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BIOPSIA LIQUIDA VANTAGGI NEL CARCINOMA PROSTATICO ATEZOLIZUMAB La nuova terapia standard dei carcinomi uroteliali? PROFESSIONAL EDITION NE & RE patologie urogenitali S A N F RAN C I S C O GENITOURINARY CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2 0 1 6 HOT TOPICS SYMPOSIUM (GUCS) 2016 GENITOURINARY CANCERS CARCINOMA A CELLULE RENALI Cabozantinib ritarda la progressione CARCINOMA PROSTATICO Deprivazione androgenica più docetaxel migliorano qualità della vita

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BIOPSIA LIQUIDA VANTAGGI NEL CARCINOMA PROSTATICO

ATEZOLIZUMABLa nuova terapia standarddei carcinomi uroteliali?

PROFESSIONALEDITIONNE&RE

patologie urogenitali

SAN FRANCISCO

GENITOURINARY CANCERS

SYMPOSIUM (GUCS)

2016

HOT TOPICSSYMPOSIUM (GUCS) 2016GENITOURINARY CANCERS

CARCINOMAA CELLULE RENALICabozantinibritardala progressione

CARCINOMAPROSTATICO

Deprivazione androgenica più docetaxel migliorano

qualità della vita

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Supplemento al n°2 di Popular ScienceAprile/Maggio 2016

4 BIOPSIA LIQUIDAVantaggi nel carcinoma

prostatico

8 CARCINOMA A CELLULE RENALI

Cabozantinib ritardala progressione

12 CARCINOMA PROSTATICODeprivazione androgenica

più docetaxel migliorano qualità della vita

16 ATEZOLIZUMABLa nuova terapia standard

dei carcinomi uroteliali?

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NE&REpatologie urogenitali

* Dati aggiornati al 31.01.2015

Totale 105.000

Farmacisti territoriali 25.558

Farmacisti ospedalieri 2.275

Mmg 35.815

Internisti 17.056

Nefrologi 4.276

Urologi 3.723

Ginecologi 10.990

Oncologi 5.439

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BIOPSIA LIQUIDA

VANTAGGI NELCARCINOMA PROSTATICO

GENITOURINARY CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016ABSTRACT 163

NEL CORSO DEGLI ULTIMI ANNI, NELLA RICERCA SUL CANCRO, STA GUADAGNANDO TERRENO, L’IDEA DI UTILIZZARE LE CELLULE TUMORALI CIRCOLANTI (CTC) COME “BIOPSIA LIQUIDA” PER IL MONITORAGGIO E LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI DEL TRATTAMENTO. IN UN NUOVO STUDIO PRESENTATO AL GENITOURINARY CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016 DI SAN FRANCISCO SI DIMOSTRA COME LA ‘BIOPSIA LIQUIDA’ POSSA ESSERE MOLTO UTILE PER IL TRATTAMENTO DEL CARCINOMA PROSTATICO, SUPPORTANDO UNA DECISIONE TERAPEUTICA OTTIMALE PER OGNI PAZIENTE.

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Nel tumore prostatico, in particolare, l’esecu-zione di biopsie di routine nella malattia me-tastatica non fa parte della pratica standard”, ha detto il ricercatore Howard I. Scher, me-dico oncologo e direttore del servizio di on-cologia genito-urinaria del Memorial Sloan

Kettering Cancer Center di New York City. Tuttavia - ha sottoli-neato, “quando si decide un trattamento per migliorare gli esiti è necessaria la capacità di caratterizzare la biologia del tumore del singolo paziente.” Questo studio dimostra che l’analisi di singole cellule isolate da pazienti con tumore metastatico alla prostata e resistente alla castrazione (CRPC) è fattibile e può essere uti-lizzata per valutare l’eterogeneità del tumore, come ha spiegato Scher. Le terapie mirate al recettore degli androgeni e ai sistemi di segnale del recettore-androgenico, come l’abiraterone acetato (Zytiga, Janssen) e enzalutamide (Xtandi, Astellas), nonché le chemioterapie a base di taxani possono prolungare la sopravvi-venza nei pazienti con CRPC. Tuttavia, la sequenza ottimale per la somministrazione ai pazienti per massimizzare la sopravviven-za individuale, non è ancora nota, ha osservato Scher. “La rispo-sta a enzalutamide dopo abiraterone acetato o abiraterone dopo enzalutamide somministrati in modalità sequenziale, è general-mente sia di durata più breve che meno frequente”, ha spiegato. Le informazioni sull’eterogeneità del tumore fornite dalla biopsia sulle CTC mostrano che potrebbe essere utile nel momento deci-sionale della scelta terapeutica.Nello studio, Scher e colleghi hanno considerato l’eterogeneità delle CTC cellula per cellula, con l’obiettivo di sviluppare dei bio-marcatori predittivi della sensibilità e questo metodo potrebbe essere utilizzato nei momenti decisionali della gestione del tratta-mento per stabilire la migliore sequenza delle terapie disponibili. Il team ha esaminato 221 campioni di sangue ottenuti da 179 pazienti con carcinoma metastatico CRPC che erano in procinto di iniziare la terapia sia con enzalutamide che con abiraterone (n = 150) o la chemioterapia con taxani (n = 71). I campioni sono stati analizzati per 20 funzioni cellulari fenotipiche discrete. Si procedeva analizzando 9.225 cellule isolate CTC che sono state caratterizzate e suddivise in 15 sottotipi CTC fenotipicamente distinti e anche un sottogruppo di 741 CTC provenienti da 31 pazienti è stato sequenziato singolarmente. “Le CTC sono sta-te analizzate, utilizzando una piattaforma di selezione già vali-data secondo la morfologia, la struttura chimica delle proteine e la genomica, un metodo che può essere considerato simile al riconoscimento dell’aspetto cellulare che viene spesso utilizzato per l’identità individuale specifica”, ha spiegato Scher. I singoli campioni dei pazienti sono stati poi analizzati per la frequenza e l’eterogeneità dei sottotipi CTC e monitorati per gli endpoint clinici prestabiliti. Tutti i campioni sono stati classificati sulla base dell’eterogeneità e della diversità di ogni cellula. I ricercatori hanno così stabilito che una elevata eterogeneità fenotipica delle CTC era predittiva per un tempo di sopravvivenza più breve, nei pazienti trattati con abiraterone o enzalutamide, ma non era lo stesso per la chemioterapia con taxani (docetaxel o cabazitaxel). Inoltre, la mediana della sopravvivenza libera da progressione, nei reperti radiografici, era più breve nei pazienti con un punteggio

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elevato di eterogeneità rispetto a quelli con un punteggio basso di eterogeneità (5 vs 17 mesi; hazard ratio [HR], 2.2; P = 0,00,182 mila) e lo stesso si verificava per la sopravvivenza globale (9 vs non raggiunta; HR, 5,51; p <0,0001). Scher ha aggiunto che le sperimentazioni cliniche per convalidare questi risultati sono at-tualmente in fase di sviluppo.Pal del City of Hope Comprehensive Cancer Center di Los An-geles ha commentato questo lavoro con enfasi, ricordando quanto la nuova metodica della ‘biopsia liquida’ possa essere più maneg-gevole ed efficace nel monitoraggio della progressione tumorale e degli effetti della terapia. Quando il paziente, per esempio, ha un tumore in evoluzione che è localizzato nell’osso, l’esecuzione di ripetute agobiopsie diviene dolorosa, mentre con la biopsia liquida questo si può evitare. Inoltre, con questa metodica, sarà possibile personalizzare il trattamento per ogni singolo paziente, ottenendo anche un miglioramento della prognosi e della soprav-vivenza, specie per i tumori che evolvono nel tempo e presentano una differente morfologia funzionale e strutturale delle CTC che consente al tumore stesso di resistere ai trattamenti farmacologici e di proliferare.

QUESTO STUDIO DIMOSTRA CHE L’ANALISI DI SINGOLE CELLULE ISOLATE DA PAZIENTI CON TUMORE METASTATICO ALLA PROSTATA E RESISTENTE ALLA CASTRAZIONE (CRPC) È FATTIBILE E PUÒ ESSERE UTILIZZATA PER VALUTARE L’ETEROGENEITÀ DEL TUMORE

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CARCINOMAA CELLULE

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GENITOURINARYCANCERS SYMPOSIUM

(GUCS) 2016ABSTRACT 499

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BERNARD ESCUDIERDELL’INSTITUT GUSTAVE ROUSSY

DI VILLEJUIF IN FRANCIA, HA PRESENTATO AL GENITOURINARY

CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016 I DATI PRELIMINARI DELLO STUDIO METEOR DI FASE III, SUL TRATTAMENTO ORALE DI SECONDA LINEA CON CABOZANTINIB

(COMETRIQ, EXELIXIS) CHE RIBADISCONO UN VANTAGGIO SENZA PRECEDENTI DEL FARMACO NEL RALLENTARE LA

PROGRESSIONE DEL CARCINOMAA CELLULE RENALI IN STADIO

AVANZATO.

CABOZANTINIB RITARDA LA PROGRESSIONE

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Nella fase III del trial METEOR, 658 pazienti con carcinoma renale in stadio avanzato, che in precedenza avevano spe-rimentato la progressione della malattia con un trattamento di prima linea con un inibitore della tirosin-chinasi del recetto-re VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) sono stati assegnati in modo ca-

suale a ricevere cabozantinib o everolimus (Afinitor, Novartis) che, attualmente, è lo standard del trattamento immunoterapeutico di seconda linea. I risultati relativi ai primi 375 pazienti hanno mostrato che la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) si-gnificativamente migliorata con cabozantinib rispetto a everolimus (7,4 vs 3,8 mesi; p <0,0001) (N Engl J Med 2015; 373: 1814-1823) e che il periodo di sopravvivenza libera da progressione era il più lungo mai osservato prima nel contesto di un trattamento di seconda linea. Escudier ha riferito che la mediana del tempo di sopravvivenza libera da progressione per il numero esteso dei pazienti era “esattamente la stessa”, come evidenziato dai risultati precedenti (7,4 vs 3,9 mesi; p <.001). Tuttavia, nonostante questi risultati siano riferiti ai dati pre-cedenti, Escudier ritiene che “la maggior parte” dei medici tendano a considerare il cabozantinib come farmaco “di riserva” per il tratta-mento di terza linea e ad utilizzare un altro trattamento in quanto, convenzionalmente, il trattamento di scelta per l’immunoterapia in seconda linea è il nivolumab (Opdivo, Bristol Myers-Squibb) che ha dimostrato, in questo contesto, di migliorare la sopravvivenza com-plessiva ed è molto meno tossico, ha spiegato.Le stesse osservazioni sono riportate in un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine (2015; 373: 1872-1874) nel quale gli autori David Quinn, dell’University of Southern Califor-nia Norris Comprehensive Cancer Center di Los Angeles, e Primo Lara Jr., dell’University of California Davis Comprehensive Cancer Center di Sacramento aggiungono: “Il cabozantinib è un trattamen-to di salvataggio per i pazienti i cui tumori progrediscono durante la terapia mirata con un inibitore della tirosin- chinasi del recettore VEGF e, probabilmente, sarà in concorrenza con altri inibitori VE-GFR nel trattamento di terza linea o in un trattamento successivo”. Essi rilevano, inoltre, che il nivolumab dovrebbe essere considerato come farmaco di scelta per il trattamento di seconda linea: “Dato il vantaggio conferito sulla sopravvivenza globale e il suo profilo degli effetti collaterali relativamente buono, il nivolumab è il trattamento di prima scelta per i pazienti che mostrano una progressione della malattia, mentre stanno ricevendo una terapia mirata anti-VEGF “. In proposito Sumanta Pal, del City of Hope Comprehensive Cancer Center di Los Angeles e portavoce dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha aggiunto: “I dati di efficacia per il cabozanti-nib sono incredibilmente convincenti”, riferendosi al miglioramento della sopravvivenza libera da progressione con il cabozantinib e alla tendenza verso un miglioramento della sopravvivenza complessiva riportato lo scorso anno. In particolare, si era osservata una forte tendenza dei risultati a favore del cabozantinib. “I risultati intermedi hanno mostrato un hazard ratio di 0.67 (P = .005), suggerendo una diminuzione del 33% del rischio di morte. Nonostante il beneficio sulla sopravvivenza complessiva, in questo contesto, l’immunoterapia non ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progres-

sione”, ha sottolineato Pal. “Personalmente, per me come professio-nista, per l’utilizzo del cabozantinib nel trattamento di seconda linea tutto questo è molto convincente”, ha sintetizzato ribadendo che non vi è “nessun confronto equo e diretto” in termini di tossicità tra il ni-volumab e il cabozantinib, perché nessuno degli studi clinici effettuati da ASCO ha stimato il confronto tra i due farmaci rivali. Escudier ha anche ammesso che i prossimi dati finali sulla sopravvivenza com-plessiva dello studio METEOR, dovrebbero in ultima analisi aiutare i medici nella decisione ad usare o meno il cabozantinib prima del nivolumab, nel trattamento di seconda linea. Tuttavia gli effetti colla-terali faranno la differenza nella scelta. In altri studi sui trattamenti con il cabozantinib infatti, già approvato per il trattamento del carcinoma midollare della tiroide, si notava una considerevole incidenza degli effetti collaterali riportati per i quali ad un 60% dei pazienti è stata ridotta la dose. Di fatto il cabozantinib è SY

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un anticorpo monoclonale mirato all’inibizione delle tirosin-chinasi dei recettori dei VEGFR, ma ha ulteriori effetti sulle tirosin-chinasi di altri inibitori, tra cui TEM e AXL. In proposito, è stato suggerito che queste attività aggiuntive consentono di superare la resistenza che si sviluppa con il trattamento di prima linea del carcinoma renale con farmaci che hanno come target VEGFR, che comprendono suniti-nib (Sutent, Pfizer), sorafenib (Nexavar, Bayer), pazopanib (Votrient, Novartis) e axitinib (Inlyta, Pfizer). Escudier ha presentato anche l’analisi dei sottogruppi compresi nello studio METEOR che - ha sottolineato - devono essere interpretati “con molta cautela” in quanto, per ora, si tratta solo di un esercizio di statistica. I ricercatori hanno scoperto che i miglioramenti osservati sulla sopravvivenza libera da progressione associati al trattamento con il cabozantinib erano coerenti nei sottogruppi di pazienti specifici, predefiniti dal Memorial Sloan Kettering Cancer Centers come ap-

“IL CABOZANTINIB È UN TRATTAMENTO DI SALVATAGGIO PER I PAZIENTI I CUI TUMORI PROGREDISCONO DURANTE LA TERAPIA MIRATA CON UN INIBITORE DELLA TIROSIN-CHINASI DEL RECETTORE VEGF E, PROBABILMENTE, SARÀ IN CONCORRENZA CON ALTRI INIBITORI VEGFR NEL TRATTAMENTO DI TERZA LINEA O IN UN TRATTAMENTO SUCCESSIVO”

David Quinn e Primo Lara Jr.New England Journal

of Medicine

partenenti a tre categorie di rischio (favorevole, intermedio o scarso), secondo l’estensione del tumore e secondo la terapia precedente (tipo, numero e durata). Un totale di 32 pazienti erano stati precedente-mente trattati con anticorpi monoclonali inibitori dell’espressione del recettore “Programmed Death” 1 (PD-1) (checkpoint immunitario) o con anticorpi monoclonali inibitori del ligando del recettore PD- 1 (PD-L1) come il nivolumab e sono andati incontro alla progressio-ne della malattia. Il beneficio della sopravvivenza libera da progres-sione non era ancora stato raggiunto per i pazienti che sono stati successivamente trattati con cabozantinib. Per i pazienti trattati con l’everolimus, la mediana della sopravvivenza libera da progressione è stata pari a 4,1 mesi, traducendosi in un rapporto di rischio di 0,22. Evidentemente il cabozantinib “è ancora molto attivo dopo la terapia con inibitori del recettore PD-1 o del ligando per il recettore PD-L1”, ha spiegato Escudier.

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PROSTATICOCARCINOMA

DEPRIVAZIONE ANDROGENICA PIÙ DOCETAXEL MIGLIORANO

QUALITÀ DELLA VITA

GENITOURINARY CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016ABSTRACT 286

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NEGLI UOMINI CON CARCINOMA PROSTATICO METASTATICO ORMONOSENSIBILE, LA SOPRAVVIVENZA È MIGLIORE QUANDO ALLA TERAPIA DI DEPRIVAZIONE ANDROGENICA (ADT) VIENE AGGIUNTA UNA CHEMIOTERAPIA CON DOCETAXEL MA, LA TOSSICITÀ DEL DOCETAXEL, DESTA PREOCCUPAZIONI. UNA NUOVA ANALISI DEI RISULTATI DELLO STUDIO CHAARTED, PRESENTATA AL GENITOURINARY CANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016 DI SAN FRANCISCO, MOSTRA TUTTAVIA CHE GLI EVENTI AVVERSI SONO DI BREVE DURATA E CHE, NEL COMPLESSO, I PAZIENTI TRATTATI CON DOCETAXEL IN AGGIUNTA ALL’ADT, MOSTRANO UNA BUONA QUALITÀDI VITA. L

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“Molti pazienti temono la chemio-terapia e pensano che resteranno malati per mesi e mesi”- ha detto Linda J. Patrick-Miller, oncologa dell’University of Chicago Me-dical Center, autore principale

dello studio. “Ma, in realtà, dopo circa 6 mesi, i pazienti si sentivano di nuovo quasi normali e a 12 mesi, si sentivano come prima del trattamento”. Infatti, i pazienti che avevano ricevuto la terapia di associazione hanno riportato una migliore qualità di vita a 12 mesi rispetto a quelli che hanno ricevuto solo ADT. “I pazienti han-no sperimentato dei disturbi in corso di trattamento, ma nel lun-go termine, dopo la terapia, non hanno mostrato un impatto sulla qualità complessiva della vita o sul benessere emotivo”. La ricerca-trice ha sottolineato che questo trattamento si differenzia da altri che potrebbero conferire solo un modesto beneficio. “L’aggiunta di docetaxel alla terapia ormonale ha un impatto significativo sulla sopravvivenza”, ha precisato. Nella loro analisi sulla qualità della vita, Patrick-Miller e i suoi colleghi hanno esaminato i dati dello studio cardine ECOG E3805 CHAARTED che erano già stati presentati per la prima volta alla riunione annuale del 2014 della American Society of Clinical Oncology, e i risultati sulla soprav-vivenza sono stati interpretati come un cambiamento epocale nella pratica clinica. Ci sono stati meno morti con ADT più docetaxel che con la sola ADT (104 vs 137), e la mediana della sopravvi-venza globale era migliorata con la combinazione che con la sola monoterapia (57.6 vs 44.0 mesi; hazard ratio, 0.47; p = 0,0003). Tuttavia, l’aggiunta di docetaxel al regime terapeutico ha portato a un aumento della tossicità, compresa una leucopenia con febbre nel 6% dei pazienti e ha avuto “un impatto significativo sulla funzione nervosa”. Inoltre, l’1% dei 397 pazienti del gruppo che ha ricevuto la terapia combinata è morto a seguito del trattamento. Per questa nuova analisi sulla qualità della vita, i ricercatori hanno utilizzato un questionario appositamente realizzato e separato per misurare la qualità di vita nel lungo termine correlata specificamente al taxano ed era migliorata, come previsto, nel gruppo che ha ricevuto doce-taxel, nonostante la presenza della neuropatia.Nello studio CHAARTED, 397 pazienti erano stati randomizzati a ricevere ADT più sei cicli di docetaxel ogni 3 settimane e, 393 di questi, sono stati randomizzati a ricevere la sola terapia ADT. Nella nuova analisi la qualità della vita e la valutazione dello stato fun-zionale della prostata sono state indagate per mezzo del Functional Assessment of Cancer Therapy–Prostate (FACT-P) e del Cancer Therapy-taxano (FACT-taxano) che sono stati utilizzati al basale e a 3, 6, 9, e 12 mesi dopo la randomizzazione. Nel gruppo che ha ricevuto la terapia combinata, il punteggio FACT-P a 3 mesi, è stato di 2,7 punti inferiore rispetto al basale (p = 0,003) ma a 12 mesi, è stato inferiore di solo 0,7 punti. Nel gruppo in monoterapia, invece, il punteggio FACT-P non era significativamente inferiore di 1,1 punti a 3 mesi rispetto al basale, ma a 12 mesi, ha raggiunto un risultato significativo inferiore di 4,2 punti (p = 0,0001). Nel complesso, vi era una differenza significativa tra i 2 gruppi (terapia combinata e monoterapia) del punteggio ottenuto con FACT-P a 3 mesi (P = .02) e a 12 mesi (P = .04). Sempre a 3 mesi, inoltre, i punteggi nel gruppo della terapia combinata sono stati inferiori a

quelli del gruppo in monoterapia ma a 12 mesi, i punteggi nel grup-po della terapia combinata erano più elevati. I pazienti nel gruppo della terapia combinata, inoltre, hanno riportato miglioramenti si-gnificativi nel benessere emotivo a 3 mesi, che si sono mantenuti fino a 12 mesi.“Il paradigma di trattamento del cancro alla prostata si è evoluto nel corso degli ultimi anni”, ha commentato Sumanta Pal del City of Hope Comprehensive Cancer Center di Los Angeles. “Inizial-mente c’era la tendenza a rinviare la chemioterapia alle successive linee di trattamento dopo le nuove terapie endocrine, ma i dati più recenti suggeriscono che è meglio anticiparla”. Una delle riserve che medici e pazienti ancora hanno è legata al profilo degli effetti M

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avversi, che mostra un effetto intrinseco sulla qualità della vita del paziente, ha spiegato l’oncologo. Tuttavia, ha aggiunto Pal, “credo che questi dati suggeriscano che sebbene possa esserci una certa riduzione della qualità della vita durante il trattamento con la che-mioterapia, questa torna successivamente ai livelli basali e anche forse migliora”. “Una delle sfide che spesso ci aspettiamo è che la chemioterapia possa comportare conseguenze durature e con doce-taxel ci preoccupiamo degli effetti collaterali riportabili nel lungo termine. “ Ma non senza aver detto che, almeno nel contesto del CHAARTED, la maggior parte dei pazienti è stata in grado di tornare a una parvenza di vita normale, dopo la chemioterapia”, ha concluso Pal.

“INIZIALMENTE C’ERA LA TENDENZA A RINVIARE LA CHEMIOTERAPIA ALLE SUCCESSIVE LINEE DI TRATTAMENTO DOPO LE NUOVE TERAPIE ENDOCRINE, MA I DATI PIÙ RECENTI SUGGERISCONO CHE È MEGLIO ANTICIPARLA”

Sumanta PalCity of Hope Comprehensive

Cancer Center di Los Angeles

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ATEZOLIZUMAB

GENITOURINARYCANCERS SYMPOSIUM (GUCS) 2016

ABSTRACT 355

LA NUOVA TERAPIA STANDARD

DEI CARCINOMI UROTELIALI?

SECONDO I RISULTATI AGGIORNATI DELLO STUDIO IMVIGOR 210 PRESENTATI AL GENITOURINARY CANCERS

SYMPOSIUM (GUCS) 2016 DI SAN FRANCISCO PROMOSSO DALL’ AMERICAN SOCIETY OF CLINICAL ONCOLOGY (ASCO),

L’IMMUNOTERAPIA SPERIMENTALE DEL CANCRO CON ATEZOLIZUMAB (NOTO ANCHE COME MPDL3280A, ROCHE)

MIGLIORA IN MODO SIGNIFICATIVO I TASSI DELLA RISPOSTA GLOBALE (ORRS) NEI TUMORI METASTATICI UROTELIALI

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I nuovi risultati aggiornati dello studio IMvigor 210 hanno dimostrato anche che queste risposte sono dure-voli. Inoltre, un più alto livello di espressione (checkpoint immunitario) del ligando per il recettore (PD-L1) è sta-to associato con tassi di risposta migliori, anche se bas-si livelli di espressione non escludono la replica di tali

risposte; le risposte complete sono state osservate indipenden-temente dal livello di espressione di PD-L1 anche nei pazienti con fattori prognostici sfavorevoli. Dato l’attuale panorama delle opzioni chemioterapiche per i pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato in pazienti precedentemente trattati con una terapia a base di platino, “questa nuova analisi dei dati di IMvigor 210 dimostra che l’atezolizumab ha il potenziale per diventare lo standard per la cura dei tumori metastatici uroteliali,” ha di-chiarato la ricercatrice oncologa Jean H. Hoffman-Censits, che dirige il Centro di Oncologia multidisciplinare genito-urinaria al Jefferson University Hospitals di Philadelphia e che ha pre-sentato i nuovi dati. Le prove sulle risposte obiettive (Orrs) e la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma uroteliale metastatico che progrediscono dopo la chemioterapia a base di platino, sono generalmente piuttosto scarse e le opzioni di trattamento sono limitate. “Ogni giorno, ci si presentano sfide per il trattamento di questi tumori con chemioterapie tossiche e che non hanno alcun beneficio sulla sopravvivenza in questa fragile popolazione di pa-zienti “, ha detto Hoffman-Censits. “Sono, dunque, drammatica-mente necessari trattamenti efficaci e tollerabili per il carcinoma uroteliale metastatico”. L’atezolizumab, un anticorpo monoclona-le in fase di sperimentazione creato per identificare e legarsi al recettore PD-L1, è stato designato lo scorso anno da parte della Food and Drug Administration a rappresentare una svolta tera-peutica per i pazienti il cui cancro metastatico della vescica espri-me PD-L1. L’atezolizumab inibisce il legame di PD-L1 a PD-1, il che può riattivare le cellule immunitarie soppresse, ha spiegato la Hoffman-Censits, ma lascia intatte le interazioni PD-L1/PD-1, che possono preservare l’omeostasi immunitaria. Nello studio multicentrico in aperto di fase II IMvigor 210, Hoffman-Censits e i suoi colleghi hanno valutato la sicurezza e l’efficacia di atezoli-zumab in 310 pazienti con carcinoma uroteliale localmente avan-zato o metastatico, indipendentemente dall’espressione PD-L1. Nello studio IMvigor 210 sono stati arruolati 316 pazienti, di cui 311 poi sottoposti al trattamento in studio. Di questi, al momen-to del cutoff dei dati, 62 erano ancora in terapia e 248 l’avevano interrotta, di cui 211 a causa della progressione della malattia, 13 a causa di eventi avversi, 9 hanno abbandonato lo studio e 15 per altri motivi. La maggior parte dei partecipanti erano maschi (il 78%) e il sito del tumore primario era la vescica nel 74% dei casi. Inoltre, nella maggior parte dei casi il trattamento preceden-te era stato a base di cisplatino (73%), seguito dal carboplatino e da nessun altra terapia a base di platino (26%). I pazienti che con la terapia iniziale mostravano una progressione del tumore, sono stati trattati con 1.200 mg al giorno di atezolizumab per via endovenosa per cicli di 21 giorni fino a quando non si verificava la perdita del beneficio clinico. Lo scorso anno la casa produttrice di atezolizumab ha annuncia-to che i risultati preliminari dello studio IMvigor 210 avevano

raggiunto il successo sperato e che l’end point del target primario del tasso di risposta era stato raggiunto. I pazienti nello studio IMvigor 210 sono stati divisi in due coorti. Nella prima coor-te erano compresi quelli che avevano ricevuto terapie precedenti per un tumore uroteliale localmente avanzato o metastatico, ma che erano idonei per la terapia di prima linea a base di cisplatino. “I risultati di questa coorte non sono ancora maturi”, ha riferi-to Hoffman-Censits. “Tali dati saranno presentati in un secondo momento”. Tuttavia la ricercatrice ha presentato i risultati della seconda coorte, che comprendeva pazienti che hanno avuto una progressione della malattia durante o dopo il trattamento con un regime chemioterapico a base di platino. Nel complesso, il 41% aveva ricevuto due o più trattamenti durante l’assetto metastatico.Un test immunoistochimico sperimentale è stato utilizzato per selezionare i pazienti per l’analisi istologica sia per le precedenti linee terapeutiche che per l’espressione di PD-L1 sulle cellule im-munitarie infiltranti il tumore (IC). La positività dell’espressione di PD-L1 è stata stratificata in tre sottogruppi: IC2/3 (almeno

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5%), IC1 (tra 1% e 5%) e IC0 (sotto l’1%). Tutti i sottogruppi specificati hanno incontrato l’end point target primario del 10%, con una risposta obiettiva rispetto ai soggetti del gruppo storico di controllo. Anche se un tasso di risposta migliore è stato associato ad un più alto livello di espressione di PD-LI, le risposte sono state osservate in IC0 e nei sottogruppi IC1. “Questo includeva le risposte complete,” ha detto Hoffman-Censits. L’ORR è stata del 26% per il sottogruppo IC2/3, il 18% per il sottogruppo IC0/1, e del 15% per tutti i pazienti. Insomma le risposte complete sono state osservate in circa l’11% dei pazienti nel sottogruppo IC2/3 e nel 5% di tutti i pazienti. Queste risposte sono state di lunga du-rata e la durata mediana della risposta (range 2,0 - 13,7 mesi) non è stata raggiunta in nessun sottogruppo PD-L1 a un follow-up medio di 11,7 mesi (range 0,2 - 15,2 mesi). “Considerando che le stime di OS a 12 mesi per la chemioterapia di seconda linea sono state di circa il 20%, questi dati sono davvero entusiasmanti”, ha sottolineato Hoffman-Censits. Le risposte sono state osserva-te anche in pazienti con fattori prognostici sfavorevoli, come ad esempio i 243 pazienti con metastasi viscerali (ORR, 10%), i 97 con metastasi epatiche (ORR, 6%), i 193 pazienti con una per-formance dello status ECOG pari a 1 (ORR, 10%) e i 68 con un livello di emoglobina inferiore a 10 g/dl (ORR, 9%). La media-na della sopravvivenza libera da progressione è stata di 2,1 mesi per tutti i pazienti. A 6 mesi, la sopravvivenza mediana libera da progressione è stata del 30% nel sottogruppo IC2/3, del 17% nel sottogruppo IC1, e del 21% nel sottogruppo IC0. La mediana della sopravvivenza globale è stata di 11,4 mesi nel sottogruppo IC2/3, di 6.7 mesi nel sottogruppo IC0 /1 e di 7,9 mesi per tutti i pazienti. A 12 mesi la mediana della sopravvivenza globale è stata del 48% nel sottogruppo IC2/3, del 30% nel sottogruppo IC0 /1 e del 36% per il totale dei pazienti. Questi dati reggono bene il confronto con la stima di sopravvivenza complessiva di 12 mesi del 20% in una sola coorte del trattamento di seconda linea. “Questi dati sono davvero entusiasmanti”, ha enfatizzato Hoff-man- Censits. La riduzione complessiva della massa tumorale è stata associata con lo status dell’espressione di PD-L1 (61% nel sottogruppo IC2/3, 45% nel IC1, e 30% nel sottogruppo IC0). Il profilo di sicurezza era accettabile e, nel complesso, il farmaco è stato ben tollerato anche con un 65% dei pazienti che hanno manifestato eventi avversi, ma con solo l’11% che ha segnalato un evento avverso grave. Non ci sono stati decessi attribuibili alla terapia e la percentuale di interruzione del trattamento è stata del 4%. I più comuni eventi avversi di grado 3/4 sono stati affatica-mento, anemia, polmonite, ipertensione/ ipotensione e, circa il 5% dei pazienti, è incorso in eventi immuno-correlati di grado 3/4. Tutto ciò “può cambiare lo scenario del trattamento della malat-tia”, ha commentato William Y. Kim del Lineberger Comprehen-sive Cancer Center, University of North Carolina di Chapel Hill. Sono attesi con ansia i risultati della prima coorte sperimentale e ulteriori conferme da studi con follow-up prolungati.L’azienda Roche ha comunicato che è già partito un trial rando-mizzato di fase III, dello studio IMvigor (211), in cui si confron-ta l’atezolizumab con la chemioterapia standard nei pazienti con carcinoma uroteliale metastatico o localmente avanzato dopo il primo trattamento.

L’ATEZOLIZUMAB, UN ANTICORPO MONOCLONALE IN FASE DI SPERIMENTAZIONE CREATO PER IDENTIFICARE E LEGARSI AL RECETTORE PD-L1, È STATO DESIGNATO LO SCORSO ANNO DA PARTE DELLA FOOD AND DRUG ADMINISTRATION A RAPPRESENTARE UNA SVOLTA TERAPEUTICA PER I PAZIENTI IL CUI CANCRO METASTATICO DELLA VESCICA ESPRIME PD-L1. L’ATEZOLIZUMAB INIBISCE IL LEGAME DI PD-L1 A PD-1, IL CHE PUÒ RIATTIVARE LE CELLULE IMMUNITARIE SOPPRESSE MA LASCIA INTATTE LE INTERAZIONI PD-L1/PD-1, CHE POSSONO PRESERVARE L’OMEOSTASI IMMUNITARIA

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