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Luigi P. M. Colombo
Annotazioni di termodinamica
compilate ad uso degli studenti dell’insegnamento di Fisica Tecnica*
* L’autore desidera sottolineare che queste brevi note sono intese unicamente come un sussidio didattico per gli
studenti, in particolare per coloro che siano in vario modo impediti a seguire le lezioni con continuità. Il carattere del
testo è, pertanto, sintetico: esso non ambisce in alcun modo a sostituire i già numerosi e validi trattati di termodinamica
presenti in letteratura, la cui consultazione è indispensabile al fine di giungere ad una conoscenza profonda della
disciplina.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Sommario
Capitolo 1 - Dove si definiscono in generale l’oggetto della termodinamica con i concetti basilari
ed in particolare i limiti della presente opera. .................................................................................... 3
§ 1. Generalità. ................................................................................................................................ 3 § 2. Dove si definisce un sistema termodinamico e si dà la nozione di equilibrio macroscopico. .. 3 § 3. Dove si discutono le trasformazioni di un sistema termodinamico e si spiega il concetto di
reversibilità. ..................................................................................................................................... 5 Capitolo 2 - Dove si discute del principio zero della termodinamica: due sistemi in equilibrio
termico con un terzo, sono in equilibrio termico fra loro. ................................................................... 7 § 1. Dove si spiega cosa si intende per equilibrio termico. ............................................................. 7 § 2. Dove si vuol dimostrare che l’enunciato del principio zero della termodinamica, sopra
esposto, equivale ad affermare che esiste una grandezza, detta temperatura, che caratterizza
l’equilibrio termico: ovvero, sistemi che hanno lo stesso valore della temperatura sono in
equilibrio termico fra loro (teorema di esistenza della temperatura) ............................................. 7
§ 3. Dove si spiega come si misura la temperatura empirica .......................................................... 8
§ 4. Dove si illustra l’equazione di stato per una sostanza pura nella forma f(p,v,)=0 e si
definiscono da essa i coefficienti elastici, ragionando sulla loro utilità. ........................................ 9
Capitolo 3 - Dove si discute del primo principio della termodinamica: in ogni stato di equilibrio di
un sistema termodinamico si può definire una funzione delle sole variabili di stato, detta energia
interna, le cui variazioni corrispondono a flussi energetici scambiati fra il sistema e l’ambiente
attraverso il contorno......................................................................................................................... 11
§ 1. Dove si tratta dell’esistenza dell’energia interna. .................................................................. 11 § 2. Dove si interpretano le interazioni fra il sistema e l’ambiente come dovute a flussi energetici
attraverso il contorno..................................................................................................................... 11 § 3. Dove si considera la formulazione differenziale del primo principio della termodinamica .. 12
§ 4. Dove si indaga sull’esistenza di un fattore integrante per Q0 limitatamente ai sistemi
termodinamici caratterizzati da due variabili indipendenti. ......................................................... 13 § 5. Dove si mostra che il termine (U/S)V rappresenta la temperatura termodinamica assoluta e
si definisce la scala Kelvin. ............................................................................................................ 15 § 6. Dove si riassumono le proprietà finora riconosciute della grandezza S e si inizia a
delinearne il legame con la reversibilità di un processo ............................................................... 16 Capitolo 4. - Dove si propongono le varie rappresentazioni degli stati di equilibrio di una sostanza
pura e delle sue trasformazioni quasistatiche.................................................................................... 17 § 1. Dove si considera l’equazione fondamentale nella rappresentazione energetica. ................. 17 § 2. Dove si introducono i potenziali termodinamici mediante la trasformazione di Légendre e se
ne deducono le equazioni di stato, i coefficienti termodinamici e le relazioni di Maxwell. .......... 19 § 3. Dove si illustrano i metodi di espressione di una generica grandezza termodinamica in
funzione delle grandezze più facilmente misurabili. ...................................................................... 20 § 4. Dove si riportano le relazioni fra le grandezze di stato nelle rappresentazioni più consuete,
denominate piani termodinamici. .................................................................................................. 22
Capitolo 5. - Dove si discute del secondo principio della termodinamica, estendendo poi la
descrizione degli stati di equilibrio e delle trasformazioni quasistatiche ai sistemi con un numero
qualsivoglia di variabili indipendenti. ............................................................................................... 24 § 1. Dove si dimostra l’equivalenza degli enunciati classici del secondo principio della
termodinamica. .............................................................................................................................. 24 § 2. Dove si enuncia il postulato di Carathéodory e si mostra la sua equivalenza con le
formulazioni classiche del secondo principio della termodinamica. ............................................. 25 § 3. Dove si estendono le proprietà riconosciute dell’entropia, individuando una nuova
formulazione del secondo principio della termodinamica. ............................................................ 26 § 4. Dove si discutono le condizioni per l’equilibrio di un sistema termodinamico...................... 28
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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§ 5. Dove si esemplifica l’applicazione delle condizioni di equilibrio. ......................................... 29
§ 6. Dove si formulano in modo alternativo le condizioni di equilibrio mediante i potenziali
termodinamici. ............................................................................................................................... 31 § 7. Dove si discutono le implicazioni legate alla condizione di stabilità dell’equilibrio d2S<0. . 31
Capitolo 6. - Dove si estende il formalismo della termodinamica degli stati di equilibrio ai sistemi
eterogenei e si tratta in modo particolare delle transizioni di fase del primo ordine. ...................... 34 § 1. Dove si applicano le condizioni di equilibrio ad un sistema eterogeneo semplificato e si
deduce la cosiddetta regola delle fasi o di Gibbs. ......................................................................... 34 § 2. Dove si descrivono le transizioni di fase del primo ordine per una sostanza pura. ............... 35
§ 3. Dove si dà una rappresentazione della curva di coesistenza delle fasi, nota come relazione di
Clapeyron-Clausius. ...................................................................................................................... 36 § 4. Dove si considerano gli stati trifase di una sostanza pura. .................................................... 37 § 5. Dove si tratta del punto critico. .............................................................................................. 37
Capitolo 7. Dove si trattano alcuni argomenti di rilievo della termodinamica applicata, ossia i
cosiddetti bilanci macroscopici dei sistemi fluenti ed alcune nozioni fondamentali di energetica. .. 39
§ 1. Dove si introduce il concetto di sistema fluente e si formulano le ipotesi che consentono di
estendere le leggi della termodinamica alla descrizione di un tale sistema. ................................. 39 § 2. Dove si tratta del bilancio della massa. .................................................................................. 40 § 3. Dove si tratta del bilancio dell’energia. ................................................................................. 42 § 4. Dove si tratta del bilancio dell’entropia. ................................................................................ 44
§ 5. Dove si espongono alcune nozioni fondamentali di energetica. ............................................. 46 § 6. Dove si illustra la rappresentazione di stati e processi dei sistemi energetici nel piano (U,S).
........................................................................................................................................................ 49
Bibliografia didattica essenziale ....................................................................................................... 51
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Capitolo 1.
Dove si definiscono in generale l’oggetto della termodinamica con i concetti basilari ed in
particolare i limiti della presente opera.
In questo capitolo si dà la definizione di sistema termodinamico e si discute la nozione di equilibrio,
introducendo i concetti di trasformazione quasistatica, reversibile ed irreversibile. Si danno poi tutte
le nozioni di base per proseguire nello studio della materia e delle sue applicazioni tecniche.
§ 1.
Generalità.
Vi sono molte definizioni sintetiche che autorevoli studiosi hanno dato della termodinamica. Come
ci si può attendere esse sono tutte corrette in generale, ma ognuna è criticabile sotto un aspetto
particolare: ad esempio, per lo scopo che si prefigge un corso di termodinamica per allievi
ingegneri, si può convenire con M.M. Abbott e H.C. Van Ness che “La termodinamica studia
l’energia e le sue trasformazioni. Le leggi della termodinamica sono delle restrizioni di carattere
generale che la natura impone a tali trasformazioni. Queste leggi […] sono degli enunciati
primitivi.”*. Questa definizione, però, non fa cenno alcuno ad un carattere fondamentale delle
grandezze fisiche impiegate in termodinamica, ovvero, riportando quanto scrive M.W. Zemansky,
“Queste quantità si riferiscono alle caratteristiche globali del sistema, cioè alle sue proprietà su
grande scala, e ne forniscono una descrizione macroscopica; per questo si chiamano coordinate
macroscopiche […] tutte le coordinate macroscopiche hanno le seguenti caratteristiche comuni: 1.
Non implicano ipotesi particolari sulla struttura della materia. 2. Servono solo poche coordinate per
una descrizione macroscopica. 3. Le coordinate macroscopiche sono suggerite, più o meno
direttamente, dai nostri sensi. 4. Esse possono, in generale, essere misurate direttamente […] Qui
appunto sta un’importante differenza fra il punto di vista macroscopico e quello microscopico. Le
poche proprietà macroscopiche (e misurabili) sono fondate sui nostri sensi e rimarranno le stesse,
finché non cambieranno i nostri sensi.”†. D’altra parte, il legame fra descrizione macroscopica e
microscopica è ben delineato da H. Callen, che afferma “La termodinamica è lo studio degli effetti
prodotti da miriadi di coordinate atomiche che, a causa delle medie statistiche, non compaiono
esplicitamente nella descrizione macroscopica…”‡.
In conclusione, l’autore di queste note si sente di condividere l’opinione di B. Finzi, illustre
scienziato, già docente e rettore del Politecnico di Milano, che, da una parte, sia “saggia norma
diffidare delle definizioni che si trovano in testa ai libri” e, dall’altra, sia “buona definizione non
quella esatta, ma soltanto quella che permette, in un modo qualunque, di capire.Ӥ.
§ 2.
Dove si definisce un sistema termodinamico e si dà la nozione di equilibrio macroscopico.
L’oggetto astratto di cui la termodinamica può fornire una descrizione analitica è chiamato sistema
termodinamico: si tratta, in pratica, di una porzione di materia, delimitata da un contorno, che
distingue il sistema dall’esterno, che è dunque a sua volta, in base alla definizione appena data, un
sistema termodinamico, che si suol dire però ambiente. Il sistema e l’ambiente costituiscono
insieme un sistema termodinamico (composto) detto universo. Nel seguito, per non appesantire il
discorso, si lascerà talora cadere l’aggettivo termodinamico. Da quanto si è detto nel paragrafo
precedente, occorre però specificare quali siano le dimensioni del sistema, che consentano una
trattazione macroscopica, ossia come si possa stabilire oggettivamente, se la porzione di materia
* tratto da: M.M. Abbott e H.C. Van Ness, “Termodinamica”, McGraw Hill, 1989. † tratto da: M.W. Zemansky, “Calore e termodinamica”, Zanichelli, 1970. ‡ tratto da: H. Callen , “Termodinamica”, Tamburini Ed., 1972. § tratto da: B. Finzi, “Meccanica razionale”, Zanichelli, Bologna, 1991.
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considerata contenga un numero abbastanza elevato di costituenti elementari, da assicurare la
significatività delle medie statistiche su cui sono fondate le grandezze macroscopiche. A tal fine si
definisce limite termodinamico la condizione per cui il numero dei componenti microscopici ed il
volume del sistema tendono all’infinito, mantenendosi però finito il loro rapporto; in caso contrario
il punto di vista macroscopico non è più giustificato e si deve ricorrere alla meccanica statistica per
descrivere il comportamento del sistema.
Il contorno che delimita il sistema è un ente di importanza non secondaria, sia in quanto distingue il
sistema dall’ambiente, sia poiché dalla sua natura scaturiscono le possibili interazioni fra i due.
Occorre inoltre precisare che esso può essere una superficie reale (di una parete materiale) od
immaginaria ed è usuale definire massa di controllo la porzione di materia racchiusa dal contorno.
Si presenta nel seguito una possibile classificazione di sistemi e contorni, avvertendo il lettore che
non vi è un pieno accordo sulla nomenclatura fra i vari autori, forse in quanto, per fortuna, possibili
confusioni a questo livello sono rare e facilmente superabili.
Una porzione di materia chimicamente e fisicamente omogenea ed isotropa, che abbia le
caratteristiche sopra discusse, si chiama sistema termodinamico semplice. E’ bene precisare che il
termine omogeneo significa che le proprietà termodinamiche non variano localmente; un sistema
non omogeneo si dice eterogeneo. Il termine isotropo si riferisce all’invarianza delle proprietà
rispetto alla direzione. L’unione di sistemi semplici dà luogo ad un sistema composto di cui essi
sono detti sottosistemi.
Si dice invece semplificato un qualunque sistema che non sia soggetto a campi di forze di massa
(gravitazionale, elettrica, magnetica) o di superficie (tensione superficiale) e che sia chimicamente
inerte (assenza di reazioni chimiche). La letteratura anglosassone ama riferirsi ad un sistema
semplice semplificato con il termine di sostanza pura (pure substance): questo particolare sistema
riveste un’importanza particolare, poiché costituisce una base di studio per qualsiasi altro; esso può
essere delimitato da un contorno rigido (o fisso) oppure deformabile (o mobile), permeabile alla
massa oppure impermeabile, conduttore (o diatermico, diatermano) oppure isolante (o adiabatico)
rispetto ad un’interazione termica con l’ambiente: il significato di queste ultime due caratteristiche
sarà precisato con maggior rigore nel capitolo 2.
E’ pura constatazione sperimentale che un sistema termodinamico può essere descritto mediante un
certo numero di grandezze macroscopiche, ovvero riferibili ad esso nel suo complesso: gli esempi
più intuitivi sono il volume, la pressione, la temperatura. E’ altrettanto evidente dall’esperienza che
il sistema può trovarsi in particolari condizioni, contraddistinte dall’invarianza spazio-temporale di
tali grandezze: si parla, in questi casi, di stati di equilibrio (macroscopico) del sistema. Uno stato di
equilibrio è dunque caratterizzato, specificando i valori assunti delle grandezze termodinamiche.
Queste possono essere classificate in due categorie: grandezze estensive e grandezze intensive. Le
prime sono proporzionali all’estensione del sistema, a parità di ogni altra condizione, e godono in
conseguenza della proprietà di additività; è uso comune indicarle con lettera maiuscola: si pensi, ad
esempio, all’unione di due sistemi semplici aventi, rispettivamente, volumi V1 e V2; ne risulta un
sistema composto di volume V=V1+V2. La massa e il numero di moli costituiscono un altro
esempio intuitivo di grandezze estensive. Il rapporto fra due grandezze estensive prende il nome di
grandezza specifica; spesso è utile, per semplicità formale, considerare grandezze specifiche alla
massa (massiche) o al numero di moli (molari), usualmente indicate con lettera minuscola. Le
grandezze non estensive (né, quindi, specifiche) si dicono intensive e non godono della proprietà di
additività; pressione e temperatura appartengono a questa categoria; infatti, se i due sistemi semplici
dell’esempio precedente hanno la medesima pressione, il sistema composto che risulta dalla loro
unione ha la stessa pressione dei due sottosistemi e non la somma delle pressioni.
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§ 3.
Dove si discutono le trasformazioni di un sistema termodinamico e si spiega il concetto di
reversibilità.
Un sistema termodinamico in un certo stato di equilibrio può mutare tale stato nel caso in cui siano
modificate le proprietà del contorno che lo delimita: per esempio una parete fissa che diviene
mobile, come nel caso di uno stantuffo a seguito della rimozione di un perno agente da sicura. La
perturbazione dell’equilibrio consiste dunque nella rimozione di vincoli, espressi dalle
caratteristiche del contorno, all’interazione del sistema con l’ambiente: è postulato dall’esperienza
che il sistema raggiunga, a seguito di ciò un nuovo stato di equilibrio, compatibile con i vincoli
rimasti. In generale, l’evoluzione verso questo stato di equilibrio non può essere descritta mediante
le grandezze termodinamiche, le quali sono definite solo all’equilibrio. Si può, tuttavia, pensare che
la rimozione dei vincoli avvenga in maniera così graduale da consistere in una serie di perturbazioni
infinitesimali dello stato di equilibrio (ovvero delle grandezze che lo descrivono); in tal caso
l’evoluzione del sistema prende il nome di trasformazione quasistatica, consistente appunto in una
successione di stati di equilibrio. L’evoluzione reale di un sistema può essere tanto meglio
approssimata con il modello della trasformazione quasistatica quanto più la sua durata è superiore al
tempo di propagazione attraverso il sistema delle perturbazioni delle grandezze termodinamiche. Un
esempio può chiarire il significato di questa affermazione: si consideri una certa massa d’aria
(sistema semplice semplificato) contenuta in un cilindro (parete impermeabile fissa) provvisto di
stantuffo (parete impermeabile mobile); cambiando la posizione di quest’ultimo, si può variare la
pressione dell’aria, ossia la pressione nello stato di equilibrio finale è diversa dalla pressione nello
stato di equilibrio iniziale. Durante il processo, a rigore, la pressione dell’aria non è definita, poiché
la compressione non è uniforme; infatti essa procede a partire dal gas che si trova in prossimità
della superficie interna dello stantuffo. La velocità con cui si propaga una perturbazione di
pressione nell’aria è determinabile, prende il nome di velocità del suono e si indica con la lettera c;
dunque, se il cilindro ha altezza H, il tempo richiesto affinché la perturbazione iniziale interessi
tutta l’aria ivi contenuta è pari a =H /c. Detto t il tempo richiesto per spostare lo stantuffo, quanto
meglio si verifica la condizione t >>, tanto meno approssimativa è l’ipotesi che la perturbazione
della pressione sia istantanea, ovvero che questa grandezza sia uniforme in ogni istante nel sistema.
L’esempio proposto è più significativo, se corredato di dati numerici: assumendo quindi H=0.1 m
(all’incirca l’altezza di un cilindro automobilistico) e c=340 m/s (valore approssimato della velocità
del suono nell’aria), si ottiene =1/3400 s; se il cilindro considerato appartenesse ad un motore
d’automobile in rotazione a 4000 giri/min, il tempo di spostamento dello stantuffo in una discesa o
in una salita sarebbe pari a t =3/400 s; dunque l’essere t/ =25.5 non rende inverosimile
l’approssimazione della compressione e dell’espansione del gas nel cilindro con una trasformazione
quasistatica.
Una trasformazione quasistatica è invertibile nel senso che si può pensare che il sistema torni nello
stato iniziale, percorrendo in senso inverso la successione degli stati di equilibrio. E’ bene
sottolineare che invertibile è dunque un sinonimo di quasistatica, ma non è un sinonimo di
reversibile, termine con il quale si designa una caratteristica affatto ideale delle trasformazioni, di
grande importanza nella termodinamica tecnica. Per chiarire questo concetto è opportuno riferirsi ad
un processo, inteso come il complesso delle trasformazioni compiute dal sistema e dall’ambiente. Il
processo è reversibile se sussistono le seguenti condizioni: 1) tutte le trasformazioni sono
quasistatiche; 2) il sistema e l’ambiente sono in mutuo equilibrio. Se non è soddisfatta la prima
condizione, si dice che vi è irreversibilità interna (ai sistemi); se non si verifica la seconda, si parla
di irreversibilità esterna (ai sistemi). Un esempio aiuta a meglio comprendere questo concetto: si
consideri il solito gas contenuto in un cilindro con stantuffo; l’ambiente sia l’atmosfera. La presenza
di un fermo permette che la pressione del gas sia superiore a quella dell’atmosfera. La rimozione
del fermo provoca il movimento dello stantuffo dovuto all’espansione del gas, che procede finché la
sua pressione non eguaglia quella atmosferica. Non c’è modo che lo stantuffo torni spontaneamente
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nella posizione iniziale, dunque la trasformazione è irreversibile. Infatti, anche ipotizzando che il
gas e l’atmosfera evolvano secondo trasformazioni quasistatiche, il mutuo equilibrio viene
raggiunto solo al termine del processo: rimosso il fermo, non sussiste più equilibrio nel sistema
composto (universo).
L’osservazione sperimentale mostra che tutte le trasformazioni reali sono irreversibili. Preme
sottolineare che l’origine dell’irreversibilità di una trasformazione è sempre individuabile
nell’assenza di equilibrio o internamente al sistema o esternamente ad esso; pertanto, affinché una
trasformazione sia reversibile, è condizione necessaria che essa sia quasistatica, ma ciò non è anche
condizione sufficiente; occorre infatti che l’universo (sistema+ambiente) compia una
trasformazione quasistatica. Si segnala, infine, che è uso comune riferirsi ad una trasformazione
quasistatica con l’attributo di endoreversibile o internamente reversibile.
La reversibilità, benché sia un concetto astratto, è di grande utilità, poiché permette di valutare i
limiti termodinamici insuperabili dei processi tecnologici; lo studio delle condizioni di reversibilità
rappresenta, quindi, uno strumento importantissimo di progetto e di innovazione tecnologica.
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Capitolo 2.
Dove si discute del principio zero della termodinamica: due sistemi in equilibrio termico con un
terzo, sono in equilibrio termico fra loro.
In questo capitolo si mostra come il principio zero della termodinamica equivalga alla definizione
della temperatura ed implichi l’esistenza di un’equazione di stato.
§ 1.
Dove si spiega cosa si intende per equilibrio termico.
Lo stato di equilibrio termodinamico di un sistema è usualmente definito specificando i valori di un
piccolo numero di variabili, assunte perciò come variabili indipendenti. Un metodo generale per
determinare il numero di queste variabili, sarà esposto in seguito: ora si sposta l’attenzione
sull’esistenza di legami fra le grandezze termodinamiche, che permettono di desumere i valori di
una variabile dipendente da quelli delle variabili assunte come indipendenti; tali relazioni prendono
il nome di equazioni di stato. Nel seguito si considerano per semplicità sistemi in cui le variabili
indipendenti siano soltanto due, ma ciò non lede la generalità della trattazione, che si estende
immediatamente ad un numero qualsiasi di variabili. Lo stato di equilibrio termodinamico di un
sistema è contraddistinto dalla costanza dei valori delle variabili di stato e quindi, in particolare,
delle variabili indipendenti. L’assioma sopra enunciato è desunto dalle osservazioni sperimentali;
per semplicità si possono considerare due sistemi semplici, isolati dal resto dell’universo e separati
fra loro da pareti rigide ed impermeabili alla massa. Siano (X,Y) e (X’,Y’), rispettivamente, le
coppie di variabili indipendenti che descrivono lo stato termodinamico dei due sistemi. Secondo
l’esperienza, possono darsi due casi: nel primo, è possibile fissare arbitrariamente i valori di
ciascuna coppia (X,Y) e (X’,Y’), cosicché i due sistemi si trovino in uno dei loro possibili stati di
equilibrio, indipendentemente l’uno dall’altro; in tal caso, le pareti che li separano sono dette
adiabatiche; nel secondo caso, invece, sono possibili solo alcune coppie di valori (X,Y) e (X’,Y’):
gli stati di equilibrio di un sistema sono vincolati a quelli dell’altro; in questo caso le pareti che
separano i sistemi sono dette diabatiche (o diatermiche o diatermane o conduttrici) e le coppie
possibili (X,Y) e (X’,Y’) definiscono stati di equilibrio termico.
§ 2.
Dove si vuol dimostrare che l’enunciato del principio zero della termodinamica, sopra esposto,
equivale ad affermare che esiste una grandezza, detta temperatura, che caratterizza l’equilibrio
termico: ovvero, sistemi che hanno lo stesso valore della temperatura sono in equilibrio termico
fra loro (teorema di esistenza della temperatura).
Consideriamo allora tre sistemi A, B e C, i cui stati di equilibrio sono caratterizzati rispettivamente
dalle coppie di variabili indipendenti (X,Y), (X’,Y’), (X”,Y”). Se A e C sono in equilibrio termico
fra loro, deve esistere una relazione fra le loro variabili indipendenti, del tipo
fAC(X,Y; X”,Y”)= 0
Se B e C sono in equilibrio termico fra loro, deve esistere una relazione fra le loro variabili
indipendenti, del tipo
fBC(X’,Y’; X”,Y”)= 0
in generale diversa da fAC. Si supponga di esplicitare da entrambe le relazioni Y”:
Y”=gAC(X,Y,X”)
Y”=gBC(X’,Y’,X”)
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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per cui dev’essere
gAC(X,Y,X”)= gBC(X’,Y’,X”)
Questa relazione esprime un legame fra le variabili indipendenti di A e di B; D’altra parte, in base
al principio zero, A e B devono essere in equilibrio termico fra loro, per cui fra le loro variabili
indipendenti sussiste una relazione
fAB(X,Y; X’,Y’)= 0
che deve essere concorde con la precedente. Affinché ciò avvenga, è necessario che
gAC=hA(X,Y)kC(X”)
gBC=hB(X’,Y’)kC(X”)
per cui l’equilibrio di A e B con C è descritto dall’uguaglianza delle due funzioni hA(X,Y) e
hB(X’,Y’).
Ragionando ora in modo del tutto analogo, ma assumendo l’equilibrio fra le coppie di sistemi A, B
e C, B, si perviene all’uguaglianza fra le funzioni hA(X,Y) e hC(X”,Y”). Si è quindi mostrato che, in
virtù del principio zero della termodinamica, esiste una funzione delle sole coordinate di ogni
singolo sistema termodinamico, il cui valore è lo stesso per tutti i sistemi che sono in equilibrio
termico fra loro. A tale funzione si dà il nome di temperatura empirica. L’esperienza conferma che,
se due sistemi aventi differente temperatura sono posti in contatto attraverso una parete conduttrice,
essi evolvono fino all’equilibrio termico: questo tipo di interazione, sconosciuta alla meccanica,
prende il nome di scambio termico.
§ 3.
Dove si spiega come si misura la temperatura empirica.
E’ ovvio che la temperatura empirica è tale proprio perché misurabile. Quelle tra le variabili di stato
che possono essere misurate con maggiore semplicità ed accuratezza, si prestano ad essere
considerate grandezze termometriche, ovvero dalla loro misura si trae quella della temperatura
empirica. Il sistema di cui si rilevano i valori di una grandezza termometrica è detto in generale
termoscopio e, quando lo si doti di una scala in unità di temperatura, cioè si operi la conversione
dalla proprietà termometrica alla temperatura empirica (taratura), si fa di esso un termometro.
Segue ora un modello di costruzione di una scala di temperatura empirica, assumendo per
semplicità, che questa vari proporzionalmente alla grandezza termometrica e che siano nulle o
trascurabili le variazioni di tutte le altre proprietà termodinamiche: tale circostanza è, per esempio,
verificata con sufficiente accuratezza, se il sistema è un fluido e la proprietà termometrica la sua
dilatazione termica entro piccole variazioni della temperatura.
Detta X la grandezza termometrica, si ha, dunque, (X)=cX, dove c è una costante arbitraria, la cui
determinazione consente la taratura del termometro. A tal fine occorre scegliere un sistema
campione di riferimento per la misura delle temperature, i cui stati termodinamici siano facilmente
ed universalmente riproducibili.
Le scale di temperatura comunemente impiegate (Celsius e Fahrenheit) sono basate
sull’individuazione di c mediante due punti fissi: ovvero si impiegano due sistemi campione, in
particolare il ghiaccio puro in equilibrio con aria umida satura (che ha cioè il massimo contenuto
d’acqua nelle presenti condizioni) alla pressione di 101325 Pa (1 atm) e il vapor d’acqua puro alla
pressione di 101325 Pa (1 atm). Ponendo il termoscopio a contatto con i campioni ed attendendo
che si stabilisca l’equilibrio si ha rispettivamente (X1)=cX1 e (X2)=cX2, da cui è immediato
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ricavare c=[(X1)-(X2)]/(X1-X2). Non resta ora che stabilire arbitrariamente i valori dell’intervallo
fra le temperature campione e delle temperature campione stesse: assumendo, per esempio,
(X1)-(X2)=100 u.t. (unità termiche) e (X1)=0 ,(X2)=100 u.t., si definisce la scala di temperatura
secondo Celsius e si conviene che 1 u.t.=1°C.
La scala di temperatura Kelvin, assunta dal Sistema Internazionale, prescrive l’individuazione di c
mediante un solo punto fisso: in questo caso il sistema campione è l’acqua allo stato triplo, ove
coesistono in equilibrio solido, liquido e vapore; l’acqua ha in realtà diversi stati tripli, ma il più
facilmente riproducibile è quello corrispondente alla temperatura di 0.01°C ed alla pressione di
611.657 Pa. Detto Xt il valore della proprietà termometrica al punto triplo, si ha (Xt)= cXt=
=273.16 K.
§ 4.
Dove si illustra l’equazione di stato per una sostanza pura nella forma f(p,v,)=0 e si definiscono
da essa i coefficienti elastici, ragionando sulla loro utilità.
Gli esperimenti mostrano che il numero di variabili indipendenti utili a caratterizzare lo stato
termodinamico di una sostanza pura (sistema semplice, semplificato, monocomponente) di massa
costante è pari a due. Siano quindi X, Y, Z tre grandezze di stato intensive o estensive specifiche:
l’osservazione sopra riportata implica l’esistenza di una relazione del tipo f(X,Y,Z)=0, che permette
di determinare i valori di una delle variabili, in funzione delle altre due. Le grandezze di stato di un
sistema semplice monocomponente sono d’altra parte più di tre e quindi esistono diverse equazioni
di stato; tuttavia, una scelta comune per X, Y e Z verte sulla pressione (p), sul volume molare (v) e
sulla temperatura (), in quanto grandezze generalmente accessibili mediante procedure di misura
sufficientemente semplici ed accurate. Se la f(p,v,) è nota, essa può esplicitarsi indifferentemente
come p=p(v,), v=v(p,) o =(p,v).
L’esempio più noto di equazione di stato riguarda i gas ideali: pv=RT, dove T è la temperatura
Kelvin e R=8.314 J/(mol K), non è altro che T=T(p,v) per un particolare sistema semplice,
semplificato, monocomponente, detto gas ideale.
Non per tutti i sistemi è però possibile desumere dall’esperienza leggi semplici come quella che
vale per il gas ideale; ciò nonostante, l’analisi formale delle espressioni esplicite dell’equazione di
stato permette di individuare grandezze misurabili, la cui conoscenza equivale a quella
dell’equazione stessa. Infatti, si consideri l’equazione di stato nella forma esplicita
v=v(p,)
L’esperienza suggerisce che tale funzione è regolare; pertanto, il suo differenziale totale è
dv =(v/p) dp +(v/)p d (*)
dove (v/p)=f(p,) e (v/)p=g(p,)
Queste derivate parziali possono essere misurate in esperimenti in cui si misuri la variazione del
volume, conseguente ad una piccolissima variazione di una delle due variabili indipendenti (p e ),
mantenendo l’altra costante; inoltre gli esperimenti mostrano che (v/p)<0 e (v/)p>0.
Si ponga ora
= –(v/p)/v (>0)
* data la funzione z=z(x,y), la scrittura (z/x)y significa: derivata parziale prima di z, rispetto a x, a y costante; così
(z/xx)y significa: derivata parziale seconda di z, rispetto a x, a y costante; mentre (z/xy) e (z/yx) rappresentano le
derivate parziali miste di z.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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le cui dimensioni sono l’inverso di quelle della pressione; se moltiplichiamo per cento questo
coefficiente, otteniamo la variazione percentuale del volume conseguente alla variazione della
pressione a temperatura costante, ciò che giustifica il nome di coefficiente di comprimibilità
isoterma.
Analogamente si definisca
=(v/)p/v
le cui dimensioni sono l’inverso di quelle di una temperatura; se moltiplichiamo per cento questo
coefficiente, otteniamo la variazione percentuale del volume conseguente alla variazione della
temperatura a pressione costante, per cui esso viene detto coefficiente di dilatazione isobara.
e prendono insieme il nome di coefficienti elastici.
Il differenziale della v=v(p,) può dunque essere riscritto come
dv =v dp +v d
ne segue che la conoscenza dei coefficienti elastici permette di integrare l’espressione differenziale
esatta e di risalire alla v=v(p,) a meno di una costante.
Alla stessa maniera si possono ottenere i differenziali totali dell’equazione di stato nelle altre forme
esplicite, di seguito elencati:
dp=(p/v) dv +(p/)v d= –dv/(v) +(/ )d
che, integrato, porge p=p(v,)
d=(/p)v dp +(/v)p dv= (/)dp +dv/(v)
che, integrato, porge =(p,v).
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Capitolo 3.
Dove si discute del primo principio della termodinamica: in ogni stato di equilibrio di un sistema
termodinamico si può definire una funzione delle sole variabili di stato, detta energia interna, le
cui variazioni corrispondono a flussi energetici scambiati fra il sistema e l’ambiente attraverso il
contorno.
§ 1.
Dove si tratta dell’esistenza dell’energia interna.
La termodinamica estende la nozione di energia che origina dalla meccanica, fondandosi
sull’osservazione sperimentale che il teorema di conservazione dell’energia meccanica totale non ha
validità generale. L’energia interna, funzione delle variabili che descrivono lo stato termodinamico,
viene così introdotta accanto alle energie meccaniche, postulando la conservazione dell’energia
totale dell’universo.
Un esperimento probatorio tra i più significativi è noto dal nome dell’apparato sperimentale, detto
mulinello di Joule, che viene nel seguito descritto in via di principio.
In un recipiente le cui pareti siano fisse, impermeabili ed adiabatiche è contenuto un liquido
(sistema termodinamico oggetto dell’osservazione) in quiete (stato di equilibrio iniziale). Mediante
un dispositivo dotato di pale (mulinello) azionato dalla caduta di un grave si compie del lavoro
meccanico, misurabile dalla variazione di energia potenziale del grave. Siano M la massa del grave,
g l’accelerazione di gravità e H la differenza fra la quota iniziale e quella finale del baricentro del
grave: una volta che il liquido è tornato in quiete, al termine dell’agitazione (stato di equilibrio
finale), il lavoro compiuto su di esso è dunque L=MgH. D’altra parte non è variata l’energia
meccanica totale del liquido, in quanto né l’energia cinetica, né l’energia potenziale del suo
baricentro sono mutate: in base al teorema di conservazione dell’energia meccanica totale, il lavoro
compiuto sul liquido dovrebbe essere nullo, ciò che contrasta palesemente con l’esperienza.
D’altronde, mediante un termometro è possibile rilevare un incremento della temperatura del
liquido a seguito del processo di mescolamento, segno che il sistema ha mutato il proprio stato
termodinamico, senza che nulla sia cambiato nello stato meccanico.
Si è dunque nella necessità di postulare l’esistenza di una grandezza che sia funzione del solo stato
termodinamico, la cui variazione corrisponda al lavoro scambiato attraverso il contorno: essa viene
pertanto detta energia (in analogia alla definizione meccanica dell’energia) interna (poiché funzione
dello stato interno, ossia termodinamico) del sistema e sarà nel seguito designata con la lettera U.
L’esperimento discusso viene quindi descritto mediante la relazione U=L, se si assume positivo il
lavoro entrante nel sistema. Poiché inoltre il lavoro L richiesto a produrre una data variazione di
temperatura risulta tanto maggiore, quanto maggiore è la massa del liquido, si deduce che U è una
grandezza estensiva: la lettera u designerà quindi l’energia interna molare.
§ 2.
Dove si interpretano le interazioni fra il sistema e l’ambiente come dovute a flussi energetici
attraverso il contorno.
Volgendo ancora l’attenzione al liquido dell’esperimento di Joule, è altresì evidente che la
medesima variazione dello stato termodinamico (riscaldamento del liquido) si sarebbe potuta
ottenere impedendo interazioni meccaniche (pareti fisse, assenza di mulinello), ma permettendo
interazioni termiche (pareti conduttrici). In tal caso la variazione dell’energia interna viene detta
calore, indicato con la lettera Q e risulta U=Q, se si assume positivo il calore entrante nel sistema.
L’importanza storica dell’esperienza di Joule risiede principalmente nella dimostrazione
dell’equivalenza tra lavoro e calore, che, di fatto, prova l’esistenza dell’energia interna e ne
interpreta le variazioni come dovute a flussi energetici attraverso il contorno del sistema.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Per una generica trasformazione di un sistema delimitato da pareti impermeabili di qualunque tipo
si avrà U=Q+L, relazione che è tradizionalmente identificata con l’espressione matematica del
primo principio della termodinamica.
Se le pareti sono permeabili ci si deve attendere una variazione dell’energia interna dovuta al
trasferimento di massa attraverso il contorno; infatti l’energia è una grandezza estensiva.
Chiamando Z l’energia scambiata in questo tipo di interazione con l’ambiente, talora detta azione di
massa, si avrà U=Q+L+Z.
Se poi cambiasse anche lo stato meccanico del sistema, alla variazione dell’energia interna si
dovrebbero aggiungere quelle dell’energia cinetica (Ec) e potenziale (Ep). All’espressione
risultante
U +Ec +Ep =Q +L +Z
si dà spesso il nome di bilancio energetico.
E’ importante notare la struttura della formulazione matematica del primo principio della
termodinamica: al primo membro figura la variazione di una proprietà intrinseca del sistema,
ovvero funzione delle sole variabili che descrivono lo stato termodinamico del sistema; ogni tipo di
interazione fra il sistema e l’ambiente è rappresentata mediante un termine al secondo membro: esso
descrive una quantità di energia che passa dal sistema all’ambiente o viceversa, secondo le modalità
proprie di ogni interazione e non può quindi essere una grandezza intrinseca del sistema e neppure
dell’ambiente. In conclusione si può pure affermare che l’espressione matematica del primo
principio della termodinamica rappresenta un bilancio, il cui saldo è rappresentato dal primo
membro, mentre al secondo figurano i flussi di cassa ed il bene scambiato è l’energia.
§ 3.
Dove si considera la formulazione differenziale del primo principio della termodinamica.
L’esperienza mostra che, quando l’equilibrio di un sistema termodinamico viene perturbato
rimuovendo uno o più vincoli, esso evolve verso un nuovo stato di equilibrio, compatibile con i
vincoli rimasti; durante questa evoluzione il sistema non è generalmente in equilibrio, ovvero le
grandezze di stato non sono definite. Tuttavia, con un certo sforzo di immaginazione si possono,
come si è detto nel capitolo 1, concepire trasformazioni costituite da successioni di stati di
equilibrio, cui si dà l’attributo di quasistatiche: esse non costituiscono astrazioni fini a se stesse, ma
si prestano in molti casi ad approssimare con sufficiente accuratezza l’evoluzione di molti sistemi
termodinamici di interesse tecnico. In questo caso è possibile formulare il primo principio della
termodinamica in termini differenziali: ciò è molto utile in quanto consente di individuare relazioni
fra le variabili di stato, che descrivono le trasformazioni quasistatiche, ossia permettono di seguire
la “storia” del sistema. In particolare, la relazione finita U=Q+L+Z si scrive, in forma differenziale
dU =Q0 +L0 +Z0
dove dU rappresenta il differenziale totale della funzione di stato U, mentre il pedice “0”
attribuito alle grandezze al secondo membro indica che esse sono quantità infinitesime, non
potendosi per esse usare la notazione differenziale, poiché non si tratta, come si è detto al paragrafo
precedente, di funzioni di stato, ma di grandezze dipendenti dalla modalità di interazione del
sistema con l’ambiente e quindi dalla “storia” del sistema. I termini al secondo membro, pertanto,
sono suscettibili di essere descritti mediante le variazioni delle grandezze di stato, qualora, è bene
ribadirlo, l’evoluzione del sistema sia quasistatica; l’analisi di alcuni esempi è utile a trarre una
generalizzazione. Si consideri un sistema semplificato, in quiete, delimitato da pareti impermeabili,
adiabatiche e mobili: l’unica interazione possibile con l’ambiente è rappresentata dallo scambio di
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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lavoro meccanico dovuto all’azione della pressione; in questo caso il lavoro (infinitesimo)
scambiato nell’evoluzione fra due stati di equilibrio arbitrariamente prossimi è
L0 = p dV
dove p è la pressione (grandezza intensiva) e dV è il differenziale (esatto) del volume del sistema
(grandezza estensiva). Si supponga ora che il sistema, sempre in quiete, sia delimitato da pareti
permeabili, adiabatiche e fisse: l’unica interazione possibile con l’ambiente è rappresentata
dall’interazione di massa dovuta al potenziale chimico; l’energia scambiata nell’evoluzione fra due
stati di equilibrio arbitrariamente prossimi è
Z0 =i dNi
dove i (grandezza intensiva) è il potenziale chimico del componente i-esimo e dNi è il differenziale
(esatto) del numero di moli del sistema (grandezza estensiva). Rimuovendo l’ipotesi di sistema
semplificato, si può considerare, ad esempio, un materiale soggetto ad un campo magnetico
d’intensità H, la cui magnetizzazione M subisca una variazione: in questo caso il lavoro magnetico
scambiato nell’evoluzione fra due stati di equilibrio arbitrariamente prossimi è
L0 = H dM
Gli esempi proposti rivelano una caratteristica comune: la quantità infinitesima di energia scambiata
attraverso il contorno è espressa dal prodotto di una grandezza intensiva (spesso detta forza
generalizzata) per il differenziale totale (esatto) di una grandezza estensiva (spesso detta
spostamento generalizzato). In altri termini, per le interazioni di tipo lavoro e azione di massa, la
quantità infinitesima di energia scambiata può essere trasformata in un opportuno differenziale
esatto (lo spostamento generalizzato), moltiplicandola per un fattore (detto integrante), costituito
dall’inverso di una opportuna grandezza intensiva (la forza generalizzata): quindi, 1/p è il fattore
integrante che trasforma L0 nel differenziale esatto dV, ecc.
Ha quindi senso porsi la domanda se una tale rappresentazione sia possibile anche per Q0, cioè se
esista anche per esso un fattore integrante ed in caso affermativo quali siano la coppia di grandezze
intensiva ed estensiva che svolgono il ruolo, rispettivamente, di forza generalizzata e spostamento
generalizzato.
§ 4.
Dove si indaga sull’esistenza di un fattore integrante per Q0 limitatamente ai sistemi
termodinamici caratterizzati da due variabili indipendenti.
Si è già osservato che il sistema semplice, semplificato, monocomponente (sostanza pura) è di
notevole interesse, sia perché rappresentativo di molti casi pratici, sia perché la sua descrizione
serve come base per quella dei sistemi più complessi; inoltre gli esperimenti mostrano che i suoi
stati termodinamici sono descrivibili mediante due sole grandezze indipendenti. Tale sistema è
quindi un buon punto di partenza per indagare sull’esistenza di un fattore integrante per Q0,
riservandosi successive generalizzazioni.
A tale scopo si consideri l’espressione formale del primo principio della termodinamica in termini
differenziali, dU=Q0 p dV, che può anche riscriversi come
Q0 =dU +p dV
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
14
dove si vede che Q0 è espresso da una forma differenziale, che talora in matematica si dice
pfaffiana, dal nome del matematico J.F. Pfaff. Essa, come si è già spiegato, non rappresenta il
differenziale totale (esatto) di una funzione di stato, pertanto si dice anche inesatta.
Si assumano ora come variabili indipendenti la temperatura empirica ed il volume V: il
differenziale totale (esatto) dell’energia interna si può esprimere come
dU =(U/)V d +(U/V) dV
e può essere sostituita nell’espressione di Q0, dove, raccogliendo dV, si ottiene
Q0 =(U/)V d +[p +(U/V)] dV
Se il sistema è delimitato da pareti adiabatiche
Q0 =0 =(U/)V d +[p +(U/V)] dV
Questa relazione ci permette di determinare la pendenza delle curve che descrivono nel piano (,V)
le trasformazioni quasistatiche adiabatiche, ossia
d/dV= [p+(U/V)] /(U/)V
che è ovviamente una funzione di e di V. La soluzione di questa equazione differenziale del primo
ordine è quindi una famiglia di curve
S(,V)=costante
che sono la descrizione geometrico-analitica delle trasformazioni quasistatiche adiabatiche. Si
possono fare ora le seguenti osservazioni:
1) le curve S(,V)=costante non si intersecano; infatti in caso contrario, nel punto di intersezione la
loro pendenza nel piano (,V) sarebbe la stessa, poiché come già osservato essa è funzione solo di
e di V;
2) Q0=0 equivale a dS=0, ovvero esiste una funzione di stato il cui differenziale totale (esatto) si
annulla se il sistema evolve in modo quasistatico ed in assenza di scambio termico.
Poiché S è funzione dello stato termodinamico del sistema, essa può assumersi quale variabile
indipendente per una descrizione alternativa alla precedente. In particolare, se si sostituisce S a ,
ripetendo il ragionamento fatto in precedenza si ottiene
Q0 =(U/S)V dS +[p +(U/V)S] dV
Se, come prima, si considera una trasformazione quasistatica adiabatica, si ha che Q0=0 se e solo
se dS=0; quindi deve essere a priori
p +(U/V)S =0
da cui risulta
(U/V)S = p
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Si giunge infine all’espressione
Q0 =(U/S)V dS
che rivela l’esistenza di un fattore integrante per Q0, pari a (S/U)V.
Considerando ora questo risultato dal punto di vista fisico, si è mostrato che la quantità di calore
infinitesima scambiata in una trasformazione quasistatica può essere espressa, analogamente al
lavoro infinitesimo, come prodotto di una forza generalizzata (U/S)V per il differenziale di uno
spostamento generalizzato dS. Resta però da chiarire il significato fisico di queste due grandezze,
che sono state desunte da pure considerazioni analitiche.
§ 5.
Dove si mostra che il termine (U/S)V rappresenta la temperatura termodinamica assoluta e si
definisce la scala Kelvin.
Si consideri un sistema composto dai tre seguenti sottosistemi, posti a contatto tra loro mediante
pareti conduttrici (e quindi in equilibrio termico fra loro): un termostato a temperatura , il sistema
A, le cui variabili indipendenti sono e V, il sistema A’, le cui variabili indipendenti sono e V’.
Le trasformazioni quasistatiche adiabatiche dei sistemi A e A’ sono rappresentate rispettivamente
dalle funzioni S(,V)=C e S’(,V’)=D, ove C e D sono costanti. Si consideri ora il sottosistema
A”=AA’: poiché S” è una variabile estensiva, essa si esprime mediante la proprietà di additività
come S”=S+S’, ovvero, in termini differenziali, dS”=dS+dS’. Si supponga ora che fra il termostato
e il sistema A” sia scambiata in modo quasistatico una certa quantità di calore: essa potrà essere
scomposta nella somma delle quantità di calore scambiate con i singoli sottosistemi A e A’, ovvero
Q”=Q+Q’ e Q0”=Q0+Q0’. Trattandosi di trasformazioni quasistatiche la seconda relazione si
potrà anche scrivere come (U”/S”)V” dS”=(U/S)V dS+(U’/S’)V’ dS’, ma affinché valga la proprietà
di additività di S”, dev’essere (U”/S”)V”=(U/S)V=(U’/S’)V’; infine, considerando che i termini di
quest’ultima relazione sono funzioni di , che è uguale per tutti e rispettivamente di V”, V, V’, che
sono in generale diversi fra loro, si deduce che (U”/S”)V”=(U/S)V=(U’/S’)V’=f(). Si è così mostrato
che il termine (U/S)V è una funzione della sola temperatura empirica.
Si consideri ora un generico sistema termodinamico semplice, semplificato, monocomponente, di
massa costante, che evolva in modo quasistatico, dallo stato (,Si) allo stato (,Sf): la
trasformazione del sistema è pertanto isoterma e la quantità di calore scambiata è
Q=[Si, Sf] (U/S)V dS=f()(Sf-Si). Se la temperatura del sistema è differente, sia t, si avrà,
ovviamente, Qt=f(t)(Sf-Si) e Q/Qt=f()/f(t). Riguardando Q, ossia la quantità di calore scambiata
in modo quasistatico con un termostato a temperatura , come grandezza termometrica, si può
definire una nuova scala di temperatura, ponendo f()=T. Assumendo come punto fisso il punto
triplo dell’acqua e ponendo f(t)=Tt=273.16 K, si battezza tale scala con il nome di Kelvin. Si
realizza così che (U/S)V=T, cui si dà il nome di temperatura termodinamica o assoluta; infatti la
scala di temperatura così definita, a differenza di una qualsiasi temperatura empirica, non dipende
dalle caratteristiche particolari del sistema usato come termometro (non è stata fatta nessuna ipotesi
sulla natura della sostanza); inoltre, T ha un valore minimo, corrispondente al minimo valore del
rapporto Q/Qt, che è pari a 0.
La temperatura termodinamica è dunque la forza generalizzata nell’espressione della quantità di
calore infinitesima Q0=T dS, ovvero il suo inverso 1/T è il fattore integrante che trasforma Q0
nel differenziale esatto dS. La grandezza estensiva S, che è quindi una funzione dello stato
termodinamico, svolge il ruolo di spostamento generalizzato. Resta da comprendere il suo
significato fisico, da cui le deriva anche un nome appropriato.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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§ 6.
Dove si riassumono le proprietà finora riconosciute della grandezza S e si inizia a delinearne il
legame con la reversibilità di un processo.
E’ bene ricapitolare quanto si conosce di S: 1) S è una grandezza estensiva; 2) S è una funzione
dello stato termodinamico; 3) se un sistema racchiuso da un contorno adiabatico si trasforma in
modo quasistatico, dS=0, ovvero S=costante; cioè le trasformazioni quasistatiche adiabatiche sono
rappresentate da una famiglia di curve non intersecatisi.
Si consideri ora un sistema isolato. Qualora le trasformazioni di un tale sistema siano quasistatiche,
essendo perciò stesso anche invertibili, il sistema muta il proprio stato reversibilmente; infatti
l’ambiente non risente minimamente di quanto avviene nel sistema isolato. Poiché non vi è
trasferimento di energia attraverso il contorno si ha, dal primo principio della termodinamica, dU=0
ovvero U=costante; d’altra parte i processi reversibili del sistema sono tutti adiabatici e quindi è
anche dS=0 ovvero S=costante. Per comodità è bene battezzare tale grandezza, secondo Clausius,
che ne è il padre, con il nome di entropia, che vuol dire “capacità di trasformazione”. Si può allora
affermare che i processi reversibili di un sistema isolato sono caratterizzati dall’essere isoenergetici
ed isoentropici. Per il momento non si può dire null’altro sull’entropia; infatti è pur vero che il
primo principio della termodinamica non fa distinzione fra processi reversibili o irreversibili e che S
è funzione di stato, ma la conclusione che un processo adiabatico sia isoentropico, richiede la
condizione che esso sia quasistatico.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Capitolo 4.
Dove si propongono le varie rappresentazioni degli stati di equilibrio di una sostanza pura e delle
sue trasformazioni quasistatiche.
§ 1.
Dove si considera l’equazione fondamentale nella rappresentazione energetica.
Le considerazioni svolte nel capitolo 3 sul primo principio della termodinamica hanno condotto alla
definizione della funzione di stato energia interna, che risulta una grandezza fisica estensiva, il cui
differenziale primo, per una sostanza pura all’equilibrio, si scrive, riferendosi ad una mole (lettera
minuscola per le variabili estensive specifiche)
du=T ds –p dv
L’entropia molare s ed il volume molare v possono quindi interpretarsi come variabili naturali di u,
ossia u=u(s,v), il cui differenziale totale primo risulta
du=(u/s)v ds +(u/v)s dv
Quindi le derivate parziali prime della relazione u=u(s,v) rappresentano la temperatura e la
pressione termodinamiche, rispettivamente
(u/s)v =T
e
(u/v)s = –p
il cui accordo intuitivo con i concetti empirici di temperatura e di pressione è già stato trattato nel
capitolo 3. Si noti che le derivate parziali prime sono grandezze intensive; inoltre, le relazioni
T =T(s,v) e p =p(s,v) sono pure equazioni di stato.
L’esperienza permette di ipotizzare che la funzione u =u(s,v) sia almeno di classe C1 (ovvero anche
la sua derivata prima è continua e derivabile); infatti, pure le derivate parziali seconde sono
interpretabili come grandezze fisiche misurabili. In particolare si hanno le seguenti relazioni:
1)
(u/ss)v =(T/s)v =1/(s/T)v =T/cv
dove
cv =T(s/T)v
[unità di misura S.I.: J/(mol K)]
è detto calore specifico molare a volume costante e rappresenta la variazione dell’energia interna di
una mole della sostanza in una trasformazione quasistatica isocora in cui la temperatura del sistema
varia di 1 K. Essendo dv=0, dal primo principio della termodinamica si ha
du =T ds cv dT =q0
Il calore specifico molare a volume costante può dunque essere misurato mediante un’opportuna
procedura sperimentale in cui si scambi calore in modo quasistatico con un sistema semplificato
chiuso (cioè a numero di moli invariante) mantenuto a volume costante.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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2)
(u/vv)s =(–p/v)s = –1/(v/p)s =1/(vs)
dove
s= –(v/p)s/v
[unità di misura S.I.: Pa-1]
è il coefficiente di comprimibilità isoentropica. Il valore di s moltiplicato per cento rappresenta la
variazione percentuale del volume dovuta ad una variazione della pressione in una trasformazione
quasistatica isoentropica. Anche in questo caso è quindi individuabile una procedura sperimentale
di misura di s.
3)
Dal teorema di Schwartz (uguaglianza delle derivate seconde parziali miste) si trae poi
(u/sv)=(u/vs)
ovvero
(T/v)s= –(p/s)v
che si dice prima relazione di Maxwell.
Ricapitolando: 1) in conseguenza del primo principio della termodinamica si può individuare una
funzione dello stato termodinamico detta energia interna, che risulta una grandezza estensiva; 2)
esprimendo l’energia interna in funzione di altre due grandezze estensive, sempre suggerite dalla
formulazione analitica del primo principio, ovvero l’entropia ed il volume, si possono dedurre, per
derivazione parziale, due grandezze intensive, usualmente misurabili direttamente, anch’esse
funzioni di stato, nella fattispecie la temperatura e la pressione termodinamiche; 3) la derivazione
parziale di tali funzioni consente di definire ulteriori grandezze termodinamiche misurabili
direttamente, dette in genere coefficienti termodinamici; in tal caso il calore specifico a volume
costante ed il coefficiente di comprimibilità isoentropica. Detti coefficienti sono solitamente l’unico
modo di risalire all’espressione dell’equazione di partenza, come si è già visto al § 4 del capitolo 2.
Il contenuto informativo della u =u(s,v) non è però esaurito; infatti, come si mostra nel seguito, da
essa possono dedursi tutte le altre possibili funzioni di stato: essa viene quindi detta relazione
fondamentale nella rappresentazione energetica, la cui conoscenza è sufficiente a caratterizzare
interamente un sistema termodinamico. La dicitura “nella rappresentazione energetica” allude alla
possibilità di altre rappresentazioni equivalenti, che non sono trattate in queste annotazioni: ad
esempio, esplicitando s, si avrebbe s =s(u,v), equazione fondamentale nella rappresentazione
entropica. Si conclude osservando che la relazione fondamentale rappresenta dal punto di vista
geometrico una superficie.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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§ 2.
Dove si introducono i potenziali termodinamici mediante la trasformazione di Légendre e se ne
deducono le equazioni di stato, i coefficienti termodinamici e le relazioni di Maxwell.
Si incomincia ad illustrare un metodo matematico che consente di ottenere diverse rappresentazioni
dei medesimi dati; per semplicità si tratta il problema in una sola variabile, potendosi estendere il
metodo senza ulteriori aggiunte. Sia y=f(x) una funzione data, rappresentata da una curva nel piano
(x,y); ci si pone la questione se sia possibile trovare per y una rappresentazione diversa da f(x). Si
osservi anzitutto che y’=df/dx permette di rappresentare y a meno di una costante arbitraria;
pertanto la conoscenza di y’ non è sufficiente a risolvere il problema. D’altra parte y’ può anche
interpretarsi come il coefficiente angolare della retta tangente a f(x) nel punto di ascissa x, che si
può scrivere z=y’ x+q; si noti che vi è un solo valore dell’intercetta q, tale per cui z(x) è tangente a
f(x) nel punto x ovvero z(x)=y=f(x); pertanto la funzione
q(y’) =y –y’ x =f(x) –x df/dx
ha lo stesso contenuto informativo di f(x), cioè definisce univocamente i dati y. Essa prende il nome
di trasformata secondo Légendre di f(x).
Si applica ora la trasformazione di Légendre alla relazione fondamentale u =u(s,v), che è funzione
di due variabili; si possono quindi dedurre le seguenti trasformate:
u –v (u/v)s =u +pv =h(s,p)
u –s (u/s)v=u –Ts =f(T,v);
u –s (u/s)v –v (u/v)s =u –Ts +pv =g(T,p)
Seguendo il paradigma proposto nel § 1 è possibile dedurre da tali funzioni le corrispondenti
equazioni di stato ed i coefficienti termodinamici, che sono presentati nel seguito.
1) h =u +pv è detta entalpia; le sue variabili naturali sono s e p;
dh =du +d(pv) =du +p dv +v dp =T ds +v dp; quindi
(h/s)p =T(s,p) e (h/p)s =v(s,p) sono equazioni di stato;
(h/ss)p =(T/s)p =T /cp, dove
cp T(s/T)p è detto calore specifico molare a pressione costante [J/(mol K)];
(h/pp)s =(v/p)s = –sv, dove
s –(v/p)s/v è detto coefficiente di comprimibilità isoentropica [Pa-1];
(h/sp) =(h/ps), ovvero (T/p)s =(v/s)p, è detta seconda relazione di Maxwell.
2) f =u –Ts è detto potenziale di Helmoltz; le sue variabili naturali sono v e T;
df =du –d(Ts) =du –T ds –s dT = –p dv –s dT; quindi
–(f/v)T=p(v,T) e –(f/T)v=s(v,T) sono equazioni di stato;
(f/vv)T = –(p/v)T =1 /(Tv), dove
T –(v/p)T/v è detto coefficiente di comprimibilità isoterma [Pa-1];
(f/TT)v = –(s/T)v = –cv/T, dove
cv T(s/T)v è detto calore specifico molare a volume costante [J/(mol K)];
(f/vT) =(f/Tv) ovvero –(p/T)v = –(s/v)T, detta terza relazione di Maxwell.
3) g =u –Ts +pv è detto potenziale di Gibbs; le sue variabili naturali sono T e p;
dg =du –d(Ts) +d(pv) =du –T ds –s dT +p dv +v dp = –p dv –s dT +p dv +v dp = –s dT +v dp;
quindi (g/T)p =s(T,p) e (g/p)T =v(T,p) sono equazioni di stato;
(g/TT)p = –(s/T)p = –cp /T, dove
cp T(s/T)p è detto calore specifico molare a pressione costante [J/(mol K)];
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
20
(g/pp)T =(v/p)T = –Tv, dove
T –(v/p)T/v è detto coefficiente di comprimibilità isoterma [Pa-1];
(g/Tp) =(g/pT), ovvero –(s/p)T =(v/T)p =v, detta quarta relazione di Maxwell, dove
=(v/T)p/v è detto coefficiente di dilatazione isobara [K-1].
Si possono aggiungere le seguenti osservazioni:
1) nelle trasformazioni quasistatiche isobare di un sistema chiuso
dh =T ds =q0
cioè la variazione di entalpia può interpretarsi come la quantità di calore scambiata in una
trasformazione quasistatica isobara, ciò che vale a giustificarne la denominazione;
2) nelle trasformazioni quasistatiche isoterme di un sistema chiuso
df = –p dv =l0
cioè la variazione del potenziale di Helmoltz può interpretarsi come la quantità di lavoro
scambiata in una trasformazione quasistatica isoterma;
3) le variabili naturali del potenziale di Gibbs sono temperatura e pressione termodinamiche,
ovvero grandezze intensive facilmente misurabili; da esso deriva l’equazione di stato v=v(T,p),
sulla cui esistenza si è discusso nel § 4 del capitolo 2 come conseguenza del principio zero della
termodinamica; non stupisce quindi che i coefficienti termodinamici derivati da g, siano proprio
i coefficienti elastici T e , precedentemente dedotti dalla v=v(T,p);
4) le quattro relazioni di Maxwell si rivelano utili per esprimere grandezze termodinamiche non
facilmente misurabili attraverso quelle più agevolmente accessibili alla misura sperimentale, in
particolare i due coefficienti elastici T e ed il calore specifico a pressione costante cp.
§ 3.
Dove si illustrano i metodi di espressione di una generica grandezza termodinamica in funzione
delle grandezze più facilmente misurabili.
Si è visto che i potenziali termodinamici, ivi includendo l’energia interna, non sono misurabili
direttamente; è quindi utile esprimere le relazioni in cui essi figurano con le loro derivate mediante
grandezze facilmente accessibili alla misura sperimentale e specialmente i due coefficienti elastici
T e ed il calore specifico a pressione costante cp, i cui valori sono riportati nelle tabelle
termodinamiche in funzione della temperatura e della pressione.
Il procedimento di trasformazione, che consiste in opportuni cambiamenti di variabili, può essere
scandito nelle tappe seguenti:
1) impiego del teorema di derivazione di funzione composta per cambiare una derivata parziale in
cui figurino più potenziali in una somma algebrica di derivate parziali ad un solo potenziale;
come esempio si tratta il caso più complesso, in cui figurano tre potenziali, detti genericamente
P1, P2 e P3: sia
P1 =f(P2,P3)
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
21
si vuol esprimere (P1/P2)P3 come combinazione di derivate parziali in cui figuri un solo
potenziale. Si scelgono per questo altre due variabili misurabili x(P2,P3) e y(P2,P3), cosicché si
possa considerare
P1 =f(x(P2,P3),y(P2,P3))
per il teorema di derivazione di funzione composta si ha
(P1/P2)P3=(P1/x)y (x/P2)
P3+(P1/y)x (y/P2)P3
ora è necessario iterare il procedimento, in quanto nell’espressione scritta vi sono ancora due
derivate parziali che contengono due potenziali (si noti che è sempre opportuno tenere il
potenziale al numeratore):
(x/P2)P3 =1/(P2/x)P3 =1 /[(P2/x)y +(P2/y)x (y/x)P3]
(y/P2)P3 =1/(P2/y)P3 =1 /[(P2/x)y (x/y)P3 +(P2/y)x]
quindi
(P1/P2)P3 =(P1/x)y /[(P2/x)y +(P2/y)x (y/x)P3] +(P1/y)x /[(P2/x)y (x/y)P3 +(P2/y)x]
2) portare il potenziale che figura in ogni derivata parziale al numeratore, se così ancora non
risultasse; in particolare, nel caso in cui figuri una derivata parziale del tipo (x/y)P, dove P è il
potenziale, si noti che, se P =P(x,y), allora dP=(P/x)y dx+(P/y)x dy; poiché P =costante implica
dP =0, si ricava
(x/y)P= –(P/y)x /(P/x)y
ove P risulta appunto al numeratore delle derivate parziali;
3) sostituire al differenziale del potenziale l’espressione in termini delle sue variabili naturali (vedi
§ 1 e 2): il risultato è un’espressione in termini di s,v,T e p;
4) eliminare dalle derivate parziali l’entropia, valendosi delle relazioni di Maxwell oppure facendo
comparire i calori specifici (moltiplicando e dividendo, se necessario, per dT).
A titolo di esempio, si deducono nel seguito alcune relazioni di notevole interesse:
1) legame fra cp e cv:
cp=T(s/T)p; in questa relazione s=s(T,p)
cv=T(s/T)v; in questa relazione s=s(T,v)
Nella seconda relazione si attua il cambiamento di variabile vp, così da esprimere s come
nella prima:
cv/T =(s/T)v =(s/T)p +(s/p)T (p/T)v =cp /T –(v/T)p (p/T)v =cp /T –v(p/T)v =
=cp /T –v [–(v/T)p /(v/p)T] =cp /T –2v /T; quindi
cv =cp –T2v /T
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
22
2) legame fra T e s:
T=-(v/p)T/v; in questa relazione v=v(T,p)
s=-(v/p)s/v; in questa relazione v=v(p,s)
Nella seconda relazione si attua il cambiamento di variabile sT, così da esprimere v come
nella prima:
–sv =(v/p)s =(v/p)T +(v/T)p (T/p)s = –Tv +v [–(s/p)T /(s/T)p] = –Tv +v [(v/T)p /(cp/T)]=
= –Tv +v [v /(cp /T)] = –Tv +2v2T /cp; quindi
s =T –T2v /cp
Si trova inoltre, eliminando T2v fra questa relazione e quella ricavata al punto precedente, che i
coefficienti di comprimibilità isoentropica ed isoterma stanno fra loro come il calore specifico a
volume costante ed a pressione costante:
s /T =cv /cp
3) coefficiente di Joule-Thompson (Kelvin):
si dà questo nome alla derivata (T/p)h, cioè la pendenza delle curve che rappresentano le
trasformazioni quasistatiche isoentalpiche rappresentate nel piano (p,T).
(T/p)h = –(h/p)T /(h/T)p = –[T(s/p)T +v] /[T(s/T)p] =[T(v/T)p –v] /cp =v (T–1) /cp
Fissata p, dette curve hanno pertanto un punto stazionario per T=1/, che corrisponde ad un
massimo; poiché inoltre, (T/p)h >0 se e solo se T>1/, un’espansione (processo in cui la
pressione decresce) quasistatica isoentalpica è accompagnata da raffreddamento del fluido se
T>1/; viceversa si ottiene un riscaldamento se T<1/; per questo motivo 1/ si dice
temperatura d’inversione.
§ 4.
Dove si riportano le relazioni fra le grandezze di stato nelle rappresentazioni più consuete,
denominate piani termodinamici.
Stati di equilibrio e trasformazioni quasistatiche sono di solito rappresentati graficamente: i primi
appartengono alla superficie descritta dall’equazione fondamentale, mentre le seconde sono
particolari curve giacenti su di essa. Mediante il cambiamento delle variabili è possibile ottenere il
tipo di rappresentazione che si ritiene più utile; frequentemente si impiegano diagrammi cartesiani
che riportano proiezioni della superficie di stato: quelli impiegati nella maggior parte delle
applicazioni tecniche sono i cosiddetti piani (p,v), (T,s), (h,s), (p,h) e (p,T); in particolare, il primo è
chiamato anche piano del lavoro, poiché l’area sottesa ad una curva, descrizione di una certa
trasformazione quasistatica, rappresenta il lavoro meccanico di deformazione scambiato con
l’ambiente in detta trasformazione; il secondo è detto invece piano del calore, in quanto,
analogamente, l’area sottesa ad una curva corrisponde al calore scambiato con l’ambiente nella
relativa trasformazione quasistatica. Gli altri piani citati sono di uso comune per la descrizione di
stati e trasformazioni di sistemi eterogenei, di cui si dirà in seguito. Si elencano ora le espressioni
dei differenziali dei potenziali termodinamici e di altre utili grandezze intensive ed estensive,
adottando le cinque coppie di variabili indipendenti sopra riportate; le derivate parziali sono
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
23
espresse in termini dei coefficienti termodinamici definiti nei §§ 1 e 2 mediante le regole discusse
nel § 3.
Piano (p,v).
du =cvT / dp +[cp /(v) –p] dv
df = –sT / dp –[s /(v) +p] dv
dh =(cvT / +v) dp +cp /(v) dv
dg = –(sT / –v) dp –s/(v) dv
ds =cvT /(T) dp +cp /(vT) dv
dT =(T /) dp +1 /(v) dv
Piano (T,s).
du =pcvT /(T) dT +(T –pT /) ds
df =[pcvT /(T) –s] dT –pT / ds
dh =cp /(T) dT +(T –1 /) ds
dg =[cp /(T) –s] dT –1 / ds
dv = –cvT /(T) dT +T / ds
dp =cp /(vT) dT –1/(v) ds
Piano (h,s).
du =ps dh +T (1 –ps –vp /cp) ds
df =(ps –sT /cp) dh –[sT (1 –T) +T (vp +pscp)] /cp ds
dg =(1-sT/cp) dh-T[1+s(1-T)/cp] ds
dv =–s dh +T(s +v /cp) ds
dp =1 /v dh –(T /v) ds
dT =T /cp dh +T(1 –T) /cp ds
Piano (p,h).
du =v [p (s +v /cp) –1] dp +(1 –vp /cp) dh
df =v ps [vp +s(1 –T)] /cp dp –(s +vp) /cp dh
dg =v [1 +s(1 –T) /cp] dp –s /cp dh
ds =(1 /T) dh –(v /T) dp
dv =v /cp dh –v(cvT +v) /cp dp
dT =(1 /cp) dh –v(1 –T) /cp dp
Piano (p,T).
du =v (pT –T) dp +(cp –vp) dT
df =pvT dp –(vp +s) dT
dh =v(1 –T) dp +cp dT
dg =v dp –s dT
ds = –v dp +(cp /T) dT
dv = –vT dp +v dT
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
24
Capitolo 5.
Dove si discute del secondo principio della termodinamica, estendendo poi la descrizione degli
stati di equilibrio e delle trasformazioni quasistatiche ai sistemi con un numero qualsivoglia di
variabili indipendenti.
Si premettono gli enunciati classici del secondo principio della termodinamica.
1) Secondo Kelvin-Planck, è impossibile realizzare una qualsivoglia trasformazione (quasistatica o
meno) il cui unico risultato sia la conversione completa in energia meccanica dell’energia
sottratta ad termostato per sola interazione termica.
2) Secondo Clausius, è impossibile realizzare una qualsivoglia trasformazione (quasistatica o
meno) il cui unico risultato sia il trasferimento di energia da un termostato ad un altro a
temperatura superiore per sola interazione termica.
Si osservi, che in entrambe le formulazioni, l’espressione “il cui unico risultato” significa che al
termine della trasformazione lo stato del sistema non è mutato: in tal caso la trasformazione si dice
ciclica; se essa è pure quasistatica, la sua rappresentazione geometrica in uno dei piani
termodinamici è una linea chiusa, detta ciclo. La realizzazione tecnica di sistemi in cui un fluido si
trasforma ciclicamente scambiando energia con l’ambiente prende il nome di macchina termica
ciclica.
§ 1.
Dove si dimostra l’equivalenza degli enunciati classici del secondo principio della
termodinamica.
Secondo logica, due affermazioni si equivalgono se la verità dell’una implica la verità dell’altra e
viceversa. Da ciò consegue anche che, ammettendo la falsità dell’una, anche l’altra risulta falsa e
viceversa: tale è l’argomento probatorio dell’equivalenza degli enunciati classici del secondo
principio della termodinamica.
Si neghi dapprima la verità del postulato di Clausius: si ammetta cioè l’esistenza di una macchina
termica ciclica M1 che possa trasferire l’energia Q1 per sola interazione termica dal termostato F, a
temperatura TF, al termostato C, a temperatura TC>TF. Si consideri ora una macchina termica ciclica
M2 che preleva per sola interazione termica l’energia Q1+Q2 dal termostato C, converte interamente
in energia meccanica l’energia Q2 e cede per sola interazione termica l’energia Q1 al termostato F:
essa è certamente concepibile, in quanto non viola il postulato di Kelvin-Planck. Le macchine M1 e
M2 costituiscono però insieme un sistema che preleva per sola interazione termica l’energia Q2 dal
termostato C e la converte interamente in energia meccanica, come unico risultato; infatti le due
macchine operano ciclicamente. Ciò contravviene al postulato di Kelvin-Planck.
Si neghi ora la verità del postulato di Kelvin-Planck: esista quindi una macchina termica ciclica M1
che prelevi per sola interazione termica l’energia Q1 da un termostato C a temperatura TC,
convertendola interamente in energia meccanica. Si consideri allora una macchina termica M2 che
assorba l’energia Q1 per interazione meccanica con la macchina termica ciclica M1 e l’energia Q2
per sola interazione termica con un termostato F a temperatura TF<TC, cedendo al termostato C per
sola interazione termica l’energia Q1+Q2: essa è certamente concepibile, poiché non viola il
postulato di Clausius. Tuttavia le macchine M1 e M2 costituiscono insieme un sistema che, come
unico risultato, preleva l’energia Q2 dal termostato F e la cede al termostato C, a temperatura
TC>TF, solo mediante interazioni termiche. Ciò contravviene al postulato di Clausius.
Ne segue l’equivalenza dei due postulati.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
25
§ 2.
Dove si enuncia il postulato di Carathéodory e si mostra la sua equivalenza con le formulazioni
classiche del secondo principio della termodinamica.
Si può pervenire ad una formulazione alternativa e più astratta del secondo principio della
termodinamica, se ci si propone di verificare sotto quali condizioni la descrizione delle
trasformazioni quasistatiche adiabatiche, cui si perviene nel caso di due sole variabili indipendenti,
sia generalizzabile a sistemi caratterizzati da un numero maggiore di variabili indipendenti.
Riassumendo quanto scritto nei §§ 4 e 5 del capitolo 3 (di cui si raccomanda una nuova lettura), se
lo stato termodinamico è completamente specificato assegnando due variabili, esiste una grandezza
estensiva S, detta entropia, tale che le trasformazioni quasistatiche adiabatiche sono descritte
dall’equazione S=costante, ovvero, in termini differenziali, dS=0; queste vengono perciò dette
anche isoentropiche e costituiscono una famiglia di curve che non si intersecano. Inoltre, in base a
ciò si può trovare un fattore integrante per la forma differenziale non esatta che esprime la quantità
di energia Q0 scambiata in una trasformazione quasistatica elementare (cioè fra due stati di
equilibrio indefinitamente prossimi). Il processo deduttivo seguito non è tuttavia valido, se le
variabili indipendenti sono più di due, a meno di non postulare che le superfici (giacché ora le
variabili sono più di due) su cui giacciono le trasformazioni quasistatiche adiabatiche non possano
intersecarsi. Per procedere nel ragionamento, si considerano tre sole variabili indipendenti (,V,X),
così da non appesantire la scrittura delle relazioni, essendo evidente l’estensione ad un numero
qualsivoglia di variabili. Dal punto di vista fisico, ciò significa supporre l’esistenza di un’ulteriore
modalità di scambio energetico con l’ambiente, che si aggiunge a quelle termica e meccanica (di
deformazione) tipiche del sistema termodinamico semplificato; per questo nuovo tipo d’interazione,
la quantità di energia scambiata in una trasformazione quasistatica elementare è, come noto,
esprimibile mediante una coppia di grandezze termodinamiche, di cui una, designata con X, è
estensiva e svolge il ruolo di spostamento generalizzato, mentre l’altra, designata con Y, è intensiva
e svolge il ruolo di forza generalizzata: la formulazione differenziale del primo principio della
termodinamica è dunque
dU =Q0 p dV Y dX
ovvero
Q0 =dU +p dV +Y dX
dove U=U(,V,X).
D’altra parte, le superfici adiabatiche non intersecatisi sarebbero descritte dall’equazione
S(,V,X) =costante (dS =0)
Esplicitando , si potrebbe allora passare alla terna di variabili indipendenti (S,V,X) in funzione
delle quali esprimere
dU =(U/S)V,X dS +(U/V)S,X dV +(U/X)S,V dX
e
Q0 =(U/S)V,X dS +[p +(U/V)S,X] dV +[Y +(U/X)S,V] dX
Dovendo essere Q0=0 per dS=0 (cioè, quando le trasformazioni quasistatiche sono adiabatiche,
esse giacciono sulle superfici di equazione S=costante) si ha
Q0=(U/S)V,X dS
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
26
Inoltre
p =(U/V)S,X
Y =(U/X)S,V
In pratica, quindi, si ripropone il processo deduttivo dei §§ 4 e 5 del capitolo 3, che non viene qui
replicato, per il quale si riconosce che
(U/S)V,X =T
rappresenta la temperatura termodinamica assoluta, il cui inverso è il fattore integrante che
trasforma Q0 in una forma differenziale esatta. Sarebbe poi logicamente estensibile tutto il
formalismo valido per il sistema semplificato, esposto nel capitolo 4.
D’altra parte, il postulato richiesto per tale notevole generalizzazione, sembrerebbe del tutto
arbitrario, se non fosse che si dimostra immediatamente la sua equivalenza con le formulazioni
classiche del secondo principio della termodinamica; pertanto, tutto ciò che nel caso di due sole
variabili indipendenti consegue dal primo principio, si estende al caso di un numero qualsiasi di
variabili in virtù del secondo principio. Infatti, sia E1(U1,V1,X1) uno stato di equilibrio nello spazio
(U,V,X); mediante una trasformazione quasistatica adiabatica il sistema si porta in uno stato
E2(U2,V2,X2); si consideri ora la retta specificata dalle equazioni V=V2 e X=X2: i punti giacenti su
di essa e caratterizzati da U>U2 non sono raggiungibili mediante trasformazioni quasistatiche
adiabatiche; infatti, se ciò fosse possibile, si potrebbe concepire una trasformazione quasistatica
ciclica E1E2E3E1, non rispettosa del postulato di Kelvin-Planck; infatti, la trasformazione
E2E3 comporterebbe un assorbimento di energia Q (>0) per interazione termica (U3>U2, V e X
costanti), mentre le trasformazioni adiabatiche produrrebbero complessivamente un lavoro L=Q in
base al primo principio della termodinamica. Inoltre, nemmeno i punti giacenti sulla retta e
caratterizzati da U<U2 possono essere raggiunti tramite trasformazioni quasistatiche adiabatiche;
infatti, anche in questo caso si potrebbe concepire una trasformazione quasistatica ciclica
E1E4E2E1, non rispettosa del postulato di Kelvin-Planck, per le stesse ragioni sopra esposte.
Una formulazione equivalente del secondo principio della termodinamica consiste quindi
nell’affermare, con il matematico Carathéodory, che in ogni intorno arbitrariamente piccolo di uno
stato di equilibrio esistono stati che non possono essere raggiunti tramite trasformazioni
quasistatiche adiabatiche. E’ poi evidente che questi punti giacciono su superfici (o ipersuperfici,
se lo spazio degli stati ha più di tre dimensioni) non intersecantisi; infatti, per ogni VV1 e XX1
esiste un solo stato raggiungibile da S1 mediante una trasformazione quasistatica adiabatica: in caso
contrario, come mostrato sopra, sarebbero concepibili trasformazioni quasistatiche cicliche che
violerebbero il postulato di Kelvin-Planck. Infine è importante notare che il vincolo della
quasistaticità può essere rimosso senza intaccare la logica della dimostrazione dell’equivalenza dei
postulati di Carathéodory e di Kelvin-Planck.
§ 3.
Dove si estendono le proprietà riconosciute dell’entropia, individuando una nuova formulazione
del secondo principio della termodinamica.
Potendo estendere quanto vale per i sistemi semplificati a sistemi qualsiasi in virtù del secondo
principio della termodinamica, si confermano le proprietà della grandezza entropia elencate nel § 6
del capitolo 3: 1) S è una grandezza estensiva; 2) S è una funzione dello stato termodinamico; 3) se
un sistema racchiuso da un contorno adiabatico si trasforma in modo quasistatico, dS=0, ovvero
S=costante; cioè le trasformazioni quasistatiche adiabatiche sono rappresentate da una famiglia di
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
27
curve non intersecatisi. Ora però l’indagine sulle proprietà dell’entropia può essere estesa, in base ai
vincoli imposti dal secondo principio della termodinamica.
Si consideri una trasformazione adiabatica non quasistatica fra due stati di equilibrio Ei(Ti,Vi,Xi) e
Ef(Tf,Vf,Xf) in uno spazio (T,V,X). Anche in questo caso è ovvia l’estensione a stati caratterizzati
da un numero arbitrario di variabili indipendenti. Si riporti il sistema allo stato iniziale Ei, mediante
la seguente serie di trasformazioni: EfEf’, quasistatica adiabatica (isoentropica: Sf=Sf’); Ef’Ei’,
quasistatica isoterma (Tf’=Ti’=T’); Ei’Ei, quasistatica adiabatica (isoentropica: Si=Si’). In base al
primo principio della termodinamica si ha che Q=L, ove Q è l’energia scambiata per interazione
termica, che può avvenire solo nella trasformazione isoterma Ef’Ei’. Poiché essa è quasistatica
Q=T’(Si-Sf); inoltre deve essere Q0 per non contraddire il secondo principio della termodinamica
nell’enunciato di Kelvin-Planck: ciò implica SfSi. Tuttavia la condizione Sf=Si è impossibile;
infatti, se così fosse, si potrebbe riportare il sistema allo stato iniziale tramite una trasformazione
quasistatica adiabatica (che è isoentropica): si avrebbero perciò tre trasformazioni adiabatiche
quasistatiche intersecantesi a due a due ciò che non è possibile in base a quanto discusso nel § 2. Da
ciò si trae un’importante conclusione: poiché un sistema isolato evolve sempre mediante processi
adiabatici, qualora si verifichino le condizioni per la reversibilità (equilibrio interno ed equilibrio
mutuo, si veda capitolo 1, § 3), l’entropia rimane costante; in caso contrario, essa non può che
aumentare. Questa proprietà dell’entropia, costituisce una formulazione alternativa del secondo
principio della termodinamica, nota come principio dell’aumento dell’entropia. Essa è
particolarmente importante in quanto il carattere qualitativo della reversibilità trova così una
descrizione quantitativa mediante una grandezza fisica funzione dello stato termodinamico: è
possibile stabilire non solo se un processo sia o meno reversibile, ma anche quanto sia lontano dalla
trasformazione ideale reversibile. Ciò giustifica il nome proposto da Clausius per l’entropia, che
significa appunto “capacità di trasformazione”.
Si consideri ora un sistema semplice in equilibrio: la relazione fondamentale, per quanto visto nel §
1 del capitolo 4 può esprimersi come U=U(S, V, N) nella formulazione energetica, oppure, in modo
alternativo S=S(U, V, N) nella formulazione entropica. N rappresenta il numero di moli contenute
nel sistema. Il ragionamento che segue può ripetersi per entrambe le formulazioni. Si immagini di
suddividere il sistema in k sottosistemi identici, mediante k-1 pareti immaginarie: per ognuno di
essi dev’essere Si=S(Ui, Vi, Ni), n=1,…,k, ovvero lo stato di ciascuno soddisfa all’unica equazione
fondamentale. Inoltre S1=…=Si=…=Sk, poiché i sottosistemi sono identici, quindi
S=i=1k Si=kSi
Alla stessa maniera per U e V, dunque
S(kUi, kVi, kNi) =kS(Ui, Vi, Ni)
Poiché la suddivisione è del tutto arbitraria, si ha che, in generale
S(kU, kV, kN) =kS(U, V, N)
ovvero l’entropia è una funzione omogenea del primo ordine di U, V e N.
Posto k=N, S(U, V, N)=NS(U/N, V/N, 1)=Ns(u,v), dove s=S/N è l’entropia molare. Lo stesso dicasi
per l’energia interna. Dette genericamente Xj, j=1,…, n, le grandezze estensive diverse
dall’entropia, si scriva in modo più compatto U(kS, kXj)=kU(S, Xj). Derivando rispetto a k, si ha:
[U/(kS)]kXj[(kS)/k]S +j=1n [U/(kXj)]
kS[(kXj)/k]Xj =[U/(kS)]kXj S +j=1n [U/(kXj)]
kS Xj =U(S, Xj)
Posto k=1
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
28
(U/S)Xj S + j=1n (U/Xj)
S Xj= U(S, Xj)
ovvero
U =TS +j=1n YjXj
detta relazione di Eulero. Differenziando tale relazione, si ha:
dU =T dS +S dT +j=1n Yj dXj +j=1
n Xj dYj
D’altra parte, nel § 2 si è trovato che dU=T dS+j=1n Yj dXj. Sottraendo membro a membro le due
precedenti relazioni, si trova
S dT +j=1n Xj dYj =0
nota come relazione di Gibbs-Duhem nella formulazione energetica.
Per un sistema semplice semplificato monocomponente (sostanza pura) l’equazione di Gibbs-
Duhem diviene
S dT V dp +N d =0
dividendo per il numero di moli N, si trova
d =s dT +v dp =dg
ossia il potenziale chimico coincide con il potenziale di Gibbs molare.
§ 4.
Dove si discutono le condizioni per l’equilibrio di un sistema termodinamico.
La formulazione del secondo principio della termodinamica proposta nel precedente paragrafo
consente di individuare un criterio quantitativo per stabilire se un sistema termodinamico sia in uno
stato di equilibrio. Si è visto, infatti, che, nelle trasformazioni di un sistema isolato, l’entropia può
solo crescere o, al limite della reversibilità, restare costante. D’altra parte, l’energia interna del
sistema si mantiene comunque costante, poiché ad esso è preclusa ogni interazione con l’ambiente.
All’equilibrio l’entropia del sistema raggiunge, pertanto, un valore massimo e, qualunque
perturbazione, che non sia una rimozione permanente dei vincoli esistenti, comporterà
un’evoluzione destinata a riportare il sistema nello stato di equilibrio, non potendo l’entropia
diminuire. Quanto detto è senz’altro chiarito dall’esempio che segue. Si consideri il sistema
semplificato 1, alla temperatura uniforme T1 e l’ambiente (sistema semplificato) 2, alla temperatura
uniforme T2. L’universo sia dunque il sistema composto isolato 12. Le pareti che delimitano 1
siano impermeabili, rigide e diatermane. Si consideri quasistatica ogni trasformazione di 1 e 2. Sia
T2>T1, ciò che comporta un’interazione termica fra 2 e 1, per la quale si può scrivere:
dU=dU1+dU2=0
dU2 =Q0; dU1 =Q0
Inoltre
dS=dS2+dS1
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
29
ove
dS2 =Q0/T2 e dS1=Q0/T1
per cui
dS =Q0 (T2 T1) /(T2T1)
e, poiché T2>T1, risulta
dS>0
Tale condizione permane finché T2=T1=T, ovvero si raggiunge l’equilibrio termico, cui corrisponde
l’arresto della crescita dell’entropia. Infatti, si supponga di perturbare l’equilibrio, provocando un
incremento di temperatura infinitesimo dT2, dovuto al trasferimento della quantità infinitesima di
energia Q*0 da 1 ad 2. Per semplicità si assuma che le capacità termiche dei due sistemi siano
uguali, cosicché dT2=-dT1=dT. Si ha dunque dS=Q*0[1/(T+dT)-1/(T-dT)]-2Q*0dT/T2,
trascurando gli infinitesimi di ordine superiore al primo. Ripetendo il procedimento, ma
incrementando la temperatura di 1, si ottiene lo stesso risultato, ovvero l’entropia decresce: ciò
significa che l’entropia dell’universo è massima quando T2=T1. Inoltre, poiché la sua diminuzione è
proibita dal secondo principio della termodinamica, le variazioni considerate di temperatura non
possono aver luogo, ovvero lo stato di equilibrio risulta stabile; infatti, eventuali perturbazioni
produrrebbero un assurdo fisico e quindi il sistema ritorna nello stato di equilibrio.
Riassumendo quanto detto, con riferimento ad un sistema isolato, si ha:
1) dS>0: trasformazione spontanea;
2) dS=0: condizione di equilibrio;
3) d2S<0, ovvero S<0: criterio di stabilità.
§ 5.
Dove si esemplifica l’applicazione delle condizioni di equilibrio.
Si consideri un sistema composto isolato, costituito da due sistemi semplici (1 e 2), semplificati,
separati da una parete, le cui caratteristiche verranno di volta in volta variate. I sottosistemi
evolvano, inoltre, secondo trasformazioni quasistatiche. Oltre alla coppia entropia-temperatura,
siano Xi le n variabili estensive interpretabili come spostamenti generalizzati (Cap. 3, § 3) e Yi le
corrispondenti n grandezze intensive, interpretabili come forze generalizzate. Si ha, dunque:
U=U1+U2
dU=dU1+dU2=0
S=S1(U1, X1,1,…,Xi,1,…,Xn,1)+S2(U2, X1,2,…,Xi,2,…,Xn,2)
dS=dS1+dS2=0
ovvero
(1/T1 1/T2) dU1 +i=1:n(Fi,1 Fi,2) dXi,1=0
avendo posto Fi =(S/Xi)U,XjXi. Si noti che le grandezze F sono intensive.
Quest’ultima relazione consente di fare le seguenti affermazioni:
1) dS è costituito dalla somma di tanti termini quante sono le grandezze estensive;
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
30
2) la condizione di equilibrio dS=0 implica o l’annullarsi dei differenziali delle grandezze
estensive (dU=0 e dXi=0, i) o l’annullarsi delle differenze fra le coppie di parametri
intensivi (Fi,1Fi,2=0, i); il primo caso corrisponde al cosiddetto equilibrio vincolato
rispetto alla grandezza Xi, cioè il valore di questa grandezza è fissato per ogni sottosistema;
quindi, il vincolo è in grado di sostenere una qualsiasi differenza dei parametri intensivi Yi
coniugati a Xi e si dice perciò attivo; il secondo caso si dice equilibrio non vincolato, poiché
il valore di Xi per i due sottosistemi è libero.
Gli esempi seguenti sono utili a chiarire l’espressione generale sopra discussa.
1) Parete rigida, impermeabile, diatermica: ricerca dell’equilibrio termico.
U=U1+U2; dU=dU1+dU2=0, da cui dU1=dU2
S=S1(U1, V1, N1)+S2(U2, V2, N2)
dS=dS1+dS2=(S/U)V,N|1 dU1 +(S/U)V,N|2 dU2 =(1/T1 1/T2) dU1 =0, da cui
T1=T2
2) Parete mobile, impermeabile, diatermica: ricerca dell’equilibrio termo-meccanico.
U=U1+U2; dU=dU1+dU2=0, da cui dU1=dU2
V=V1+V2; dV=dV1+dV2=0, da cui dV1=dV2
S=S1(U1, V1, N1)+S2(U2, V2, N2)
dS=dS1+dS2=(S/U)V,N|1 dU1 +(S/U)V,N|2 dU2 +(S/V)U,N|1 dV1 +(S/V)U,N|2 dV2=
=(1/T1 1/T2) dU1+(p1/T1 p2/T2) dV1=0, da cui
T1=T2 e p1=p2
3) Parete mobile, impermeabile, adiabatica: ricerca dell’equilibrio meccanico.
U=U1+U2; dU=dU1+dU2=0, p1dV1=p2dV2
V=V1+V2; dV=dV1+dV2=0, da cui dV1=dV2 e pertanto
p1=p2
S=S1(U1, V1, N1)+S2(U2, V2, N2)
dS=dS1+dS2=Q0/T1 Q0/T2 =0, essendo Q0=0, è identicamente soddisfatta per qualsiasi
valore di T1 e T2.
4) Parete fissa, permeabile, diatermica: ricerca dell’equilibrio termico e rispetto allo scambio
di massa.
Per semplicità si ragiona sulla permeabilità della parete ad una sola specie chimica j.
U=U1+U2; dU=dU1+dU2=0, da cui dU1=dU2
N =i=1:n Ni|1 +i=1:n Ni|2, dN =dNj,1 +dNj,2=0, da cui dNj,1=dNj,2
dS=dS1+dS2=dU1/T1 j,1 dNj,1 /T1 +dU2 /T2 j,2 dNj,2/T2=
=(1 /T1 1 /T2) dU1 +(j,1 /T1 j,2 /T2) dNj,1, da cui
T1=T2 e j,1=j,2
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
31
§ 6.
Dove si formulano in modo alternativo le condizioni di equilibrio mediante i potenziali
termodinamici.
Le considerazioni svolte nei §§ 4 e 5 si possono riassumere nel seguente enunciato: il valore di
equilibrio di ogni parametro libero di un sistema composto per cui sia fissato il valore dell’energia
interna, è tale da rendere massima l’entropia (principio di massima entropia).
In alternativa, si può anche affermare: il valore di equilibrio di ogni parametro libero di un sistema
composto per cui sia fissato il valore dell’entropia, è tale da rendere minima l’energia interna
(principio di minima energia).
L’equivalenza fra i due enunciati può essere dimostrata per assurdo come segue. Si abbia un sistema
in una stato di equilibrio, dunque caratterizzato dal massimo valore dell’entropia, la cui energia
interna non sia minima (S1=Smax, U1>Umin). In tal caso, si potrebbe portarlo nello stato di minima
energia mediante una trasformazione quasistatica adiabatica nella quale esso ceda lavoro ad
entropia costante (S2=Smax, U2=Umin). La stessa quantità di energia potrebbe poi essere fornita al
sistema per interazione termica mediante una trasformazione quasistatica isocora. In questo caso,
dunque, l’energia interna del sistema sarebbe pari a quella di partenza, mentre la sua entropia
sarebbe aumentata, in contraddizione con l’ipotesi che l’entropia dello stato iniziale fosse massima
(S3>S2, U3=U1).
Le condizioni di equilibrio possono quindi essere riformulate per l’energia interna:
1) dU<0: trasformazione spontanea;
2) dU=0: condizione di equilibrio;
3) U>0: criterio di stabilità.
Quanto vale per l’energia interna, si trasferisce poi interamente ai potenziali termodinamici da essa
derivati come formulazioni alternative, ma equivalenti.
Così, per un sistema semplificato a pressione costante si ha:
1) dH<0: trasformazione spontanea;
2) dH=0: condizione di equilibrio;
3) H>0: criterio di stabilità.
Per un sistema semplificato a temperatura e volume costante si ha:
1) dF<0: trasformazione spontanea;
2) dF=0: condizione di equilibrio;
3) F>0: criterio di stabilità.
Per un sistema semplificato a pressione e temperatura costante si ha:
1) dG<0: trasformazione spontanea;
2) dG=0: condizione di equilibrio;
3) G>0: criterio di stabilità.
§ 7.
Dove si discutono le implicazioni legate alla condizione di stabilità dell’equilibrio d2S<0.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
32
I ragionamenti esposti nel § 4 si possono riassumere nell’enunciato del cosiddetto principio di Le
Châtelier: un sistema omogeneo si definisce in equilibrio stabile quando reagisce alle perturbazioni,
sviluppando spontaneamente processi che lo riportano verso le condizioni di equilibrio. Dal punto
di vista quantitativo si è visto che ciò equivale a due condizioni sull’entropia:
1) dS=0, che permette di determinare i valori delle grandezze termodinamiche nello stato di
equilibrio;
2) d2S<0, che permette di determinare le condizioni per la stabilità dell’equilibrio, come viene
illustrato nel seguito.
Riferendosi ad una mole e sviluppando il differenziale secondo dell’entropia
d2s=(s/uu) du2 + 2(s/uv) du dv + (s/vv) dv2
si ottiene una forma quadratica, che risulta definita negativa se e solo se
(s/uu)<0
e
det[(s/uu) (s/uv); (s/uv) (s/vv)]>0
Si ha quindi:
(s/uu)=[(s/u)v/u]v=(T-1/u)v=-T-2(T/u)v=-(T2cv)-1<0
ovvero
cv>0
det[(s/uu) (s/uv); (s/uv) (s/vv)]=det[(T-1/u)v (T-1/v)u; (pT-1/u)v (pT-1/v)u]=*
=(T-1, pT-1)/(u, v) =[(T-1, pT-1)/(T-1, v)][(T-1, v)/(u, v)]=
=(pT-1/v)T(T-1/u)v =T-3v-1T-1cv
-1 >0
ovvero
T>0
Inoltre, poiché
cp cv =2Tv /T
†
si deduce
cp>cv
e poiché
cp /cv =T /s*
* si tratta di un determinate Jacobiano, per il quale si usa l’apposito formalismo. † vedi capitolo 4, paragrafo 3.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
33
si ha
s>0
Si riassumono le condizioni di stabilità dell’equilibrio sopra dedotte:
1) cv>0
2) cp>cv
3) T>0
4) T>s
Si conclude osservando che la stabilità dell’equilibrio di un sistema composto da più sistemi
semplici è garantita dalla stabilità intrinseca di tutti i sottosistemi semplici.
* si veda il capitolo 4, § 3.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
34
Capitolo 6.
Dove si estende il formalismo della termodinamica degli stati di equilibrio ai sistemi eterogenei e
si tratta in modo particolare delle transizioni di fase del primo ordine.
Un sistema eterogeneo consiste nell’unione di sottosistemi omogenei, detti fasi, non separati fra
loro da pareti materiali. Il tipo che interessa considerare nel seguito è una sostanza nei suoi vari stati
di aggregazione, solido, liquido e vapore. Si può ipotizzare che in corrispondenza delle superfici di
separazione delle fasi alcune proprietà termodinamiche manifestano una discontinuità: ad esempio,
in una miscela liquido-vapore è evidente la variazione repentina della massa volumica delle due
fasi. Si pone quindi il problema di stabilire quante fasi possano coesistere in equilibrio per un
sistema semplificato eterogeneo e quante siano le variabili indipendenti utili a caratterizzarne gli
stati di equilibrio.
§ 1.
Dove si applicano le condizioni di equilibrio ad un sistema eterogeneo semplificato e si deduce la
cosiddetta regola delle fasi o di Gibbs.
Si consideri un sistema eterogeneo semplificato costituito da r componenti e M fasi. Applicando
quanto discusso relativamente alle condizioni di equilibrio nel § 5 del capitolo 5 al ognuna delle
fasi, si individuano le seguenti condizioni necessarie per l’equilibrio (l’apice tra parentesi si
riferisce alla fase, il pedice al componente):
T(1) =T(2) =T(3) =…=T(M)
p(1) =p(2) =p(3) =…=p(M)
1(1) =1
(2) =1(3) =…=1
(M)
2(1) =2
(2) =2(3) =…=2
(M)
...
r(1) =r
(2) =r(3) =…=r
(M)
In totale si tratta di specificare 2M +rM =M (r +2) variabili intensive, vincolate a soddisfare le
precedenti (r +2) (M 1) equazioni; inoltre, per ogni fase la relazione di Gibbs-Duhem stabilisce un
legame fra le M (r +2) variabili, riducendone di M il numero, ovvero M (r +1). D’altra parte, il
numero di equazioni non deve superare il numero di incognite, per cui (r +2) (M 1) M (r +1),
ossia M r +2. In base a questo risultato, si enuncia la regola delle fasi, o di Gibbs: in un sistema
costituito da r componenti, non più di r+2 fasi possono coesistere all’equilibrio.
Se M <r +2
f =r +2 M
variabili intensive possono assumere valori arbitrari, poiché il sistema è indeterminato; f si dice
numero di gradi termodinamici di libertà o varianza del sistema.
Ad esempio, gli stati di equilibrio di un sistema semplificato monocomponente omogeneo
(monofase) sono specificati da f=2 variabili intensive indipendenti, ad esempio temperatura e
pressione, come già si è potuto osservare nel capitolo 3. D’altra parte, l’esperienza mostra che,
variando arbitrariamente tali grandezze, è possibile determinare la comparsa di più fasi. In
particolare, poiché il numero dei componenti è pari a 1, la regola delle fasi si scrive f =3 M, per
cui al più possono coesistere all’equilibrio tre fasi. Di conseguenza, se M=2, il sistema si dice bifase
ed il numero di variabili intensive indipendenti è f=1 (sistema monovariante); perciò, se si fissa la
temperatura non si può fissare anche la pressione e viceversa; se M=3, il sistema si dice trifase e
non si può scegliere in modo arbitrario il valore di nessuna grandezza intensiva (sistema invariante).
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
35
§ 2.
Dove si descrivono le transizioni di fase del primo ordine per una sostanza pura.
Si consideri una sostanza pura bifase: dall’imposizione delle condizioni di equilibrio consegue
T(1)=T(2)
p(1)=p(2)
(1)(T,p)=(2)(T,p)
quest’ultima relazione lega le variabili T e p, cosicché, come previsto dalla regola delle fasi, il
sistema è monovariante. Inoltre essa è rappresentata graficamente dalla linea che risulta
dall’intersezione delle due superfici (1)=(1)(T,p) e (2)=(2)(T,p), che prende il nome di curva di
coesistenza delle fasi. Una comoda rappresentazione bidimensionale consiste nella proiezione di
tale linea nel piano (T,p): i punti che non vi appartengono rappresentano gli stati di equilibrio del
sistema omogeneo (monofase). Ogni trasformazione che comporti l’attraversamento della curva di
coesistenza delle fasi determina una transizione di fase; questa si dice del primo ordine se nel punto
di transizione il potenziale chimico ovvero il potenziale di Gibbs molare* presenta una discontinuità
di prima specie, cioè, detto C =(p0,T0) un generico punto appartenente alla curva di coesistenza
delle fasi, si ha
g(1)(C) =g(2)(C)
(g(1)/T)|C (g(2)/T)|C
(g(1)/p)|C (g(2)/p)|C
Un’importante conseguenza di quanto scritto si trae dall’espressione differenziale del potenziale di
Gibbs molare
dg =s dT +v dp
da cui si evince che
s =(g/T)p e v =(g/p)T
per cui, nello stato C l’entropia ed il volume molari presentano discontinuità di terza specie. Questo
modello matematico si presta a descrivere i cambiamenti dello stato di aggregazione di una sostanza
pura noti come processi di liquefazione (o fusione)/solidificazione, evaporazione/condensazione (o
liquefazione), sublimazione/desublimazione (o brinamento). L’esperienza prova che tali processi
sono isotermobarici e che il volume specifico delle fasi è differente. Inoltre, anche le transizioni fra
diverse configurazioni cristalline in un solido possono essere trattate con questo modello, ma non
sono oggetto della trattazione seguente.
Se il sistema nel punto C è composto da N moli, si ha che N =N(1) +N(2), ovvero, dividendo per N
1 =x(1) +x(2)
ove x rappresenta la frazione molare di una fase e, com’è ovvio, 0 x 1. Il punto C, dunque, non
rappresenta un solo stato termodinamico, ma una molteplicità di stati, tutti a p0 e T0, ma
contraddistinti ciascuno da diverse frazioni molari delle fasi. Questi possono essere singolarmente
rappresentati per mezzo di piani aventi sugli assi coordinati un parametro intensivo ed un parametro
estensivo specifico (ad esempio, p e v, oppure T e s), dove occupano una regione dello spazio,
* si veda il capitolo 5, § 3
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
36
delimitata da due curve, caratterizzate rispettivamente da x(1)=1 e x(2)=1: esse prendono il nome di
curve di saturazione. Inoltre, ogni grandezza estensiva specifica può essere interpretata come
somma dei contributi relativi a ciascuna fase, come si esemplifica relativamente al volume:
V =V(1) +V(2)
Nv =N(1) v(1) +N(2) v(2)
ovvero
v =x(1) v(1) +x(2) v(2)
rappresenta il volume molare medio del sistema bifase.
Se la transizione di fase avviene in modo quasistatico, essa è descritta da una trasformazione
isoterma in cui l’entropia è soggetta a variazione: si verifica, pertanto, un’interazione termica con
l’ambiente nella quale viene scambiata l’energia Q=T S. Le transizioni di liquefazione,
evaporazione e sublimazione sono contraddistinte da S 0 e quindi richiedono l’apporto di energia
dall’ambiente, mentre quelle di solidificazione, condensazione, desublimazione presentano S <0,
comportando così la cessione di energia all’ambiente. D’altra parte, la transizione di fase è anche
una trasformazione isobara, poiché il sistema monocomponente bifase ha varianza unitaria, per cui
T S =H, detta entalpia di transizione di fase (meno correttamente calore latente), mentre
U =T S p V.
E’ infine importante notare che i coefficienti termodinamici cp, e T risultano infiniti dall’essere
dT =dp =0, a fronte di dv 0 e ds 0.
§ 3.
Dove si dà una rappresentazione della curva di coesistenza delle fasi, nota come relazione di
Clapeyron-Clausius.
La curva di coesistenza delle fasi è in generale descritta da una relazione del tipo p =p(T) o T =T(p);
tuttavia essa differisce per le varie sostanze e per le diverse transizioni di fase in una medesima
sostanza: non è quindi possibile trovarne un’espressione generale, come invece accade per la
derivata dp/dT che ne esprime la pendenza nel piano (p,T). Infatti si ha che
g(1)(T,p) =g(2)(T,p)
da cui dg(1)=dg(2), ovvero
s(1) dT +v(1) dp =s(2) dT +v(2) dp
[v(1) v(2)] dp =[s(1) s(2)] dT
dp/dT =[s(1) s(2)] /[v(1) v(2)] =s /v =h /(T v)
detta relazione di Clapeyron-Clausius.
Nei processi di evaporazione/condensazione e sublimazione/desublimazione s e v hanno sempre
lo stesso segno per cui la pendenza della curva di coesistenza delle fasi è positiva. I processi di
solidificazione/liquefazione possono invece presentare s e v discordi (come, ad esempio, per
l’acqua), per cui può essere dp/dT>0 oppure dp/dT<0.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
37
§ 4.
Dove si considerano gli stati trifase di una sostanza pura.
In base alla regola delle fasi (§ 1), una sostanza pura trifase è un sistema invariante; infatti, dovendo
sussistere contemporaneamente le relazioni
g(1)(T,p) =g(2)(T,p) e g(1)(T,p) =g(3)(T,p)
ne segue che la coppia (T,p) ha un valore fissato. Tale stato si dice punto triplo: esso è rappresentato
nel piano (T,p) dall’intersezione delle curve di coesistenza delle tre fasi a due a due. Poiché inoltre i
solidi presentano diverse configurazioni del cristallo, sono possibili diversi punti tripli.
Come accade per i punti appartenenti alla curva di coesistenza delle fasi, anche il punto triplo
rappresenta una molteplicità di stati di equilibrio eterogenei. La rappresentazione in un piano avente
sugli assi coordinati una grandezza intensiva ed una estensiva specifica non è tuttavia sufficiente a
descrivere ognuno di questi stati; infatti, ragionando ad esempio nel piano (p,v), il volume medio
del sistema trifase è definito come
v =x(1) v(1) +x(2) v(2) +x(3) v(3)
con
1 =x(1) +x(2) +x(3)
Queste due equazioni, tuttavia, non definiscono compiutamente le tre frazioni molari: ne consegue
che nel piano considerato il punto triplo è ancora rappresentato da un punto. Per individuare i valori
delle frazioni molari, occorre aggiungere un’equazione dello stesso tipo della prima, ad esempio
quella relativa all’entropia:
s =x(1) s(1) +x(2) s(2) +x(3) s(3)
In tal caso, gli stati eterogenei trifase sono rappresentati nel piano (s,v) come i punti interni ad un
triangolo. Tale rappresentazione è valida per ogni coppia di variabili estensive specifiche, eccetto
che per (h,s), in quanto tali variabili non risultano indipendenti, poiché sono legate dalla relazione
h =T s.
§ 5.
Dove si tratta del punto critico.
Nel piano (T,p) la curva di coesistenza delle fasi liquido e vapore si arresta in corrispondenza del
cosiddetto punto critico: è allora possibile operare processi ipercritici in cui una sostanza pura può
essere portata da uno stato monofase liquido ad uno monofase vapore senza che si verifichi la
transizione di fase, cioè senza attraversare stati eterogenei bifase; in effetti, la differenza fra liquido
e vapore è solo quantitativa e non qualitativa, dal momento che le molecole non si organizzano in
particolari strutture (come invece accade per i solidi): così non sussistono punti critici per le altre
transizioni di fase.
Si è visto come sia opportuno rappresentare gli stati bifase in un diagramma avente sugli assi
coordinati una grandezza intensiva ed una estensiva specifica, ad esempio (p,v) o (T,s). In tali
diagrammi, approssimandosi al punto critico, le curve di saturazione devono convergere, poiché si
annullano tanto la differenza fra i volumi delle fasi, quanto l’entalpia di transizione di fase. Il punto
critico divide dunque la curva di saturazione in due parti contraddistinte rispettivamente da x(1)=1 e
x(2)=1. Da ciò deriva la tipica forma a campana della regione degli stati eterogenei liquido/vapore;
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
38
inoltre l’isoterma critica, cioè l’isotema alla temperatura del punto critico deve risultare tangente
alla curva di saturazione.
Si conclude questa breve trattazione, osservando che cp, e T risultano infiniti anche al punto
critico.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
39
Capitolo 7.
Dove si trattano alcuni argomenti di rilievo della termodinamica applicata, ossia i cosiddetti
bilanci macroscopici dei sistemi fluenti ed alcune nozioni fondamentali di energetica.
§ 1.
Dove si introduce il concetto di sistema fluente e si formulano le ipotesi che consentono di
estendere le leggi della termodinamica alla descrizione di un tale sistema.
Il funzionamento continuo di un sistema energetico può avvenire nella maggior parte dei casi grazie
all’evoluzione di un fluido (liquido, vapore o gas) che scorre attraverso gli organi (macchine)
deputati alla sua trasformazione, scambiando energia mediante interazioni di diverso tipo
(meccaniche, termiche, chimiche, elettro-magnetiche…). E’ evidente che un sistema complesso di
questo tipo non si trova in uno stato di equilibrio termodinamico; le condizioni del fluido in
ingresso sono, infatti, diverse da quelle in uscita e variano lungo il percorso. Tuttavia, i concetti
della termodinamica degli stati di equilibrio possono essere estesi al “sistema fluente”, invocando
due assiomi, che sono suggeriti dall’osservazione dei fenomeni su scala macroscopica: il postulato
del continuo, grazie al quale il sistema viene caratterizzato dal punto di vista matematico come un
insieme denso, ed il principio dell’equilibrio locale, che consente di definire le grandezze fisiche e,
quindi, anche le quantità termodinamiche, assegnando la loro distribuzione, detta campo, come una
funzione della posizione e del tempo. In pratica, si considera il sistema come l’unione di particelle
elementari (punti materiali) che sono, a loro volta, sistemi termodinamici elementari che compiono
trasformazioni quasistatiche. Queste ipotesi perdono la loro ragionevolezza, qualora nei fenomeni si
riveli la natura corpuscolare, ovvero discreta, della materia: affinché ciò accada, però, le dimensioni
del sistema debbono avere lo stesso ordine di grandezza che caratterizza le interazioni molecolari.
Ciò è ben descritto dal criterio di Knudsen, così formulato: detto il libero cammino medio delle
molecole in un fluido e L una dimensione lineare caratteristica del sistema in esame, il postulato del
continuo ha valore se
Kn= /L << 1
Kn vien detto appunto “numero di Knudsen”.
Per quanto ad oggi alcune tecnologie innovative nel settore energetico siano molto prossime al
limite Kn =1, la maggioranza dei sistemi di conversione dell’energia contempla applicazioni che
obbediscono al criterio sopra enunciato.
Trattandosi di sistemi con deflusso, l’evoluzione del fluido può essere descritta assumendo un
sistema di riferimento solidale alle particelle in movimento (punto di vista lagrangiano) oppure al
contorno che delimita il flusso (punto di vista euleriano). Il punto di vista euleriano è
particolarmente utile per ricavare le relazioni fra le grandezze in ingresso e quelle in uscita dal
sistema, che permettono di illustrare le basi del funzionamento dei principali componenti di un
sistema energetico. In tal caso, è usuale riferirsi al contorno che delimita il flusso con il termine
“volume di controllo”: esso è costituito dalle sezioni di ingresso e di uscita, attraverso le quali si ha
un flusso di massa e da pareti impermeabili fisse o mobili.
Le relazioni fra le grandezze in ingresso e quelle in uscita sono determinate in base ad assiomi, detti
“leggi di conservazione” (in gergo ingegneristico, “bilanci”), in base ai quali le quantità delle
grandezze estensive, che possono essere “trasportate” dal flusso, restano costanti: ovvero, è nulla la
somma algebrica delle seguenti quantità:
1. quantità entrante dalle sezioni permeabili;
2. quantità uscente dalle sezioni permeabili;
3. quantità scambiata per contatto attraverso le pareti impermeabili fisse o mobili;
4. quantità scambiata per reazioni chimiche o per interazioni con campi di forza esterni;
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
40
5. quantità eventualmente cumulabile nel volume di controllo.
Alle quantità scambiate nell’unità di tempo attraverso il contorno (1, 2, 3) si dà il nome di “flussi”
ed è bene che siano distinti a seconda della loro origine: si parla di flussi “avvettivi”, se dovuti al
movimento: sono tali quelli che avvengono attraverso le sezioni di ingresso e di uscita (1, 2); si
parla invece di flussi “diffusivi”, se dovuti al semplice contatto con il contorno: sono tali quelli che
avvengono attraverso le pareti impermeabili, fisse o mobili, dove d’altronde non possono aversi
flussi avvettivi (3). E’ ipotesi ragionevole nella grande maggioranza delle applicazioni tecniche
ritenere che sulle sezioni permeabili, laddove coesistano flussi avvettivi e flussi diffusivi, i secondi
siano trascurabili rispetto ai primi: i criteri di validità di questa supposizione sono definiti dalla
teoria dei fenomeni di trasporto e non sono oggetto della trattazione che segue, ritenendoli, pertanto,
soddisfatti.
La quantità scambiata per reazioni chimiche o per interazioni con campi di forza esterni appare di
solito all’osservatore come una “creazione” o una “distruzione” interna al volume di controllo, a
seconda che la quantità cresca o diminuisca e perciò viene designata rispettivamente con il termine
di “sorgente” o “pozzo” (4).
Le grandezze estensive fondamentali per le quali sono scritte le leggi di conservazione sono la
massa (grandezza scalare), la quantità di moto (grandezza vettoriale), il momento della quantità di
moto (grandezza vettoriale) e l’energia (grandezza scalare).
Alle relazioni che ne derivano si aggiunge poi la disequazione che esprime il principio di non
decrescita dell’entropia dell’universo, cui si dà il nome, improprio, di bilancio entropico.
Nel seguito le leggi di conservazione vengono formulate con riferimento ad un generico volume di
controllo R, delimitato da una frontiera R, la cui giacitura è individuata convenzionalmente dal
versore normale uscente n. Le coordinate spaziali sono descritte dal vettore posizione x, il tempo
dallo scalare t. L’atto di moto è caratterizzato dal campo vettoriale w(x; t).
Ci si limiterà, inoltre, a considerare i bilanci delle sole grandezze scalari (massa, energia, entropia).
§ 2.
Dove si tratta del bilancio della massa.
Sia V il volume di R, dV il volume della particella elementare costituente R. Detta (x; t) [kg/m3] la
distribuzione della massa volumica in R, la massa della particella che si trova nella posizione x
all’istante t è
dM= dV [kg]
La massa contenuta in R all’istante t risulta quindi
M(t)= R dV [kg]
La velocità di variazione di M nel tempo è data dalla derivata
dM/dt= d(R dV)/dt [kg/s]
Il flusso avvettivo elementare della massa attraverso l’elemento di frontiera dA è
dM= – wn dA [kg/s]
tale quantità è positiva se w e n sono discordi, ovvero se il flusso di massa entra in R.
Il flusso avvettivo della massa attraverso la frontiera R risulta quindi
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
41
M= –R wn dA [kg/s]
Il flusso diffusivo della massa è originato dalla presenza di un gradiente di concentrazione delle
specie chimiche costituenti il fluido ed è pertanto assente, in quanto il sistema per il quale si scrive
il bilancio della massa è la miscela nel suo complesso. Del pari, è nullo anche il termine di
generazione, poiché la massa non si crea né si distrugge.
Il bilancio della massa è dunque stipulato dalla relazione
dM/dt= M
ovvero
d(R dV)/dt= –R wn dA
Si intende che l’integrale di superficie è nullo sulle porzioni della frontiera eventualmente
impermeabili, dove, cioè, w=0.
In regime stazionario M è costante, quindi
dM/dt= 0= M
La prima equazione (dM/dt= 0) significa che non vi è accumulo di massa in R; la seconda (M= 0)
indica che il flusso avvettivo entrante è pari al flusso avvettivo uscente attraverso le porzioni
permeabili di R.
Dall’equazione di bilancio della massa sopra determinata si ricava una formulazione di pratico
impiego alle condizioni che seguono, le quali sono con buona approssimazione verificate in gran
parte dei contesti applicativi:
1. la frontiera è costituita da una porzione impermeabile e da sezioni permeabili, distinte in N
ingressi e M uscite;
2. w e n sono paralleli in ogni punto della sezione: sia w il loro prodotto scalare;
3. le proprietà termofisiche sono uniformi sulle sezioni permeabili.
E’utile definire la velocità media di sezione <w>, applicando il teorema della media agli integrali
che figurano nell’espressione del flusso avvettivo: detta R’ una sezione d’ingresso o di uscita del
flusso, si ha
–R’ wn dA= <w>A =
dove A è l’area della sezione R’ [m2] ed il segno + vale se w e n sono discordi (flusso entrante),
mentre il segno – vale se w e n sono concordi (flusso uscente).
vien detta “portata in massa” fluente attraverso la sezione R’ [kg/s].
Il bilancio della massa può allora scriversi nella forma
dM/dt= i=1:N i – j=1:M j
In regime stazionario
i=1:N i = j=1:M j
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
42
ovvero, in assenza di accumulo di massa in R, la somma delle portate in massa entranti in R
eguaglia la somma delle portate in massa uscenti da R.
§ 3.
Dove si tratta del bilancio dell’energia.
Sia V il volume di R, dV il volume della particella elementare costituente R. Detta e*(x; t) la
distribuzione dell’energia (somma delle energie meccanica ed interna) per unità di massa [J/kg],
l’energia della particella di massa dM= dV, che si trova nella posizione x all’istante t è
dE= e* dV [J]
L’energia contenuta in R all’istante t risulta quindi
E(t)= R e* dV [J]
La velocità di variazione di E nel tempo è data dalla derivata
dE/dt= d(R e* dV)/dt [W]
Il flusso avvettivo elementare dell’energia attraverso l’elemento di frontiera dA è
dE= – e* wn dA [W]
tale quantità è positiva se w e n sono discordi, ovvero se il flusso di massa entra in R.
Il flusso avvettivo dell’energia attraverso la porzione permeabile della frontiera R’ risulta quindi
E= –R’ e* wn dA [W]
Il flusso diffusivo dell’energia attraverso la frontiera R occorre a seguito di interazioni meccaniche
o termiche.
Il flusso diffusivo per interazione meccanica (detto anche “di lavoro”) è dovuto allo stato di sforzo
cui è soggetto il fluido in movimento, che si manifesta con l’insorgere di un gradiente di velocità.
Esso risulta nullo attraverso le pareti impermeabili fisse, poiché non si sposta il punto di
applicazione delle forze agenti.
Le pareti impermeabili mobili consentono invece un flusso di lavoro detto in vari modi, fra i quali si
menzionano “utile”, “tecnico”, “d’albero” o “d’elica”, tutte denominazioni di origine ingegneristica
che si spiegano da sé. Nel seguito, si utilizzerà il simbolo u per indicare il flusso di lavoro utile o
potenza meccanica utile [W].
Attraverso le sezioni permeabili si ha invece il flusso di lavoro detto “di pulsione” o “di spinta”, p,
che, con ottima approssimazione, si ritiene dovuto alla pressione del fluido, trascurando l’effetto
degli sforzi normali viscosi sulle sezioni. Detta p(x; t) la distribuzione della pressione sulla frontiera
[N/m2], la forza elementare agente sull’elemento di superficie dA, dovuta alla pressione è
dFp= –p n dA [N]
La potenza meccanica elementare scambiata dalla particella che attraversa la porzione permeabile
della frontiera R’ con velocità w è data dal prodotto scalare
dFpw= –p wn dA [W]
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
43
Il flusso di lavoro di pulsione attraverso la frontiera risulta dunque
p= –R’ p wn dA [W]
Il flusso diffusivo dell’energia per interazione termica (detto anche “di calore”), Q, è dovuto alla
presenza di un gradiente di temperatura e, come già rilevato in generale, si ritiene trascurabile
attraverso le sezioni permeabili.
Raccogliendo nel termine GE eventuali flussi di energia dovuti ad interazioni chimiche o con campi
di forza esterni (termine di sorgente/pozzo), il bilancio dell’energia si può scrivere come segue
dE/dt= E +p +u +Q +GE [W]
d(R e* dV)/dt= –R’ e* wn dA –R’ p wn dA +u +Q +GE [W]
E’ usuale accorpare i primi due addendi del secondo membro, ponendo
–R’ p wn dA= –R’ pv* wn dA
In tal modo pv* risulta il lavoro di pulsione per unità di massa [J/kg] ed è possibile scrivere
–R’ e* wn dA –R’ p wn dA= –R’ (e* +pv*) wn dA
Il bilancio dell’energia risulta quindi
d(R e* dV)/dt= –R’ (e* +pv*) wn dA +u +Q +GE [W]
In regime stazionario si ha
–R’ (e* +pv*) wn dA +u +Q +GE= 0 [W]
Come per il bilancio della massa, dall’equazione dell’energia sopra scritta si ricava una
formulazione di pratico impiego alle condizioni che seguono, le quali sono con buona
approssimazione verificate in gran parte dei contesti applicativi:
1. la frontiera è costituita da una porzione impermeabile e da sezioni permeabili, distinte in N
ingressi e M uscite;
2. w e n sono paralleli in ogni punto della sezione: sia w il loro prodotto scalare;
3. le proprietà termofisiche sono uniformi sulle sezioni permeabili.
Applicando il teorema della media agli integrali che figurano nell’espressione del flusso avvettivo si
ottiene, per la generica sezione d’ingresso o di uscita R’
–R’ (e* +pv*) wn dA= <(e* +pv*)w> A
Si noti che, in base alla definizione di entalpia, h*= u* + pv*
e* +pv*= u* +w2/2 +gz +pv*= h* +w2/2 +gz
Si può dunque scrivere
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
44
–R’ (e* +pv*) wn dA= A (<h*w> + <w3>/2 + g <zw>)
Una scrittura più significativa si ottiene facendo comparire la portata in massa = <w>A, che
attraversa la sezione R’:
A (<h*w> + <w3>/2 + g <zw>)= (<h*w> + <w3>/2 + g <zw>)/<w>
Quest’ultima formulazione permette di definire le seguenti grandezze medie:
1. entalpia media per unità di massa
hm*= <h*w>/<w> [J/kg]
2. energia cinetica media per unità di massa
ec,m*= <w3>/(2 <w>) [J/kg]
3. energia potenziale media per unità di massa
ep,m*= <zw>/<w> [J/kg]
Talora ci si riferisce a queste grandezze con il termine “medie di portata” in quanto esse in generale
differiscono dalle rispettive “medie di sezione” <h*>, <w2>/2, <z>; infatti, le due medie coincidono
solo se l’atto di moto w è uniforme sulla sezione, cosicché w esce da tutti gli integrali e si
semplifica. Questa condizione non è mai rigorosamente verificata; tuttavia in gran parte delle
applicazioni tecniche il moto del fluido è caratterizzato dal regime detto “turbolento”, in cui si può
ritenere la distribuzione della velocità uniforme sulle sezioni permeabili, eccetto che in una regione
molto prossima alle pareti fisse che le delimitano (regione di parete o strato limite viscoso), dove si
osserva una rapida diminuzione della velocità, che si annulla sulla parete (condizione di aderenza).
Proprio in virtù della ridottissima estensione di questa regione di parete, si può approssimare la
media del prodotto al prodotto delle medie: <h*w>= <h*><w>, <w3>= <w2><w>, <zw>= <z><w>;
in questo caso, dunque, le medie di portata coincidono praticamente con le medie di sezione.
Il bilancio dell’energia può allora scriversi nella forma
dE/dt= i=1:N i (hm* +ec,m
* +ep,m*)|i – j=1:M j (hm
* +ec,m* +ep,m
*)|j +u +Q +GE [W]
In regime stazionario
i=1:N i (hm* +ec,m
* +ep,m*)|i – j=1:M j (hm
* +ec,m* +ep,m
*)|j +u +Q +GE= 0 [W]
§ 4.
Dove si tratta del bilancio dell’entropia.
Considerando il sistema isolato costituito dal volume di controllo R e da tutti i sistemi con cui esso
interagisce, il secondo principio della termodinamica è formalizzato dalla disequazione
Stot 0
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
45
che stabilisce l’aumento dell’entropia dovuta all’irreversibilità dei processi (Stot> 0) e la sua
stazionarietà (Stot= 0) nel caso di processi reversibili.
I sistemi con cui R ha interazioni possono essere distinti in tre categorie:
1. serbatoi di massa, dai quali proviene o ai quali è diretto il flusso di massa che entra od esce
attraverso le porzioni permeabili della frontiera; la variazione di entropia di un serbatoio di
massa è eguale, ma di segno opposto, alla variazione di entropia di R dovuta al flusso
avvettivo della massa (ciò che esce dal serbatoio, entra in R e viceversa);
2. serbatoi di lavoro, ovvero i sistemi che scambiano con R il lavoro utile; essi non presentano
variazioni significative dello stato termodinamico, poiché in essi avvengono trasformazioni
meccaniche: si può, dunque, ritenere nulla la variazione di entropia di un serbatoio di lavoro,
conseguente ad un flusso diffusivo di energia meccanica;
3. serbatoi di calore, ovvero i sistemi che scambiano con R energia per interazione termica;
qualora mantengano costante la loro temperatura (come, ad esempio, l’atmosfera) si dicono
termostati; la variazione di entropia di un serbatoio di calore è pertanto eguale, ma di segno
opposto, alla variazione di entropia di R dovuta al flusso diffusivo di energia per interazione
termica.
Interpretando l’eventuale aumento dell’entropia dell’universo nell’unità di tempo come un termine
di generazione
GS= dStot/dt 0 [W/K]
è possibile formulare il secondo principio della termodinamica in forma analoga a quella dei bilanci
della massa e dell’energia visti in precedenza.
Sia V il volume di R, dV il volume della particella elementare costituente R. Detta s*(x; t) la
distribuzione dell’entropia per unità di massa [J/(kg K)], l’entropia della particella di massa
dM= dV, che si trova nella posizione x all’istante t è
dS= s* dV [J/K]
L’entropia contenuta in R all’istante t risulta quindi
S(t)= R s* dV [J/K]
La velocità di variazione di S nel tempo è data dalla derivata
dS/dt= d(R s* dV)/dt [W/K]
Il flusso avvettivo elementare dell’entropia attraverso l’elemento di frontiera dA è
dS= – s* wn dA [W/K]
tale quantità è positiva se w e n sono discordi, ovvero se il flusso di massa entra in R.
Il flusso avvettivo dell’entropia attraverso la porzione permeabile della frontiera R’ risulta quindi
S= –R’ s* wn dA [W/K]
Il flusso diffusivo dell’entropia attraverso il contorno, S,Q, come si è detto sopra, è conseguente
alle sole interazioni termiche.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
46
Si può dunque scrivere il “bilancio dell’entropia”
dS/dt= S +S,Q +GS [W/K]
d(R s* dV)/dt= –R’ s* wn dA +S,Q +GS [W/K]
Come per il bilancio della massa e dell’energia, dall’equazione sopra scritta per l’entropia si ricava
una formulazione di pratico impiego alle condizioni che seguono, le quali sono con buona
approssimazione verificate in gran parte dei contesti applicativi:
1. la frontiera è costituita da una porzione impermeabile e da sezioni permeabili, distinte in N
ingressi e M uscite;
2. w e n sono paralleli in ogni punto della sezione: sia w il loro prodotto scalare;
3. le proprietà termofisiche sono uniformi sulle sezioni permeabili;
4. l’interazione termica avviene con K termostati.
Applicando il teorema della media agli integrali che figurano nell’espressione del flusso avvettivo si
ottiene, per la generica sezione d’ingresso o di uscita R’
–R’ s* wn dA= <s*w>A
Analogamente a quanto fatto per l’energia, si definisce l’entropia per unità di massa media di
portata
sm*= <s*w>/<w> [J/(kg K)]
per la quale valgono le medesime considerazioni relative al legame con la grandezza media di
sezione <s*>, cui si rimanda il lettore.
Inoltre, in base all’ipotesi 4, detto Q,k il flusso di energia scambiato per interazione termica
(potenza termica) con il k-esimo termostato, il relativo flusso di entropia è dato da
S,Q= k=1:K Q,k/Tk
Si può dunque scrivere il “bilancio di entropia” nella forma
dS/dt= i=1:N i sm,i* – j=1:M j sm,j
* + k=1:K Q,k/Tk + GS [W/K]
In regime stazionario
i=1:N i sm,i* – j=1:M j sm,j
* + k=1:K Q,k/Tk + GS= 0 [W/K]
§ 5.
Dove si espongono alcune nozioni fondamentali di energetica.
Un problema interessante dal punto di vista dell’ingegnere è stabilire il minimo lavoro “consumato”
o il massimo lavoro “prodotto” in un certo processo: ciò corrisponde al miglioramento delle
prestazioni di un sistema di conversione dell’energia.
Si può dare risposta al quesito indagando quali siano i limiti posti dal secondo principio della
termodinamica alla conversione dell’energia, il cui saldo è stabilito dal primo principio.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
47
A tal fine si consideri un sistema isolato I, costituito dai sottosistemi disgiunti, S, A, W:
I=SAW. Le interazioni possibili si hanno solo fra S e A e fra S e W. Il sistema A (che
rappresenta l’atmosfera) è a sua volta composto da un termostato a temperatura TA e da un serbatoio
di lavoro alla pressione pA. S può dunque avere con A interazioni di tipo calore (QS= QA) e di tipo
lavoro (per variazione di volume, Lv,S= LA =pAVA= pAVS). Il sistema W è un serbatoio di
lavoro (che si può dire utilizzabile, Lu,S). S può dunque avere solo interazioni di tipo lavoro
(qualunque) con W.
Il sistema S compia una trasformazione (qualsiasi) da uno stato di equilibrio iniziale ad uno stato di
equilibrio finale.
Il primo principio della termodinamica per il sistema S porge
US =QS –pAVS +Lu,S
Il secondo principio della termodinamica per il sistema I porge
SI =SS +SA =SS +QA/TA =SS –QS/TA 0
I due bilanci possono riunirsi in una sola equazione, ricavando QS dall’ultima relazione e
sostituendola nella prima, ovvero
QS = TASS –TASI
US = TASS –TASI –pAVS +Lu,S
Dall’ultima relazione può esprimersi il lavoro utilizzabile
Lu,S = (US –TASS +pAVS) +TASI
Essa inoltre è la risposta alla domanda iniziale, come risulta dalle considerazioni che seguono.
Il lavoro utilizzabile è espresso come somma di due addendi: la variazione di una funzione degli
stati del sistema e dell’ambiente
US – TASS + pAVS
e un termine che è nullo solo se il processo è reversibile (SI=0), altrimenti è positivo (SI>0). Se
ne deduce che
Lu,Srev= (US –TASS +pAVS)
Si supponga che nella trasformazione il sistema S “consumi” lavoro utilizzabile, cioè Lu,S>0.
Risulta Lu,S>Lu,Srev, ovvero l’irreversibilità accresce il “consumo” di lavoro.
Si supponga che nella trasformazione il sistema S “produca” lavoro utilizzabile, cioè Lu,S<0. Risulta
|Lu,S|<|Lu,Srev|, ovvero l’irreversibilità riduce la quantità di lavoro “prodotto”.
Si stabilisce allora la seguente notazione:
(US – TASS + pAVS) si dice exergia, EX; TASI si dice exergia distrutta EXd; quindi
Lu,S= (EX) +EXd
Questa relazione si dice anche “bilancio exergetico”
In particolare, se la trasformazione porta il sistema S in equilibrio con l’ambiente A, il lavoro
massimo “ottenibile” nel processo
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
48
S0= –Lu,S
rev= (US –UA) –TA(SS –SA) +pA(VS –VA)
si dice energia disponibile di S rispetto ad A.
Quanto sopra può essere ulteriormente esteso per descrivere in modo più accurato un sistema
energetico; in particolare, è opportuno dapprima considerare la presenza di altri termostati e poi
l’eventualità che S sia un sistema fluente.
Dati dunque N termostati i a temperatura Ti (i=1,…,N), sia Qi l’energia scambiata da S
nell’interazione (termica) con i, mentre QS continui a designare l’energia scambiata da S
nell’interazione (termica) con l’ambiente a temperatura TA.
Il primo principio ed il secondo principio della termodinamica porgono rispettivamente
US=QS +i=1:N Qi –pAVS +Lu,S
SI=SS+SA+i=1:N Si =SS –QS/TA –i=1:N Qi/Ti0
Come sopra, le due equazioni vengono riunite, eliminando QS
US= i=1:N (1 –TA/Ti) Qi +TASS –TASI –pAVS +Lu,S
Si ottiene infine
Lu,S= (US –TASS +pAVS) –i=1:N (1 –TA/Ti) Qi +TASI
Il secondo termine viene detto “exergia del calore”, EXQ. Si comprende la ragione di questo nome,
se si considera il caso particolare in cui S operi una trasformazione ciclica: in gergo ingegneristico
si dice che S è una “macchina ciclica” o, più semplicemente un “ciclo”; la sua importanza tecnica
consiste nella possibilità di funzionamento continuo, grazie alla ripetizione della successione di
trasformazioni che compongono il ciclo, al termine della quale, infatti, il sistema viene riportato allo
stato iniziale e quindi è nulla la variazione delle grandezze di stato. In questo caso il bilancio
exergetico assume la forma
Lu,S= –i=1:N (1 –TA/Ti) Qi +TASI
Un caso di grande rilievo si ottiene considerando due soli termostati: al solito si riservi A per
designare l’atmosfera, mentre B indichi l’altro termostato, a temperatura TB, con il quale S scambia
per interazione termica l’energia QSB.
Il bilancio exergetico porge
Lu,S= –(1 –TA/TB) QSB +TASI= –EXQ +EXd
Se il processo ciclico è reversibile, dall’essere SI=0 e quindi EXd=0, si ottiene
Lu,S= –(1 –TA/TB) QSB = –EXQ
Le due relazioni precedenti permettono di evidenziare i seguenti casi notevoli per la loro
applicazione tecnica:
1. se TA<TB, Lu,S>0 se e solo se QSB<0 ovvero la macchina ciclica trasferisce energia per
interazione termica al termostato a più alta temperatura, a spese di un “consumo” di lavoro
(pompa di calore); se il processo è irreversibile, il lavoro “consumato” risulta accresciuto
della quantità TASI;
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
49
2. se TA<TB, Lu,S<0 se e solo se QSB>0 ovvero la macchina ciclica “produce” lavoro, a spese di
un “consumo” di calore “prelevato” dal termostato a più alta temperatura (motore); se il
processo è irreversibile, il lavoro “prodotto”, Lu,S, risulta diminuito della quantità TASI;
3. se TA>TB, Lu,S>0 se e solo se QSB>0 ovvero la macchina ciclica sottrae energia per
interazione termica al termostato a più bassa temperatura, a spese di un “consumo” di lavoro
(frigorifero) ; il lavoro “consumato” risulta accresciuto della quantità TASI.
Si noti che il lavoro scambiato nel processo ciclico reversibile è sempre pari, in valore assoluto,
all’exergia del calore e che esso risulta massimo, se uscente dal sistema (motore), minimo, se
entrante (pompa di calore, frigorifero). L’exergia distrutta nel processo ciclico irreversibile
corrisponde quindi, rispettivamente, all’energia non utilizzata nel motore e all’energia consumata in
più nella pompa di calore e nel frigorifero, a causa delle fonti dell’irreversibilità.
Il fattore (1 –TA/TB) prende anche il nome di “fattore di Carnot”, poiché fu individuato per la prima
volta nella storia della scienza da Nicholas Sadi Carnot nell’analisi termodinamica delle macchine
motrici.
Alla luce delle considerazioni svolte finora, è possibile dare la seguente formulazione sintetica del
bilancio exergetico:
Lu,S= (EX) –EXQ +EXd
Se, poi, S è un sistema fluente, l’exergia è anzitutto riferita alle condizioni di ingresso e di uscita;
essa, inoltre, risulta modificata con l’inglobarvi l’energia meccanica totale (cinetica e potenziale) ed
il cosiddetto lavoro di pulsione. Con riferimento all’unità di massa fluente*:
ex*=u* +pv* +w2/2 +gz –TAs* +pAv*
ovvero, dalla definizione di entalpia
ex*=h* +w2/2 +gz –TAs* +pAv*
La forma generale del bilancio exergetico può dunque essere riproposta tal quale con riferimento
all’unità di massa fluente:
l*u,S= (ex*) –ex*
Q +ex*d
§ 6.
Dove si illustra la rappresentazione di stati e processi dei sistemi energetici nel piano (U,S).
Alcuni dei concetti espressi nel paragrafo precedente, trovano un’interessante rappresentazione su
un diagramma che si ottiene dalla sezione della (iper)superficie U=U(S,V,Ni) con un (iper)piano
descritto dalle equazioni V= costante, Ni= costante. Per semplicità si consideri un sistema
monocomponente: il diagramma considerato, detto piano energia – entropia, riporta l’energia
interna U sulle ordinate e l’entropia S sulle ascisse. I punti appartenenti alla superficie
fondamentale, che rappresentano stati di equilibrio, sono allineati su una curva . Data la convessità
della relazione fondamentale U=U(S,V,N), essa risulta monotona crescente e convessa; inoltre,
poiché (U/S)V,N= T, il coefficiente angolare della retta tangente a in ogni punto rappresenta la
temperatura termodinamica assoluta. In base al principio di Nernst (terzo principio della
termodinamica) per S=0, T=0, ovvero la retta tangente è parallela all’asse delle ascisse.
* la lettera minuscola con asterisco indica una grandezza estensiva specifica alla massa.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
50
Se un sistema termodinamico non si trova in uno stato di equilibrio, nell’ipotesi che sussista tuttavia
equilibrio locale, la sua energia e la sua entropia consistono nella somma delle energie e delle
entropie delle particelle costituenti: è dunque possibile rappresentare lo stato di non equilibrio
(globale) con un punto sul piano (U,S): tale punto deve giacere nel semispazio soprastante la curva
degli stati di equilibrio; infatti, in base alle considerazioni svolte in precedenza sulla stabilità
dell’equilibrio*, l’entropia dello stato di non equilibrio deve risultare minore dell’entropia dello
stato di equilibrio stabile a pari energia, ovvero l’energia dello stato di non equilibrio deve essere
maggiore di quella dello stato di equilibrio stabile a pari entropia. E’ facile verificare che i punti
appartenenti al semispazio sottostante la curva degli stati di equilibrio non soddisfano a queste
condizioni.
Partendo da uno stato di non equilibrio, uno stato di equilibrio può essere raggiunto mediante tre
tipi di processi significativi:
1. Processo ad energia interna costante.
Il sistema è isolato e lo stato di equilibrio è il punto appartenente a , avente la massima
entropia a pari energia interna; si tratta perciò di un processo “spontaneo”, poiché il sistema
non ha interazioni con l’esterno.
2. Processo ad entropia costante.
Il sistema varia la propria energia interna interagendo esclusivamente con serbatoi di lavoro;
lo stato di equilibrio è caratterizzato dalla minima energia a pari entropia (si noti che il
volume è costante) e la differenza fra l’energia interna iniziale e l’energia interna finale,
rappresentata nel diagramma (U,S) come la lunghezza del segmento congiungente i due
stati, prende il nome di “disponibilità adiabatica” : essa rappresenta la massima quantità di
energia che può essere ceduta dal sistema in un’interazione meccanica che lo porti nello
stato di equilibrio a pari entropia (massimo lavoro utile prodotto nel processo); perciò il
processo viene detto meccanico reversibile.
3. Processo in cui variano sia l’energia sia l’entropia a seguito dell’interazione con un
termostato a temperatura T0.
Lo stato di equilibrio è caratterizzato dal punto appartenente a tale che il coefficiente
angolare della retta tangente alla curva è la temperatura T0 del termostato. In base alla
definizione data nel paragrafo precedente, l’energia disponibile rispetto al serbatoio
(massimo lavoro utile prodotto nel processo) è
0= (U –U0) –T0(S –S0)
Anche 0 può essere agevolmente rappresentata sul diagramma (U,S) mediante la seguente
costruzione grafica:
si tracci dallo stato di non equilibrio la semiretta ad entropia costante nel verso opposto a
quello dell’asse U;
si prolunghi la retta tangente a nello stato di equilibrio fino ad intersecare detta
semiretta in un punto sottostante .
La lunghezza del segmento delimitato dal punto d’intersezione e dal punto che rappresenta
lo stato di non equilibrio è pari a 0.
* si veda il capitolo 5, § 7.
Luigi P.M. Colombo, Annotazioni di Termodinamica.
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Bibliografia didattica essenziale
La letteratura didattica sulla termodinamica e, in particolare, sulla termodinamica tecnica è
pressoché sterminata e gli studenti sono invitati alla consultazione dei numerosi testi disponibili
presso il Sistema Bibliotecario d’Ateneo.
Per la redazione di queste note, l’autore si è avvalso principalmente dei seguenti testi:
1) Calore e termodinamica, di Mark W. Zemansky, ed. Zanichelli, 1970.
2) Thermodynamics and an Introduction to Thermostatistics, di H. B. Callen, ed. John Wiley and
Sons, 1985 (vi anche è una traduzione italiana meno recente, edita da Tamburini, 1972).
3) Appunti di Fisica Tecnica, di G. Dassù, ed. CUSL, 1982.
4) Introduzione alla Termodinamica Tecnica, di E. Pedrocchi e M. Silvestri, ed. Città Studi, 1994.