manicomio, come della prigione, non stata certo n una semiologia della vita manicomiale n una so-ciologia della delinquenza, ma l'apparizione di contenuti storici. E questo per la semplice ragione che solo i contenuti storici con-sentono di ritrovare la rottura degli scontri e delle lotte che gli arrangiamenti funzionali o le organizzazioni sistematiche han-no appunto per scopo di mascherare. Dunque, i "saperi assog-gettati" sono questi blocchi di saperi storici che erano presenti e mascherati all'interno degli insiemi funzionali e sistematici, e che la critica ha potuto far riapparire attraverso gli strumenti dell'e-rudizione.

    In secondo luogo, quando parlo di "saperi assoggettati" cre-do si debba intendere un'altra cosa e, in un certo senso, tutt'al-tra cosa. Con "saperi assoggettati" intendo tutta una serie di sa-peri che si erano trovati squalificati come non concettuali o non sufficientemente elaborati: saperi ingenui, saperi gerarchica-mente inferiori, saperi collocati al di sotto del livello di cono-scenza o di scientificit richiesto. Ed attraverso la riapparizio-ne di questi saperi dal basso, di questi saperi non qualificati o ad-dirittura squalificati: quello dello psichiatrizzato, quello del ma-lato, quello dell'infermiere, quello del medico ma come sapere parallelo e marginale rispetto al sapere della medicina, quello del delinquente ecc. - quel sapere che chiamerei il "sapere della gen-te" (e che non affatto un sapere comune, un buon senso, ma , al contrario, un sapere particolare, locale, regionale, un sapere differenziale, incapace di unanimit e che deve la sua forza solo alla durezza che oppone a tutti quelli che lo circondano) - at-traverso la riapparizione di questi saperi locali della gente, di que-sti saperi squalificati, che si operata la critica.

    Eppure, si dir, c' come uno strano paradosso nel voler met-tere insieme, nella stessa categoria dei "saperi assoggettati", da un lato i contenuti della conoscenza storica meticolosa, erudita, esatta, tecnica, e dall'altro i saperi locali, singolari, quei saperi della gente che sono saperi senza senso comune e che sono stati in qualche modo lasciati da parte, quando non sono stati effetti-vamente ed esplicitamente emarginati. Ebbene, mi sembra che

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  • in questo accoppiamento tra i saperi sepolti dell'erudizione e quel-li squalificati dalla gerarchia delle conoscenze e delle scienze si sia effettivamente realizzato ci che ha dato la sua forza essen-ziale alla critica operata dai discorsi di questi ultimi quindici an-ni. Di cosa si trattava, infatti, in ambedue le forme di sapere, in quelli assoggettati e in quelli sepolti, tanto nel sapere dell'erudi-zione quanto nei saperi squalificati? Si trattava del sapere stori-co delle lotte. Nei settori specializzati dell'erudizione come nel sapere squalificato della gente giaceva la memoria degli scontri, quella, appunto, che fino ad allora era stata tenuta al margine.

    Si cos venuta delineando quella che si potrebbe chiamare una genealogia, o piuttosto delle ricerche genealogiche molte-plici: riscoperta meticolosa delle lotte e insieme memoria bruta degli scontri. E queste genealogie come accoppiamento di sape-re erudito e sapere della gente, non stato possibile farle, e nep-pure tentarle, se non a una condizione: che fosse eliminata la ti-rannia dei discorsi globalizzanti con l loro gerarchia e tutti i pri-vilegi delle avanguardie teoriche. Chiamiamo dunque "genealo-gia", se volete, l'accoppiamento delle conoscenze erudite e delle memorie locali: accoppiamento che permette la costituzione di un sapere storico delle lotte e l'utilizzazione di questo sapere al-l'interno delle tattiche attuali. Sar dunque questa la definizione provvisoria delle genealogie che ho cercato di fare insieme a voi nel corso degli ultimi anni.

    In questa attivit, che si pu chiamare dunque genealogica, non si tratta affatto, in realt, di opporre all'unit astratta della teo-ria la molteplicit concreta dei fatti o di squalificare l'elemento spe-culativo per opporgli, nella forma di uno scientismo banale, il ri-gore di conoscenze ben stabilite. Non certo un empirismo quel-lo che attraversa il progetto genealogico, e nemmeno un positivi-smo, nel senso ordinario del termine, quel che gli vien dietro. Si tratta, in realt, di far entrare in gioco dei saperi locali, disconti-nui, squalificati, non legittimati, contro l'istanza teorica unitaria che pretenderebbe filtrarli, gerarchizzarli, ordinarli in nome di una conoscenza vera e dei diritti di una scienza che sarebbe detenuta da qualcuno. Le genealogie non sono dunque dei ritomi positivi-sti ad una forma di scienza pi attenta o pi esatta. Le genealogie sono precisamente delle anti-scienze. Non che rivendichino il di-ritto lirico all'ignoranza o al non-sapere; non che si tratti di rifiu-tare il sapere o di mettere in gioco, in evidenza, il prestigio di un'e-sperienza immediata, non ancora catturata dal sapere. Non di questo che si tratta. Si tratta invece dell'insurrezione dei saperi. E non tanto contro i contenuti, i metodi o i concetti di una scienza, quanto innanzitutto contro gli effetti di potere centralizzatori le-gati all'istituzione ed al funzionamento di un discorso scientifico organizzato all'interno di una societ come la nostra. E che que-

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  • sta istituzionalizzazione dei discorsi scientifici prenda corpo in un'universit o, in modo pi generale, in un apparato pedagogico, in un reticolo teorico-commerciale come la psicoanalisi o in un ap-parato politico, con tutte le sue implicazioni come nel caso del marxismo, in fondo importa poco. E proprio contro gli effetti di potere di un discorso considerato come scientifico che la genealo-gia deve condurre la lotta.

    Per esser pi precisi, e in ogni caso per esser chiaro: sapete quanto numerosi sono stati, ormai quasi da pili di un secolo, co-loro che si sono chiesti se il marxismo fosse o non fosse una scien-za? Si potrebbe dire che la stessa domanda stata posta, e non si smette di porla, a proposito della psicoanalisi o, peggio anco-ra, a proposito della semiologia dei testi letterari. Ma a questa domanda le genealogie o i genealogisti risponderebbero: "Ebbe-ne, quel che vi si rimprovera proprio di fare del marxismo e del-la psicoanalisi, o di questa o di quell'altra cosa, una scienza. E se abbiamo un'obiezione da fare al marxismo che il marxismo po-trebbe effettivamente essere una scienza". Ancor prima di sape-re in che misura il marxismo o la psicoanalisi siano qualcosa di analogo a una pratica scientifica nel suo funzionamento quoti-diano, nelle sue regole di costruzione, nei concetti utilizzati, e an-cor prima di porsi la questione dell'analogia formale e struttura-le del discorso marxista o psicoanalitico con un discorso scienti-fico, non bisognerebbe forse interrogarsi sull'ambizione di pote-re che la pretesa di essere una scienza porta con s? Le doman-de da porre sarebbero dunque ben altre. Per esempio: "Quali ti-pi di sapere volete squalificare quando dite di essere una scien-za? Quale soggetto parlante, discorrente, quale soggetto di espe-rienza e di sapere volete ridurre a minorit quando dite: 'Io che faccio questo discorso, faccio un discorso scientifico e sono uno scienziato'? Quale avanguardia teorico-politica volete dunque in-tronizzare per staccarla da tutte le forme circolanti e discontinue di sapere?". E aggiungerei: "Quando vi vedo sforzarvi di stabili-re che il marxismo una scienza non penso proprio, a dire il ve-ro, che stiate dimostrando una volta per tutte che il marxismo ha una struttura razionale e che le sue proposizioni risultano, di con-seguenza, da procedure di verifica. Per me state facendo, innan-zitutto, un'altra cosa. State attribuendo al discorso marxista, e a coloro che lo tengono, quegli effetti di potere che l'Occidente, fin dal medioevo, ha assegnato alla scienza e ha riservato a coloro che fanno un discorso scientifico".

    La genealogia sarebbe dunque, rispetto al progetto di una iscrizione dei saperi nella gerarchia del potere proprio della scien-za, una specie di tentativo per liberare dall'assoggettamento i sa-peri storici e per renderli liberi, capaci cio di opposizione e di lotta contro la coercizione di un discorso teorico, unitario, for-

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  • male e scientifico. La riattivazione dei saperi locali - "minori", direbbe forse Deleuze^ - contro la gerarchizzazione scientifica della conoscenza e i suoi effetti intrinseci di potere: ecco il pro-getto di queste genealogie in disordine e frammentarie. Per dir-la in poche parole: l'archeologia sarebbe il metodo proprio del-l'analisi delle discorsivit locali e la genealogia sarebbe la tattica che, a partire dalle discorsivit locali cos descritte, fa giocare i saperi, liberati dall'assoggettamento, che ne emergono. Questo per restituire il progetto di insieme.

    Vedete che tutti i frammenti di ricerca, tutti i discorsi, a un tempo sovrapposti e sospesi, che vado ripetendo con ostinazio-ne da quattro o cinque anni ormai, potevano essere considerati elementi di queste genealogie che non sono stato di certo il solo a fare nel corso degli ultimi quindici anni. Sorge allora una do-manda: perch non continuare con la storia cos graziosa - e ve-rosimilmente cos poco verificabile - della discontinuit?^ Per-ch non continuare prendendo qualcosa dal campo della psi-chiatria, qualcos'altro dal campo della teoria della sessualit, e via di seguito?

    vero, si potrebbe continuare, e fino ad un certo punto cer-cher di farlo, se non fossero intervenuti alcuni cambiamenti nel-la congiuntura. Voglio dire che, rispetto alla situazione che ab-biamo conosciuto cinque, dieci, quindici anni fa, le cose forse so-no cambiate; la battaglia forse non ha pi la stessa fisionomia. Siamo ancora nello stesso rapporto di forze che ci permettereb-be di far valere, per cos dire allo stato vivo e al di fuori di ogni re-lazione d'assoggettamento, i saperi disinsabbiati? Che forza han-no in se stessi? E, dopotutto, a partire dal momento in cui si met-tono in evidenza dei frammenti di genealogia e si fanno valere o si mettono in circolazione gli elementi di sapere che si cercato di disinsabbiare, questi non rischiano forse di essere ricodificati, ricolonizzati dai discorsi unitari, che prima li hanno squalificati e poi, quando sono riapparsi, li hanno ignorati, e che sono ades-so probabilmente pronti ad annetterseli, a riprenderli nel loro pro-prio discorso e nei loro specifici effetti di sapere e di potere? E, se noi invece vogliamo proteggere i frammenti cos liberati, non ci esponiamo al rischio di costruire noi stessi, con le nostre mani, quel discorso unitario al quale ci invitano, forse per tenderci un tranello, quelli che ci dicono: "Tutto questo va bene. Ma in che di-rezione va, verso quale unit?". La tentazione, fino ad un certo punto, di dire: ebbene, continuiamo, accumuliamo. In fondo, non ancora venuto il momento in cui rischiamo di essere colo-nizzati. Vi dicevo poc'anzi che questi frammenti genealogici ri-schiano forse di essere ricodificati; ma dopotutto si potrebbe lan-ciare la sfida e dire: "Cercate dunque di farlo!". Si potrebbe chie-dere, per esempio, se da quando sono cominciate l'antipsichiatria

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  • o la genealogia delle istituzioni psichiatriche - ormai una buona quindicina d'anni - c' stato un solo marxista o un solo psicoana-lista o un solo psichiatra che fosse disposto a rifare tutto ci nei suoi propri termini e a mostrare che le genealogie che erano sta-te fatte erano false, mal elaborate, mal articolate, mal fondate? Di fatto, le cose stanno adesso in modo tale che i frammenti di ge-nealogia che sono stati prodotti restano l dove sono, circondati da un silenzio prudente. Al massimo, vi si oppongono proposi-zioni come quella che abbiamo sentito di recente nella bocca, cre-do, del signor Juquin: "Ci va tutto bene quello che stato fatto. Ma la verit che la psichiatria sovietica la prima del mondo". Io direi: "Certo, lei ha ragione, la psichiatria sovietica la prima del mondo, ed proprio questo che le si rimprovera". Il silenzio 0 piuttosto la prudenza con cui le teorie unitarie eludono la ge-nealogia dei saperi potrebbero dunque darci una ragione per con-tinuare. In ogni caso, si potrebbero moltiplicare in questo modo 1 frammenti genealogici come altrettanti tranelli, domande, sfide, o cos'altro vorrete. Ma forse troppo ottimistico - trattandosi di una battaglia, quella dei saperi contro gli effetti di potere del di-scorso scientifico - considerare il silenzio dell'avversario come prova che gli facciamo paura. Il silenzio dell'avversario - e questo un principio metodologico o tattico che sempre utile, credo, tenere presente - pu anche essere il segno che non gli facciamo per niente paura. In ogni caso, bisogna fare come se non gli fa-cessimo paura. Non si tratta per di dare un terreno teorico con-tinuo e solido a tutte le genealogie disperse - n voglio dar loro, imporre loro dall'alto una specie di coronamento teorico che le unificherebbe - ma di precisare o di evidenziare, nei corsi che ver-ranno e sicuramente gi a partire da quest'anno, la posta che si trova messa in gioco in questa opposizione, in questa lotta, in que-sta insurrezione dei saperi contro l'istituzione e gli effetti di sa-pere e di potere del discorso scientifico.

    La posta di tutte queste genealogie la conoscete e non ho bi-sogno di precisarla. Potremmo formularla cos: che cos' mai que-sto potere la cui irruzione, forza, decisivit e assurdit sono con-cretamente apparse nel corso degli ultimi quarant'anni sul cri-nale, al contempo, del crollo del nazismo e dell'arretramento del-lo stalinismo? Che cos' il potere? O piuttosto - poich sarebbe proprio il tipo di domanda che voglio evitare, cio la domanda teorica che coronerebbe l'insieme - si tratterebbe di determina-re quali sono, nei loro meccanismi, nei loro effetti, nei loro rap-porti, i diversi dispositivi di potere che si esercitano, a diversi li-velli della societ, in settori e con estensioni cos varie. Credo che la posta di tutto questo possa essere, grosso modo, formulata co-s: l'analisi del potere o l'analisi dei poteri pu, in un modo o in un altro, dedursi dall'economia?

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  • Vorrei chiarire perch pongo questa domanda e in che sen-so. Non voglio di certo cancellare le differenze (che sono innu-merevoli, gigantesche), ma mi sembra di poter dire che, malgra-do e attraverso le differenze, ci sia un punto in comune fra la con-cezione giuridica e, diciamo, liberale del potere politico - quella che si trova nephilosophes del xvm secolo - e la concezione marxi-sta, o in ogni caso quella concezione corrente che vale come con-cezione marxista. Il punto in comune quello che chiamerei T'eco-nomicismo" nella teoria del potere. Con ci voglio dire che nella teoria giuridica classica del potere questo considerato come un diritto di cui si sarebbe possessori alla maniera di un bene e che si potrebbe di conseguenza trasferire o alienare, in modo totale o parziale, attraverso un atto giuridico o un atto fondatore di di-ritto - poco importa per il momento - che sarebbe dell'ordine del-la cessione o del contratto. Il potere il potere concreto che ogni individuo detiene e che cederebbe, totalmente o parzialmente, per giungere a costituire un potere, una sovranit politica. Al-Tintemo del complesso teorico al quale mi riferisco, la costitu-zione del potere politico si realizza sulla base del modello di un'o-perazione giuridica che sarebbe dell'ordine dello scambio con-trattuale. Ci troviamo di conseguenza di fronte a un'analogia ma-nifesta, e che intercorre attraverso tutte queste teorie, fra il po-tere e i beni, il potere e la ricchezza.

    Nell'altro caso, cio nella concezione marxista generale del potere, evidente che non c' nulla di tutto ci. C' invece qual-cosa che si potrebbe chiamare la "funzionalit economica" del potere, e ci nella misura in cui il potere avrebbe nella sostanza il ruolo di mantenere i rapporti di produzione e insieme di re-plicare la dominazione di classe che lo sviluppo e le modalit spe-cifiche dell'appropriazione delle forze produttive ha reso possi-bile. In questo caso, il potere politico troverebbe dunque nell'e-conomia la sua ragion di essere storica. Nel primo caso abbia-mo, se volete, un potere politico che troverebbe nel processo del-lo scambio, nell'economia della circolazione dei beni, il suo mo-dello formale. Nel secondo, un potere politico che avrebbe nel-l'economia la sua ragion di essere storica, il principio della sua forma concreta e del suo funzionamento attuale.

    Il problema che costituisce l'obiettivo delle ricerche di cui par-lo pu, credo, scomporsi nel modo seguente. Primo: il potere sem-pre in posizione subordinata rispetto all'economia? sempre fi-nalizzato e quasi funzionalizzato dall'economia? Il potere ha es-senzialmente come ragion di essere e fine quello di servire l'eco-nomia? destinato a farla funzionare, a cristallizzare, mantene-re, riprodurre dei rapporti che sono specifici dell'economia ed es-senziali al suo funzionamento? Seconda questione: il potere mo-dellato suUa merce? Il potere qualcosa che si possiede, si acqui-

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  • sisce, si cede per contratto o per forza, che si aliena o si recupera, che circola, che irriga la tal regione, evita la talaltra? Oppure, al contrario, gli strumenti di cui bisogna servirsi per analizzare il po-tere non dovranno essere diversi, anche se i rapporti di potere so-no profondamente intricati con e nelle relazioni economiche e co-stituiscono sempre una specie di fascio o di anello con esse? Se co-s facessimo, l'indissociabilit dell'economia e del politico non sa-rebbe dell'ordine della subordinazione funzionale n dell'isomor-fismo formale, ma di un ordine diverso che si tratterebbe appun-to di individuare.

    Di che cosa disponiam^attualmente,_Ber fare un'analisi non economica drpotere?jCr^'3rpoter^re che disponiamo dav-vero diTiei poco7]Ds^niamoinr^^ se-condo cui il potere non si c[F, non si scambia n si riprende, ma si esfctaTe hh'esiste'che in atto. Disponiamo inoltre dell'altra affermazione secondo la quale il potere non principalmente manteniinnto e riproduziri delle relazioni econmiche, ma in-nanzitutto, in se stesso, un rapporto di forza. Le domande da por-si sarebbero allra quste: s fT potere"si esercita, ch cos' que-sto esercizio, in che consist^ qual e la sua rheccam C' una ri-sposta-occasione, una risposta immediata cli mi sembra rifles-sa dal fatto concreto di molte analisi attuali: il potere essen-zialrrinfe guel che reprime. Il potere reprime la natura, gli istin-ti, una classe, degli" individui. Ma non certo il discorso con-temporaneo ad aver iriventato la definizione, ripetuta con insi-stenza, del potere come ci che reprime. Ne aveva parlato Hegel per primo. E poi Freiid, e pi Reich!' In ogni caso, essere orga-no di repressione e, nl'vcabolario attuale, Fpiteto quasi ome-rico del potere. Se cos stanno le cose, non dovrebbe allora l'a-nalisi de ptre essere, innanzitutto ed essenzialmente, l'analisi dei meccanismi idi repressione?

    C' poi una seconda risposta-occasione. Se il potere, in se stesso, lajfnessa in atto e il dispigamento di un rapporto di for-ze, noni dovrebbe Forse essei^ analizzato innanzitutto in termini di lotta, di scontro e di guerra, invce che in termini di cessione, contratto," alienatone, q in termini funzionali di mantenimento dei rapporti di prqduzione2 Si a duri^ que, di fronte alla pri-ma ipotesi - quella secondo la quale il meccanismo del potere fondamentalmente ed essenzialmente la repressione - una se-conda ipotesi che (f.Qnsiste nel dire: il potere la guerra, la guer-ra continuata con altri mezzi. Cos facendo, si ha il rovesciamento della tesLdi,ClauseiidtzI_e. si afferma che la politica la guerra continuata con altri mezzi. E ci significa tre cose. In prirrio luo-go, vucT^ireche.LraEpqrti di potere, quai funzionano in una so-ciet cmela no^ra^ hanno per l'essenziale cme punto d'anco-raggio un certo rapporto di forza stabilito in im determinato mo-

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  • mento, storicamente precisabile, nella guerra e dalla guerra. E se vero che il potere politico arresta la guerra, fa rghr o tenta di far regnar lina pace nella societ civile, non affatto per so-spendere gR'ffttl'SlIa guerra o per neutralizzare Io squilibrio che si manifestato'nella "bttaglia finale della_g^rTar t potere politico, ih qusta Ipotesi,'Kahfatti i rm perpe-tuamente, attraverso una specie di guerra silenzisa," il rapporto di forze nelle istituzioni, nelle disguglianz economiche, nel lingua^ggio, fin ni crpFdegli Cfni "deglfaTfrT SareBB dunque questo il primo senso da dare al capovolgimento dell'aforisma di Clausewitz. Definire la politica come guerra continuata con altri mezzi significa che l p'^lica la sanzione e II mantenimento del disequilibri dell"^fze manifstatbs iBlla "grreTraT Ma il ca-Dovolgimento della frs"di_Oaus^^ dii''anche che, al-'interno della "pace ci>2le['ovvero, in un sisfema politic, le lotte politiche, gli scontri apropo^todel potere, col potere, per il po-tere, le modificzionrdei rapporti di forza (cbhTrelativi conso-lidamenti, rovescrmritT"ecc.7, hh dovrebbero essere interpre-tati che come le prosecuzione della guerra. Andrebbero cio de-cifrati come'pTsodr,'5-ammentazioni^ spostTiienti delia guerra stessa. E in questo rn53^ quan^ ^^ si scrivess r'sTna del-la pace e d'lK' siie istituzioni, non si scfivefBb'jtii hient'altro che la storia della guerra. "

    In terzo luogo, il capovolgimento dell'aforisma di Clausewitz vorrebbe dire che la decisione finale non pu venir se non dal-la guTa,_cio da una prova di forza in cui, alla fine, solo le ar-mi dovranno essere i giudici. L'ultima battaglia sarebbe la fine del politico, solo l'ultima battaglia cio sospenderebbe alla fine, e solo alla fine, l'esercizio del potere come guerra continua.

    Come sTvede, a partir^ dal. momento cui si cerca di libe-rarsi dagli schemi ecori'micisti per analizzare il potere, ci si tro-va dunqe'Thmdifrnrite'di l&onte a due ipbtsrfbifT'da una parte, il nieCCanlgmb 'd'Tjpotere sarebbe la fepi'ssionFCipotesi che c h i a m e r e i ^ ^ comodit, ipotesi jdi .Bgic]l)j.jdalLaIto la base del rapprto di potere sar^ delle forze (ipotesi che cHimerei, semgre^per ragioni 3i cogibdit, ipotesi di Nietzsche), Q u e s t e ^ al con-trario; sembrano anzi concatenarsi in rnodp abbastanza verosi-mile. Dopo tutto, la repressione non sarebbe ancora la conse-g u ^ z a politica della guerra, un po' come l'oppressione, nella teo-ria classica del diritto politico, era l'abuso della sovranit nel-l'ordine giuridico?

    Si potrebbero dunque opporre due grandi sistemi di analisi del potere. L'uno sarebbe il vecchio sistema che si trova nei phi-losophes del xviii secolo. Esso si articola intomo al potere come diritto originario che si cede, che costituisce la sovranit, e in cui

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  • il contratto funziona come matrice del potere politico. Il potere cos costituito rischia di diventare oppressione quando oltrepas-sa se stesso, cio quando va al di l dei termini stessi fissati dal contratto. Potere-contratto, con l'oppressione come limite o piut-tosto come oltrepassamento del limite. L'altro sistema cerche-rebbe di analizzare, al contrario, il potere politico non piti se-condo lo schema contratto-oppressione, ma secondo quello guer-ra-repressione. A questo punto, la repressione non pi quel che era l'oppressione rispetto al contratto, cio un abuso, ma, al con-trario, il semplice effetto e la semplice continuazione di un rap-porto di dominazione. La repressione non sarebbe altro che la messa in opera, all'interno di questa pseudo-pace travagliata da una guerra continua, di un rapporto di forza perpetuo. Avete, dun-que, due schemi di analisi del potere. Lo schema contratto-op-pressione, che quello giuridico, e lo schema guerra-repressio-ne, o dominazione-repressione, nel quale l'opposizione pertinente non quella fra legittimo e illegittimo, come nello schema pre-cedente, ma quella tra lotta e sottomissione.

    evidente che tutto quel che vi ho detto nel corso degli an-ni precedenti si iscriveva nello schema lotta-repressione, ed que-sto che, di fatto, ho cercato di mettere in opera sinora. Ma pro-prio mettendolo in atto, sono stato spinto a riconsiderarlo, sia perch su tutta una serie di punti ancora insufficientemente ela-borato - direi anzi che ancora del tutto privo di elaborazione -sia perch credo che le stesse nozioni di "repressione" e di "guer-ra" debbano essere considerevolmente modificate se non forse, al limite, abbandonate. In ogni caso credo che si debbano ricon-siderare meglio queste due nozioni di "repressione" e di "guerra" o, se preferite, esaminare in maniera pi approfondita l'ipotesi secondo la quale i meccanismi di potere sarebbero essenzialmente dei meccanismi di repressione, unitamente all'altra ipotesi se-condo la quale ci che risuona e funziona, dietro il potere politi-co, essenzialmente e prima di tutto un rapporto bellicoso.

    Senza dovermene vantare troppo, credo di essere da ormai molto tempo diffidente nei confronti della nozione di "repres-sione". E proprio a proposito delle genealogie, di cui parlavo po-co fa, a proposito della storia del diritto penale, del potere psi-chiatrico, del controllo della sessualit infantile ecc., ho cercato di mostrarvi come i meccanismi che erano messi in funzione in queste formazioni di potere fossero tutt'altra cosa, in ogni caso molto di pi, che semplice repressione. Non posso perci prose-guire senza riprendere, almeno parzialmente, l'analisi della re-pressione, e senza raccogliere parte di ci che, in modo senz'al-tro un po' disordinato, ho potuto dire. Pertanto, il prossimo cor-so, o eventualmente i prossimi due, saranno dedicati al riesame critico della nozione di "repressione", e al tentativo di mostrare

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  • in cosa, e come, tale nozione, cos correntemente usata oggi per caratterizzare i meccanismi e gli effetti di potere, sia del tutto in-sufficiente a delineame i con tomi."

    Ma l'essenziale del corso sar consacrato all'altro aspetto, va-le a dire al problema della guerra. Vorrei cercare di vedere in che misura lo schema bmario della guerra^ della lotta, dello scontro delle forze, possa essere effettivamente identificato coirne il fon-do della Societ civile, il principio "Finsieme il motore dell'eser-cizio d e l p o l e r e p ^ Per arilTzzare il funzionamento del po-tere e proprio Sella guerra che dobbiamo parlare? A questo sco-po, sono valide le nozioni di "tattica", di "strategia", di "rappor-to di forza"? Ed eventualmente, in che misura lo sono? Il potere semplicemente una guerra continuata con altri mezzi rispetto alle armi e alle battaglie? E dietro il tema, diventato oggi corrente e del resto relativamente recente, secondo cui il potere ha il com-pito di difendere la societ, dobbiamo o no intendere che la so-ciet, nella sua struttura politica, organizzata in modo tale che alcuni possano difendersi contro gli altri, o difendere il proprio dominio contro la rivolta degli altri, o semplicemente ancora di-fendere la propria vittoria e renderla perenne attraverso l'assog-gettamento?

    Lo schema del corso di quest'anno sar dunque il seguente: all'inizio consacrer una o due lezioni al riesame della nozione di repressione; successivamente - ed eventualmente continuer anche nei prossimi anni, ma ancora non ne sono sicuro - co-mincer [ad analizzare] il problema della guerra nella societ ci-vile. Inizier pertanto con l'accantonare quelli che vengono con-siderati i teorici della guerra nella societ civile, ma che a mio parere non sono affatto tali, vale a dire Machiavelli e Hobbes. Tenter poi di riprendere la teoria della guerra, intesa come prin-cipio storico di funzionamento del potere, in relazione al pro-blema della razza, dal momento che la possibilit di analizzare il potere politico come guerra stata individuata, per la prima volta in Occidente, all'interno del binarismo delle razze. Cercher infine di prolungare tutto ci fino al momento in cui, alla fine del XIX secolo, lotta delle razze e lotta di classe diventeranno i due grandi schemi in base ai quali [si cercher] di identificare il fe-nomeno della guerra e i rapporti di forza all'interno della societ politica.

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  • Note

    ' Foucault si riferisce a quel movimento psichiatrico (di volta in volta defi-nito come "antropo-fenomenologia" o Daseinanalyse) che aveva cercato nella fi-losofia di Husserl e di Heidegger nuovi strumenti concettuali. Foucault vi si era interessato fin dai suoi primi scritti (cfr. "La maladie et l'existence", in Maladie mentale et personnalit, Puf, Paris 1954, iv; "Introduction" a L. Binswanger, Le ri-ve et l'existence, Descle de Brouwer, Paris 1954; "La psychologie de 1850 1950", in A. Weber - D. Huisman, Tableau de la philosophie contemporaine, Fischbacher, Paris 1957; "La recherche en psychologie" in J.-E. Morre (a cura di), Des cher-cheurs s'interrogent, Puf, Paris 1957; gli ultimi tre testi sono pubblicati in Dits et crits, cit., voi. I, nn. 1, 2, 3), ed era ritornato su tale questione nel corso degh ul-timi anni (cfr. Dits et crits, cit., voi. IV, n. 281, tr. it. Colloqui con Foucault, 10/17 Cooperativa editrice, Salerno 1981, p. 41).

    ^ Di W. Reich si veda soprattutto: Die Funktion des Orgasmus; zur Psycho-pathologie und zur Soziologie des Geschlechtslebens, Internationaler psychoa-nalytischer Verlag, Wien 1927, tr. ii. La funzione dell'orgasmo. Sugar, Milano 1969; Der Einbruch der Sexualmoral, Verlag filr Sexualpolitik, Berlin 1932, tr. it. L'irru-zione della morale sessuale coercitiva, Sugar, Milano 1972; Characteranalyse. Selb-stverlagdes Verfassers,'Wien 1933, tr t. L'analisi del carattere, Sugar, Milano 1973; Massenpsychologie des Faschismus; zur Sexualkonomie der politischen Reaktion und zur proletarischen Sexualpolitik, Verlag filr Sexualpolitik, Copenha-gen/Prag/Ziirich 1933, tr. it. Psicologia di massa del fascismo, Sugar, Milano 1971; Die Sexualitt im Kulturkampf, Sexpol Verlag, Copenhagen 1936, tr. it. La rivolu-zione sessuale, Feltrinelli, Milano 1970.

    ' Foucault qui si riferisce, ovviamente, a Marcuse autore di Eros and Civi-lization: A philosophical Inquiry into Freud, Beacon Press, Boston Ma. 1955, tr. it. Eros e civilt, Einaudi, Torino 1964, e di One-dimensional man: studies in the ideo-logy ofadvanced industriai society, Beacon Press, Boston 1964, tr it. L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967.

    '' G. Deleuze - F. Guattari, L'Anti-CEdipe. Capitalisme et schizophrnie, Edi-tion de Minuit, Paris 1972, tr. it. L'anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einau-di, Torino 1975. Occorre ricordare che Foucault ha sviluppato questa interpreta-zione deW'Anti-Odipe come "libro-evento" nella prefazione all'edizione inglese del testo (Anti-CEdipus, Viking Press, New York 1977; cfr. la traduzione francese di questa prefazione in Dits et crits, cit., voi. Iii, n. 189).

    ' Nel manoscritto, al posto di "soldi": "viaggi". ^ I concetti di "minore" e di "minorit" - eventi singolari piuttosto che es-

    senze individuali, individuazioni tramite "ecceit" piuttosto che per sostanzialit - sono stati elaborati da Deleuze, con Guattari, in Kafka. Pour une littrature mi-neure (Editions de Minuit, Paris 1975, tr. it. Kafka. Per una letteratura minore, Fel-trinelli, Milano 1975), ripresi da Deleuze nell'articolo Philosophie et minorit ("Cri-tique", fvrier 1978), e in seguito sviluppati soprattutto in Deleuze - Guattari, Mil-le plateaux. Capitalisme et schizophrnie, Editions de Minuit, Paris 1980, tr it. Mil-le piani. Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1987), La "minorit" rinvia an-che al concetto di "molecolare" elaborato da Guattari in Psychoanalyse et tran-sversalit. Essai d'analyse institutionnelle (Maspero, Paris 1972, tr it. Una tomba per Edipo, Bertani Editore, Verona 1974).

    ' Foucault si riferisce qui alla discussione apertasi soprattutto in seguito al-la pubblicazione di Les mots et les choses. Une archeologie des sciences humaines (Gallimard, Paris 1966, tr. it. Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze uma-ne, Rizzoli, Milano 1970), a proposito del concetto di epistme e dello statuto del-la discontinuit. A tutte le critiche che gli erano state rivolte Foucault risponder attraverso una serie di precisazioni teoriche e metodologiche (si veda in partico-lare Rponse une question, "Esprit", mai 1968, pp. 850-874, e Rponse au Cer-cle d'epistemologie, "Cahiers pour l'Analyse", 9, 1968, pp. 9-40, ora in Dits et crits.

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  • cit., voi. I, nn. 58 e 59, tr. it. in Due risposte sull'epistemologia, Lampugnani Nigri, Milano 1971), riprese successivamente in L'archologie du savoir, Gallimard, Pa-ris 1969, tr. it. L'archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971.

    All'epoca, deputato del Partito comunista francese. ' Cfr. G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Berlin 1821,

    182-340, tr. it. Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1971; S. Freud, Das Umbewussten, in "Internationale Zeitschrift fur artzliche Psychoanalyse", voi. 3 (4) e (5), 1915, tr. it. L'inconscio, in Opere 1915-1917, Boringhieri, Torino 1976, voi. vm, e Die Zukunft einer Illusion, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Leipzig/Wien/Ziirich 1927, tr. it. L'avvenire di un'illusione, in Opere 1924-1929, Boringhieri, Torino 1978, voi. x. Per quanto concerne Reich, cfr. supra, nota 2.

    Foucault fa allusione alla nota formulazione del principio di C. von Clau-sewitz (Vom Kriege, libro l, cap. i, xxiv, in Hinterlassene Werke, Bd. 1-2-3, Ber-lin 1832; tr. it. Della guerra, Mondadori, Milano 1978) secondo cui: "La guerra non che la continuazione della pohtica con altri mezzi"; essa "non dunque so-lamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del pro-cedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi" (ivi, p. 38). Si veda anche libro II, cap. Ili, III e libro vm, cap. vi.

    " Promessa non mantenuta. Esiste tuttavia, inserito nel manoscritto, un corso sulla "repressione" sicuramente tenuto presso una universit straniera. La questione sar comunque ripresa ne La volont de savoir, GaUimard, Paris 1976, tr. it. La volont di sapere, Feltrinelli, Milano 1978.

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  • Corso del 14 gennaio 1976

    Guerra e potere - La filosofia e i limiti del potere - Diritto e potere reale - Legge, dominazione e assoggettamento - Analitica del potere: questio-ni di metodo - Teoria della sovranit - Il potere disciplinare - La regola e la norma.

    Quest'anno vorrei cominciare - ma solo cominciare - una se-rie di ricerche sulla guerra come principio eventuale di analisi dei rapporti di potere. Mi chieder infatti se nel rapporto belli-coso, nel modello della guerra e nello schema della lotta, delle lotte, si possa trovare un principio di intelligibilit e di analisi del potere politico. Si tratter dunque di tentare di decifrare il pote-re politico in termini di guerra, di lotte, di scontri. Nell'awiare questo lavoro non potr evitare comunque di tentare anche l'a-nalisi dell'istituzione militare, delle istituzioni militari, nel loro funzionamento reale, effettivo, storico, nelle nostre societ, a par-tire dal XVII secolo fino ad oggi.

    Nel corso degli ultimi cinque anni ho affrontato, per sommi capi, il tema delle discipline, ed probabile che nei cinque anni a venire mi debba dedicare all'analisi della guerra, della lotta, del-l'esercito. Vorrei comunque fare il punto su ci che ho tentato di dire in passato, perch ci consentir a me di guadagnare tem-po per le mie ricerche sulla guerra (dato che non sono ancora molto avanzate), ed eventualmente a quelli tra di voi che non so-no stati presenti negli anni precedenti di avere un quadro di ri-ferimento. In ogni caso, desidero fare il punto, per me stesso, su quello che ho cercato di percorrere.

    Quel che ho cercato di percorrere a partire dall 970-71, sta-to il "come" del potere. Ci significa che ho cercato di coglierne i meccanismi fra due punti di riferimento o fra due limiti: da un lato, le regole di diritto che delimitano formalmente il potere; dal-l'altro - all'altra estremit, all'altro limite - gli effetti di verit che il potere produce e trasmette, e che a loro volta riproducono il potere. Un triangolo, dunque: potere, diritto, verit. Possiamo di-re, schematicamente, che esiste una domanda tradizionale che quella, credo, della filosofia politica, e che potrebbe essere for-mulata in questi termini: come pu il discorso della verit, o sem-

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  • jlicemente la filosofia, intesa come il discorso per eccellenza del-a verit, fissare i limiti di diritto del potere? Questa la doman-da tradizionale. Al posto di questa domanda tradizionale, nobile e filosofica, io vorrei porne un'altra, che viene dal basso ed mol-to pili concreta rispetto alla prima. Il mio problema infatti quel-lo di stabilire quali sono le regole di diritto che le relazioni di po-tere mettono in opera per produrre dei discorsi di verit; di de-terminare quale sia il tipo di potere che suscettibile di produr-re discorsi di verit che sono, in una societ come la nostra, do-tati di effetti cos potenti.

    Voglio dire questo: in una societ.come.la nostra - ma in fon-do in qualsiasi societ - molteplici relazioni di potere attraver-sano, caratterizzn, costituiscono il corpo sociale. Qvreste rela-zioni di potere non possano dissociarsi, n stabilirsi, n funzio-nare senza una produzione, un'accumuraziori,' uria circolazio-ne, un funzionamento di discorso vero. Non ce esercizio del po-tere senza una crta economia dei discorsi di verit che funzio-ni in - a |mrtire da e atoavers^- questo" pofr^" STmo sottomessi dal po t^ere aTI'pfHuzione ^ verit e non possiamo esercita-re il potere che attraverso la produzione della verit. Questo va-le per ogni societ, tria'credo che nella nostra il rapporto tra po-tere, diritto e verit si organizzi in un modo molto particolare.

    Per caratterizzare non tanto il meccanismo stesso della re-lazione tra potere, diritto e verit, ma l'intensit del rapporto e la sua costanza, potrei dire che siamo costretti a produrre la verit dal potere, il quale la esige," rie ha bisogno per funzionare: dob-biamo dire la veri ita,'^amo costretti o condannati a confessare la verit^lforaH.'irpS^^ cssa di interrogare, di interro-garci; non cess' di indagare, di registrare; istituzionalizza la ri-cerca della venta, la professionalizza, la ricompensa. Dobbiamo produrre la v ^ t allo stesso modo iri"cui, mJ:ondo, dobbiamo produrire dell rFcchezze^ e dro ia i^ proHuire la v^S'per po-ter produri-e dlie Vr^c^ezzeT Per altro verso", siamo sottomessi al-la verit ancTeTiersenso che la verit fa legge; il discorso vero che almeno in parte decide; esso trasmette, spinge avanti lui stes-so degli effetti di potere. Dopotutto, sianxQ^iudicatij condanna-ti, classificati, costretti a com^ destinati a un certo modo di vivere o a un certo modo di morire, in funziori"di'discorsi veri che portano con s effetti^specifici di potere. DtihqUl regole di diritto, meccanismi drpotere, effetti di verit. Cariche: regole di potere e potere dei discorsi veri. Ecco, pressappoco, il campo mol-to generale che ho voluto percorrere, anche se, lo so bene, in ma-niera parziale e con molte deviazioni.

    Vorrei spendere ora qualche parola su questo percorso, sul principio generale che mi ha guidato e sugli imperativi categori-ci e le precauzioni di metodo che ho adottato. Per quel che con-

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  • cerne i rapporti tra diritto e potere vale il seguente principio ge-nerale. Mi pare che ci sia un fatto che non si deve dimenticare: nelle societ occidentali, sin dal medioevo, l'elaborazione del pen-siero giuridico si fatta essenzialmente intorno al potere reale. su domanda del potere reale, ed ugualmente a suo profitto, per servirgli da strumento o da giustificazione, che si elabora-to l'edificio giuridico delle nostre societ. Il diritto in Occidente un diritto commissionato dal re. Naturalmente tutti conosco-no il ruolo fondamentale, celebre, ripetutamente sottolineato che i giuristi hanno esercitato nella organizzazione del potere reale. Non bisogna dimenticare che la riattivazione, verso la met del-l'et medievale, del diritto romano - che stato il grande feno-meno intorno al quale e a partire dal quale si ricostituito l'edi-ficio giuridico che si era dissociato dopo la caduta dell'impero romano - stato anche uno degli strumenti tecnici che hanno co-stituito il potere monarchico autoritario, amministrativo e infi-ne assoluto. Dunque: la formazione dell'edificio giuridico si fat-ta intomo al personaggio del re, su domanda e a profitto del po-tere reale. E quando nei secoli successivi questo edificio giuridi-co sar sfuggito al controllo reale, quando verr rovesciato con-tro il potere reale, allora saranno sempre i limiti di questo pote-re e le sue prerogative a venir messi in discussione. In altri ter-mini, credo che il personaggio centrale in tutto il sistema giuri-dico occidentale sia il re. Nel sistema generale, e in ogni caso nel-l'organizzazione generale del sistema giuridico occidentale, il jDro-blema fondamentale costituito dal re, dai suoi diritti, dal suo potere, dai limiti eventuali del suo potere. Che i giuristi siano sta-ti servitori del re o ne siano stati gli avversari, in ogni modo sempre del potere reale che si parla nei grandi edifici del pensie-ro e del sapere giuridico.

    E il potere reale viene affrontato in due modi. O per mostrare in quale armatura giuridica esso veniva investito, come il mo-narca fosse effettivamente il corpo vivente della sovranit, come il suo potere, per quanto assoluto, fosse esattamente adeguato ad un diritto fondamentale. O per mostrare, al contrario, come bi-sognava limitare il potere del sovrano, a quali regole di diritto il potere doveva sottomettersi, in base e all'interno di quali limiti doveva esercitarsi per conservare la sua legittimit. La teoria del diritto, dal medioevo in poi, ha avuto essenzialmente la funzio-ne di fissare la legittimit del potere: il problema principale, quel-lo centrale, attorno al quale si organizzata l'intera teoria del di-ritto, stato il problema della sovranit. Dire che quello della so-vranit il problema centrale del diritto nelle societ occidenta-li, vuol dire che il discorso e la tecnica del diritto hanno avuto es-senzialmente la funzione di dissolvere, all'interno del potere, il fatto storico della dominazione e di far apparire due cose, al po-

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  • sto di una dominazione che si cercava di ridurre o mascherare: da un lato, i diritti legittimi della sovranit; dall'altro, l'obbliga-zione legale all'obbedienza. Se il sistema del diritto interamen-te centrato sul re, necessario eliminare il fatto della domina-zione e le sue conseguenze.

    Negli anni precedenti, affrontando le innumerevoli piccole questioni che ho evocato in precedenza, il mio progetto com-plessivo era, in fondo, quello di invertire la direzione generale dell'analisi che propria, credo, del discorso del diritto nel suo insieme a partire dal medioevo. Ho dunque cercato di far il con-trario, di far valere cio, tanto nel suo segreto quanto nella sua brutalit, la dominazione, e di mostrare, a partire di qui, non sol-tanto come il diritto sia, in linea di massima, lo strumento della dominazione - il che va da s - ma anche come, fin dove e sotto che forma, il diritto trasmette e mette in opera rapporti che non sono rapporti di sovranit, ma di dominazione. Da notare che, quando dico diritto, non penso semplicemente alla legge, ma al-l'insieme degli apparati, istituzioni, regolamenti che applicano il diritto. E quando parlo di dominazione non intendo tanto il fat-to massivo di "una" dominazione globale dell'uno sugli altri o di un gruppo su un altro, ma le molteplici forme di dominazione che possono esercitarsi all'interno della societ. Non prendo in considerazione dunque il re nella sua posizione centrale, ma i soggetti nelle loro relazioni reciproche; non intendo la sovranit nella sua costruzione unica, ma gli assoggettamenti molteplici che hanno luogo e funzionano all'interno del corpo sociale.

    Il sistema del diritto e il campo.giudiziano sono i tramiti per-manenti di rapporti di dominazione e di tecniche di assoggetta-mento polimr-fr.' irdiritto va visto, crdo, non dal lato di una le-gittimit d stBiIif; iiil~da"quell delle procedure di assogget-tamento che riiette ih "pf a. Uuiiquej il problema per me di met-tere in cftocifci o di evitare, la questione, centrale per il di-ritto,_della sovranit e deirobtedimz degli individui ad essa sot-tomessi^ per far apparire, al posto della sovranit e dell'obbe-dienza, npfoblrh della dominazione e dell'assoggettamento. Essendo questa la lih'aTgenerre di un'analisi'che tenta, appun-to, di mettere in cortocircuito, o di andar di traverso rispetto a quella dell'analisi giuridica, bisognava prendere alcune precau-zioni di metodo.

    La prima precauzione innanzitutto la seguente: non si trat-ta di analizzare le forme regolate e legittime del potere a partire dal loro centro (cio a partire da quelli che possono essere i suoi meccanismi generali e i suoi effetti di insieme). Si tratta di co-gliere, invece, il potere alle sue estremit, nelle sue terminazio-ni, l dove diventa capillare; si tratta cio di prendere il potere nelle sue forme e nelle sue istituzioni pi regionali, pii locali, so-

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  • prattutto l dove, scavalcando le regole di diritto che l'organiz-zano e lo delimitano, il potere si prolunga di conseguenza al di l di esse investendosi in istituzioni, prende corpo in tecniche e si d strumenti di intervento materiale che possono anche esse-re violenti. Un esempio: piuttosto che cercare di sapere dove e come si fonda il potere di punire all'interno della sovranit, cos com' presentata dalla filosofia sia del diritto monarchico che del diritto democratico, ho cercato di vedere come effettivamente la punizione e il potere di punire prendevano corpo in alcune isti-tuzioni locali, regionali, materiali, sia che si tratti del supplizio, sia che si tratti dell'imprigionamento, all'interno del mondo in-sieme istituzionale, fisico, regolamentare e violento degli appa-rati effettivi di punizione. In altri termini, ho cercato di cogliere il potere nell'estremit sempre meno giuridica del suo esercizio. Questa stata la prima prescrizione di metodo.

    Seconda precauzione: non si trattava di analizzare il potere al livello dell'intenzione o della decisione, n di cercare di consi-derarlo dall'interno, n di porre la solita domanda (che a me pa-re labirintica e irrisolvibile) che chiede: chi detiene dunque il po-tere? Che cosa ha in mente? E che cosa cerca chi ha il potere? Si trattato, invece, di studiare il potere l dove la sua intenzione -se intenzione c' - interamente investita in pratiche reali ed ef-fettive; di studiarlo, in un certo senso, nella sua faccia estema, l dove in relazione diretta ed immediata con quel che possiamo chiamare, del tutto provvisoriamente, il suo oggetto, il suo ber-saglio, il suo campo di applicazione; in altri termini, l dove si impianta e produce i suoi effetti reali. Non c'era dunque da chie-dersi: perch certuni vogliono dominare? Che cosa cercano? Qual la loro strategia complessiva? C'era da chiedersi, invece, come funzionano le cose nel momento e al livello della procedura di assoggettamento, o all'interno di quei processi continui e inin-terrotti che assoggettano i corpi, dirigono i gesti, reggono i com-portamenti. In altri termini, piuttosto che chiedersi come il so-vrano appare al vertice, bisognava cercare di sapere come, poco a poco, si sono progressivamente, realmente, materialmente co-stituiti i soggetti, il soggetto, a partire dalla molteplicit dei cor-pi, delle forze, delle energie, delle materie, dei desideri, dei pen-sieri ecc. Cogliere l'istanza materiale dell'assoggettamento in quanto costituzione dei soggetti: questo rappresenta, se volete, esattamente il contrario di quello che Hobbes aveva voluto fare nel Leviatano^ e di quel che probabilmente fanno, credo, tutti i giuristi quando si pongono il problema di sapere come, a parti-re dalla molteplicit degli individui e delle volont, si pu for-mare una volont, o almeno un corpo, unici, ma mossi da quel-l'anima che sarebbe la sovranit. Ripensate allo schema del Le-viatano^: in esso, in quanto uomo fabbricato, il Leviatano non

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  • altro che la coagulazione di un certo numero di individualit se-parate, che si trovano riunite da un insieme di elementi costitu-tivi dello stato. Ma al cuore dello stato, o piuttosto alla testa del-lo stato, esiste qualcosa che lo costituisce come tale: si tratta del-la sovranit, che Hobbes definisce come l'anima del Leviatano. Ebbene, piuttosto che porre il problema dell'anima centrale, cre-do che bisognerebbe cercare di studiare - ed quel che io ho ten-tato di fare - i corpi periferici e molteplici, quei corpi che gli ef-fetti di potere costituiscono come soggetti.

    Terza precauzione di metodo. Non considerare il potere co-me un fenomeno di dominazion^compatto ed omogeneo: domi-nazione Ji lh mdividuo"sugIi altri, di uri grpp siigli altri, di una classe ujle altre. Avere invce Ben pfeseite ch'tl potere, a me-no cn^cnsdrrl da molto in alto e~3a ihlTo lhho, non qualcosa che_si dMde-.tr3..cgloro che l'hanno' 16 defnghb co-me propriet esclusiva, e coloro che non l'hanno e lo subiscono. Il potere^ credo,' deVessere analizzato come qualcs che circo-la, o piuttosto come qualcosa che funziona solo, per cos dire, a catena." Non mai localizzato qui o l, non mai nelle mani di qualcuno, non e mai oggetto di appropriazione come se fosse una ricchzza' b un bene. Il potere funziona, si esercita attraverso un'organizzazionereticolare. E nelle sue maglie gli individui non solo circolano, ma sono sempr^posti he di su-birlo ^ e " di eserctida. Non sbao ra il bersglio inrte o con-senziente del potere, .ne sono sempre gli elementi di raccordo. In altri termini: il potere non si applica agli individui, ma transita attraverso gli individui.

    Non si tratta dunque, credo, di concepire l'individuo come una sorta di nucleo elementare o di atomo primitivo, come una materia molteplice e inerte sulla quale verrebbe ad applicarsi il potere o contro la quale verrebbe a urtare il potere. Non si tratta cio di concepire,il pote_re come qualcosa che sottomette gli indi-vidui o li spezza. In realt, ci che fa s che un corpo, dei gesti, dei discorsi^ei desideri siano, identific e costituiti come individui, appunto gi uno deijprimi effetti del potere. L'individuo non il vis--Ws^j^poter, rna credo ne sia uno degli effetti principali. L'individuo un effetto del potere e al tempo stesso, o prprio nel-la misur^m cui ne un effetto, l'^emento di raccordo del pote-re. Il potere passa attraverso l'individuo che ha cstitiiito.

    Quarta conseguenza relativa alle precauzini di metodo. Quando dico che "il potere qualcosa che si esercita, circola, for-ma delle reti", questo forse vero solo fino a un certo punto. Si pu anche dire, per esempio, che "abbiamo tutti del fascismo in testa" o, ancor meglio, che "abbiamo tutti del potere nel corpo". E il potere - almeno in una certa misura - transita o transuma attraverso il nostro corpo. Ma, anche se tutto ci pu esser so-

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  • stenuto, non credo che se ne debba concludere che il potere la cosa al mondo megho ripartita, la pi ripartita, tra gli individui - bench, fino ad un certo punto, lo sia. Ma non ci troviamo di fronte a una sorta di distribuzione democratica o anarchica del potere attraverso i corpi. Mi sembra (ed questa la quarta pre-cauzione) che la cosa importante sia che non si tratta di effet-tuare una specie di deduzione del potere che parta dal centro e che tenti di vedere fin dove esso si prolunghi nel suo movimento verso il basso, in che misura esso si riproduca arrivando fino agli elementi microfisici della societ. Mi sembra che si dovrebbe fa-re, al contrario - ed una precauzione di metodo -, un'analisi ascendente del potere: partire dai meccanismi infinitesimali (che hanno la loro storia, il loro tragitto, la loro tecnica e la loro tat-tica) e poi vedere come questi meccanismi di potere (che hanno la loro solidit e, in un certo senso, la loro tecnologia specifica) sono stati e sono ancora investiti, colonizzati, utilizzati, piegati, trasformati, spostati, estesi da meccanismi sempre pi generali e da forme di dominazione globale. Non che dobbiamo studia-re la dominazione globale come qualcosa che si pluralizza e si ri-percuote fino in basso. Credo, piuttosto, che dobbiamo analiz-zare la maniera in cui i fenomeni, le tecniche, le procedure di po-tere funzionano ai livelli pi bassi; che dobbiamo mostrare co-me queste procedure si spostano, si estendono, si modificano, ma soprattutto credo sia necessario mostrare come fenomeni pi glo-bali le investano e se le annettano, e come poteri pi generali o profitti economici possano inserirsi nel gioco di queste tecnolo-gie di potere relativamente autonome e insieme infinitesimali.

    Per esser pi chiari, consideriamo ad esempio la follia. L'a-nalisi discendente (da cui credo occorra guardarsi) potrebbe di-re che la borghesia diventata, a partire dalla fine del xvi e nel corso del xvii secolo, la classe dominante. Detto ci, come se ne pu dedurre l'internamento dei folli? Una deduzione siffatta sempre possibile; anche facile farla. Ma proprio questo che le rimprovererei. Si pu infatti mostrare agevolmente che, essendo il folle colui che appunto inutile nella produzione industriale, siamo obbligati a sbarazzarcene. Si potrebbe fare la stessa cosa non solo per quanto concerne i folli, ma anche a proposito della sessualit infantile - del resto sono stati in molti ad averci pro-vato, fino ad un certo punto: Wilhelm Reich,^ sicuramente Rei-mut Reiche'' - e chiedersi come si possa comprendere la repres-sione della sessualit infantile a partire dalla dominazione della classe borghese. Ebbene, si risponder, per la semplice ragione che, essendo il corpo umano diventato, a partire dal xvii-xvni se-colo, essenzialmente forza produttiva, tutte le forme di dispen-dio irriducibili alla costituzione delle forze produttive, dunque rivelatesi perfettamente inutili, sono state bandite, escluse, re-

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  • presse. Queste deduzioni sono sempre possibili, e sono contem-poraneamente vere e false. Ma sono soprattutto troppo facili, per-ch si potrebbe fare esattamente il contrario e mostrare che, pro-prio a partire dal principio che la borghesia diventata una clas-se dominante, i controlli della sessualit, di quella infantile in particolare, non erano affatto auspicabili. Al contrario, volendo ricostituire per mezzo della sessualit una forza lavoro che sap-piamo bene si riteneva, almeno all'inizio del xix secolo, dovesse avere come statuto ottimale quello di essere infinita, ci sarebbe stato bisogno di un apprendistato, di un addestramento e di una precocit sessuali: maggiore fosse stata la forza-lavoro, migliore sarebbe stato il funzionamento del sistema di produzione capi-talistico.

    Credo che dal fenomeno generale della dominazione della classe borghese possa essere dedotta qualsiasi cosa. Mi sembra che sia invece necessario fare l'inverso. Bisognerebbe cio vede-re come hanno potuto funzionare storicamente, partendo dal bas-so, i meccanismi di controllo in relazione all'esclusione della fol-lia, alla repressione, all'interdizione della sessualit. Si dovrebbe vedere come, al livello effettivo della famiglia, deW'entoumge im-mediato, delle cellule o dei livelli pi bassi della societ, i feno-meni di repressione o di esclusione abbiano avuto i loro stru-menti, la loro logica, ed abbiano risposto ad un certo numero di bisogni. Invece di cercarne gli agenti nella borghesia in genera-le, si dovrebbero individuare gli agenti reali di tali fenomeni ad esempio neWentourage immediato, nella famiglia, nei genitori, nei medici, nei livelli pi bassi della polizia e cos via; si dovreb-be mostrare come questi meccanismi di potere, in un dato mo-mento, in una congiuntura precisa e per mezzo di un certo nu-mero di trasformazioni, abbiano cominciato a diventare econo-micamente vantaggiosi e politicamente utili. Credo che in que-sto modo si riuscirebbe a mostrare facilmente (ed quel che un tempo, o comunque a pi riprese, ho cercato di fare io stesso) che in fondo ci di cui la borghesia ha avuto bisogno, ci in cui il sistema ha trovato in ultima istanza il proprio interesse, non l'esclusione dei folli o la sorveglianza e l'interdizione della ma-sturbazione infantile (ancora una volta, il sistema borghese pu perfettamente sopportare il contrario); ci in cui esso ha trovato il proprio interesse e si effettivamente investito non consiste tanto nel fatto che alcuni fossero esclusi, quanto piuttosto nella tecnica e nella procedura stessa dell'esclusione. Sono i meccani-smi di esclusione, gli apparati di sorveglianza, la medicalizza-zione della sessualit, della follia, della delinquenza, tutta que-sta micromeccanica del potere ad aver rappresentato e costitui-to, a partire da un certo momento, un interesse per la borghesia, ed esattamente di tutto ci che essa si occupata.

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  • ^ Meglio ancora, nella misura in cui queste nozioni di "bor-ghesia" e di "interesse della borghesia" sono verosimilmente sen-za contenuto reale, almeno in relazione ai problemi che ci po-niamo ora, potremmo quasi dire che, per l'appunto, non stata la borghesia a pensare che la follia dovesse essere esclusa o la ses-sualit infantile repressa. Sono stati invece i meccanismi di esclu-sione della follia, di sorveglianza della sessualit infantile che, a partire da un certo momento e per ragioni che bisogna ancora studiare, hanno rivelato un profitto economico, un'utilit politi-ca e, improvvisamente e in modo del tutto naturale, si sono tro-vati colonizzati e sostenuti da meccanismi globali e dall'intero si-stema dello stato. Facendo presa su queste tecniche di potere, co-minciando da esse, e mostrando i profitti economici o le utilit politiche che, in un determinato contesto e per determinate ra-gioni, ne derivano, si pu comprendere come effettivamente que-sti meccanismi finiscano per far parte dell'insieme. Detto altri-menti: la borghesia se ne infischia completamente dei folli, ma le procedure di esclusione dei folli - paftire'dT xix secolo e an-cora una volta sulla base di certe trasForniazioni - hmiiD messo in evidenza e hanno messo a disposizine iari profitto politico, ed eventlfTmente anche una certa utilit economica, che hanno so-lidificato il sistema e l'hanno fatto fiiriziohr nrsuo insieme. La borghesia non si interessa ai folli, ma al potere cEg^sreserci-ta sui folli; non si interessa alla sessualit infantile, ma al siste-ma di potere che la controlla. La borghesia se ne irifischia com-pletamente dei delinquenti, della loro puriiziorie del"loro rein-serimnto, cHe economicamente non "ha molta importanza, ma si interessa invece all'insieme dei meccanismi con cuijl. delin-quente controllato, seguito, punito, riformato. Un insieme da cui deriva, per la borghesia, un interesse che funziona all'inter-no del sistema economico-politico generale. Ecco la quarta pre-cauzione, o linea di metodo, che ho cercato di seguire.

    Quinto punto. possibile che i grandi macchinari del pote-re siano stati accompagnati da produzioni ideologiche. Proba-bilmente c' stata, ad esempio, un'ideologia dell'educazione, un'i-deologia del potere monarchico, un'ideologia della democrazia parlamentare ecc. Ma non credo che quel che si forma alla base, nel punto terminale dei reticoli di potere, siano delle ideologie. molto di meno e, credo, molto di pi. Sono degli strumenti ef-fettivi di formazione e di accumulazione del sapere, sono dei me-todi di osservazione, delle tecniche di registrazione, delle proce-dure di indagine e di ricerca, degli apparati di verifica. Tutto que-sto vuol dire che il potere, quando si esercita nei suoi meccani-smi sottili, non pu farlo senza formare, organizzare e mettere in circolazione un sapere o piuttosto degli apparati di sapere che non sono semplici accompagnamenti o edifici ideologici.

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  • Per riassumCTe queste cinque precauzioni di metodo, din-i che, inve^ di orientare la ricerca sul potre iii dirczine dell'c-dificio giuridico della sovranit, degli apparati di stato, delle ideo-logie""che l^ccoinpagnn, credo si dovrBb'orrentare l'analisi del potere vrso la doniinazibn (e non vers la sovranit), verso gli operlri matBali, le forme di assoggettamento, le connes-sioni e le utilizzazioni'dei sistemi locali dell'assoggettamento, e infine verso i dispositivi di sapere.

    Insomma, dobbiamo sbarazzarci del modello del Leviatano, cio del modello di quell'uomo artificiale, al contempo automa, costruito ed anche unitario, che avvolgerebbe tutti gli individui reali