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1 Bioingegneria Chimica Introduzione PROBLEMA: interazione tra dispositivo medico e corpo umano Un dispositivo può essere totalmente impiantato (protesi d'anca) oppure percutaneo (protesi dentaria) Biomateriali: Biomateriali artificiali sintetici . 1. METALLI: + ottime prestazioni meccaniche + buone tecnologie - reazioni con l'ambiente circostante (liberazione di ioni) a. POLIMERI: + estremamente biocompatibili - perdita di massa molecolare 3. CERAMICI: + estremamente duri (resistenza a compressione) + inerti + buona tecnologia - molto fragili Biomateriali naturali. a. VIVENTI 1. TRAPIANTI: organo proveniente da un donatore umano: - possibilità di rigetto 2. TRAPIANTI INGEGNERIZZATI: organi cresciuti artificialmente: - possibilità di rigetto DEFINIZIONI: BIOMATERIALE: sostanza non vivente utilizzata nella fabbricazione di un dispositivo medico che ha in qualche punto un'interfaccia con un tessuto vivente. BIOCOMPATIBILITA': capacità di un biomateriale di determinare da una parte di un essere vivente una favorevole reazione alla sua presenza in una specifica applicazione. BIOCOMPATIBILITA’ dei DISPOSITIVI a LUNGO TERMINE: abilità del dispositivo di svolgere la sua specifica funzione, con il desiderato grado di incorporazione nel tessuto ospite, senza provocare alcun effetto locale o sistemico indesiderato. BIOSICUREZZA: esclusione di possibili danni seri causati dal materiale a carico dell’ospite. BIOFUNZIONALITA’: capacità del materiale di stimolare nell’ospite la risposta desiderata per la sua specifica applicazione. BIODEGRADAZIONE: progressiva disgregazione di un materiale mediata da attività biologiche. BIORIASSORBIMENTO: processo di dissoluzione o di rimozione dovuto ad attività cellulare di un materiale inserito in ambiente biologico. CITOTOSSICITA’: capacità di un materiale di provocare un effetto tossico a carico delle cellule che comporta una variazione della loro normale morfologia e fisiologia. TROMBOGENITA': proprietà di un materiale che induce la formazione di un trombo. MUTAGENICITA’/CARCINOGENICITA’: capacità di una sostanza di causare anomalie geniche. DISPOSITIVO MEDICO: strumento, apparato, arnese, macchina, invenzione, reagente in vitro o un altro oggetto similare compreso ciascun componente, parte o accessorio per il quale è previsto l'uso in medicina. ORGANO ARTIFICIALE: dispositivo medico che sostituisce in parte o completamente le funzioni di uno deli organi. PROTESI: dispositivo medico che sostituisce un arto, un organo o un tessuto. BIOPROTESI: protesi impiantabile costituita totalmente o sostanzialmente da un tessuto biologico trattato non vivente. DISPOSITIVO PERCUTANEO: dispositivo medico che passa attraverso la cute rimanendo in tale posizione per un significativo lasso di tempo. IMPIANTO: dispositivo medico fabbricato con uno o più biomateriali posto intenzionalmente all'interno del corpo e totalmente o parzialmente inglobato al di sotto

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Bioingegneria Chimica

Introduzione

PROBLEMA: interazione tra dispositivo medico e corpo umano Un dispositivo può essere totalmente impiantato (protesi d'anca) oppure percutaneo (protesi dentaria)

Biomateriali: Biomateriali artificiali sintetici .

1. METALLI: + ottime prestazioni meccaniche + buone tecnologie - reazioni con l'ambiente circostante (liberazione di ioni)

a. POLIMERI: + estremamente biocompatibili - perdita di massa molecolare

3. CERAMICI: + estremamente duri (resistenza a compressione) + inerti + buona tecnologia - molto fragili

Biomateriali naturali.

a. VIVENTI 1. TRAPIANTI: organo proveniente da un donatore umano: - possibilità di rigetto 2. TRAPIANTI INGEGNERIZZATI: organi cresciuti artificialmente: - possibilità di rigetto

DEFINIZIONI: ▪ BIOMATERIALE: sostanza non vivente utilizzata nella fabbricazione di un dispositivo medico che

ha in qualche punto un'interfaccia con un tessuto vivente. ▪ BIOCOMPATIBILITA': capacità di un biomateriale di determinare da una parte di un essere

vivente una favorevole reazione alla sua presenza in una specifica applicazione. ▪ BIOCOMPATIBILITA’ dei DISPOSITIVI a LUNGO TERMINE: abilità del dispositivo di svolgere la sua

specifica funzione, con il desiderato grado di incorporazione nel tessuto ospite, senza provocare alcun effetto locale o sistemico indesiderato.

▪ BIOSICUREZZA: esclusione di possibili danni seri causati dal materiale a carico dell’ospite. ▪ BIOFUNZIONALITA’: capacità del materiale di stimolare nell’ospite la risposta desiderata per la

sua specifica applicazione. ▪ BIODEGRADAZIONE: progressiva disgregazione di un materiale mediata da attività biologiche. ▪ BIORIASSORBIMENTO: processo di dissoluzione o di rimozione dovuto ad attività cellulare di un

materiale inserito in ambiente biologico. ▪ CITOTOSSICITA’: capacità di un materiale di provocare un effetto tossico a carico delle cellule

che comporta una variazione della loro normale morfologia e fisiologia. ▪ TROMBOGENITA': proprietà di un materiale che induce la formazione di un trombo. ▪ MUTAGENICITA’/CARCINOGENICITA’: capacità di una sostanza di causare anomalie geniche.

▪ DISPOSITIVO MEDICO: strumento, apparato, arnese, macchina, invenzione, reagente in vitro o

un altro oggetto similare compreso ciascun componente, parte o accessorio per il quale è previsto l'uso in medicina. ▪ ORGANO ARTIFICIALE: dispositivo medico che sostituisce in parte o completamente le

funzioni di uno deli organi. ▪ PROTESI: dispositivo medico che sostituisce un arto, un organo o un tessuto. ▪ BIOPROTESI: protesi impiantabile costituita totalmente o sostanzialmente da un tessuto

biologico trattato non vivente. ▪ DISPOSITIVO PERCUTANEO: dispositivo medico che passa attraverso la cute rimanendo in

tale posizione per un significativo lasso di tempo. ▪ IMPIANTO: dispositivo medico fabbricato con uno o più biomateriali posto

intenzionalmente all'interno del corpo e totalmente o parzialmente inglobato al di sotto di una superficie epiteliale cutanea o mucosa.

▪ GRAFT: pezzo di tessuto vivente trasferito da una zona di un donatore ad una zona di un ricevente con lo scopo di ricostruire quest'ultima.

▪ TRAPIANTO: struttura completa trasferita da una zona di un donatore ad una zona di un ricevente con lo scopo di ricostruire quest'ultima.

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3. AUTOCRAFT: cellule (cutanee) del paziente re-impiantate nello stesso. --> CELLULE AUTOLOGHE Rigetto: fenomeno che porta l'organismo ospite a chiudere i capillari che irrorano il nuovo organo

b. NON VIVENTI 1. HOMOGRAFT: cellule prelevate da un donatore, ma rese non viventi. 2. ETEROGRAFT: cellule prelevate da un animale, ma rese non viventi. Cellule trattate mediante tecniche che permettono di eliminare la parte vivente delle stesse mantenendo forma e struttura.

Sia homograft che eterograft presentano reazioni compatibili ai materiali polimerici

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Le proteine

IMPORTANZA DELLO STUDIO DELLE PROTEINE: 1. Sono numerose e fondamentali nel corpo umano; 2. Sono utilizzate

per creare biomateriali; 3. Sono un materiale biologico autograft: se sottoposte a sterilizzazione possono essere usate

come matrice; 4. Sono lo strumento di comunicazione tra cellule.

Sono prodotte dalle cellule.

GLI AMMINOACIDI: sono il monomero della proteina.

Ciò che va a differenziare gli amminoacidi è il gruppo laterale

R;

▪ Positivi: arginina, istidina, lisina

▪ Negativi: acido aspartico, acido glutammico

▪ Neutri polari: serina, teorina

▪ Casi speciali: glicina

▪ Idrofobici

▪ Idrofilici

Punto isoelettrico (pI): pH a cui la concentrazione dell’amminoacido in forma di ione positivo è uguale alla

concentrazione dell’amminoacido in forma di ione negativo.

Zwitterone: composto recante sulla stessa molecola una carica negativa e una positiva -> al pI sulla molecola

non è presente nessuna carica

LEGAME PEPTIDICO

Il gruppo acido di un amminoacido si lega al gruppo

amminico di un altro amminoacido; si ottiene un

composto che appare come un amminoacido in quanto

presenta i terminali caratteristici. (legame piano)

STRUTTURA DELLE PROTEINE

STRUTTURA PRIMARIA: sequenza degli amminoacidi.

STRUTTURA SECONDARIA: conformazione assunta dalla catena proteica

1) Random coil: assenza di ripetizione

2) Beta-sheet: legami tra porzioni distanti della catena

3) Alpha-elica: presenza di un motivo che si ripete

Una zona spaziale costituita da alpha-elica e beta-sheet rappresenta un dominio e costituisce la

struttura supersecondaria.

STRUTTURA TERZIARIA: conformazione tridimensionale che la proteina assume nel solvente in cui si trova

(allungata, globulare) anche a causa del grado di idrofilicità dei suoi residui.

STRUTTURA QUATERNARIA: intero complesso di catene proteiche in struttura terziaria che vanno a formare

la proteina, unite mediante legami non covalenti.

La conformazione sopraprimaria è definita conformazione nativa: conformazione definitiva che la proteina

assume spontaneamente per effetto delle forze non covalenti soggette al principio della minima energia

libera compatibile con le condizioni a cui si trova la molecola proteica

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FUNZIONE DELLE PROTEINE

▪ Supporto meccanico (proteine fibrose -> matrice delle ossa, cartilagini, tendini, pelle)

▪ Ricezione e trasmissione degli impulsi nervosi

▪ Regolazione ormonale: gli ormoni sono proteine

▪ Contrazione muscolare

▪ Protezione: anticorpi, fibrinogeno

▪ Trasporto (da un tessuto all’altro o nello stesso tessuto (emoglobina, mioglobina, albumina)

▪ Catalisi enzimatica

DENATURAZIONE DELLE PROTEINE

La conformazione nativa di una proteina determina la sua funzione, dunque una perturbazione della forma

comporta la perdita della sua funzione biologica. Solitamente la denaturazione non implica la rottura dei

legami peptidici, ma la disorganizzazione della conformazione nativa, che causa la modifica delle proprietà

fisiche e la maggiore sensibilità alla catalisi enzimatica.

CAUSE: calore, variazioni di pH, solventi organici, detergenti, adsorbimento su un materiale.

La denaturazione può essere reversibile (tolta la forzante, la proteina torna nella sua conformazione

originaria RINATURAZIONE) oppure irreversibile.

PROTEINE SEMPLICI

1. GLOBULARI: proteine funzionali; sono generalmente solubili in acqua e chimicamente attive. Es:

albumina, fibrinogeno

2. FIBROSE: proteine strutturali; sono generalmente insolubili in acqua, lineari, filamentari e

chimicamente stabili. Es: collagene, elastina.

La solubilità dipende dal rapporto tra gruppi polari e apolari dei residui presenti sugli amminoacidi presenti

ENZIMI

Gli enzimi sono proteine con una determinata forza che catalizzano le reazioni metaboliche diminuendo

l’energia libera necessaria. Presentano un sito attivo, che è la zona all’interno della quale si lega il substrato

specifico; l’enzima riconosce, imprigiona e orienta il substrato in una particolare direzione.

COLLAGENE Il collagene è una proteina fibrosa che si può presentare con diverse composizioni; la sua unità base è il

tropocollagene.

STRUTTURA PRIMARIA: -[Gly-X-Y]- in cui X e Y sono solitamente Prolina e Idrossiprolina.

STRUTTURA SECONDARIA: alpha-elica

STRUTTURA TERZIARIA: alpha-elica fibrosa

STRUTTURA QUATERNARIA: tripla alpha-elica.

Una volta formatasi la tripla elica della struttura quaternaria, la molecola viene secreta dalla cellula, dove si

associa in fibirille e fibre di collagene, unendosi a proteoglicani e glicossiamminoglicani diventando collagene

maturo. La mancata associazione agli altri componente porta alla formazione di tessuto cicatriziale.

ELASTINA L’elastina è una proteina strutturale con elelvate proprietà elastomeriche che si trova nei legamenti, nelle

pareti dei vasi ematici, nella pelle.

A differenza del collagene non presenta una sequenza regolare di amminoacidi, ma quelli presenti hanno

gruppi R piccoli, caratteristiche che aumenta la flessibilità della proteina.

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Le cellule

Cellula: più piccola porzione organizzata di materia vivente capace di condurre vita indipendente in ambiante

adatto a vivere

Classificazione

PERMANENTI: cellule che in vivo non si duplicano: cellule nervose, cellule cardiache

STABILI: cellule che conservano la capacità di proliferare in presenza di stimoli

o Fibroblasti: generano collagene

o Osteoblasti: producono osso

o Condroblasti: producono collagene II

o Macrofagi: cellule tipiche dell’infiammazione, la loro presenza fornisce informazioni sullo

stato di infiammazione.

o Monociti: cellule bianche del sangue.

LABILI: cellule in grado di proliferare per tutta la vita: cellule epiteliali, cellule endoteliali

MEMBRANE CELLULARI

Funzioni: barriera, trasporto, ricezione e riconoscimento, controllo metabolico, adesione cellulare e

locomozione.

All’interno della cellula sono presenti due membrane: la membrana citoplasmatica e la membrana

intracellulare

Membrana citoplasmatica

È la struttura specializzata che controlla il passaggio e il trasporto di ioni e metaboliti e il flusso di

informazioni.

Funzioni: compartimentazione, trasporto e sostegno, regolazione della divisione cellulare, riconoscimento

Struttura: struttura eterogenea:

LIPIDI: funzione strutturale, dinamica e ricettiva

PROTEINE: funzione strutturale, enzimatica e di trasporto

GLUCIDI (legati al lato esterno della membrana)

DIMENSIONI:

proteine: 10 nm = prodotti di degradazione

batteri: quale µm

cellule: decine di µ

RICONOSCIMENTO: 1. Ricezione del segnale

2. Riconoscimento cellula-cellula: recettori

per controllo metaboliti; azione di ormoni,

farmaci e tossine; differenziamento e

proliferazione; locomozione e adesione

Le proteine possono essere periferiche o

transmembrana. Quest’ultime se legano

una molecola si modificano

strutturalmente, anche nella porzione

interna alla celllula

PROCESSO DI ISTOCOMPATIBILITA’: proteina esposta su ogni

cellula che permette il riconoscimento cellulare. Gli organi di donatori presenteranno cellule con processo di

istocompatibilità non riconoscibile dall’ospite -> rigetto

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C ITOSCHELETRO

Struttura proteica, dinamica e tridimensionale che collega la membrana cellulare al nucleo; presenta

microtubuli, microfilamenti e filamenti intermedi.

Funzioni: regola i movimenti cellulari e da stabilità alla cellula.

FUNZIONE DI ADESIONE E LOCOMOZIONE: INTEGRINA: proteina transmembrana che lega l’estremità nella matrice

extracellulare a un messaggero e causa modificazioni al citoscheletro.

C ITOPLASMA

Liquido-gel che contiene gli organuli, il citoscheletro e il reticolo endoplasmatico.

Funzioni: riserva, coordinazione del transito metabolico, sintesi, contiene gli enzimi necessari alla produzione

di energia in assenza di ossigeno.

RETICOLO ENDOPLASMATICO

Sistema di membrane che vanno a formare dei canali compartimentali per la biosintesi, la raccolta e il

trasferimento di proteine (RErugoso) ed altre molecole (REliscio)

RIBOSOMI

Organelli deputati alla sintesi proteica, garantiscono interazioni tra l’RNA e gli amminoacidi

MITOCONDRI

Organelli con funzione respiratoria

APPARATO DI GOLGI

Sistema tubolare per trasporto e accumulo di sostanza

LISOSOMI

Vescicole delimitate da una membrana che contengono enzimi idrolitici (rilasciati in prossimità dell’elemento

estraneo) per la digestione di materiale intra e extra cellulare e di secreto in eccesso.

MATRICE EXTRACELLULARE

Ambiente in cui vivono le cellule, composto principalmente da acqua, collagene, GAG, glicoproteine, elastina.

È organizzata dalle cellule stesse.

Esistono due tipi di matrice: la membrana basale è una struttura 2D tipica di epitelio e endotelio; la matrice

interstiziale tipica del tessuto connettivo.

Funzioni:

1. Supporto meccanico per l’ancoraggio delle cellule (spreading cellulare)

2. Determinazione dell’orientamento cellulare grazie alla simmetria dell’ECM

3. Controllo della crescita cellulare

4. Mantenimento della differenziazione cellulare

5. Rinnovamento dell’impalcatura tissutale

6. Stabilizzazione del microambiente tissutale

ESPERIMENTO: culture cellulari poste

in un terreno di coltura liscio si

dispongono casualmente, mentre

ponendo delle rugosità in rilievo nello

scaffold, le cellule tendono a disporsi

seguendo la simmetria suggerita

(CONTACT GUIDANCE)

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FENOMENO DI ADESIONE CELLULARE

Cellule di uno stesso tessuto possono stabilire rapporti tra loro senza perdere la propria individualità.

Adesione focale: adesione molto forte tramite recettori specifici per le proteine adesive.

Lo SPREADING CELLULARE è un processo che unisce l’attività adesiva e la rete contrattile intracellulare che

avviene in presenza di un substrato non citotossico.

La cellula che arriva in contatto col substrato inizia a creare legami con esso

mediante l’emissione di uno pseudopodo, appiattendosi per aumentare la

superficie disponibile a interagire con la cellule. Il legame avviene mediante le

integrine (proteine transmembrana)

che si legano al citoscheletro della

cellula e al materiale mediante legami non covalenti; questi legami

avranno una forza di adesione F determinata dalle proteine pre-

adsorbite, dalle proteine prodotto e dalle proprietà del substrato.

Inoltre il flusso di liquido genera sulla cellula un forza di taglio T che,

entro certi limiti, stimola correttamente la cellula.

Meccanismi di interazione tra cellula e ECM:

Una cellula si eprime mediante la produzione di proteine

specifiche.

Le intgrine permettono al segnale di

arrivare ad agire sul nucleo.

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Tessuti e cellule

TESSUTO CONNETTIVO

Il tessuto connettivo è presente in tutti gli organi con la funzione di separare le unità funzionali e

mantenerne l’integrità. È composto da cellule (componente vitale) che hanno la funzione di specificità

funzionale e fibrosi (collagene e fibre elastiche) che servono a mantenere la forma dei tessuti e prevenire i

danneggiamenti.

Le cellule del connettivo si dividono in cellule fisse e migranti: le cellule fisse sono cellule sempre presenti,

con una relativa costanza di numero e distribuzione; le cellule migranti provengono invece dal sangue e

compaiono solo transitoriamente nei connettivi.

CELLULE FISSE

Cellule fisse caratteristiche: fibroblasti, condroblasti, osteoblasti..

Fibroblasti: cellule allungate che producono i precursori del collagene e dell’elastina. Nelle ferite in via di

cicatrizzazione presentano fasci di microfilamenti e altre caratteristiche che li assimilano a fibrocellule

muscolari lisce.

Macrofagi: cellule ad attività fagocitaria e pinocitaria che introflettono all’interno del proprio citoplasma

sostanze non fisiologiche per mezzo di uno pseudopodo. Queste sostanze vengono riutilizzate se biologiche, altrimenti

rimangono all’interno del macrofago.

A seguito di uno stimolo i macrofagi subiscono modificazioni morfologiche, biochimiche e funzionali

(aumentano di dimensioni, migliore l’adesività, l’ossidazione del glucosio, la produzione di enzimi) e aumentano in

numero (sia per reclutamento di monociti che per proliferazione dei macrofagi fissi). Nelle reazioni a corpi estranei e i alcune infezioni batteriche avviene la fusione di macrofagi che porta alla generazione

di cellule giganti

Mastociti: cellule ad attività farmacologica che accumulano mediatori per secernerli in seguito quando

sottoposti ad una adeguata stimolazione (fattori chemiotattici, istamina, eporina). Sono più frequenti in

prossimità dei capillari.

CELLULE MIGRANTI

Globuli bianchi (granulociti, neutrofili, eosinofili, basofili): cellule che vengono diffusi dal capillare nelle

vicinanze della zona che presente sostanze tossiche.

Endocitosi

Capacità della cellula di eliminare fisicamente corpi e sostanze estranee.

Fagocitosi: assunzione di particelle di diametro superiore a 0,5µ. Per essere fagocitate le particelle

devono prima aderire alla cellula per poi essere assunte mediante pseudopodi. Schema di fagocitosi: 1. Adesione della particella da fagocitare 2. Avvolgimento della particella mediante gli

pseudopodi e segregazione nel vacuolo citotico 3. Adesione dei lisosomi al vacuolo e rilascio del contenuto

enzimatico (digestione)

Pinocitosi: assunzione di gocciole di liquido insieme ai soluti

GLOBULI BIANCHI: cellule che non hanno una particolare funzione nel letto vascolare, ma che assumono

capacità macrofaghe dopo essere state profuse dai capillari. I capillari sono distanti circa 100µm tra loro, dunque ogni cellula è relativamente vicina ad un capillare.

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Nel caso in cui il corpo estraneo sia di dimensioni non paragonabili a quelle della cellula ad attività fagocitaria, avviene

l’endocitosi frustrata: sia ha produzione di collagene che va a incapsulare la sostanza estranea, che aumenta di spessore

in caso di infiammazione cronica.

Secrezione cellulare

Produzione e liberazione di sostanze per scopi specifici

Chemiotassi

Capacità di richiamo da parte di alcuni fattori (detti chemiotattici) che muovono alcune cellule grazie alla

creazione di un gradiente di concentrazione. La chemiotassi può essere positiva se attira le cellule o negativa

se le allontana.

FATTORI CHEMIOTATTICI: prodotti batterici, particelle estranee, proteine denaturate, fattori del sistema del complemento.

Anche i globuli bianchi si muovono per chemiotassi nel connettivo grazie alle cellule endoteliali che fungono da

intermediario, essendo posizionate metà all’interno del capillare e metà nel tessuto.

IL SANGUE

Il sangue è un tessuto connettivo in cui la matrice extracellulare è fluida.

Funzioni: trasporto di gas respiratorio, metaboliti, sostanza di scarto, ormoni, enzimi;

distribuzione del calore;

mezzo di trasporto di cellule dai tessuti emopoietici ai connettivi.

A riposo o in contatto con sostanze diverse dell’endotelio coagula diventando una massa gelatinosa.

Composizione: sangue a riposo ma con aggiunta di fattori che evitano la coagulazione

1. Globuli rossi 45%

2. Piastrine, globuli bianchi 1%

3. Plasma 54%

Elementi particolati del sangue: LE CELLULE EMATICHE:

a. Fabbricate nel midollo osseo: piastrine, globuli rossi,

basofili, eosinofili, neutrofili

b. Fabbricate nei linfonodi, nella milza, nel timo e nel midollo

osseo: linfociti, monociti

❖ Eritrociti: cellule deputate al trasporto dei gas legati all’emoglobina,

non nucleati;

forma di disco biconcavo, ma subisce modificazioni per transitare nei capillari

❖ Piastrine: cellule deputate a tamponare lesioni dell’endotelio per limitare l’emorragia,

inoltre secernono sostanze che attivano vari tipi cellulari.

❖ Leucociti

▪ Granulari

• Neutrofili: cellule ad attività fagocitatoria notevole, compongono la

prima line di difesa contro le invasioni batteriche, migrando nei

connettivi per attivazione chemiotattica

• Basofili: cellule che gestiscono la permeabilità dei vasi e producono

sostanze che regolano la coagulazione

▪ Non granulari (mononucleati)

• Linfociti: cellule fondamentali del sistema immunitario (T o B)

Globuli rossi e piastrine svolgono interamente il loro compito nel sistema

vascolare, mentre i leucociti migrano costantemente attraverso le pareti

dei capillari per collocarsi stabilmente nei tessuti connettivi.

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• Monociti: cellule che transitano dal midollo osseo alla sede tissutale

definitiva dove si trasformano in macrofagi (si differenziano all’uscita dal

capillare grazie all’adesione cellulare: aumentano di dimensioni,

aumenta l’attività lisosomiale e l’attività di endocitosi).

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Difesa dell’organismo

COAGULAZIONE

La coagulazione è una catena proteica che può

essere attivata in due modi, uno estrinseco e uno

intrinseco, che portano comunque all’attivazione

del FATTORE X che causa la reticolazione delle

fibrina, la quale forma una rete che blocca

l’emorragia.

Percorso intrinseco: avviene per contatto (con

collagene, aria, materiali artificiali)

Percorso estrinseco: avviene per ingiuria tissutale

(danno vascolare o all’endotelio, qualunque sia la

portata dell’emorragia)

Il processo può anche essere attivato in punti

diversi della cascata.

I farmaci anticoagulanti impediscono al fibrinogeno di polimerizzare.

FIBRINOGENO

Il fibrinogeno è una glicoproteina formata da due insieme

speculari di tre catene proteiche. La trombina causa il

distacco di un frammento della catena alpha del dimero e

successivamente di un segmento del frammetno beta, si

forma dunque in fibrin-monomero che polimerizza con altre

molecole analoghe per andare a formare un reticolo di

fibrina via via più insolubile.

A livello farmacologico, a seconda della necessità del paziente si può decidere a che punto della cascata

bloccare la coagulazione: l’eparina blocca totalmente il processo, mentre gli antiaggreganti piastrinici no.

FIBRINOLISI

CASCATA PROTEICA: trasformazione di

proteine o molecole legate tra loro che

circolano nel sangue

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RISPOSTA BIOCHIMICA DELL’ORGANISMO

Un biomateriale a contatto col sangue viene organificato (attacco e adesione cellulare di piatrine ->

coagulazione)

1. adsorbimento di proteine plasmatiche sulla superficie (fibrinogeno)

2. adesione di proteine

3. attivazione piastrinica

4. creazione di punti di reticolazione

5. reclutamento di piastrine circolanti

6. aggregazione e reclutamento di piastrine sopra lo strato già formatasi con eventuale formazione di

trombo murale

La formazione dello strato proteico e l’attivazione piastrinica dipende dalla natura del biomateriale, dal ripo

di proteine plasmatiche adsorbite e dal loro effeto sulla coagulazione, dal tipo di anticoagulante presente nel

sangue, dalle caratteristiche del flusso all’interfaccia col biomateriale.

PROCESSO INFIAMMATORIO

Il processo infiammatorio può esere acuto (se ha un inizio e una fine) oppure cronica.

Infiammazione acuta

1. Migrazione dei leucociti all’interno dei capillari sino a raggiungere l’ingiuria

2. Adesione dei leucociti all’endotelio

3. Migrazione verso l’area di infiammazione per chemiotassi

4. Fagocitosi

5. Rilascio di prodotti nella ECM che richiamano una risposta immunitaria

L’infiammazione acuta può concludersi in diversi modi:

▪ Essere totalmente risolta (andamento a campana)

▪ Guarigione con tessuto cicatriziale

▪ Formazione di ascesso

▪ Ingresso nella fase di infiammazione cronica

Nel caso dei dispositivi biomedici si avrà fagocitosi frustrata.

Infiammazione cronica

1. Adesione cellulare e fagocitosi dei macrofagi macrofagi attivati produzione di agenti

chemiotattici

2. Crescita di cellule attivazione dei fibroblasti

3. Formazione della capsula fibrotica

4. Presenza di cellule giganti multinucleate nella zone circostante il dispositivo

crescita: crescita di macrofagi, diminuzione dei globuli bianchi presenti nel

sangue (diventano macrofagi), aumento neovascolarizzazione. se poi rientra nell’infiammazione cronica si ha aumento delle cellule giganti

multinucleate

diminuzione: diminuzione di macrofagi, diminuzione di

neovascolarizzazione.

Le cellule giganti nucleate mandano segnali ai fibroblasti che producono

collagene; se vengono continuamente stimolati ricoprono di collagene il

materiale fino a creare una membrana

Graficamente l’infiammazione acuta decresce a campana

dopo la raggiunta del massimo (assieme alla curva

riguardante i macrofagi)

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Il sistema immunitario

Il sistema immunitario è il sistema fisiologico di difesa che protegge l’organismo da elementi viventi con DNA

diverso da quella dell’individuo (come virus o batteri). Il riconoscimento avviene mediante proteine, dette

PROCESSO DI ISTOCOMPATIBILITA’, caratteristiche di ogni individuo e presenti su ogni cellula di esso.

I metodi usati dal sistema immunitario per eliminare batteri e virus sono due:

▪ Fagocitosi (operata ad esempio dai macrofagi), ma anche dalla parte cellulare del sistema

immunitario

▪ Sistema del complemento, il quale effettua un buco sulla membrana della cellula come parte

terminale di due catene proteiche diverse. Viene ad esempio utilizzato nelle cellule trapiantate, le quali non

possono essere fagocitate in quanto adese al tessuto.

IMMUNITÀ NATURALE: è un tipo di immunità

congenita, dunque un sistema che agisce senza che

ci sia stato un contatto preventivo con gli agenti

nocivi. Ne fanno parte: la pelle intatta, le mucose,

gli acidi grassi e gli enzimi digestivi, gli agenti

antivirali, la febbre, le cellule ad attività fagocitaria,

la risposta infiammatoria

IMMUNITÀ ACQUISITA: è un tipo di immunità che non blocca l’agente nocivo al primo contatto, ma organizza

una risposta in poco tempo (immunità adattiva); è una funzione del tessuto linfatico (linfonodi, milza e timo).

▪ Cellule-mediata: cascata di eventi che porta alla creazione di linfociti killer sensibilizzati.

▪ Umorale: basata sugli anticorpi circolanti nel flusso ematico sotto forma di globuline.

Antigeni

Molecola solitamente di natura proteica riconosciuta come estranea al primo incontro con l’organismo; sono

ad esempio tossine dei batteri, corpi batterici o virali, tessuti trapiantati, biomateriali.

I cloni di linfociti B restano allo stato dormiente fintanto che non vengono esposti ad un antigene specifico.

Ovviamente una successiva esposizione allo stesso antigene darà luogo ad una risposta anticorpale molto più

pronta e molto più potente (risposta secondaria) vaccinazione.

Anticorpi

Molecole recettore di natura proteica gamma-globuline, dette immunoglobuline.

La struttura quaternaria è composta da 4 molecole (2 catene pesanti e 2 leggere); le

catene leggere sono la parte variabile dell’anticorpo e presentano un sito attivo

specifico per un particolare antigene, le catene pesanti sono la porzione costante e

permettono all’anticorpo di legarsi alla cellula o di combinarsi con altri fattori

(specialmente il sistema del complemento).

LINFOCITI B: producono anticorpi in caso di presenza di antigeni

LINFOCITI T: sono legati alla risposta cellula-mediata

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Il legame antigene – anticorpo è chemiotattico per i macrofagi e può attivare il sistema del complemento.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO

Il sistema del complemento è una cascata proteica a imbuto che termina nella produzione di C5C9, che è il

complesso di attacco alle membrane, una proteina transmembrana a forma di cilindro cavo che si interpone

nella membrana creando un foro.

Questa proteina può essere attivata mediante

• un percorso classico, che inizia dal legame antigene – anticorpo

• un percorso alternativo, attivato dalla reazione infiammatoria

Nel complesso di attacco alle membrane avvengono reazioni chimiche che producono filamenti peptidici,

chemiotattici una volta attaccati alla membrana

IMMUNITA’ CELLULARE

L’antigene può legarsi anche sulla membrana di un linfocita T, che può andare a differenziarsi in T-Helper,il

quale attiva il sistema immunitario, o T-Suppressor, il quale abbatte la reazione immunitaria.

il legame anticorpo-antigene inattiva gli

antigeni tramite

neutralizzazione di virus batteri

favorsicono la fagocitosi

agglutinazione di cellule

precipitazione di antigeni in soluzione

attivazione del sistema del

complemento

porta alla lisi cellulare

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Biocompatibilità

def: capacità del materiale di generare una risposta appropriata in un sistema ospitante, data una determinata applicazione. Uno stesso materiale può essere biocompatibile per una data applicazione, ma non per un'altra

La ricerca del dispositivo migliore deve tenere conto di molti fattori: DESTINAZIONE E DURATA (frequenza di utilizzo: dispositivo temporaneo, periodico o permanente) RISPOSTA DELL’ORGANISMO (infiammazione: corpo del paziente cerca di eliminare il dispositivo; coagulazione: il sangue coagula a contatto con qualsiasi sostanza diversa dell’endotelio; emolisi: rottura dei globuli rossi a causa di urti, salti di temperatura..; infezione (per i dispositivi percutanei)) DISPOSITIVO (architettura: un dispositivo con una geometria identica a quella della parte da sostituire va bene) Dispositivo temporaneo: lente a contatto giornaliere, ventricolo artificiale.

Dispositivo periodico: lente a contatto mensile.

Dispositivo permanente: protesi d’anca Ciò non modifica il progetto generale, ma varia i vincoli

L’interazione tra biomateriale e ambiente avviene

all’interfaccia tra essi; ciò permette di avere un cuore non

biocompatibile all’interno, coperto da un materiale

biocompatibile.

BIOCOMPATIBILITA’ ANATOMICA: forma, peso, ingombro.

BIOCOMPATIBILITA’ FUNZIONALE: adeguatezza alle specifiche di progetto

BIOCOMPATIBILITA’ BIOLOGICA: interfaccia tra dispositivo e tessuto

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BIOCOMPATIBILITA’ ANATOMICA o MORFOLOGICA: aspetto che riguarda le interfacce

dimensionali, quelle di forma e quelle relative alle mass e.

Esempio: VALVOLA CARDIACA STARR.

Sfera posizionata in una gabbietta di metallo che permette il passaggio di sangue durante le sistole,

quando il gradiente pressorio spinge la sfera all’estremo della gabbia, mentre blocca il flusso durante

le diastole grazie ad un gradiente pressorio che richiama la sferetta

Posizione aortica:

▪ ingombro della valvola accettabile grazie alla presenza del bulbo aortico che ospita la

gabbietta.

ma

▪ Emolisi da urto,

▪ Modifica della fluidodinamica in quanto l’area di passaggio è comunque ridotta dalla

presenza della sfera.

Posizione mitralica:

▪ L’ingombro della valvola la rende inutilizzabile in questa posizione: alla sistole, il ventricolo

va a contrarsi addosso alla gabbietta, quindi si ha danneggiamento del tessuto cardiaco sia a

causa del contatto con la valvola artificiale, sia per possibili interazioni elettriche tra il

metallo che compone la gabbia e il cuore.

Negli anni è stata proposta una modifica:

i. Leggera riduzione del diametro della sfera

ii. Apertura della gabbia in un cestello per andare a diminuire l’emolisi da urto.

MA l’apertura della gabbia soprattutto nella parte superiore alza di troppo il rischio che la sfera

scappi da essa a causa dello spezzarsi o dell’allargarsi dei fili metallici.

BIOCOMPATIBILITA’ FUNZIONALE E BIOLOGICA.

Esempio: PROTESI VASCOLARI: il maggior problema si riscontra nelle protesi a contatto col sangue, in quanto

questo coagula a contatto con qualsiasi materiale diverso dall’endotelio (-> formazione di trombi);

questo implica la necessità di un trattamento farmacologico che combatte la coagulazione.

Esempio: PROTESI FIBROSE: come reazione, l’organismo ospite tende a eliminare qualsiasi sostanza estranea

a esso: a. tendando di espellerla, b. creando un ambiente acido attorno a essa (perdita della tessitura delle

protesi, rottura e degradazione della fibra)

Dunque la forma, il materiale e la dinamica del dispositivo medico necessario variano a seconda del tessuto:

TESSUTO DURO: esclusione dei movimenti relativi tra i due elementi a seguito di un transitorio

(esaurimento del processo infiammatorio)

TESSUTO MOLLE: impossibilità di escludere il movimento relativo -> creazione di un tessuto

cicatriziale.

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Interazione biomateriale – corpo umano.

EFFETTI DELL’IMPIANTO SULL’OSPITE

1. EFFETTI LOCALI

a. Carcinogenesi : remoto

b. Infezione: remoto

c. Infiammazione: remoto

d. Citotossicità: da evitare

e. Emotossicità: più difficile da evitare a causa della coagulazione e del movimento del sangue

f. Interazione col sangue: in tutti i casi in cui le protesi sono a contatto col sangue, la patologie

viene spostata al sangue.

2. EFFETTI SISTEMICI

a. Sensibilizzazione allergica, tossicità sistemica, reazioni immunitarie: casi in cui il soggetto è

allergico al materiale senza esserne a conoscenza

b. Formazione di emboli: necessità di un trattamento farmacologico

EFFETTI DELL’OSPITE SULL’IMPIANTO

1. FISICO – MECCANICO

a. Usura del materiale più morbido -> infiammazione a causa dei processi d’usura

b. Fatica

c. Corrosione

d. Ossidazione e fessurazione superficiale (aggravato dall’enviromental stress cracking)

2. BIOLOGICI

1. Adsorbimento di sostanze dai tessuti

2. Degradazione enzimatica

3. Calcificazione (solo nei materiali naturali)

FENOMENI ALLA SUPERFICIE:

1. ADSRORBIMENTO SUPERFICIALE DI PROTEINE: dispositivo coperto da uno

strato proteico.

Il tipo di proteine adsorbite è determinato dalle proprietà e dalla

topografia di superficie del materiale e dalle proprietà delle proteine

presenti nei fluidi circostanti.

2. ADESIONE CELLULARE: dipende dal tipo di proteine adsorbite, dalla loro

conformazione e dal riarrangiamento.

3. ATTIVAZIONE CELLULARE: : dipende dal tipo di proteine adsorbite, dalla

loro conformazione e dal riarrangiamento.

L’organificazione (tipo di proteine adsorbite e modo in cui si riarrangiano) a determinare il successo o

l’insuccesso dell’impianto.

INFEZIONE: fenomeno di risposta del sistema immunitario

in seguito all’entrata di batteri non desiderati (causa

esogena, quindi da evitare durante l’intervento)

INFIAMMAZIONE: risposta a un virus o batteri estranei, alla

presenza di microlacerazioni, a materiali estranei

EMBOLO: aggregato di coagulo che si

stacca dalla protesi e entra in circolo;

l’embolo continua nel circolo sino a che

non trova un vaso di dimensioni

paragonabili alla dimensione

dell’aggregato causa ictus, infarto o

necrosi.

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La composizione di proteine adsorbite dipende da concentrazione proteica, caratterizzazione proteica e

competizione tra proteine.

Le proteine tendono a legarsi nel modo che prevede il minor dispendio energetico.

EVENTI SUCCESSIVI ALL’IMPIANTO

1. Ingiuria tissutale

2. Infiammazione acuta (breve durata) -> essudazione di fluidi e proteine plasmatiche, migrazione di leucociti

3. Infiammazione cronica (breve durata e circoscritta): dipende dalle proprietà chimico-fisiche del materiale e dai

movimenti dell’impianto -> richiamo di monociti/macrofagi e linfociti -> neovascolarizzazione e neoformazione

di tessuti connettivi.

4. Formazione di tessuto di granulazione e reazione da corpo estraneo

5. Fibrosi e incapsulazione fibrotica

6. Rigenerazione: sostituzione del tessuto danneggiato

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Biocompatibilità biologica: interazione biomateriale – cellule

in vitro & in vivo

ITER PER LA MESSA IN COMMERCIO DI UN NUOVO MATERIALE

1. Test del pH: il biomateriale rilascia sostanza?

2. Test in vitro

3. Test in vivo su piccoli animali (valutazione dell’infiammazione)

4. Controllo dopo l’applicazione della tecnologia

5. Biocompatibilità funzionale su animali

6. FDA

7. Uomo

8. Commercio

A differenza della biocompatibilità funzionale, che può essere testata anche per mezzo di un simulatore che

accelera le prestazioni e permette di valutare il funzionamento della protesi lungo gli anni, la

biocompatibilità biologica può essere studiata esclusivamente per mezzo di test in vitro e in vivo. Numero

agenzie, la più importante delle quali è la Food and Drug Administration, di occupano di assegnare il Medical

Grade Material.

VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA BIOLOGICA AL MATERIALE

Esistono due modi per valutare la risposta ad un materiale: 1. Testi in vivo (su animali), 2. Test in vitro (test

cellulare)

TEST IN VITRO

I test in vitro vanno a valutare la citotossicità, la mutagenicità/carcinogenicità e la compatibilità di un

materiale con uno specifico tessuto.

Tipi di cellule

❖ Cellule primarie: cellule isolate da un paziente o da un animale vivo mediante prelievo o biopsia

✓ Parametri biologici realistici

Bassa riproducibilità (anche se ora gli animali vengono clonati)

Bassa reperibilità

❖ Cellule immortalizzate: cellule derivate da culture primarie di tumori o manipolazioni genetiche

✓ Standardizzazione

✓ Riproducibilità

✓ Reperibilità

Alterazione dei parametri di crescita e proliferazione cellulare -> risposta non fisiologica

Biocompatibilità biologica

Le cellule immortalizzate vengono comprate dalle cell bank; vengono

create a partire da cellule primarie trattate chimicamente per essere

rese tumorali. Infatti le cellule differenziate vanno incontro a

senescenza: possono riprodursi solo un numero limitato di volte

(20/22). Le cellule tumorali possono invece riprodursi un numero

infinto di volte e ciò permette di avere una popolazione costante.

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Tipi di test

1) Citotossicità diretta: piastra con materiale da testa + cellule + medium

2) Citotossicità indiretta:

a) Materiale da testare a contatto con un terreno di coltura con medium di coltura, mantenuto a 37°

b) Prelievo del medium

c) Coltura con cellule + medium proveniente dalla prima piastra.

Citotossicità in vitro

Il biomateriale da testare potrebbe rilasciare sostanza a basso peso molecolare (antiossidanti, plastificanti,

stabilizzanti, lubrificanti, contaminanti, monomeri o ioni metallici) derivanti dal 1. Processo di

produzione/lavorazione 2. Contaminazione dei materiali 3. Degradazione/corrosione dei materiali 4.

Sterilizzazione.

SAGGIO MMT: saggio colorimetrico mediante sale di tetrazolio: l’MMT entra nella cellula viva e viene ridotto a sale di

formazono al quale la cellula è ipermeabile. Ciò permette di avere una visualizzazione qualitativa della distribuzione

delle cellule vive (assorbanza).

ALAMAR BLUE: indicatore redox vitale, soggetto a riduzione chimica per effetto della proliferazione cellulare; si valuta

mediante metodi spettroscopici.

Mutagenicità in vitro

Test che vanno a stabilire l’eventuale esistenza di mutazioni geniche, alterazioni cromosomiche o altri effetti

sul DNA causati da contatto diretto o indiretto con il materiale o con sostanze da esso rilasciate.

SAGGIO DI AMES: rilevazione di mutazioni delle funzioni metaboliche dei batteri.

Emocompatibilità in vitro

Valutazione della compatibilità del materiale a contatto col sangue

Biofunzionalità in vitro

Valutazione dell’attacco cellulare, dell’adesione cellulare, della proliferazione cellulare e delle funzioni

biosintetiche per il tessuto considerato.

TECNICHE DI MICROSCOPIA: 1. Microscopia elettronica -> morfologia e adesione cellulare

2. microscopia a fluorescenza -> formazione di miotubi

PRO E CONTRO

Modelli sperimentali parziali -> risposta non direttamente trasferibile sull’uomo

✓ Condizione sperimentali standardizzabili

Medium: liquido simile al sangue

che mantiene idratate le cellle

La citocompatibilità è una

condizione necessaria ma

non sufficiente

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I materiali

Def: aggregato di atomi e molecole che, grazie alla presenza di opportuni legami chimici o fisici, è in grado di

opporre un’adeguata reazione alle sollecitazioni meccaniche o anche a stimoli fisici o chimici tale da

consentire l’impiego per la realizzazione di oggetti.

PROPRIETA’ come i materiali rispondo all’ambiente.

Le proprietà di un materiale possono essere chimiche

(stabilità, degradabilità, solubilità..), fisiche (misurazioni

del comportamento sotto azione di forze fisiche) o

meccaniche (misurazione e classificazione del

comportamento sotto azione di un sistema di forze ->

descrivono la struttura del materiale). Queste dipendono

dalle tecniche di lavorazione, dalla struttura, dalle

applicazioni e dall’ottenimento del materiale.

STRUTTURA: livello atomico

Lo studio della struttura a livello atomico riguarda la correlazione tra i tipi di atomi e tipi di legami che vanno

a formare il materiale.

Per quanto riguarda i tipi di atomi, il tipo di particelle presenti distingue i solidi in:

▪ Solidi organici, se composti da atomi quali C, H, N, O, (S, F)

▪ Solidi inorganici

Il tipo di legami tra atomi e molecole e la mobilità degli elettroni vanno

invece a definire:

▪ Materiali polimerici: composti di lunghe catene

(macromolecole) formate per la maggior parte da atomi di

carbonio legati ad altri elementi quali H, S, O, N, Cl a diversi

gradi di cristallinità.

▪ Materiali ceramici: composti inorganici formati dalla

combinazione di elementi metallici ed elementi non metallici,

tra cui l’ossigeno. Sono in genere costituiti da solidi cristallini, ma comprendono anche vetri minerali

inorganici.

▪ Materiali metallici: materiali costituiti principalmente da elementi metallici, che a temperatura

ambiente assumono quasi sempre la forma di solidi cristallini.

▪ Semiconduttori ▪ Materiali compositi: combinazione dei tre tipi di materiali, le cui proprietà specifiche sono unite in modo

sinergico

STRUTTURA: livello nano e micro

Lo studio della struttura a livello nano e micro riguarda la disposizione spaziale dei gruppi di atomi e

molecole, le dimensioni delle molecole, la presenza di difetti.

Ciò divide i materiali a seconda della struttura morfologica in solidi cristallini e amorfi.

MOLECOLA: aggregato di atomi

legati da legami covalenti che

formano una struttura

indipendente

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Struttura cristallina

La struttura cristallina prevede la presenza di una cella elementare definite dai parametri cristallini. A partire

dagli atomi, sferette rigide con un raggio ben definito, si va a individuare il centro degli atomi e quindi a

definire il reticolo cristallino, ossia la ripetizione della cella elementare traslata nelle 3 dimensione.

La cella elementare può essere

▪ Semplice, se si considerano come punti reticolari i vertici della cellula

▪ Multiple, se si considerano come punti reticolari anche i punti all’interno della cella, nel

baricentro delle basi o delle facce

Esistono solo 14 modi per disporre in

modo ordinato gli atomi nello spazio,

chiamati reticoli di Bravais.

Struttura policristallina

I solidi policristallini sono materiali formati da diversi piccoli grani, che

hanno diverso orientamento cristallografico. Sono separati tra loro dai

bordi di grano, che sono difetti di superficie.

Sono solidi isotropi in quanto l’orientamento casuale dei vari cristalli

prevale sull’anisotropia del reticolo; possono comunque verificarsi dei

casi di anisotroppia, nel momento in cui i grani abbiano un

orientamento preferenziale.

Solidi amorfi

Solidi che mancano di un ordine sistametico

Solidi semicristallini

Solidi in cui coesistono strutture amorfe e cristalline (materiali polimerici)

I DIFETTI NEI SOLIDI CRISTALLINI

Il cristallo reale ha una disposizione atomica che i discosta dal cristallo ideale per la presenza di difetti nella

struttura cristallina, che possono andare a modificare le proprietà del solido.

I difetti possono essere puntiformi, lineari o di superficie.

MATERIALE ISOTROPO: materiale le cui

proprietà sono uguali in tutte le direzioni.

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a. DIFETTI PUNTIFORMI

1. VACANZE: posizioni reticolari non occupate da nessun atomo;

permettono il movimento degli atomi da una posizione ad un’altra non

occupata diffusione.

2. ATOMI INTERSTIZIALI: atomi di un stesso elemento o fi un elemento

diverso che non occupano una normale posizione reticolare; ciò porta

ad avere un reticolo deformato ed in uno stato tensionale.

3. ATOMI SOSTITUZIONALI: atomi di un elemento estraneo che occupano

normali posizioni reticolari drogaggio.

b. DIFETTI LINEARI (dislocazioni: difetti collocati lungo i piani reticolari dovuti a successione di atomi

collocati in punti non coincidenti con le esatte posizioni reticolari.)

1. DIFETTI DI SPIGOLO: presenza, in una parte del cristallo, di un piano

in più o in meno, che porta alla creazione di un gradino.

2. DIFETTI A VITA: presenza in una parte del cristallo di una rampa a

spirale di atomi spostati rispetto alle esatte posizione reticolari a causa degli

sforzi di taglio

Questi due tipi di difetti sono responsabili della deformabilità tipica dei

materiali metallici: la loro presenza permette il progressivo scorrimento del

piano antro il cristallo, con la rottura di un limitato numero di legami atomici.

c. DIFETTI DI SUPERFICIE (bordi di grano: sono le regioni ove non esista l’ordine cristallino e due o più

grani adiacenti di adattano gli uni sugli altri; sono tipici dei solidi policristallini)

ALLOTROPIA A parità di composizione (ossia a parità di atomi), un solido può assumere diverse forme cristalline, chiamate

forme allotropiche, in funzione del tempo e dello spazio. Ad esempio il C si presenta sotto forma di diamante, grafite,

grafene, nanotubi di carbonio.

POLIMORFISMO

Il polimorfismo indica invece la possibilità che una stessa sostanza, allo stato elementare (allotropia) o in un

composto, si presenti in forme cristalline diverse.

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Stabilità

Def: mantenimento delle performance di un materiale

I processi meccanici possono creare fatica, usura, creep, mentre i processi chimici ossidazione, reticolazione,

degradazione (rottura dei legami chimici), corrosione (tipicamente nei materiali non metallici),

solubilizzazione parziale o totale; questi due tipi di processi possono, individualmente o in sinergia, andare a

minare la stabilità di un materiale.

Usura

In presenza di movimento relativo tra due corpi, in cui uno è più duro dell’altro, si può avere un fenomeno di

usura, ossia il materiale più duro fa staccare delle particelle dal materiale più morbido.

Di particolare rilevanza è l’USURA DA TERZO CORPO, in cui si osserva una particella abrasiva estraea che

contribuisce alla frammentazione di uno o entrambi i materiali.

Degradazione/erosione

La degradazione è il processo di rottura dei legami, mentre l’erosione indica la perdita di massa per un

qualsiasi fenomeno (degradazione, corrosione oppure una combinazione di fattori).

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Proprietà meccaniche dei materiali

A: I materiali ceramici sono fragili, duri, elastici

B:I materiali metallici presentano rottura plastica

C: I materiali polimerici sono poco rigidi e duttili

B è meno rigido e meno fragile di A

C si deforma considerevolmente, ossia è molto flessibile

Le deformazioni di un materiale possono essere

▪ Elastiche, dunque reversibili: prevede il moto degli atomi attorno alla loro

posizione di equilibrio

▪ Plastiche, dunque irreversibili curva di isteresi; prevede il riarrangiamento

degli atomi, che porta al fenomeno di astrizione.

SNERVAMENTO: punto di passaggio tra deformazione plastice e deformazione elastica Nei metalli il punto di snervamento è circa 0,2%

SFORZO NOMINALE: 𝜎 = 𝐹𝐴0⁄ misura di sforzo che non tiene conto della diminuzione dell’area resistente in

seguito a trazione monoassiale, a differenza dello sforzo reale

DUREZZA: proprietà della superficie del materiale: resistenza di un materiale ad una deformazione plastica

localizzata. Viene studiata misurando la forma e la profondità della traccia lasciata da una punta.

TENACITA’: quantità di energia assorbita da un materiale fino alla rottura. Viene studiata con un prova di

resistenza all’impatto e misura la capacità di assorbire urti.

RESILIENZA:capacità di assorbire energia durante la deformazione plastica.

DUTTILITA’: capacità di un materiale di deformarsi considerevolmente prima di giungere a rottura rottura

duttile: avviene nel tempo e crea delle estremità appuntite

FRAGILITA’: capacità di un materiale di subire solo una piccola deformazione prima della rottura rottura

fragile: avviene senza preavviso a causa della propagazione delle cricche.

FATICA: rottura ad un livello di sforzo molto minore rispetto alle caratteristiche del materiale, dovuta a

sollecitazioni cicliche.

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Fatica

Un materiale sottoposto a sollecitazioni variabili e cicliche portano alla rottura del materiale a valori di sforzo

molto minori rispetto a quello necessario per produrre la rottura per sollecitazioni costanti nel tempo.

In questo caso la frattura avviene quasi sempre in modo fragile e di schianto.

I processi di rottura a fatica si studiando mediante i diagrammi

di Wohler, che mostrano l’andamento dello sforzo massimo

che un oggetto può sopportare in funzione del numero di cicli

che hanno sopportato.

L’acciacio presenta una curva asintotica sotto la quale il

materiale non andrà mai in contro a rottura, qualsiasi sia il

numero di cicli.

Fattori che influenzano la fatica:

▪ Dimensione dei grani: grani più fini resistono meglio a fatica

▪ Geometri del provino

▪ Finitura superficiale

▪ Trattamenti termici

▪ Tipo di materiale

▪ Tipo di sollecitazione

Sistemi biologici sottoposti a sollecitazioni cicliche: respirazione, masticazione, battito cardiaco, camminata.

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Sterilizzazione

Il problema della sterilizzazione (distruzione di tutti gli esseri viventi presenti su un oggetto)è estremamente

attuale in ambito biomedico, in quanto questa è necessaria per evitare l’insorgere di infezioni, ma va spesso

a rovinare il materiale.

TECNICHE DI STERILIZZAZIONE

1. FILTRAZIONE: prevede l’allontanamento dei batteri attraverso una filtrazione mediante filetti di

dimensioni minori di 2µm

2. CALORE: fiamma, bollitura, vapore umido, calore secco, autoclave.

a. Autoclave: l’autoclave è un sistema di sterilizzazione che utilizza una combinazione di calore

e vapore saturo (tra i 121° e i 134°). Consiste nel mettere l’oggetto nell’autoclave, mettere il

sistema sotto pressione e alzare la temperatura, e mantenere l’ambiente per un tempo

stabilito in fase di messa a punto del processo. Necessario per l’operazione è che tutte le

superfici dell’oggetto entrino a contatto col vapore e che il confezionamento sia permeabile

al vapore ma non ai batteri.

✓ Efficacia

✓ Velocità

✓ Semplicità

✓ Assenza di residui tossici

Non utilizzabile per dispositivi sensibili al calore o al vapore

Non utilizzabile per dispositivi con geometrie complesse

3. OSSIDO DI ETILENE: l’ossido di etilene è un gas epossido instabile ed estremamente tossico in quanto

va a reagire con i componenti strutturali delle cellule; puro è instabile e infiammabile e va a associars

con i cluorofluorocarburi. È dunque molto pericoloso e crea problemi di sicurezza nella zona di

lavoro e in seguito per i pazienti; d’altro canto diffonde piuttosto bene nei dispositivi e inattiva anche

le spore presenti.

Il processo dura 8 ore e prevede

i. Creazione del vuoto

ii. Aggiunta del vapore

iii. Stabilizzazione dell’oggetto

iv. Aggiunta del gas

v. Creazione del vuoto

vi. Lavaggi con aria

vii. Ripristino delle condizioni inziali

viii. Conservazione in armadi ventilati e riscaldati

✓ Altissima efficienza

✓ Effetti termici trascurabili polimeri

Tossicità

Residui tossici

Modificazione della struttura dei polimeri

Tempi di sterilizzazione elevati

Sicurezza sul lavoro

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4. RADIAZIONI IONIZZANTI:

A. FASCIO ELETTRONICO: elettroni accelerati e dotati di energia, il cui livello di penetrazione

dipende dall’energia fornitogli (quindi solitamente sterilizza la superficie)

B. RAGGI γ: onde elettromagnetiche di lunghezza d’onda simile ai raggi X

✓ Alta efficienza

✓ Effetti termici trascurabili

Imperfezioni negli oggetti a geometria articolata

Degradazione della struttura e delle proprietà dell’oggetto

Non utilizzabili direttamente negli ospedali

5. PLASMA FREDDO: tecnica di sterilizzazione all’avanguardia usata in ambiente freddo in

combinazione con il perossido di idrogeno.

✓ Buona compatibilità con i materiali

✓ Buona efficacia

✓ Assenza di residui tossici

✓ Velocità (servono crica 30 minuti e gli oggetti sono utilizzabili immediatamente)

▪ Instabilità del perossido di idrogeno

STERILIZZAZIONE DI MATERIALI CONTENTENTI UN ALTA PERCENTUALE DI ACQUA

Questi materiali sono particolarmente difficili da trattare in quanto la carica batterica contenuta cresce

esponenzialmente.

Sterilizzazione in autoclave: semplice, ma si ha degradazione del materiale.

Sterilizzazione mediante ossido di etilene: impossibilità di eliminare i residui.

Sterilizzazione mediante radiazioni ionizzanti: efficace in quanto gli elettroni penetrano bene nel materiale

Ulteriori problemi si riscontrano in quanto anche la presenza di frammenti batterici causa processi

infiammatori, dunque anche la sede di produzione di dispositivi medici deve essere sterile.

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Biomateriali metallici

SETTORI DI APPLICAZIONE:

1. Ambito ortopedico:

a. Protesi permanenti: sostituzione della struttura ossea (protesi d’anca, di ginocchio, di spalla,

di gomito, di caviglia)

b. Protesi temporanee: supporto all’osso durante la riparazione (mezzi di osteosintesi, fissatori

esterni, distanziatori interspinosi)

2. Impianti dentali

3. Ambito cardiovascolare (valvole cardiache, custodie di pace-maker, stent vascolari, cuore artificiale)

4. Aghi per suture e biopsia

STRUTTURA DEI MATERIALI METALLICI

Il legame metallico

I solidi metallici sono composti da un reticolo di ioni positivi immersi in una nube di elettroni di valenza

diffusa in tutto il reticolo e libera di muoversi al suo interno conducibilità

I reticoli più diffusi sono: cubico a facce centrate, esagonale compatto, cubico a corpo centrato.

Difetti nei reticoli cristallini

I difetti possono essere

▪ puntiformi

▪ lineari (dislocazioni) duttilità. Il movimento di dislocazione a temperatura ambiente si chiama

INCRUDIMENTO, mentre a temperatura elevata RICRISTALLIZZAZIONE (spesso comporta riduzione

delle dislocazioni e dunque la diminuzione della duttilità .

▪ di superficie: bordi di grano

I metalli sono solitamente solidi policristallini, la cui meccanica è influenzata da

▪ dimensioni dei grani o basse temperature (Tcorporea): bordi di grano più resistenti dei cuori frattura

transcristallo o alte temperature: cuori più resistenti dei bordi di grano frattura interscristallo

▪ orientamento dei grani (direzione uguale o diversa rispetto ai grani adiacenti)

Allotropia

La struttura cristallina dei solidi metallici si modifica a seconda della temperatura e ciò varia le proprietà

meccaniche; infatti a temperatura ambiente il solido si cristallizza nella struttura che gli permette di

minimizzare l’energia libera, mentre aumentando la temperatura si ha passaggio da una forma cristallina

all’altra grazie alla presenza dei difetti puntiformi.

PROPRIETA’ DEI MATERIALI METALLICI

▪ elevata tenacità grazie ai legami metallici (legami forti) e all’organizzazione in reticoli

▪ deformabilità grazie alla presenza delle dislocazioni

▪ conducibilità termica e elettrica e lucentezza grazie alla mobilità degli elettroni di valenza

▪ elevato peso specifico poiché formati da elementi con elevato peso atomico

▪ allotropia e possibilità di formare delle leghe grazie ai difetti puntiformi

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LEGHE METALLICHE

Def: due o più elementi metallici o non metallici che coesistono in uno stesso reticolo cristallino, ne formano

uno diverso o formano contemporaneamente due o più reticoli.

ACCIAIO: Fe/C

GHISA: Fe/C

BRONZI: Cu/Al,Ni,Be,Sn

OTTONI: Cu/Zn

Le leghe che si possono formare sono diverse:

▪ soluzioni solidi interstiziali

▪ soluzioni solide sostituzionali

▪ fasi intermedie (leghe metallo-metallo con più reticoli)

▪ presenza di più fasi (esistenza di più fasi cristallina)

le leghe possono anche essere assimilitate a soluzioni in cui il solvente è la sostanza presente in maggiore

quantità, mentre il soluto è quella presente in minor quantità.

Esiste un limite di solubilità in funzione della temperatura e della pressione. La concentrazione è detto

tenore.

Soluzioni solide sostitituzionali

Atomi di un elemento (soluto) prendono il posto degli atomi del secondo elemento (solvente) al posto del

reticolo cristallino di quest’ultimo; gli atomi di soluto e di solvente devono avere caratteristiche simili, quali

raggio atomico, elettronegatività, valenza, struttura cristallina.

Soluzioni solide interstiziali

Atomi di un elemento (soluto) sono sufficientemente piccoli da poter occupare i vuoti presenti tra gli atomi

del secondo elemento (solvente) all’interno del reticolo cristallino di quest’ultimo. Esiste un tenore massimo

oltre al quale le distorsioni portano alla formazione di più fasi.

Fasi intermedie

Soluzioni con reticoli cristallini differenti da quelli degli elementi puri che la compongono e caratterizzata da

particolari rapporti tra i due elementi. Vi è coesistenza tra celle elementari diverse.

Presenza d più fasi

Lega composta da 2+ reticoli cristallini diversi. Si crea quando ad un metallo puro viene aggiunto un

elemento di lega in tenore superiore a quello di massima solubilità in soluzione solida e non esattamente

corrispondente ad una fase intermedia.

DIAGRAMMI DI STATO

I diagrammi di stato sono una rappresentazione grafica

dell’andamento di temperatura, pressione e concentrazione

(solitamente a pressione fissata P=1atm) e definisce quali

specifiche fasi esistono all’equilibrio e quali trasformazioni si

possono aspettare al variare di uno dei parametri.

In particolare i diagrammi di stato di una lega descrivono le

trasformazioni che avvengono nelle leghe metalliche in

condizioni di equilibrio termodinamico a 1atm.

FASE: porzione omogenea di materia che ha

caratteristiche chimiche e fisiche distinte dalla

materia circostante ed è delimitata da una

superficie

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La linea di solubilità è in funzione della temperatura.

Per ogni istante di tempo e ogni composizione si possono determiare le fasi

presenti, la composizione chimica della fase e la quantità relativa della fase.

Sistemi binari isomorfi

Sistemi in cui vi è completa stabilità

tra i due componenti della lega

Sistemi binari eutettici

Sistemi in cui c’è una limitata solubilità tra i

due componenti della lega metallica

Sistemi binari eutettoidi

Sistemi simili ai

sistemi eutettici, ma in cui l’isoterma eutottica separa la fase solida da

due nuove fase solide.

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LEGHE FERRO-CARBONIO

Le leghe ferro carbonio hanno un diagramma di stato eutettoide; in base al tenore si dividono in

▪ ACCIAIO: C=0.06% - 2.06% (ferrite, austenite e

cementite)

▪ GHISA: C=2.06% - 6.67%, la quale risulta più fragile a

causa della maggior presenza di difetti che aumentano la

deformazione reticolare.

Esistono 4 fasi solide:

i. Ferrite α: struttura CCC, stabile sino a 911°

ii. Austenite γ: struttura CFC, stabile tra 911° e 1392°, ma può

essere resa stabile a temperatura ambiente controllando la

composizione chimica.

iii. Ferrite δ: struttura CCC, stabile fino a 1536° (temperatura di

fusione)

iv. Cementite Fe3C, composto intermetallico carburo di ferrro

A temperatura ambiente sussiste la fase α+Fe3C ,

a T=723°+ vi è la comparsa di austenite

TRATTAMENTI TERMICI

Studiando i trattamenti termici, non si possono più utilizzare i diagrammi di stato in quanto non si è più

all’equilibrio termodinamico. Solitamente si procede riscaldando il materiale sino a una temperatura definita,

mantenendo la suddetta temperatura per un certo intervallo di tempo e procedendo al raffreddamento a

velocità controllata.

Tempra: riscaldamento ad una temperatura in cui l’austenite è stabile seguito da un rapido raffreddamento

si ottiene una struttura detta martensitica in cui si hanno grani fini di cementite dispersi in una matrice di

ferrite.

CORROSIONE E MATERIALI METALLICI

La corrosione è un processo elettrochimico che influenza la stabilità dei materiali metallici; si compone di

ossidazione e riduzione.

L’ossidazione è un processo anodico (perdita di elettroni) che avviene in presenza di acqua (umidità), per

contatto con altri metalli e in presenza di microorganismi e produce ioni. Questi ioni possono reagire con

l’ossigeno andando a creare un ossido (materiale ceramico) oppure rimanere liberi.

La riduzione è un processo catodico legato all’ambiente circostante

(può ridursi l’ossigeno oppure prodursi idrogeno).

Ossidazione e corrosione sono un processo ciclico (cella di corrosione)

che avviene grazie alla presenza di acqua, la quale accelera il processo

se contiene soluti (soluzione elettrolitica).

PASSIVAZIONE: È possibile osservare il comportamento

attivo-passivo: l’ossidazione di spegne improvvisamente in

quanto sulla superficie si è formato uno strato di ossido di

metallo (isolante).

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I potenziali standard ordinano le sostanza in base al loro

potere riducente e ossidante, i materiali con potere

elettrolitico maggiore reagiscono maggiormente.

La corrosione avviene se E_rid>E_oss, ossia se l’aggressività

dell’ambiente è maggiore della resistenza del metallo a

essere ossidato.

Per quanto riguarda i fluidi biologici, questi hanno elevato potere corrosivo, dunque la biocompatibilità dei

metalli è legata essenzialmente alla facilità o meno della loro corrosione. In caso di corrosione, gli ioni

metallici possono

▪ andare a peggiorare in maniera talmente aggressiva le proprietà meccaniche dell’oggetto da

impedirne il funzionamento

▪ contaminare il tessuto in cui si trovano e l’intero organismo causando una reazione di infiammazione

locale, essendo ostacolo per l’osteo-integrazione (a causa dell’acidificazione della zona) o causando

fenomeno allergici e di sensibilizzazione allergica.

Tipi di corrosione

▪ in fessura: avviene in caso di distribuzione non uniforme di ossigeno sulla superficie e nel caso in cui

questo non sia sufficiente a creare uno strato di ossidi: avviene una migrazione degli elettroni e gli

ioni entrano in soluzione. Fenomeno tipico delle viti e che rende i sistemi placca-vite inutilizzabili come dispositivi

permanenti ▪ per sfregamento: avviene per una combinazione di effetti degradativi a causa di microonde locali e

compressione: si ha rimozione del film di ossido protettivo.

Biomateriali metallici

ACCIAI INOSSIDABILI

Aggiunta di Cromo e Nichel alla lega di Ferro e Carbonio:

▪ il Nichel stabilizza la fase austenitica a basse temperature la lega resiste meglio a corrosione e

possiede migliori caratteristiche meccaniche (utili nel settore ortopedico)

▪ il Cromo (in tenore >12%) determina la creazione di passivazione

PROPRIETA’ RICHIESTE AI BIOMATERIALI:

1. caratteristiche meccanica: resistenza a fatica,

resistenza a compressione, rigidezza (alta o bassa?)

2. resistenza alla corrosione

3. biocompatibilità

nessuno dei biomateriali oggi utilizzati può

essere considerato pienamente soddisfacente

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ACCIAI INOSSIDABILI AUSTENITICI E MARTENSITICI

Acciai inossidabili austenitici: migliore resistenza alla corrosione rispetto ai martensitici materiali

impiantabili temporaneamente;

Acciai inossidabili martensitici: durezza strumentario biomedico.

✓ Basso costo Susccettibilità alla corrosione in fessura e per sfregamento

✓ Facilità di lavorazione Presenza di nichel

APPLICAZIONI: mezzi di osteosintesi, viti chiodi endomidollari.

LEGHE DI COBALTO (Cobalto + Cromo + Molibdeno)

FABBRICAZIONE:

Per getto: si cola la lega nello stampo

✓ Ottima resistenza alla corrosione Alto costo

Bassa resistenza a fatica

Per deformazione plastica (aggiunta di Nichel)

✓ Buona resistenza alla corrosione Alto costo

✓ Migliore resistenza a fatica Presenza di Nichel

Complessa metodologia di produzione

APPLICAZIONI: dispositivi impiantabili (a causa dell’alto costo) e di semplice geometria (a causa della

difficoltà di produzione) protesi di ginocchi, protesi d’anca, protesi cardiache.

TITANIO

Il titanio è uno dei biomateriali più biocompatibili in quanto resiste bene a corrosione (creando un film di

ossido d spessore controllabile) e induce l’adesione cellulare; la passivazione rende il titanio ben resistente

alla corrosione in fessure (assenza di cricche), ma non alla corrosione per sfregamento, azione che va a

rimuovere lo strato di ossido.

✓ Ottimo biocompatibilità Basse caratteristiche meccaniche

✓ Possibilità di lavorazione a caldo Suscettibilità alla corrosione per sfregamento

Alto costo della tecnologia

Leghe di titanio

Oggigiorno il Titanio puro non è più usato, ma si utilizzano le sue leghe.

✓ Maggiori caratteristiche meccaniche rispetto al Titanio puro

Minor resistenza alla corrosione rispetto al Titanio puro

Difficoltà di lavorazione

Alto costo di produzione

A causa del metodo di ottenimento che permette di inglobare difetti

Bassa tenacità, bassa resistenza a fatica

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Le leghe di titanio sono due: temperatura ambiente di trova in forma α mentre a temperature più elevate in

forma β.

FASE α

✓ Ottima duttilità ✓ Basse caratteristiche meccanica

FASE β

✓ Elevate caratteristiche meccaniche Stabile ad alte temperature

Struttura dura a fragile

Per ottenere dei buoni materiali si usano delle leghe α+β, in combinazione con elementi di lega quali

Alluminio (che stabilizza la fase α) e il Vanadio (che stabilizza la fase β).

✓ Elevate caratteristiche meccaniche Impossibilità di ottenere le leghe per getti

✓ Basso modulo elastico Difficoltà di lavorazione

✓ Buona biocompatibilità Suscettibilità alla corrosione per sfregamento punto di innesti per una cricca

APPLICAZIONI: campo maxillo – facciale , protesi d’anca, protesi di ginocchio.

Qual è il modulo elastico ideale per una protesi impiantabile?

Si deve cercare un materiale che abbia modulo elastico simile a quello dell’osso per avere una

distribuzione di carico uniforme tra impianto e osso e favorire quindi il rimodellamento osseo (per

shelding stress) e dunque l’osteointegrazione della protesi.

Il Titanio è il biomateriale con il modulo elastico più simile a quello dell’osso.

Il Cobalto ha modulo elastico maggiore e dunque viene usato esclusivamente nelle protesi d’anca

cementate.

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LAVORAZIONE

Tecnologie di lavorazione:

▪ Lavorazione da fonderia o metallurgia delle polveri

▪ Lavorazione per deformazione plastica a freddo o a caldo

▪ Lavorazione alle macchine utensili

▪ Trattamenti termici

▪ Operazioni di giunzioni tra pezzi diversi

▪ Operazioni di rifinitura superficiale

Lavorazioni da fonderia

Processi di lavorazione che permettono di ottenere geometrie complesse

STAMPAGGIO: tecnica che prevede la fusione del materiale che verrà poi fatto colare in uno stampo-

a. Getti in conchiglia: getti costruiti in materiali metallici con un punto di fusione più alto rispetto al

materiale tratta utilizzabile per metalli con una bassa temperatura di fusione (Alluminio)

b. Getti in sabbia: la sabbia è un materiale ceramico –> alto punto di fusione. Si ottiene una lavorazione meno

precisa rispetto ai getti in conchiglia.

c. Getti in pressofusione: prevede l’utilizzo di uno stampo in cui il materiale entra con una

sovrapressione per evitare la formazione di microvuoti si ottengono oggetti superficialmente

raffinati.

d. Microfusione a cera persa: prevede l’utilizzo di un modello in cera attorno al quale si crea uno

stampo gessoso, nel quale viene colato il metallo fuso.

DEFORMAZIONE PLASTICA

A CALDO A FREDDO

Questa tecnica di lavorazione permette di ottenere maggiori variazioni di forma rispetto alla deformazione a freddo, ma crea una superficie fortemente ossidata, sulla quale è necessario effettuare ulteriori trattamenti. Non si ha il fenomeno dell’incrudimento.

Questa tecnica di lavorazione permette di ottenere minori variazioni di forma, ma non modifica la superficie. Si ha il fenomeno dell’incrudimento.

Estrusione: fuso fatto passare attraverso un ugello Laminazione: materiale con spessore elevato assottigliato mediante dei rulli.

Stampaggio: utilizzo di uno stampo per modificare la forma dell’oggetto

Trafilatura: cilindro di materiale fatto passare in un foro che ne diminuisce il diametro

Laminazione

Forgiatura: compressione dell’oggetto tra due stampi

Lavorazioni alle macchine utensili

Rimozione di una parte di truciolo.

Tecniche tradizionali: tornitura (struttura che gira e che viene modellata da una punta), foratura, fresatura

(punta che gira e che modella la struttura), piallatura, limatura, levigatura, sabbiatura, molatura (ruota che

gira e leviga la superficie).

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Protesi d’anca

L’obiettivo della protesi totale d’anca è quello di andare a ripristinare la funzione persa

dell’articolazione femorale.

Le forze in gioco sono estremamente alte, dunque si tratta di scegliere tra un

materiale ceramico, duro ma fragile, o metallico; la scelta ricade sul secondo tipo di

materiale.

Gli sforzi sono ciclici ma non regolari, quindi si richiede un materiale con elevate

prestazioni a fatica.

PATOLOGIE CHE PORTANO ALLA PROSTEIZZAZIONE:

▪ Processi infiammatori: artrite reumatoide.

▪ Processi degenerativi: artos, diabete, osteoporosi.

▪ Patologie traumatiche: lussazione traumatica, frattura dell’acetabolo.

▪ Anomalie congenite: displasia dell’anca, lussazione congenita.

Componenti della protesi

a. Componente femorale

i. STELO FEMORALE: componente di forma cilindrica

o a cuneo che entra per metà nel canale femorale.

Metallo.

ii. TESTINA: componente di accoppiamento cilindrico

che entra nell’acetabolo. Ne esistono di diverse

dimensioni a seconda del paziente. Stesso metallo

dello stelo o materiale ceramico.

b. Componente acetabolare

i. METAL BACK: componente a semisfera che va nella

coppa acetabolare. Polietilene (attutisce urti ma è

soggetto a corrosione) oppure ceramica (fragilità)

ii. COTILE: componente che riduce l’attrito

dell’accoppiamento metal back – testina.

FORMA DELLO STELO:

stelo a cuneo: non affondano nel canale midollare

stelo cilindrico: in genere hanno un colletto che si

appoggia sul trocantere per prevenire

l’affondamento; nelle protesi cementate questo

colletto ha anche la funzione di non trasmettere gli

sforzi al cemento, mentre potrebbe risultare

dannoso nelle protesi non cementate perché

eviterebbe la sollecitazione dell’osso.

Il metal back si corrode per usura essendo il

materiale più morbido e rilascia polvere e

detriti (fattore chemiotattici).

Il miglior accoppiamento consisterebbe

nell’avere sia la metal back che la testina in

ceramica, ma risulta troppo fragile.

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REQUISITI DI PROGETTO

❖ CINEMATICA ADEGUATA: si tenta di tornare ad avere i gradi di libertà dell’articolazione fisiologica; si

tende dunque a copiare l’articolazione originaria giunto sferico.

❖ MATERIALI e PROPRIETA’ MECCANICHE

STELO elevata biocompatibilità e resistenza alla corrosione; elevate caratteristiche

meccaniche (carico a rottura, resistenza a fatica) metallo: cromocobaltomolibdeno (più

rigido -> protesi cementate) e leghe di titanio (protesi non cementate)

Lavorazione superficiale: lucidatura, sabbiatura

Rivestimento: metallo poroso, idrossiapatite, PMMA

TESTINA i. metallo uguale a quello dello stelo

ii. materiale ceramico: alluminia o zirconia (uniche in grado di sopportare finitura

superficiale)

METAL BACK elevata biocompatibilità e resistenza alla corrosione; elevate caratteristiche

meccaniche metallo: cromocobaltomolibdeno e leghe di titanio.

Lavorazione superficiale: sabbiatura

Rivestimento: metallo poroso, idrossiapatite

Accoppiamenti a usura: alluminia – alluminia o cromocobaltomolibdeno –

cromocobaltomolibdeno

COTILE i. ceramica: adatto a paziente che non dovranno muoversi molto

ii. polietilene ad altissimo peso molecolare

❖ RESISTENZA STATICA E A FATICA : materiali metallici

❖ BASSA USURA: necessità dello studio dell’accoppiamento migliore

❖ STABILITA’ PRIMARIA (subito dopo l’intervento) E SECONDARIA (dopo il transitorio di guarigione):

assenza di movimento relativo (lo stelo non deve né affondare nel canale femorale nè torcere lo

stesso).

Protesi cementate: stabilità primaria garantita durante l’intervento e, se il cemento non si

rompe, la stabilità secondaria coincide con la primaria.

Protesi non cementate (metodo press-fit): stabilità primaria non presente; stabilità

secondaria avviene attraverso l’osteointegrazione.

❖ IMPIANTABILITA’ E SOSTITUIBILITA’ (in caso di rottura o di crescita del paziente)

❖ ADEGUATA TRASMISSIONE DEGLI SFORZI.

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PROTESI CEMENTATE

Le protesi cementate hanno le parti metalliche composte in

cromocobaltomolibdeno; questo tipo di protesi è liscia e senza spigoli vivi per

evitare sforzi concentrati in concomitanza con le estrusioni per evitare che si

vada a sgretolare il cemento.

Il cemento per ossa è il polimetilmetacrilato ed è inserito nel canale midollare

in fase liquida; all’inserzione della protesi inizia la polimerizzazione che porta a

bloccare i movimenti relativi tra protesi (liscia) e osso (rugoso). La reazione di

polimerizzazione è esotermica e potenzialmente citotossica, ma gran parte del

calore è assorbito dal metallo.

Questo tipo di protesi è adatta a persone con una vita sedentaria in quanto il

cemento è molto fragile, infatti il PMMA ha E=2GPa, ma hanno il vantaggio di

non richiedere una lunga convalescenza.

PROTESI NON CEMENTATE

Le protesi non cementate raggiungono la stabilità

secondaria a seguito di un processo di osteosintesi,

dunque presentano una parte rugosa sullo stelo

prossimale per favorire l’osteointegrazione.

I tipi di protesi sono

Con buchi passanti attraverso i quali l’osso

può crescere; purtroppo spesso il processo non è

sufficiente all’osteointegrazione, ma la protesi

rimane comunque non espiantabile

Con un tappetino con una superficie rugosa

Rivestite di idrossiapatite che migliora la

biocompatibilità

CAUSE DI FALLIMENTO

Oggigiorno le cause di fallimento a breve e medio termine sono estremamente rare.

BREVE TERMINE (anni ’60): mobilizzazione settica, lussazione ricorrente, allergia.

MEDIO TERMINE: cedimento strutturale, mobilizzazione asettica (per stress shelding (riassorbimento osseo),

per cedimento del PMMA)

LUNGO TERMINE: cedimento strutturale a fatica (anni ’70), mobilizzazione asettica per osteolisi

periprostetica da frammentazione (’80 – oggi) distruzione dell’osso attorno alla protesi a causa dei

frammenti d’usura.

L’obiettivo di non far arrivare sforzi sul cemento è

raggiunto utilizzando un materiale rigido e protesi lisce

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Usura del componente acetabolare (per usura del polietilene)

In generale, l’accoppiamento metallo – polietilene è il migliore per quando riguarda l’usura, ma in ogni caso

ciò causa la produzione di circa 5 miliardi di particelle l’anno. I residui, di diametro pari a 0.5µm, escono dalla

zona articolare (dunque non causando usura da terzo corpo), ma restano in loco attivando un processo

infiammatorio locale in cui i macrofagi sono richiamati per gradiente chemiotattico; dunque, i fibroblasti

generano una capsula attorno al collo dello stelo e a tutta la protesi, innocua fino a che non diventa di uno

spessore talmente elevato da interporsi tra osso e protesi.

VOLUME DI PROTESI USURATA: dipende sia dal paziente (peso, livello di attività fisica) sia dalla protesi

(diametro della testina, rugosità della testina, grado di ossidazione del polietilene, orientamento del cotile):

in generale una testina più piccola e liscia minimizzerà il grado di usura.

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Biomateriali polimerici

I polimeri sono materiali solidi organici (formati da Carbonio, Ossigeno, Idrogeno), presentano legami

covalenti e secondari (legami dipolo – dipolo, interazioni ioniche) tra le macromolecole. Sono composti da

macromolecole che possono assumere la struttura (morfologica) semicristallina o amorfa.

Si definisce materia plastica una miscela di polimeri e di additivi.

STRUTTURA

Macromolecole con unità ripetitiva che si ripete periodicamente. A causa della loro struttura hanno alcuni

comportamenti tipici: presenza di aggrovigliamento tra catene, interazione molecolari, movimenti lenti

rispetto alle molecole piccole.

PROPRIETA’

STRUTTURA CHIMICA

Catena lineare a cui si possono legare gruppi laterali, che vanno a modificare le

proprietà.

A seconda del modo in cui le catene laterali si legano, si possono ottenere

▪ Copolimeri alternati

▪ Copolimeri a blocchi

▪ Copolimeri casuali

▪ Copolimeri a innesto (catene di B collegate da catene A)

CONFIGURAZIONE

Le possibili configurazioni di un polimero sono:

▪ Lineare: può avere degli stereoisomeri

o Isotattico: tutti i

gruppi da un lato

o Sindiotattico:

gruppi alternati

o Atattico:

orientametno dei

gruppi casuale

▪ Ramificato

▪ Reticolato

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Per passsare da una configurazione all’altra è necessario, a parità di tipo di atomi, spezzare i legami e

rinformarne di nuovi.

La configurazione va a definire se un polimero sia

▪ Termoplastico, se non reticolato: può essere modellato per azione del calore.

▪ Termoindurente, se reticolato: non può essere modellato per azione del calore.

PESO MOLECOLARE

Generalmente il peso molecolare è la somma dei

pesi atomici di ciascun atomo di una molecola; nel

caso dei polimeri, il peso di ogni catena non è fisso,

ma oscilla attorno a un valor meno, si parla dunque

di dispersione dei pesi molecolari.

Mn: peso molecolare numerale (media)

MW: peso molecolare ponderale Il peso molecolare numerale è sempre maggiore del peso

molecolare ponderale

Se la distribuzione è stretta, allora il peso di ogni molecola

è circa uguale alle altre; la distribuzione può essere

simmetrica o asimmetrica.

DPM: indice di polidispersività, sempre >1; se DPM=1 allora esiste un solo peso molecolare. Anche il DPM

modifica le proprietà del polimero. Solitamente DPM=2,3.

CONFORMAZIONE

Disposizione di una catena polimerica nello spazio, in funzione della stua struttura chimica. Avviene grazie

alla continua rotazione attorno ai legami semplici, senza la rottura dei legami stessi. Esistono dunque infinite

conformazioni, ma alcune sono energicamente favorite; inoltre i gruppi laterali ostacolano la rotazione.

Entaglement

Le catene sono aggrovigliate tra loro e ciò gli permette di occupare uno spazio maggiore, i polimeri hanno

dunque una bassa densità.

Cristallinità

I polimeri hanno di solito struttura semicristallina e sono spesso nella

conformazione ripiegata; alcuni possono distendersi per poi ripiegarsi a

formare delle anse. File di anse vanno a formare delle lamelle visibili al

microscopio.

DIFETTI: le anse possono

o formare un anello

o non tornare ordinatamente

o avere parti terminali disordinate

Ni: numero di atomi

(Ni*Mi) : massa della

molecola

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le lamelle si organizzano in speruliti, strutture policristalline in cui

coesistono zone amore, che danno flessibilità e tenacità, e cristalline,

che danno rigidità.

POLIMERI CRISTALLINI O AMORFI

A determinare il grado di cristallinità di un polimero è

o il tipo di atomi

o la configurazione

o la conformazione

Essendo solidi semicristallini, nei polimeri esistono diversi

passaggi di stato, tutti e tre possibili nello stesso materiale (a

tre diverse temperature):

▪ FUSIONE: passaggio dallo stato solido ordinato

cristallino allo stato allo stato fuso

▪ TRANSIZIONE VETROSA: passaggio dallo stato solido

vetroso allo stato solido gommoso (transizione isofasica)

▪ RAMMOLLIMENTO: passaggio dallo stato solido amorfo allo stato liquido viscoso.

Dunque le proprietà di un polimero si modificano a seconda della temperatura.

METODI DI OTTENIMENTO

I polimeri si ottengono per sintesi chimica a partire da un monomero.

Se i monomeri di partenza sono diversi si parla di copolimeri.

La polimerizzazione può essere a catena o a stadi

POLIMERIZZAZIONE A CATENA

Nella polimerizzazione a catena i monomeri diventano parte

della catena uno alla volta reagendo con la catena in crescita.

Prevede quattro fasi:

1. INIZIAZIONE: un iniziatore produce un radicale

2. PROPAGAZIONE: il radicale si somma al primo monomero

spezzando il doppio legame e trasferenso il radicale a esso.

3. TERMINAZIONE: incontro di due catene in crescita che

formano un legame.

o RAMIFICAZIONE: incotro di due catene in crescita in cui si

ottiene un radicale laterale che porta alla ramificazione.

La direzione di polimerizzazione è controllata da enzimi.

Tutti i polimeri vinilici si ottengono per polimerizzazione a catena a partire dal polietilene.

La cristallinità è causata da forze esterne che bloccano la

struttura in una determinata posizione; nei polimeri le forze

esterne sono date dagli additivi, che formano legami

intramolecolari H – H

POLIMERI ALTAMENTE CRISTALLINI

Polipropilene

Poliestere sindiotattico

Nylon

Kevlar

Poliammide

POLIMERI ALTAMENTE AMORFI

Polimetilmetacrilato

Polistirene

Policarbonato

Poliisopropene

STATO VETROSO: catene bloccate in una forma fragile

STATO GOMMOSO: catene libere di muoversi flessibile

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POLIMERIZZAZIONE A STADI

La polimerizzazione a stadi coinvolge monomeri bifunzionali

che si aggregano spesso mediante una reazione di

condensazione.

Si ottengono poliesteri, poliammidi, policarbonato, poliuretani.

PROPRIETA’ MECCANICHE

Data una sollecitazione, la risposta del materiale dipende dal tipo di sollecitazione, dal tipo di materiale, dalla

geometria del provino, dal tempo e dalla temperatura.

VISCOELASTICITA’

Un materiale è viscoelastico se la sua risposta alle deformazioni varia in funzione del tempo; nei polimeri la

viscoelasticità è causata dal fatto che le catene si muovono lentamente e che i movimenti sono impediti

dall’entaglement e dalla conformazione cristallina – vetrosa.

La capacità di recupero della forma inziale dipende dal tempo.

DEFORMAZIONE ELASTICA: leggero spostamento degli atomi dalla posizione di equilibrio; prevede il

recupero della forma iniziale.

DEFORMAZIONE VISCOSA: lento “sgrovigliamento” delle catene, in funzione dei legami secondari; non

prevede il recupero della forma inziale.

DEFORMAZIONI VISCOELASTICA: non prevede il totale recupero della forma iniziale.

Presenza di isteresi.

Creep: sforzo costante prolungato nel tempo aumento delle deformazioni

Relax: deformazione costante prolungata nel tempo diminuzione degli sforzi

La rigidezza dipende dalla velocità di applicazione del carico.

ELASTICITA’

Elasticità entalpica: deformazione attorno alle posizioni di legame degli

atomi

Elasticità entropica: deformazione delle catene che si allineano lungo la direzione di

sollecitazione scorrendo le une sulla altre.

Permette grandi variazioni di forma (gomme vulcanizzate)

Se un polimero è poco reticolato si nota scorrimento tra i nodi di reticolazione.

A differenza dei materiali metallici, gli effetti della

temperatura sono sperimentabili a livello biomedico

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SNERVAMENTO E FRATTURA

Snervamento: punto di transizione tra deformazione elastica a plastica.

Frattura: fessurazioni in cui le fibrille del materiale sono orientate come la direzione di stiro.

A partire dallo stato rilassato, si applica una sollecitazione: le catene si orientano lungo la direzione di stiro,

esiste un punto in cui queste sono tutte orientate nello stesso modo; si ha prima rottura delle zone cristalline

(snervamento) e in seguito frattura.

La frattura può essere fragile, per polimeri poco flessibili, o duttile, causata dallo scorrimento delle catene.

DIPENDENZA DELLE PROPRIETA’ MECCANICHE A PARITA’ DI POLIMERO

Tempo

Sollecitazione rapida comportamento fragile

Sollecitazione lenta comportamento gommoso

inizio: piccole deformazioni deformazione elastica

in seguito le catene inziano a scorrere le une sulle

altre defomrazione viscoelastica

rimozione del carico recupero elastico: totale

recupero immediato della deformazione elastica

in seguito recupero viscoelastico: in funzione del

tempo

Caratteristiche termiche e strutture

Siccome la cristallinità non è mai completa, sono sempre presenti zone amorfe; le caratteristiche termiche

sono in funzione del grado di cristallinità (che dipende dalla storia termica del polimero) e della dimensione

degli speruliti.

Le zone cristalline sono rigide e favoriscono la resistenza al creep.

Le zone amorfe sono flessibili e tenaci.

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Temperatura

Il comportamento del polimero

semicristallino è a modulo costante

fino al punto di fusione.

Il comportamento del polimero

amorfo modifica il proprio modulo

elastico durante la transizione

vetrosa.

Peso molecolare

All’aumento dei pesi molecolari:

▪ Aumento della temperatura di fusione, perché se le catene diventano più grandi è necessario fornire

più energia per permettergli di muoversi liberamente (quindi il materiale può essere lavorato a temperature

più basse) ▪ Aumento della resistenza a trazione, perché le molecole sono più aggrovigliate e fanno dunque più

fatica a scorrere.

▪ Aumento della resistenza al creep, perché le molecole sono più aggrovigliate e fanno dunque più

fatica a scorrere.

▪ Aumento della resistenza all’impatto, perché l’energia si dissipa su catene più lunghe.

Additivi

PVC (polivinilcloruro): è un polimero con poca parte cristallina e ha Tg=80°; è usato per tubazioni in plastica e

pelle sintetica. Al PVC può essere aggiunto un plastificante (ftalato), composto da piccole molecole che

separano le macromolecole favorendo il movimento; in questo modo può essere usato come ritardante di

fiamma, come rinforzo, come lubrificante nelle produzioni, come agente antimicrobico, per le

radioopacizzante (rende il polimero visibile a raggi X).

Siccome il plastificante modifica le proprietà chimiche del polimero, il materiale deve essere testato anche in

seguito all’aggiunta.

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Biomateriali polimerici

POLIMERI VINILICI: i polimeri vinilici si ottengono per polimerizzazione a catena a partire dal polietilene

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CEMENTO PER OSSA: il PMMA è usato per cementare le protesi, infatti – grazie alla sua rapida polimerizzazione e

temperatura ambiente – polimerizza diventando un materiale rigido vetroso.

Il processo di preparazione è estremamente semplice e prevede due componenti:

▪ Un liquido con PMMA polverizzato e un iniziatore di polimerizzazione

▪ Colla in polvere con il monomero, un accelerante, delle tracce di inibitore per evitare la polimerizzazione

prematura, un attivatore di reazione.

Subito dopo l’impianto il liquido rigonfia il polimero attivando la polimerizzazione.

La reazione è esotermica e può danneggiare l’osso, dunque si tenta di usare sempre la quantità minima di prodotto;

inoltre nella vertebroplastica il cemento deve essere più fluido e dunque sviluppa maggior calore.

La formula può essere variata modificando la dimensione delle particelle, la concentrazione di iniziatore e accelerante e

la copolimerizzazione.

Esotermicità

Ritiro volumetrico (contrastato però dalle porosità create dalle bolla di aria inglobato durante la

polimerizzazione opaco)

Tossicità: dispersione dei monomeri durante la polimerizzazione creando allergie, emotossicità e effetti

sistemici.

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POLICARBONATI: polimeri che contengono il gruppo carbonato, non vinilici.

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POLIESTERI: i poliesteri sono polimeri contenenti il gruppo estere che si ottengono per polimerizzazione a

stadi; possono essere lineari o reticolati, stabili o biodegradabili.

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SILICONI: i siliconi sono polimeri contenenti il gruppo −[𝑆𝑖 − 𝑂] − e gli elementi C e H solo nei gruppi

laterali. Sono idrofobici, stabili all’idrolisi e all’ossidazione.

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POLIURETANI: i poliuretani sono polimeri contenenti il gruppo

uretano e ottenuti tramite polimerizzazione a stadi di alcoli e/o

ammine con isocianati; i poliureauretani contengono invece il

gruppo urea, il quale deriva un diisociantao con una diammina.

In generale le proprietà dipendono dalla proporzione tra domini

soft (gruppi poliesteri che si aggregano tra loro amorfo e

flessibile) e gruppi hard (parti cristalline che contengono il gruppo

uretano, unite mediante legami secondari richiamo elastico)

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IDROGELI

Gli idrogeli sono strutture 3D di conformazione reticolata che si legano all’acqua

rigonfiandosi, ma che non si sciolgono in essa; l’idrofilicità è dovuta alla

compatibilità termodinamica tra acqua e catene polimeriche, mentre il fatto che

non siano solubili è dovuto alla formazione di un reticolo di legami covalenti che

l’acqua non riesce a spezzare. Il reticolo può essere composto da legami covalenti o legami ionici (fisici), in

cui gli ioni bivalenti tengono unite le macromolecole aggrovigliate.

Idrogeli interpenetrati: idrogeli formati da più catene in cui un reticolo si aggroviglia sull’altro.

Idrogeli semi-interpenetrari: idrogeli formati da più catene nei quali una catena non è reticolata.

GRADO DI RETICOLAZIONE

Il grado di reticolazione determina la mobilità dei soluti, la trasparenza dell’idrogelo e le caratteristiche

meccaniche.

Negli idrogeli non si va a definire il peso molecolare, ma il peso medio tra due nodi di reticolazione, il quale

determina la quantità di acqua assorbibile.

Se il Mc aumenta, allora si ha minor reticolazione, dunque maggior aggrovigliamento e quindi più possibilità

di espandersi.

Possono essere presenti dei difetti.

RIGONFIAMENTO

Quando il gel (o in generale un polimero reticolato idrofilico) entra a contatto con l’acqua, questa permea le

catene allontanandole e sgrovigliandole sino a che i legami tra le molecole bloccano l’espasione.

Dunque il gel non solo assorbe acqua, ma l’acqua stessa si lega alle catene, che rimangono collegate

intrappolandola.

Il processo di rigonfiamento richiede tempo, dipende dal grado di reticolazione (se il grado di reticolazione

aumenta, il grado di rigonfiamento diminuisce in quando le catene possono essere distanziate con minor

facilità) e dal tipo di legami chimici.

Il grado di rigonfiamento modifica le caratteristiche dell’idrogelo:

▪ la diffusione dei soluti,

▪ le proprietà di superficie e la mobilità dei soluti,

▪ le proprietà ottiche,

▪ le proprietà meccaniche: se la quantità di acqua aumenta, le caratteristiche peggiorano.

se la quantità di acqua aumenta, la fragilità aumenta in quanto le catene

non possono più distendersi nella direzione dello stiramento.

APPLICAZIONI

▪ rilascio controllato di farmaci

o controllato nel tempo

o sito – specifico

o protezione di sostanze labili (minor quantità di farmaco iniettata)

o mascherare sostanze immunogeniche

▪ pelle artificiale

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▪ Ingegneria dei tessuti grazie alla somiglianza tra tessuti biologici e gli idrogeli

o Medicina riparativa e sostitutiva

▪ Lenti a contatto

▪ Rivestimento per emocomposti

▪ Bendaggio per ustioni e ferite

▪ Membrane per biosensori

o Medicina rigenerativa

▪ Rigenerazione di tessuti molli

▪ Modulazione del rilascio di sostanze

▪ Trasporto di sostanze solubili in ambiente acquoso

IDROGELI INTELLIGENTI

Particolari idrogeli che modificano le proprie caratteristiche per stimoli esterni; in particolare possono

modificare

▪ Il grado di rigonfiamento

▪ La solubilità

▪ Lo stato (tra liquido e solido)

Si ottengono per controllo della struttura chimica, della configurazione, della conformazione, del grado di

cristallinità, del peso medio molecolare.

LAVORAZIONE

Il tipo di lavorazione dipende dal tipo di polimero

▪ Polimeri termoplastici: vengono portati a fusione (a una temperatura relativamente bassa) e si

lavorano prima del raffreddamento.

▪ Polimeri termoindurenti: la forma finale deve essere fornita durante il processo di produzione.

Inoltre alcuni sono lavorati solo mediante lavorazioni meccaniche.

Stampaggio per compressione

Materiale posto in una pressa, portato a fusione e modellato e in seguito raffreddato.

Estrusione

Vite senza fine scaldata che gira mescolando il polimero, che fuoriesce da un ugello.

Estrusione

Resina termoplastica introdotta in un cilindro riscaldato, quindi materia fusa e spinta da una vita rotante

attraverso una o più aperture in una matrice di forma precisa.

Si ottengono tubi, barre, film.

Soffiatura

Preforma in uno stampo chiuso nella quale si insuffla acqua per far aderire il materiale alla superficie.

Tecnologia delle fibre

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Formatura da soluzione

Preparazione di una soluzione più o meno concentrata del materiale polimerico in un opportuno solvente e

l’ottenimento del pezzo di forma geometrica opportuna tramite evaporazione del solvente.

Si ottengono dispositivi biomedici di spessori sottili o particolari geometrie (foglietti per le valvole cardiache).

ELETTROSPINNING: soluzione carica polimerica posta in una zona in cui è presente una differenza di

potenziale; il materiale è accelerato all’uscita da siringhe.

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Biomateriali di origine naturale

I biomateriali di origine naturale sono macromolecole isolati da fonti naturali e costituiscono la ECM di

animali e vegetali. Contengono acqua, collagene e proteoglicani.

✓ Ottenibili da fonti naturali ✓ Simili ai tessuti biologici ✓ Alto contenuto d’acqua ✓ Degradabilità

Richiedono un processo di estrazione e purificazione, i trattamenti possono portare

modificazione e essere costosi Difficoltà di lavorazione in quanto sono sensibili

ai trattamenti termici Necessità di modificazioni chimiche Difficoltà di sterilizzazione Variabilità delle proprietà a seconda dalla

fonte Caratteristiche meccaniche inadeguate Degradazione molto rapida Possibilità di trasmissione di malattie

tipiche dell’animale Possibilità che scatenino la risposta

immunitaria Possibile tossicità dei prodotti di

degradazione

Polimeri naturali usati come biomateriali

POLISACCARIDI

1. Acido ialuronico e derivati

2. Chitosano

3. Alginato

4. Destrano

5. Derivati della cellulosa

PROTEINE

1. Seta

2. Collagene

3. Colla di fibrina

POLISACCARIDI

I polisaccaridi sono carboidrati contenenti gruppi aldeidici e chetonici. Esiste in due isomeri ottici D-

gliceraldeide e L-gliceraldeide con proprietà diverse.

Esistono in forma ciclica (anello di

5 o 6 atomi) in forma α (gruppo

OH al di sotto del piano) o β

(gruppo OH al di sopra del piano).

Contengono spesso gruppi speciali quali gruppo carbossile e gruppo ammidico.

La variabilità strutturale porta ad avere variabilità funzionale

Diversi monosaccaridi Diversi legami glicosidici Diversi pesi molecolari

Compnenti strutturali o Funzione protettiva o Agenti lubrificanti o …

Macromolecole Polimeri

Infatti le macromolecole non

presentano necessariamente

un’unità ripetitiva.

Materiali non presenti

nell’uomo, dunque non

degradabili

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Modificazioni

▪ Grado di polimerizzazione peso molecolare

▪ Diversità dei gruppi funzionali reticolazione, esterificazione, ossidazione

Tipi di polisaccaridi

▪ Neutri:

o Cellulosa: usata assieme alla carbossimetilcellulosa, solubile in acqua

o Destrano: cura delle ferite, infatti reticolato in forma di particelle assorbe l’essudato

▪ Carichi positivamente:

o Chitosano: chitina non trattata

✓ Alta biocompatibilità

✓ Degradabile: i prodotti di degradazione sono nutrimenti

✓ Modificabile

✓ Prodotto in film, fili, tessuti

APPLICAZIONI: vettore non virale di DNA (grazie alla carica positiva), cura delle ferite,

effetto anti – batterico, emostatico.

▪ Carichi negativamente:

o Alginato: acido alginico ottenuto da alghe

OTTENIMENTO: a partire da 2 monosaccaridi con gruppo carbossile si ottiene un copolimero

alternato a blocchi, con l’aggiunta del sale si ottiene un reticolo ionico dove il Ca++ ha

sostituito il Na.

Il grado di reticolazione dipende dalla quantità di Ca++.

APPLICAZIONI: bendaggi (assorbe gli odori), addensante (aderisce con il cloro), creazione di

un idrogelo precaricato con sostanze analgesiche.

o Eparina

o Glicossamminoglicani (in particolare acido ialuronico): PG ad altissimo peso molecolare

ottenuto per fermentazione batterica dalla sintesi di D-glucoronato e N-acetil-D-

glicossamina. È solubile in acqua e rende viscose le soluzioni in cui è disciolto; ha un’alta

velocità di degradazione.

Funzioni biologiche: riempitivo, shock adsorber, controllo dei fenomeni batterici, controllo

dell’adesione batterica.

Modificazioni: se subisce una reazione di esterificazione diviene insolubile, aumenta la

rigidità e può essere lavorato per formare fibre.

PROTEINE

▪ Colla di fibrina: usato per tentare di riprodurre gli stadi finali della coagulazione a partire dal

fibrinogeno trasformato e reticolato.

Forma a due componenti:

prima siringa: componente A + inibitore (determina il

tempo di coagulazione);

seconda siringa: componente B

COMPONENTE A: fibrinogeno umano calcificato,

fattore XIII, fibronectina, aprotinina

COMPONENTE B: trombina, calcio di cloruro

Il tempo di polimerizzazione dipende dalla

concentrazione di trombina

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▪ Seta: filo composto da fibroina e sericina. La fibroina è presente in due conformazione: la forma α-

elica è insolubile, la forma β-sheet è insolubile: la sericina ha effetto infiammatorio e deve essere

rimosso mediante la tecnica della sgommatura da cui si ottiene la fibroina rigenerata

Si ricavano membrane, polvere e gel.

✓ Elevate proprietà meccaniche (tenacità, non degradabilità)

APPLICAZIONI: fili di sutura non riassorbibili, materiale per l’ingegneria dei tessuti.

▪ Collagene: il collagene è una proteina con struttura quaternaria nella quale sono presenti due tipi di

legame:

Legami a idrogeno tra glicina e amminoacidi X e Y

Ponti di reticolazione (in caso fosse presente la lisina)

Può essere modificato per aumentare la velocità di degradazione e per aumentare le

caratteristiche meccaniche. La reticolazione può essere chimica o fisica, mediante l’utilizzo di

aldeidi.

✓ Biocompatibilità

✓ Degradabilità

✓ Prodotti di degradabilità ben tollerati

✓ Riconoscimento e attivazione cellulare

Ottenuto da fonti animali

Può attivare la risposta immunitaria

I residui dell’agente reticolante possono essere tossici.

APPLICAZIONI: scaffold nell’ingegneria dei tessuti, riparazioni del muscolo cardiaco

(pericardio bovino), valvole cardiache biologiche.

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Protesi vascolari

La funzione delle protesi vascolari è il ripristino del corretto funzionamento del sistema vascolare; si può

andare ad agire su vene e arterie, mentre i capillari hanno diametro troppo piccolo per intervenire. I vasi più

soggetti a fatica meccanica sono le arterie, sulle quali agiscono sforzi elevati a causa della pressione.

I vasi sanguigni sono composti da tre componenti:

• Endotelio: presente in tutti i vasi, si occupa del controllo biochimico delle sostanze che attraversano i

vasi

• Media: cellule muscolari lisce orientate in direzione circonferenziale, si occupa della vasoregolazione

attiva.

• Membrana avventizia: simile alla media, si occupa della protezione.

PATOLOGIE

STENOSI: patologia nella quale delle sostanze (lipidi e calcio) si addensano sulla membrana causando – in

modo parziale o totale – l’occlusione

dell’arteria; la diminuzione della superficie

determina un’aumento della velocità

(conservazione della massa) e dunque un

calo della pressione.

Se la stenosi avviene a livello coronarico si ha infarto del miocardio.

A livello venoso si manifesta attraverso le vene varicose.

La stenosi può riguardare vasi di:

▪ Grosso calibro (φ > 8-9 mm)

▪ Medio calibro (φ = 6-7 mm)

▪ Piccolo calibro (φ < 5 mm)

A seconda del calibro si sceglie il materiale più adatto alla protesi.

ANEURISMA: l’aneurisma è una patologia degenerativa che porta il vaso a subire modificazioni delle proteine

che costituiscono la parete muscolare dei vasi, non permettendo più la risposta elastica

alla pressione. A seguito di creep, la muscolatura dell’arteria diminuisce e si gonfia;

inoltre lo spessore diminuisce, abbassando il carico di rottura (emorragia).

Spesso gli aneurismi si creano a livello della biforcazione aorto – femorale a causa della

particolare fluidodinamica della zona.

OPERAZIONI

BY – PASS: nel caso di stenosi, si impianta una protesi vascolare che porti il sangue a valle della stenosi.

Nel caso di by – pass aorto –

coronarico, la protesi parte

dall’aorta per arrivare nella

coronarica a valle dell’occlusione.

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SOSTITUZIONE DI UN TRATTO DI VASO: in caso di aneurisma si monta una protesi all’interno di questo

suturato ai suoi estremi; si procede poi alla rimozione del tessuto in

eccesso.

L’anastomosi può essere:

▪ Terminale – terminale: a partire dal termine di un vaso, sino all’inizio

del vaso successivo.

▪ Latero – terminale: a partire dal lato di un vaso, sino al termine del

vaso stesso.

▪ Terminale – laterale: coincide con il by – pass.

REQUISITI DI PROGETTO

❖ IMPIANTABILITA’: il materiale usato per la protesi deve essere suturabile, ossia composto da un

tessuto non continuo (Dacron) oppure da un materiale espanso (Teflon).

❖ CONTROLLO DELLA COAGULAZIONE

❖ STABILITA’ STRUTTURALE: il materiale deve avere caratteristiche meccaniche elevate e sopportare la

fatica meccanica.

Dacron: materiale vetroso a Tamb (Tg>37°) con elevate prestazioni a fatica.

Teflon: materiale gommoso a Tamb, espanso diventa Goretex.

Autograft: vena safena o arteria mammaria.

Homograft: aorte criopreservate o vena ombelicale.

Valutazione delle proprietà meccaniche:

o fatica,

o compliance,

o mismatch: il modulo elastico delle protesi è elevato, mentre quello dei vasi è ridotto, ciò

porta a un diverso modo di propagazione delle sollecitazioni: riflessione d’onda e

sollecitazione dell’anastomosi.

❖ FLESSIBILITA’: per prevenire l’effetto Kinking le protesi sono corrugate.

❖ EVITARE LA TORSIONE durante l’impianto: presenza di linee e puntini come riferimento

Le protesi vascolari non possono essere rimosse, dunque un’eventuale infezione che riguarda le protesi

non può essere curata ed il paziente muore per setticemia; le protesi homograft e eterograft vengono

caricati di antibiotici

PROTESI POROSE

Dacron

Il Dacron è un materiale tessuto non continuo usato per sostituzione di vasi a medio e

grande calibro; ha modesta emocompatibilità, ma elevate proprietà meccaniche –

necessarie per gli elevati gradienti di pressione presenti nelle arterie –.

Per migliorare l’emocompatibilità, può essere impermeabilizzato mediante il processo di

precoagulazione, nel quale la protesi viene immersa subito prima dell’impianto, nel sangue

del paziente in modo tale che il coagulo ostruisca le porosità. In ogni caso, dopo l’impianto

si viene a formare uno strato (1 mm) di coagulo interno e esterno che aumenta

l’emocompatibilità; questa variazione di calibro è ininfluente nelle protesi a largo e medio

calibro, ma diventa incompatibile in quelle a piccolo calibro.

Dacron e Teflon non

possono essere usati

in protesi a piccolo

calibro o per le

coronariche perché

causano coagulazione

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Goretex

Il Goretex si produce dall’espansione del Teflon ed è usate per protesi a piccolo calibro.

A Tamb è in forma gommosa e può essere adattata in lunghezza grazie

all’espasione di nodi e fibrille.

La copertura della protesi con carbonio pirolitico aumenta la

biocompatibilità

Autograft

A livello delle coronarie si richiede un elevato coefficiente di sicurezza, dunque si preferisce spesso usare dei

vasi del paziente per evitare il coagulo.

In particolare le vene sono estremamente biocompatibili e non portano all’infarto del tessuto.

Vena safena (vena situata nella gamba): se ne usa una parte non valvolata, oppure una porzione

valvolata ma direzionata in modo tale che le valvole risultino sempre aperte.

Arteria mammaria: funzionale in quanto se ne può solitamene sfilare una porzione.

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Biomateriali ceramici

I materiali ceramici sono una combinazione di uno o più elementi metallici con uno o più elementi non

metallici.

STRUTTURA

Solidi ionici covalenti con struttura cristallina (ossido di allumino) o amorfa (vetri, silicati).

PROPRIETA’

Le proprietà dei ceramici variano a seconda dei tipi di legame presenti nel solido e nella loro concentrazione.

In generale:

o Durezza elevata

o Fragilità

o Bassa tenacità e bassa duttilità

o Bassa resistenza a trazione

o Elevata resistenza a compressione

o Buoni isolanti termici ed elettrici (elettroni vincolati nei legami)

o Alta temperatura di fusione

o Elevata stabilità chimica (legami forti)

TIPI DI CERAMICI

a. Ceramici tradizionali: argilla, silice, feldspato

b. Ceramici avanzati:

i. composti puri o quasi puri: Al2O3, SiC, Si3N4

ii. materiali a base di solo carbonio: carboni e grafiti.

Biomateriali ceramici

I biomateriali ceramici usati in applicazioni biomediche sono alcuni ceramici avanzati (Al2O3,carboni) e

materiali sviluppati ad hoc per impieghi biomedicali (vetri bioattivi, fosfati di calcio).

a. Bioceramici (quasi) inerti componenti di impianti ortopedici sottoposti a forti sollecitazioni

meccaniche (compressione)

b. Bioceramici a reattività superficiale e riassorbibili campo maxillo – facciale, campo dentale,

coadiuvanti di protesi sottoposte a carico.

BIOMATERIALI CERAMICI INERTI

Alluminia, Zirconia, Carboni (LTI, ULTI, carbonio vetroso)

✓ non soggetti a variazioni chimiche nell’ambiente fisiologico

✓ biocompatibili

▪ materiale riconosciuto come corpo estraneo

formazione di una membrana molto sottile (isolamento nei confronti dei tessuti biologici)

scollamento ed allentamento asettico

mobilizzazione non integrazione con i tessuti

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Alluminia Al2O3

Materiale reticolato in cui gli ioni ossigeno sono nelle posizioni reticolari di una cella EC e le posizioni

interstiziali sono occupate da Al (2/3 del volume): si ha distorsione della struttura

PROPRIETA’:

▪ basso coefficiente di usura

▪ bassa velocità di usura

▪ alto punto di fusione lavorabilità limitata a Tamb a causa della durezza e della fragilità che li rende

non deformabili plasticamente; le macchine utensili si limitano alla finitura superficiale.

LAVORAZIONE: per creare un materiale ceramico si parte da una polvere, la quale viene prima compattata e

poi sinterizzata.

Sinterizzazione: processo di identificazione di un compatto di polveri

che comprende:

1. la rimozione delle porosità tra le particelle di partenza

2. la coalescenza e la formazione di forti legami tra particelle adiacenti

attraverso fenomeni di diffusione allo stato solido

diminuzione delle porosità e del volume del pezzo.

La lavorazione dell’Alluminia porta ad avere:

▪ polveri di elevata purezza

▪ temperatura di lavorazione attorno a 1400° - 1600°

Spesso si procede all’aggiunta di MgO per limitare la

crescita dei grani (distribuzione stretta di dimensione

dei grani):

✓ miglior resistenza a fatica

✓ miglior resistenza a compressione e flessione

✓ maggior durezza

✓ basso coefficiente d’attrito

✓ non liberazione di particelle in seguito a usura.

Zirconia ZrO2

POLIMORFISMO: la Zirconio pura si presenza in forma:

a. monoclina a Tamb < T <1170°

b. tetragonale 1170 ° < T < 2370° : miglior resistenza a fatiche e migliori proprietà meccaniche

c. cubica a facce alternata T > 2370°

LAVORAZIONE: si ha difficoltà di lavorazione e studio di metodi per evitare la formazione della fase

monoclina, la quale però può formarsi anche in presenza di vapore ad alte temperatura, causando

irruvidimento della superficie.

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La Zirconia può essre combinata con altri ossidi refrattari (MgO, per stabilizzare la struttura cubica, Y2O3 per

stabilizzare la struttura tetragonale) per ottenere materiali ceramici con alta tenacità alla frattura.

Infatti l’aggiunta del 9% di MgO permette di avere la Zirconia PSZ a

Tamb: struttura cubica metastabile + precipitato submicroscopico fine

a struttura tetragonale, che esercita una pressione sulle cricche in

avanzamento.

La Zirconia stabilizzata, rispetto all’Alluminia,

▪ maggior forza flessionale

▪ resistenza alla struttura

▪ minor rigidezza

▪ possibilità di essere sottoposta a lavorazione d superficie più

raffinata

▪ minor durezza

APPLICAZIONI: componenti massivi (testine femorali), rivestimenti.

Carboni

STRUTTURA: i carboni possono presentarsi sotto forma di grafiti, carbonio turbostratico, carbonio vetroso.

OTTENIMENTO: pirolisi, deposizione da vapore (LTI, ULTI)

GRAFITE: carbone con un arrangiamento ordinato di piani paralleli, con struttura

anisotropa; è spesso usato come lubrificante grazie allo scorrimento dei piani

(uniti da legami deboli)

CARBONI TURBOSTRATICI: carboni caratterizzati per l’orientazione casuale dei

cristalli di grafite accresciuti in ordine bidimensionale; la struttura può essere

isotropa o anisotropa a seconda dell’orientazione.

✓ Ottima resistenza all’usura

✓ Ottima resistenza alla fatica

CARBONI LTI (Low Temperature Isotropic): carboni in cui il core di grafite

è ricoperto da uno strato di carbonio pirolitico che accresce la resistenza

all’usura. Le proprietà meccaniche si modificano a seconda del tipo di

bersaglio, della forma del bersaglio e lo spessore del rivestimento.

CARBONI ULTI (Ultra Low Temperature Isotropic): carboni usati come rivestimento di materiali polimerici,

ottenuto mediante un flusso ionico che produce ioni da un target di carbonio, i quali si depositano sul

substrato da rivestire.

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APPLICAZIONI: i carboni LTI e ULTI sono usati per valvole cardiache meccaniche e rivestimenti di protesi

vascolari in PET grazie alla loro emocompatibilità-

BIOMATERIALI CERAMICI AD ATTIVITA’ BIOSUPERFICIALE E BIORIASSORBIBILI

I materiali bioriassorbibili sono

✓ Riconosciuti come cellule ossee

✓ Possono essere metabolizzati per ricostruire la fase minerale fisiologica

I materiali attivi sono

✓ Chimicamente stabili

✓ Possono stabilire legami con l’osso

✓ Permettono un perfetto ancoraggio del tessuto osseo periimplantare

APPLICAZIONI: campo maxillo – facciale, campo dentale, rivestimento di protesi ortopediche/dentali.

Materiali bioriassorbibili

Requisiti:

▪ La dissoluzione del materiale deve avvenire mediante i normali meccanismi biologici

▪ L’impianto deve sviluppare la funzione alla quale è preposto per un tempo appropriato

▪ Il processo di riassorbimento non deve impedire la sostituzione progressiva con normale tessuto

sano

La perdita di coesione e di resistenza meccanica durante il riassorbimento è dunque bilanciata dall’aumento

della funzione di sostegno del tessuto ospite.

Idrossiapatite

L’idrossiapatite è la parte minerale dell’osso, formata da un fosfato di calcio. Si trova naturalmente in natura,

ma può anche essere sintetizzata (non facilmente): il materiale di partenza è una polvere che viene

compressa e sinterizzata. La componente cristallina del preparato è simile a quella fisiologica, mentre quella

amorfa ha la funzione di aderire al substrato.

PROPRIETA’:

▪ Basse proprietà meccaniche

▪ Non adatta alla costruzione di protesi massive

▪ Proprietà meccaniche dipendenti dalle porosità presenti

▪ Applicazioni a basso livello di sollecitazione:

o Riempitivi

o Fase bioattiva in materiali compositi

o Rivestimenti di materiali metallici

APPLICAZIONI:

▪ campo dentale (difetti periodontali, lesioni ossee, cavità cistitiche, post estrattivo),

▪ campo osseo (fratture, cisti ossee, difetti ossei generici, traume, chirurgia maxillofacciale, cranio),

▪ rivestimenti superficiali

Biovetri

I biovetri presentano reazioni superficiali controllate con i fluidi corporei, hanno basse caratteristiche

meccaniche e sono quindi spesso usati come rivestimenti.

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Protesi cardiache

LE VALVOLE Nel cuore sono presenti quattro valvole

i. Valvola tricuspide: connette l’atrio destro (che raccoglie il sangue

proveniente dalle vene cave inferiori e superiori) al ventricolo destro.

ii. Valvola polmonare: connette il ventricolo destro alla vena polmonare.

iii. Valvola mitrale: connette l’atrio sinistro al ventricolo sinistro.

iv. Valvola aortica: connette il ventricolo sinistro all’aorta.

Tutte le valvole devono sostenere un gradiente di pressione, più elevato nel

cuore sinistro p=120mmHg; tra tutte è la valvola mitrale quella a essere più

sollecitata e dunque quella più soggetta a patologie.

Tutte le valvole giacciono nello stesso piano (piano valvolare).

Le valvole cardiache si possono suddividere in base alla forma:

a. Valvole a nido di rondine, formate da tre lembi: valvole di uscita (valvola polmonare, valvola

aortica)

b. Valvole con corde tendinee: valvola mitrale e tricuspide

PATOLOGIE

STENOSI: apertura non completa della valvola che causa una caduta di pressione a cavallo di essa; ciò

provoca un affaticamento del muscolo cardiaco a causa dell’aumento di lavoro necessario a mantenere

p=120mmHg nonostante la pressione persa nell’attraversare la valvola. A causa dell’aumento di lavoro, in

cuore si inspessisce, ma lo strato di collagene non riesce a soddisfare le funzioni richieste.

INSUFFICIENZA CARDIACA: chiusura non completa delle valvole che consente, in diastole, un rigurgito; ciò

implica che alla sistole successiva il ventricolo debba pompare il sangue proveniente dall’atrio, ma anche

quello dall’aorta: l’aumento del lavoro causa un inspessimento della superficie.

SPECIFICHE DI PROGETTO

❖ APERTURA E CHIUSURA PASSIVA (a causa delp) E RAPIDA (10 ms): la rapidità dipende dal peso

delle parti mobili.

❖ CREAZIONE DI UN p IL PIU’ BASSO POSSIBILE (p < 5 – 20 mmHg) per evitare una nuova

condizione patologica di stenosi.

❖ RETROFLUSSO (statico e dinamico) < 5% DELLA PORTATA per evitare una nuova condizione

patologica di insufficienza. Con retroflusso statico si intende a valvola chiusa, con retroflusso

dinamico durante la chiusura della valvola. Nella valvola STARR si ha assenza di retroflusso statico, a fronte però di un’elevata emolisi.

❖ ASSENZA DI EMOLISI DI COAGULAZIONE

o Emolisi: deve essere evitata per non sovraccaricare gli organi di filtrazione deputati a

eliminare i globuli rossi distrutti si preferisce mantenere un piccolo reflusso dinamico

che crea un meato alla chiusura.

o Coagulazione: non ha soluzione se non la terapia farmacologica in quanto la patologia

passa al sangue. La formazione di un trombo può bloccare l’apertura della valvola o, se si

stacca, entrare in circolo.

❖ RADIO – OPACITA’: la valvola deve essere visibile mediante i mezzi di bioimaging.

Le valvole biologiche danno segni di rottura, a differenza di quelle meccaniche

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❖ BIOCOMPATIBILITA’ ANATOMICA: esistenza in diversi calibri e dimensioni limitate

❖ FACILITA’ DI IMPIANTO per minimizzare i tempi del chirurgo

❖ ASSENZA DI RUMORE

❖ DURATA: dipende dalle caratteristiche a fatica (vantaggi del carbonio pirolitico), ma dovrebbe

resistere per tutta la vita del paziente.

PROTESI VALVOLARI

A fronte dei requisiti di progetto, esistono due tipi di protesi valvolari:

a. MECCANICHE

i. A palle

ii. A disco oscillante

iii. A due dischi

b. BIOLOGICHE

i. Autograft

ii. Homograft

iii. Eterograft

Sono inoltre in fase di progetto le protesi ingegnerizzate.

Valvole meccaniche

VALVOLA STARR

3 elementi:

i. Anello di sutura

ii. Elemento mobile: palla

iii. Elemento di sostegno: gabbietta

VALVOLA A DISCO OSCILLANTE

Elemento mobile: carbonio pirolitico che riveste un target di grafite (fragile)

La grafite ha affinità con la chimica dell’organismo e un coefficiente di

dilatazione adeguato a quello del carbonio pirolitico. Le tecniche di lavorazione sono oramai tali da riuscire a creare un blocco di

grafite, perpetuando il processo, ma si hanno poi problemi sulla lavorazione

necessaria a dare la forma finale.

✓ Diminuzione dell’ingombro ✓ Variazione della fluidodinamica

Si preferisce preservare un riflusso dinamico che garantisca un meato in

chiusura per limitare l’emolisi.

✓ Alta sicurezza

Ingombro elevato Emolisi in apertura e chiusura Impossibilità di montaggio in

posizione mitrale per danneggiamento meccanico e elettrico del musoclo cardiaco.

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VALVOLE A DOPPIO DISCO OSCILLANTE

Elemento mobile: doppio disco di grafite ricoperte in carbonio pirolitico

✓ Ridotto ingombro in apertura

Valvole biologiche

Le valvole biologiche sono prelevate e vincolate ad un supporto e ad un anello di sutura.

Possono essere afflitte da processi degenerativi quali la calcificazione che porta alla diminuzione

dell’apertura.

ETEROGRAFT: VALVOLA PORCINA

AUTOGRAFT: per elevare il coefficiente di sicurezza, a volte si preferisce montare una valvola autologa

prelevata da una zona non soggetta a sforzi elevati (ad esempio dal cuore destro).

Conclusioni

In generale, le valvole meccaniche hanno durata maggiore rispetto a quelle biologiche ma minore

biocompatibilità. La scelta del tipo di valvola dipende dunque dal paziente: un bambino dovrà

necessariamente cambiare la valvola nel corso della vita dunque si preferisce una valvola biologica; gli

anziani non sopportano facilmente le cure farmacologiche che evitano la coagulazione dunque si preferisce

una valvola biologica; per adulti sani si sceglierà una valvola meccanica, ma le donne che programmano una

gravidanza potrebbero soffrire emorragie durante il parto.

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Materiali compositi

Un materiale composito è un materiale costituito dalla combinazione di due o più materiali che

contribuiscono, con le proprie caratteristiche alle proprietà del sistema integrato; è eterogeneo almeno in

fase microscopica.

COMPOSIZIONE:

Matrice: polimerica, metallica o ceramica

+

Parte dispersa: fibre o particelle

STRUTTURA

Un materiale composito è formato da:

▪ Matrice: trasferisce il carico al rinforzo e lo protegge, può anche essere di origine naturale,

▪ Fibre: possono essere di vetro, carbonio, kevalr, UHMWPE, di origine naturale (cellulosa).

Le sue proprietà dipendono dalle proprietà delle fibre, dalla concentrazione e dall’orientazione di esse.

✓ Aumento dello sforzo a rottura di trazione, compressione, all’impatto; aumento della rigidità

✓ Flessibilità ✓ Facilità di fabbricazione ✓ Basso peso specifico ✓ Protezione alla corrosione ✓ Aumento delle proprietà elettriche

Alti costi Necessità di lavorazioni particolari per

avere buoni legami all’interfaccia Anisotropia Difficoltà di ottenere una buona

dispersione

NANOCOMPOSITI

Materiali compositi riempiti a livello nanometrico.

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Medicina rigenerativa

La medicina rigenerativa prevede la rigenerazione (non sostituzione) di un nuovo tessuto vivente per la

ricostruzione terapeutica del corpo umano grazie alla deliberata e controllata stimolazione di un disegnato

target di cellule mediante una combinazione sistematica di segnali molecolari e meccanici. La medicina

rigenerativa si divide in tre branche: ingegneria dei tessuti, terapia cellulare, terapia genica.

La terapia cellulare si divide in

• Cell terapy: trapianto cellulare di cellule non autologhe (trasfusione, trapianto di midollo)

• Impianto di cellule autologhe (creazione di pelle, cartilagine)

Siccome le cellule vivono adese ad altre cellule e alla matrice extracellulare (escluse le cellule del sangue), è

necessario andare a creare una matrice extracellulare con materiali tradizionali – chiamata scaffold – sulle

quale le cellule aderiscono.

TIPI DI CELLULE UTILIZZATE

a. Cellule immortalizzate (di linea): cellule che hanno subito trattamenti termici o con radiazioni che le

hanno rese simil – tumorali. Possono essere umano o provenienti da altre specie. Non sono

impiantabili.

b. Cellule xenogeniche: cellule proveniente da specie animali (interessanti se provenienti da animali

clonati)

c. Cellule allogeniche: cellule provenienti da esseri umani

d. Cellule autologhe

CELLULE STAMINALI

Le cellule presenti nel corpo umano si dividono in

a. Staminali adulte, presenti a livello midollare

b. Somatiche: cellule differenziate che in mitosi trasmettono il fenotipo.

Si duplicano per divisione simmetrica per un numero finito di volte (20-25)

CELLULE STAMINALI ADULTE

Le cellule staminali adulte di ogni tessuto differenziato si trovano nelle proprie nicchie staminali e si dividono

per mitosi simmetrica infinite volte, producendo due nuove cellule staminali. Se stimolate però possono

effettuare una divisione asimmetrica andando a generare

• una nuova cellula staminale,

• una cellula con un certo grado di specializzazione.

La divisione asimmetrica permette l’autoconservazione

delle staminali, che non possono essere prodotte in età

adulta.

Tutte le cellule staminali adulte possono diventar ogni

tipo di cellule specializzata, ma quelle del tessuto

specifico impiegano meno passaggi.

Per essere usate nei trapianti è necessario conoscere sia la collocazione anatomica delle nicchie staminali

(studiato mediante l’analisi del fenotipo cellulare), sia il tipo di stimolo necessario al differenziamento.

Le due cellule figlie hanno lo stesso

DNA e ne esprime lo stesso

segmento (produce quindi le stesse

proteine)

Entrambe le cellule hanno lo stesso DNA, ma

l’espressione genica di una delle due è modificata

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Evoluzione dei blastocisti preimpiantati negli umani

OOCITA: cellula contenente metà patrimonio

genetico della madre;

SPERMATOZOO: cellula contentne metà patrimonio

genetico del padre;

all’incontro fertilizzazione

ZIGOTE: cellule in cui coesistono 2 DNA differenti.

In seguito i 2 DNA subiscono il fenomeno di splicing,

divenendo un unico DNA cellula staminale

totipotente

Divisione cellulare;

BLASTOCISTA: cellula dopo il primo differenziamento:

dopo circa 5 giorni, quando lo zigote può aderire

alla’utero cellule staminali embrionali

A partire dal blastocista si vengono a formare tutti i tessuti: si formano infatti cellule dell’ectoderma (pelle,

neuroni), del mesoderma (cuore, muscoli), dell’endoderma, le cellule germinali (spermatozoi o ovuli).

Classificazione

▪ embrionali

o cellule germinali

o cellule staminali

o carcinoma

▪ fetali

o cellule del cordone ombelicale

o cellule della placenta

o cellule del liquido amniotico

▪ adulte

Potenza di una cellula staminale

▪ embrionale totipotente: può generare ogni tipo di tessuto

▪ adulte multi potente, presenti nell’adulto a livello midollare

▪ delle nicchie unipotente

Cellule staminali embrionali Cellule staminali adulte

✓ pluripotenti ✓ altamente proliferativa ✓ non scatenano reazione immuniataria fino

a che restano non differenziate non autologhe problemi etici tumorogeniche in quanto non autologhe

multipotenti leggermente meno proliferative ✓ autologhe ✓ meno controversie etiche ✓ non tumorogeniche

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Impianto di cellule staminali

1. identificazione

2. propagazione

3. differenziamento

a. chimico fattori di differenziamento: stimolano l’espressione di un certo fenotipo sia nelle

staminali embrionale che in quelle adulte.

b. Fisico stimoli meccanici

4. impianto di cellule + scaffold (=tessuto equivalente)

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Ingegneria dei tessuti

L’ingegneria dei tessuti prevede la biopsia del paziente, la loro espansione, la crescita in uno scaffold e la

generazione di un graft.

RIGENERAZIONE DEI TESSUTI MEDIANTE SCAFFOLD

Gli scaffold sono strutture tridimensionali più efficaci rispetto alla coltura di cellule in piastrine con sostanze

farmacologiche (usata però per rigenerazione di piccoli difetti). Difatti, gli scaffold

▪ Forniscono sostegno temporaneo alle cellule

▪ Favoriscono l’attività cellulare

▪ Evitano gli effetti sistemici

▪ Creano un ambiente biochimico (medium: nutrimenti, pH, fattori di crescita) e fisico (forzanti di

stretching, compressione..) adatti

A seconda del tipo di cellule si scelgono scaffold differenti.

REQUISITI

❖ BIORIASSORBIBILITA’in quanto tempo? dipende dall’applicazione: caratteristica non sempre

implementabile, dunque spesso sono biointegrabili

Possono degradarsi in due modi:

i. Bulk erosion: erosione

dell’intera massa

ii. Surface erosion: erosione della

superficie modifica della forma

❖ NUTRIMENTO DELLE CELLULE: lo scaffold deve permettere lo scambio tra interno e esterno

struttura porosa. Che livello di porosità? Dimensione dei pori?

I porti devono essere abbastanza grandi

da contenere le cellule (10-20µm) e i nutrienti; in ogni caso le cellule devono essere in grado di passare più di

una alla volta attraverso i pori φ=200 µm

❖ STERILIZZABILITA’: il processo di sterilizzazione degli scaffold è problematico in quanto questo non

deve essere degradato e le sue proprietà non vanno modificate. Si possono seguire due strategie:

i. Sterilizzazione del materiale e aggiunta delle cellule in ambiente sterilizzato (lavorazione

sotto cappe a flusso laminare, stoccaggio e trasporto sterilizzato)

ii. Colonizzazione cellulare in ospedale

Non devono modificare eccessivamente

l’ambiente fisiologico;

non devono rilasciare prodotti tossici.

Si può sfruttare il

fenomeno dell’erosione

per rilasciare sostanze

attive

Gli idrogeli sono scaffold non tradizionali in cui le cellule crescono

in ambiente acquoso, intriso di sostanze che diffondono

Dalla biopsia non si otterranno solo le cellule di interesse, m questo risulta essere un vantaggio

L’ambiente biochimico può essere controllato anche nelle colture statiche, ma non l’ambiente

fisico. esperimento: si considerino 2 colture di condrociti, quella in cultura statica andrà a

produrre collagene I (fibroblasti), quella in cultura dinamica collagene II

solo le cellule della cultura dinamica hanno mantenuto lo stesso fenotipo

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❖ LAVORABILITA’: gli scaffold hanno delle forme particolari in quanto devono presentare delle porosità

interconnese (per permettere lo scambio): si usano poliuretani espansi o il polistirene espanso, i

quali però non devono rilasciare sostanze tossiche.

Le tecniche di lavorazione sono su misura per ogni biopolimero (costi elevati)

Una di queste consiste nell’aggiungere il biopolimero a un insieme di particelle e eliminare

quest’ultime mediante un solvente. È comunque necessario creare delle fusioni tra le

particelle.

Si possono anche usare dei tessuti con materiali ottenibili sotto forma di fibra.

MATERIALI

Si usano polimeri sintetici e naturali degradabili o non degradabili oppure idrogeli.

Problematiche

▪ Tridimensionalità degli scaffold

▪ Scelta tra l’utilizzo di polimeri naturali o sintetici

▪ Controllo delle porosità: se aumenta il numero di pori, la diffusione aumenta, ma le proprietà

meccaniche diminuiscono

▪ Controllo della dimensione dei pori e della loro connessione

▪ Controllo delle proprietà meccaniche proprie della struttura

▪ Controllo della degradazione: all’aumento della degradazione diminuiscono il peso e le prestazioni

meccaniche, dunque il tempo di degradazione deve essere compatibile con la capacità delle cellule

di costruirsi il loro ambiente

▪ Possibilità di lavorazione superficiale

▪ Esistenza di un processo di lavorazione

Modifica dei polimeri

Per quanto riguarda i polimeri si va agire sulla cristallinità e sull’idrofilicità, ma anche sulla lavorazione

superficiale.

Un altro parametro su cui si può lavorare è la porosità: all’aumento di questa aumenta la degradabilità,

soprattutto se superficiale.

L’ambiente di lavoro è quello fisiologico, ma si considerano anche i parametri di una risposta infiammatoria.

Biopolimeri naturali Biopolimeri sintetici

✓ Degradabilità ✓ Idrofilicità ✓ Biocompatibilità

✓ Versatilità ✓ Riproducibilità ✓ Processabilità

L’uso di materiali compositi può unire gli aspetti peculiari dei due materiali.

POLIMERI NATURALI

1. Collagene

2. Gelatina: collagene parzialmente degradato e denaturato

3. Polisaccaridi: in particolare l’acido ialuronico che può essere modificato per esterificazione per

aumentare ili tempo di degradazione e può essere lavorato come gel, tessuto non tessuto

4. Alginati: possibilità di incapsulare le cellule passando dallo stato di liquido a gel.

FORMA

Gli scaffold hanno una struttura porosa in tutti i casi tranne che per la rigenerazione di pelle e neuroni in cui

assumono una forma tubulare di protezione

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TECNICHE DI FABBRICAZIONE

Esistono molte tecniche per la fabbricazione degli scaffold, prima tra tutte quella tessile.

Si possono creare degli scaffold nanostrutturati.

BIOREATTORI

Un bioreattore è un sistema di coltura dinamica nel quale il processo avviene sotto spinte condizioni

strettamente controllate e automatizzate dell’ambiente e delle condizioni operative. È composto da uno

scaffold in cui sono state immerse delle cellule e può dunque essere in vivo o un simulatore per aumentare

la proliferazione.; è usato per la crescita di una popolazione cellulare autologa in ambiente fisiologico,

dunque in presenza di campi fisici (campo elettrico, magnetico, di flusso) differenziati da tessuto a tessuto.

Serve anche per dare una direzione di crescita alle cellule e permette di cambiare l’ambiente di lavoro (ad

esempio si crea una condizione di ipossia per aumentare la produzione di vasi sanguigni).

Oggigiorno i sistemi sono customizzati.

Controllo di:

• pH ≈ pHsangue=7,2

• temperatura = 37°

• pressione

• nutrienti

• eliminazione degli scarti

Problematiche

• Mantenere la sterilità

• Afferraggio dello scaffold

• Valore degli stimoli

• Presenza di angoli retti che rendono difficoltosa la pulizia

• Citocompatibilità del materiale

• Sterilità del foro dell’albero (φ grande -> no sterilità; φ piccolo -> usura)

Funzioni

1. Condizionamento fisico del tessuto

2. Semina delle cellule negli scaffold 3D

3. Aumento del trasporto di massa

4. Automatizzazione del processo mediante sensori

o Ottici: posti in coppia e incollati sulla parete interna e esterna della coltura

disaccoppiamento tra interno e esterno

o Invasivi: entrano in contatto con la coltura

1. CONDIZIONAMENTO FISICO

• Campo elettrico: muscolo scheletrico, muscolo cardiaco, neuroni

• Campo meccanico: muscolo scheletrico, muscolo cardiaco, tendini e legamenti, ossa e cartilagine

(tessuti non metabolici)

• Campo di flusso: cartilagine (fluido sinoviale), osso (sangue)

Prove sperimentali a conferma dell’efficacia della coltura dinamica: Western – Bolt permette di contare il

numero di miosine mediante un processo elettrofonetico in cellule del muscolo scheletrico coltivate in

modo statico o dinamico.

Gli stimoli che permettono il differenziamento cellulare

agiscono tuta la vita o solo in fase embrionale?

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2. SEMINA SU SCAFFOLD 3D

La semina sulle colture statiche avviene grazie al campo gravitazionale ed è

• Poco riproducibile

• Ad alta variabilità

• Non segue una distribuzione uniforme

Metodi di semina dinamica:

a. Mixed flask: flask sterile con un albero che ruota magneticamente per mezzo di un

agitatore

b. Perfusione confinata: si utilizza uno U – tube con un sistema pompante che fa

oscillare il liquido verticalmente; dunque tutto il liquido è costretto a passare ripetutamente

nello scaffold

c. T – Cup: sistema basato sulla stesso principio dell’U- Tube, ma in cui è lo scaffold a

muoversi

3. SEMINA SU SCAFFOLD

Nei bioreattori sono necessari sistemi di controllo che mantengano controllate le condizioni della colture. Ad

esempio, nel tempo ci si aspetta che il numero di cellule aumenti e dunque aumenti anche il volume

occupato da esse: ciò porta la velocità ad aumentare e dunque aumentano anche gli sforzi di taglio

(potrebbero arrivare allo sforzo limite di adesione); un sistema di controllo efficace modifica la portata

all’aumentare del volume.

DECELLULARIZZAZIONE

Tecnica che permette eliminare le cellule da un tessuto non autologo per ottenere scaffold di forma e

proprietà meccaniche adeguate e già vascolarizzati.

i. Sterilizzazione uccisione delle cellule

ii. Rimozione di tutto il materiale cellulare e nucleare del tessuto, oreservando però la matrice

extracellulare.

✓ Scaffold non immunogenici

✓ Substrato riconosciuto dall’ospite e tessuto – specifico

✓ Proprietà meccaniche adeguate

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Materiali per la decellularizzazione

AGENTI CHIMICI

▪ Acidi e basi, ma danneggiano il collagene, i GAG e i fattori di crescita

▪ Soluzioni ipo e ipertoniche, ma non rimuovono le cellule

▪ Detergenti non ionici, ma distruggono l’ultrastruttura

▪ Temperatura

▪ Forza diretta

▪ …

Nessun materiale utilizzato evita il danneggiamento della struttura extracellulare.

BIOMATERIALI INIETTABILI

I biomateriali impiantabili evitano la chirurgia invasiva riducendo il numero di effetti collaterali; sono

soluzioni di materiali poco rigidi quali idrogeli e paste di idrossiapatite con la relativa matrice.

La polimerizzazione avviene in sito, ad esempio all’arrivo di uno stimolo esterno.

Si possono anche usare materiali intelligenti che variano la propria risposta a seconda degli agenti esterni

quali pH e temperatura.

PROBLEMATICHE

▪ Il tempo di solidificazione deve essere controllabile

▪ La reazione di polimerizzazione deve essere citocompatibile

▪ La soluzione deve essere iniettabile (si hanno dunque valori soglia di viscosità, che deve essere

comunque abbastanza alta da non permettere la diffusione)

▪ Proprietà meccaniche importanti solo dopo la sollecitazione esterna

▪ Facilità di preparazione

▪ Sterilizzabilità

Tecniche di produzione

Si sfruttano reazioni enzimatiche.

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Biomateriali e infezioni

I BATTERI

I batteri sono cellule procariote piccole e numerose. Possono essere patogeni o non patogeni a seconda

delle condizioni in cui si trovano.

Si possono dividere per forma in cocchi, bacilli o spirulina.

Una seconda classificazione è gran+ o gran- a seconda della loro reattività verso i coloranti.

INFEZIONI DA CORPO ESTRANEO

Le infezioni da corpo estraneo sono comuni in tutti quei tessuti che vanno a contatto con protesi e dispositivi

medici. Queste possono essere trattate con antibiotici, ma la sopravvivenza di anche un solo batterio con

una mutazione permette una nuova proliferazione.

In caso di protesizzazione, un’infezione implica la necessità di rimuovere la protesi.

Durante un impianto, le possibili cause di infezione sono

▪ Contatto con la pelle del paziente

▪ Batteri normalmente in circolo che aderiscono alla protesi.

▪ (Personale medico

▪ Iniezione di sostanze infette)

RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI: alcuni batteri, tra cui l’Epidermidis, una volta aderiti alla superficie da

colonizzare producono un biofilm, ossia una matrice di difesa della colonia composta da polisaccardi in cui

vivono i batteri. Questo previene l’efficacia degli antibiotici, in quanto la barriera fisica corrisponde a un gel

che fa migrare le sostanze solo per diffusione e nel quale i batteri comunicano per chemiotassi.

Inoltre i metodi di studio utilizzati per coltivare batteri sono inefficaci, infatti si usano piastre di agar, ma

bidimensionali, mentre i batteri creano film tridimensionali.

CONTROMISURE

Una soluzione contro la colonizzazione batterica è la modifica della superficie del dispositivo; in particolare si

va ad agire sulla bagnabilità superficiale variando la conformazione delle proteine (si cambiano i siti di legami

esposti).

Per questo motivo è importante sterilizzare e pulire i dispositivi impiantabili dai batteri ma anche di loro

detriti (endotossine) che attiverebbero la risposta infiammatoria.

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Biomateriali e biotecnologie

DNA

Il DNA è la struttura cellulare che contiene l’espressione genica necessaria a costruire gli

organismi; negli eucarioti è all’interno del nucleo.

Ha una struttura a doppia elica destrorsa formata da uno scheletro di zuccheri

(desossiribosio, uniti dal legame fosfato) e da delle basi complementari (a causa

dell’ingombro sterico): adenina e timina, guanina e citosina.

La doppia elica si avvolge sugli istoni andando a formare il nucelosoma;

questi si dispongono in anse, si attorcigliano e si compattano del

cromosoma, struttura di protezione durante la mitosi cellulare.

Solitamente invece, il DNA rimane sotto forma di cromtatina;

l’organizzazione e la conformazione della cromatina influenza l’accessiilità

al filamento da parte degli enzimi che regolano il processi di trascrizione:

le porzioni non avvolte vengono copiate per formare le cromatine, le zone

avvolte sono invece dette cromatina inattiva.

Gene

Il gene è la porzione di DNA che contiene le informazioni

necessarie a esprimere le proteine

La produzione di proteine, date le informazioni fornite dal

DNA, è deputata all’RNA, un acido nucleico simile al DNA, ma

nel quale lo zucchero è il ribosio e la timina è sostituita

dall’uracile. Esitono 3 tipi di RNA: messaggero (porta

l’informazione al di fuori della membrana nucleare), transfer e

ribosomiale.

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BIOTECNOLOGIE

Le biotecnologie avanzate prevedono l’udo di cellule, microrganismi, virus, elementi del genoma o enzimi

modificati in modo preterintenzionale e controllato per progettare modificazioni estese del genoma.

TECNICHE

DNA ricombinante

La tecnica del DNA ricombinante permette di creare

modificazioni geniche mediante enzimi di restrizione e ligasi; si

possono eliminare o aggiungere geni.

Spesso questa tecnica si opera sui plasmidi, molecole circolare

di DNA presente in numerosi lieviti

Trasferimento genico

APPLICAZIONE BALISTICA DI DNA:

Microsfere d’oro rivestite di DNA o

plasmidi, sparate nel tessuto

mediante una pistola e elio

compresso.

MICROINIEZIONI DI DNA: microiniezione di DNA che trasporta il gene di interesse in una cellula d’uovo

fecondata, poi trasferita in una madre surrogata; la prole esprimerà il gene di interesse.

TRASFERIMENTO DI PLASMIDE NUDO:

La porzione di DNA di interesse è tagliata e inserita in un plasmide

dotato di resistenza a un antibiotico. Per selezionare i plasmidi in cui

è avvenuta la fusione si aggiunge un batterio (a cui solo i plasmidi con

la resistenza sopravvivranno) e si controlla l’espressione genica.

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TRASFERIMENTO MEDIANTE VIRUS

• BATTERIOFAGO: virus che traferisce il suo DNA alla cellula ospitante

• RETROVIRUS: virus che fonde la propria membrana con quella cellula ospite

• ADENOVIRUS

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ORGANISMI TRANSGENICI

Organismi che contengono geni provenienti da altre specie.

In particolare i batteri transgenici sono molto usati nell’industria medica, ad esempio per produrre insulina.

Esempi di organismi transgenici: soia transgenica (resistente agli erbicidi), grano, patate, cotone (resistenti

all’attacco di insetti).

PROTEINE INGEGNERIZZATE

Per produrre proteine ingegnerizzate, si procede del seguente modo:

1. Un enzima separa le basi di una porzione di DNA.

2. Si ha la formazione di mRNA complementare, che esce dal nucleo.

3. Si ha la decodifica del mRNA e la produzione di proteine nel citoplasma.

Possono anche essere prodotte utilizzando geni sintetici per produrre specifiche sequenze amminoacidiche,

sulle quali si ha controllo delle proprietà biologiche e strutturali.

VETTORI NON VIRALI PER LA TERAPIA GENICA

Terapia genica: modificazione permanente o temporanea del patrimonio genetico di cellule e tessuti per

curare malattie genetiche o acquisite.

Requisiti:

• Il gene da curare deve essere noto

• Necessità di metodi efficaci di trasferimento genico che permettano l’espressione del gene nei

tessuti desiderati a livello terapeuticamente significativo

• Assenza di tossicità

• Espressione del gene deve essere regolabile

✓ Non esistono limiti nelle dimensioni del DNA da condensare

✓ Possibilità di effettuare modificazioni chimico – strutturali

✓ Riproducibilità ✓ Bassi costi di produzione ✓ Poco/non immunogenici

Bassa efficienza di transfezione (rispetto ai vettori virali)

BARRIERE DA SUPERARE

▪ Extracellulari: degradazione del DNA nel plasma; bassa capacità di centrare il target

▪ Intracellulari: membrana cellulare, membrana endosomiale; azione lisosomica degradativa;

passaggio citoplasmatico; membrana nucleare

Assorbimento cellulare:

a. Lipidi cationici fusione con la membrana e rilascio del contenuto all’interno di essa

b. Polimeri cationici endocitosi

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VETTORI NON VIRALI

1. LIPIDI CATIONICI LIPOPLESSI

Liposoma: molecola anfipatica

+

Pdna

=

Lipoplesso

2. POLIMERI CATIONI POLIPLESSI

polimero cationico

+

Pdna

=

Poliplesso: per interazione elettrostatica, incapsulamento,

adsorbimento.

✓ Proprietà chimico – fisiche ✓ Interazione elettrostatihe con le

membrane cellulari ✓ Passaggio citosolico favorito

Eccessiva stabilità Bassa efficienza di transfezione

Biocompatibilità dei poliplessi:

▪ Nel plasma:

o Interazione coi complessi del sangue a formare aggrefti

o Legami con altri poliplessi

o Attivazione del sistema del complemento

▪ Nella cellula:

o Diventa un polimero dopo il rilascio del DNA

o Se aumenta il peso molecolare allora aumenta la tossicità

o La struttura può esser lineare o ramificata

Poliplessi naturali:

▪ Chitosano ▪ Collagene

Poliplessi sintetici:

▪ Polietilenimina ▪ Polilisina ▪ Poliammidoammina

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