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RODRIGO MÍGUEZ NÚÑEZ TERRA DI SCONTRI ALTERAZIONI E RIVENDICAZIONI DEL DIRITTO ALLA TERRA NELLE ANDE CENTRALI 97

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RODRIGO MÍGUEZ NÚÑEZ

TERRA DI SCONTRIALTERAZIONI E RIVENDICAZIONI

DEL DIRITTO ALLA TERRA NELLE ANDE CENTRALI

97

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UNIVERSITA’ DI FIRENZEFACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

CENTRO DI STUDIPER LA STORIA DEL PENSIEROGIURIDICO MODERNO

BIBLIOTECAfondata nel 1973 da PAOLO GROSSIdiretta da BERNARDO SORDI

VOLUME NOVANTASETTESIMO

La sede del Centro di Studi è in Firenze(50129) - piazza Indipendenza, 9

www.centropgm.unifi .it

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Per la storia del pensiero giuridico moderno

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RODRIGO MÍGUEZ NÚÑEZ

TERRA DI SCONTRI

Alterazioni e rivendicazioni del diritto alla terranelle Ande centrali

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ISBN 88-14-18045-8

Questa pubblicazione è stata fi nanziata dal programma di formazionein “Storia, Sociologia, Antropologia e Filosofi a delle culture

giuridiche europee” nell’ambito del Marie Curie Early Stage Trainingdella CE, Contratto Mest-Ct- 2005-021145

© Copyright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano - 2013

La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfi lm, i fi lm, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i Paesi.

Tipografi a «MORI & C. S.p.A.» - 21100 Varese - Via F. Guicciardini 66

TUTTE LE COPIE DEVONO RECARE IL CONTRASSEGNO DELLA S.I.A.E.

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Ad Antonella

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PRESENTAZIONE

È per me un piacere scrivere qualche riga di presentazione diquesta bella monografia di Rodrigo Míguez, studioso cileno checonobbi in Perù ormai parecchi anni orsono quando, giovanissimo,venne ad ascoltare una mia conferenza sul Codice Civile peruvianopresso una locale Università. Rodrigo Míguez voleva studiare inItalia e in quell’occasione lo incoraggiai a partecipare a un dottoratodi ricerca in diritto civile che all’ epoca coordinavo a Torino. Ilrapporto scientifico con lui si è mantenuto a distanza in anni in cuiil nostro, in qualche modo “adottato” dalla scuola fiorentina, viag-giava molto fra Firenze, Parigi e Londra portando avanti un per-corso di studi storici, comparatistici e interdisciplinari, di cui questovolume è il frutto più maturo. Il giovane Míguez, infatti, allievo delraffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare,come il maestro, le proprie energie allo studio dei beni e delle formegiuridiche di appartenenza. Egli, soprattutto, voleva farlo al fine disottoporre a critica quel modello proprietario individualistico che,pur caratterizzando la dogmatica giuridica su cui si era formato, nonlo convinceva appieno proprio perché egli lo sentiva lontano dallarealtà del proprio paese. Per me quindi fu del tutto naturale ilsuggerirgli di bussare all’uscio di Paolo Grossi, anche memoredell’indelebile impatto formativo che lo studio dell’ “altro modo dipossedere” aveva avuto su di me quando, a mia volta giovanegiurista, lo avevo studiato a fondo in vista del mio primo corso sullaproprietà privata tenuto all’ Università di Trento nel lontano 1985.

Gli anni drammatici immediatamente a cavallo fra il secoloscorso e il nostro, avevano stimolato, oltre a varie forme di ristrut-turazione di modelli proprietari astratti, individualistici ed efficien-tistici, promossi dal modello di sviluppo neoliberale trionfante,anche non pochi importanti fenomeni di “resistenza latina”. Inparticolare nel diritto civile era stata la Bolivia a offrire i primi

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contributi per una ristrutturazione culturale profonda dei rapportifra l’individuo e la terra, mentre era l’Equador a inaugurare unastagione di pieno riconoscimento, anche costituzionale, della naturacome portatrice di diritti propri, non mediati dal paradigma antro-pocentrico dominante la modernità. Nel diritto comparato il mondolatino-americano stava finalmente rivendicando una propria identità“sistemologica”, scrollandosi di dosso la pesante eredità eurocen-trica che lo voleva mera epifania della tradizione romanistica. Conl’inizio del nuovo secolo, e ancor più significativamente dopo lagrande crisi del 2007, la “periferia” soprattutto latino-americana,offriva modelli giuridici e qualche speranza politica per un diversomodello di convivenza civile meno mercatistico ed individualizzante.

Anche in Italia la riflessione civilistica sulle forme giuridiche diappartenenze cominciava a intrecciarsi con quella più generale suirapporti fra pubblico e privato e in questo quadro la nozione deibeni comuni, grazie all’impulso ricevuto dalla “commissione Ro-dotà”, cominciava a fornire indicazioni preziose per un ripensa-mento profondo di categorie, anche costituzionali, rese obsoletedalla globalizzazione economica. È in questo contesto che il contri-buto di Míguez vede la luce. Si tratta di un ambiente culturale,quello italiano, che si colloca all’avanguardia in questi sviluppi (dibeni comuni cominciano a parlare anche le nostre Corti) e cheproprio per questo ha più che mai bisogno di modelli di riferimentotestati dalla storia. Naturalmente, i materiali utili alla riflessionedevono essere culturalmente provveduti ed è questo, mi pare, ilprincipale merito della monografia di Míguez. L’Autore applica unconsapevole metodo archeologico, seguendo i successivi strati storiciche l’imposizione di modelli occidentali ha lasciato sedimentarenell’area di riferimento. Naturalmente, egli non si accontenta diseguire il diritto formale ma va a cercare la giuridicità nel mondo deifatti (importanti sono le sue precisazioni terminologiche in apertura)facendo tesoro della letteratura antropologica ed economica con cuisi è famigliarizzato. Ciò che Míguez trova e ben descrive non èsoltanto un diverso diritto fondiario ma un intero immaginariogiuridico, una cosmologia giuridica, che fin dalle sue antichissimeradici pre-colombiane, si relaziona ecologicamente con un territorio“estremo”, rispettandone i tratti profondi e traendone vita. La stessadivisione fra terra e lavoro è priva di senso in questo mondo di

PRESENTAZIONEVIII

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“commoning” andino, così fortemente fondato su una filosofiadell’essere (dello status si potrebbe dire) e della relazione e non certosulla figura possessiva e materialista dell’ individuo borghese ab-biente, che solitario in quel mondo, non potrebbe che soccomberealla forza degli elementi. Il principale fra gli “scontri” che Míguezindaga nel suo divenire storico, si colloca nel quadro di relazioni dipotere in cui il diritto borghese, sempre dalla parte del più forte,trova comunque resistenze istituzionali dal sotto in su da parte di undiritto vivo ed ecologico, capace di mantenere la vita e al contempotrasformare la modellistica giuridica importata lo e non soltanto diesserne trasformato.

A ben vedere, si tratta di uno scontro che si riproduce oggi suscala globale, quello fra le istituzioni “estrattive” volte alla massi-mizzazione del profitto “qui e adesso”, fondate su una filosofiadell’accumulo proprietario, della rendita fondiaria, e dell’ individua-lismo possessivo e istituzioni “generative”, che propongono unavisione di lungo periodo e sostengono un equilibrio ecologicofortemente contestualizzato. Dove si pone la proprietà borghese inquesto scontro? Dove quella sociale “funzionalizzata”? È possibiledarle forma “generativa” e interromperne la deriva sempre maggior-mente “estrattiva” che è seguita alla sua de-materializzazione e allasua globalizzazione? Si tratta a ben vedere della grande sfida istitu-zionale avviata dalla riflessione sui beni comuni, una sfida che ponein discussione la stessa legittimità del binomio proprietà privata-sovranità pubblica che, a partire dalla modernità, in un drammaticoprocesso di accumulazione e di recinzione non originaria ma conti-nuativa, ha stritolato l’ “altro modo” non solo di possedere ma diimmaginare la giuridicità.

I materiali che Míguez ci propone, provenienti da aree geogra-fiche in cui la statualità si è mossa storicamente come un elefantenella cristalleria, sono prezioso carburante per una ricerca lunga maassolutamente necessaria di nuovi rapporti giuridici fra l’uomo e ilsuo ambiente.

Berkeley, Ca. 12 ottobre, 2012, Ugo Mattei

PRESENTAZIONE IX

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CHIARIMENTI PRELIMINARI

Per oltre mezzo millennio le terre alte delle Ande centrali sonostate oggetto di politiche statali riguardanti l’assetto fondiario e irapporti agrari. I temi delle comunità indigene, delle forme diappropriazione tradizionali e delle specificità culturali di questiluoghi sono stati al centro dell’interesse degli studiosi, costituendo,al contempo, una sfida continua per i governi in carica. In questoquadro, il presente studio mira a contribuire alla conoscenza inter-disciplinare dei più significativi « scontri » tra la cultura giuridicaoccidentale e quella tradizionale andina in relazione al rapporto tral’uomo e la terra.

In breve, si tenterà di rispondere a due semplici domande: cisono state nei paesi andini forme alternative di appropriazionefondiaria che si sono contrapposte al modello veicolato dall’azionestatale dopo l’arrivo degli europei? E, data una risposta positiva alladomanda, qual è stato l’effetto del trapianto dell’individualismoproprietario nella regione?

È noto che domande analoghe sono ormai divenute classiche inrapporto allo scenario europeo. La mia curiosità sull’argomento ènata proprio in seguito alla lettura delle opere della civilistica deldiciannovesimo secolo sul Codice civile che incontravo durante imiei studi di giurisprudenza. Mi pareva impossibile che queste operenon gettassero alcuna luce su questioni del genere. Come spiegarequesto silenzio? Ho poi appreso che interrogativi analoghi in Euro-pa avevano alimentato un’ampia riflessione critica, di grande vitalità,che ha rivoluzionato l’approccio al tema, a partire dal capolavoro diPaolo Grossi, intitolato Un altro modo di possedere (1).

Sullo sfondo andino, l’interrogativo basilare da cui è nata questa

(1) P. GROSSI, Un altro modo di possedere. L’emersione di forme alternative diproprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffrè, Milano, 1977.

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ricerca si carica, tuttavia, un’urgenza e uno spessore che in Europapossono essere soltanto intuiti. Si tratta, infatti, di vicende relative alpossesso fondiario ancora in atto, in cui sono coinvolti vari milionidi persone e che il giurista faticherà molto a comprendere senzal’aiuto di altre discipline.

La storia dei conflitti tra l’ideologia europea in materia diproprietà che trova espressione nei codici civili e la cultura originariadelle Ande si presenta, dunque, come la tematica principale diquesto studio. La bibliografia sull’argomento è piuttosto ricca diricerche monografiche; sono rare, invece, le opere che integrino traloro i diversi approcci con cui è viceversa necessario esaminare lavicenda del rapporto tra l’uomo la terra. Si è quindi voluto analizzarel’apporto dei diversi settori di ricerca che si sono occupati del tema,con lo scopo di coordinarne i risultati, di colmare i vuoti lasciati daciascun approccio, di approfondire alcuni temi poco indagati esoprattutto di convogliare i più noti contributi delle diverse scienzeverso la comprensione delle regole tradizionali in materia di assettofondiario andino.

Il tentativo svolto nelle pagine seguenti è debitore degli studistorici — un debito dichiarato in ogni pagina di questo lavoro — maè anche volto ad arricchire l’interpretazione dei fatti proposta dallapenna degli storici, degli economisti, degli antropologi e deglietnostorici. Mettere a frutto le intersezioni tra queste varie disciplinerisulta fondamentale per comprendere pienamente il fenomeno deltrapianto normativo e le dinamiche che ha innescato localmente,nonché per riequilibrare il rapporto tra conoscenze e pratichesociali (2). Lo sforzo, di conseguenza, è diretto a illustrare critica-mente, attraverso gli apporti delle diverse esperienze scientifiche,una serie di dottrine che da un lato hanno « alterato » il sistemaoriginario di accesso alla terra delle società alto-andine, e dall’altrolo hanno « rivendicato » nei suoi tratti salienti. Tali dottrine nonoperano nel vuoto: rispecchiano la concretezza dei rapporti sociali epolitici del loro tempo, in virtù della mobilitazione delle forze socialiche costruiscono, in ogni epoca, il diritto. Il diritto, inteso comestrumento di dominazione, e la risposta al suo utilizzo in ogni

(2) Cfr. B. S. SANTOS, Um conhecimento prudente para uma vida decente: umdiscurso sobre as ciências, Editora Cortez, São Paulo, 2004.

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contesto storico giocano, perciò, un ruolo fondamentale nel nostrolavoro.

Avvertiamo il lettore che la ricostruzione storica di seguitoproposta non giunge a presentare un itinerario critico completo elineare della vicenda agraria nelle Ande centrali. Si sono voluticogliere i nessi evidenti tra le diverse dottrine imposte dallo Statonelle Ande, dalle quali sorgono rapporti di continuità e discontinui-tà; incontri, ma sopratutto scontri tra i diversi attori insediati nelleAnde. In quest’ordine di idee, l’ambizione non è stata quella digiungere a una ricostruzione di tutte le tematiche riguardanti ilmondo andino che avrebbero potuto illuminare ulteriormente lostudio dell’argomento. Importanti temi come la religione, i rapportidi genere nella vita delle comunità, l’analisi approfondita del for-mante giurisprudenziale rispetto al diritto di fonte statale, lo scena-rio del diritto internazionale e la situazione attuale della zonastudiata ricevono risposte puramente ipotetiche o sono appenaaccennate.

Da una prospettiva epistemologica, il libro nasce dalla critica alsistema fondiario occidentale trapiantato nella zona andina. Noti eclassici studi hanno insistito sulla continuità tra i sistemi giuridicilatinoamericani e quelli europei in tutte le aree del diritto privato diradice romanistica. Il tentativo proposto è invece indirizzato asottolinearne le differenze, con lo scopo di rivendicare l’identitàculturale del diritto originario e vivo della regione oggetto di studio.

Per facilitare la lettura dell’opera, conviene riepilogarne qui ipassaggi principali.

Il libro esplora quella che, nel vocabolario della dottrina giuri-dica occidentale, rappresenta la « proprietà » fondiaria rurale mache, per le ragioni sviluppate nel capitolo introduttivo, è statadenominata diversamente con un vocabolario riferito all’appropria-zione, al possesso, ai rapporti fondiari, ai diritti alla terra, ecc. inmodo tale da non pregiudicare immediatamente l’analisi dei rapportiin atto sul terreno. Tuttavia, tale tecnica discorsiva non può lottarecontro la penetrazione, a ragione di fenomeni storici complessi,dell’utilizzo del termine « proprietà » nel linguaggio delle testimo-nianze scritte, degli stessi indigeni e dei testi legislativi della zona. Sifarà dunque riferimento alla proprietà ove si analizzino istituzionigiuridiche o dichiarazioni che l’adoperino.

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Per quanto riguarda l’area geografica coperta, il nostro studio sioccupa delle Ande centrali. Questa zona si estende dalla lineadell’Equatore fino ai 20° di latitudine a sud rispetto a essa e includel’area più vasta (all’incirca di 900 km) della Cordigliera nella suaestensione ovest-est. All’interno di quest’area, si è esaminata unazona geografica più ristretta, limitando l’analisi del sistema fondiarioalle popolazioni, organizzate secondo i modelli tradizionali, che sitrovano grosso modo al di sopra dei 2.500 m. tra i paralleli 12°-20°latitudine sud e i meridiani 75°-64° longitudine ovest. La zona diriferimento, in breve, comprende una parte dell’altopiano andino(puna), area geografica con un’altitudine media di 3.666 m. che siestende a nord del Cile, nel nordovest argentino, ma soprattuttonelle zone meridionali del Perù e occidentali della Bolivia, areequeste ultime che costituiscono l’oggetto principale del nostro stu-dio.

In America Latina diciassette milioni di persone vivono tra i2.500-3.500 m. di altitudine. Oltre sette milioni popolano territoriche si trovano a circa 4.000 m. di altezza. Di essi, due milioni abitanol’altopiano boliviano (senza tenere conto della popolazione urbana),mentre un milione e mezzo risiede nelle valli interandine in alturesopra i 2.500 m. (3). L’altopiano boliviano occupa solo il 28% dellasuperficie totale del paese, ma comprende il 46% della popolazionerurale nazionale. Nelle alture vicine ai 4.000 m. la popolazione ricavail proprio sostentamento dalla pastorizia e dalle coltivazioni localiresistenti alle gelate e alla siccità. In Perù le più di 6.000 comunitàindigene (ovvero contadine, secondo la legislazione odierna) ricono-sciute legalmente dallo Stato comprendono all’incirca tre milioni dipersone e rappresentano il 40% della popolazione rurale comples-siva. Tale popolazione si trova in possesso di una porzione del 40%del territorio nazionale, costituito per la maggior parte da pascolinaturali ad alta quota (4).

Su queste terre vivono, fin dall’età precolombiana, le popola-

(3) M. URIOSTE-R. BARRAGÁN-G. COLQUE, Los nietos de la reforma agraria: tierra ycomunidad en el altiplano de Bolivia, Fundación Tierra, La Paz, 2007, p. xiii, in base aidati della FAO 2002.

(4) GRUPO ALLPA, Las comunidades campesinas. Retos para el próximo gobierno2006-2011, Grupo Allpa, Lima, 2006, pp. 1-4.

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zioni quechua meridionali e aymara. Tali gruppi sono entrambidiscendenti dalle culture preispaniche Colla e Inca. La popolazioneaymara occupa le terre dell’altopiano nord (localizzate soprattuttonel bacino e sulla piana del lago Titicaca). I quechuas, invece,possiedono estensioni di territorio nella regione sud dell’altopiano enelle zone di altezza inferiore, note come valli interandine.

Il nostro interesse per la zona deriva dal fatto che in essa sitrovano insediati, dai tempi precolombiani, i cosiddetti ayllus, vale adire le comunità indigene, costituite da gruppi di famiglie allarga-te (5). Esse provvedono al controllo e all’uso delle risorse naturalisecondo le regole tradizionali che saranno illustrate nella prima partedel libro. La caratteristica di queste forme di organizzazione èrappresentata dalla loro articolazione, ma anche dalla loro diversità:fattori geografici, storici, di identità culturale e di diverso livello diintegrazione nel mercato, differenziano tra loro le popolazioni inse-diate su questi territori. Tuttavia, tale diversità deve essere intesacome la deviazione locale da un modello generale, comune ai popoliandini qui studiati (6). In questa panoramica, i vocaboli Ande,andino, alto-andino saranno utilizzati come sinonimi per riferirsi allacultura e all’organizzazione tradizionale delle popolazioni aymara equechua. Per contrasto, frequentemente utilizzeremo il termine « oc-cidentale » per denotare ogni espressione culturale aliena alla tradi-zione originaria andina (7).

Il lavoro si compone di un primo capitolo introduttivo e di due

(5) Le comunità dell’altopiano sono chiamate « indigene », « contadine » o « ori-ginarie » . L’aggettivo individua identità comunitarie diverse. Così, l’aggettivo « conta-dine » viene a identificare l’attività produttiva della comunità, mentre i termini « origi-narie » o « indigene » si riferiscono piuttosto alla sua appartenenza etnica. In Bolivia (ein parte in Perù), l’espressione « comunità indigena » è utilizzata principalmente inrelazione ai popoli autoctoni delle pianure. Il termine « originarie » è più recente e vieneutilizzando, soprattutto in Bolivia, per far riferimento alle popolazioni indigene delleterre alte. Cfr. G. DAMONT, Construyendo territorios. Narrativas territoriales aymarascontemporáneas, GRADE-CLACSO, Lima, 2011, p. 21. In quest’opera utilizzeremo l’agget-tivo « indigene » per denominare, indistintamente, le comunità tradizionali dell’altopia-no boliviano e peruviano.

(6) J. GOLTE, Los problemas con las comunidades, in Debate Agrario, 14, 1992, p. 18.(7) Il chiarimento terminologico lascia impregiudicata la questione circa la collo-

cazione dei paesi latino-americani all’interno del mondo occidentale; cfr. M. CARMAGNA-NI, L’altro Occidente. L’America latina dall’invasione europea al nuovo millenio, Einaudi,

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parti divise ulteriormente in capitoli e sezioni. Le note introduttiveintendono proporre un rivalutazione della terminologia per megliodefinire il rapporto tra l’uomo e la terra nelle Ande, prendendospunto da una serie di accenni critici sull’importazione e l’applica-zione storica del concetto di « proprietà » (8) La prima parte èdestinata a spiegare, sulla base dei bilanci etnografici contemporaneisugli studi delle comunità, le regole del sistema fondiario andinotradizionale e le alterazioni che ha subito in due epoche crucialicaratterizzate dallo scontro tra i modelli di appropriazione venuti incontatto: il primo periodo coloniale e l’epoca dell’indipendenzarepubblicana. La seconda parte, invece, è dedicata a una serie di vociche hanno rivendicato, a partire dai primi anni del Novecento, ilsistema fondiario tradizionale nelle Ande. L’excursus sugli apportiantropologici e sulle teorie economiche più rilevanti circa la logicadelle forme di possesso, arricchisce una panoramica multidiscipli-nare che si completa, infine, con l’esame dei riconoscimenti legisla-tivi contenuti nei testi peruviani e boliviani del secolo scorso, edell’inizio di questo secolo.

Nel corso del mio studio e della stesura del libro ho contrattomolti debiti di gratitudine nei confronti di coloro che mi hannoofferto occasioni di confronto, di riflessione e di apprendimento.

Questo lavoro non avrebbe potuto vedere la luce senza ilgeneroso sostegno del progetto lanciato da Yan Thomas, già diret-tore del Centre d’étude des normes juridiques de l’EHESS, tristementescomparso prima di poter vedere tutti i frutti del suo fecondopensiero. La sua creazione, il Dottorato in Culture GiuridicheEuropee, finanziato dalle Marie Curie Actions della CommissioneEuropea nell’ambito del programma Early Stage Research Training(VI programma quadro) mi ha permesso di lavorare con il sostegnodi alcune tra le più accreditate istituzioni scientifiche europee. Iprofessori Emanuele Conte, Paolo Napoli, Marie-Angèle Hermitte eRainer Kiesow, che hanno portato avanti con entusiasmo il progetto

Torino, 2003; A. ROUQUIE, Amérique Latine: introduction a l’Extrême-Occident, Seuil,Paris, 1987.

(8) Una versione preliminare del capitolo introduttivo è stata pubblicata nella Riv.dir. civ., 3, 2010, pp. 425-445 e nella Rev. int. dr. comp., 4, 2010, pp. 981-1006.

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dopo la sua improvvisa scomparsa, sono stati punti di riferimentocostante per il mio lavoro. Sono particolarmente grato alla profes-soressa Marie-Angèle Hermitte, che mi ha fornito preziosa assistenzanel susseguirsi dei delicati passaggi del lavoro. Desidero, inoltre,esprimere la mia gratitudine nei confronti del professor Ugo Matteiche ha sottolineato l’esigenza di un lavoro di taglio critico, e che hamanifestato nei miei confronti con calore la fiducia necessaria asostenere il mio progetto.

Nel corso della mia ricerca ho avuto la fortuna di essere ospitatoa Firenze, presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM), e dipotere approfondire la ricerca nel Centro di Studi per la Storia delPensiero Giuridico Moderno dove, fin dal primo giorno della miapresenza, il professor Paolo Grossi mi ha dedicato tempo preziosis-simo in momenti cruciali per lo svolgimento del lavoro. Il contattocon la scuola storica fiorentina nel suo insieme mi ha arricchito e hatrasformato il mio modo di intendere la ricerca storica. Un partico-lare ringraziamento va al professor Bernardo Sordi, direttore delCentro, che mi ha accolto a Firenze come se ci conoscessimo daanni.

Buona parte del lavoro di ricerca e di stesura si è svolto aTorino. Nell’Università di Torino ho beneficiato del prezioso econtinuo stimolo alla riflessione teorica sull’« altro » condotta dalprofessor Rodolfo Sacco, il cui insegnamento e approccio critico aldiritto sono stati determinanti per l’ideazione di questo libro. Lalezione impartita dal suo « Antropologia giuridica. Contributo a unamacrostoria del diritto » (Il Mulino, Bologna, 2007) mi ha apertonuovi orizzonti di ricerca e mi ha offerto la chiave necessaria percomprendere come il diritto moderno non sia meno « selvaggio » deldiritto autoctono, cresciuto sul terreno per effetto di prassi che giàsi confrontavano con strutture statali di primaria importanza inepoca precolombiana.

Tra gli studiosi torinesi la mia più profonda riconoscenza va alprofessor Michele Graziadei per l’infaticabile aiuto nell’affrontare,con la sua consueta sagacia e finezza, i numerosi problemi teoriciincontrati durante la stesura di questo lavoro.

Il mio soggiorno a Torino per tutto il tempo necessario allapreparazione di questo lavoro è stato possibile grazie al sostegnodell’International University College, al Progetto Lagrange della

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Fondazione CRT, con il coordinamento scientifico della FondazioneISI, e all’Istituto subalpino per l’analisi e l’insegnamento del dirittodelle attività transnazionali (ISAIDAT). Colgo l’occasione per esprime-re a ognuno di questi enti il mio ringraziamento più sentito.

Sono, inoltre, assai grato alla Fondazione Luigi Einaudi peravermi consentito di utilizzare le sue ricche risorse bibliografiche,specialmente il Fondo Ruggiero Romano.

Un grazie anche al professor Thomas Duve, direttore del Max-Planck-Institut für europäische Rechtsgeschichte di Francoforte,che mi ha offerto l’importante opportunità di presentare e didiscutere alcune tra le nozioni storiche illustrate in questo libro nelcontesto del seminario sulla storia giuridica extraeuropea organiz-zato presso la stessa istituzione di ricerca.

Fin qui i ringraziamenti riguardano il mio percorso nel settoredel diritto, a contatto con studiosi europei. Ma un debito di grati-tudine altrettanto grande è stato contratto nei confronti del miomaestro cileno il professor Daniel Peñailillo Arévalo, che mi è statodi grande esempio come studioso, nonché verso gli antropologi chemi hanno aperto nuovi orizzonti nel campo della ricerca. Ringrazio,in particolare, Tristan Platt dell’Università di St. Andrews e GillesRivière dell’EHESS. Ricordo con vivo rimpianto Olivia Harris delDipartimento di Antropologia Sociale della London School of Eco-nomics and Political Science che mi introdusse agli studi antropo-logici andini. Un ringraziamento speciale al carissimo amico ecollega Luca Pes, giurista sensibile alle questioni di antropologia,che ha letto e discusso molti parti del lavoro, nonché al caroGiuseppe Mastruzzo che, nelle vesti di direttore scientifico dell’In-ternational University College di Torino, ha revisionato importantipassaggi relativi all’aspetto storico ed economico del presente lavo-ro.

Quando ho concluso la prima stesura del libro, alcuni colleghie amici hanno avuto la pazienza di leggerlo e di darmi preziosisuggerimenti per migliorarlo. Un vivissimo ringraziamento va dun-que ai professori Elisabetta Grande dell’Università del PiemonteOrientale, a Leonardo Lenti e a Raffaele Caterina dell’ateneo tori-nese per l’acuta lettura di parti rilevanti di questo volume. Ilringraziamento si estende ai professori Bartolomé Clavero dell’Un-iversità di Siviglia, ad Jorge Armando Guevara Gil e Carlos Ramos

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Núñez della Pontificia Universidad Católica del Perú per i rilievicritici e i suggerimenti relativi alla cultura giuridica non prettamentelatinoamericana.

Molti altri amici hanno letto parti del testo, e mi hanno aiutatoa renderlo più leggibile. A loro sono profondamente grato. Pertanto,rischiando molte omissioni, il mio grazie va a Giulia Pes, FedericaCorsi e Cristina Poncibò. Tra i miei colleghi del Dottorato inCulture Giuridiche Europee, desidero ringraziare in particolareSebastián Provvidente, Wim Decock e Tzung-Mou Wu, per lecritiche e i suggerimenti — non solo dottrinali — nati dai diversiseminari e incontri organizzati nell’ambito del nostro percorsodottorale. Naturalmente, con il mio ringraziamento non intendosottrarmi alla responsabilità per errori, omissioni, di cui rimango ilsolo responsabile.

Desidero, inoltre, ringraziare tutti i miei colleghi e amici delDipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino nellapersona del direttore professor Raffaele Caterina, e in particolare idocenti del dottorato in Diritto civile e comparazione giuridica,diretto dal professor Pier Giuseppe Monateri, che hanno sempresostenuto il mio lavoro, anche a fronte delle inevitabili difficoltà chetalvolta si incontrano nel percorso degli studi dottorali. Un graziesincero alle collaboratrici del Dipartimento di Scienze Giuridiche eal personale della Biblioteca « F. Ruffini » che con pazienza mihanno sostenuto in diversi modi, permettendomi di lavorare senzaalcuna inquietudine né restrizione.

Infine, il più sentito ringraziamento a mio padre, avvocato cilenoche per primo mi ha introdotto nella pratica del diritto e che hastimolato la mia curiosità per le sue molteplici forme; alla miafamiglia che, anche da lontano, ha saputo sempre essermi vicina.

R.M.N.

Torino, settembre 2012

CHIARIMENTI PRELIMINARI 9

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INTRODUZIONE

PER UNA DECOSTRUZIONE DEL CONCETTO DI« PROPRIETÀ » NELLE ANDE CENTRALI

« Il est faux, peut-on lire dans cette étude,de dire que la propriété privée existe, com-me il est faux d’affirmer qu’elle n’existe pas;il est faux de l’attribuer aux individus com-me il est faux de la faire résider sur la têtedes chefs et du souverain [...] Ce n’est ni lapropriété, ni l’absence de propriété, c’estautre chose »

PIERRE DARESTE (*)

1. Il linguaggio della Conquista. — 2. Il problema metodologico: i nuovi venuti, gliautoctoni. — 3. Il rapporto con la terra. — 4. La base spirituale della relazione con laterra. — 5. Il dualismo individuale-collettivo: una critica. — 6. Tra persone e cose: unsistema olistico. — 7. La proprietà e la comunità. — 8. Una prima proposta.

1. Il linguaggio della Conquista.

I concetti di cui ognuno di noi si avvale sono elaborati perstabilire una migliore comunicazione all’interno di un gruppo socia-le. Il loro uso implica, perciò, un comune intendimento circa il loroutilizzo e un certo consenso sociale (1). Queste condizioni vengonoregolarmente a mancare nel momento in cui due mondi estraneientrano in contatto. Nell’ambito delle operazioni di colonizzazione,

(*) P. DARESTE, Le régime de la propriété foncière en A.O.F., in Recueil de législation,de doctrine et de jurisprudence coloniales, III, Marchal et Billard, Paris, 1908, p. 16.

(1) R. KOSELLECK, Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Fran-kurt am Main, Suhrkamp, 1979, trad. ing. di K. TRIBE, Future Past: on the Semantics ofHistorical Time, Columbia Univ. Press, New York, 2004, p. 156.

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che comportano il trapianto di istituzioni e norme, la premessanecessaria per la condivisione di alcuni concetti non può, quindi,essere data per scontata. Certamente essa venne a mancare nell’areadelle Ande centrali per quanto riguarda le espressioni relative alrapporto tra l’uomo e la terra.

La conquista della regione andina da parte della Corona spa-gnola comportò, come spesso accade nelle colonie, l’imposizione diun linguaggio e di un insieme di concetti che divennero i mattoni percostruire la storia dei vincitori e dei vinti (2). Il conquistatores’impose e la supremazia acquisita lo condusse ad analizzare la realtàandina secondo le categorie concettuali di cui disponeva. Vi era,com’è facile comprendere, il bisogno di spiegare l’America aglieuropei e le uniche forme espressive conosciute a tale scopo eranoquelle forgiate in Europa (3). Di conseguenza, la padronanza deimezzi di comunicazione fondati sul testo e sull’immagine contribuìin modo decisivo all’imposizione della dominazione iberica sulcontinente americano: la colonizzazione dell’America fu, da ogni

(2) La dottrina comparatista si è ripetutamente occupata dell’imposizione (politicao militare) come fattore di mutamento giuridico in relazione alle società di ogni tempo.Cfr. A. WATSON, Legal Transplants. An Approach to Comparative Law, Scottish AcademicPress Ltd., Edinburgh, 1974, p. 29; R. SACCO, Introduzione al diritto comparato, 5a ed.,Utet, Torino, 1992, p. 147 e ss.; La circulation du modèle juridique français. Travaux del’Association Henri Capitant, t. 44, Litec, Paris, 1994; A. LEVAGGI, La réception du systèmeespagnol par les systèmes indigènes en Amérique, in M. DOUCET-J. VANDERLINDEN (a curadi), La réception des systèmes juridiques: implantation et destin. Textes présentés aupremier colloque international du Centre international de la common law en francais(CICLEF), Bruylant, Bruxelles, 1994, pp. 382-383; N. ROULAND, Introduction historiqueau droit, Puf, Paris, 1998, p. 428 e ss.; E. GRANDE, Imitazione e diritto: ipotesi sullacircolazione dei modelli, Giappichelli, Torino, 2000, p. 15 e ss.; D. LÓPEZ MEDINA, Teoríaimpura del derecho. La transformación de la cultura jurídica latinoamericana, Legis,Bogotá, 2004, p. 15 e ss.; M. GRAZIADEI, Comparative Law as the Study of Transplants andReceptions, in M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (a cura di), The Oxford Handbook ofComparative Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2007, p. 455 e ss.; U. MATTEI, voceCircolazione dei modelli giuridici, in Enc. dir., Annali I, 2008 p. 177. La letteratura sultema, negli studi di storia del diritto, è costituita principalmente dalle opere dedicate alcolonialismo europeo. Cfr. L’Europa e gli « Altri ». Il diritto coloniale fra Otto eNovecento, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, vol. 33/34,2004/2005 (I, II).

(3) F. PEASE G. Y., Las crónicas y los Andes, Fondo de Cultura Económica, Lima,1995, p. 122.

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punto di vista, una « colonizzazione di lingue » (4). Oltre alle armi,la scrittura e il suo simbolismo furono i principali strumenti utilizzatidagli invasori per dominare i popoli sottomessi (5).

Sul versante del diritto, i giuristi imposero le proprie categoriegiuridiche, e in particolare le parole giuste che mancavano persancire il dominio coloniale. Edificando e nominando il Novus Orbiscon gli strumenti concettuali del diritto comune e del diritto cano-nico, essi fecero del nomen iuris la prima arma di conquista dellepopolazioni e dello spazio americano (6).

Il compito affidato ai giuristi fu quello di costruire lo spaziodegli indios servendosi dell’apparato concettuale sviluppato dallascienza giuridica dell’epoca, al fine di assimilarlo allo spazio su cui siesercitava il dominio dei sovrani europei (7). L’operazione svelò però

(4) N. WACHTEL-S. GRUZINSKI (a cura di), Le Nouveau Monde-Mondes Nouveaux.L’expérience américaine, Éditions Recherche sur les Civilisations-Éditions de l’École desHautes Études en Sciences Sociales, Paris, 1996, p. 195.

(5) S. MACCORMACK, Ethnography in South America: the First Two Hundred Years,in F. SALOMON-S. B. SCHWARTZ (a cura di), The Cambridge History of the Native Peoplesof the Americas, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1999, vol. 3, parte 1, p. 98; L.NUZZO, Il linguaggio giuridico della conquista, Jovene editore, Napoli, 2004, p. 38.

(6) Cfr. A. A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea del Nuovo Mondo, Laterza,Bari-Roma, 2007, p. XII; T. TODOROV, La conquête de l’Amerique. La question de l’autre,Éditions du Seuil, Paris, 1982, trad. it. di A. SERAFINI, La conquista dell’America: ilproblema dell’« altro », rist., Einaudi, Torino, 2005; L. NUZZO, Lo spazio del diritto.Discorso giuridico e percezione del territorio nelle Indie spagnole, in A. MAZZACANE (a curadi), Oltremare. Diritto e istituzioni dal colonialismo all’età postcoloniale, Istituto SuorOrsola Benincasa, Napoli, 2006, p. 45 e ss.; R. A. WILLIAMS JR., The American Indian inWestern Legal Thought: The Discourses of Conquest, Oxford Univ. Press, New York-Oxford, 1990, p. 6. Il valore del diritto romano nell’affermazione della conquista deiterritori d’oltremare ha attirato l’attenzione della storiografia più trecente. Sul punto, cfr.D. A. LUPHER, Romans in a New World: Classical Models in Sixteenth-Century SpanishAmerica, Michigan Univ. Press, Ann Arbor, 2003; S. MACCORMACK, On the Wings ofTime: Rome, the Incas, Spain, and Peru, Princeton Univ. Press, Princeton, 2007; L.BRENTON, Possessing Empire: Iberian Claims and Interpolity Law, in S. BELMESSOUS, NativeClaims: Indigenous Law Against Empire, 1500-1920, Oxford Univ. Press, Oxford-NewYork, 2012, p. 19 e ss.

(7) Le voci indio e natural furono gli appellativi più frequentemente utilizzati daglispagnoli per riferirsi alle popolazioni originarie americane. L’uso nel libro di taliespressioni, e dei suoi derivati, è privo di qualsiasi connotazione politica. È utile peròsottolineare che la parola natural è stata utilizzata dalla seconda scolastica e dalla teologiaper indicare lo stato in cui si trova l’uomo che non conosce Dio, cioè l’uomo puro

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l’inadeguatezza dei termini utilizzati dal conquistatore per ricondur-re il mondo con cui entrava in contatto e di cui era testimone alleproprie categorie. Il giurista europeo non era, infatti, munito di unlinguaggio descrittivo appropriato allo scopo, e appariva anzi pienod’incertezze quanto all’utilizzo dei propri strumenti concettuali inun ambiente del tutto estraneo (8).

Lo scenario qui evocato sottolinea la profonda distanza esistentetra il mondo europeo e quello andino, tra il linguaggio disponibile algiurista formatosi nelle università europee e la realtà locale. L’ope-razione rivela, in altre parole, l’imposizione della cultura giuridicaeuropea a una realtà del tutto diversa, la cui espressione più radicalesi trova, a partire dal 1513, nel Requerimiento, protocollo giuridicoche divenne uno dei principali mezzi con cui gli spagnoli giustifica-rono e istituirono la loro autorità politica, religiosa e soprattuttogiuridica nel Nuovo Mondo (9).

Beninteso, la storia non si costruisce solo sulle espressionilinguistiche attestate dall’uso. Essa consta di numerosi fattori extra-linguistici, per l’appunto di fatti storici, che sfuggono alla determi-nazione della lingua. La storia, in breve, è sempre qualcosa di più diquello che emerge dal linguaggio e dalla sua analisi. Tuttavia, non sipuò certamente ignorare che il contatto tra questi mondi fu profon-damente segnato dal divario tra l’immaginario e i concetti che

lontano dal regno di « grazia ». Questo è il motivo per cui il diritto « naturale » è statocosì importante per gli scolastici del sedicesimo secolo: volevano capire quale fosse ildiritto applicabile all’uomo che non ha fatto la conoscenza di Dio. A tale proposito cfr.H. HÖPFL, Jesuit Political Thought. The Society of Jesus and the State c. 1540-1630,Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2004, pp. 257-268; W. DECOCK, Jesuit Freedom ofContract, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis / Revue d’Histoire du Droit / The LegalHistory Review, 77, 2009, p. 427, nota 13. Sul concetto di indio nello scenario colonialeamericano si rimanda a G. BONFIL, El concepto de indio en América: una categoría de lasituación colonial, rist. in L. ODENA GÜEMES (a cura di), Obras escogidas de GuillermoBonfil, Instituto Nacional Indigenista, México D.F., 1995, t. 1, pp. 337-368.

(8) A. PAGDEN, The Fall of Natural Man. The American Indian and the Origins ofComparative Ethnology, Cambridge Univ. Press, Cambridge-New York-Melbourne,1989, p. 11; cfr. anche ID., European Encounters with the New World: From Resistanceto Romanticism, Yale Univ. Press, New Haven-London, 1993.

(9) Si trattava di un discorso svolto interamente in castigliano — e quindi incom-prensibile agli indigeni — che autorizzava e annunciava la conquista violenta degliindigeni che rigettavano l’evangelizzazione. Per l’approfondimento cfr. infra 127-128.

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appartenevano agli uni e agli altri, ai nuovi venuti e a coloro chevivevano sul continente americano da decine di migliaia di anni.

2. Il problema metodologico: i nuovi venuti, gli autoctoni.

Chiariamo, quindi, il problema metodologico che intendiamotrattare. L’utilizzo del termine « proprietà » nel contesto andino fu ilrisultato di un’operazione di trapianto, che non avvenne in modospontaneo, ma fu frutto di un’imposizione. Esso si legava a una tra-dizione giuridica del tutto diversa rispetto a quella in cui si inscrivevail rapporto tra l’uomo e la terra presso i popoli delle Ande. Dunque,ecco l’interrogativo fondamentale: possiamo continuare a pensare airapporti fondiari andini in termini di « proprietà »?

Nelle prossime pagine si inizierà ad affrontare il tema, legandoloalla seguente constatazione: lo statuto della terra nelle società del-l’altopiano andino ha risposto in ogni tempo a concezioni chesfuggono a una rappresentazione dei rapporti fondiari imperniatasulla nozione di cosa corporale immobile, come è quella maturata inseno alla tradizione romanistica europea (10). Occorre, perciò, riflet-tere criticamente sull’operazione di trapianto delle nozioni civilisti-che legate a questo concetto, che fu attuata in seguito alla Conquista.Si tratta infine di verificare se sia possibile proporre un’altra termi-nologia che permetta una migliore comprensione della realtà andina.

Concentriamoci ora brevemente sull’origine e sul carattere del-l’imposizione che diede corpo a questa vicenda storica, per passarepoi a illustrare il contenuto della nostra proposta.

(10) Nella tradizione giuridica europea la nozione di proprietà si basa sull’idea cheil proprietario abbia tutti i diritti che un individuo possa avere su una cosa, in modo taleche quando la cosa è un oggetto materiale, la proprietà si confonde con l’oggetto inquestione. Tale identificazione ha le sue origini nella classificazione di Gaio, passatasuccessivamente ai sistemi di civil law attraverso le Istitutiones di Giustiniano. In essa, laproprietà era considerata come res corporalis, mentre il resto dei diritti reali appartenevaalla categoria di res incorporalis. Tra i sistemi giuridici moderni, il BGB consacral’identificazione dei Sachenrechts con le cose corporali. Cfr. A. CANDIAN, La notion debiens, in K. BOELE-WOELKI- S. VAN ERP (a cura di), General Reports of the 17. Congressof the International Academy of Comparative Law, Utrecht, Bruxelles 2007; ora inElectronic Journal of Comparative Law, 11, 3,, pp. 2-3. Sul carattere matteriale dellanozione di cosa cfr. S. PUGLIATTI, voce Cosa (teoria gen.), in Enc. dir., XI,, 1962, p. 33 ss.

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Durante i primi anni della Conquista una delle più note formu-lazioni del concetto di dominium rerum (seguendo il linguaggio deldiritto naturale di allora) si deve al teologo della scuola di SalamancaDomingo de Soto, allievo di Francisco de Vitoria. Nel suo De iustitiaet iure (1556). De Soto afferma che il dominium consiste in unafacoltà e in un diritto che l’uomo ha sulle cose per usarle a propriobeneficio, nonché di disporne a proprio piacimento (differenzian-dosi così dagli altri diritti reali) (11).

La definizione di dominium proposta da De Soto coglieva ilsenso profondo della nuova concezione dei rapporti tra l’uomo e lecose, sviluppata dalla seconda scolastica. Si trattava di una rappre-sentazione ormai non più fondata sulle relazioni tra soggetti, masulla nozione di res, la quale presupponeva specularmente l’idea disoggetto libero, padrone di sé (12). Commentando De Soto, PaoloGrossi sottolinea che nella sua opera è formulata con chiarezza l’ideasecondo cui la « mia » libertà coincide con la proprietà che io ho dime stesso e delle mie azioni, per cui la mia esistenza come soggettolibero consiste in una serie di comportamenti dominativi; un sistema,insomma, basato sulla proprietà che io ho di me stesso (13). Questoassunto iniziale presuppone la possibilità di dominare il mondoesterno: il dominium sui si traduce così nel dominium rerum exter-narum, espressione perfetta della proprietà di sé e delle proprieazioni, destinate a incidere sul mondo materiale (14).

(11) D. DE SOTO, De iustitia et iure, Venetiis, 1568, lib. IV, q. I, art. I, f. 79v.(12) Sul concetto chiave della proprietà di sé stessi e sugli effetti che tale conce-

zione ha avuto in rapporto alla scoperta dell’America si rimanda a R. SCHÜßLER, MoralSelf-Ownership and Ius Possessionis in Late Scholastics, in V. MÄKINEN-P. KORKMAN (acura di), Transformations in Medieval and Early Modern Rights Discourse, Springer,Dordrecht, 2006, p. 149 e ss.; A. S. BRETT, Liberty, Right and Nature: Individual Rightsin Later Scholastic Thought, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1997, p. 13 e ss.

(13) P. GROSSI, La proprietà nel sistema privatistico della seconda scolastica, rist. inID., Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Giuffrè, Milano,1992, pp. 298-299. W. Decock (Jesuit Freedom of Contract, cit.) ha cercato di dimostrarecome la nozione della proprietà di sé sia diventata il concetto chiave di tutto il sistemagiuridico dei gesuiti, tra cui la nozione liberale di « libertà contrattuale ».

(14) Per approfondimenti sul valore della teoria di De Soto nella formazione delpensiero giuridico moderno cfr. T. DUVE, La teoría de la restitución en Domingo de Soto:Su significación para la Historia del Derecho Privado Moderno, in J. CRUZ CRUZ (a cura di),La ley natural como fondamento moral y juridíco en Domingo de Soto, Ediciones Univ. de

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Sono queste le premesse con cui dobbiamo leggere le inizialitrasposizioni « proprietarie » nel mondo andino. Esse risultano giàattestate dal primo atto di concessione di quei territori a favore deisovrani di Castiglia e d’Aragona, vale a dire nella bolla pontificiaInter cetera di Alessandro VI del 3 maggio 1493, con cui il ponteficenominava tali sovrani e i loro successori « dominos cum plena, liberaet omnimoda potestate, auctoritate et jurisdictione » (15).

L’ordine giuridico su cui si fonda il documento è basato sull’i-dea del dominio pieno della chiesa sugli infedeli, come pure sui benie sulle provincie fino ad allora non occupate da principi cristiani. Sitrattava, quindi, dell’inizio formale della cosiddetta egemonia eccle-siastica nel Nuovo Mondo, dottrina destinata a diventare la basedell’imperialismo culturale coloniale (16). Il Papa conferiva ai sovranidi Castiglia e d’Aragona (e ai loro successori) tale dominio rispettoalle terre conquistate nel Nuovo Mondo. I sovrani diventavano, così,i signori assoluti di tutto ciò che era stato oggetto di conquista con« piena, libera e totale potestà, autorità e giurisdizione ». Si trattava,quindi, di un atto di « assegnazione » che conferiva il dominiumsull’America, come si evince dalla stessa bolla papale. Da questomomento, la terra andina e i suoi abitanti entrano a far parte dellasovranità e del dominio spagnolo. Rispetto al mondo creato da Dio,solo il Papa, suo rappresentante sulla terra, poteva conferire questidiritti. L’operazione ideologica su cui si fonda la proprietà nelNuovo Mondo ha dunque caratteristiche di straordinaria soliditànonché un’evidente origine teologica: l’atto d’assegnazione perfezio-na la qualità di dominus conferita da Dio, dominus supremus, a tutti

Navarra, Navarra, 2007, pp. 181-198; H. Rodríguez Penelas, Contribución de Domingo deSoto a la gestación del pensamiento económico hispanoamericano, in Ibid., pp. 223-240.

(15) Cfr. J. METZLER (a cura di), America Pontificia. Primi saeculi evangelizationis1493-1592, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1991, vol. 1, pp. 71-75.

(16) D. CASTRO, Another Face of Empire: Bartolomé de Las Casas, Indigenous Rights,and Ecclesiastical Imperialism, Duke Univ. Press, Durham-London, 2007, p. 22 e ss.; J.FISCH, Law as a Means and as an End. Some Remarks on the Function of European andNon-European Law in Process of European Expansion, in W. J. MOMMSEN-J. A. DE MOOR

(a cura di), European Expansion and Law. The Encounter of European and IndigenousLaw in the 19th- and 20th-Century Africa and Asia, Berg, Oxford/New York, 1992, p. 17e ss.

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gli uomini. L’atto si basa sul diritto divino ed è perciò incontesta-bile (17).

Certo è che, rispetto al linguaggio dell’uomo andino, abbiamol’imposizione di un termine del tutto estraneo, radicato in unatradizione altrettanto aliena, quale era quella della scienza civilistica,canonista e del diritto naturale. Conseguentemente, i primi ordini ele prime discussioni dottrinarie intorno al diritto autoctono ricon-ducevano la nozione di diritto andino al diritto naturale, all’apportoromanistico e canonistico che faceva parte dell’esperienza giuridicacastigliana, secondo una premessa che, in termini odierni, è senz’al-tro eurocentrica. Sarà dunque lo ius commune e la concezione diragione propria dei giuristi e teologi europei a imporsi nell’immensovuoto giuridico che, secondo le loro ricostruzioni, era il NuovoMondo (18).

In particolare, sia la negazione sia la difesa del dominium dellepopolazioni autoctone dell’America fu realizzata con l’uso dellecostruzioni e delle categorie elaborate da una scienza che si misuravacon il diritto romano, il diritto canonico e il diritto naturale. Così ledenuncie formulate dai teologi domenicani Antonio de Montesinos,Francisco de Vitoria (De indis, 1539), Bartolomé de Las Casas (Deregia potestate, 1554) e più tardi dal gesuita José de Acosta (Historianatural y moral de las indias, 1590) circa la legittimità della conquistae dell’usurpazione delle terre indigene da parte della Corona sibasarono sull’idea di limitazione del potere papale alle materiespirituali, ma soprattutto sulle diverse letture del diritto naturaletratte dalla dottrina tomista. Queste prese di posizione giustificavanoil dominium rerum delle popolazioni autoctone come effetto delpossesso e dell’occupazione di terre considerate nullius, realizzata daparte degli indigeni in virtù delle facoltà che competevano loro inquanto « uomini razionali ». Secondo questi teologi, prima dell’ar-

(17) Sulla costruzione teologica della moderna concezione di proprietà nelle operedei teologi della Seconda Scolastica cfr. M-F RENOUX-ZAGAMÉ, Origines théologiques duconcept moderne de propriété, Librairie Droz, Genève, 1987, p 34 e ss. Vedi, inoltre, infra122 e ss.

(18) Cfr. F. PEASE G. Y., La noción de propiedad entre los Incas: una aproximación,in S. MASUDA (a cura di), Etnografía e historia del mundo andino: continuidad y cambio,Universidad de Tokio, Tokio, 1986, p. 7; A. A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea delNuovo Mondo, cit., pp. 14-15.

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rivo degli spagnoli, gli indigeni erano da ritenersi i veri proprietaridelle terre andine tanto nella sfera dell’ordine privato, quanto inquella pubblica (19).

Come si sa, queste teorie furono completamente rigettate dal-l’autorità coloniale, che sposò invece la dottrina « ufficiale » digiuristi quali Juan López de Palacios Rubios, Melchor Cano, Vascode Quiroga, Juan Ginés de Sepúlveda e Juan de Solórzano y Pereyra.I loro argomenti variavano, ma avevano una rigorosa base comuneche consisteva nell’affermare che l’indio fosse sprovvisto di ragione,giudizio e capacità giuridica e che quindi non poteva avere ildominium iurisdictionis. Vuoi perché privi di raziocinio, vuoi perchésprovvisti di un sistema di diritto autoctono anteriore alla Conquista,gli indios non avevano costruito un’effettiva comunità civile e per-tanto non erano stati in grado di acquisire il diritto di proprietà neitermini descritti dal Digesto (20). Così, le terre che essi popolavanosarebbero rimaste inoccupate, in quanto il diritto di proprietà

(19) F. DE VITORIA, Doctrina sobre los indios [1539], Salamanca, 1992, p. 74: « restatergo conclusio certa: quod, antequam hispani ad illos venissent, illi erant veri domini etpublice et privatim ». Sulla sua opera cfr. L. BACCELLI, Guerra e diritti. Vitoria, Las Casase la conquista dell’America, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridicomoderno, vol. 37, 2008, p. 67 e ss.; R. A. WILLIAMS JR., The American Indian in WesternLegal Thought: The Discourses of Conquest, cit., pp. 96-108. Sulla denuncia formulata daLas Casas con la Brevísima relación de la destrucción de las Indias (1562) e sul suo valoreattuale cfr. B. CLAVERO, Genocidio y Justicia. La destrucción de las Indias, ayer y hoy,Marcial Pons, Madrid, 2002; L. BACCELLI, Il diritto dei popoli. Universalismo e differenzeculturali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 43 e ss.

(20) La tematica è strettamente legata alla qualificazione giuridica dell’indigeno ealla formulazione del concetto dell’« altro » in America. Cfr. T. DUVE, La condiciónjurídica del indio y su consideración como persona miserabilis en el derecho indiano, in M.G. LOSANO (a cura di), Un giudice e due leggi. Pluralismo normativo e conflitti agrari inSud America, Giuffrè, Milano, 2004, p. 3 e ss.; J. H. ELLIOT, The Discovery of America andthe Discovery of Man, in A. PAGDEN (a cura di), Facing Each Other: The World’sPerception of Europe and Europe′s Perception of the world (An Expanding World: TheEuropean Impact on World History 1450-1800), Ashgate, Aldershot, 2000, pp. 159-183;P. MASON, Deconstructing America. Representations of the Other, Routledge, London-New York, 1990, cap. 4; L. HANKE, Aristoteles and the American Indians. A study in RacePrejudice in the Modern World, rist., Indiana Univ. Press, Bloomington-London, 1970;G. TOSI, Alle origini della modernità: i diritti degli indigeni del Nuovo Mondo, in JuraGentium, III, 1, 2007, disponibile sul sito: http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/rights/tosi.htm (consultato il 25/10/11); L. BACCELLI, Il diritto dei popoli, cit., pp. 37-43.

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sarebbe stato prerogativa del primo uomo « civile » che ne avrebbeottenuto il possesso secondo le regole e gli atti di concessione sancitidall’autorità papale, che garantivano il potere sovrano e assoluto.Secondo la dottrina giuridica dell’epoca, le relazioni di proprietàpotevano solo essere concepite nelle società civilizzate e i selvaggiandini non potevano quindi goderne.

Nel 1567 il giudice Juan de Matienzo, attivo nell’Audiencia diCharcas, dava voce a una delle più note difese degli interessi dellaCorona con l’opera Gobierno del Perú. Questo scritto esponeva latesi secondo cui la tirannia del governo degli Incas rendeva palesel’illegittimità del loro sistema di governo. Pertanto, il passaggio delleloro terre alla Corona spagnola si giustificava con l’illegittimità delregime precedente (21).

Nonostante la chiarezza degli argomenti ora ricordati, l’opera-zione di trapianto intrapresa dai conquistatori incontrò difficoltàconcettuali, in cui incapparono già i primi spagnoli che si confron-tarono con il mondo andino. Nella realtà locale, la vita dellepopolazioni Inca era permeata dalla dimensione comunitaria, da unsistema cioè nel quale le reti di parentela, le forme di lavoro e lastruttura politica si fondavano su un complesso reticolato di rapportidi reciprocità e redistribuzione tra le diverse comunità. Quanto alloStato Inca, esso alimentava un’economia autarchica, dominata da

(21) Per uno sguardo d’insieme su questo importante dibattito si rimanda a A.PAGDEN, Spanish Imperialism and the Political Imagination, Yale Univ. Press, NewHaven-London, 1990, p. 13 e ss., ora in ID. (a cura di), The Languages of Political Theoryin Early-Modern Europe, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1987, p. 29 e ss.; N.ROULAND-S. PIERRE-CAPS-J. POUMAREDE, Droits des minorités et des peuples autochtones,Puf, Paris, 1996, pp. 111-116; D. CASTRO, Another Face of Empire, cit., pp. 24-38. Per unaprospettiva storiografico-giuridica cfr. il classico contributo di A. GARCÍA-GALLO, LasIndias en el reinado de Felipe II. La solución al problema de los justos títulos, rist. in ID.,Estudios de historia del derecho indiano, Instituto Nacional de Estudios Jurídicos,Madrid, 1972, pp. 425-471. Sulla controversia circa la sorte delle terre andine destinateall’Inca e al sole nei primi tempi della Conquista cfr. C. S. ASSADOURIAN, Transicioneshacia el sistema colonial andino, Instituto de Estudios Peruanos (Iep)/El Colegio deMéxico-Fideicomiso Historia de las Américas, Lima, 1994, cap. 3. Per il dibattitogenerale sulla qualità morale degli indios e sulla costruzione giuridica della Conquistacfr. A. A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea del Nuovo Mondo, cit., p. 92 e ss.; L.NUZZO, Il linguaggio giuridico della conquista, cit.

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forme di sfruttamento verticale dell’ecologia (22), nelle quali loscambio giocava un ruolo secondario; si trattava insomma di unsistema che doveva apparire arcaico e del tutto estraneo alla men-talità del colonizzatore (23).

È eloquente in proposito lo stupore manifestato dai primicronisti che cercarono di dare conto della realtà locale. Le formed’uso della terra praticate dagli indigeni non apparivano incasellabilinello schema di proprietà da loro proposto e non tardarono adarrivare le prime reazioni. Subito si parlò di terre individuali ecomuni, ma poi si vollero identificare le terre « comuni » comeindividuali, per poterle acquistare o per aggiudicarsele. Questoevento determinò il fatto che la terra si trasformasse in una merce.Gli indios furono quindi costretti ad apprendere e ad applicarerapidamente le nozioni occidentali sulla « proprietà », con cui eranoentrati in contatto, per acquisire le stesse terre di cui fino ad alloraavevano pacificamente fruito (24).

La descrizione dei rapporti fondiari che rappresentavano l’ere-dità del passato Inca fu, insomma, minata alla radice dal ricorso allecategorie giuridiche note in Europa. I conquistatori vollero ricon-durre i rapporti fondiari locali alle categorie note nell’ambito dellascienza romanistica (« proprietà », « possesso », « dominio » e« usufrutto ») quando, invece, un modello di analisi più appropriato

(22) Cfr. infra 35; 69 e ss.(23) Su quanto segue cfr. S. F. MOORE, Power and Property in Inca Peru, Columbia

Univ. Press, New York, 1958, p. 17 e ss.; M. ROSTWOROWSKI, Nuevos datos sobre tenenciade tierras reales en el incario, in Revista del Museo Nacional, XXXI, 1962, p. 130 e ss.;K. A. DAVIES, Landowners in Colonial Peru, Univ. of Texas Press, Austin, 1984; F. PEASE

G. Y., La noción de propiedad entre los Incas, cit., p. 3 e ss.; C. S. ASSADOURIAN,Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit., p. 92 e ss.; S. E. RAMÍREZ, The WorldUpside Down: Cross-Cultural Contact and Conflict in Sixteenth-Century Peru, StanfordUniv. Press, Stanford, Ca., 1996, p. 42 e ss.; M. ROSTWOROWSKI-C. MORRIS, The FourfoldDomain: Inka Power and its Social Foundations, in F. SALOMON-S. B. SCHWARTZ (a curadi), The Cambridge History of the Native Peoples of the Americas, cit., vol. III, parte 1,pp. 819-820; J. V. MURRA, Derechos a tierras en el Tawantinsuyu, rist. in ID., El mundoandino, población, medio ambiente y economía, Iep, Lima, 2002, p. 294 e ss.; T. PLATT-T.BOUYSSE-CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en la Provincia deCharcas (siglos XV-XVII). Historia antropológica de una confederación aymara, Ifea-Pluraleditores-Fbcb-Univ. of St. Andrews, La Paz, 2006, p. 485 e ss.

(24) F. PEASE G. Y., Las crónicas y los Andes, cit., pp. 125-126.

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avrebbe messo in luce una gerarchia di diritti sovrapposti di com-petenza di diversi gruppi sociali sotto il controllo del sovranoInca (25).

Schematicamente, l’operazione di trapianto concettuale puòridursi a due grandi eventi storico-giuridici, narrati principalmentedai cronisti: le terre del re Inca e del culto (o del sole) furono intesecome terre di proprietà statale, che quindi appartenevano allaCorona in virtù del diritto di conquista. In seguito, il territorioandino divenne rapidamente oggetto di operazioni di mercato, cherappresentavano l’altra faccia della politica di confinamento dellepopolazioni indigene subordinate alla Corona (26).

La nozione di « proprietà », intesa come relazione elementare,immediata e unitaria tra il soggetto e le cose, divenne così il fulcrodella concettualizzazione dei rapporti terrieri nelle Ande, sollevandoun notevolissimo problema storiografico, oltre che giuridico (27). Ilcontenuto di questo diritto, sempre irreale nel contesto effettivo,sarà scandito da una formula ancora oggi valida, in seguito alprocesso di laicizzazione della nozione di proprietà ad opera deigiusnaturalisti moderni (28), quella che successivamente ritorna nellanozione assoluta di proprietà desunta dall’articolo 544 del Code civilfrancese: diritto di godere e di disporre delle cose nel modo piùassoluto, secondo quanto stabiliscono leggi e regolamenti (29). Que-

(25) Questo è il linguaggio che compare nelle opere dei cronisti. Si può consultarein proposito: G. DE LA VEGA, Comentarios Reales de los Incas [Lisboa, 1609], Lima, 1991,libro VI, cap. XXXV, p. 403; B. COBO, Historia del Nuevo Mundo [1653], Sevilla, 1892,t. III, cap. XXVIII, pp. 249-250.

(26) Cfr. infra 113 e ss.(27) Il conflitto scaturito dalla diversa concezione del rapporto uomo-terra tra il

Nuovo Mondo e quello degli spagnoli è il soggetto di un notevole lavoro dello storicoargentino Abelardo Levaggi; cfr. A. LEVAGGI, Cómo fue la relación de los indígenas conel territorio, in Roma e America. Diritto Romano Comune, 18, 2004, pp. 105-114.

(28) Tale passaggio, che rende conto della recezione e modificazione della conce-zione di dominio della Seconda Scolastica tra i giusnaturalisti moderni, oltre ad attribuirecarattere laico all’istituto, permetterà di legittimare il potere senza limiti dell’uomo sullecose. Sul punto cfr. M-F. RENOUX-ZAGAMÉ, Origines théologiques du concept moderne depropriété, p. 311 ss.

(29) Naturalmente non è questa la sede per ripercorrere gli accesi dibattiti scaturitiintorno a questa celeberrima e ambigua formula, su cui si può invece consultareampiamente, non solo per la ricostruzione critica, ma anche per la sua influenza sulle

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sto ulteriore trapianto, condotto nell’epoca delle codificazioni, con-sacrò in modo definitivo l’adozione della concezione materiale deldiritto di proprietà, che giungeva almeno sul piano declaratorio aidentificare il diritto con il suo oggetto.

La forza della realtà, però, dimostra che tale concezione astratta,asseritamente universale, non è mai stata in grado di rappresentarela varietà dei sistemi d’appartenenza dei beni nelle società di ognitempo (30). Il termine così proposto è sempre stato inadeguato a

successive vicende della codificazione: A. GAMBARO, Il diritto di proprietà, in Trattato didiritto civile e commerciale Cicu-Messineo-Mengoni, VIII, 2, Giuffrè, Milano, 1995, p.112 e ss.; S. RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, 2a ed., Il Mulino,Bologna, 1990, p. 75 e ss.; D. PEÑAILILLO ARÉVALO, Los bienes, la propiedad y otrosderechos reales, Colección Estudios Jurídicos, Editorial Jurídica de Chile, Santiago deChile, 2007, p. 75 e ss. Le vicende del Codice in America Latina sono, invece, al centrodegli importanti lavori di A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoamérica, siglosXIX y XX, Editorial Jurídica de Chile, Santiago de Chile, 2000; C. RAMOS NÚÑEZ, Elcódigo napoleónico y su recepción en América Latina, Fondo Editorial de la PontificiaUniversidad Católica del Perú (Pucp), Lima, 1997; D. LÓPEZ MEDINA, Teoría impura delderecho, cit., p. 129 e ss. Cfr. inoltre le recenti riflessioni di S. SCHIPANI, Codici civili nelsistema latinoamericano, in Digesto disc. priv., sez. civ., agg., Torino, 2010, pp. 286-319.

(30) In realtà, per formulare questa critica non avremmo bisogno di riferircinecessariamente alle vicende del Perù coloniale. In Europa, il divario tra le formule delCodice civile e la realtà dei fatti in materia di rapporti fondiari è scolpito nella ricercaesemplare di P. GROSSI, Un altro modo di possedere, cit. Cfr. inoltre A. GAMBARO,Proprietà in diritto comparato, in Digesto disc. priv., sez. civ., XV, Utet, Torino, 1997, p.502 e ss., in part. pp. 524-525; cfr. anche M-E. HANDMAN, voce Propriété, in P. BONTE-M.IZARD (a cura di), Dictionnaire de l’Ethnologie et de l’Anthropologie, Puf, Paris, 1991 pp.605-606. Un primo approccio esemplificativo dell’inadeguatezza del termine ci porta apensare ai sistemi fondiari dell’Africa nera studiati dai francesi Étienne Le Roy eRaymond Verdier nel seno del « Laboratoire d’anthropologie juridique de Paris » (LAJP)e del « Centre Droit et Culture ». Cfr. É. LE ROY (a cura di), Le système de répartitiondes terres, Paris, 1973; B. CROUSSE- É. LE BRIS-É. LE ROY (a cura di), Espaces disputés enAfrique noire: pratiques foncières locales, Paris, 1986. Ampi rinvii bibliografici sullostudio del sistema fondiario africano sono reperibili in N. ROULAND, Anthropologiejuridique, Puf, Paris, 1988, trad. it. di R. ALUFFI BECK PECCOZ, Antropologia giuridica,presentazione di P. G. Monateri, Giuffrè, Milano, 1992, pp. 278-279; R. SACCO, Le droitafricain. Anthropologie et le droit positif, Dalloz, Paris, 2009, pp. 97-98. Cfr. inoltre R.SCHOTT, The Problems of Private and Collective Property Among Primitive Peoples, in J.LIMPENS (a cura di), Rapports Généraux au Ve Congrès international du droit comparé,Bruxelles, 4-9 aout 1958, Établissements Émilie Bruylant, Bruxelles, 1960, pp. 83-88; A.N. ALLOTT, Language and Property. A Universal Vocabulary for the Analysis andDescription of Property Relationships, in African Language Studies, 11, 1970. Più recen-

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cogliere la realtà delle complesse relazioni con la terra proprie diogni cultura. La questione ha attirato l’attenzione dell’etnologia edell’antropologia giuridica ed economica, la quale, distaccandosi daogni costruzione generica, ha riformulato il termine, applicandolo atutti quei casi in cui si presenta un’appropriazione materiale dellanatura (31).

Certamente il problema concettuale che ha attirato la nostra at-tenzione non appartiene esclusivamente alla nostra indagine. La me-desima questione è affiorata dall’analisi di altre società, nelle qualil’individualismo proprietario non si è affermato come ideologia. Inparticolare, secondo una tesi tuttora discussa, la nozione di proprietàemergente nell’età moderna sarebbe il risultato di una specifica evo-luzione economica sconosciuta alle società pre-industriali (32), inquanto, come osserva Fernando de Trazegnies, la proprietà stessa èuna delle tante forme storiche di regolamentazione sociale, un sistemadi diritti e obbligazioni che varia con il tempo e che pertanto acquisiscedifferenti significati (33). Nel cuore dell’analisi antropologica del di-ritto si incontra, dunque, il medesimo problema concettuale già se-gnalato da Malinowski (34) e si può perciò comprendere perché si sia

temente meritano attenzione le riflessioni di J. VANDERLINDEN, Analyzing Property inDifferent Societies, in Journal of Civil Law Studies, 1, 2008, p. 61 e ss. e di É. LE ROY, Laterre de l’autre. Une anthropologie des régimes d’appropriation foncière, Lgdj, Paris, 2012.

(31) Insiste giustamente su questo aspetto M. GODELIER, L’idéel et le matériel.Pensée, économies, sociétés, Fayard, Paris, 1984, p. 108. Cfr. inoltre C. M. HANN, voceProperty, in Encyclopedia of Social and Cultural Anthropology, Routledge, London-NewYork, 2002, p. 435; e di É. LE ROY, La terre de l’autre, cit., pp. 23-31; 41 e ss.

(32) Questione centrale nell’opera di Karl Polanyi e dei suoi discepoli. Cfr. K.POLANYI, The Great Transformation, Holt, Rinehart & Winston Inc., New York, 1944,trad. it di R. VIGEVANI, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche dellanostra epoca, 2a ed., Einaudi, Torino, 2000; K. POLANYI-C. M. ARENSBERG-H. W. PEARSON

(a cura di), Trend and Market in the Early Empires. Economies in History and Theory,The Free Press, New York, Collier-Macmillan Limited, London, 1957. Cfr. in partico-lare il contributo di D. B. FUSFIELD, Economic Theory Misplaced. Livelihood in PrimitiveSociety, p. 353. Più di recente, anche dal punto di vista sociale ed economico, cfr. l’ottimamessa a punto di G. MADJARIAN, L’invention de la propriété: De la terra sacrée à la sociétémarchande, L’Harmattan, Paris, 1991.

(33) F. DE TRAZEGNIES, La transformación del derecho de propiedad, in Derecho, 33,1978.

(34) B. MALINOWSKI, The Primitive Economics of the Trobiand Islanders, in The Eco-nomic Journal, 31, 1921, p. 3: « the main difficulty in this, as in ever so many similar

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proposto l’abbandono o la riformulazione del vocabolo (35). Inoltre,è chiaro esso non rende conto della dimensione spirituale dei rapportiumani (36).

Nelle Ande non esisteva un termine che potesse dirsi omologoa quello di proprietà. La nozione, però, è stata trapiantata e ribadita

questions, lies in our giving our own meaning of “ownership” to the corresponding nativeword. In doing this we overlook the fact that to the natives the word “ownership” not onlyhas a different significance, but that they use one word to denote several legal and economicrelationships, between which it is absolutely necessary for us to distinguish ».

(35) Così in P. E. PETERS, Beyond Embeddedness. A Challenge Raised by a Comparisonof the Struggles over Land in African and Post-Socialist Countries, in K. VON BENDA

BECKMANN-F. VON BENDA BECKMANN-M. WIBER (a cura di), Changing Properties of Property,Berghahn Books, New York-Oxford, 2006, p. 84 e ss.; M. DAVIES, Property. Meanings,Histories, Theories, Routledge-Cavendish, Abingdon, 2007, pp. 126 e ss. Numerosi i rilievicirca l’inadeguatezza del termine: oltre a VANDERLINDEN e LE ROY, citati nella nota 30, trale opere più significative cfr. M. STRATHERN, Subject or Object? Women and the Circulationof Valuables in Highlands New Guinea, in R. HIRSCHON (a cura di), Women and property-women as property, Croom Helm Ltd., London, St. Martin’s Press, New York, 1984, p.158 e ss.; E. A. POVINELLI, The Cunning of Recognition: Indigenous Alterities and the Makingof Australian Multiculturalism, Duke Univ. Press, Durham, NC, 2002; R. S. MEINZEN-DICK-R. PRADHAN, Legal pluralism and dynamic property rights, in CAPRi working papers,22, 2002, pp. 1-2; C. H. HANN, The State of the Art. A New Double Movement? Anthro-pological Perspectives on Property in the Age of Neoliberalism, in Socio-Economic Review,5, 2007, p. 291: « in short, anthropologists have critiqued the narrow view of property andestablished its inadequacy even for societies in which this reflects a dominant “folk model”.Together with numerous scholars in socio-legal studies, they have argued for a widercompass ». Il dibattito sul tema ha assunto diverse sfumature critiche, spaziando da po-sizioni che propongono l’abbandono del vocabolo, ovvero d’ignorarlo, ad altre che di-chiarano la necessità di ridefinirlo o di contestualizzarlo a seconda dell’area in riferimento.È chiaro, però, che in una serie di situazioni l’uso del vocabolo può confondere piuttostoche illuminare. Un’interessante proposta ricostruttiva è stata suggerita dal giurista ame-ricano Anthony Craig ARNOLD, il quale, criticando la classica metafora di bundle of rightslegata alla contemporanea nozione di proprietà del diritto nordamericano, afferma lanecessità di pensare a essa in termini di « web of interests ». Tale nozione cattura la com-plessità delle modalità di interrelazione tra le persone, le cose e l’insieme di norme e diistituzioni che compongono la proprietà. Cfr. C. A. ARNOLD, The Reconstitution of Property:Property as a Web of Interests, in Harvard Environmental Law Review, 26, 2, 2002, p. 331e ss. Per ampi riferimenti sull’argomento cfr. C. HUMPHREY-K. VERDERY, Introduction:Raising Questions about Property, in ID. (a cura di), Property in Question: Value Tran-sformation in the Global Economy, Berg, Oxford, 2004, pp. 11-12.

(36) R. VERDIER, Civilisations paysannes et traditions juridiques, in R. VERDIER-A.ROCHEGUDE (a cura di), Systèmes fonciers à la ville et au village. Afrique noire francophone,L’Harmattan, Paris, 1986, p. 6.

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fino a oggi per ogni città e villaggio, per ogni spazio creato eorganizzato sulla falsariga del modello europeo, tutti luoghi istituitiin forza della volontà sovrana di creare e dotare di « proprietà » allamaniera occidentale i capisaldi del potere coloniale. Non accaddealtrettanto per le terre che erano effettivamente in possesso indige-no: qui la nozione fu imposta a una realtà diversa, una realtàpermeata dalla concezione familiare ancestrale per cui il rapporto tral’uomo e la terra non si esauriva mai nella relazione diretta trasoggetto e cosa ma, come vedremo oltre, era mediato da un com-plesso di rapporti reciproci che condizionavano i diversi gradi e lemodalità dell’uso fondiario.

Prima di volgere lo sguardo verso le considerazioni che sosten-gono la nostra proposta è necessaria un’ulteriore considerazione.

L’uso del termine « proprietà » è una realtà presente nel baga-glio dell’esperienza culturale andina successiva alla Conquista; sitratta di una delle tante forme di contaminazione concettuale che siè radicata nella società locale a causa di una sorta di processo diosmosi: l’indigeno si è impossessato del vocabolo per parlare lastessa lingua del conquistatore e per poter così difendere i suoiinteressi secondo le formule etnocentriche dei gruppi di potere concui doveva misurarsi (37). Oltre a ciò, l’utilizzo del termine è semprestato presente nelle testimonianze scritte e nelle analisi accademicheche hanno indagato la realtà andina. La tradizione dei testi legislatividella zona sono il riflesso fedele di tale atteggiamento.

Nelle pagine seguenti cercheremo, pertanto, di mostrare quali

(37) Il fenomeno accennato è tuttavia comune a ogni contesto post-coloniale chepreveda il reclamo di terre da parte dei popoli originari. Sul bisogno e sull’implicazionedi traslare le nozioni autoctone dei rapporti fondiari nella terminologia occidentale dellaproprietà sono utili le riflessioni rilevate per l’esperienza del popolo canadase KluaneFirst Nation da P. NADASDY, Property and Aboriginal Land Claims in the CanadianSubarctic : Some Theoretical Considerations , in American Anthropologist, 104, 2002, pp.247-261: « the legal (and cultural) concepts of "ownership" and "prop-erty" recognized byCanadian courts and lawmakers can-not adequately represent the complexities of thisrelation-ship. Yet these same concepts are fundamental to the very idea of aboriginaltreaty making. This means that to even engage in the process of negotiating a land claimagree-ment, First Nation people must translate their complex re-ciprocal relationshipwith the land into the equally com-plex but very different language of “property” »(Ibid., p. 248).

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pericoli si annidino nelle operazioni di trapianto concettuale chesono state condotte per disciplinare i rapporti fondiari nelle Ande.

3. Il rapporto con la terra.

Un primo fattore da esaminare riguarda le differenti concezionidi fondo tra il mondo andino e l’approccio della scienza giuridica distampo romanistico in relazione al rapporto tra l’uomo e la terra.

Nelle Ande il rapporto tra l’uomo e la terra s’intende come un« insieme di diritti e obbligazioni legati a uno spazio culturale eterritoriale » chiamato comunità o ayllu. Sebbene i due termini sianospesso utilizzati come sinonimi, è invece opportuna una distinzioneconcettuale. L’ayllu (termine quechua il cui correlativo aymara èjatha) corrisponde all’originaria base familiare della struttura socialeandina, la quale presupponeva il possesso comune della terra,nonché forme di lavoro collettivo a beneficio di tutti i suoi membri.Il concetto di comunità, invece, è legato alla nozione di proprietàintrodotta nelle Ande in seguito all’invasione spagnola e vienequindi a far parte del discorso giuridico a essa successivo (38).

In questo quadro, la terra è anzitutto soggetta all’insieme delleregole tradizionali che disciplinano la vita della comunità. Le me-desime regole determinano lo status del singolo all’interno delgruppo, condizionando il suo accesso alla terra. Così, i fattoriderivanti dalla parentela, l’affiliazione storica a una comunità ol’adesione a essa per la prestazione di servizi, cariche (cargos) elavoro determineranno l’accesso alla terra e il diverso grado deidiritti sul suolo.

In molte comunità, dopo la Conquista, la forma consuetudinariadell’accesso alla terra si basa sulla nozione coloniale di contribuyente(o di comunero activo o afiliado). Essa definisce chi è titolato aoccupare la terra, qualifica che porta con sé un insieme di diritti eobbligazioni che riguardano aspetti della vita della comunità (39). Il

(38) Ampi riferimenti sulle voci ayllu e comunidad in infra 52 e ss.(39) Nella cosmologia aymara l’accesso alla terra controllata dalla comunità è

condizionato dal compimento di obblighi comunitari stabiliti dal sistema del thaki,ovvero, « il camino predeterminato della vita ». Tale concetto consiste nel camino diresponsabilità e di ruoli di autorità comunitaria che tutti devono svolgere per essere

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contribuyente rappresenta la sua famiglia e il riconoscimento di talecondizione, insieme al compimento delle obbligazioni con la comu-nità, garantisce il diritto d’accesso alla terra del suo lignaggio.

Nella struttura andina il possesso fondiario non rappresenta unasorta di ombra proiettata dalla libertà del singolo. Essa si inserisce,come base materiale, in un concerto di rapporti sociali di matriceconsuetudinaria. L’impiego della terra, e di ogni bene che abbia unuso socialmente riconosciuto dalla comunità, deve intendersi, dun-que, non tanto come l’oggetto di un insieme di diritti, ma come unaforma di reciprocità generalizzata, che sorge dal possesso comunedella terra (40).

Possiamo ora formulare alcune considerazioni basilari per com-prendere la diversità degli approcci radicati nelle esperienze aconfronto.

La « proprietà » nota al giurista formatosi a contatto con l’ere-dità romanistica è il frutto di una semplificazione: la « cosa » èrappresentata come l’oggetto diretto e perfetto della volontà delsingolo. Essa gioca un ruolo primario nel discorso giuridico proprioperché costituisce l’oggetto della libertà del singolo proiettata sulmondo che viene così dominato. La proposta di rivedere questiassunti, avanzata sul finire del diciannovesimo secolo dal francese M.Planiol, insisteva sulla mancanza di una differenza sostanziale tra idiritti personali e i diritti reali, in quanto ogni diritto regola in ultimaanalisi un rapporto tra le persone (41). È noto tuttavia che questo

considerati come membri a pieno titolo della comunità, nonché per esercitare i corri-spondenti diritti. Cfr. G. COLQUE-J. CAMERON, El difícil matrimonio entre la democraciacomunal e indígena en Jesús de Machaca, in J. P. CHUMACERO (a cura di) Reconfigurandoterritorios, reforma agraria, control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, FundaciónTierra, La Paz, 2009, p. 177. Quest’ultima e le successive pubblicazioni della FundaciónTierra riportate sono anche reperibili sul sito www.ftierra.org.

(40) Cfr. G. RIVIÈRE, El sistema de aynuqa: memoria e historia de la comunidad(comunidades aymara del altiplano boliviano), in D. HERVE-D. GENIN-G. RIVIÈRE (a curadi), Dinámicas del descanso de la tierra en los Andes, Orstom-Ibta, La Paz, 1994, p. 95.

(41) M. PLANIOL, Traité élémentaire de droit civil, Paris, 1897, t. 1, n. 2.158. Lateoria, nota come dottrina dell’obbligazione passiva universale, ebbe grande accoglienzatra i giuristi durante i primi decenni del Novecento. Più tardi S. GINOSSAR (Droit réel,propriété et créance, Lgdj, Paris, 1960), professore dell’Università di Gerusalemme,metterà in discussione la distinzione classica tra diritti personali e reali, sostenendo chela differenza tra i due tipi di diritti consiste esclusivamente nella maggiore o minore

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diverso approccio non arrivò mai a scalzare quello precedente, cheper l’appunto figura tuttora in autorevoli trattazioni di diritto civilefrancese (42).

precisione dell’obbligazione verso il titolare, quanto all’individuazione dei soggetti tracui corre il rapporto. L’osservatore avveduto ricorderà che la stessa differenza si ritrovaall’interno della tradizione giuridica europea nel confronto storico tra il diritto dicommon law e quello continentale, di stampo romanista. Per il primo, la nozione deirapporti inerenti alla cosa prevale nella ricostruzione delle prerogative riconosciute aisoggetti, permettendo in maniera scorrevole la formazione e l’allocazione dei diversiinteressi protetti rispetto allo stesso oggetto. Viceversa, nella concezione romanista, lacosa stessa è concepita come « proprietà », oggetto diretto e immediato della signoria deltitolare, che prende la forma del diritto reale. Pertanto, una « cosa » può dirsi apparte-nente a un soggetto in via esclusiva e quindi appare privata di tutta la gamma di rapportiche invece sono organizzati intorno a essa. È per questo motivo che nel sistema dicommon law la voce property può designare (nei discorsi dei giuristi in cui si ritrovacomunque una pluralità di significati) una serie di relazioni giuridiche che riguardano unacosa materiale o immateriale. Le differenze accennate spingono la dottrina comparatistaa riflettere criticamente sui miraggi di uniformità basati sulle similitudini semantiche osulle traduzioni impulsive tra le diverse lingue in rapporto. Infatti, come rileva Gambaro,l’analisi della realtà discorsiva giurisprudenziale chiarisce come ciascuna tradizionegiuridica abbia costruito la « sua » nozione di proprietà. Per questo motivo il primocompito dello studioso che affronta la materia consiste nel superare l’ostacolo derivatodalla molteplicità dei significati che uno stesso termine può assumere nei discorsinazionali. A tale proposito si rimanda a A. GAMBARO, La proprietà nel common lawanglo-americano, in A. CANDIAN-A. GAMBARO-B. POZZO, Property-Propriété-Eigentum,Cedam, Padova, 2002, pp. 15-16; ID., Proprietà in diritto comparato, cit., p. 504.Conviene aggiungere che in seno all’esperienza giuridica anglosassone la contemporaneametafora che domina la teoria della property law si trova legata a una particolare nozione,resa nota a partire dai lavori di Wesley Newcomb Hohfeld. La nozione di bundle ofrigths, in cui la proprietà costituisce un insieme di rapporti giuridici tra persone, disloca,sin dai primi decenni del ventesimo secolo, l’enfasi sul dominio della cosa, sul rapportotra proprietari e beni e su ogni considerazione corporale del suo oggetto. Per appro-fondire cfr. T. C. GREY, The Desintegration of Property, in R. A. EPSTEIN (a cura di),Modern Understanding of Liberty and Property, Garland, New York, 2000; K. J.Vandevelde, The New Property of the Nineteenth Century. The Development of theModern Concept of Property, in Buffalo L. Rev., 29, 1980, pp. 325-367; J. E. CRIBBET,Concepts in Transition: the Search for a New Definition of Property, in U. Ill. L. Rev.,1986, pp. 1-46; J. E. CRIBBET-C. W. JOHNSON, Principles of the Law of Property, 3a ed., TheFoundation Press, Westbury, N.Y., 1989; J. E. PENNER, The Bundle of Rights Picture ofProperty, in UCLA L. Rev., 43, 1996, pp. 711-820; S. R. Munzer, Property as SocialRelations, in ID., New Essays in the Legal and Political Theory of Property, CambridgeUniv. Press, Cambridge, 2001, pp. 36-75; J. W. SINGER, Introduction to Property, 2a ed.,Aspen Law & Business, New York, 2005. Nella recente esperienza scientifica peruviana

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Tutto è diverso in seno all’esperienza andina: il possesso dellaterra si inserisce in un complesso di diritti e di obbligazioni inter-correnti tra le persone rispetto alle cose. Siamo, perciò, di fronte adapprocci che spostano il discorso dalla centralità della « cosa » versoil primato del rapporto sociale, il quale, nella relazione giuridica, èeffettivamente anteposto a ogni considerazione materialista (43).

Nelle Ande la relazione con la terra si costruisce grazie a una serie dirapporti comunitari e al tempo stesso familiari, in cui lo scambio reciprocogiocaunruolocentrale.Lafondazionee l’adesioneaunafamigliaè il fattoredecisivo per acquisire diritti fondiari. Si tratta, in altre parole, di una strut-turaincui ilsingolosenzarapportirestafuoridalloschemadiappartenenza.In questo contesto, si coglie l’importanza di una riflessione di Lévi-Strauss,che riprende studi psicologici di Susan Isaacs, secondo cui ciò che attri-buisce valore all’oggetto è la dimensione relazionale, legata ai rapporti per-sonali in cui si colloca (44).

la nozione di bundle of rights è stata utilizzata per esprimere l’insieme di diritti checompetono a ogni membro della comunità all’interno delle sue diverse tipologie di terre.Cfr. F. EGUREN-L. DEL CASTILLO-Z. BURNEO, Los derechos de propiedad sobre la tierra enlas comunidades campesinas, in Economía y Sociedad, 71, 2009, pp. 29-38.

(42) Per il diritto francese cfr., ad esempio, S. CIMAMONTI-M. BRUSCHI-J.-L. BERGEL,Traité de droit civil. Les biens, dir. da J. GHESTIN, Lgdj, Paris, 2000, p. 35 e ss.; CH.LARROUMET, Les Biens et droits réels principaux, in Droit civil, 5a ed., Economica, Paris,2006, t. II, p. 12 e ss.

(43) Per un recente uso di tale nozione nelle Ande peruviane cfr. M. NUIJTEN-D.LORENZO, Ruling by Record: The Meaning of Rights, Rules and Registration in an AndeanComunidad, in Development and Change, 40, 1, 2009, pp. 81-103. Gli studi antropologicisui rapporti proprietari concordano sul fatto che i diritti sulle cose sono sempre megliointesi come diritti tra persone (in relazione con le cose). Cfr. J. GOODY, Death, propertyand the ancestors: a study of the mortuary customs of the Lodagaa of West Africa,Tavistock, London, 1962, p. 287; M. GLUCKMAN, Politics, Law and Ritual in TribalSociety, Blackwell, Oxford, 1965, p. 46; M. BLOCH, Property and the End of Affinity, inID. (a cura di), Marxist Analyses and Social Anthropology, Malaby Press, London, 1975,p. 204; D. W. SABEAN, Power in the Blood. Popular Culture and Village Discourse in EarlyModern Germany, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1984; C. M. HANN, voce Proper-ty, cit., p. 435; ID., Property Relations. Renewing the Anthropological Tradition, cit., p. 8;R. MEINZEN-DICK-E. MWANGI, Cutting the web of interests: pitfalls of formalizing propertyrigths, in Land Use Policy, 26, 2008, p. 36.

(44) C. LÉVI-STRAUSS, Les Structures élémentaires de la parenté, Mouton & co, Paris,1967, p. 100: « le désir de posséder n’est pas un instinct, et n’est jamais fondé (ou trèsrarement) sur une relation objective entre le sujet et le objet. Ce qui donne à l’objet sa

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Il sistema proprio della tradizione romanistica fa primeggiarel’oggetto, mentre quello tradizionale andino privilegia le relazionicostruite sull’oggetto. Il rapporto sociale nelle Ande ha dunque unruolo del tutto primario.

4. La base spirituale della relazione con la terra.

Vi è poi da formulare una seconda osservazione non menorilevante. Nelle Ande è presente e radicata una concezione simbolicao mistica del mondo, che affonda le proprie radici nello sciamane-simo. Questo pensiero concepisce i rapporti con la terra come uninsieme di relazioni materiali e spirituali riguardanti forze dal cuiequilibrio dipende la stessa sussistenza umana.

Osservando la realtà attuale nell’altopiano boliviano, Rivièrenota: « agire sul mondo materiale è soltanto possibile se esiste unagestione comunitaria effettiva di un complesso di forze che emananodagli “dei”, “spiriti”, ecc... con cui devono mantenersi rapporti direciprocità. Seminare, raccogliere, produrre, insomma, amministrarei differenti momenti del calendario agricolo, non si riduce soloall’amministrazione di dati materiali; si tratta pure di negoziare

valeur, c’est la relation à "autrui" ». A tale proposito è doveroso il richiamo alle riflessionidi R. SACCO, Antropologia giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto, Il Mulino,Bologna, 2007, p. 265 e ss., secondo cui per ricostruire fedelmente la natura del rapportoche l’uomo istituisce con le cose non bisogna trascurare i rapporti extraeconomici delgruppo umano e del singolo verso tali cose. Pertanto nella relazione d’appartenenza avràun ruolo fondamentale la nozione dello « spazio » in cui i soggetti e le cose interagiscono.È proprio per questo motivo che la costruzione simbolica dello spazio costituisce ilprimo compito che si da l’antropologia giuridica per comprendere i diversi regimi diappropriazione fondiaria. Sono classici, a questo proposito, i contributi di E. LE ROY

riassunti in La terre de l’autre, cit., p. 41 e ss. Anche nella storia rurale europea si puòconstatare l’irriducibilità della relazione con la terra a schemi semplicistici: il possesso,secondo Vasapollo, ha nessi profondi con la famiglia e può assumere sfumature diverseche determinano diversi gradi di potestà sul suolo. A tale riguardo, si possono citaredecine di forme di gestione della terra che affrontano la questione della proprietà inmaniera atipica rispetto a quella che sarà poi la norma in epoca capitalista; cfr. L.VASAPOLLO, Dagli Appennini alle Ande. Cafoni e indios, l’educazione della terra, JacaBook, Milano, 2011, p. 51. Un’ampia casistica sulle diverse forme di organizzazione difamiglia e di villaggio nell’Europa dell’Ottocento è contenuta nella raccolta di P. H.STAHL-M. GUIDETTI, Il sangue e la terra. Comunità di villaggio e comunità familiarinell’Europa dell’800, Jaca Book, Milano, 1977.

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permanentemente con delle forze localizzate all’interno e all’esternodella comunità. È per questa ragione che, nel processo di socializ-zazione della natura, non si può separare l’efficienza tecnica dall’ef-ficienza simbolica » (45).

Ecco la particolarità: la terra è intesa primariamente comeun’entità naturale e spirituale che partecipa in maniera simultaneaall’ordine dell’universo e all’ordine dell’uomo. I rapporti con essarappresentano piuttosto un modo di sussistenza, una maniera diessere, di vivere e un modo di pensare e di agire. La profondaconcezione spirituale delle relazioni con la terra nel mondo andinosi contrappone in questo modo alla proprietà laica, garantita dalloStato (46). Cerimonie, feste, riti religiosi e offerte di diverso tipoaventi luogo durante le attività agro-pastorali rendono evidente ilcarattere sacro della terra e dei suoi prodotti nella mentalità dellepopolazioni autoctone (47). Il concetto di sacralità della terra, scriveLuciano Vasapollo, è ben più complesso di quanto l’uomo modernopossa immaginare. A essere sacra, infatti, non è un’entità materialecome il suolo, ma una relazione che si stabilisce tra esso e i suoiabitanti: tra la terra, gli elementi naturali, le risorse, gli uomini e leattività che essi praticano durante la quotidiana vita dei campi (48).

Nelle società tradizionali, ciò che chiamiamo « proprietà » im-plica una relazione mistica tra la cosa e l’uomo che la usa, e questospiega perché l’uomo andino contemporaneo maneggi simultanea-mente due nozioni di proprietà: una è quella che risale all’intelaia-

(45) G. RIVIÈRE, El sistema de aynuqa, cit., p. 97.(46) Per un rilievo analogo, rispetto all’Africa subsahariana, R. Verdier, (Civilisa-

tions paysannes et traditions juridiques, cit., p. 6) sottolinea: « il y a au mois deux raisonsmajeurs tenant aux fondements et à l’idéologie de notre système de droit: d’un côté, ilen prend pas en compte la dimension spirituelle des rapports humains, de l’autre, ils’élabore essentiellement à partir de l’État et de ses sujets individuels. Droit laïque d’unepart, qui fait de la terre un chose-objet d’appropriation et de commerce, droit indivi-dualiste et égalitariste, d’autre part, que privatisant les rapports entre particuliers, ignoreles liens de dépendance hiérarchique et de solidarité communautaire au sein des diversgroupes sociaux qui pré-existent à la société globale ».

(47) Sul punto cfr. J. VALLADOLID RIVERA, Andean Peasant Agriculture: Nurturing aDiversity of Life in the Chacra, in F. APFFEL-MARGLIN & PRATEC (a cura di), The Spirit ofRegeneration: Andean Culture Confronting Western Notions of Development, Zed Books,London & New York, 1998, pp. 51-88.

(48) L. VASAPOLLO, Dagli Appennini alle Ande, cit., p. 32.

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tura giuridica inaugurata con l’invasione spagnola del sedicesimosecolo; l’altra è quella stabilita dalla stretta relazione con delledivinità che sono capaci di far produrre i beni della terra, la quale,a sua volta, rappresenta una divinità (49). Lo ricorda ora la CorteInteramericana dei Diritti Umani, la quale ha riconosciuto che ilrapporto « spirituale » con la terra costituisce un elemento decisivoper fissare il concetto stesso di « proprietà » nelle comunità indige-ne. Così, nella sua celebre decisione sulla tutela del diritto alla terradegli aborigeni della comunità nicaraguense Awas Tingni, la Corteha ritenuto che « gli stretti legami dei popoli indigeni con la terradevono essere riconosciuti e intesi come la base fondamentale dellaloro cultura, della loro vita spirituale, della loro integrità e della lorosopravvivenza economica. Per le comunità indigene, il rapporto conla terra non è soltanto una questione di possesso e produzione, bensìun elemento materiale e spirituale di cui essi devono godere piena-mente al fine di preservare la loro eredità culturale e trasmetterla allegenerazioni future » (50).

(49) F. PEASE G. Y., La noción de propiedad entre los Incas, cit., p. 24. Così, in questadinamica, le feste e le cerimonie fatte durante i periodi di semina e di raccolta hanno avutoda tempi immemori la cosiddetta Madre Terra (Pachamama) come principale beneficiario.Una trattazione generale, ma esaustiva, è reperibile in A. M. MARISCOTTI DE GÖRLITZ, Pa-chamama santa tierra. Contribución al estudio de la religión autóctona en los Andes centro-meridionales, Indiana, 8 (supplemento), Greb. Mann Verlag, Berlin, 1978.

(50) Cfr. Caso de la Comunidad Mayagna (Sumo) Awas Tingni vs. Nicaragua, CorteIDH (ser. C) n. 79 (sentenza del 31 agosto 2001), paragrafo 149. Più di recente cfr. Casodel Pueblo Saramaka vs. Surinam, Corte IDH (ser. C) n. 172 (sentenza del 28 novembre2007), paragrafi 82 e 90; Caso Comunidad Indígena Xákmok Kásek. Vs. Paraguay SerieCorte IDH (ser. C) n. 214 (sentenza del 24 agosto 2010) paragrafi 86, 112, 113. Per unapprofondimento cfr.: J. ANAYA-C. GROSSMAN, The Case of Awas Tingni v. Nicaragua: Anew Step in the International Law of Indigenous People, in Ariz. J. Int’l & Comp. L., 19,2002, pp. 1-15; F. GÓMEZ ISA, El caso Awas Tingni contra Nicaragua: nuevos horizontespara los derechos humanos de los pueblos indígenas, Universidad de Deusto, Bilbao, 2003;L. BRUNNER, The Rise of Peoples’ Rights in the Americas: The Saramaka People Decisionof the Inter-American Court of Human Right, in Chinese JIL, 7, 3, 2008, pp. 699-711; G.CITRONI- K. I. QUINTANA OSUNA, Reparations for Indigenous Peoples in the Case Law of theInteramerican Court of Human Rights, in F. LENZERINI (a cura di), Reparations forIndigenous Peoples. International and Comparative Perspectives, Oxford Univ. Press,Oxford, 2008, p. 317 e ss.; S. J. ANAYA, International Human Rights and IndigenousPeoples, Aspen Publishers, New York, 2009, p. 266 e ss. Per ulteriori rilievi comparativisulla cosmovisione spirituale dei popoli indigeni in ambito antropologico e sociologico

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La differenza con la nozione di proprietà e di possesso occiden-tale, che si è affrancata progressivamente dal legame spirituale ereligioso con l’ecosistema, è dunque palese (51).

5. Il dualismo individuale-collettivo: una critica.

Sul tavolo di lavoro del giurista occidentale da sempre si trovanodue categorie, in rapporto di costante tensione, se non in relazioneantagonista: la proprietà individuale e la proprietà collettiva della ter-ra.

La concezione evoluzionista unilineare dei giuristi e scienziatidel diciannovesimo secolo ha finito per stabilire una divaricazionemolto profonda tra queste due categorie, poste, quindi, in relazionedi antinomia. In breve, le società più avanzate avrebbero raggiuntola perfezione dei rapporti con le cose attraverso l’elaborazione dellanozione di proprietà individuale, indissolubilmente legata alla no-zione di civiltà, mentre le forme di proprietà collettiva tribaleavrebbero dato origine con il trascorrere del tempo alla proprietà delgruppo familiare (52). La crisi della coesistenza delle due forme diappartenenza — individuale e collettiva — si sarebbe manifestatacon l’arrivo della codificazione moderna, a seguito dell’instaurarsi

cfr. D. SUZUKI-P. KNUDTSON, Wisdom of the Elders: Sacred Natives Stories of Nature,Bantam Books, New York, 1992; H. BRODY, The Other Side of Eden: Hunters, Farmers,and the Shaping of the World, North Point Press, New York, 2002; A. SURRALLÉS-P.GARCÍA HIERRO (a cura di), The Land Within: Indigenous Territory and the Perception ofthe Environment, Iwgia, Copenhagen, 2005; J. GRIM (a cura di), Indigenous Traditionsand Ecology: The Interbeing of Cosmology and Community, Harvard Univ. Press Cam-bridge, 2005.

(51) Sul punto cfr., con ampi riferimenti alle società tradizionali, G. MADJARIAN,L’invention de la propriété, cit., p. 41 e ss.

(52) Cfr. le opere pionieristiche di H. S. MAINE (Ancient Law, 1861; On Early Lawand Custom, 1883), L. H. MORGAN (Systems of Consanguinity and Affinity of the HumanFamily, 1871; Ancient Society, 1877), C. LETOURNEAU (L’evolution de la propriété, 1889)e G. D’AGUANNO (La genesi e l’evoluzione del diritto civile: secondo le risultanze dellescienze antropologiche e storico-sociali con applicazioni pratiche al codice vigente, 1890).Sull’adozione dell’evoluzionismo come quadro giuridico nelle opere del diciannovesimosecolo cfr. K. S. NEWMAN, Law and Economic Organization. A Comparative Study ofPreindustrial Societies, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1983, pp. 6-49.

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dello stato assolutista e, successivamente, con l’imposizione dell’in-dividualismo proprietario come valore universale (53).

Si può affermare che l’esperienza andina non conobbe un similedualismo? Per proporre qualche risposta all’interrogativo, si devonoanalizzare altre caratteristiche essenziali del sistema fondiario andino.

Innanzitutto occorre tener presenti i fattori geografici. La varie-tà dei diversi livelli ecologici interconnessi, studiati a partire dailavori sul campo condotti dall’etnostorico John V. Murra, è fonda-mentale per comprendere come l’adattamento culturale andinorisponda a particolari condizioni ambientali. Le forme di sfrutta-mento delle risorse naturali nelle Ande sono complesse e appaionostrettamente legate alle condizioni ambientali e climatiche. A causadelle difficoltà geografiche le comunità andine meridionali nonhanno potuto svilupparsi secondo schemi territoriali unitari e con-tinui, ma rispettando le condizioni d’occupazione delle diversenicchie ecologiche (54). Così, all’interno di una stessa comunità, l’usocomunitario della terra varia a seconda dell’altitudine: le terrecollettive a maggese (barbecho), più fortemente soggette al controllodella comunità, si trovano sempre in zone più alte (altopiano oambienti più ostili) rispetto alle coltivazioni (charcas), nelle qualiprevale invece il fattore individuale (55).

Si potrebbe, dunque, concludere che le pratiche agricole si

(53) Come è stato rivelato per l’esperienza europea da P. GROSSI, Un altro modo dipossedere, cit.; nonché in ID., Assolutismo giuridico e proprietà collettiva, in Il dominio ele cose, cit., p. 695 e ss. Cfr. anche G. MADJARIAN, L’invention de la propriété, cit., p. 28e ss.

(54) Si tratta del suo noto contributo per l’ecologia culturale delle montagne sul« controllo verticale di un massimo di livelli ecologici »: J. V. MURRA, The EconomicOrganization of the Inca State, thesis, Anthropology Department-University of Chicago,Halperin, 1956, trad. spag. di D. R. WAGNER, La organización económica del estado Inca,Siglo Veintiuno, México D.F., 1978; cfr. anche ID., El « control vertical » de un máximode pisos ecológicos en la economía de las sociedades andinas, in J. V. MURRA (a cura di),Visita de la provincia de León de Huánuco en 1562, Iñigo Ortíz de Zuñiga visitador,Universidad Nacional Hermilio Valdizán, Huánuco, Perù, 1972, vol. 2, pp. 429-476; ID.,Formaciones económicas y políticas del mundo andino, Lima, 1975, cap. 3.

(55) E. MAYER, Zonas de producción: autonomía individual y control comunal, in P.MORLON (a cura di), Comprendre l’agriculture paysanne dans les Andes Centrales Pérou-Bolivie, Institut National de la Recherche Agronomique, Paris, 1992, trad. spag. di E.RIVERA MATÍNEZ, Comprender la agricultura campesina de los Andes Centrales Perú-

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modellano in base alle condizioni ambientali e geografiche, le qualipertanto influiscono sulla struttura dell’appartenenza fondiaria (56).

Ma siamo ancora lontani dal dare una risposta esauriente alnostro interrogativo. Una seconda considerazione, di carattere strut-turale, può aiutarci.

Si è già accennato che nell’esperienza culturale andina la visionecomunitaria dei rapporti fondiari permea tutto il sistema. Comenotava lo spagnolo Joaquín Costa per il periodo coloniale « ladifferenza tra quel regime [lo spagnolo] e il peruviano non era tantodi qualità quanto di proporzione: in Spagna, la proprietà privata, lalibertà e la responsabilità individuale dominavano sul fattore collet-tivo [...] nel Perù, invece, l’iniziativa dell’individuo, anche se nonassorbita né rifiutata del tutto dalla personalità sociale, si trovavaconfinata in limiti molto ristretti, prevalendo sopra di essa il poteredelle comunità locali e quello centrale » (57). Si riallaccia a questoaspetto del discorso la conseguenza più rilevante che intendiamosegnalare: qualunque sia la forma di sfruttamento fondiario, la

Bolivia, Institut Française d’Études Andines (Ifea)-Centro de Estudios RegionalesAndinos Bartolomé de las Casas, Lima-Cusco, 1996, p. 165.

(56) R. M. NETTING, Alpacas, Sheep, and Men. The Wool Export Economy andRegional Society in Southern Peru, Academic Press, New York, 1977; D. GUILLET, LandTenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in the Central Andes, in AmericanEthnologist, 8, 1, 1981, pp. 139-156; S. BRUSH-D. GUILLET, Small Agro-Pastoral Produc-tion in the Central Andes, in Mountain Research and Development, 5, 1, 1985, pp. 19-30.Tale premessa non è però esclusiva delle montagne andine. In Europa, gli studi condottinella zona alpina sottolineano il concetto di Alpwirtschaft, consistente nella strategiaassociata con il movimento di persone e animali in spazi verticali e orizzontali, in cui siosserva un controllo comunitario delle zone di pascolo in combinazione con un controlloindividuale sugli appezzamenti. Tali dinamiche sono determinate da istituzioni socialiche programmano i complessi movimenti nel tempo e nello spazio. Per un approfondi-mento cfr. i classici contributi di R. E. RHOADES-S. I. THOMPSON, Adaptatives Strategies inAlpine Environments. Beyond Cultural Particularism, in American Ethnologist, 2, 5, 1975,pp. 35-51; R. M. NETTING, Balancing on an Alp. Ecological Change and Continuity in aSwiss Mountain Community, Cambridge Univ. Press, Cambridge-New York-Melbourne,1981. La nozione di Alpwirtschaft, insieme al contributo sulla verticalità di Murra, è allabase degli studi comparativi sull’ecologia culturale delle montagne. Cfr. D. GUILLET,Toward a Cultural Ecology of Mountains. The Central Andes and the Himalaya Compared,in Mountain Research and Development, 6, 3, 1986, pp. 206-214.

(57) J. COSTA, Colectivismo agrario en España, Editorial Americalee, Buenos Aires,1944, p. 132.

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presenza della comunità è sempre palese, oscurando l’iniziativa delsingolo riguardante l’uso della terra.

Proviamo a riformulare la questione. Sappiamo ormai che nel-l’esperienza andina ogni rapporto fondiario si inserisce nella strut-tura della comunità. La comunità riassegna annualmente parte delsuolo a ogni capo famiglia, in proporzione al numero dei suoicomponenti. Da tempi immemorabili, in molte comunità questepratiche conducono a semplici conferme del previo possesso.

In seno a questa struttura, le due principali forme di sfrutta-mento della terra, la sayaña (insieme d’appezzamenti su cui si insediala famiglia) e l’aynuqa (terre demarcate e destinate allo sfruttamentoagropecuniario familiare, in conformità alle norme stabilite dallacomunità quanto alla loro rotazione e alle pratiche d’uso ammesse),si inseriscono nel discorso che riguarda l’intervento delle regoleorganizzative della vita comunitaria. L’accesso a queste forme diutilizzo del suolo presuppone l’accettazione delle norme che impon-gono gli obblighi comunitari. Così, sebbene l’intervento della comu-nità sulla sayaña sia minimo, la presenza dell’autorità comunitariagarantisce l’ordine territoriale, tramite il potere d’intromissione incaso di contenzioso, eredità, scambio di terreni o di inadempimentodelle obbligazioni che la vita comunitaria impone. Questa limitatapresenza comunitaria contrasta con le regole riguardanti l’aynuqa.Nell’aynuqa, benché la terra sia oggetto di uno sfruttamento esclu-sivamente familiare, la sua base strutturale, cioè la distribuzione e larotazione delle terre, nonché la scelta delle stesse coltivazioni, siinserisce nell’ambito delle pratiche consuetudinarie della comunità.

In breve, la differenza tra queste due tipologie di organizzazionefondiaria non consiste nella forma dello sfruttamento (individuale,familiare, collettivo), nella diversa funzione della terra così assegnata.

Questa prima riflessione ci porta a esprimere riserve circa lapossibilità e l’opportunità di riproporre in relazione allo spazioandino l’antagonismo tra « individuale » e « collettivo » su cui tantoinsiste il pensiero giuridico formatosi in Europa.

La diversità che si incontra nell’esaminare la situazione sulterreno lascia perplesso l’osservatore occidentale. La riflessione cri-tica sulla questione è d’altra parte ormai aperta da tempo. GiàBronislaw Malinowski sosteneva che, nelle società tradizionali og-getto dei suoi studi, i rapporti con le cose non potessero concepirsi

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in termini di proprietà individuale o collettiva (58). Egli preferivaanalizzare i rapporti con i beni facendo ricorso al concetto direciprocità (59). Tale concetto insieme a quello di redistribuzione saràpiù tardi ripreso da Karl Polanyi, nel quadro dello studio dedicatoalle conseguenze dell’instaurazione del mercato come istituzionegeneralizzata (60), e da John V. Murra nei suoi lavori dedicati almondo andino (61). Altri studi ormai classici di Raymond Firth(Primitive Polynesian Economy,1939), Paul Bohannan (Land, Tenureand Land Tenure, 1963), E. Adamson Hoebel (Fundamental LegalConcepts as Applied in the Study of Primitive Law, 1942) e di MaxGluckman (The Ideas in Baroste Jurisprudence, 1965), ritornano sullostesso argomento, in rapporto a società che non conoscono ilmercato come mezzo generalizzato di scambio dei beni e dei servizi.

La medesima prospettiva si afferma nello studio della regioneandina. Fin dalle prime riflessioni formulate in seno al movimentodell’indigenismo giuridico peruviano degli inizi del Novecento risultachiara la difficoltà concettuale incontrata dai giuristi nel tentativo diconformare la realtà delle comunità indigene allo schema individuale-collettivo, con cui i giuristi avevano familiarità (62). Prendiamo l’esem-pio dell’attento osservatore cuzqueño Félix Cosio, attivo agli inizi delventesimo secolo. Secondo Cosio, i lotti posseduti dalle famiglie dellecomunità indigene si trovano in una condizione giuridica particolare:i loro diritti sono subordinati al potere del gruppo. Tale potere siesprimerebbe attraverso l’imposizione di un ordine puramente morale

(58) B. MALINOWSKI, Crime and Custom in Savage Society [1926], Routledge &Kegan and Paul Ltd., London, 8a ed., 1966; ID., Coral Gardens and their Magic: a Studyof the Methods of Tilling the Soil and of Agricultural Rites in the Trobriand Islands, UnwinBrothers Ltd., London, 1935.

(59) B. MALINOWSKI, Crime and Custom in Savage Society, cit., p. 21: « ownership,therefore, can be defined neither by such words as “communism” nor “individualism”,nor by reference to “joint-stock company” system or “personal enterprise”, but by theconcrete facts and conditions of use. It is the sum of duties, privileges and mutualitieswhich bind the joint owners to the object and to each other ».

(60) K. POLANYI, La grande trasformazione, cit., p. 62 e ss.(61) Debito concettuale che l’autore riconosce nell’introduzione della sua opera

The Economic Organization of the Inca State, cit.(62) Per dettagli e rinvii sul movimento dell’indigenismo giuridico, nonché sulle

sue implicanzioni nella trattazione del diritto di proprietà tradizionale nelle Ande cfr.infra 238-239.

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all’interno della comunità che tuttavia limita effettivamente la liberadisposizione dei loro beni. Il sistema semi-comunitario presenta, nelsuo immaginario, un aspetto diverso di fronte alla legge e di fronte allarealtà: la proprietà delle popolazioni autoctone è proprietà indivi-duale, secondo le formulazioni della legge repubblicana (63), ma, neifatti, si tratta invece di una co-proprietà di gruppo, debolmente so-stenuta dall’ordine morale dell’ayllu (64).

Tra i contributi recenti, Enrique Mayer è forse l’autore che piùconcretamente si è indirizzato verso la decostruzione del termine« proprietà ». Mayer ritiene che sia necessario scartare, come sem-plificazioni tipologiche, i concetti europei di proprietà (comunitaria,feudale, privata, ecc.), giacché questa tipologia presuppone unamutua esclusione. « Secondo le definizioni europee, la proprietà puòessere collettiva o privata, essendo esclusa la possibilità di unacombinazione di entrambi i concetti. L’uso di qualificativi come“semi” (semifeudale o semiprivato) mostra palesemente le difficoltàdel ricercatore, che per designare l’osservato, pretende di far calzarele varie circostanze in concetti precostituiti » (65). Per l’economista

(63) Il riferimento è ai decreti di Simón Bolívar che avevano dichiarato ogniindigeno proprietario del lotto posseduto. Vedi infra 207 e ss.

(64) Cfr. F. COSIO, La propiedad colectiva del ayllu, in Revista Universitaria. órganode la Universidad del Cuzco, 5, 16, 1916, p. 36. Più di recente, Nuñez Palomino affermache i concetti « individuale » e « collettivo » sono più facili da spiegare in un’economiadi tipo occidentale, a differenza di quell’andina. Il carattere sui generis delle forme dipossesso nelle comunità latinoamericane, rende, infatti, difficile una sua categorizzazionesecondo la categoria dicotomica occidentale. Tale difficoltà è palese nel lavoro di duestudiosi della Banca Interamericana di Svilupo i quali qualificano il sistema fondiarioall’interno delle comunità come « una forma alternativa di possesso privato con aspettiinvidicuali e collettivi ». Cfr. P. G. NÚÑEZ PALOMINO, Derecho y comunidades campesinasen el Perú 1969-1988, Centro de Estudios Regionales Andinos « Bartolomé de lasCasas »-Centro de Educación Ocupacional « Jesús Obrero », Cusco, 1996, p. 177. Cfr.R. PLANT-S. HVALKOF, Titulación de tierras y pueblos indígenas, Banco Interamericano deDesarrollo, Washington, D.C., 2002, p. 78.

(65) E. MAYER, The Articulated Peasant: Household Economies in the Andes,Westview Press Boulder-Oxford, 2002, trad. spag. di J. FLORES ESPINOZA, Casa, charca ydinero. Economías domésticas y ecología en los Andes, Iep, Lima, 2004, p. 304; cfr. ancheID., Tenencia y control comunal de la tierra: caso de Laraos (Yauyos), Departamento deCiencias Sociales de la Pucp, Lima, 1977, pp. 2-3. Su tali postulati, l’antropologo D.GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in the Central Andes,cit., pp. 140-141, propone i termini di « controllo comunitario » per le forme di possesso

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boliviano Chumacero questa forma mista di possesso ha il suocorrelato in economie rurali, contadine e indigene di tipo misto,dove la coltivazione familiare è regolamentata e sostenuta dallacomunità e dalle sue norme. Tutto ciò rivela che, in queste situazio-ni, il collettivo non si oppone all’individuale, al contrario i duetermini sono complementari e si arricchiscono a vicenda (66).

Ci avviciniamo, ormai, al punto cui si voleva tendere. La nozio-ne che proponiamo evita di ridurre la complessità di queste relazioniall’opposizione concettuale tra « individuale » e « collettivo » che lascienza giuridica occidentale ha promosso. Seguendo le intuizioni diGodelier, si tratta piuttosto di pensare a un « sistema di diritticombinabili », cioè di elementi che variano secondo la realtà localee secondo i mezzi materiali e intellettuali di cui ogni società disponeper controllare la natura (67).

Ecco un’altra caratteristica fondamentale del sistema andino: ilsistema ha carattere ibrido, in forza della combinabilità delle varieforme di possesso fondiario e della complessa rete di interessi checoinvolge.

Concludendo, nelle Ande non si riconosce al singolo un’auto-nomia propria, che lo autorizza a disporre della terra al di fuori delconsenso del gruppo a cui appartiene. La terra è sottoposta ad« controllo comunitario » e i diritti e le obbligazioni reciproche checompetono ai singoli si inseriscono pur sempre nella dimensionedella vita comunitaria (68). Non è, perciò, lecito opporre le duecategorie di diritti — individuali e collettivi — di cui discorre così

tradizionali andine e di « controllo privato » per i rapporti fondiari inseriti in epocacoloniale e repubblicana.

(66) J. P. CHUMACERO R., Trece años de reforma agraria en Bolivia. Avances,dificultades y perspectivas, in ID. (a cura di), Reconfigurando territorios. Reforma agraria,control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, Fundación Tierra, La Paz, 2009, p. 28.

(67) M. GODELIER, L’idéel et le matériel, cit., p. 108. Una simile formula è stataadottata dall’antropologo Xavier Albó nella prefazione a un recente volume collettivosulla vicenda odierna delle comunità boliviane. Cfr. X. ALBÓ, Prólogo a dos manos, in M.URIOSTE-R. BARRAGÁN- G. COLQUE, Los nietos de la reforma agraria. Tierra y comunidad enel altiplano de Bolivia, La Paz, 2007, p. X.

(68) Per cenni espliciti sul controllo comunitario come fattore centrale dell’orga-nizzazione socio-politica nell’altopiano boliviano vedi G. COLQUE-J. CAMERON, El difícilmatrimonio entre la democracia comunal e indígena en Jesús de Machaca, pp. 178-179.

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volentieri il giurista formatosi a contatto con le categorie europee.Entrambe coesistono, in molteplici combinazioni, nell’ambito diquesto sfondo comunitario (69).

6. Tra persone e cose: un sistema olistico.

Le differenze sono marcate, i confronti eloquenti. Merita atten-zione, in particolare, la fondamentale divisione di carattere artificialeda cui emerge la categoria « proprietà »: la distinzione cioè tra ildiritto delle cose e il diritto delle persone.

Come sottolineava Marcel Mauss, viviamo in una società chedistingue fortemente tra i diritti reali e i diritti inerenti alla persona,tra le cose e le persone. Tale separazione è fondamentale: essacostituisce il cardine del nostro sistema di proprietà, d’alienazione edi scambio (70).

Lo scenario andino che abbiamo evocato è del tutto diverso.Ibridazione ovunque. Insistiamo: il sistema d’accesso alla terra sicomprende solo se si considera la posizione o la condizione delsoggetto nella comunità. Lo status del singolo definisce le condizionidell’accesso al suolo. I rapporti di parentela, tra altri elementi, sono

(69) L’analogia con le conclusioni di Rouland per il sistema fondiario dell’Africanera è inevitabile. A suo avviso non esiste la proprietà collettiva nel diritto tradizionale;in Africa le terre sono possedute e controllate da gruppi, ma gli individui hanno accessoa esse e possono utilizzarle secondo diverse modalità che dipendono dalla loro posizionenei gruppi in questione o, in certi casi, dalla loro obbedienza nei confronti di un’autoritàpolitica. Alla qualificazione di « collettivo », aggiunge l’autore, si preferisce, dunque,« comunitario », che non esclude altri diritti individuali: questi esistono, ma sonodeterminati dalla posizione dell’individuo nell’ambito dei gruppi di riferimento. N.ROULAND, Antropologia giuridica, cit., p. 246. Vedi anche É. LE ROY, La terre de l’autre,cit., p. 122 e ss.

(70) M. MAUSS, Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétésarchaïques, rist. in ID., Sociologie et anthropologie [1950], 11a ed., Puf, Paris, 2008, pp.228-229. Su questa scia, Pottage e Mundy affermano che la distinzione tra persone e cosepossa essere proposta come chiave di volta dell’architettura semantica del dirittooccidentale. Cfr. A. POTTAGE-M. MUNDY, Law, Anthropology and the Constitution of theSocial: Making persons and Things, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2004, p. 3. Talepresuposto è centrale nella ricostruzione critica della nozione di proprietà proposta dallarecentissima opera di N. GRAHAM, Lawscape: Property, Environment and Law, Routledge,Abingdon-Oxfordshire, 2011, p. 37 ss.

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la chiave per comprendere il sistema d’accesso alle risorse dellanatura e i modi della loro appropriazione nella regione andina,poiché essi forniscono il quadro di riferimento per l’appropriazioneastratta (diritti) e concreta della natura (71).

Oltre a ciò, esistono anche fattori psicologici di cui è necessariotener conto. Nel mondo andino la terra e l’uomo sono strettamenterelazionati, inseparabili. L’uno senza l’altro sono impensabili. Comeè stato detto, la Pacha Mama (la Terra Madre) deve alimentarsi pervivere; può ammalarsi, può essere allegra o di mal umore e perciò habisogno dei servizi dell’uomo. Egli deve a essa la sua esistenza e lesue condizioni di vita: rappresenta il riflesso di essa (72). E dunque,poiché alla terra si appartiene ed essa appartiene agli uomini, nelcontesto delle società tradizionali si presentano particolari caratte-ristiche nel rapporto tra l’uomo e la terra che, nelle parole diGrégoire Madjarian, possono ridursi a: l’esistenza di un legameconcreto e non utilitario, l’indissolubilità del legame, l’interdipen-denza riconosciuta (che si traduce nell’esistenza di obblighi recipro-ci) e, infine, la funzione di mediatore sociale (comunitario e/oreligioso, tra generazioni, tra vivi e morti) assunta dalla terra (73). Siassiste, perciò, a un rafforzamento del principio della parentela: ilmito della Terra Madre da una parte e il possesso derivato dallignaggio (o dagli antenati) e dai rapporti di famiglia dall’altra.

Nel mondo andino, la condizione umana nel senso più pieno eampio dell’espressione si trova determinata dal possesso della terra;la terra piuttosto che una semplice risorsa è vita. Si tratta di unrapporto che, come in altre esperienze, trascende l’individuo coin-volgendo l’intera società (74). Il comunero (75) che perde la terrasoffre una mutilazione, perde il suo stato di uomo integro, patisce

(71) M. GODELIER, voce Proprietà, in Enciclopedia Einaudi, XI, Utet, Torino, 1980,p. 36.

(72) M. MAMANI, Tenencia y uso de las tierras comunales, algunas preguntas yrespuestas para el futuro, in D. HERVE-D. GENIN-G. RIVIÈRE (a cura di), Dinámicas deldescanso de la tierra en los Andes, cit., pp. 261-262.

(73) Cfr. G. MADJARIAN, L’invention de la propriété, cit., p. 53.(74) Cfr. M. STRATHERN, Land: Intangible or Tangible Property, in T. CHESTERS, Land

Rights. The Oxford Amnesty Lectures 2005, Oxford Univ. Press, Oxford, 2009, p. 16.(75) Ovvero « comunario », termine che identifica l’indigeno appartenente alla

comunità, sottomesso alle sue norme. Connota, quindi, una modalità di vita più ampia

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l’indegnità e l’umiliazione. Si converte, in altri termini, in wakcha,voce quechua che indica il divenire orfano (76). Tutto questo puòessere spiegato dal rapporto spirituale tra l’uomo e la terra, che nelleAnde emerge dalla relazione familiare che lega i membri dell’aylluall’ ambiente. In questo contesto, le persone e la natura vivono comeparenti, e l’estensione dei membri dell’ayllu oltre i confini dellaconsanguineità umana si comprende solo alla luce della cosmovisio-ne andina che non separa l’uomo dalla natura (77). Così, nell’ontologia andina (Kausay pacha, cosmo vivente), la concezionedell’uomo sul mondo è solidamente basata sul vincolo di parentelache egli ha con la terra dove è nato e dove vive. Queste considera-zioni consentono di affermare che ci troviamo di fronte ad unacosmovisione « olistica » del rapporto con la natura, dal momentoche l’intero sistema di possesso fondiario può solo essere spiegatodal connubio uomo-terra.

La « proprietà », secondo il linguaggio del Codice civile, èinvece in primo luogo un diritto di carattere patrimoniale (78),costituisce una parte dell’ingranaggio della tradizione romanisticafondata sulla separazione tra il mondo delle cose e quello dellepersone. Al contrario, il regime fondiario andino fa perno sulsistema di rapporti basato su concezioni ancestrali e spirituali, nellequali la sicurezza sociale è costituita dai vincoli di parentela, stabilitiin funzione del possesso della terra. Di fronte a questo legamefondamentale, il senso della contrapposizione scandita dalle catego-

di quella del campesino (contadino) il quale possiede, invece, soltanto un titolo diproprietà o di uso sulla terra.

(76) J. M. ARGUEDAS-A. ORTÍZ RESCANIERE, La posesión de la tierra. Los mitosposthispánicos y la visión del universo en la población monolingue quechua, in Lesproblèmes agraires des Amériques Latines, Editions du Centre National de la RechercheScientifique, Paris, 1967, p. 309 e ss.

(77) G. RENGIFO VASQUEZ, The Ayllu, in F. APFFEL-MARGLIN & PRATEC (a cura di),The Spirit of Regeneration: Andean Culture Confronting Western Notions of Develop-ment, Zed Books, London & New York, 1998, p. 91.

(78) Insediata nel cuore del mercato; cfr. U. MATTEI, La proprietà, in Trattato didiritto civile, dir. da R. Sacco, Utet, Torino, 2001, p. 39 e ss.; É. LE ROY, La terre del’autre, cit., p. 257 e ss.

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rie occidentali di « cosa » e di « persona » appare, quanto meno,superfluo (79).

7. La proprietà e la comunità.

Agli occhi del giurista che studia il mondo andino si presenta unulteriore problema. I caratteri che costruiscono il diritto di « pro-prietà » sfociato nelle formule dei codici civili — vale a dire l’asso-lutezza, l’esclusività e la perpetuità — non si constatano nell’am-biente in esame. Rimandando l’approfondimento della questione alcapitolo successivo, ci limitiamo qui a metterne in luce alcuni aspettiessenziali.

Il sistema normativo della comunità è presente ovunque nelleregioni andine: le limitazioni alla facoltà di disporre giuridicamentedegli appezzamenti familiari, l’applicazione del principio dell’esoin-trasmissibilità della terra (80), e le regole di uso e di coltivazione delleterre comuni tolgono alla « proprietà » la sua pretesa assolutezza edesclusività. Un terzo elemento, la perpetuità, s’indebolisce per effettodelle regole che subordinano il possesso all’uso appropriato della ter-ra, secondo le direttive della comunità, o per effetto delle norme suc-cessorie tradizionali. Il controllo comunitario e il senso spirituale-religioso del rapporto con la terra comportano, pertanto, forti restri-

(79) Come già sottolineava H. S. MAINE, Ancient Law. Its Connection with the EarlyHistory of Society, and Its Relation to Modern Ideas [London, 1861], New York, 1867, p.251: « the Roman distinction between the Law of Persons and the Law of Things, whichthough extremely convenient is entirely artificial, has evidently done much to divert inquiryon the subject before us from the true direction. [...] It would soon be seen that theseparation of the Law of Persons from that of Things has no meaning in the infancy of law,that the rules belonging to the two departments are inextricably mingled together, and thatthe distinctions of the later jurists are appropriate only to the later jurisprudence ».

(80) Cioè, il divieto di trasferimento della terra a terzi estranei alla comunità. Inmolte comunità la struttura comunitaria impediva che i terreni passassero in maniestranee, tramite una stretta endogamia. Sull’argomento, per la comunità di Larán inPerú, cfr. il contributo ormai classico di J. COTLER, Las comunidades de San Lorenzo deQuinti, in J. MATOS MAR-T. GUILLÉN DE BOLUARTE-J. COTLER (a cura di), Las actualescomunidades indígenas: Huarochirí en 1955, Instituto de Etnología y Arqueología-Universidad Nacional Mayor de San Marcos (Unmsm), Lima, 1958, p. 120 e ss. Sulcomplesso carattere dell’inalienabilità della terra nelle società tradizionali cfr. soprattuttoG. MADJARIAN, L’invention de la propriété, cit., cap. 2.

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zioni all’uso e trasferimento degli appezzamenti, ragione per cui nonsarebbe concesso al singolo avere la proprietà in senso pieno (81).

Queste osservazioni ci consentono di esprimere un concettoessenziale: la diversità basilare dei caratteri propri dei due sistemi dipossesso fondiario. Il termine « proprietà » non rispecchia in questocontesto un preciso contenuto tecnico e certamente dice qualcosacirca la cultura degli europei, ma nulla invece su quella dellepopolazioni indigene.

8. Una prima proposta.

« Proprietà », pluralità di nozioni; « proprietà », rapporto indi-viduale e diretto con un oggetto; « proprietà », diritto laico; « pro-prietà », alternanza tra modelli individuali o collettivi di appropria-zione; « proprietà », mondo delle cose; « proprietà », assolutezza,esclusività e perpetuità. « Proprietà », infine, termine estraneo alvocabolario delle popolazioni andine perché risultato storico legatoalle esperienze economiche e alle dinamiche sociali maturate nell’O-ccidente europeo.

Ma non perdiamo la nostra bussola: si tratta ora di decostruireil concetto e di proporre una terminologia da utilizzare nel nostrostudio.

Torniamo così alla domanda iniziale. Si può continuare a pen-sare ai rapporti fondiari all’interno delle comunità in termini di« proprietà »?

L’osservatore avveduto costaterà che non si tratta, ormai, solo diuna questione terminologica. Ci pare opportuno rifiutare la stessacategoria giuridica della proprietà per trattare le forme di apparte-nenza che sono proprie delle aree considerate. Non è, quindi, possibileritenere universali le rappresentazioni occidentali del diritto e, in par-ticolare, quelle derivate dall’imposizione del modello monolitico dellaproprietà che, in seguito, fu accolta nella codificazione napoleonica,e poi nei codici civili latinoamericani ispirati a essa (82).

(81) D. GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in theCentral Andes, cit., p. 140.

(82) Cfr. E. RUDE ANTOINE-G. CHRÉTIEN VERNICOS (a cura di), Anthropologies etdroits: état des savoirs et orientations contemporaines, Dalloz, Paris, 2009, p. 316 e 319.

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Da ogni prospettiva, il termine non appare idoneo per spiegarele tematiche di cui intendiamo occuparci. Occorre, ripensare lacategoria sia ideando un’altra terminologia, sia, come di recente hafatto la Corte Interamericana dei Diritti Umani, allargando il suocontenuto per analizzare il contesto in una prospettiva più sottile epiù aderente al reale.

In questa introduzione abbiamo utilizzato indistintamente leespressioni « appropriazione », « rapporti fondiari » o, seguendo laterminologia di Murra, « diritto alla terra ». Tali formule sonoabbastanza flessibili per comprendere l’eterogeneo sistema incrocia-to di diritti e obbligazioni reciproche inerenti alla terra nelle societàandine o, come ritiene Mayer, che richiama il concetto di land tenuredel Royal Anthropological Institute, per abbracciare meglio l’insiemedelle prerogative e rapporti che competono alle persone e ai gruppirispetto alla terra. L’utilizzo di queste espressioni è proposto inquesto lavoro come primo sommario tentativo di una terminologiadi carattere multifunzionale che avvicini maggiormente il mondodelle rappresentazioni a quello della realtà, rispondendo così allasfida di abbracciare uno dei tanti preziosi tesori latinoamericani:quello della cosmologia giuridica alternativa (83).

(83) Cfr. J. MURRA, Formaciones económicas y políticas del mundo andino, op. cit.,p. 20; ID, Derecho a tierras en el Tawantinsuyu, in ID., El mundo andino: población, medioambiente y economía, cit., p. 294 e ss.; E. MAYER, Casa, charca y dinero. cit., pp. 303-304.Su questa linea, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura(FAO) viene sviluppando una serie di studi sulla base del termine Land tenure chedefinisce come « the relationship, whether legally or customarily defined, among people,as individuals or groups, with respect to land ». FAO, Land Tenure and Rural Develop-ment, Land Tenure Studies n. 3, Roma, 2002, p. 7. Occorre ancora aggiungere chel’utilizzo di questa terminologia (nei suoi omologhi tenencia de la tierra/possessofondiario) era presente in seno agli organismi latinoamericani sovrastatali (OEA, CIDA)che si sono occupati dei problemi agrari a seguito della Carta di Punta dell’Este(Uruguay, agosto 1961). Con tali espressioni si cercava di spiegare « i rapporti legali etradizionali tra persone, gruppi e istituzioni che regolano i diritti di uso, trasferimento egodimento dei prodotti terrieri, e degli obblighi che accompagnano a tali diritti ». Perl’approfondimento cfr. Chile: tenencia de la tierra y desarrollo socio-económico del sectoragrícola, CIDA, Santiago de Chile, 1966, p. vi. Sono infine utili, sul richiamo alla scopertadella cultura giuridica alternativa latinoamericana, le riflessioni riguardo al Perù di U.MATTEI, The Peruvian Civil Code, Property and Plunder. Time For a Latin AmericanAlliance to Resist the Neo Liberal Order, in Global Jurist Topics, 2005, 5, 1, art. 3, p. 15.

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PARTE I

IL SISTEMA ALTERATO

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CAPITOLO I

LE REGOLE TRADIZIONALIALLA LUCE DELL’ETNOGRAFIA CONTEMPORANEA

« [...] El Derecho sentido y vivido por lapoblación indígena, en muchas partes lamás numérica, es un Derecho vivo, de cuyavitalidad depende que la legislación puedaimponerse de modo efectivo [...] ».

ALFONSO GARCÍA-GALLO (*).

Sezione I. Le regole fondiarie all’interno delle comunità andine. — 1. La strutturaterritoriale della comunità: l’ayllu, la marka e la comunidad — 2. I rapporti fondiari. —2.1. I tributi, le categorie e l’accesso alla terra. — 2.2. La reciprocità e la redistribuzione.— 2.3. I fattori geografici: il controllo dei livelli ecologici. — 2.4. Le regole successorie.SEZIONE II. I caratteri delle regole fondiarie. 1. Le forme di possesso. — 1.1. La sayaña.— 1.2. L’aynuqa. — 1.3. Le terre di pascolo. — 2. La dinamica delle regole e i tentatividi sistemazione. — Conclusioni.

SEZIONE ILE REGOLE FONDIARIE ALL’INTERNO DELLE COMUNITÀ ANDINE

Coloro i quali vogliano avvicinarsi allo studio del regime fon-diario delle comunità indigene delle Ande centrali constaterannosubito che ogni intento di sistematizzazione è quanto meno rischio-so. Sebbene tali comunità abbiano in comune una base culturale più

(*) A. GARCÍA-GALLO, Los orígenes españoles de las instituciones americanas. Estu-dios de Derecho indiano, Real Academia de Jurisprudencia y Legislación, Madrid, 1987,p. 310.

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o meno omogenea e si trovino tutte a una quota compresa tra i 2.000e i 4.500 metri sul livello del mare, esse manifestano una pluralità diforme d’organizzazzione interna dovute a molti fattori. Vicissitudinied esperienze storiche hanno fortemente condizionato, in ogni zona,le modalità dell’organizzazione comunitaria, influenzandone nonsolo la composizione etnica e le forme di possesso fondiario, ma glistessi sistemi di coltivazione e le modalità di uso e allocazione dellaterra. Questa eterogeneità non si manifesta soltanto tra aree geogra-ficamente distinte, ma anche tra comunità vicine con risorse ecaratteristiche territoriali simili (1). Alle specificità di cui sopra, siaggiunge l’assenza di una bibliografia che consenta di tracciare conchiarezza un quadro esaustivo e la forte disomogeneità qualitativa edi approccio riscontrabile tra gli studi dedicati a singole regioni.

Il lavoro che proponiamo è, quindi, aperto al dibattito, poichédiscutibile è ogni intento di assestamento di una disciplina in cui lapluralità di situazioni costituisce la regola. Bisogna, infatti, conside-rare che il risultato di questi tentativi comporta inevitabilmente unaperdita di ricchezza d’analisi delle singole aree comprese in talesistemazione. La diversità che regna nel territorio preso in esamedeve però essere intesa come una serie di variazioni rispetto ad unmodello generale, nato dalle caratteristiche funzionali e strutturalicomuni ai popoli andini, a partire dalle quali è permesso elaboraredei modelli più specifici (2).

Premesso questo, chiariamo il nostro scopo. Intendiamo descri-vere la struttura delle regole del possesso fondiario nelle Andecentrali con l’obiettivo di rintracciarne i caratteri più profondi. A talfine abbiamo selezionato una serie di studi sul campo realizzatiall’interno delle comunità o ayllus, in cui la forma organizzativapreminente è tuttora costituita dalle regole originarie. Ocorre sind’ora avvertire che nel corso di questo lavoro impiegheremo itermini comunidad e ayllu come sinonimi, intesi, in modo generico,come spazio fisico e sociale in cui si praticano le tradizionali forme

(1) Z. BURNEO DE LA ROCH, Propiedad y tenencia de la tierra en las comunidadescampesinas. Revisión de la literatura reciente en el Perú, in ¿Qué sabemos de lascomunidades campesinas?, Allpa, Lima, 2007, p. 155.

(2) J. GOLTE, Los problemas con las « comunidades », in Debate Agrario, 14, 1992,p. 18.

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di uso fondiario andine. Così, seguendo la storica boliviana RossanaBarragán, tali termini saranno utilizzati per designare, nel panoramaodierno, le aree con confini relativamente delimitati, rappresentatistoricamente tramite titoli di proprietà che risalgono all’epoca colo-niale, o a quella successiva alle riforme agrarie, attuate a partire dallaseconda metà del ventesimo secolo per dare riconoscimento allestesse comunità (3). Inoltre, si farà in particolare riferimento allavicenda delle comunità boliviane: la quantità di fonti contemporaneecui abbiamo avuto accesso, la consistenza numerica della popola-zione che abita nelle terre alte e la presenza, non eccezionale, disistemi di organizzazione territoriale tradizionali hanno contribuitoalla nostra scelta (4).

Il nostro studio sull’ayllu si fonda sui lavori etnografici compiutia partire dagli anni sessanta, ai quali faremo riferimento per spiegareil complesso panorama andino delle forme tradizionali di accesso euso della terra. Tale studio è senz’altro necessario per comprenderele dinamiche giuridiche successive, in epoca coloniale e repubblica-na, ispirate al diritto di matrice occidentale.

Sono state soprattutto le vicende politico-economiche del ven-tesimo secolo a influenzare le modalità d’accesso e d’uso della terranelle Ande centrali. Gli eventi del secolo scorso hanno segnato unaprofonda differenza tra le comunità originarie, netas o storiche, e lecomunità ex-haciendas, haciendas, pacelarias, o post-riforme agrarie;differenza dovuta alla diversa influenza che in esse hanno avuto iprimi tentativi di riforma agraria. La prima categoria corrispondealle comunità nate (o modificate) nei tempi coloniali o a quelle chesono state riconosciute durante i primi tempi repubblicani. Si tratta,pertanto, del sistema comunitario organizzato a partire dall’imple-mentazione della politica delle reducciones imposta dal viceré Toledo(1569-1581), e delle comunità formate a seguito sia della composición

(3) R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra, in M.URIOSTE-R. BARRAGÁN-G. COLQUE, Los nietos de la Reforma Agraria: tierra y comunidad enel altiplano de Bolivia, Fundación Tierra, La Paz, 2007, p. 27.

(4) Secondo i dati formulati dalla Fundación Tierra in Bolivia la regione delle terrealte (altipiani e valli) ha una superficie che comprende il 37,7% del territorio nazionalee ospita il 71,8% della popolazione boliviana. L’82,9% della popolazione ruraleappartiene a queste terre. Cfr. G. COLQUE, Gestión territorial comunitaria. Experienciasen las comunidades de las tierras altas de Bolivia, Fundación Tierra, La Paz, 2008, p. 6.

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de tierras sia delle posteriori revisitas del diciannovesimo secolo (5).La seconda categoria corrisponde invece a un’invenzione o a unamodificazione realizzata dalle prime riforme agrarie del Novecen-to (6).

L’importanza della precedente differenziazione si coglie esami-nando la tipologia delle diverse forme di possesso fondiario che sitrovano all’interno delle comunità, e il prevalere dell’una o dell’altraforma. Spesso nelle comunità coinvolte dalle riforme agrarie i con-tadini hanno diritti limitati, di natura individuale sulle terre all’in-terno della comunità poiché quest’ultima ha un ruolo di controllomeno intenso rispetto alle comunità originarie. Occorre, altresì,notare che i fattori geografici hanno inoltre favorito la continuitàdelle forme originarie di possesso: in linea di massima, le comunitàpiù lontane dai centri urbani o dalle zone considerate strategiche daicolonizzatori hanno mantenuto le proprie tradizioni e la strutturafondiaria in modo più tenace rispetto alle altre.

La nostra attenzione si indirizzerà quindi primariamente verso lavicenda delle comunità che non hanno subito consistenti modifichecon l’espandersi dell’hacienda o in seguito alle riforme agrarie delventesimo secolo.

1. La struttura territoriale della comunità: l’ayllu, la marka e lacomunidad.

Lo studio dell’organizzazione fondiaria nelle Ande richiede difamiliarizzare con i concetti di ayllu, marka e comunidad, i qualirinviano alla struttura territoriale tradizionale della zona.

Nella sua accezione più elementare, l’ayllu (in quechua, o jathain aymara) è un raggruppamento di famiglie che afferma di avereun’identità comune basata sulla parentela — reale, fittizia o perfinomistica — da cui discendono diritti comunitari sulle terre, che sonogestite dall’insieme dei suoi membri (7). L’ayllu costituisce la base

(5) Cfr. infra 138 e ss.; 162 e ss.; 218 e ss.(6) Cfr. infra Parte II, cap. III.(7) B. LARSON, Trials of Nation Making. Liberalism, Race, and Ethnicity in the

Andes, 1810-1910, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2004, pp. 30-33. Per approfon-dimenti e rinvii storico-dottrinali sulle diverse accezioni della voce ayllu cfr. R. A.

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della struttura sociale andina, ma non la sua cellula. Nelle Andel’unità economico-produttiva di base è costituita dalla famiglia (8).Questa si stabilisce, all’interno dell’ayllu, nella casa — uta in aymara— luogo in cui si sviluppa la vita di tutti i suoi componenti essendoanche il luogo di riunione della famiglia allargata (jach’a uta, inquechua). L’insieme di queste unità, insediate nelle cosiddette sa-yañas o terre di possesso familiare, costituisce un raggruppamentopatrilineare (o di discendenti di antenati comuni) che condivide unostesso spazio territoriale chiamato estancia o rancho. I membri delrancho o estancia hanno lo stesso patronimico (cognome paterno oali) che identifica l’appartenenza a un lignaggio specifico. A causadelle restrizioni matrimoniali e della tendenza all’endogamia, spessoi membri di uno stesso ayllu sono parenti e, perciò, quest’unità restacomposta da famiglie con un cognome comune.

L’insieme degli ayllus costituisce una saya o parcialidad (9); e dueparcialidades, a loro volta, la cosiddetta marka (10). Seguendo, infatti,

GODOY, The Fiscal Role of the Andean Ayllu, in Man. New Series, 21, 4, 1986, p. 723 ess.; H. S. KLEIN, Haciendas & Ayllus. Rural Society in the Bolivian Andes in theEighteenth and Nineteenth Centuries, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1993, trad.spag. di J. FLORES, Haciendas y ayllus en Bolivia, ss. XVIII y XIX, Iep, Lima, 1995, p. 84;J. VELLARD, Civilisations des Andes. Évolution des populations du haut-plateau bolivien,Gallimard, Paris, 1963, pp. 119-123. Tra i pochi contributi italiani cfr. A. VIGIANI, Lastoria e attualità dell’ayllu nel contesto boliviano, in AchAB – Rivista di Antropologia, XII,2008, pp. 2-12, disponibile sul sito: http://www.achabrivista.it/pdf/12.pdf (consultato il15/12/11).

(8) Cfr. X. ALBÓ, Instituciones y alternativas organizativas para la producción, in X.ALBÓ-R. GALO, Comunidades andinas desde dentro. Dinámicas, organizativas y asistenciatécnica, Ceci, Quito, 1994, p. 89.

(9) Oppure suyu in lingua quechua. Parcialidad invece è un termine imposto dalvicereame del Perù ai tempi della Conquista per esprimere l’idea di una parte dell’in-sieme. Risulta molto utile per indicare le divisioni socio-politiche dei vari ayllus raggrup-pati. Ulteriori antecedenti sulla nozione coloniale del termine sono reperibili in M.ROSTWOROWSKI DE DIEZ CANSECO, La voz parcialidad en su contexto en los siglos XVI yXVII, in A. CASTELLI-M. KOTH DE PAREDES-M. MOULD DE PEASE (a cura di), Etnohistoriay antropología andina, Iep, Lima, 1981, p. 35 e ss. L’origine della nozione ayllu comesettore della parcialidad (urinsaya/aransaya) è analizzato nella stessa opera collettiva da F.PEASE G. Y., Ayllu y parcialidad, reflexiones sobre el caso de Collaguas, in Ibid., pp. 20-45.

(10) Conviene aggiungere che noti studi storiografici sottolineano il caratteremateriale del termine marka, rappresentato dalla regione o terra posseduta dall’ayllu.Cfr. E. ROMERO, Historia económica del Perú, Editorial Sudamericana, Buenos Aires,

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lo stampo dualistico che ha caratterizzato la società andina a partiredai tempi precoloniali (11), ogni marka è composta da due soleparcialidades o sayas (metà): la parte superiore (aransaya in linguaquechua o alasaya in lingua aymara) e la parte inferiore (urinsaya inlingua quechua o masaya in lingua aymara). In tempi precolonialil’insieme delle markas formava i quattro grandi suyus, che, uniti,creavano l’Impero del Tawantinsuyu (12).

1949, p. 27; J. BASADRE, Historia del derecho peruano [1937], 2ª ed., Editores EdigrafS.A., Lima, 1985, pp. 94-95; H. CUNOW, Las comunidades de aldea y de marca del Perúantiguo, Impr. Le Moil et Pascaly, Paris, 1929, pp. 16-17. In questa sezione il termineviene inteso come unità che raggruppa l’insieme di abitanti degli ayllus e delle parciali-dades, nozione molto vicina a quella di « popolo » sviluppata in un ulteriore lavoro diCunow. Cfr. ID., La organización social del imperio de los incas, Libr. y Ed. Peruana deDomingo Miranda, Lima, 1933, p. 39.

(11) Il termine « dualismo » implica un’opposizione, spesso simmetrica, tra dueentità. Nelle Ande ciò riflette un’organizzazione politico-sociale segmentaria, di originepreispanica, divisa in due « metà ». Le metà vengono individuate mediante riferimentispaziali, essendo più comune la divisione tra parte « superiore » (mitad de arriba) e« inferiore » (mitad de abajo). La letteratura sull’importanza del concetto di « metà »nelle società andine è copiosa. Tra gli studi etno-storici e antroplogici, si pensi a G.URTON, Moieties and Ceremonialism in the Andes: The Ritual Battles of the CarnivalSeason in Southern Peru, in Senri Ethnological Studies, 37, 1993, pp. 117-142; J. OSSIO,Parentesco, reciprocidad y jerarquía en los Andes: una aproximación a la organización socialde la comunidad de Andamarca, Pucp, Lima, 1992; WACHTEL, Le retour des ancêtres: lesindiens urus de Bolivie XXe - XVIe siècle essai d’histoire régressive, Gallimard, Paris, 1990;G. RIVIÈRE, Quadripartition et idéologie dans les communautés aymaras de Carangas(Bolivie), in Bull. Inst. Fr. Et. And, XIII, 3-4, 1983, pp. 41-62; R. ZUIDEMA, Hierarchy andSpace in Incaic Social Organization, in Ethnohistory, 30, pp. 49-75, 1983; T. PLATT,Symétries en miroir. Le concept de yanantin chez les Macha de Bolivie, in Annales ESC,5-6, 1978, pp. 1081-1197.

(12) Così, ad esempio, il Qullasuyu (il suyu più australe dei quattro componenti delTawantisuyu) si compone di dodici markas: Pakajaqi, Lupaka, Larikaja, Kallawaya,Qharanka, Killakas Azanjaqi, Sora, Chuwi, Qhara Qhara, Charka, Chicha, Qalach’akhi.Queste markas hanno i loro ayllus. All’interno di esse troviamo i ranchos o estanciascomposti da diverse case. Il biologo e antropologo francese Jehan Vellard è stato uno deiprimi studiosi ad analizzare la struttura delle comunità boliviane di Collana e Jesús deMachaqa seguendo lo schema ripreso qui. Cfr. J. VELLARD, Civilisations des Andes, cit.,p. 128 e ss.; cfr., più recentemente, G. RIVIÈRE, Amat Jan Amtata...Caciques et « mallku »dans les communautés aymaras du carangas (Bolivie), in A. A. DE VIDAS (a cura di), Pourune histoire souterraine des Amériques. Jeux de mémoires-Enjeux d’identités. Mélangesofferts à Nathan Wachtel, L’Harmattan, Paris, 2008, p. 73.

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Schematizzando, il sistema territoriale attuale risulta così con-cepito:

Famiglia (gruppo patrilineare-sayañas) < rancho o estancia <ayllu < parcialidad < marka.

Il quadro appena descritto è il prodotto di una generalizzazionedell’organizzazione tradizionale tipo; non dobbiamo dimenticare chela diversità strutturale derivata dagli eventi storici costituisce però laregola.

Così, in certe zone delle Ande, il livello superiore di organizza-zione non corrisponde alla marka, ma all’ayllu stesso che si scinde inparcialidades e queste in ayllus minori, per poi dividersi ulteriormen-te in cabildos. In altre zone, gli stessi ayllus appaiono frazionati inayllus minori o ayllus maggiori divisi in parcialidades (o sayas), e unaparte degli studiosi ha scelto di continuare a usare i termini di ayllumassimo (a livello di marka); ayllu maggiore (per ognuna delleparcialidades); ayllu minore (ayllu propriamente detto); ayllu minimoo cabildos (che raggruppano varie estancias o ranchos) (13). Insomma,

(13) Come nel caso della struttura della società Macha nel nord del dipartimento diPotosí, esposto dall’antropologo Tristan Platt. Cfr. T. PLATT, Espejos y maíz: temas de laestructura simbólica andina, Cipca, La Paz, 1976; cfr. anche ID., Estado boliviano y aylluandino. Tierra y tributo en el norte de Potosí, Iep, Lima, 1982, p. 50; R. A. GODOY, TheFiscal Role of the Andean Ayllu, cit., p. 724, 729. Più di recente, lo studio di McNeishha rivelato l’esistenza di ayllus maggiori e minori nella struttura tradizionale del comunedi Santuario di Quillacas nel dipartimento di Oruro. Cfr. J. MCNEISH, Globalization andthe Reinvention of Andean Tradition: The politics of Community and the Ethnicity of

FIG. 1. Schema della struttura territoriale andina (elaborazione dell’autore).

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la diversità delle forme d’organizzazione è la regola, anche se, lafamiglia più o meno estesa resta sempre la cellula sociale minimanella struttura socio-economica andina. È per questo che Speddinge Llanos utilizzano il termine ayllu per riferirsi ai gruppi sociali chepartono dalla stretta parentela di un individuo fino a formare societàcomposte da diverse centinaia di individui (14).

In quanto organizzazione sociale, l’ayllu costituisce l’insieme ditutti i lignaggi che condividono uno stesso territorio (15). Da unpunto di vista fisico-territoriale, lo spazio all’interno dell’ayllu con-siste in un nucleo abitato e nei suoi annessi, destinati alla coltiva-zione e al pascolo. Una serie di norme interne, fissate dalle autoritàtradizionali, assegna periodicamente l’uso della terra ai suoi membriper le coltivazioni e il pascolo (16). Ogni ayllu, pertanto, comprendeallo stesso tempo un gruppo sociale — o tama — e un territoriogestito e posseduto dall’insieme dei suoi membri. Il rapporto sim-biotico degli abitanti con la propria terra non consente di parlaredell’organizzazione sociale dell’ayllu senza fare contestualmente ri-ferimento alla sua strutturazione territoriale (17); per tale motivol’ayllu può significare, in contesti differenti, terra, territorio, orga-nizzazione fondiaria, politica, genealogia, gruppo di parentela, ge-nere, specie, società e perfino nazione.

Questa impostazione tradizionale è stata messa in crisi dall’in-troduzione dell’istituto giuridico della comunidad.

Abbiamo ricordato, infatti, come i primi cronisti spagnoli iden-tificarono l’insieme del popolo o dei gruppi etnici come comunità.Questi dissero che una volta insediatosi, il re Inca divideva le terreconquistate in tre parti: i territori destinati al culto (religione), quelli

Highland Bolivia, in T. BRASS (a cura di), Latin American Peasants, Frank Cass,London-Portland, Or, 2003, p. 233.

(14) A. SPEDDING-D. LLANOS, No hay ley para la cosecha. Un estudio comparativo delsistema productivo y las relaciones sociales en Chari y Chulumani, Fundación Pieb, La Paz,1999, p. 1.

(15) Anche se oggi questa condizione non è generalizzabile poiché l’esogamia èpraticata in diversi luoghi. Cfr. C. MAMANI, Takhi qallta ayllu, Editorial Amuyañataki,Serie Cuadernos Náción Aymara, Número 4, Chuquiago, Qollasuyo, 2004.

(16) Occorre però notare che la redistribuzione delle terre all’interno delle comu-nità costituisce oggi un fenomeno singolare in molte zone.

(17) A. VIGIANI, La storia e attualità dell’ayllu nel contesto boliviano, cit., p. 3.

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appartenenti all’Inca (Stato) e le estensioni lasciate alla comuni-dad (18). Più tardi, seguendo il modello dei villaggi di contadini dellaregione di Castiglia e León, l’applicazione della politica delle cosid-dette reducciones avrebbe prodotto l’alterazione dell’ayllu originariotrasformandolo in una giurisdizione circoscritta a un luogo unico econtinuo chiamato, per l’appunto, comunidad (19).

La « comunità indigena » di cui ci parlano i testi che analizzano lasocietà tradizionale andina è quindi un’espressione che trova le sue originisia nell’ayllu sia nei villaggi spagnoli; si tratta del risultato della ristruttu-razione progressiva dello spazio andino secondo il nuovo ordine spagno-lo (20). Per tale lettura, che si basa sulla tesi dottorale dell’antropologoperuviano José María Arguedas (21), la comunità sarebbe il risultato del-l’influsso coloniale sull’ayllu e in particolare, come vedremo meglio, dellapolitica delle reducciones promossa dal viceré Francisco de Toledo (22). Co-sì, dall’unità sociale preispanica (l’ayllu), formata dalla parentela per lineapaternadispersanellediverseareegeografiche, si ègiunti, in seguitoasecolidi trapianti normativi occidentali, alla comunità attuale, intesa come unagiurisdizione più o meno estesa di territorio continuo. La comunità com-porta, pertanto, la convergenza delle due tradizioni: l’indigena e l’e-uropea (23).

In tempi moderni l’identificazione ayllu = comunidad corrispon-de a un’elaborazione ancora più ibrida. Seguendo lo storico peru-

(18) Cfr. J. DE ACOSTA, Historia naturale, e morale delle Indie, trad. it. di G. P.GALUCCI SALODIANO, Venetia, 1596, lib. VI, cap. XV; I. G. DE LA VEGA, ComentariosReales de los Incas. Edición, índice analítico y glosario de Carlos Araníbar [Lisboa, 1609],Fondo de Cultura Económica, Perú, 1991, lib. V, cap. V. Vedi anche infra 114 e ss.

(19) Cfr. H. S. KLEIN, Bolivia: The Evolution of a Multi-Ethnic Society, 2ª ed.,Oxford Univ. Press, New York-Oxford, 1992, p. 39. La riflessione su questa aspetto erastata approfondita verso i primi decenni del ventesimo secolo nel notevole volume delgiurista peruviano C. VALDEZ DE LA TORRE, Evolución de las comunidades de indígenas,Editorial Euforion, Lima, 1921, p. 77 e ss.

(20) J. MATOS MAR, Comunidades indígenas en el área andina, in ID. (a cura di),Hacienda, comunidad y campesinado en el Perù, Iep, Lima, 1976, p. 182.

(21) J. M. ARGUEDAS, Las comunidades de España y del Perú, UMNSM, Lima, 1968. Lasua teoria è stata poi sviluppata da studiosi come Fernando Fuezalida, José Matos Mare Franklin Pease.

(22) Cfr. infra 138 e ss.(23) F. CHEVALIER, Problèmes agraires des amériques latines de tradition indigène, in

Les problèmes agraires des amériques latines, Éditions du Centre National de la Recher-che Scientifique, Paris, 1967, p. 27.

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viano Franklin Pease, nel decennio finale del diciannovesimo secolo,Heinrich Cunow (24) identificò l’ayllu con la « comunità di villag-gio » credendo di trovare nella « marca » tedesca la spiegazione percomprendere ciò che i cronisti avevano chiamato ayllu. Generaliz-zata la spiegazione, essa servì come base per i celebri studi successividi Hildebrando Castro Pozo e José Carlos Mariátegui durante iprimi decenni del ventesimo secolo (25).

Dopo questi eventi, e a seguito delle vicissitudini della storiaandina, il termine non si è mai applicato a un solo concetto, bensì auna pluralità di situazioni. Così si parla di comunità per fareriferimento a luoghi isolati, di maggiore o minore ampiezza, o araggruppamenti indigeni vicini ai centri urbani. In molti ayllus iltermine « comunità » viene utilizzato come sinonimo delle sue unitàpiù ristrette, cioè, estancias, ranchos o perfino cabildos. Secondoquesta lettura la comunità costituisce la più piccola unità territorialee dal suo insieme nasce l’ayllu (26). A tale proposito Fuenzalidaafferma che, nel Perù meridionale, la parola ayllu è frequentementeutilizzata come sinonimo di comunità, come nel caso di certecomunità vicine a Cuzco, dove gli ayllus sono divisi in ayllus minorie questi in altri più piccoli. Nel Perù centrale il caso più rappresen-tativo, aggiunge l’autore, risulta quello in cui esiste una netta distin-zione tra comunità e le due sayas (parcialidades) che la separano indue settori, ciascuno ulteriormente divisibile in ayllus (27). In talericostruzione la comunità è equivalente alla cosiddetta marka.

(24) H. CUNOW, Die soziale Verfassung des Inkareichs: eine Untersuchung desaltperuanischen Agrarkommunismus, Dietz, Stuttgart 1896; ID. Las comunidades de aldeay de marca del Perú antiguo, Encinas, Jiménez, Lima, 1929.

(25) F. PEASE G.Y., Ayllu y parcialidad, reflexiones sobre el caso de Collaguas, inEtnohistoria y antropología andina, cit., p. 21 e ss.

(26) Pensiamo alla zona confinante con il lago Titicaca nell’altopiano nord bolivia-no, all’ayllu Titikani Takata. La comunità, costituita dalle diverse famiglie, rappresentail primo livello di unità sociale. Dall’insieme delle quattro comunità nasce l’ayllu TitikaniTakata il quale, congiuntamente ad altri diciassette ayllus, forma la parcialidad MACOJMA

(Marka de Ayllus y Comunidades Originarias de Jesús de Machaqa). La parcialidadMACOJMA, insieme alla parcialidad Arax Suxta, dà origine alla Marka Jesús de Machaqa.Cfr. G. COLQUE, Titikani Takaka. Construyendo normas y derechos sobre la tierra,Fundación Tierra, La Paz, 2005.

(27) Cfr. F. FUENZALIDA VOLLMAR, La matriz colonial de la comunidad de indígenasperuana. Una hipótesis de trabajo, serie Estudios de Comunidades Campesinas, 1, Lima,

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In breve, la voce « comunità » resta un concetto astratto egenerale che fa riferimento ai diversi livelli di organizzazione andina,siano essi di maggiore o minore estensione. Pertanto, può essereutilizzata come riferimento generico per tutto l’insieme compresonella marka (comunità = marka) oppure come sinonimo di ciascunodei suoi componenti (comunità = rancho o estancia o ayllu oparcialidad o marka). L’insieme Jesús de Machaqa può, ad esempio,essere definito come un’unica comunità, con 4.500 famiglie dispersein 60 km2, ma, allo stesso tempo, è ugualmente lecito affermare cheè composta da « due comunità », ovvero la parcialidad superiore einferiore, o « dodici comunità », cioè i sei ayllus di ogni parcialidad,o ancora « settantacinque comunità », corrispondenti alle sezioni disindacati contadini create durante gli ultimi decenni (28).

Premesso questo, si può capire perché coniare una definizionedi « comunità » che racchiuda le eterogenee forme di organizzazioneeconomiche e sociali andine rappresenta una sfida pericolosa. Ri-mangono però alcuni punti fermi: la nostra comunidad corrispondea un termine occidentale riferito a una forma d’organizzazionesocio-economica che, nonostante il pluralismo delle sue forme, èpossibile identificare sulla base di certi tratti comuni come la mul-tiplicità di forme d’uso della terra (comunitaria, familiare, individua-le), la forza lavoro associata dei suoi membri (basata soprattutto sullareciprocità e in un particolare sistema di partecipazione delle strut-ture comunitarie), e la conservazione di un modello culturale cheraccoglie gli elementi del mondo andino (29).

1970, p. 18. Cfr. anche ID., Estructura de la comunidad de indígenas tradicional. Unahipótesis de trabajo, in J. MATOS MAR, (a cura di), Hacienda, comunidad y campesinado enel Perù, cit. pp. 235- 236.

(28) Cfr. X. ALBÓ, Para comprender las culturas rurales en Bolivia, Mec-Cipca-Unicef, La Paz, 1989, p. 43.

(29) Su questi caratteri della comunità andina cfr. J. MATOS MAR, Comunidadesindígenas en el área andina, cit., p. 179. I diversi tentativi di concettualizzarla sono statidescritti in una prospettiva critica da H. MOSSBRUKER, Quinches: zur Diskussion überdörfliche Wirtschaft und « communidad » in den Anden Holos-Verl., Bonn, 1987, trad.spag. di C. I. de GREGORI, La economía campesina y el concepto « comunidad »: unenfoque crítico, Iep, Lima, 1990, pp. 90, 100-101; ID., The « comunidad » andina. ACritical Examination, in Anthropos, 84, 4-6, 1989, pp. 385-404. Secondo l’autore difronte alla pluralità di funzioni e contenuti della comunità risulta impossibile fornire

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2. I rapporti fondiari.

Sul piano strutturale abbiamo chiarito che la comunità com-prende un’eterogeneità di forme di organizzazione più o menoestese. Il presente paragrafo, incentrato su una vicenda più specifica,è dedicato alle dinamiche socio-familiari e ai fattori geo-climatici allabase dei rapporti fondiari tra i gruppi indigeni.

2.1. I tributi, le categorie e l’accesso alla terra

Il principio base dell’accesso alla terra nel mondo andino puòriassumersi nel seguente enunciato: accesso alla terra per via dell’ap-partenenza alla comunità.

Le principali le ragioni per cui si è parte della comunità sono laparentela o la prestazione di servizi. Occore però aggiungere a questoproposito un’importante osservazione. Si appartiene a una comunitàperché si fa parte di una famiglia, che a sua volta rappresenta l’unitàproduttiva di base nel mondo andino. Tuttavia la famiglia avrà dirittoalla terra solo a seguito del pagamento, alla comunità, del tributo odella cosiddetta tasa (30), e dell’assolvimento dei vari obblighi comu-nitari. Vediamo di approfondire quest’ultima considerazione.

un’unica definizione del suo contenuto in maniera chiara e precisa. Il compito dellostudioso non consiste quindi nel definire il suo funzionamento ma nel chiedersi perchéla comunità esiste e porsi esso come primo problema metodologico. Altre riflessioniintorno al termine sono reperibili in F. BOURRICAUD, Cambios en Puno. Estudios desociología andina, Instituto Indigenista Interamericano, México D.F., 1967, p. 92 e ss.;AA.VV., Estructuras tradicionales y economía de mercado. La comunidad de indígenas deHuayopampa, Iep, Lima, 1968, p. 11 e ss.; R. N. RASNAKE, Domination and CulturalResistance. Authority and Power Among an Andean People, Duke Univ. Press, Durham,1988, pp. 49-51; K. A. YAMBERT, Thought and Reality. Dialectics of Andean Community,in B. S. ORLOVE-G. CUSTRED (a cura di), Land and Power in Latin America. AgrarianEconomies and Social Processes in the Andes, Holmes & Meier Publishers, NewYork-London, 1989, p. 56; P. ZAGALSKY, El concepto de « comunidad » en su dimensiónespacial. Una historización de su semántica en el contexto colonial andino (siglos XVI-XVII), in Revista Andina, 48, 2009. Il dibattito sulla definizione attira anche l’attenzionedell’antropologia giuridica della zona cfr. J. A. GUEVARA GIL, Diversidad y complejidadlegal. Aproximaciones a la antropología e historia del derecho, Pucp, Lima, 2009, pp.96-99.

(30) Termine preferito dai contadini, riferito alla categoria di tributo ma anche allaporzione di terra per la quale tale tributo viene pagato.

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Nei tempi coloniali l’accesso alla terra era associato all’obbligo,per i capi di famiglia di ogni ayllu, di contribuire una quota, ovverouna parte del tributo monetario fissato dall’autorità per tutto ilgruppo etnico. Durante quel periodo e fino agli ultimi decenni delNovecento la categoria tributaria assegnata a ogni famiglia, registratanei libri contabili di ogni comunità, stabiliva una specie di ordine odi gerarchia circa il tipo, le modalità e la sicurezza dell’accesso edell’uso della terra comunitaria. Fu così che nei registri dei contri-buenti si differenziarono, sin dai primi tempi coloniali, due categoriedi tributari: originarios e agregados (31).

La prima corrispondeva ai supposti discendenti dei membri degliayllus censiti dal viceré Toledo nel 1574. Tale qualifica conferiva loroun possesso fondiario indisputabile, perché provava l’esistenza deldiritto ab initio e assicurava loro anche la migliore e maggiore quantitàdi terre nelle diverse zone ecologiche della comunità (32). I discendentiche dimostravano il loro legame di parentela con i primi originariossi assicuravano il possesso e l’inalienabilità della terra, a condizione dirispettare le obbligazioni all’interno dell’ayllu e nei confronti delloStato. I diritti privilegiati comportavano però l’obbligo di assumere lecariche tradizionali (cargos) più importanti all’interno della comuni-tà. Esiste tuttora una sorta di relazione proporzionale tra le obbliga-zioni tributarie e i diritti sulla terra (33).

La categoria degli agregados si era invece diffusa a partire dalsedicesimo secolo e comprendeva la popolazione che, fuggita dallapropria comunità generalmente a causa dello sfruttamento all’inter-no della miniera di Potosí, o dei pesanti tributi imposti dalla Coronaspagnola, si era insediata nelle città, nelle haciendas o nelle comu-

(31) Classiche in questa materia sono le opere: N. SÁNCHEZ ALBORNOZ, Indios ytributos en el Alto Perú, Iep, 1978; T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit. Cfr.inoltre N. WACHTEL, Le retour des ancêtres, cit.

(32) Su cui cfr. infra 69 e ss.(33) Il sistema di cariche che conosciamo oggi trova la sua origine nel cabildo

indígena istituito verso la fine del sedicesimo secolo. Il cosiddetto alcalde e le altreautorità divennero gli intermediari tra le comunità indigene e l’amministrazione ufficiale.Per questo motivo la conservazione secolare del sistema di cariche tradizionali èstrettamente collegata alla « memoria sociale delle comunità ». Maggiori approfondi-menti su questo punto in: G. RIVIÈRE, Amat Jan Amtata...Caciques et « mallku » dans lescommunautés aymaras du carangas (Bolivie), cit.

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nità (34). Stabilitisi nelle comunità, gli agregados pagavano un con-tributo minore e, proporzionalmente, il loro diritto alla terra era piùprecario e di minor valore rispetto a quello degli originarios.

Una terza categoria, che conferisce una minore sicurezza terrierae obblighi tributari minimi o nulli, è composta da coloro che nonavevano alcun diritto sulla terra ma il semplice utilizzo ceduto daglioriginarios o agregados. Per avere il permesso di coltivare ai marginidei possedimenti di costoro, i membri di questa categoria dovevanoprestare servizi minori. Si tratta dei forasteros sin tierras (35). Tutti inomi con cui essi vengono indicati nelle lingue autoctone — si pensialla voce witu jaqi (aymará = gente ai margini) o kantu runas(quechua = uomini ai margini) — implicano l’estraneità di questefamiglie rispetto alle relazioni di parentela e di possesso patrilinearevigenti nell’ayllu.

Dopo la formazione di queste categorie tributarie e durantetutta la dominazione spagnola, la pratica delle cosiddette visitaspermise all’autorità coloniale di redigere dei registri periodici suitributi versati da ogni comunità. Tramite esse, le autorità localiconfermavano e ridistribuivano i diritti di ogni famiglia nelle terredell’ayllu; censivano inoltre la loro popolazione, procedendo allaraccolta dei tributi. Le visitas continuarono durante l’epoca repub-blicana fino agli ultimi anni del diciannovesimo secolo, ma conl’appellativo di revisitas (36). Le categorie assegnate non furono maifisse né definitive. Spesso, sottolinea Tristan Platt, a partire dalprimo periodo repubblicano, figurarono nei registri annotazionimarginali indicative del trasferimento dalla categoria di originario aquella di agregado o viceversa, sia all’interno dello stesso ayllu sia traayllus collegati. Anche la divisione delle terre d’origine poteva dareluogo alla creazione di altre categorie. Per l’ayllu di Macha (nord deldipartimento di Potosí) un terreno originario frazionato tra i figlidiventava un numero uguale di terreni di agregados. Questi agrega-

(34) R. BARRAGÁN-F. DURÁN, Tras las huellas de la historia, in Collana. Conflicto porla tierra en el altiplano, Fundación Tierra, La Paz, 2003, p. 30.

(35) Cfr. T. PLATT, Le tribut [contribución territorial]. Formes légales d’accès a laterre, in De l’empreinte à l’emprise: identités andines et logiques paysannes, Puf, Paris,Institut Universitaire d’Études du Développement, Genève, 1982, pp. 48-49.

(36) Cfr. infra 218 e ss. Vedi anche, per il periodo coloniale, infra 149-150.

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dos non erano considerati stranieri ma contadini che occupavanouna frazione del terreno originario. Una situazione analoga si potevaverificare con i nipoti del contribuyente originario i quali, stabilitisi aimargini della sua area, erano considerati forasteros sin tierras, macon possibilità di diventare agregados alla morte del padre (37).

Le diverse categorie di tributi stabilite dai registri coloniali erepubblicani determinarono le modalità e i gradi del possessofondiario della popolazione originaria andina. Le forme d’accesso edi distribuzione della terra comunitaria si sono infatti costituite sullabase delle tasas imposte durante l’epoca coloniale e repubblicana.Quelle tasas si stabilirono in funzione della quantità di terrenoposseduto da ogni famiglia secondo la categoria tributaria. Fuquindi molto stretto il rapporto tra categoria tributaria e superficieterriera occupata.

È da notare che in qualche regione le categorie tributarie stabilitesi mantengono ancora oggi e con la stessa gerarchia (38). L’originariocontinua ad avere le terre migliori e ottiene i suoi diritti principalmenteattraverso le regole ereditarie. Queste regole, a differenza delle normeoccidentali, non operano sempre al momento della morte, ma, comesi vedrà, anche all’atto del matrimonio dei figli. In questo modo igenitori assegnano al figlio e alla nuora una porzione di terra tramiteun atto pubblico (señalamiento) che segna il loro inserimento nellasocietà e l’inizio dei loro obblighi nei confronti della comunità, inquanto titolari di terre. Attraverso tale procedura si acquisisce la ca-tegoria di persona (jaqi in aymara, runa in quechua) e di comunitario.Tale condizione comporta, inoltre, l’iscrizione del capo famiglia neiregistri (lista) della comunità.

Per quanto riguarda gli agregados, attualmente essi hanno ac-cesso alla terra per circostanze diverse. La regola ereditaria rimanecomunque valida, ma spesso capita che un capo famiglia originarioabbandoni definitivamente la comunità senza essere sostituito, conla conseguenza di un mancato adempimento delle obbligazionicollegate alla sua terra. In questi casi l’assemblea della comunità può

(37) Cfr. T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., p. 54 e ss.(38) Ad esempio, la continuità tra le categorie tributarie del diciannovesimo secolo

e quelle odierne presso l’ayllu Jukumani, nella zona nord del dipartimento di Potosí, èstata studiata da R. A. GODOY, The Fiscal Role of the Andean Ayllu, cit., p. 729 e ss.

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decidere di assegnare la terra a qualche altro membro, secondo ilmerito o altre condizioni particolari. Questo membro può essere unagregado o perfino un sobrante senza terra che dovrà sottomettersialle obbligazioni e ai canoni comunitari (39).

La categoria dei forasteros (sobrantes, arrimantes) è oggi com-posta da tutti gli estranei alla comunità, provenienti dalle terrelimitrofe dell’ayllu o da coloro che si sono insediati nelle terre diminore qualità. Il loro accesso alla terra non è mai sicuro e dipendedalla generosità, dai prestiti e dalla cooperazione delle altre famigliedi originarios o agregados (40). Le loro obbligazioni tributarie sonoancora oggi minime o assenti.

Nel 1982 il lavoro di Tristan Platt ha fornito un’idea concretadella ritualità e degli effetti del pagamento dei tributi nell’areasettentrionale del dipartimento di Potosí. Platt afferma che il paga-mento dei tributi da parte degli originarios e agregados si effettuanell’ambito di una riunione semestrale o cabildo dell’ayllu (duranteil giorno di Natale e di San Giovanni). Tali riunioni sono delleoccasioni rituali in cui l’esattore o cobrador (un’autorità comunitaria)suddivide le bevande (chicha) e le foglie di coca tra i membri dellacomunità per l’anno corrente. Ogni contribuente (il capo famiglia)viene chiamato a presentarsi al tavolo cerimoniale dove pagherà ilsuo contributo in presenza degli altri membri dell’ayllu. I dirittifondiari di ogni famiglia (sulla porzione di terra per cui paga iltributo, cioè la cosiddetta tasa o sayaña) sono confermati pubblica-mente al momento del cabildo. In caso di assenti, terzi possonoversare la somma dovuta e acquisire così i diritti sulla terra inquestione. È così che un agregado può ottenere i diritti di unoriginario con l’approvazione di tutte le persone presenti (41).

Ricapitolando, l’appartenenza alla comunità, a una famiglia e ilpagamento della tasa costituiscono l’insieme dei requisiti d’accesso

(39) Questa circostanza si è diffusa con l’aumento della migrazione verso la città.Pensiamo, in particolare, alla vicenda della Marka Yaku studiata da M. FERNÁNDEZ OSCO,La ley del ayllu. Práctica de jach’a justicia y jisk’a justicia (justicia mayor y justicia menor)en comunidades aymaras, Fundación Pieb, La Paz, 2004, p. 130.

(40) Ibid., p. 131.(41) T. PLATT, Le tribut [contribución territorial]. Formes légales d’accès a la terre,

cit., pp. 49-50. Cfr. anche R. A. GODOY, The Fiscal Role of the Andean Ayllu, cit., p. 735.

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alla terra. Tali prerogative non assicurano, però, un diritto definitivoe stabile: ottenuto il diritto, occorre lavorare l’appezzamento perconfermarne il possesso e assolvere così la funzione sociale dellaterra all’interno della comunità. Questo elemento ci permette diintrodurre una seconda importante variante relativa al diritto allaterra ed in particolare al suo mantenimento: la titolarità della terraspetta a chi la lavora, nel rispetto delle regole della comunità.

Il lavoro, oltre a preservare il diritto alla terra, può perfinoessere in certe comunità uno degli elementi che ne consente l’acqui-sizione. Spedding e Llanos ci offrono il caso dell’ayllu di Chari(provincia de Bautista Saavedra, dipartimento di La Paz) (42) dove,a partire dagli anni ottanta, si sono aperti nuovi spazi per lacoltivazione in aree fino a quel momento destinate al pascolo.Questo evento ha permesso a nuove famiglie di accedere alle terrerimaste evitando così l’ulteriore suddivisione dei lotti:

« Il sindacato della zona si riunisce e decide il luogo e la data peraprire il nuovo terreno. Le persone interessate si presentano nelluogo assegnato e cominciano a lavorare con la chakitajlla: diverran-no così proprietarie dell’area che saranno riuscite a coltivare in ungiorno. In un’occasione certe persone pensarono al “giorno” comeriferito solo alle ore di luce, riposandosi all’imbrunire; ma l’indoma-ni si trovarono sfavorite rispetto ad altre che avevano continuato alavorare durante tutta la notte » (43).

Il principio è quindi chiaro: l’atto di lavorare la terra conferiscei diritti su di essa.

Anche se oggi le categorie tributarie hanno perso importanza, a causadella soppressione formale della tasa, il loro valore resta comunque moltopiù che simbolico. All’interno dell’ayllu esse servono a determinare la ge-rarchia dei diritti e dei doveri, il pagamento della tasa legittima il possessoe limita perciò le liti interne. In buona sostanza, chi adempie ai diversi

(42) La Bolivia è divisa in nove dipartimenti (departamentos). Ogni dipartimento sidivide in province per un totale di 112 su tutto il territorio nazionale.

(43) A. SPEDDING-D. LLANOS, No hay ley para la cosecha, cit., p. 55. Convieneaggiungere che le categorie descritte non sono mai assolute nel variegato scenarioandino. Così, negli ayllus Qullana e Piruka del dipartimento di Oruro (Bolivia), gliagregados sono i discendenti diretti dei contribuenti originarios che non sono stati ancoraregistrati come proprietari legittimi. Cfr. AA.VV., Tierra y territorio: thaki en los ayllus ycomunidades de ex hacienda, Fundación Pieb, La Paz, 2002, p. 63.

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obblighi comunitari (tasse, cariche, lavori vari) mantiene il suo diritto e ciòrappresentaunasortadi« contributocomunitario »(44).Vistodall’esterno,il pagamento del tributo simboleggia una specie di patto tra il colonizzatoree gli ayllus. L’adempimento degli obblighi fiscali costringe lo Stato a rico-noscere ildirittodegliayllussul loroterritorio, legittimandoladistribuzionedei terreni realizzata al loro interno. Per questa ragione, in diversi periodi,i tentativi di soppressione del tributo o tasa hanno suscitato vivaci reazioninel mondo indigeno (45). In Bolivia, la contribuzione territoriale (46) fuufficialmente abolita negli anni ottanta. Ciò nonostante, in molte comunitàsi continua a pagare internamente una tasa alle autorità tradizionali alloscopo di ottenere la garanzia e la loro legittimazione sull’accesso alla terra.

Occorre ancora aggiungere che altre categorie, come quella dicomunero o di honorario, yerno, residente, profesional, jubildado,ecc., hanno diritti e doveri diversi nei confronti della comunità inbase all’età e al grado di appartenenza a essa.

In questo contesto, la donna è da sempre in una posizioned’inferiorità rispetto agli uomini per quanto riguarda i diritti allaterra e il peso nelle decisioni comunitarie. In genere, secondo laregola tradizionale, le donne non possono né ricevere terre dellacomunità né essere contribuenti (ovvero assumere la condizione dicomunero attivo o afiliado). Il tema, oggi di grande attualità, è motivodi rilevanti conflitti sia nella dinamica interna delle comunità che neiconfronti delle forme di democrazia occidentale supportate dalloStato (47).

2.2. La reciprocità e la redistribuzione.

La reciprocità e la redistribuzione sono i due principi che spie-gano il funzionamento dell’organizzazione sociale andina nell’ambitodi un’economia autarchica non rivolta al lucro. Gli antropologi JohnMurra e Nathan Watchel ricordano in proposito il proprio debito nei

(44) X. ALBÓ, Prólogo a dos manos, in Los nietos de la reforma agraria, cit., p. XIII.(45) Su quest’atteggiamento cfr. T. PLATT, Ayllu boliviano y estado andino, cit., p.

159 e ss.(46) Espressione sinonimo di tasa, stabilita con l’arrivo dello Stato repubblicano nel

diciannovesimo secolo. Cfr. infra 221-221 nota 297.(47) Cfr. infra 350-351.

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confronti delle teorie di noti studiosi come Marcel Mauss, BronislawMalinowski, Richard Thurnwald e Karl Polanyi (48).

Prima dell’occupazione spagnola, l’Inca riceveva dai sudditiprestazioni di lavoro nelle terre da lui controllate direttamente, perpoi ridistribuirle assicurando la pace nel suo regno e restituendoparte del prodotto in caso di necessità. Così, tramite il pagamentodel tributo in lavoro, i sudditi si assicuravano il sostegno e laprotezione dello stato nei momenti di crisi. Il ruolo svolto dal kuraka(autorità politico-amministrativa degli ayllus) per ottenere il lavorodai gruppi etnici fu fondamentale per il funzionamento del sistema.

La cosiddetta reciprocidad, all’interno dei gruppi etnici o ayllus,si può definire, prendendo a prestito le parole di Enrique Mayer,come « lo scambio normativo e continuo di beni e servizi tra personeche si conoscono, per cui tra una prestazione e la sua resa devetrascorrere un certo tempo ». A tale proposito Mayer aggiunge: « ilprocesso di negoziazione tra le parti, invece di essere un apertomercanteggiamento, è piuttosto nascosto sotto forme di atteggia-mento cerimoniale » (49). L’autore distingue due tipi di scambio:simmetrico e asimmetrico. Nel primo caso lo scambio si realizza traparti eguali (sullo stesso piano) e la prestazione ricevuta devecorrispondere a quella fornita. Nel secondo caso si verifica invece uncerto sbilanciamento tra le parti e le prestazioni fornite non corri-spondono (ovvero la quantità di beni o diritti può essere equivalenteo meno al servizio fornito inizialmente). La tipica forma di lavoroandino, la cosiddetta minka, risponde a quest’ultima dinamica (50).

(48) Cfr. N. WACHTEL, Sociedad e ideología. Ensayos de historía e antropologíaandina, Iep, Lima, 1973, p. 61; ID., La vision des vaincus: les indiens du Pérou devant laconquête espagnole, 1530-1570, Gallimard, Paris, 1971, p. 104; J. V. MURRA, TheEconomic Organization of the Inca State, thesis, Anthropology Department, University ofChicago, Halperin, 1956. trad. spag. di D. R. WAGNER, La organización económica delestado Inca, Siglo Veintiuno, México D.F., 1978.

(49) G. ALBERTI-E. MAYER (a cura di), Reciprocidad e intercambio en los Andesperuanos, Iep, Lima, 1974, p. 21.

(50) Per dettagli sui fondamenti della reciprocità andina cfr. E. MAYER, TheArticulated Peasant: Household Economies in the Andes, Westview Press, Boulder, 2002,trad. spag. di J. F. ESPINOZA, Casa, charca y dinero: economías domésticas en los Andes,Iep, Lima, 2004;. GUILLET, Reciprocal Labor and Peripheral Capitalism in the CentralAndes, in Ethnology, 19, 2, 1980, pp. 151-167.

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Si può domandare se tali regole possano essere attuate nellarealtà odierna di accesso alla terra.

Abbiamo già accennato che l’attribuzione della terra ai membridella comunità comporta delle obbligazioni e responsabilità socialiall’interno di essa ed ecco pertanto la premessa: « la titolarità dellaterra riconosciuta e legittimata dalla comunità comporta l’obbligo diassumere incarichi e compiti comunitari ».

Frequentemente, i nuovi gruppi familiari ricevono delle terre daparte del padre dello sposo per sviluppare un’attività produttiva, main cambio hanno l’obbligo di assumere diverse cariche all’interno dellacomunità. Da tale attribuzione derivano, perciò, delle responsabilitàe il nuovo capo famiglia verrà iscritto nei registri (lista o padrón) dellacomunità come comunero attivo. Da questo momento egli ha obblighinei confronti della comunità (51); che consistono nel prestare servizicomunitari, apportare contributi, assistere alle assemblee e rivestirecariche tradizionali (cargos) (52). Di conseguenza, la famiglia che ricevela terra deve apportare alla comunità beni e denaro da destinare, adesempio, alla realizzazione di cerimonie locali e pratiche civili. In que-sto modo « l’accesso alla terra comporta l’adesione obbligatoria allacomunità e al contrario, se qualcuno decide di migrare e rinunciareal suo lotto, resta libero dalle obbligazioni comunitarie » (53).

D’altro canto, il buon contribuente, o comunero attivo, avrà incontropartita dei diritti, quali l’uso delle terre, l’accesso alle risorsedella comunità, il diritto di prendere parte alle assemblee ed allecelebrazioni, la considerazione di fronte alle autorità comunitarie ela garanzia del pacifico uso del suo appezzamento.

La reciprocità può quindi esser suddivisa in due fasi:

Prima faseContribuente →→ obbligazioni (tasa, cargos) e spese →→ Comunità

(51) F. EGUREN-L. DEL CASTILLO-Z. BURNEO, Los derechos de propiedad sobre la tierraen las comunidades campesinas, in Economía y Sociedad, 71, 2009, pp. 31-32.

(52) Per approfodire il sistema odierno di cargos nelle comunità aymaras diCarangas (dipartimento di Oruro, provincia di Carangas, sudovest dell’altopiano boli-viano) cfr. G. RIVIÈRE, Amat Jan Amtata...Caciques et « mallku » dans les communautésaymaras du carangas (Bolivie), cit.

(53) Lo ha rilevato Gonzalo Colque in prossimità del lago Titicaca all’internodell’ayllu Titikani Takaka. Cfr. G. COLQUE, Titikani Takaka. Construyendo normas yderechos sobre la tierra, cit., p. 18.

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Seconda fase

Contribuente ←← diritto alla terra e altre risorse, garanzia delpossesso, prestigio sociale ←← Comunità

Il pagamento dei tributi per ogni sayana (o terreno familiare) (54)ne legittima il possesso, oltre a confermare il diritto alla terra e laposizione sociale della famiglia all’interno della comunità. Il fattoche la tasa sia raccolta nei cabildos (le feste semestrali), nel corsoquindi di una cerimonia in cui le autorità incaricate della riscossionerichiamano i contribuenti (taseros) al pagamento, suggella pubblica-mente il diritto alla terra e i diritti nei confronti della comunità.

Il quadro dei diritti e degli obblighi reciproci chiarisce ladinamica delle prestazioni all’interno della comunità: l’ayllu e lefamiglie si relazionano in una dinamica di reciprocità asimmetrica.La comunità, a sua volta, svolge il ruolo di ente superiore poichéridistribuisce i servizi e i beni apportati dai contadini tramite ilriconoscimento e la garanzia dei loro diritti e la risoluzione deiconflitti tra i membri (55).

2.3. I fattori geografici: il controllo dei livelli ecologici.

Dal punto di vista ecologico, il territorio abitato dalle comunitàandine è uno dei più inospitali per l’uomo: aree desertiche, zoneventose, altopiani secchi e freddi. Il clima, con la sua estremavariabilità, influeza in modo decisivo la vita nelle Ande, dove sisuccedono frequentemente periodi di siccità, gelo, grandine, e dipiogge eccessive (56). Ciò nonostante, gli abitanti sono riusciti asopravvivere grazie alle regole proprie del sistema tradizionale digestione delle risorse. Per far fronte alle instabilità climatiche lecomunità hanno sviluppato, sin dai tempi precoloniali, un modellodi uso della terra che, in base al controllo diretto della produzione

(54) Cfr. infra 93 e ss.(55) L’insieme di diritti e obbligazioni conferisce la giurisdizione sulla terra e, allo

stesso tempo, la protezione e il riconoscimento comunitario. Cfr. M. FERNÁNDEZ OSCO, Laley del ayllu, cit., p. 125.

(56) Così, J. VALLADOLID RIVERA, Andean Peasant Agriculture: Nurturing a Diversityof Life in the Chacra, in F. APFFEL-MARGLIN & PRATEC (a cura di), The Spirit ofRegeneration: Andean Culture Confronting Western Notions of Development, Zed Books,London & New York, 1998, p. 53.

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di diversi ecosistemi, si allontana dallo schema di un’economiabasata sul principio della continuità territoriale (57).

Sopra i 2.000 m., le Ande presentano una diversità considere-vole di nicchie ecologiche strettamente collegate alle forme di uti-lizzo della terra. Diamo una rapida occhiata alle zone che ci inte-ressano: valle e puna (altopiano) delle Ande centrali.

Le valli (ovvero quebradas o vertientes), site tra i 2.000 e i 3.500m., sono idonee alla coltivazione di cereali, specialmente il mais, e dilegumi e ortaggi. La geografia non è, però, uniforme e la presenza dizone più alte e pianure intercalate introduce il fattore di « comple-mentarità agricola », ovvero, di integrazione della produzione deidiversi livelli ecologici (58).

Nella zona di puna, compresa tra i 3.500 e i 5.500 m., il vento ealtri fattori climatici rendono le terre secche e gelide, consentendo lasola sopravvivenza di vegetazione di tipo xerofita (psychrophytiad’altitudine) (59). In base alla possibilità di coltivare tuberi come lapatata e la quinoa, si distingue tra puna propriamente detta o punabaja (3.500-4.200 m.), e puna brava o alta (sopra i 4.200 m.). Nellezone al di sopra dei 3.750 m. l’attività principale è l’allevamento.Nella zona sud-orientale delle Ande boliviane troviamo, infine, lacosiddetta zona delle Yungas (800-2.000 m.), adatta alla produzionedi mais, frutta e foglie di coca. Il grano, il mais e la maggior parte deiprodotti di origine europea si coltivano fino ai 3.500 m. (anche sealcuni semi possono crescere fino ai 4.000 m.). La coca e la canna dazucchero hanno invece come limite i 2.500 m. (60).

La diversità delle condizioni ecologiche in spazi a volte molto

(57) Cfr. O. HARRIS, El parentesco y la economía vertical en el ayllu Laymi, inAvances Revista Boliviana de Estudios Históricos y Sociales, 1, 1978.

(58) Su questo modello di agricoltura e sui dettagli della tipologia di valle nella zonacfr. R. CONDARCO MORALES, El escenario andino y el hombre. Ecología y antropogeografíade los Andes centrales, La Paz, s.n., 1971, p. 441 e ss. I diversi livelli geografici edecologici peruviani sono analizzati in J. M. CABALLERO, La economía agraria de la sierraperuana, Iep, Lima, 1981, p. 25 e ss.; J. PULGAR VIDAL, Las ocho regiones naturales delPerú, Ed. Universo/Unmsm, 1967.

(59) Cioè, piante che riescono a svilupparsi in condizioni di costante siccità.(60) F. FUENZALIDA VOLLMAR, Estructura de la comunidad de indígenas tradicional,

cit., p. 227; D. GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in theCentral Andes, in American Ethnologist, 8, 1, 1981, p. 141.

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ridotti è strettamente collegata alle molteplici forme di uso della terrasviluppate dalle società andine. Questo fattore, sommato alla difficoltàgeografica della zona, ha costretto la popolazione alto-andina a unutilizzo efficiente di risorse tanto scarse quanto indispensabili per pro-pria sussistenza (61). È pertanto naturale domandarsi come i popolioriginari siano stati in grado di sopravvivere in tali condizioni, e ol-tretutto all’interno un’economia autarchica. La risposta è da cercarenella teoria del « controllo dei diversi livelli ecologici », che deriva asua volta dalla convergenza dei contributi dell’intellettuale bolivianoRamiro Condarco Morales (62) e dell’etnostorico rumeno John Mur-ra (63). Essi, in breve, spiegano come sin dai tempi precolombianiciascun gruppo etnico non avesse accesso soltanto alle terre ubicatenei livelli adiacenti, ma i popoli che abitavano le terre più alte (puna)dovevano per il loro sostentamento cercare delle risorse in altri eco-sistemi.

(61) Sul punto vedi gli ormai classici apporti di R. M. NETTING, Alpacas, Sheep, andMen. The Wool Export Economy and Regional Society in Southern Peru, Academic Press,New York, 1977; D. GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime inthe Central Andes, cit.; S. B. BRUSH-D. W. GUILLET, Small Agro-Pastoral Production in theCentral Andes, in Mountain Research and Development, 5, 1, 1985, pp. 19-30.

(62) In El Escenario Andino y el Hombre. Ecología y antropogeografía de los Andescentrales, cit. L’opera, conclusa nel 1967 e premiata dall’Università San Agustín di LaPaz nel 1968, fu stampata tra 1970 e 1971.

(63) Cfr. El control vertical de un máximo de pisos ecológicos en la economía de lassociedades andinas (1972), rist. in ID., Formaciones económicas y políticas del mundoandino, Iep, Lima, 1975, cap. terzo. Per uno sguardo riassuntivo di queste opere cfr. R.CONDARCO MORALES, Reflexiones acerca del eco-sistema vertical andino, in Avances, RevistaBoliviana de Estudios Históricos y Sociales, 1, 1978, p. 65 e ss. Per una revisione dei lavoridi Murra e di altri studiosi sulla teoria del controllo verticale cfr. P. MORLON, (a cura di),Comprendre l’agriculture paysanne dans les Andes Centrales Pérou-Bolivie, Institut Na-tional de la Recherche Agronomique, Paris, 1992, p. 122 e ss.

L’introduzione del termine « verticalità » si deve all’opera del geografo tedesco KarlTroll (Cfr. K. TROLL, Las culturas superiores andinas y el medio geográfico, Instituto deGeografía Unmsm, Lima, 1958; ID., Geo-ecology of the Mountainous Regions of the TropicalAmerica, Dümmler in Komm, Bonn, 1968) che definì la zona verticale dell’ecologia andinacome una variante dell’« orizzontalità » che si estende dal Polo Nord fino a Panama. Sullaquestione cfr. H. O. SKAR, La gente del Valle Caliente: dualidad y reforma agraria entre losRunakuna (quechua hablantes) de la Sierra Peruana, Pucp, 1997, p. 141; O. HARRIS, To Makethe Earth Bear Fruit. Essays on Fertility, Work and Gender in Highland Bolivia, Instituteof Latin American Studies, London, 2000, p. 77.

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FIG. 2. Topografia delle Ande centrali (elaborazione dell’autore a partire da F. Salomon-S.B. Schwartz (a cura di), The Cambridge History of Native Peoples of the Americas,Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1999, vol. III, 1).

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FIG. 3. Zone ecologiche andine (elaborazione dell’autore a partire da B. Larson-O. Harris(a cura di), Ethnicity, Markets and Migration in the Andes: at the Crossroads of Historyand Anthropology, Duke Univ. Press, Durham, NC., 1995).

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FIG. 4. Variazione climatico-ecologica delle Ande centrali nel sud del Perù e a nord dellaBolivia. Rielaborazione in base agli studi di Carl Troll (1968) e David Guillet (1981).

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Condarco Morales mise in luce l’attività d’integrazione econo-mica tra i diversi livelli territoriali nei tempi precolombiani. La strettaconnessione tra queste aree rivela una simbiosi di tipo mutualistico,per beneficio reciproco che ciascun livello ne può trarre. Per taleragione l’autore denomina le aree studiate come « zone simbioticheintegrate ». Murra, d’altra parte, ebbe il merito di segnalare come ognietnia si sforzò di controllare diversi livelli ecologici allo scopo di gestireal meglio le proprie risorse nelle difficili condizioni climatiche e geo-grafiche andine. Egli attestò che uno stesso nucleo d’insediamentocontrolla le risorse in differenti « nicchie » o « livelli ecologici » at-traverso lo stabilimento di colonie ad ampie distanze (a volte un giornoo perfino una o due settimane a piedi dai centri popolati). In questomodo, una serie di colonie permanenti nella periferia e nei diversilivelli ecologici possono essere parte di una stessa comunità o famiglia,formando insieme ad altre colonie il cosiddetto « arcipelago », tipicomodello d’insediamento andino.

Coerentemente con questo tradizionale modello d’uso ecologi-co, l’antropologo peruviano José Matos Mar insegna che lo spaziofisico di una comunità tipica si trova diviso in tre zone: il nucleourbano e i suoi annessi, le aree di coltivazione contigue e le zone dipascolo (64). Tali zone possono trovarsi divise a strisce verticalicontinue, che scendono dalle zone di puna ai terreni più caldi,oppure come terreni di valle e puna in forma discontinua (arcipela-ghi nel modello di Murra) (65).

Di conseguenza il territorio dell’ayllu consiste in domini terri-toriali discontinui o continui con accesso alla maggiore quantitàpossibile di ecosistemi con differenti climi, suoli, altitudini e tem-perature. Lo schema proposto corrisponde alla struttura preispanicadi vere e proprie « isole di territorio » associate per un miglioresfruttamento ecologico della pampa, delle colline, delle regionisecche e umide.

(64) J. MATOS MAR, Hacienda, comunidad y campesinado en el Perú, cit., p. 188.(65) Illustrando questa differenza Platt ha rilevato la presenza di territori continui

e discontinui negli ayllus del nord di Potosí verso la metà dell’Ottocento. Cfr. T. PLATT,Estado boliviano y ayllu andino, cit., pp. 48-49. Sulla tipologia degli insediamentiecologici cfr. D. GUILLET, Agrian Ecology and Peasant Production in the Central Andes,in Mountain Research and Development, 1, 1, 1981, p. 25.

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FIG. 5. Sistema di controllo di un massimo di livelli ecologici (elaborazione dell’autore).

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A partire dall’epoca coloniale l’ipotesi descritta è stata definitacon il nome di « doppia residenza », termine usato dagli spagnoliper riferirsi agli appezzamenti che si trovavano in livelli ecologicidiscontinui e che appartenevano a uno stesso contadino o famiglia.

Dopo l’apparizione dei lavori di Murra, antropologi ed etnosto-rici hanno cercato manifestazioni contemporanee della nozione dicontrollo verticale. Cesar Fonseca, allievo dello stesso Murra, hasostenuto nella sua tesi dottorale del 1973 che certi schemi culturali,come « l’uso verticale dell’ecologia », continuano a regolare l’eco-nomia di sussistenza familiare, in particolare nelle regioni in cui lediverse nicchie ecologiche si trovano a distanza assai ravvicinatadalle basi di residenza comunitaria (66).

Secondo Fioravanti-Molinié, è possibile suddividere le modalitàdi « controllo verticale » in due categorie: nella prima la produzionedei differenti livelli è controllata dalla società tramite il possesso diun territorio che copre la totalità dei livelli stessi (67); nella secondail controllo verticale è, invece, esercitato attraverso una rete discambi di merce non contemplata nel modello precolombiano diMurra (68).

Da un punto di vista più descrittivo, Spedding e Llanos hannodi recente evidenziato quattro livelli ecologici per la comunità diChari (dipartimento di La Paz, Bolivia): 1. sorgente di valle (3.550-3.800 m.), dove, accanto alle abitazioni, si trovanoterre per lacoltivazione (in forme di terreni chiusi o aynuqas); 2. zona interme-dia, tra la sorgente di valle e la puna secca (3.800-4.000 m.), dove lefamiglie hanno terre coltivate nelle aynuqas (appezzamenti di colti-vazione sotto controllo comunitario) e di pascolo sulle stesse neiperiodi di riposo della terra (69); 3. zona della puna secca (4.000-4.200 m.), dove si coltiva di meno e le zone per il pascolo hanno una

(66) C. FONSECA MARTELL, Sistemas económicos andinos, Biblioteca Andina, Lima,1973, p. 6 e ss.

(67) Il caso più noto è quello della comunità di Macha nel nord del dipartimentodi Potosí.

(68) È il caso delle comunità della Valle di Yucay, Cuzco, Perù. Cfr. A. FIORAVANTI-MOLINIÉ, Multi-levelled Andean society and market exchange: the case of Yucay (Peru), inD. LEHMANN (a cura di), Ecology and Exchange in the Andes, Cambridge Univ. Press,Cambridge, 1982, p. 212.

(69) Cfr. sezione II, 1 di questo capitolo.

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maggiore estensione; 4. zona della puna secca-serrana (4.200-4760m.), dove non c’è alcun tipo di coltivazione, ma soltanto allevamentodi bestiame (camelidi). Gli abitanti di queste zone oltre alle terre dipascolo hanno anche accesso alle aynuqas delle zone agricole piùbasse (70).

Su questa base, si può affermare che gli ayllus nella partesettentrionale del dipartimento di Potosí hanno mantenuto i rap-porti più stretti con le strutture del passato. Il loro caso è stato benstudiato da storici e antropologi. Secondo Silvia Rivera, essi non solohanno mantenuto il sistema dell’economia verticale, ma l’hannoanche adattato creativamente alle esigenze e alle influenze esterne.La flessibilità del sistema di possesso fondiario in alcuni ayllus dellazona ha permesso una sorta di ricomposizione dell’economia verti-cale (71). La modalità di controllo dei diversi livelli ecologici richiedequindi una circolazione interecologica di prodotti e di forza lavoroper consentire una doppia coltivazione. Quando, nella puna, dimi-nuiscono i lavori agricoli, si compiono lunghi viaggi interecologici,sia per coltivare nelle terre di valle sia per realizzare scambi epartecipare alle feste o cerimonie. La testimonianza di un membrodell’ayllu Aymaya di Chayanta nel nord del dipartimento di Potosí inBolivia ci fornisce una precisa idea dell’economia verticale e delladoppia coltivazione:

« Nel mese di giugno, passata la festa di san Giovanni, i residentidella puna, uomini, donne e bambini, scendono a valle per seminare,portando con sé animali, bestiame, galline, perfino cani e gatti.Sgraneranno il mais, pesteranno il farro fino a luglio, poi tornerannoalla puna durante agosto e settembre, e da ottobre a gennaiotorneranno a valle per seminare [...]. Per tutto questo tempo, glianimali pascolano a valle. Terminati i lavori nei campi, i contadinitornano alla puna, lasciando vuote le case e i campi coltivati[...] » (72).

(70) A.SPEDDING-D. LLANOS, No hay ley para la cosecha, cit., pp. 91-92.(71) S. RIVERA CUSICANQUI, Ayllus y proyectos de desarrollo en el norte de Potosí,

Aruwiyiri, La Paz, 1992, pp. 86-87.(72) Ibid., pp. 90-91, tradotto dal quechua dall’autrice: « En el mes de junio,

pasadas las fiestas de San Juan, ya entran los de la puna en los valles a cosechar, tantolos hombres como las mujeres y niños, llevando sus animales, ganados, gallinas, hasta el

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In riferimento alla stessa area del dipartimento di Potosí, Platt,all’inizio degli anni ottanta, attesta il predominio del controlloverticale dei livelli ecologici, rilevandone tre nella zona est dellaCordillera de los Frailes: 1. l’allevamento delle Alte Ande (4.200-4.600 m.); 2. l’agricoltura della puna (3.500-4.200 m.); 3. l’agricol-tura della valle (2.000-3.500 m.). Il primo è destinato all’allevamentodel bestiame, il secondo alla coltivazione di patate, quinoa, farro,fave, mais e il terzo a patate, cipolle, frutti, canna da zucchero, zucca,mais. Il principio di fondo è che ogni contadino riesca ad adattare lasua strategia produttiva alla topografia locale (73).

Nel 1978 l’antropologa Olivia Harris ha sottolineato come lacultura Laymi , legata agli ayllus di Chayanta, possieda un territoriodiscontinuo diviso in due settori molto distanti l’uno dall’altro: ilsuni (altopiano o puna), dai 3.800 ai 5.000 m., in cui pascolano i lamae le pecore e in cui si attua la maggior parte della produzione dituberi; il likina (valle), dai 2.000 ai 3.500 m., dove il clima è più caldoe adatto alla coltivazione cerealicola, come quella del mais. Nel suniogni famiglia ha accesso alle terre di pascolo e a quelle agricole. Lacompatibilità, tra il suni e il likina, nei periodi d’intensa attivitàagricola, è la principale causa del già noto « doppio domicilio ». Ilmais si semina e si raccoglie nella zona del likina e dopo un certoperiodo la stessa modalità viene adottata per i tuberi d’altura,nell’estensione del suni. L’attenzione verso queste coltivazioni du-rante i periodi di crescita si manifesta con frequenti viaggi tra le duezone. In questo scenario i laymi hanno fissato la residenza principale

perro y el gato. Desgranarán el maíz, pisarán el trigo hasta julio, luego volverán a la punadurante agosto y septiembre, y de octubre a enero volverán al valle a sembrar, hastafebrero siempre se los ve subir del valle a la puna. Durante todo este tiempo los animalespastean en el valle. Una vez terminados estos trabajos regresan a la puna, dejando vacíaslas casas y los sembradíos, solamente de una vez en cuando los ombre entraran adeshierbar por uno o dos días los sembradíos de maíz, porque cuando se deshierba elmaíz crece bien. Después de nuevo en junio volverán a cosechar » (testimonio de D.J.,ayllu Aymaya, ottobre 1989).

(73) T. PLATT, Le role de l’ayllu dans la reproduction du système marchand simpledans le nord du Potosí, in De l’empreinte à l’emprise. Identités andines et logiques depaysans. Puf, Paris, Cahiers de l’Iued, Genève, 1982, p. 40 e ss. Cfr. anche in versioneinglese: ID., The Role of the Andean Ayllu in the Reproduction of the Petty CommodityRegime in Northern Potosí (Bolivia), in D. LEHMANN (a cura di), Ecology and Exchange inthe Andes, cit., pp. 27-69.

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nelle terre più basse, dove le greggi, elemento essenziale per ferti-lizzare le terre di coltivazione, hanno bisogno di maggiori cure (74).

Questo breve excursus tra le teorie di diversi studiosi, confermail sostanziale accordo sulla persistenza del sistema, ma, come affer-mano Albó e Barnadas, a un livello sempre più deteriorato oridotto (75). Così, all’interno di una piccola società, il fatto che ognifamiglia abbia terreni di coltivazione in diverse zone geografichedell’area della comunità, costituisce un micro sistema d’economiaverticale. Nella maggior parte delle comunità tradizionali per acce-dere dalla puna ai territori in valle occorre attraversare aree altrui,evento che attualizza il concetto degli arcipelaghi di Murra dell’epo-ca precolombiana (76).

A tale proposito l’antropologa Harris aggiunge che molti casi dieconomia verticale si trovano oggi confinati in aree ripide e acciden-tate. Perfino una piccola comunità può controllare una striscia diterritorio che comprende diverse zone ecologiche. In questi casi ècomune trovare un nucleo popolato con delle tenute agricole sparsenelle zone più lontane, così come delle abitazioni per soggiornioccasionali durante i periodi dell’attività agricola (77).

Di conseguenza il controllo dei diversi livelli ecologici noncomporta oggi che ogni comunero abbia accesso diretto a tutti ilivelli di una determinata regione e neppure solo alle terre adiacenti.Si tratta piuttosto di una via di mezzo tra queste due alternative, chedipenderà comunque dell’estensione territoriale di ogni ayllu (78).

Quali conclusioni possiamo trarre da queste osservazioni?

(74) O. HARRIS, El parentesco y la economía vertical en el ayllu Laymi (norte dePotosí), cit., pp. 52, 57; EAD., To Make the Earth Bear Fruit. Essays on Fertility, Work andGender in Highland Bolivia, cit., cap. 3.

(75) X. ALBÓ-J. M. BARNADAS, La cara india y campesina de nuestra historia,Unitas/Cipca, La Paz, 1990, pp. 24-25.

(76) Cfr. W. CARTER-X. ALBÓ, La comunidad Aymara: un mini-estado en conflicto, inX. ALBÓ (a cura di), Raíces de América. El mundo Aymara, Alianza Editorial, Madrid,1988, p. 457.

(77) O. HARRIS, El parentesco y la economía vertical en el ayllu Laymi (norte dePotosí), cit., p. 51. Cfr. anche S. B. BRUSH-D.W. GUILLET, Small Agro-Pastoral Productionin the Central Andes, cit.,p. 27.

(78) Spesso gli ayllus piccoli presentano appezzamenti all’interno della circoscri-zione della comunità, mentre gli ayllus più grandi hanno terreni dispersi nei diversi livellidella comunità e perfino nelle altre vicine.

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Ciò che dobbiamo ritenere è che le modalità del possessofondiario nelle Ande centrali vengono determinate dal livello verti-cale ecologico in questione (79). Il territorio oggetto del nostro studiooffre una geografia dualistica tra la puna (regione fredda o alta) e lavalle (regione calda), sul quale è possibile individuare tre tipi diterre, collegati a tre tipologie di possesso e utilizzo:

1. Terre di zona bassa (d’irrigazione bassa) dove l’appropria-zione familiare è quasi assoluta.

2. Terre di zona intermedia (terreni non irrigati) dove l’appro-priazione familiare è fortemente limitata dalla collettività.

3. Terre di zona alta (di pascolo) dove in sostanza non esisteappropriazione individuale.

Pertanto, si può dedurre che a livelli di altitudine più bassicorrisponde un controllo comunitario via via più debole, accrescen-dosi parallelamente quello individuale (80). In questo modo, ognicomunità presenta forme di controllo dipendenti dall’estensioneverticale che possiede, circostanza che consente di classificare lecomunità in:

1. agricole o di valle (sotto 3.000 m.)2. di pascolo (tra i 3.800 e i 5.000 m.)3. di agro-pascolo (tra i 2.300 e i 3.500 m.) (81)I contadini andini hanno accesso a terreni frazionati e discon-

tinui, essendo oggi comune la dispersione dei terreni, con differenticlimi e geografie, appartenenti a una stessa famiglia all’interno dellacomunità. La verticalità, come insegna Harris, risulta quindi utilenon tanto per stabilire una continuità con le strutture precoloniali,ma per comprendere la particolarità dell’ambiente andino e laspecificità dei modi secondo cui le comunità si sono organizzate perfruire di quell’ambiente, malgrado i cambiamenti nelle modalità di

(79) Cfr. A. SPEDDING-D. LLANOS, No hay ley para la cosecha, cit., p. 45; D. GUILLET,Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in the Central Andes, cit., p. 143.

(80) D. GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in theCentral Andes, cit., p. 143. Vedi inoltre infra 101, Fig. 2.

(81) Così, A. DIEZ HURTADO, Interculturalidad y comunidades: propiedad colectiva ypropiedad individual, in Debate Agrario. 36, 2003, pp. 77-79.

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produzione (82). Da un punto di vista economico il controllo diquesti livelli risponde semplicemente a un atteggiamento razionalenello sfruttamento delle risorse. Lo sfruttamento delle diverse con-dizioni naturali e i cicli di produzione paralleli rendono necessaria lacooperazione tra gli abitanti (83). È per questo motivo che lacooperazione e il raggiungimento della massima produttività dellescarse risorse ecologiche sono da sempre le più note caratteristichedell’organizzazione comunitaria andina.

La pregnanza di questo sistema di uso della terra non si esauriscesoltanto nelle considerazioni fin qui svolte. Sul versante politico il temasuggerisce il richiamo a un evento di stretta attualità che ci permet-tiamo solo di accennare: dagli anni novanta il cosiddetto discorso su« tierra y territorio » si è basato sulla rivendicazione del controlloverticale delle risorse naturali. La richiesta si colloca nel cuore di im-portanti organizzazioni nello scenario andino, come il noto ConsejoNacional de Ayllus y Markas del Qullasuyo (CONAMAQ) della Boli-via (84).

2.4. Le regole successorie.

Il primo problema metodologico che incontra il giurista occi-dentale nell’avvicinarsi allo studio delle regole di successione tradi-zionali nelle Ande deriva dalla pluralità di situazioni e di norme. Lepratiche ereditarie variano infatti notevolmente a seconda dellaregione, della comunità, delle diverse famiglie e perfino all’interno diuna stessa famiglia. L’eterogeneità delle regole successorie andine,spiega Marisol de la Cadena, si deve al fatto che esse rappresentanodelle risposte tecnico-sociali alle specifiche condizioni di produzione

(82) O. HARRIS, El parentesco y la economía vertical en el ayllu Laymi (norte dePotosí), cit., pp. 62 -63.

(83) Cfr. J. GOLTE, La racionalidad de la organización andina, Iep, Lima, 1980; Cfr. ancheID., Die « Organisazion andina »: acerca de la organización campesina andina, in Bruchstellen derEntwicklung, 1, 1982.

(84) Il tema, come riportato dalla fondazione boliviana Tierra, rappresenta unadelle principali sfide riguardanti la comunità. Cfr. G. COLQUE-W. PLATA-R. COLQUE (acura di), Desafíos de las colunidades hoy: seis temas de debate desde el altiplano,Fundación Tierra, La Paz, 2009, p. 27 e ss. Cfr. inoltre J. C. ROJAS, Problemas yperspectivas de los territorios indígenas en Bolivia, in F. EGUREN (a cura di), La reformaagraria y desarrollo rural e la region andina, Cepes, Lima, 2006, pp. 131-148.

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di ogni comunità. Le strutture successorie sarebbero così delle veresoluzioni per la sussistenza e la produzione comunitaria, condizio-nando l’organizzazione del lavoro e promuovendo la cooperazionefamiliare (85).

A tale complessità si deve inoltre aggiungere un’altra osserva-zione relativa al fenomeno del parallelismo tra le regole del Codicecivile e quelle tradizionali. Da un punto di vista declamatorio, leregole successorie operano storicamente secondo i principi delCodice e, in alcuni casi, secondo le leggi agrarie speciali imposte daigoverni di turno, ma le soluzioni operazionali riscontrate nell’insie-me dei lavori sul campo confermano di fatto l’egemonia delle regoletradizionali o di situazioni intermedie in cui si combinano le regoleformali con quelle consuetudinarie (86).

A partire da queste costatazioni, limitiamoci, quindi, a tracciareuna panoramica generale, desunta dai lavori e dai racconti analizzati.

Al momento si conosce poco sul sistema successorio terrieronelle società tradizionali andine (87). Come sottolinea Barragán perla realtà boliviana: « ignoriamo le specifiche modalità di trasmissionedella terra all’interno delle comunità e lo Stato non conosce le regoledi distribuzione, giacché da secoli la titolarità che ha predominato èquella collettiva o pro-indiviso » (88).

Di regola, alla morte del padre, i diritti ereditari vengono fissatisecondo le regole comunitarie o familiari: il principio è che tutti imembri della famiglia ereditano (beni mobili o immobili), ma solo

(85) M. DE LA CADENA, Cooperación y mercado en la organización comunal andina,Iep , Lima, rist. 1986, p. 13.

(86) Cfr. E. SANJÍNES DELGADO, Los rostros fememinos de la reforma agraria. Retosinconclusos en el tema de género, in J. P. CHUMACERO (a cura di), Reconfigurandoterritorios. Reforma agraria, control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, FundaciónTierra, La Paz, 2010, pp. 57-59 e 69.

(87) Durante l’Impero Inca, le regole dell’eredità erano state fissate secondo unadiscendenza bilaterale (cioè sia matri che patrilineare), ovvero gli uomini ereditavano delpadre e le donne della madre. Tale regola è tuttora vigente in alcune comunità, masoltanto per quanto riguarda i beni mobili. Cfr. I. SILVERBLATT, Luna, sol y brujas. Géneroy clases en los Andes prehispánicos y coloniales, Centro de Estudios Regionales AndinosBarolomé de las Casas, Cuzco, 1990; ID., Women in the Inca Empire, in Feminist Studies,4, 3, 1978, p. 39.

(88) R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra, inLos nietos de la reforma agraria, cit., p. 50.

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uno rappresenta gli eredi, conformemente a un accordo stipulato aseguito della morte del padre. La persona designata non diventa maipieno proprietario, ma assume solo il ruolo di rappresentante dellafamiglia. In molte comunità la persona che svolge tale ruolo è notacome « contribuente ». Questa qualifica definisce chi è il titolaredella terra e quali siano i suoi diritti e le sue obbligazioni. Ognicontribuente si pone a capo della famiglia e, pertanto, dell’unitàterritoriale che gli è stata assegnata (89); alla sua morte gli eredidovranno rimpiazzarlo. Il nuovo capo famiglia presenterà la suarichiesta all’assemblea della comunità che delibererà. L’accettazioneformale del contribuente non implica automaticamente il passaggiodella titolarità della « proprietà » del defunto, ma sottende solo ilsuo diritto di rappresentanza. I contribuenti sono formalmentericonosciuti dalla comunità attraverso l’iscrizione nei cosiddettipadrones o listas (come già accennato, sorta di registri degli atticomunitari) e ciò mostra l’importanza dell’impegno nel prestareservizi alla comunità. Spesso, infatti, si è notato che chi restaall’interno della comunità e vi svolge delle obbligazioni (cariche,contributi economici, ecc.) acquisisce i maggiori diritti sulla terrarispetto a chi decide di trasferirsi fuori.

Parallelamente a questa modalità, le regole di successione am-mettono anche la sottoscrizione di testamenti. In materia, comeaccade nel diritto comune, il dante causa non gode mai della libertàassoluta, poiché i beneficiari entreranno in possesso dei beni secon-do gli ordini dell’assemblea comunitaria.

In ogni caso, qualunque siano le norme di successione, gli eredihanno l’obbligo di designare il nuovo rappresentante della famigliadi fronte alla comunità.

Un contrasto assai significativo tra il mondo andino e le regoleoccidentali si manifesta anche in altre circostanze in cui si determi-nano i diritti di successione. Finora si è accennato alla morte delcontribuente come causa dell’attuazione delle regole successorie, mafrequentemente è il matrimonio dei figli a dar luogo alla successione

(89) Come sottolinea Esteban Sanjinés per l’ayllu Laguna (zona dell’altopianocentrale del dipartimento di Oruro, Bolivia). Cfr. E. SANJINÉS, Ayllu Jila Tayoi UtaCollana. Sistemas de tenencia de la tierra, una visión desde la norma, Fundación Tierra,La Paz, 2005, p. 47.

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dei diritti fondiari. I coniugi ricevono un lotto da parte dei genitoridello sposo per il sostentamento della futura famiglia. Va sottolinea-to come, in queste situazioni, un accordo intuitu personae, il matri-monio, opera parallelamente come titolo per conferire il possessofondiario (90). Se dovessimo pertanto interpretarlo con le categoriedel diritto occidentale, il matrimonio andino sarebbe un istituto deldiritto successorio, ovvero l’atto che da luogo al trasferimento dellaterra dai genitori ai figli. Tale particolarità, è spiegata dal fatto chenella cultura aymara e in quella quechua, come sottolinea Ossio, lamaggiore età si acquisisce all’atto della formalizzazione del matri-monio: « nessuno, né uomo né donna, acquista lo status di personaadulta e pienamente capace dal punto di vista sociale, se non è statounito alla sua compagna o al suo compagno dalla società in cui vive,perfezionando la figura di soggetto giuridico di pieno diritto, ofigura di persona riconosciuta nel contesto sociale (91).

Tuttavia, pur rappresentando il matrimonio l’occasione fonda-mentale per il trasferimento fondiario all’interno delle comunità,esso non è l’unica forma di attribuzione successoria per atto tra vivi.Una situazione simile si presenta quando il padre, ormai anziano omalato, opta per la cessione dei suoi diritti a un discendenteprescelto. Il dante causa può, durante la sua vita, trasmettere nonsolo i beni materiali ma anche le proprie conoscenze riguardanti ilterreno (limiti, superficie, documenti e diritti sulle terre dell’aynuqa,ecc.), in modo tale da trasmettere al prescelto i frutti della suaesperienza e le nozioni rilevanti per l’esercizio del futuro diritto.L’atto attraverso il quale si trasferisce il diritto alla terra è costituitoda un accordo (contratti di donazione o cessione di diritti), il qualedeve ottenere sempre l’approvazione della comunità per produrreeffetti giuridici. Di solito queste cessioni si verificano tra padre efiglio, ma la regola non è rigida: possono beneficiarne anche terzi in

(90) Occorre comunque considerare che in certe comunità questo passaggio di beniavviene tramite un contratto informale, puramente simbolico o fittizio, come la com-pravendita tra padre e figlio. Le ragioni di tali stipulazioni sono legate alle lungagginiburocratiche del diritto formale, nonché al loro elevato costo.

(91) Cfr. L. OSSIO, I diritti indigeni in Bolivia, in S. LANNI (a cura di), I diritti deipopoli indigeni in America Latina, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, pp.230-231.

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virtù di particolari meriti (servizi prestati, attenzioni, ecc.). Questepratiche non hanno alcun rapporto con i principi del diritto civile;ela loro varietà non rende semplice l’individuazione di principicomuni alla base delle regole successorie.

Rifacendoci allo studio di Rossana Barragán, relativo al dirittosuccessorio di quattro comunità boliviane a partire dal 1953, pos-siamo illustrare il sistema seguente:

1. Successione in linea esclusivamente maschile— Solo uno riceve la terra (uni-maschile)— Solo uno riceve la terra ma la condivide con gli altri— Successione diseguale per tutti i maschi— Successione egualitaria per tutti i maschi

2. Successione in linea maschile e, in via accessoria, femminile— Successione egualitaria per tutti i maschi ed diritti suc-

cessori minori per tutte le femmine— Successione uni-maschile ed diritti successori minori per

il resto dei maschi e delle femmine3. Successione egualitaria (maschile e femminile)4. Successione bilaterale (i maschi dal padre e le femmine dalla

madre) (92)Da notarsi che il sistema risulta flessibile e che quindi è possibile

trovare nello stesso ayllu combinazioni di diversi tipi di regolesuccessorie. Così, nella comunità di Jila Taypi Uta Collana (dipar-timento di Potosí), valgono le norme seguenti: successione solo peri figli maschi (uni-maschile o uni-maschile ma in condivisione dellaterra), successione bilaterale, successione egualitaria per gli uomini eminore per le donne (93).

Peraltro, molte sono le eccezioni dovute a circostanze particolaridi ogni famiglia: l’assegnazione uni-maschile non significa che glialtri fratelli restino senza terra; a volte capita che la comunità possariassegnare piccoli appezzamenti nel caso di ulteriori terre disponi-

(92) Il quadro sintetico corrisponde allo studio di quattro comunità boliviane. Trecomunità originarie (Jila Taypi Uta Collana, Titikani Takaka e Cocha Pamapa, neldipartimento di Potosí) e una ex hacienda (Pampa Belén, dipartimento di La Paz). Cfr.R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra, in Los nietosde la reforma agraria, cit., p. 52.

(93) Ibid., p. 53.

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bili. Allo stesso modo, può accadere che gli appezzamenti venganoconcessi anche ai famigliari del beneficiario o che, nelle famiglie incui la regola è l’eredità maschile, le donne ottengano la terra permancanza di eredi maschi. Anche la distribuzione maschile eguali-taria presenta alcune eccezioni: il pive (o primogenito) è titolare diun’eredità privilegiata per la leadership familiare, mentre il chanaco(il più giovane) eredita la casa paterna (94). Poi, nei casi in cui la terrafamiliare risulti esigua e insufficiente, si preferisce a volte la regoladell’assegnazione sulla base dei servizi prestati ai genitori.

L’idea prevalente è quindi quella di concedere a tutti il dirittoalla terra, evitando però di frazionarla eccessivamente, e di garantireche la titolarità di un erede non escluda l’accesso alla terra da partedegli altri.

Quanto alla condizione di vedovanza, tradizionalmente le vedo-ve non ereditano beni fondiari e, per tale motivo, le terre dei maritidefunti, in mancanza di discendenti diretti, vengono restituite allacomunità per essere riassegnate. Ciò spiega perché le regole succes-sorie tradizionali riflettono una cultura patriarcale che trova le sueorigini in epoca precolombiana (95). Conviene comunque notare cheper ragioni di equilibrio e di tradizione dualistica, numerose attivitàrelative all’uso e alla coltivazione della terra sono comunque appan-naggio delle donne. Esse, oltre alle attività domestiche, insieme agliuomini preparano il terreno per la coltivazione, piantano i semi,aiutano durante il raccolto e la preparazione delle terre per il nuovociclo agricolo. A fronte di ciò, la regola patriarcale viene comune-mente spiegata adducendo due fattori: innanzitutto sono general-mente gli uomini ad assumere il ruolo di contribuente, in secondoluogo le donne di solito abbandonano la casa materna per formareuna nuova famiglia, perdendo o riducendo così i loro diritti succes-sori (per questa ragione la donna è considerata in molte comunitàcome figlia de la gente).

(94) F. FUENZALIDA VOLLMAR, Estructura de la comunidad de indígenas tradicional,cit., p. 238.

(95) Durante l’Impero Inca i maschi, a detrimento delle donne, ebbero accesso ediritti privilegiati alle risorse a causa della dotazione di terre per i servizi prestati e perla possibilità di ricevere, se sposati, un’estensione delle terre secondo il numero e ilgenere dei figli. Cfr. I. SILVERBLATT, Women in the Inca Empire, cit., pp. 39-41. Vedianche infra 117-118.

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Il sistema comunque è diventato via via più egualitario grazieall’influsso delle leggi di matrice occidentale, nonché a fattori internialla comunità. Un esempio dell’apertura verso la parità delle regolesuccessorie tra i generi può esser rintracciata nello studio condottonegli ayllus di Piruka e Qullana del dipartimento di Oruro, Bolivia.In un primo tempo, allo scopo di mantenere l’integrità e l’identitàterritoriale del gruppo comunitario, alle donne non venivano rico-nosciuti diritti ereditari. In una seconda istanza la donna acquisì ildiritto di ereditare in forma eccezionale, solo in caso di assenza dieredi in linea maschile. Si ottennero, infine, norme paritarie nellasuccessione bilaterale, probabilmente in seguito alla diminuzionedella popolazione nell’ayllu (96). I cambiamenti legislativi e fattoricome la perdita del valore della terra, dovuta alla sua eccessivaframmentazione, portarono a una maggiore partecipazione delladonna all’eredità terriera . Tale circostanza è illustrata da Marisol dela Cadena per la comunità di Chitapampa, a Cuzco. Dal suo studioemerge che tra il 1900 e il 1987 la partecipazione della donna allasuccessione ereditaria riguardante i fondi salì dal 22% al 40% (97).

Oltre al vincolo di stretta consanguineità, altri fattori esterniintervengono a condizionare i diritti successori. In certe comunità(pensiamo a Chari, studiata da Spedding e Llanos) il diritto dieredità è regolamentato considerando la residenza e la collaborazio-ne con i genitori: i/le figli/e che abitano nella comunità e che siprendono cura dei genitori anziani hanno più diritti di coloro che sene sono allontanati. Non sorprende così che in certi casi non sia laconsanguineità la causa della successione, ma il servizio prestatosenza remunerazione come membri di un’unità domestica. Pertanto,si possono riconoscere perfino come figli anche coloro che, in basealle leggi di successione del diritto comune, non appartengono a talecategoria (98). Questo conferma un concetto già anticipato, ovvero,che il lavoro della terra conferisce diritti su di essa.

(96) AA.VV., Tierra y territorio: thaki en los ayllus y comunidades de ex hacienda. cit.,p. 66.

(97) M. DE LA CADENA, Women are More Indian. Ethnicity and Gender in aCommunity near Cuzco, in B. LARSON-O. HARRIS (a cura di), Ethnicity, Markets andMigration in the Andes, cit.

(98) Cfr. A. SPEDDING-D. LLANOS, No hay ley para la cosecha, cit., p. 60 e 54.

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Frequentemente, l’impossibilità di un’ulteriore espansione delterritorio e la crescita della popolazione, sommate all’applicazionedelle regole successorie, sono all’origine di fenomeni di frammenta-zione delle sayañas (tenute famigliari), costringendo i figli e i nipotiad allontanarsi dalla comunità per sopravvivere (99). La situazione èdescritta da Wilfredo Plata in uno studio sulla comunità di PampaBelén localizzata nelle vicinanze della città boliviana di Achacachi(dipartimento di La Paz). Dal suo lavoro emerge che nel decennio1950-1960 il 43,5% delle famiglie possedeva quattro o più ettari,mentre nel 2004 al 72,5% delle famiglie toccavano meno di dueettari di terra a testa (100).

L’analisi di tali circostanze conduce a ritenere che il minifondo,oltre a essere in certi settori il risultato delle politiche della riformaagraria del Novecento, sarebbe anche la conseguenza dei sistemisuccessori tradizionali, applicati in spazi ridotti.

Per evitare tali effetti non poche comunità hanno scelto laformula « dell’ultimogenito »: l’ultimo figlio maschio acquista laqualità di originario (sayiri). Egli rimpiazza il padre nella suddettacategoria, mentre gli altri fratelli mantengono la categoria di agrega-dos (101).

(99) La divisione della terra, il sorgere del minifondo e la conseguente migrazionerappresentano la tematica centrale dell’opera di Juan Pablo Chumacero su quattrocomunità nella zona di Chayanta a nord di Potosì (comunità di Cancha Pujru, CochaPampa, Huayraña e Iruja-Falsuri). Cfr. J. P. CHUMACERO, Cancha Pujru, Cocha Pampa,Huayraña e Iruja-Falsuri. Tierra y economía comunal en el norte Potosí, Fundación Tierra,2005, p. 23 e ss. Per l’esperienza delle comunità della Valle Alto di Cochabamba, inBolivia cfr. G. CORTES, Partir pour rester. Survie et mutation de sociétés paysannes andines(Bolivie), Ird, Paris, 2000, trad. spag. di G. BIRK, Partir para quedarse. Supervivencia ycambio en las sociedades campesinas andinas (Bolivia), Ird/Ifea/Plural editores, La Paz,2004; ID., L’accès aux ressources foncières, enjeu de l’émigration rurale andine. Essai delecture systémique à partir de l’exemple bolivien, in Revue européenne des migrationsinternationales, 18, 2, 2002, pp. 2-20.

(100) W. PLATA QUISPE, Pampa Belén. Comunarios, maestros y residentes defiendensu tierra, Fundación Tierra, La Paz, 2005, p. 48.

(101) Così, nel Cantón de Sica Sica, dipartimento di La Paz, Bolivia. Cfr. M.FERNÁNDEZ OSCO, La ley del ayllu, cit., p. 75. Al contrario, nell’ayllu di Jukumani, nelnord del dipartimento di Potosí, si considerano tutti i discendenti della linea paternacome originarios. Essi sfruttano gli stessi appezzamenti della valle e dell’altopiano cheappartennero in passato al primo originario in forma parallela e indipendente, ma senza

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Il quadro fin qui illustrato ci permette di trarre alcune conclu-sioni individuando un certo numero di principi generali delle regolesuccessorie nelle Ande:

1. I sistemi successori che operano nella realtà delle comunitàindigene non riflettono la legislazione dello Stato, ma leregole tradizionali applicate dalle autorità comunitarie.

2. La successione è il titolo di acquisto più frequente della terra.3. Le regole che governano l’eredità della terra variano in base

alle regioni, alle comunità, alle famiglie, e anche all’interno diuno stesso nucleo familiare.

4. Le regole successorie tendono a evitare l’eccessiva frammen-tazione della terra, ma anche la sua concentrazione nellemani di pochi individui.

5. La trasmissione della terra si attua frequentemente al mo-mento del matrimonio del figlio maschio, consentendoglil’accesso alla terra ancor prima della morte dei genitori.

6. Di regola le donne non ereditano la terra. Il sistema peròtende ad aprirsi alla parità dei generi.

7. La divisione su base paritaria tra tutti i figli è quasi inesisten-te; non si verifica neanche quando gli ereditandi sono solomaschi.

8. Persone che non hanno rapporti di consanguineità con ildante causa possono ereditare in virtù dei servizi prestati.

9. Le regole successorie tradizionali hanno un doppio scopo: latrasmissione della terra ai figli, o a terzi, e il conferimento diuno status all’interno della comunità. Da ciò deriva chel’appartenenza della terra, come si vedrà, non possa esseredissociata dai soggetti a cui è stata conferita. È chiaro che inquesto contesto la terra non è considerata una merce.

dividerli, pagando perciò un solo tributo per la totalità della superficie. Cfr. R. A.GODOY, The Fiscal Role of the Andean Ayllu, cit., p. 733.

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SEZIONE III CARATTERI DELLE REGOLE FONDIARIE

Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di chiarire la strutturadella comunità andina e i tratti fondamentali della sua organizzazio-ne. Conosciamo, dunque, i principali concetti relativi agli aspettigeografici ed ecologici in rapporto al possesso fondiario; sappiamoche l’accesso alla terra risulta sempre condizionato dall’appartenen-za a una famiglia inserita nella comunità, ma che ciò non è suffi-ciente, perché l’accesso della famiglia alla terra è legato anche alpagamento del tributo o tasa. Abbiamo inoltre analizzato il legametra le obbligazioni comunitarie e la conservazione del diritto allaterra. Sappiamo che le regole successorie, la cessione e la donazioneconferiscono accesso e diritti sulla terra della comunità, e che inalcune situazioni, pur non essendone membro, le terre vengonoassegnate a chi le lavora o presta servizi alla comunità (102).

È opportuno ora analizzare come interagiscono queste variabilinell’ambito delle diverse forme di possesso ritrovate tra le comunità.

1. Le forme di possesso.

Il principio fondamentale delle regole fondiarie in esame con-siste nel controllo comunitario della terra, alla luce del quale sicomprendono le modalità di gestione e di sfruttamento dei terreni.

I comunarios pertanto sfruttano la terra secondo le regoleprestabilite dalla comunità e per questo motivo, nell’ambito delleregole tradizionali comunitarie non si trovano rapporti corrispon-denti alla nozione di proprietà sancita dal codice civile, ma dirittiriconosciuti dalla collettività in base a determinate condizioni. Inquesto modo, la comunità svolge il ruolo di istituzione regolatrice

(102) Cfr. gli studi citati in W. PLATA QUISPE, Pampa Belén, cit., p. 56 e ss.

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l’accesso e l’uso della terra in base a delle pratiche istituite secolar-mente. Marcelo Fernández, nel suo studio sulla Marka Yaku deldipartimento di La Paz, descrive la situazione in questi termini:

« In generale tutte le terre [...] appartengono all’ayllu o marka. Nonesiste il concetto di proprietà individuale, come viene inteso nella prospet-tiva occidentale. Esiste solo l’uso familiare della terra collettiva, che i ya-queños dell’ayllu di Yaku hanno denominato ‘usufrutto’, e che talvoltaviene però chiamato proprietà. La loro idea di terra non risulta affattoassimilabile alla proprietà privata della legge statale e pertanto persino loStato, a seguito di numerose lotte dei movimenti indigeni, è stato costrettoa riconoscerne altre forme, come la proprietà pro-indiviso » (103).

Ma come si concretizza il sistema dei diritti fondiari? La mag-gior parte degli studi moderni individua tre forme di possesso:

— terre individual-familiari, note comunemente come sayañas.— terre comuni agricole, d’uso familiare sottoposte al controllo

comunitario, dette aynuqas.— terre non coltivabili d’uso comune (terre di pascolo).Occorre, però, aggiungere che vi sono altre categorie più spe-

cifiche, a seconda della zona:L’uraqi: suolo coltivabile e di pascolo d’uso familiare soggetto

alle decisioni dell’ayllu (l’ayllu ha la facoltà di confermare ai proprimembri la loro titolarità);

Chikiña: terre comuni coltivabili, destinate a generare fondi perle spese delle autorità e della comunità (104).

Lapredominanzadell’unaodell’altra formadipossessoèstrettamentecorrelata alla predisposizione ecologica della zona, fattore che determinaanche la caratterizzazione della comunità, come già noto, in agricola, dapascolo o mista. Nelle prime prevale la divisione degli appezzamenti e losfruttamento esclusivamente familiare della terra. Le seconde, insediatenelle zone più alte, sono principalmente terre di pascolo comunitario, sud-dividendosi spesso in aree di bofedales e di machaje.

(103) M. FERNÁNDEZ OSCO, La ley del ayllu, cit., p. 126.(104) Ibid., p. 129. Fernández rivela che una delle modalità d’accesso è rappresen-

tata dall’espropriazione temporale delle terre di coloro che rifiutano i servizi e leobbligazioni di tipo comunitario, previo accordo dell’assemblea.

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1.1. La sayaña.

Variamente conosciuta, a seconda della regione, con i nomi ditasa (105), propiedades familiares o parcelas individuales, la sayañacostituisce l’appezzamento in cui si trova la dimora familiare.

La nozione, però, merita qualche precisazione per apprezzarne lareale pregnanza. Innanzitutto occorre chiarire che nella struttura ter-ritoriale andina, all’interno dei ranchos o estancias, si trova un insiemedi abitazioni insediate sul territorio della sayaña. Nel suo significatoletterale, sayaña esprime il concetto di « mantenersi in piedi »: rap-presenta, quindi, il terreno in cui la famiglia risiede, si sostenta e che,secondo le situazioni, ospita una o più abitazioni. Essa comprendeperaltro le vicine terre destinate alla coltivazione e al pascolo minore.Tali terre sono note con il nome di uñta (uyus) o « ciò che si puòvedere », ovvero la porzione osservabile dall’uscio di casa (106).

Materialmente, le costruzioni all’interno delle sayañas variano aseconda del numero dei membri e delle possibilità economiche dellafamiglia. La loro superficie può pertanto andare dai pochi metriquadri a un ettaro (107), ma in certe comunità, come quella di IrpaChipo in Bolivia, possono raggiungere anche un’estensione di qua-rantotto ettari (108). Le dimensioni dipendono dal tipo di comunità:

(105) Termine che, come abbiamo già notato, non significa soltanto « tributo » maanche la stessa terra per la quale ci si è assicurati il controllo familiare attraverso il pa-gamento di tale imposta. Rossana Barragán (in La dinámica de las comunidades y la tran-smisión de la tierra, cit., p. 41) rivela appunto: « non dimentichiamo che i tributari e icontribuenti, che erano i maggiori di 18 anni, si trovavano debitamente annoverati neiregistri dello Stato e che mediante il pagamento della contribuzione indigena si garantivaloro l’accesso alla terra. I registri di Saukarí e Oruro, sono attualmente in pieno vigore!...Il pagamento della contribuzione territoriale, che si realizza ancora oggi (come accadevanel diciannovesimo secolo e prima), garantirebbe il diritto alle terre attraverso l’iscrizioneai registri ». V. anche supra 66 e 68.

(106) Sembra che in altre comunità come quella di Irpa Chico questo spazio fossecostituito da una striscia di terra al di là della sayaña che sconfinava nei terreni delleaynuqas. Cfr. W. E. CARTER, Comunidades aymaras y la reforma agraria en Bolivia,Instituto Indigenista Interamericano, México D.F., 1967, p. 103.

(107) Cfr. R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra,cit., p. 40.

(108) Così in W. E. CARTER, Comunidades aymaras y la reforma agraria en Bolivia,cit., p. 101.

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in quelle di pascolo le sayañas sono spesso più grandi, mentre inquelle agricole tendono a ridursi lasciando più spazio alle aynuqas.

Le sayañas non sempre comportano unità o contiguità territo-riale; in determinate situazioni è concesso un uso diversificato delsuolo al fine di ridurre i rischi legati alle circostanze climatiche.Pertanto, il numero di appezzamenti in sayañas appartenenti a ognifamiglia varia secondo le caratteristiche produttive della regio-ne (109). Nelle zone in cui due o più sayanas sono contigue, di solitonon si fissano con precisione dei confini per scongiurare eventualicontenziosi. Per tale ragione in certe comunità esistono soltanto deilimiti di riferimento (pietre, segni ecc.).

Quanto al loro uso, oltre all’abitazione, le terre di sayaña sonogeneralmente destinate anche alla coltivazione di tuberi, quinoa,cereali e al pascolo degli animali d’allevamento.

In alcune comunità la sayaña è collegata all’esistenza dellacosiddetta anaqa, una sorta d’annesso che comprende generalmentele terre d’altitudine (suni) riservate esclusivamente al pascolo stagio-nale durante l’epoca delle piogge. Tutte le famiglie hanno idealmen-te diritto a tale uso della terra, che garantisce la crescita dei pascoli,permettendo inoltre la maturazione delle coltivazioni nelle terrebasse senza danneggiare le aree destinate all’allevamento del bestia-me.

All’interno delle dinamiche comunitarie, le sayañas vengonoriconosciute e rispettate durante la vita dei loro titolari e dei lorodiscendenti come terre di esclusivo uso familiare. Le famiglie pos-sono usufruire della terra nel modo più appropriato secondo le loronecessità, tenendo sempre in considerazione la funzione sociale dellaterra e il compimento delle obbligazioni comunitarie. Le sayañasrappresentano così un’unità territoriale la cui titolarità viene inte-stata (nei padrones, listas o registri) al contribuente o capo famigliain cambio del pagamento del tributo e del rispetto alle regolecomunitarie.

La sayaña costituisce il patrimonio familiare esclusivo legato avincoli di consanguineità ed ha, secondo le regole tradizionali, i ca-ratteri d’imprescrittibilità, inalienabilità, ereditabilità e frazionabilità.

(109) Cfr. R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra,cit., p. 43.

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1.2. L’aynuqa.

Una seconda importante modalità di possesso fondiario andinoconsiste nella cosiddetta aynuqa. L’aynuqa (termine tipico dell’alto-piano nord paceño, detta anche manta a nord del dipartimento diPotosí e a sud del dipartimento di Oruro, laymi nel Perù centrale,muyuy nelle vicinanze di Cuzco, o laqui, qapana, aynoqa in altriluoghi) costituisce un’estensione di terra coltivabile ad uso comuni-tario, composta da una certa quantità di piccoli appezzamentiterrieri (noti con i nomi di legua kallpa, qallpa, uyu o liwa), sfruttatidai singoli contribuenti e dalle loro famiglie. In questo modo ogniaynuqa si presenta divisa in piccoli terreni familiari destinati all’usoesclusivo, ma soggetti al controllo comunitario.

Le terre d’aynuqa sono tuttora soggette, in non poche comunità,alla tradizionale redistribuzione annuale tra i vari membri (laki o uraqt’aqa), che si svolge simbolicamente nel corso di cerimonie (in generein date legate a celebrazioni religiose). In passato, le redistribuzioniannuali erano assegnate a ogni capo famiglia in base al numero dei suoidipendenti, ma con il tempo questa consuetudine si trasformò in unasemplice riconferma alle varie famiglie dei propri possedimenti.

Le aynuqas sono destinate alla mono coltivazione rotativa, se-guita da vari anni di riposo (110). Sono le autorità comunitarie adecidere che cosa e dove coltivare, stabilendo anche i ritmi di riposodelle terre. Ogni anno è dedicato a una coltivazione differente:durante il primo anno si semina la patata, nel secondo la quinoa ealtri tuberi e durante il terzo e il quarto i cereali. Dopo gli anni diraccolta i contadini hanno diritto al pascolo comunitario e allosfruttamento delle risorse naturali dei terreni in riposo (il riposo puòdurare decenni, a seconda delle caratteristiche geografiche ed eco-logiche del terreno) (111).

(110) W. E. CARTER-M. MAMANI, Irpa Chico. Individuo y comunidad en la culturaaymara, Juventud, La Paz, 1989, p. 452.

(111) Per questo motivo, durante i periodi di pascolo, i contadini vi insedianospesso anche le loro anaqas o capanne. Per dettagli cfr. R. A. GODOY, Sistemas agrícolassectoriales en los Andes. Una visión general, in América Indígena, 46, 2, 1986, p. 365; J.VELLARD, Civilisations des Andes, cit., pp. 174-175; W. E. CARTER, Comunidades aymarasy la reforma agraria en Bolivia, Instituto Indigenista Interamericano, México D.F., 1967,p. 38 e ss. Sui vantaggi ecologici del sistema di maggese cfr. anche B. S. ORLOVE-R.

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Il sistema rotativo delle aynuqas è illustrato con chiarezza daColque Fernández per la comunità di Titikani Takaka in Bolivia:

« [...] ogni anno ciascuno coltiva il proprio terreno in una delleaynuqas e l’anno successivo si coltiva il terreno contiguo fino acompletare la rotazione di dodici. In ogni terra comunitaria il primoanno è destinato alla coltivazione delle patate, il secondo alla quinuae il terzo all’orzo. Al termine di tale ciclo, la terra è abbandonata datutti fino alla successiva occasione » (112).

Questo schema rivela, pertanto, uno sfruttamento efficientedella capacità produttiva della terra. Avremo più avanti tempo persoffermarci su questo argomento. Ciò che ora preme sottolineare èla varietà delle forme di possesso del medesimo appezzamentodurante i diversi periodi: due sistemi di sfruttamento della terra(familiare durante i periodi di coltivazione e di raccolta, e comuni-tario per il pascolo durante il riposo agricolo) si avvicendano inmaniera stagionale e consecutiva sullo stesso terreno.

Solo osservatori molto ingenui potrebbero interpretare la fram-mentazione dell’aynuqas come una manifestazione del minifondonelle terre alte andine; come è stato chiarito negli studi inaugurati daMiguel Urioste e Silvia Rivera, la frammentazione e la dispersionedelle coltivazioni corrispondono invece alla razionalità economicadelle famiglie che tentano di ridurre il rischio agricolo legato allecircostanze climatiche che caratterizzano le zone alte, come le bassetemperature, la siccità e l’irregolarità del regime delle piogge (113). Inquesta chiave, l’aynuqa si rivela un mezzo efficace per dividereequamente i rischi agricoli tra tutte le famiglie dell’ayllu, livellandoi disequilibri e garantendo a tutti la produzione minima in grado disoddisfare le necessità primarie (114).

Le aynuqas si trovano generalmente ad altitudini piu’ elevatedelle sayañas (a un’altezza di 4000-4200 m, nella parte settentrionale

GODOY, Sectorial Fallowing Systems in Central Andes, cit. Mi si consenta il rinvioall’abbondante bibliografia citata in tali studi.

(112) Fonte: G. COLQUE, Titikani Takaka, cit., p 19.(113) Per tutte le voci cfr. R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la

transmisión de la tierra, cit., p. 46.(114) Cfr. S. RIVERA CUSICANQUI, Ayllus y proyectos del desarrollo en el norte de

Potosí, cit., p. 92. Vedi anche infra 307 e ss.

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del dipartimento di Potosí); possono tuttavia insediarsi nelle zone aesse vicine, oppure, come nel caso delle cosiddette valladas, aconsiderevole distanza (anche ad alcuni giorni di cammino) daicentri popolati.

Il loro numero e la loro estensione sono sempre variabili. Laquantità di lotti per ogni famiglia nell’aynuqas dipende da diversifattori; si possono infatti trovare famiglie prive di terra (generalmen-te perché cedute o perse dai loro antenati), famiglie che ne hanno unsolo appezzamento o altre che arrivano ad averne perfino sessanta.L’estensione degli appezzamenti è collegata, in molte comunità, allostatus del capo famiglia, cioè originario, agregado o forastero (115).

Il numero e la posizione delle aynuqas per famiglia costituisce

(115) Cfr. J. VELLARD, Civilisations des Andes., cit., pp. 178-179.

FIG. 1. Sistema di coltivazione rotativo su cinque anni nelle aynuqas (elaborazionedell’autore).

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l’odierna strategia andina di controllo dei diversi livelli ecologici delterritorio comunitario. Alejandro Diez afferma che, nel caso dellacomunità di Cumbicus del distretto di Paicaipampa, sulla sierraperuviana di Piura, ogni famiglia cerca di ottenere terre sia nellezone basse (d’irrigazione) sia nelle zone alte (idonee per le coltiva-zioni senza irrigazione), al fine di assicurarsi una produttività diver-sificata per la sussistenza (116).

La percentuale delle terre destinate ad aynuqas varia, come nelcaso delle sayañas, in base al tipo di comunità. Ciò nonostante,fattori esterni all’organizzazione comunitaria, come i processi diprivatizzazione promossi dallo Stato, hanno comportato una dimi-nuzione della superficie di terre destinata alle aynuqas (117). Delresto, elementi derivanti dalla variabilità delle regole successorie edalle circostanze demografiche determinano, in certe comunità, lacreazione di nuove sayañas a discapito delle aynuqas, riducendosicosì la proporzione di controllo comunitario della terra.

1.3. Le terre di pascolo.

Tra le aree destinate al pascolo comune si distinguono lebofedales e le machajes (118) o ayjaderas (119). I bofedales (oqho inaymara), zone umide o nicchie climatiche d’acqua, sono composte

(116) Citato da Z. BURNEO DE LA ROCHA, Propiedad y tenencia de la tierra encomunidades campesinas, cit., p. 172. Il cosiddetto « sistema dell’aynuqa » è stato oggettodi specifica attenzione da parte dell’antropologo francese Gilles Rivière. La sua analisiruota intorno alla nozione dell’aynuqa come supporto della memoria collettiva edell’identità comunale. Il lavoro collettivo, lo svolgimento dei riti e delle cerimonie peruna buona raccolta fanno dell’aynuqa uno dei pochi « spazio-tempo » a cui partecipaattivamente l’insieme del gruppo. Cfr. G. RIVIÈRE, El sistema de aynuqa. Memoria ehistoria de la comunidad (comunidades aymara del altiplano boliviano), in D. HERVE-D.GENIN-G. RIVIÈRE (a cura di), Dinámicas del descanso de la tierra en los Andes, Orstom-Ibta, La Paz, 1994; G. RIVIÈRE-L. ACHECO-D. HERVE, Espaces, droits et jachères dans unecommunauté aymara des Hauts-plateaux boliviens, in Journ. D’agric. Trad. Et de Bota.Appl., 38, 1, 1996, pp. 83-104.

(117) Cfr. R. BARRAGÁN, La dinámica de las comunidades y la transmisión de la tierra,cit., p. 49.

(118) Cfr. lo studio sull’ayllu di Lagunas in E. SANJINÉS, Ayllu Jila Tayoi Uta Collana,cit. pp. 51-52.

(119) Marka Yaku, dipartimento di La Paz, in M. FERNÁNDEZ OSCO, La ley del ayllu,cit., p. 128.

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da terre estese di uso comune il cui accesso è regolato dallacomunità. Il diritto di pascolo viene esercitato dai membri dellacomunità, escludendo, pertanto, le famiglie dei gruppi a essa esterni.Nella zona dell’altopiano sud-boliviano queste terre sono sfruttatedalle famiglie appartenenti ai diversi ayllus. Le machajes o ayjaderassono invece aree di pascolo di minore estensione e qualità, trovan-dosi in zone meno adatte all’agricoltura. Il loro nome deriva dalpascolo dei lama machos (maschi). Le terre migliori sono invecedestinate al pascolo degli animali da allevamento.

Le terre di pascolo, di regola site nelle zone più alte (altopianoo cordigliera), sono meno adatte all’uso agricolo, a eccezione dellacoltivazione di alcuni tipi di tuberi. In qualche comunità, anche lavegetazione che cresce alle sponde dei laghi viene usata per l’alle-vamento. Altre terre da pascolo vengono ricavate nelle stesse aynu-qas durante la stagione di riposo agricolo, in modo da sfruttare almassimo le risorse del suolo. William Carter e Xavier Albò parlanodel cosiddetto diritto di uñta per cui ogni famiglia, durante ilperiodo di riposo delle aynuqas, acquisisce il diritto di pascolo sulingue di terra, più o meno delimitate, estese dalle sayañas finoall’aynuqa, alla collina o al bofedal che si trovano di fronte (120).

Come già anticipato, le aree non coltivabili d’uso comune siestendono soprattutto nelle comunità insediate ad altitudini piùelevate. Al contrario, le comunità agricole, a quote più basse,destinano al pascolo spazi marginali, quali aree accidentate o lesponde dei laghi. Frequentemente i pastori costruiscono le loroabitazioni secondarie in queste zone, da dove possono sorvegliare ilpascolo del bestiame (121).

2. La dinamica delle regole e i tentativi di sistemazione.

Una rapida analisi delle principali forme di possesso rintracciatenelle comunità consente di affermare che i diritti fondiari ricono-

(120) W. E. CARTER, Comunidades aymaras y la reforma agraria en Bolivia, cit.; X.ALBÓ, Desafíos de la solidaridad aymara, Cuadernos de Investigación Cipca, La Paz, 1985,p. 28.

(121) Sul tema rinviamo al volume ormai classico di J. A. FLORES OCHOA (a cura di),Pastores de Puna uywamichiq punarunakuna, Iep, Lima, 1977.

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sciuti ai membri dell’ayllu — e di conseguenza la sicurezza del loropossesso — aumentano proporzionalmente alla qualità della terrastessa, alla produttività e al lavoro investito su di essa. Pertanto, senelle sayañas il diritto delle familie è più elevato e nelle aynuqasdiventa meno stringente, nei pascoli il diritto sulla terra rimaneimpregiudicato a favore degli altri membri della comunità. Ma, al dilà delle condizioni geo-ambientali che determinano la struttura dellerelazioni fondiarie, la sopravvivenza secolare delle comunità, che haper presupposto il sistema di distribuizione della terra ora illustrato,conferma la razionalità e l’efficienza del meccanismo fondiario an-dino per una economia principalmente rivolta alla sussistenza. Iltema, come vedremo più avanti, è anche oggetto di accurati studieconomici (122).

Interessante sottolineare che di fronte alle categorie di possessofondiario prese in esame ogni comunità può presentare diversecombinazioni di terre che, come già anticipato, consente di classifi-carle come comunità agricole, di pascolo e agro-pastorali (123).

Le comunità agricole (site nelle valli o nelle cosiddette yungas)presentano pascoli più limitati, allevamento meno intensivo e un piùprofondo controllo comunitario sull’irrigazione delle terre, general-mente d’esclusivo uso familiare.

Le comunità di pascolo hanno dei nuclei di popolazione soprai 3.800 m. e sviluppano le loro attività economiche fino ai 5.000 m.La loro principale risorsa è l’allevamento e pertanto la maggior partedel territorio è destinato al pascolo. Generalmente si attua unarotazione nell’uso delle terre e una mobilità stagionale del bestiameper evitare l’esaurimento dei pascoli e per approfittare meglio dellerisorse (124).

Le comunità agro-pastorali hanno, infine, generalmente terrenid’irrigazione nelle zone basse, terre di coltivazione rotativa nellezone medie e di pascolo nelle zone più alte. I centri abitati sonoinsediati tra la zona d’irrigazione e quella di coltivazione rotativa,

(122) Cfr. infra 308 e ss.(123) Cfr. supra 81.(124) A. DIEZ, Interculturalidad y comunidades. Propiedad colectiva y propiedad

individual., cit., p. 78.

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intorno ai 3.000-3.200 m. Il grado di controllo della comunità sullediverse terre aumenta quindi proporzionalmente con l’altitudine.

Con tali premesse è utile esaminare come interagiscono inambito comunitario i diritti alla terra concessi alle famiglie.

La distinzione tra le due principali forme d’uso della terra,familiare e comunitaria, può aiutarci a chiarire la questione. Ladifferenziazione si basa sulla tipologia di competenze che la comu-nità ha sulle terre a uso familiare (sayañas) e su quelle a uso dellacomunità (aynuqas e terre di pascolo).

Il diritto d’uso delle terre classificate come sayañas è inaliena-bile, imprescrittibile, ma frazionabile e trasmissibile. Per questomotivo le competenze della comunità su tali appezzamenti sonopiuttosto limitate. Il capo famiglia ha inoltre la facoltà di determi-nare cosa e quando coltivare e come utilizzare la terra. Gli unicilimiti imposti dalla collettività nell’esercizio del diritto sulla sayaña,sono rappresentati dal compimento della funzione sociale della terra(cioè rendere la sayaña produttiva per la sussistenza e il benesserefamiliare), dal divieto di trasferire la terra a terzi estranei allacomunità, e naturalmente, dal diritto altrui. Nella sayaña il dirittosulla terra appartiene quindi alla famiglia, ma il controllo delleregole concernenti l’uso, la corretta disposizione e il compimentodelle obbligazioni comunitarie compete alla comunità. Vi sono,pertanto, due entità ad aver competenza sul medesimo territorio.

In merito alle terre ad uso comunitario (aynuqas e terre dipascolo), si è già sottolineato che il possesso fondiario si concretizza

FIG. 2. Sistema di possesso fondiario (elaborazione dell’autore).

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in una serie di diritti familiari-collettivi, spettanti ai diversi membridella comunità che fruiscono equamente dello stesso appezzamentoe delle medesime risorse. Proprio per questo, la categoria delleaynuqas offre un’immagine chiara circa l’incontro o la sovrapposi-zione dei diversi diritti, interessi o facoltà soggettive:

— Diritto di controllo (cosa si coltiva e quando) → titolaritàdell’ayllu.

— Diritto d’uso agricolo → titolarità delle famiglie che hannoaccesso alle aynuqas.

— Diritto di pascolo negli anni di riposo della terra → titolaritàdi tutta la comunità o delle famiglie confinanti con terrecomunitarie, secondo i casi.

— Diritto di trasmissione ai discendenti → titolarità del capofamiglia (diritto condizionato dall’adempimento delle obbli-gazioni comunitarie).

— Diritti di disposizione → titolarità dell’ayllu e delle autoritàoriginarie (riassegnazione all’interno dell’ayllu, recuperodelle terre abbandonate, ecc.) (125).

I diritti di uso agricolo e di trasmissione ai discendenti spettanoalle famiglie che hanno accesso dai tempi ancestrali a una o più ay-nuqas; quelli di controllo, regolazione e disposizione terriera (trannela successione ereditaria) alla comunità. I diritti di libero accesso —pascolo stagionale — sono invece consuetudinari e favoriscono ge-neralmente le famiglie insediatesi ai confini delle aynuqas. Su unostesso territorio troviamo pertanto diritti familiari, comunitari e dilibero accesso; la loro compresenza è quindi la regola.

Nelle terre collettive, nessuno degli attori (ayllu, famiglia, sin-golo membro della comunità, famiglia con diritto di pascolo perio-dico) ha diritti esclusivi. Essi hanno delle competenze riconosciutedagli altri secondo i dettami fissati dalla comunità (126). Nelle terred’aynuqas, la coltivazione e il raccolto si svolgono secondo le regole,dettate dall’autorità comunitaria, dello sfruttamento rotativo, inforza del consenso comunitario. Nei pascoli il controllo comunitariosi manifesta tramite i permessi concessi a certe famiglie di portare ilbestiame nelle terre delle aynuqas, durante gli anni di riposo agri-

(125) Lo schema è ricavato da G. COLQUE, Titikani Takaka, cit., p 22.(126) Cfr. G. COLQUE, La cohesión comunal, cit., p. 131.

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colo, e nella definizione di limiti e tipologie d’allevamento per leterre di barbecho e di machaje. In altri termini, su queste terre iltitolare e il suo lignaggio non sono liberi di fruire del bene a propriopiacimento.

Diversamente, all’interno delle terre familiari o sayañas si per-cepisce un’autonomia più ampia circa l’uso della terra. Essa prendecorpo con l’accordo familiare sulla forma di sfruttamento del terre-no. Il titolare (capofamiglia) ha peraltro ampia libertà di trasmettere,per successione, la terra ai suoi discendenti (generalmente di primogrado) e perfino a terzi, non consanguinei, appartenenti alla comu-nità. In certe comunità sono ammessi trasferimenti di sayañas tra iloro membri tramite contratti come la compravendita e l’affitto.Certamente, di regola si tratta di atti riferiti al semplice uso, algodimento o allo sfruttamento delle terre, e non di un’alienazionenel senso ricevuto dalla legislazione civile (127). Una limitazione delpotere di disposizione però esiste, e consiste nel divieto di cederel’uso (nominato non di rado come usufrutto o proprietà) a terziestranei alla comunità.

Come rivela Colque, in questi casi è innegabile l’esistenza delpossesso con tratti di proprietà familiare privata, ma in nessun casosi trova un’appartenenza del tutto svincolata dalla comunità. Esistepertanto « una sorta di proprietà familiare, ma subordinata di fattoal controllo comunitario » (128).

In sintesi, possiamo descrivere il diritto alla terra nelle comunitàcome una facoltà astratta, mai assoluta, che si materializza nell’ac-cesso alle diverse aree secondo le regole stabilite dalla comunità. Intal modo, l’accesso alla sayaña conferisce parimenti accesso alleaynuqas e alle terre di pascolo, dando luogo a un sistema « d’interessiinterconnessi » che varia secondo la nicchia ecologica o la zona diproduzione di riferimento.

Risulta evidente che di fronte alla compatezza della proprietà sucui insiste la dottrina occidentale nel suo complesso, le regolefondiarie andine contrappongono flessibilità e limitazioni intrinse-che delle potestà sulla terra derivanti dall’appartenenza del singoloalla comunità.

(127) L. OSSIO, I diritti indigeni in Bolivia, cit., p. 233.(128) G. COLQUE, La cohesión comunal, cit., pp. 133-134.

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La comunità, come ente astratto, rappresenta oggi, nei confrontidella legge statale, il punto di riferimento della somma dei dirittisulla terra (129). Per questa ragione, essa riuscì a ottenere titolipro-indiviso sin dall’epoca coloniale ed ebbe un graduale riconosci-mento nella legislazione del ventesimo secolo sulla base del modellodella proprietà collettiva (130).

In realtà, per quanto riguarda i diritti fondiari sviluppati al suointerno, i modi di vita dei popoli autoctoni mettono da sempre indiscussione la validità del diritto ufficiale come regola geometrica,applicabile in modo meccanico e uniforme (131). La pluralità intra-sistemica che ne consegue, afferma Guevara Gil, ha un suo caratterestrutturale e si esprime nelle diverse concezioni e applicazioni dellenozioni giuridiche di fronte alla mancanza di un universo di signi-ficazione minimo (132). Così, nell’imaginario indigeno-contadinoandino, l’uso del termine proprietà dà luogo a complesse confusioni.Spesso, infatti, i contadini accettano che la proprietà della terraappartenga alla comunità, e che a essi venga riconosciuto solo undiritto di usufrutto o di semplice possesso. Al contempo, gli stessisoggetti si considerano proprietari delle terre che lavorano. Questasovrapposizione di termini e di concetti, legata al parallelismo trasistemi compresenti, porta ad ambiguità concettuali, e soprattuttoalla capacità effettiva di molti membri delle comunità di trasferire iloro diritti di « usufrutto », tramite vendita o eredità, entro i limitiimposti dalla collettività (133).

Il principio che occorre ritenere è dunque quello della relativitàdelle forme di possesso tradizionali di fronte allo schema dellaproprietà diffuso dalle dottrine civilistiche. In altre parole, l’inesi-stenza di diritti assoluti sulla terra all’interno della comunità deter-

(129) Così, FAO, Land Tenure and Rural Development, Land Tenure Studies, 3,Roma, 2002, p. 7.

(130) Cfr. Parte II, cap. III.(131) Sono le parole riferite alla realtà peruviana odierna di J. A. GUEVARA GIL, Las

causas estructurales de la pluralidad legal en el Perú, in Global Jurist Frontiers, 6, 1, 2006,p. 8 [1-13], confrontabile sul sito: http://www.bepress.com/gj/frontiers/vol6/iss1/art1.

(132) J. A. GUEVARA GIL, Las causas estructurales de la pluralidad legal en el Perú,cit., p. 9.

(133) Cfr. A. DIEZ, Interculturalidad y comunidades: propiedad colectiva y propiedadindividual, cit., p. 74.

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mina che essi siano sempre relativi, se confrontati con il sistema dellaproprietà previsto dal Codice civile.

Tra gli studiosi andini non mancano i tentativi di analizzare irapporti fondiari dalla prospettiva enunciata. Così, l’economistaaymara Gonzalo Colque osserva che « nessuno degli attori coinvolti(comunità, famiglie titolari di diritti d’uso o famiglie con accessotemporaneo) ha diritti pieni ed esclusivi sulle terre comunitarie,esistendo per ciascuno un insieme di competenze chiaramente ac-cettate da tutti » (134). Più recentemente, gli studiosi peruvianiFernando Eguren, Laureano del Castillo e Zulema Burneo abbrac-ciano la nozione, propria del sistema di common law, di bundle ofrights, come proposta concettuale pertinente all’analisi dei diversidiritti sulla terra all’interno delle comunità. Affermano infatti che, inbase a quella nozione, si può comprendere come ogni comunerogoda di un insieme di diritti diversi dagli altri sui diversi tipi di terre,fatto da cui deriva un’importante considerazione: i diritti fondiarinel contesto delle comunità non sono mai uniformi (135).

Nel presentare la profonda differenza che intercorre tra ilsistema di proprietà del codice e le forme di possesso fondiarioandine, l’antropologo David Guillet propone di distinguere tra ilcontrollo privato (per la proprietà civilistica) e il controllo comunita-rio (per le modalità di possesso fondiario presenti nella comunità)della terra. Il controllo comunitario ammette una sotto-classificazione in diritti d’uso divisibili, concessi ai singoli nelle zonedi coltivazione e, in certi casi, nelle terre di pascolo, e diritti d’usoindivisibili, concessi all’intera comunità nelle terre di pascolo (136).

Queste due nozioni si avvicinano alla proposta già anticipatanell’introduzione: benché il linguaggio dell’indigeno riguardante ilrapporto uomo-terra risulti permeato della nozione occidentale diproprietà, si tratta di pensare al sistema fondiario come a unastruttura di diritti combinabili il cui esercizio si inserisce nel discorsoriguardante il controllo della comunità.

(134) G. COLQUE, La cohesión comunal, cit., p. 131.(135) Sul punto cfr. F. EGUREN-L. DEL CASTILLO-Z. BURNEO, Los derechos de

propiedad sobre la tierra en las comunidades campesinas, cit., pp. 32-33.(136) D. GUILLET, Land Tenure, Ecological Zone, and Agricultural Regime in the

Central Andes, cit., pp. 141-142.

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Conclusioni

Le considerazioni esposte ci consentono di notare che il sistemaandino di controllo territoriale possiede peculiarità dovute al carat-tere relativo, ibrido e combinabile delle sue forme di possesso. Unaserie di norme relative allo status del singolo all’interno dellacomunità determina le modalità di sfruttamento fondiario. Ciòrisulta estremamente rilevante dal momento che i vari rapportisociali continuativi (diritti, lavoro, cariche e obbligazioni comunita-rie) sono il presupposto primario per godere dei benefici della terra.

Quel che preme notare, quindi, è che famiglie e i singoli sonotitolari di un insieme di diritti dalle molteplici combinazioni, insepa-rabili tra loro e collegate a una serie di obblighi comunitari reciprociche condizionano tanto l’accesso, quanto la conservazione del dirittoalla terra.

L’analisi delle norme d’uso, di registrazione e di definizione deidiritti sulla terra, rivela che gli ayllus hanno sviluppato le proprietecniche di territorializzazione, forme cioè specifiche di regolamen-tazione di uno spazio geografico definito (137). Opera quindi unmeccanismo di controllo che ha effetto in parallelo rispetto allepolitiche di territorializzazione programmate dai governi che hannostabilito la presenza del diritto occidentale nelle Ande. Tale strut-tura riflette non soltanto un insieme di regole tradizionali dicarattere più meno omogeneo ed esplicito, ma anche quelle regoleimplicite, non palesi all’osservatore esterno, legate alle relazioni trale famiglie che compongono la comunità. Da quest’ultima precisa-zione consegue che i diritti alla terra nelle società tradizionaliandine siano sempre flessibili e variabili, elementi che ne spieganoil dinamismo e la complessità (138).

(137) L’attenzione verso il concetto di territorializzazione in questa chiave, a partiredall’opera di Robert David Sack, è dovuta ai seguenti lavori: M. NUIJTEN-D. LORENZO,Ruling by Record: The Meaning of Rights, Rules and Registration in an Andean Comu-nidad, in Development and Change, 40, 1, 2009, pp. 81-103; ID., Peasant Community andTerritorial Strategies in the Andean Highlands of Peru, in F. VON BENDA-BECKMANN-K.VON BENDA-BECKMANN-A. GRIFFITHS (a cura di), Spatializing Law: An AnthropologicalGeography of Law in Society, Ashgate, Farnham-Burlington, 2009, pp. 31-55.

(138) Sul punto cfr. F. EGUREN-L. DEL CASTILLO-Z. BURNEO, Los derechos depropiedad sobre la tierra en las comunidades campesinas, cit., pp. 33-34.

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Accanto alle regole di stampo occidentale, sussiste da semprequesta struttura parallela che Mark Goodale, in riferimento allaBolivia rurale odierna, chiama una « cosmologia giuridica alternati-va » (139). Per tale cosmologia intendiamo non solo la presenza dispazi giuridici spontanei e locali, sovrapposti e interpenetrati che siriflettono nella « dull routine of eventless everyday life » e neppuresolo la prevalenza di pratiche extralegali che « antropologizzano ildiritto » nella zona (140), ma piuttosto un sistema giuridico cheaffonda le sue radici in una concezione olistica del cosmos, oppostaalla visione antropocentrica del diritto che divide il mondo dellepersone, titolari di dominio, da quello delle cose, materia appropria-bile (141). Diversamente, le regole tradizionali riflettono nelle Andeun paradigma in cui gli esseri umani e la natura sono parte dellostesso sistema organico e per questo motivo, le leggi che guidano illoro rapporto acquisiscono un carattere essenzialmente spiritua-le (142).

(139) M. GOODALE, Dilemmas of Modernity: Bolivian Encounters with Law andLiberalism, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 2009, pp. 33-34. Vedi anche J. A.GUEVARA GIL, Diversidad y complejidad legal. Aproximaciones a la antropología e historiadel Derecho , cit., p. 98.

(140) Cfr. B. S. SANTOS, Law: A Map of Misreading; Toward a Postmodern Concep-tion of Law, in Journal of Law and Society, 14, 3, 1987, pp. 297-298; M. GOODALE,Dilemmas of Modernity: Bolivian Encounters with Law and Liberalism, cit., p. 164; ID.,Legalities and Illegalities, in D. POOLE (a cura di), Companion to Latin AmericanAnthropology, Blackwell, Oxford, 2008, p. 219 e 227. Sulla nozione di antropologizza-zione della produzione giuridica in Latino America cfr. J. ESQUIROL, Writing the Law ofLatin America, in The Geo. Wash. Int’l L. Rev, 40, 3, 2009, pp.693-732.

(141) A. POTTAGE-M. MUNDY, Law, Anthropology and the Constitution of the Social:Making persons and Things, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2004, pp. 3-4; N.GRAHAM, Lawscape: Property, Environment and Law, Routledge, Abingdon-Oxfordshire,2011, pp. 37-38.

(142) Per dettagli sulle cosmologie alternative tra i popoli indigeni cfr. M. STEWART-HARAWIRA, The New Imperial Order: Indigenous Responses to Globalization, Zed Books,London & New York, 2005, pp. 32-42; T. ALFRED, Peace, Power, Righteousness: AnIndigenous Manifesto, Oxford Univ. press, Don Mills, Ontario,1999, pp. 41-44. Per lospazio andino si consulterà il volume collettivo di F. APFFEL-MARGLIN & PRATEC (a curadi), The Spirit of Regeneration: Andean Culture Confronting Western Notions of Deve-lopment, Zed Books, London & New York, 1998. Il valore delle cosmovisioni nativecome alternativa alla concezione uomocentrica del diritto occidentale è sottolineato daC. MERCHANT, Radical Ecology: The Search for a Livable World, Routledge, London &

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Occorre allora interrogarsi su come sia nato tale parallelismo,quali siano stati i fattori decisivi della configurazione attuale dellamappa giuridica sull’assetto fondiario andino e ancora quale sia statoil percorso delle scienze sociali che ha condotto a chiarire la pano-ramica sulle regole tradizionali. La prima sfida che si propone questolavoro consiste nel comprendere tali processi storici, al fine ditracciare principali linee di continuità con il presente.

New York, 1992, p. 120 e ss.; e più di recente da C. CULLINAN, Wild Law: A Manifestofor Earth Justice, Green Books, Devon, 2a ed., 2011, p. 88 e ss.

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CAPITOLO II

L’ALTERAZIONE: L’INSERIMENTODELLA TERRA NEL DIRITTO OCCIDENTALE

« Hacerles [ai nativi] otro agravio muy no-torio en quitarles las dichas tierras y darlas alos españoles y es que se las hacen labrar a lospropios indios a quien se las quitaron, de ma-nera que dicen se las quitan porque no laspueden labrar y después se las hacen labrar alos mismos. Pues qué puede sentir un pobreindio que le quitaron su tierra y le quitan lalibertad para hacerla labrar a él para sí y se lahacen labrar para quien se la quitó... »

FRATE DIEGO DE ANGULO, 1584 (*).

« No tienen nuestros indios la menor idea desistemas de irrigacion, de métodos de abonoartificial para tierras infecundas, de forma-cion de prados y dehesas y de cria de gana-derías para triplicar, mediante al abono, lacosecha de cerales en menos espacio que elordinariamente destinado con tan mal éxitoa ese cultivo, y para hacer décupla su rentaagrícola con el producto del ganado; no co-nocen bien la rotación de cultivos, y muchoménos la economía rural, la arbori-cultura,horti-cultura, y sistema de esplotacion de bo-sques ».

JOSÉ MARÍA BARRAGAN Y EYZAGUIRRE, luglio 1871 (**).

(*) C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, Iep/El Colegiode México/Fideicomiso Historia de las Américas, Lima, 1994, p. 148.

(**) Reclamo de los compradores de terrenos del Estado ante la Soberana Asamblea,Imprenta de la Unión Americana de Cesar Sevilla, La Paz, luglio 1871, p. 7, BibliotecaNacional de Bolivia (di seguito BNB), Sucre, M 807 XXXI.

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SEZIONE I. La Conquista e il primo periodo coloniale (1492-1591). — 1. Brevi considera-zioni sul sistema incaico. — 2. La frattura del sistema. — 2.1. La giustificazionedell’appropriazione. — 2.2. L’encomienda e i tributi. — 2.3. La politica delle reducciones.— 3. L’insediamento della proprietà. — 4. I confronti tra modelli: brevi cenni dei casigiurisprudenziali. — SEZIONE II. La legalità repubblicana. — 1. Il costituzionalismo deldiciannovesimo secolo: il silenzio sulla realtà. — 1.1. L’ideologia. — 1.2. I testi e ilprogramma dei documenti costituzionali. — 2. I codici civili: Napoleone nelle Ande. —2.1. Il concetto di proprietà. — 2.2. Lo Stato proprietario. — 2.3. Lo spazio dellaconsuetudine. — 3. La legislazione agraria speciale: Bolívar e la Bolivia. — 3.1. I decretibolivariani. — 3.2. L’individualismo proprietatio e le leggi agrarie. — 3.3. La legge disvincolo e le revisitas. — Conclusioni.

SEZIONE ILA CONQUISTA E IL PRIMO PERIODO COLONIALE (1492-1591)

Una corretta comprensione dei rapporti fondiari andini non puòprescindere dall’analisi storica del primo « scontro » giuridico-culturale tra l’Occidente europeo e l’America incaica nel corso delsedicesimo secolo. Questa sezione ripercorre le tappe più significa-tive di quel processo storico, soffermandosi, in particolare, sull’im-posizione della nozione giuridica di « proprietà » a opera dei con-quistatori, prima imprescindibile tappa di un processo più ampioche condurrà alla mercificazione dell’assetto fondiario tradizionale.Si parlerà dell’introduzione del « sistema di mercato » e non di« capitalismo » in quanto, anche se durante l’epoca preispanica lescoperte dell’archeologia e dell’etnostoria hanno dimostrato unamobilizzazione dei beni da regione a regione, non bisogna confon-dere tale fatto con la presenza o con il predominio del mercato o delcommercio (1).

Nel periodo coloniale, il regime giuridico della terra era regolato

(1) Accogliamo, pertanto, la tesi di Murra secondo cui la mobilità dei beni nelleAnde si spiega in base al modello dell’insediamento disperso dei gruppi etnici. Cfr. J. V.MURRA, ¿Existieron el tributo y los mercados en los Andes antes de la invasión europea?,rist. in ID., El Mundo Andino, población, medio ambiente y economía, Iep /Pucp, Lima,2002, pp. 240, 244, pp. 237-247; R. STOREY-R. J. WIDMER, The Pre-Columbian Economy,in V. BULMER-THOMAS-J. H. COATSWORTH-R. CORTES CONDE (a cura di), The CambridgeEconomic History of Latin America, Cambridge Univ. Press, Cambridge, vol. I, 2006, pp.88-96. Vedi anche infra 119.

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da un numero sempre crescente di disposizioni legislative, dellequali rimane oggi abbondante documentazione scritta. Tali leggi,che servirono a introdurre nelle Ande un regime di proprietàfondiaria di matrice occidentale, vennero promulgate in massimaparte nel corso del sedicesimo secolo. La Recopilación de las Leyes delos Reynos de las Indias del 1680 riporta la quasi totalità di quelledisposizioni (2). Questo corpus normativo, di natura pratica e siste-matica, non riflette, tuttavia, le effettive dinamiche storiche delprocesso di penetrazione occidentale, né i caratteri dei suoi attorisociali.

La descrizione del regime fondiario coloniale nelle Ande nonpuò essere limitata al solo formante legale, né alle opinioni dei primistudiosi che introdussero in America le istituzioni del vecchio iuscommune. Il processo di costruzione del sistema fondiario colonialedeve, piuttosto, essere analizzato alla luce delle dinamiche di impo-sizione e di resistenza che hanno caratterizzato l’economia politicadella colonizzazione. Esamineremo dunque le dinamiche legate allealterazioni del regime fondiario incaico e la destrutturazione politi-ca, sociale, ma soprattutto economica, che il processo di « accultu-razione » della società Inca ha portato con sè (3).

Una piena comprensione di tale fenomeno ci obbliga ad aprirela sezione con una concisa ricognizione del regime fondiario e delledinamiche economiche del sistema precoloniale andino.

(2) Cfr. libri IV (tit. XII De la venta, composición y repartimiento de tierras, solaresy aguas) e VI (tit. III De las reducciones y pueblos de indios). Per successive citazioniabbiamo consultato: Recopilación de leyes de los Reynos de las Indias. Prólogo por RamónMenendez y Pidal. Estudio preliminar de Juan Manzano Manzano, Ediciones CulturaHispánica, Madrid, 1973.

(3) Per « acculturazione » intendiamo il processo per cui un popolo o un gruppodi persone acquisisce una nuova cultura (o certi aspetti della stessa) come conseguenzadel rapporto diretto e continuo con un’altra civiltà. Cfr. J. W. BERRY, ConceptualApproaches to Acculturation, in K. M. CHUN-P. B. ORGANISTA-G. MARÍN (a cura di),Acculturation: Advances in Theory, Measurement and Applied Research, American Psy-chological Assoc., Washington D.C., 2003, pp. 17-37.

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FIG. 1. Principali città durante i primi anni del vicereame del Perù (elaborazione dell’au-tore a partire da F. Salomon-S. B. Schwartz (a cura di), The Cambridge History of NativePeoples of the Americas, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1999, vol. III, 1).

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1. Brevi considerazioni sul sistema fondiario incaico.

Gli studi storiografici insistono sulla difficoltà di analizzare inmodo accurato il possesso fondiario nella zona andina in epocaprecolombiana (4). L’assenza di ricerca e le controversie su argo-menti rilevanti costituiscono ancora oggi la regola.Tuttavia, è possi-bile cogliere alcuni tratti essenziali della questione basandosi sullerelazioni dei primi cronisti, sui contributi etnostorici e sulle scopertearcheologiche più recenti.

Gli etnostorici concordano sul fatto che l’area che oggi com-prende l’altipiano tra la Bolivia e il Perù, noto in lingua indigenacome Qollao, era composta in epoca preispanica da un insieme diunità politico-territoriali (comunemente chiamate regni), che condi-videvano certi principi e tratti culturali comuni. Un esempio idealedi organizzazione territoriale precolombiana illustra come ogni re-gno fosse formato da unità politico-amministrativo, chiamate « pro-vince ». A loro volta, le provincie erano composte da due parciali-dades, ciascuna delle quali ospitavano più di un ayllu (5).

I primi lavori sull’ayllu ritengono che il suo instaurarsi in formadi comunismo agrario, come fenomeno dell’evoluzione della vitamateriale dei popoli dell’antico Perù, sia anteriore alla costituzionedell’Impero Inca (6). Una volta abbandonato il nomadismo, i primi

(4) C. S. ASSADOURIAN, Agriculture and Land Tenure, in V. BULMER-THOMAS-J. H.COATSWORTH-R. CORTES CONDE (a cura di), The Cambridge Economic History of LatinAmerica, cit., p. 285.

(5) G. DAMONT, Construyendo territorios. Narrativas territoriales aymaras contem-poráneas, Grade; Clasco, Lima, 2011, p. 27 e ss.; supra 53-55.

(6) Cfr. le opere pioniere di E. CUNOW, Die soziale Verfassung des Inkareichs: eineUntersuchung des altperuanischen Agrarkommunismus, Dietz, Stuttgart, 1896; ID. DasVerwandschaftsistem und die Geschlechtsverbaende der Inka, in Das Ausland, 64, 1891,pp. 881-886; B. SAAVEDRA, El ayllu, Impr. Artística Velarde Alazosa, La Paz, 1903; M.UHLE, El ayllu peruano, in Boletín de la Sociedad Geográfica de Lima, Lima, 1911; A. F.BANDELIER, The Islands of Titicaca and Koati illusttrated, The Hispanic Society ofAmerica, New York, 1910; L. A. EGUIGUREN, El ayllu peruano y su condición legal,Librería Imprenta y Encuadernación de la calle Correo, Orellana y Cª, Lima, 1914; L. E.VARCÁRCEL, Del ayllu al imperio [1916], Editorial Garcilaso, Lima, 1925; R. BUSTAMENTE

CISNEROS, Condición jurídica de las comunidades de indígenas en el Perú, Unmsm, Lima,1918; C. VALDEZ DE LA TORRE, Evolución de las comunidades de indígenas, Edit. Euforion,Cuzco, 1921; H. CASTRO POZO, Nuestra comunidad indígena, Edit. El Lucero, Lima, 1924.Per uno sguardo riassuntivo delle prime voci cfr. J. BASADRE, Historia del derecho peruano

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popoli del continente, organizzati in tribù, acquisirono il possessocollettivo delle valli e delle praterie, stabilendone i confini e co-struendovi capanne, fino a raggiungere il livello di benessere e lasolidità necessari per una vita sedentaria. Nelle ande centrali, fu peròsolo durante l’epoca incaica (Impero del Tawantinsuyu, 1430-1532)che la modalità di accesso alla terra si stabilizzò e acquisì il suocarattere peculiare. Seguendo le testimonianze dei cronisti del sedi-cesimo e diciassettessimo secolo, sappiamo che il territorio dell’Im-pero di Tawantinsuyu era diviso in tre parti: le terre del culto (o delsole o delle waq’a), le terre dell’ Inca (o dello Stato) e le terre delpopolo (o delle comunità). Nel 1653 il cronista gesuita spagnoloBernabé Cobo osservò:

« En asentado el Inca en un pueblo, ó reduciéndolo á su obediencia,amojonaba sus términos y dividía los campos y tierras de pan llevar da sudistrito en tres partes, por esta forma: una parte aplicada á la religión yculto de sus falsos dioses; otra tomada para sí, y la tercera dejaba para lacomunidad de dicho pueblo ».

« La tercera parte de las tierras, conforme á la división dicha aplicadaspara el pueblo, eran al modo de concejiles, dado que el dominio eradell’Inca y solo el usufructo de la comunidad del pueblo » [...] las cualesrepartían los caciques cada año entre sus súbditos, según los hijos y familiaque cada uno tenía [...] Porque á nadie se le daba más de precisamente lacantidad que había menester para sustentarse [...] ».

« De esta división de tierras consta cuán absoluto Señor era el Inca decuanto sus vasallos poseían, pues a ninguno le era permitido tener chácaraó heredad, ni aún el dominio de un solo palmo de tierra en particular, sinopor merced especial del Inca; y fuera de este título, no había otro paraadquirir la propiedad en bienes raícas [...] De esta manera, que por lo dichoqueda entendido cómo las tierras que gozaban los indios eran de lacomunidad de todo el pueblo, y las que en particular tenían por suyas pormerced del Rey, también los del linaje del primer dueño las poseían en

[Editorial Antena S.A, Lima, 1937], 2ª ed., Editores Edigraf S.A., Lima, 1985, capitoliVI e VII; J. H. ROWE, Inca Culture at the Time of the Spanish Conquest, in J. H. STEWARD

(a cura di), Handbook of South American Indians, Smithsonian Institution, Washington,1946, vol. II, p. 253 e ss.; J. VELLARD, Civilisations des Andes. Évolution des populationsdu haut-plateau bolivien, Gallimard, Paris, 1963, pp. 119-123. Sullo sviluppo dellasocietà andina preincaica cfr. J. MALENGREAU, Sociétés des Andes: des empires auxvoisinages, Éditions Karthala, Paris, 1995, pp. 63-93; E. ROMERO, Historia económica delPerú, Editorial Sudamericana, Buenos Aires, 1949, cap. I.

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común, y sin partillas, y el trabajo de beneficiarlas también era de lacomunidad, y el que no trabajaba en sembrar, no llevaba parte en acosecha ». (7)

Le terre del sole erano coltivate dal popolo per mantenere ilculto, i sacerdoti e gli addetti ai servizi religiosi. I terreni dell’Incaerano coltivati da tutti (tranne che dagli anziani e dai malati) e i loroprodotti erano destinati allo Stato e alle autorità; una parte deiterreni stessi poteva poi essere lasciata incolta come riserva in tempidi siccità. Le terre della comunità, infine, appartenevano — in usocomune — al popolo.

È però necessario notare che la tripartizione brevemente espostanon è altro che una « sistematizzazione » della realtà rurale indigenaconcepita dai giuristi europei e cristallizzatasi nella dottrina, fino a datarelativamente recente (8). Le scoperte archeologiche della secondametà del ventesimo secolo hanno, infatti, consentito all’etnostoricoJohn V. Murra di mettere in luce un sistema di ripartizione delle terreassai più complesso e ricercato di quello narrato dai cronisti. Murrae i suoi contemporanei aggiunsero, alla tradizionale divisione tripar-tita, forme di appartenenza privata derivate dalla volontà del sovrano.In questo modo, oltre ai tipi di appropriazione prima descritti, ave-vano diritto a possedere certi appezzamenti, come ricompensa perun’azione meritevole, anche i kurakas o mallkus (señores étnicos, ov-vero capi tradizionali, con autorità politico-amministrativa sugli aylluse sulle parcialidades), i mitimaes (colonie insediate dal sovrano Inca peril controllo del territorio), i membri del lignaggio di questi e le persone

(7) B. COBO, Historia del Nuevo Mundo, publicada por primera vez con notas ylustraciones de D. Marcos Jiménes De La Espada, Imprenta de E. Rasco, Sevilla, 1892,tomo III, cap. XXVIII, p. 247 e ss. La stessa formula si può trovare nell’opera di J. DE

ACOSTA, Historia natural y moral de las Indias [1590], trad. it. di G. P. Galucci SalodianoHistoria naturale e morale delle Indie, Venetia, 1596, lib. VI, cap. XV. Da notare che ladivisione tripartita, basata sul dominio eminente dei sovrani Inca, era stata espostaqualche anno prima da Polo de Ondegardo; cfr. J. POLO DE ONDEGARDO, Notables dañosde no guardar a los indios en sus fueros [1571], in ID., El mundo de los Incas, ed. a curadi L. Gonzalez e A. Alonso, Historia 16, Madrid, 1990, p. 45 e ss. Cfr. anche S. F.MOORE, Power and Property in Inca Peru, Columbia Univ. Press, New York, 1958; J. H.ROWE, Inca Culture at the Time of the Spanish Conquest, cit., p. 267.

(8) Cfr. J. PIEL, Capitalisme agraire au Pérou, Editions Anthropos, Paris, 1975, vol.I, p. 93.

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comuni. Tali terreni, nonostante il loro carattere personale, seguironola sorte dell’usufrutto familiare. Peraltro, oltre alla categoria di terredello Stato, erano presenti anche dei territori di esclusivo possesso delre e della regina Inca (9).

Il suolo era prevalentemente di uso collettivo: una volta ripartitele terre destinate alla famiglia imperiale e al culto, i terreni dellacomunità o del popolo venivano distribuiti annualmente dall’auto-rità, assegnando a ogni ayllu (e quindi ai singoli cittadini che locomponevano) l’estensione di terra necessaria al sostentamento dellefamiglie. Secondo tale sistema, il sovrano Inca aveva il controllo(eminente) di tutte le terre dell’impero e concedeva al popolo,mediante grazia, l’uso o sfruttamento della terza parte dei territori inmisura proporzionale alle necessità dei suoi sudditi (10). Gli appez-

(9) Cfr. J. V. MURRA, Formaciones económicas y políticas del mundo andino, Iep,Lima, 1975; ID., The Economic Organization of the Inca State, thesis, AnthropologyDepartment, University of Chicago, Halperin, 1956, trad. spag. di D. R. Wagner, Laorganización económica del Estado Inca, 2ª ed., Siglo XXI editores, México D.F., 1978,p. 62 e ss.; ID., Derechos a tierras en el Tawantinsuyu, in ID., El Mundo Andino, población,medio ambiente y economía, Iep/Pucp, Lima, 2002, p. 294 e ss.; S. F. MOORE, Power andProperty in Inca Peru, cit., p. 18 e ss.; M. ROSTWOROWSKI DE DIEZ CANSECO, Nuevos datossobre tenencia de tierras reales en el incario, in Revista del Museo Nacional, 31, 1962, pp.130-164; M. ROSTWOROWSKI-C. MORRIS, The Fourfold Domain. Inka Power and its SocialFoundations, in F. SALOMON-S. B. SCHWARTZ (a cura di), The Cambridge History of theNative Peoples of the Americas, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1999, vol. III, parte1, pp. 819-820; F. PEASE G.Y., La noción de propiedad entre los Incas: una aproximación,in S. MASUDA (a cura di), Etnografía e historia del mundo andino: continuidad y cambio,Universidad de Tokio, Tokio, 1986; C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistemacolonial andino, cit., p. 118 e ss.; G. F. MCEWAN, The Incas: New Perspectives, Abc-Clio,New York, 2006, pp. 87-88. Per l’approccio storiografico classico, consistente nelladivisione tripartita delle terre in base al dominio eminente dell’Inca, cfr. N. WACHTEL, Lavision des vainçus: les indiens du Pérou devant la conquête espagnole, 1530-1570,Gallimard, Paris, 1971, pp. 104-105; J. H. ROWE, Inca Culture at the Time of the SpanishConquest, cit., p. 267; J. VELLARD, Civilisations des Andes, cit., p. 124; J. CHONCHOL,Sistemas agrarios en América Latina. De la etapa prehispánica a la modernizaciónconservadora, Fondo de Cultura Económica, México D.F.-Santiago de Chile, 1996, p. 44.

(10) La versione ufficiale della Corona e dei primi cronisti, allo scopo di giustificarela titolarità spagnola (come erede dei re Inca) sulla proprietà delle terre del culto e dell’Inca, assegnò allo Stato Inca il dominio eminente e assoluto di tutte le terre, mentreinterpretò le terre della comunità come terreni concessi in solo usufrutto o possessoprecario. Tuttavia, tale dottrina non fu mai pienamente condivisa dagli studiosi. Perl’appunto, le prime liti e le prime resistenze a tale operazione si fondarono, a partire dal

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zamenti di terra coltivabile, ripartiti e amministrati dai kurakas,erano conferiti alle famiglie in forma vitalizia ed ereditabile, lascian-do loro tutti i frutti del terreno stesso (11). Ogni individuo sposatoaveva diritto a un tupu (o topo, all’incirca 1/3 d’ettaro) cui si

sedicesimo secolo, sulla rivendicazione del diritto dei popoli originari alle terre che, aitempi dell’Impero del Tawantisuyu, essi avevano ceduto all’Inca con la sola facoltà diraccoglierne il tributo e di lavorarle per lui, ma di cui avevano conservato il dominio. Daquesta lettura emerge, quindi, che al sovrano Inca apparteneva il solo lavoro dei sudditi.A sostegno di tale teoria si levarono le voci dei frati Bartolomé de las Casas e Franciscode Morales, del chierico di Cuzco Pedro de Quiroga, e del licenciado Polo de Onde-gardo. Le informazioni diffuse dalle prime visite che gli spagnoli effettuarono nell’areaandina corroborarono l’ipotesi che, durante l’Impero Inca, i territori conquistati fosserosolo controllati o amministrati dal re Inca – ma non in suo dominio – come depositariodei diritti collettivi della nazione. Un tale potere rendeva peraltro effettiva la redistribu-zione che il sovrano doveva promuovere. Secondo questa teoria è consentito affermareche il vero titolare della terra fosse il lignaggio. Per approfondimenti cfr. T. PLATT-T.BOUYSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en la Provincia deCharcas (siglos XV-XVII). Historia antropológica de una confederación aymara, Ifea/Pluraleditores/Fbcb/University of St. Andrews, La Paz, 2006, p. 509; G. SMITH, Livelihood andResistance. Peasants and the Politics of Land in Peru, California Univ. Press, Berkeley,1989, pp. 45-47; A. MÉTRAUX, Les Incas, Editions du Seuil, trad. it di M. Romano, GliInca, con un’introduzione di Ruggiero Romano, Einaudi, Torino, 2001, p. 49; C. S.ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit., p. 96 e ss.; ID., Agricultureand Land Tenure, cit., pp. 87-88; F. PEASE G. Y., La noción de propiedad entre los Incas,cit., p. 11; S. F. MOORE, Power and Property in Inca Peru, cit., p. 46. Da un altro puntodi vista e con interessi peraltro diversi, Maurice Godelier, nel tentativo di fornire unadefinizione sintetica e marxista della nozione di « formazione economica e sociale »,afferma che, all’epoca dello Stato Inca, le terre appartenenti alla comunità furonoconfiscate e che tutti i terreni erano stati dichiarati di proprietà statale. Secondo lostudioso, anche se la produzione e le forme di uso del suolo si effettuavano ancorasecondo i modelli comunitari precedenti all’invasione Inca, alla comunità corrispondevasoltanto un diritto di uso in quanto le terre conquistate dal re Inca erano diventate diproprietà della Corona, e così tutta la proprietà fondiaria esclusiva, collettiva e diretta erastata concentrata nelle mani della classe dominante. Cfr. M. GODELIER, El concepto deformación económica y social: el ejemplo de los Incas, in W. ESPINOZA SORIANO (a cura di),Los modos de producción en el Imperio de los Incas, Editorial Mantaro-Grafital Editores,Lima, 1978, pp. 265-283.

(11) Per quanto riguarda la visita del 1562 di Ortíz de Zuñiga e di altri testimoni,si rimanda a J. V. MURRA, Derechos a tierras en el Tawantinsuyu, cit., p. 299 e ss. FranklinPease, in base alle cronache di Polo de Ondegardo e di Juan de Matienzo, rivela però ilsottile grado di differenziazione tra le ripartizioni del kuraka e dell’Inca. Secondol’autore, quello che il kuraka distribuiva ogni anno era un diritto di uso sulle terre, forseindeterminabile agli occhi degli spagnoli, mentre l’Inca conferiva un diritto similare e

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aggiungeva un nuovo tupu alla nascita di un figlio, o mezzo tupu nelcaso di una figlia femmina. I lotti non potevano essere oggetto dicompravendita; in assenza di eredi o della stessa moglie, essi torna-vano all’ayllu per una nuova ripartizione. Solo il figlio maschio chesi sposava portava il suo tupu al matrimonio in quanto capo dellanuova famiglia. La ripartizione delle terre del popolo si effettuava,ogni anno, in diversi settori in modo tale da consentire la rotazioneannuale delle colture (12).

In relazione a questi lotti si può constatare, tra i membridell’ayllu, una prima caratteristica della società andina precolombia-na: si tratta della « reciprocità » che governa lo scambio tra varieprestazioni. Il titolare di un appezzamento, in cambio di prestazioniagricole, assicurava il vitto durante il lavoro e si impegnava ad agirenello stesso modo in futuro. Di conseguenza, tutti gli uomini eranoimpegnati in rapporti caratterizzati da reciprocità simmetrica stabi-lita sulla base della parentela. Il lavoro volontario eseguito daimembri dell’ayllu nelle opere di carattere privato è tuttora esistenteed è conosciuto con il nome tradizionale di minca (anche minka ominga) (13).

Del resto, nella dinamica dei rapporti con l’autorità, il kurakastesso era ugualmente partecipe a tali dinamiche. La sua funzione,consistente nell’assegnare ogni anno gli appezzamenti di terreni allefamiglie, di assicurare la pace interna, di organizzare i riti religiosi edi distribuire i beni prodotti dal suo gruppo etnico, veniva ricom-pensata con il frutto del lavoro svolto dai membri nelle sue terre(noto come mita). A sua volta egli contraccambiava ridistribuendo iprodotti in occasione delle feste, o nel caso in cui i membri dell’ayllune avessero avuto bisogno. Ai tempi dell’Inca, ogni maschio sposatodoveva pagare allo Stato, attraverso il lavoro, un tributo e prestarepoi servizio familiare nelle terre statali e di culto. Inoltre, per mezzodella mita, i componenti della comunità eseguivano collettivamente

addizionale, che si aggiungeva al diritto basico e ripartibile. Cfr. F. PEASE G. Y., Lanoción de propiedad entre los Incas: una aproximación, cit., p. 18.

(12) Una chiara e cospicua descrizione di questo sistema si può consultare nel-l’opera di G. DE LA VEGA Comentarios Reales de los Incas [1609], Fondo de CulturaEconómica, Perú, 1991, lib. V, cap. III, V e XIV.

(13) Cfr. sufra 67.

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i lavori d’utilità pubblica come, ad esempio, la costruzione diinfrastrutture, il trasporto di beni, la produzione d’artigianato el’estrazione di metalli nelle miniere (14). Era questo il modo dipagare il tributo e di ottenere la « ridistribuzione » che il sovranoInca conferiva assicurando il possesso delle terre, il mantenimentodella pace e il soccorso in caso di necessità.

Durante l’epoca dell’Impero Inca, l’ayllu non solo fu mantenu-to, ma conservò anche il suo carattere autonomo. Ogni ayllu cercavadi serbare la massima indipendenza economica e di garantire lavarietà delle colture e per questo possedeva terre nei diversi livelliecologici noti come « arcipelaghi » (15). A questo proposito occorresottolineare, seguendo Murra, che la nozione di mercato e dicommercio non esisteva nel mondo andino. L’utilizzo di diversenicchie ecologiche non comportò, infatti, lo stabilirsi di una serie dimini mercati a carico dei gruppi etnici presenti alle varie altezze,bensì l’accesso simultaneo di ogni gruppo etnico alla produttività deidiversi microclimi: dalla costa, passando per la puna, fino ad arrivarealla selva. Si raggiunse una siffatta distribuzione dell’area collocandoi membri di uno stesso gruppo etnico in livelli ecologici dispersi,basandosi su legami di parentela, religiosi e militari (16). D’altronde,nei racconti dei cronisti più autorevoli (come Polo de Ondegardo),non viene mai menzionata l’esistenza di mercati, o di figure com-merciali antecedenti alla Conquista spagnola. Per questo motivo,anche se le scoperte archeologiche hanno rilevato un movimento dibeni, è opportuno evidenziare che tale traffico era inseparabile dallamobilizzazione fisica delle unità domestiche e delle etnie (17).

Il modello di occupazione dispersa in zone differenti contribuìallo sviluppo dei cosiddetti mitmas o mitimaes (18), vere colonie (a

(14) Cfr. J. H. ROWE, Inca Culture at the Time of the Spanish Conquest, cit., pp.267-268.

(15) J. V. MURRA, Andean Societies before 1532, in L. BETHELL (a cura di), TheCambridge History of Latin America, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1996, vol. I, p.66. Cfr. supra 75.

(16) J. V. MURRA, ¿Existieron el tributo y los mercados en los Andes antes de lainvasión europea?, cit., p. 240.

(17) Ibid., p. 244.(18) Mitmaq in voce quechua (il cui plurale è mitmaqkuna) indica « gente reim-

piantata lontano dal suo gruppo etnico originario ». Ibid., p. 244,

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volte permanenti) imposte dall’autorità Inca che rappresentarono lasovranità regionale dell’ayllu — e dell’Impero — in terre lontane dalsuo nucleo. In cambio del loro impegno, i mitmas ricevevano beni,donne, accesso ai templi e, a volte, potere sociale senza però chequeste dinamiche fossero inserite in una matrice commerciale. Diconseguenza, ogni gruppo etnico possedeva terre a diversi livellid’altitudine in modo tale da sfruttare l’insieme delle risorse naturalipresenti sul territorio, raggiungendo così la massima produttivitàpossibile nel contesto di un’economia di sussistenza. Più tardi, aitempi dell’impero, i sovrani Inca aumentarono la presenza deimitimaes e li collocarono in luoghi strategici — come le valli dovevenivano coltivati mais e coca — al fine di incrementare il lorocontrollo sul territorio (19).

L’uso dei pascoli e delle terre incolte fu genuinamente collettivoper tutta l’epoca incaica. Nonostante i tratti collettivisti, vi fututtavia una tendenza all’individualizzazione e a un modello diusufrutto familiare pro-indiviso trasmissibile. In questo modo, dalpossesso della tribù si passò a una ripartizione periodica, e da questaa un’appartenenza familiare.

La struttura agraria Inca consistette dunque in una compresenzagerarchica di diritti sovrapposti, espressione dei diversi gruppisociali. Il modo in cui si strutturò consente quindi di alludere a essasoltanto in termini di semplici funzioni a cui le terre erano destinate.

Oltre a tali considerazioni, dobbiamo sottolineare l’impossibilitàdi riferirsi a un sistema di proprietà privata perché, come in ognisocietà non occidentale, la mancanza del mercato moderno nonpermette di qualificare le forme di appropriazione tradizionali se-condo modelli dominati dallo scambio commerciale. Nell’immagi-nario Inca, i rapporti fondiari non erano pertanto compatibili conquello della proprietà privata introdotta dagli spagnoli (20).

Il colonialismo castigliano rispettò i lineamenti fondamentalidella comunità incaica, in un periodo in cui però essa non corri-spondeva più all’antico ayllu, ma a una sua falsificazione. Gli

(19) J. H. ROWE, Inca Culture at the Time of the Spanish Conquest, cit., pp. 269-270.(20) T. PLATT-T. BOUYSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y

Rey en la Provincia de Charcas (siglos XV-XVII), cit., p. 506, 508; J. PIEL, Capitalismeagraire au Pérou, cit., vol. I, p. 93 e ss.

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spagnoli introdussero i loro termini e le loro categorie giuridiche percomprendere il mondo agrario andino. Fu così che istituzioni delloius comune, come regalías, propiedad, usufructo, censos, donaciones,andarono a colmare il « vuoto » giuridico della zona e iniziarono aconvivere con le forme di possesso tipicamente andine. D’altraparte, l’inserimento dell’encomienda creò una specie di vassallaggiofeudale atrofizzato, una signoria che si estendeva allo stesso temposulla persona e sulla terra degli indios. Nel frattempo gli indigenicontinuavano a lavorare collettivamente le terre che erano statedell’Inca e del Sole, ormai però a unico beneficio dei grandi pro-prietari spagnoli.

Gli ayllus, sia nei loro storici insediamenti, sia nelle nuove terrein cui erano stati confinati (terre designate dall’autorità colonialetramite l’istituzione delle reducciones o pueblos de indios), continua-rono a possedere terreni ma con il solo scopo di lavorarli perrispettare le recenti esigenze tributarie affidate dalla Corona agliencomenderos o regidores (21).

In questo modo, durante il periodo coloniale la comunitàrappresentò un’unità sociale che permetteva un’agevole riscossionedel tributo, l’insegnamento della dottrina cristiana e la vigilanzadelle autorità. Il concetto d’ayllu da unione familiare patrilinearecominciò a descrivere un semplice raggruppamento sottomessoall’autorità di un nobile designato dal monarca, a prescindere dalvincolo di consanguineità dei suoi membri (22).

Per quanto riguarda la signoria delle terre, la Corona, in virtùdella Real Cédula del 1° novembre 1591, si dichiarò erede dei re Incadi Cuzco e divenne diretta proprietaria delle terre del sole, delleterre dello Stato e di tutti i terreni demaniali, quelli cioè che,secondo il giudizio degli spagnoli, non erano assegnati a uno scopospecifico.

Il regime coloniale alterò quindi le regole del gioco andino:concetti come requerimiento, tributo, encomienda, reducciones e altre

(21) F. COSIO, La propiedad colectiva del Ayllu, in Revista Universitaria. Órgano dela Universidad de Cuzco, 5, 16, 1916, p. 27.

(22) È opportuno notare che l’evoluzione dell’ayllu gentilizio verso la sempliceunione agraria ha avuto inizio ai tempi dell’Inca. Per approfondimenti cfr. C. VALDEZ DE

LA TORRE, Evolución de las comunidades de indígenas, cit., p. 18 e ss.

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istituzioni coloniali, avvalorati da un mare di teorie giuridicheeuropee, giustificarono l’appropriazione dei diversi beni servendosidella struttura incaica allo scopo di rendere produttiva l’impresadella Conquista. Vediamo ora in dettaglio l’ordine e la tipologia deidiversi elementi che abbiamo fin qui anticipato.

2. La frattura del sistema.

2.1. La giustificazione dell’appropriazione.

Nelle note introduttive abbiamo anticipato come i conquistatorispagnoli abbiano colmato il presunto vuoto giuridico del Nuovo Mon-do ricorrendo alle categorie dell’antico diritto comune. A tale pro-posito la nostra attenzione era stata attirata dall’inserimento della no-zione di « proprietà » nello scenario andino. Il presente paragrafo sipropone di approfondire la formula giuridica tramite cui gli studiosispagnoli dell’epoca conferirono titolo giuridico alla Corona per ac-quisire le nuove terre. Tale procedura si colloca alla base dell’intro-duzione ex post delle forme occidentali di appropriazione del terri-torio andino.

La tassonomia giuridica europea costituisce un elemento essen-ziale dell’opera di colonizzazione nel suo complesso, soprattutto alfine di fornire una legittimazione giuridica all’occupazione e all’ap-propriazione della terra. Gli argomenti alla base di tale operazioneebbero, pertanto, una doppia valenza: costituirono, infatti, la poli-tica ufficiale da applicare sui territori occupati dagli indigeni e lagiustificazione per il conferimento di titoli di proprietà.

Esaminiamo brevemente le fasi della costruzione giuridica inquestione.

Il primo argomento addotto da Cristoforo Colombo per soste-nere l’annessione alla Corona spagnola delle terre in cui era giunto,fu che le Indie erano terre nullius. Il corpo legale del dirittocastigliano di allora, le Siete Partidas del re Alfonso X, riconoscevaal papa la giurisdizione sulle terre degli infedeli (legge 9, tit. 1, part.2). La norma, concepita in un primo tempo per i mussulmani, fuapplicata per analogia agli indios del Nuovo Mondo. Il rischio diun’eventuale protesta del Portogallo rese però necessaria un’ulterio-

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re conferma papale che arrivò con la bolla Inter cetera del 1493 (23).Con essa Alessandro VI legittimava la Conquista conferendo aimonarchi spagnoli il « dominium cum plena, libera et omnimodapotestate, autoritate e iurisdictione ».

L’operazione ebbe dunque in origine un’impronta religiosa: inconformità al diritto divino e alle sacre scritture, la Chiesa cattolica,vicaria di Cristo, esercitava la propria giurisdizione su tutti gliinfedeli e aveva il dominio dei loro territori. Il papa, massimaautorità religiosa sulla terra, doveva divulgare il Vangelo tra gliinfedeli avendo, a tal fine, il potere di autorizzare la « GuerraGiusta ». Le bolle papali che nel undicesimo secolo avevano legit-timato la Reconquista spagnola nella Penisola Iberica venivano oraadottate per giustificare l’occupazione dei nuovi territori nelle Ande.Il Papa cedette la giurisdizione sul Nuovo Mondo ai monarchispagnoli con la sola condizione di evangelizzare i loro abitanti.L’atto però, a dispetto delle teorie dei dominicani, permise ai ReCattolici di considerarsi i sovrani e i proprietari dei domini ameri-cani non solo per le questioni spirituali ma anche per quelle tem-porali, estendendo il dominium concesso dall’autorità religiosa sia alversante politico sia a quello giuridico (24).

La teocrazia pontificia, propria dell’Europa medievale, permisedunque di concepire le imprese cristianizzatrici come progetti politicie militari tendenti a sottomettere i popoli infedeli alla sovranità dei

(23) In realtà, le bolle furono tre: Inter cetera (3-4 maggio e 28 giugno), Eximiedevotionis (3 settembre) e Dumdum siquidem (23 settembre), tutte databili al 1493. Perapprofondimenti cfr. N. L. WECKMAN, Las Bulas Alejandrinas de 1493 y la teoría políticadel papado medieval, Editorial Jus, México D.F., 1949, p. 254 e ss.; A. GARCÍA-GALLO, LasBulas de Alejandro VI y el ordenamiento jurídico de la expansión portuguesa y castellanaen Africa e Indias, in Anuario de Historia del Derecho Español, 27-28, 1957-58; G.BÉDOUELLE, La donation alexandrine et le traité de Tordesillas (1493-1494), in AA.VV.,1492 Le choc de deux mondes. Ethnocentrisme impérialisme juridique et culturel, choq descultures, droits de l’homme et droits des peuples, La Différence, Paris, 1993, p. 193 e ss.Ampi rinvii bibliografici in L. NUZZO, Il linguaggio giuridico della conquista, JoveneEditore, Napoli, 2004, p. 18.

(24) R. A. WILLIAMS JR., The American Indian in Western Legal Thought. TheDiscourses of Conquest, Oxford Univ. Press, New York-Oxford, 1990, p. 80.

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principi cristiani, cui il Papa delegava l’opera dell’evangelizzazio-ne (25).

Fu in questo modo che le disposizioni papali associate allevecchie istituzioni del diritto di Castiglia delle Siete Partidas, riferitealla proprietà, alle ripartizioni del bottino di guerra e al diritto del reper conquista, concorsero a legittimare il diritto di proprietà sulleterre della colonia (26).

Ma se l’insieme di queste ragioni riuscì a legittimare l’occupa-zione e il dominio del sovrano spagnolo sulle terre libere, pergiustificare l’usurpazione dei territori effettivamente posseduti dallepopolazioni autoctone fu necessario elaborare motivazioni piùspecifiche: le accuse di infedeltà, barbarie, cannibalismo e l’esclu-sione dell’indio dalla stessa categoria di « persona » furono iprincipali espedienti per giustificare il dominio su tali terre. Ciònonostante, una volta scoperto l’alto livello di sviluppo raggiuntodalla civiltà Azteca e Inca, anche queste ragioni non risultarono piùsufficienti e si dovette ricorrere a una formulazione ancora piùraffinata (27).

(25) A. DE LA HERA, El dominio español en las Indias, in I. SÁNCHEZ BELLA-A. DE LA

HERA-C. J. DÍAZ REMENTERÍA, Historia del derecho indiano, Mapfre, Madrid, 1992, p. 112.(26) Cfr. G. RIVERA MARTÍN DE ITURBE, La propiedad territorial en México, 1301-

1810, Siglo XXI editores, México D.F., 1983, p. 117.(27) Per un’interessante ricostruzione dei fondamenti alla base dell’« invenzione »

indigena nell’iconografia europea del Seicento cfr. J. ALVARADO PLANAS, La polémica delos justos títulos en la iconografía americana, in J. M. SCHOLZ-T. HERZOG (a cura di),Observation and Communication. The Construction of Realities in the Hispanic World,Vittorio Klostermann, Frankfurt, 1997, p. 219 e ss. Sugli antecedenti relativi alla visioneeuropea della barbarie nei periodi precedenti la Conquista cfr. W. R JONES, The Imageof the Barbarian in Medieval Europe, in A. PAGDEN (a cura di), Facing Each Other: TheWorld’s Perception of Europe and Europe′s Perception of the world. An Expanding World:The European Impact on World History 1450-1800, Ashgate, Burlington, 2000, pp. 21-52.Una ricostruzione antropologica sull’utilizzo del modello dei « mostri non europei » pergli abitanti del nuovo mondo è reperibile in P. MASON, Deconstructing America.Representations of the Other, Routledge, London-New York, 1990, capitolo 4. Laformazione della nozione dell’“altro” in America è stata studiata da J. H. ELLIOT, TheDiscovery of America and the Discovery of Man, in A. PAGDEN (a cura di), Facing EachOther, cit., pp. 159-183. Si vedano altresì le voci del capitolo III (Droits de l’homme etdroits des peuples face à l’impérialisme juridique culturel) del volume collettivo 1492 Lechoc de deux mondes, cit. Per un approccio storico e generale sulla diffusione e suldibattito intorno alle dottrine dell’appropriazione dei territori indigeni si rimanda al

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Come anticipato nell’introduzione, gli interrogativi sulla liceitàdell’appropriazione delle terre, sollevati dai dominicani Antonio deMontesinos, Bartolomé de las Casas e dalla scuola di Salamanca cam-peggiata da Francisco de Vitoria, scatenarono in Europa e in America,all’inizio del sedicesimo secolo, un importante dibattito sui fonda-menti giuridici della sovranità spagnola nelle terre d’oltremare, di-battito che scaturì inoltre dall’esame dal peculiare sviluppo politicodelle civiltà autoctone (28). Malgrado gli sforzi ora ricordati, confluitiinizialmente nella Junta de Burgos (1512) (29), a diventare la voce uf-ficiale della Corona furono invece i programmi, fortemente impregnatidi interessi politici, di Palacios Rubios, Matías Paz, Melchor Cano,Juan Ginés de Sepúlveda e del vescovo di Michoacán Vasco de Qui-roga; costoro, partendo dalla descrizione della barbarie degli indigenie adducendo come motivazione principale la loro inadeguata comu-nità civile, politica, religiosa e familiare, sostenevano la necessità di

classico lavoro di S. ZAVALA, Instituciones jurídicas en la conquista de América [1935],Biblioteca Porrua S.A., México D.F., 1971; B. BRAVO LIRA, Tierras y habitantes deAmérica y Filipinas bajo la monarquía española. Situación jurídica y realidad práctica, inID., Poder y respeto a las personas en Iberoamérica. Siglos XVI a XX, EdicionesUniversitarias de Valparaíso, Valparaíso, 1989, pp. 17-33; A. GARCÍA GALLO, Génesis ydesarrollo del Derecho indiano, rist. in ID., Estudios de historia del Derecho indiano,Instituto Nacional de Estudios Jurídicos, Madrid, 1972, pp. 123-145; R. A. WILLIAMS JR.,The American Indian in Western Legal Thought, cit., p. 93 e ss.; S. J. ANAYA, IndigenousPeople in International Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2004, p. 16 e ss. I fondamentifilosofico-teologici della « guerra giusta » (basata sulla ferocia, inferiorità e barbarismodegli indios), tratti dalla penna del giurista e storico coloniale Juan Ginés de Sepúlveda,sono stati recentemente riproposti come valore eurocentrico universale da I. WARLLER-STEIN, European Universalism. The Rhetoric of Power, The New Press, New York, 2006.Si vedano, infine, le recenti riflessioni di L. BACCELLI, Il diritto dei popoli. Universalismoe differenze culturali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009, cap. 3 e 4.

(28) Una raccolta delle fonti relative alla rivendicazione dei diritti degli indigeniappartenente alla Scuola di Salamanca e agli scritti degli studiosi delle università delMessico e di Lima, può essere consultata in L. PEREÑA-C. BACIERO (a cura di), CartaMagna de los indios: fuentes constitucionales, 1534-1609, Consejo Superior de Investi-gaciones Cinetíficas, Madrid, 1988.

(29) Da cui risultano le leyes de Burgos del 1512, che assimilarono gli indigeni allepersone miserabili del diritto comune. Cfr. Ordenanzas reales para el buen tratamiento yregimiento de los indios, Burgos 27 gennaio 1512, in Anuario de Estudios Americanos, 13,1956.

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stabilire una gerarchia sociale in cui gli indigeni fossero al servizio deglispagnoli (30).

Tra tali testimonianze ci interessa riportare brevemente, a ragionedella sua conoscenza diretta della realtà india azteca, la dottrina delvescovo francescano Vasco de Quiroga. Nella sua Información en de-recho (1535), opera scritta in occasione della revoca della proibizionedella schiavitù, sostenne che gli indigeni vivevano in modo molto vi-cino allo stato di natura, in tirannia tra loro, come barbari e crudeli,nell’ignoranza delle cose, del bene e della vita politica, e che i lorotiranni, in base alle formulazioni politiche occidentali, non potevanoessere considerati autorità legittime (31).

Nelle Ande, nonostante la condanna ufficiale della tesi razzistaa opera dello stesso papa Paolo III (32), è stata certamente la dottrinadi Quiroga quella che influì maggiormente sull’ingegnosa operazio-

(30) P. SERRANO GASSENT, Vasco de Quiroga. Utopía y derecho en la conquista deAmérica, Universidad Nacional de Educación a Distancia-Fondo de Cultura Económica,Madrid, 2001, p. 152. Per un riassunto del dibattito intorno ai problemi dei justos títulosdella Conquista cfr. A. DE LA HERA, El dominio español en las Indias, in I. SÁNCHEZ BELLA-A.DE LA HERA-C. J. DÍAZ REMENTERÍA, Historia del derecho indiano, cit., pp. 121-144.

(31) Cfr. A. PAGDEN, Spanish Imperialism and the Political Imagination, Yale Univ.Press, New Haven-London, 1990, p. 26; e più dettagliatamente ID., Dispossessing thebarbarian: The Language of Spanish Thomism and the Debate over the Property Rights ofthe American Indians, in ID. (a cura di), The Languages of Political Theory in Early-Modern Europe, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1987, pp. 79-98. Sotto la voce di« barbarie politica », SERRANO GASSENT (Vasco de Quiroga. Utopía y derecho en laconquista de América, cit., p. 165 e ss.) fa riferimento all’opera quiroguiana sugli epitetidispregiativi degli indigeni.

(32) Papa Paolo III nella bolla Sublimis Deus del 2 giugno 1537 dichiarava: « [...]noi quindi che, benché indegnamente, facciamo in terra le veci di Nostro Signore e checon ogni sforzo cerchiamo di condurre al suo ovile le pecore del suo gregge che ci sonostate affidate e che stanno fuori del suo recinto, considerando gli stessi indiani come i veriuomini che sono, che non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma che, secondole nostre informazioni, accorrono prontamente a essa, e desiderando intervenire conrimedi opportuni, facendo uso dell’Autorità apostolica determiniamo e dichiariamoattraverso le presenti lettere che detti Indiani, e tutte le genti di cui in futuro i cristianiverranno a conoscenza, benché vivano fuori della fede cristiana, possono usare, posse-dere e godere liberamente e lecitamente della loro libertà e del dominio delle loroproprietà; che non devono essere ridotti in schiavitù e che quanto sia fatto contro di ciòè nullo e senza valore; che detti Indiani e le altre genti devono essere invitati adabbracciare la fede di Cristo attraverso la predicazione della Parola di Dio e conl’esempio di una santa vita, non essendovi nulla in contrario... ». Bulla « Sublimus

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ne ideologica condotta dall’autorità ispanica per giustificare il dirittodel sovrano a succedere all’Inca nel dominium del suo impero.

Parallelamente, e a seguito della Junta de Burgos, il giuristaspagnolo Juan López Palacios Rubios redasse il Requerimiento, unadelle più tipiche istituzioni del colonialismo spagnolo. Si trattava diun testo giuridico-religioso, in castigliano, che gli spagnoli avevanol’obbligo di leggere ai nativi affinché la Conquista avesse il crismadella legalità. In sostanza, esso autorizzava e annunciava il ricorsoalla violenza per sottomettere i nativi che rigettavano l’evangelizza-zione da parte degli spagnoli. Con il Requerimiento, il conquistatoreinformava gli indigeni della scelta di Dio a favore di San Pietro e deisuoi apostoli come monarchi del mondo e proclamava altresì che ilpapa, Alessandro VI, suo successore, aveva affidato il controllo sugliindigeni al re di Castiglia. Di conseguenza, essi avevano l’obbligo diriconoscere l’autorità della Chiesa e del re rimanendo loro sudditi,liberi e cristiani. Il rifiuto o la dilazione nell’accettare la domandacomportava l’istantanea guerra — « giusta » — che avrebbe colpitogli indigeni, i quali, in qualità di ribelli, sarebbero stati condannatialla morte o alla schiavitù. La minaccia era quella di servirsi delleloro donne e dei loro figli come schiavi e di confiscare i loro beni,con un avvertimento finale che poteva risultare tremendo: « os harétodos los males y daños que pudiere ». Il testo fu ampiamenteutilizzato, durante la fase di maggior espansione del dominio iberico(1512-1573), come strumento di legittimazione giuridica, senza al-cuna preoccupazione circa la comprensione del suo contenuto daparte delle popolazioni indigene. La ricerca storica ha messo in lucecome il testo in questione sia stato modellato su fonti, note aglispagnoli, inerenti la jihad islamica (33).

Deus », in J. METZLER (a cura di), America Pontificia. Primi saeculi evangelizationis,1493-1592, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1991, vol. I, pp. 364-366.

(33) Per un approfondimento cfr. A. GARCÍA-GALLO, El derecho común ante elNuevo Mundo, rist. in ID., Estudios de historia del Derecho indiano, cit., pp. 147-166; A.LEMISTRE, Les Origines du « Requerimiento », in Mélanges de La Casa de Velázquez, VI,1970, pp. 161-210; S. GILETTI BENSO, La conquista di un testo: il Requerimiento, Bulzoni,Roma, 1989; P. SEED, Ceremonies of Possession in Europe’s Conquest of the New World,1492-1640, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1995; L. NUZZO, Il linguaggio giuridicodella conquista, cit., capitolo primo. Il testo completo del documento, tradotto initaliano, è reperibile in A. ALBÒNICO-G. BELLINI (a cura di), Gli spagnoli 1493-1609, in P.

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Nell’esperienza andina, il Requerimiento fu la causa della cosid-detta Tragedia del fin de Atawallpa. La morte dell’ultimo imperatoreincaico, e il conseguente inizio del dominio spagnolo sul suo impero,si legittimò nella comunicazione — impossibile — del messaggio delRequerimiento che Diego de Almagro fece vedere ad Atawallpa inun foglio che non parlava e che egli scambiò per una foglia secca dimais (chala). La non-conoscenza, l’incapacità di leggere il messaggiononché di comprendere la fede cattolica comunicata dal conquista-tore diventava colpa, blasfemia e comportava il castigo: il re pagava,con la vita, il fatto di appartenere a un mondo diverso da quellodell’invasore (34).

In base al fardello ideologico che abbiamo appena commentato,l’Oidor de la Audiencia de Charcas Juan de Matienzo, nel suoGobierno del Perú (1567), espose la dottrina in seguito ufficializzatadal viceré Francisco de Toledo e dallo stesso re di Spagna. SecondoMatienzo, gli spagnoli si sarebbero dovuti spartire le terre dedicateal sole (culto) e all’Inca (Stato) in quanto il re di Spagna avevaereditato il ruolo dei sovrani Inca in questi regni e ne era diventatoil signore legittimo. La giustificazione per la perdita del regno e delleterre da parte dei re Inca si trovava nuovamente nella loro suppostatirannia (35). In effetti, nella formulazione matienzana, la tiranniadegli Inca si fondava innanzitutto sul fatto di aver preso con la forzale terre ai loro sudditi, a cui « non lasciavano possedere cosaalcuna » (36). Ecco allora, nelle parole dell’Oidor, la ragione princi-pale per giustificare il governo del Perù:

COLLO-P. L. CROVETTO (a cura di), Nuovo Mondo. Documenti della storia de la scopertae dei primi insediamenti europei in America 1492-1640, Einaudi, Torino, 1992, pp.803-805.

(34) Cfr. S. GILETTI BENSO, La conquista di un testo: il Requerimiento, cit., p. 102 e ss.(35) « [...] parece que los Ingas fueron tiranos, y no reyes naturales, pues aquél se

dice tirano que, por fuerza o por engaño, a traición toma y ocupa el reino ageno, comoestos Ingas lo hicieron, y aunque hobiera duda si eran reyes naturales, o no, se presumetiranos por las señales que luego diré, y aun, por algunas de ellas, sabiéndose que lo eran,se podrán justamente tener por tiranos ». J. DE MATIENZO, Gobierno del Perú (1567), acura di H. Lohmann Villena, Travaux de L’Institut Français de Études Andines, t. XI,Paris-Lima, 1967, I parte, cap. I, p. 7.

(36) « La primera señal – que es tener respecto de todas las cosas más a su provechoque al bien público y de sus súbditos y vassallo – se verifica en los Ingas, pues es cierto

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« Trataré de una causa que, junta con las demás (y aun por sí), bastaríapara fundar que este reino del Perú fue justamente ganado y tiene a él SuMajestad muy justo título, que es la tiranía de los Ingas [...] al tener opresoslos reyes naturales de los indios que son los caciques de cada repartimientoo provincia, y haberles tomado por fuerza sus tierras sin les dexae poseercosa propia a ellos ni a sus indios, ni aun poder comer sino con lo que elInga les mandaba [...] » (37).

L’equazione fu la chiave per legittimare il diritto delle autoritàspagnole sulle terre dello Stato e del culto, perché:

« Su majetad sucedió en lugar a los Ingas de estos Reinos, y es señorlegítimo de ellos [...], y los Ingas, demás que no eran señores no reyeslexítimos, por su tiranía perdieron el señorío que tenían al Reino y a lastierras e vines que ellos poseían, y lo adquirieron el señor y rey lexítimo,como subrogado y puesto en el lugar de los Ingas, aunque con mexortítulo » (38).

La tirannia del sovrano, basata sulla negazione del diritto diproprietà dei suoi sudditi, bastava ora a legittimare il dominio delconquistatore. Tale giustificazione comportò però, come rileva acu-tamente Assadourian, un’impostazione del tutto errata, giacché sitrattava di un tipo di sapere subordinato alla costruzione delle veritàvolute dal potere politico (39). E, per l’appunto, l’edificazione ideo-logica ora ricordata servì a confiscare le terre più produttive agliayllus con l’immediato effetto della diminuzione dei tributi e del-l’aumento del lavoro; in questo modo gli indigeni, già privati delleterre destinate alla produzione dell’Inca e del Culto (quelle sicura-mente di qualità migliore), avrebbero dovuto pagare le tasse alnuovo Stato con i soli prodotti delle loro terre (40).

queno dexaban poseer cosa alguna a sus indios, antes cualquier oro y plata que sacaban,era para el Inga, y de ellos de nenguna cosa dello se aprovechaban, ni los dexabanaprovechar ». Ibid., p. 7.

(37) Ibid., parte I, cap. II, p. 11.(38) Ibid., parte I, cap. XV, pp. 57-58.(39) C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit., p. 95.(40) Nel suo sincero sforzo per comprendere la realtà andina, Polo de Ondegardo

(la cui dottrina confluì negli scritti Los errores y supersticiones de los indios sacados deltratado y avegiruación que hizo el licenciado Polo del 1559, Informe del licenciado JuanPolo de Ondegardo al licenciado Briviesca de Muñatones sobre la perpetuidad de las

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Il moto dottrinario fin qua riassunto venne, infine, riconosciutodal re Filippo II nella Real Cédula sobre restitución de las tierras quese poseen sin justos y verdaderos títulos (detta di Composición detierras) del 1° novembre 1591:

« [...] por haber Yo sucedido interamente en el señorío que tuvieronen las Indias los señores que fueron de ellas, es de mi patrimonio y coronareal el señorío de los baldíos, suelo y tierra de ellas que no estuviereconcedido por los señores reyes mis predecesores o por mi » (41).

La disposizione conferma il dominio eminente della Coronasulle terre delle Indie e, di conseguenza, l’effettiva facoltà diripartire sia le terre baldías, quei domini cioè appartenuti all’Inca eal culto, sia le terre non ancora assegnate, oltre a quelle che gliindigeni non lavoravano né potevano coltivare. Si trattò, come si èsottolineato, di una disposizione che andò a nazionalizzare la quasitotalità del suolo americano (42). Qualche decennio dopo, l’ado-zione di questa prospettiva avrebbe permesso al noto trattatista deldiritto indiano Juan de Solórzano y Pereyra di interpretare esten-

encomiendas en el Perú del 1561, e soprattutto nella Relación de los fundamentos acercadel notable daño que resulta de no guardar a los indios en sus fueros de1 1571), finì persostenere parte della dottrina di Matienzo nel momento in cui adottò la nozione deldominio eminente dell’Inca su tutte le terre a partire dalla descrizione del sistema diripartizione annuale delle terre durante il suo impero. Cfr. J. POLO DE ONDEGARDO,Relación de los fundamentos acerca del notable daño que resulta de no guardar a los indiosen sus fueros, in Colecciones de libros y documentos referentes a la historia del Perú.Informaciones acerca de la Religión y Gobierno de los Incas, vol. III, Imprenta y LibreríaSanmartí, Lima, 1916, p. 45 e ss.

(41) Il testo di questa e delle principali ordinanze territoriali erogate durantel’epoca coloniale in America può essere consultato in F. DE SOLANO, Cedulario de tierras.Compilación de la legislación agraria colonial (1497-1820), Unam, México D.F., 1984,documento 182. Il testo trascritto trova la sua fonte in un’altra disposizione del 20novembre 1578 successivamente confluita nella Recopilación de Leyes de los Reynos deIndias, legge 14, tit. XII, lib. IV. La dottrina della Real Cédula del 1591 riconosce unaserie di principi radicati nell’ordinamento giuridico di Castiglia fondati sul dirittocomune e sulle leggi delle Siete Partidas. Per dettagli cfr. C. J. DÍAZ REMENTERÍA, Elpatrimonio comunal indígena: del sistema incaico de propiedad al de Derecho castellano, inA. LEVAGGI (a cura di), El aborigen y el derecho en el pasado y el presente, Umsa, BuenosAires, 1990, p. 106.

(42) J. M. MARILUZ URQUIJO, El régimen de la tierra en el derecho indiano, EditorialPerrot, Buenos Aires, 1978, p. 22.

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sivamente il dominio eminente della Corona, includendo persino iterritori effettivamente popolati dagli indigeni, a ragione dello statodi barbarie in cui si trovavano:

« Los lugares desiertos e incultos quedan en la libertad natural y sondel primero que los ocupa en premio de su industria: lo enseña Balduinoy otros, que más que tratan la materia de las tierras, que llaman cervidas,deserta y realengas [...] pero aun en las que hallamos ya ocupadas ypobladas por los indios, se pudo entablar justa y legítimamente el dominiosupremo de los nuevos reyes: por ser ellos tan bárbaros e incultos y agresteque apenas merecían el nombre de hombres » (43).

Il progetto coloniale poteva dirsi così completo: per le terrelibere o abbandonate, come avremo modo di analizzare più avanti,i beni di proprietà della Corona vennero inclusi nella categoria direalengos (o beni dello Stato), mentre per le terre dell’ Inca e delculto, e perfino per quelle occupate dagli indios barbaros, operava lalegittima surrogazione dei re di Spagna nel dominio eminente delleterre perse dai sovrani Inca a causa della loro tirannia. Di conse-guenza, tramite il ricorso al diritto medievale, gli interessi realiconsentirono di garantire anche quelli indigeni: al reggente compe-teva il dominio diretto e agli indios il dominio utile come riconosci-mento del possesso immemoriale delle loro terre e come continua-zione del mero diritto di usufrutto (o possesso precario) di cuiavevano goduto durante l’epoca Inca (44).

(43) J. DE SOLÓRZANO Y PEREYRA, Política indiana, Oficina de Diego Diaz de laCarrera, Madrid, 1647, lib. I, cap. IX: De los titulos, i razones, que pueden justificar losdescubrimientos, ocupación, i conquista de las tierras de los bárbaros infieles. Nello stessoanno un altro celebre giurista, Gaspar de Escalona Agüero, affermava che il re di Spagna,dopo essere subentrato all’Inca nel governo del territorio, era « señor absoluto, y dueñode él, como ellos lo fueron, en cuanto a la propiedad y directo dominio, sin que sushabitantes y naturales tuviesen entonces más que tan solamente una precaria y temporalposesión de las tierras que por los dichos monarcas se les repartían, para que las labraseny sembrasen [...] ». G. DE ESCALONA Y AGÜERO, Gazolifacio real del Perú [Madrid, 1647],Editorial del Estado, La Paz, 1941, libro II, parte II, cap. XX, pp. 239-240.

(44) Per comprendere l’uso delle categorie giuridiche occidentali rispetto alle terredell’Impero Inca, risulta di particolare interesse il rapporto del visitador general del Perù,Francisco Saavedra Ulloa, che nel 1574 (narrando la situazione della valle di Cocha-bamba) elencò quattro categorie di proprietà e di possesso delle terre del sistema Inca:1) quelle in proprietà e possesso dell’Inca; 2) quelle da lui distribuite, in uso e usufrutto,

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2.2. L’encomienda e i tributi.

Una volta giustificato il possesso della Corona sulle nuove terrefu necessario organizzarle amministrativamente e territorialmente inmodo da renderle produttive. La prima istituzione imposta daglispagnoli a tale scopo fu l’encomienda (45).

Avallata dalla regina Isabella attraverso la Real Cédula del 1503,l’encomienda divenne il primo strumento giuridico tipicamente ispa-nico, volto a mobilizzare la forza lavoro dei popoli autoctoni.Tramite essa l’encomendero, cioè il beneficiario, riceveva per graziareale la più completa autorità a servirsi degli indios. Essi dovevanopagare, con il proprio lavoro e con il proprio raccolto, il tributo allaCorona nella persona dell’encomendero. In cambio gli indios dove-vano essere convertiti alla fede cattolica, considerati i numerosibenefici portati dalla civilizzazione europea.

Nelle Ande le prime encomiendas o repartimientos (cioè l’unitàencomendada composta dal gruppo politico e territoriale sotto ilcontrollo dei signori) (46) furono attribuite nel 1533 da Francisco

ai suoi vassalli affinché le coltivassero; 3) quelle assegnate in perpetuità alle comunità; 4)quelle conservate dai loro possessori prima della conquista incaica. Secondo il visitador,nei primi due casi si trattava indubbiamente del diritto di proprietà del re, mentre negliultimi due la proprietà apparteneva a coloro che possedevano la terra. Nel caso specificodelle terre ripartite alle comunità, la proprietà si giustificava con l’usucapione diquaranta anni. Cfr. C. J. DÍAZ REMENTERÍA, El patrimonio comunal indígena: del sistemaincaico de propiedad al de Derecho castellano, in A. LEVAGGI (a cura di), El aborigen y elDerecho en el pasado y el presente, cit., 1990, p. 110 e ss.

(45) Cfr. S. ZAVALA, La encomienda indiana, Biblioteca Porrúa 53, México D.F.,1973; J. DE LA PUENTE BRUNKE, Encomiendas y encomenderos en el Perú. Estudio social ypolítica de una institución colonial, Diputación Provincial de Sevilla, Sevilla, 1992.

(46) Il termine repartimiento, utilizzato spesso come sinonimo di encomienda neidocumenti del sedicesimo e del diciassettesimo secolo, trova la sua origine nella vocespagnola reparto, atto tramite cui la Corona repartía i terreni abbandonati o non sfruttatiin quanto proprietaria sovrana di tutte le terre della Penisola Iberica. L’istituzione delrepartimiento fu decisiva nel lavoro cristiano di recupero del territorio iberico durante laReconquista. In epoca coloniale gli studiosi facevano probabilmente confusione tra i duetermini. Lo storico del diritto indiano Ots Capdequí, in base all’opera del trattatistaspagnolo Antonio de León Pinelo (Tratado de las Confirmaciones Reales, parte I, cap. I),afferma che, a rigore, repartimiento ha un significato più ampio della voce encomienda inquanto lo si usa non solo per indicare l’atto di repartir indios, encomendándolos ai privati,ma anche per nominare i repartos d’indios scelti per il lavoro delle miniere, la coltiva-

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Pizarro agli uomini che un anno prima avevano preso parte allacattura del re Inca Atawallpa a Cajamarca. Tempo dopo, Pizarro netrasmise il beneficio a due suoi fratelli. Nel 1539 diede in encomiendaa Hernando una parte degli indios charka e qualche chicha comepremio per il valore dimostrato nell’invasione di Charcas e per lascoperta delle miniere di Porco. Nel 1540 conferì a Gonzalo gliindigeni dell’intera provincia dei Qaraqara per il suo coraggio du-rante il cerchio di Cuzco e la conquista di Charcas (47). In unaventina di anni, sotto il governo di Pizarro (1532-1541), praticamen-te tutti i gruppi etnici del Tawantinsuyu furono attribuite in enco-miendas.

Durante i primi anni della Conquista l’encomienda fu innanzi-tutto uno strumento per conferire giurisdizione sulle persone esecondariamente sulla terra (48). Il sistema era debitore del feudale-simo: l’accesso alla terra era legato al controllo sulle persone e laricchezza non dipendeva quindi da quanta terra si possedeva, ma dalnumero di persone disposte a renderla produttiva sotto il controllodell’encomendero (49).

L’istituzione dell’encomienda soddisfaceva principalmente duefunzioni: da un punto di vista politico-economico, venivano istitu-zionalizzate le modalità della Conquista spagnola; gli encomenderossi assicuravano così il controllo della forza lavoro necessaria adappropriarsi delle principali risorse economiche. Da un punto divista territoriale, invece, la divisione delle terre secondo la giurisdi-

zione delle terre, la costruzione di opere pubbliche, ecc. Cfr. J. M. OTS CAPDEQUÍ,Estudios de historia del derecho español en las indias, Editorial Minerva S. A., Bogota,1940, pp. 102-103.

(47) Per dettagli cfr. T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka,Mallku, Inka y Rey en la Provincia de Charcas, cit., p. 243 e ss. Uno sguardo più genericosulle encomiendas nelle diverse giurisdizioni del Perù è reperibile in J. DE LA PUENTE

BRUKE, Encomiendas y encomenderos en el Perú, cit., p. 333 e ss. Cfr. anche K. A. DAVIES,Landowners in Colonial Peru, Univ. of Texas Press, Austin, 1984, p. 12 e ss.

(48) Cfr. C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit. p.134; S. E. RAMÍREZ, Provincial Patriarchs. Land Tenure and the Economics of Power inColonial Peru, Univ. of New Mexico Press, Albuquerque, 1986, trad. spag. di NellieManso de Zúñiga, Patriarcas Provinciales. La tenencia de la tierra y la economía del poderen el Perú colonial, Alianza Editorial, Madrid, 1991, p. 34.

(49) K. SPALDING, Huarochirí. An Andean Society Under Inca and Spanish Rule,Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1984, pp. 125-126.

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zione conferita dalla Corona agli encomenderos permise di instaurareil ricercato ordine fondiario nel nuovo impero.

Come unità organizzative territoriali, le prime encomiendas orepartimientos raggrupparono gli indios in unità che corrispondeva-no, più o meno, ai modelli precolombiani. A tale proposito Platt,Boyusse-Cassagne e Harris affermano che, per la zona dell’anticafederazione di Charcas in Bolivia, ogni repartimiento fu diviso in dueo tre parcialidades governate dal rispettivo mallku (capo supremo) eogni parcialidad, a sua volta, fu divisa in ayllus minori governati daijilaqatas (50). Poco tempo dopo però, gli europei cominciarono aframmentare, indebolire e riordinare i regni (señoríos) locali sud-andini, separando le confederazioni, incorporando le parcialidades etagliando trasversalmente gli arcipelaghi (51). La cronaca di JuanPolo de Ondegardo — noto giurista coloniale e attento osservatoredegli aspetti più profondi delle culture andine — è particolarmenteacuta. Secondo l’autore le encomiendas conferite agli europei nelleAnde durante i primi decenni del regime coloniale non presero inalcuna considerazione il rapporto di complementarietà tra la terra ei suoi abitanti. L’uso simultaneo di più arcipelaghi (o il controllo deidiversi livelli ecologici) fu quindi ignorato; in questo modo, i gruppietnici che occupavano territori dispersi furono disgregati nelle varieencomiendas attribuite dai viceré (52).

Oltre a tali considerazioni occorre aggiungere che l’istituto ebbesuccesso grazie alla sua similitudine con la dinamica della ridistri-buzione esistente tra l’Inca e i suoi sudditi durante l’epoca preco-loniale. Così, le stesse strutture organizzative e le reti sociali prei-spaniche furono utilizzate dagli spagnoli per ottenere più risorse. Un

(50) T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka yRey en la Provincia de Charcas, cit., p. 240.

(51) Cfr. B. LARSON, Colonialism and Agrarian Transformation in Bolivia, Cocha-bamba, 1550-1900, Princeton Univ. Press, Princeton, 1988, trad. spag., Colonialismo ytransformación agraria en Bolivia, Cochabamba, 1550-1900, Ceres/Hisbol, 1992, pp.55-56.

(52) Cfr. J. V. MURRA, ¿Existieron el tributo y los mercados en los Andes antes de lainvasión europea?, cit., p. 241.

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chiaro esempio fu il ruolo del kuraka o cacique (53), autorità localeindigena che, in cambio dell’intermediazione tra gli indigeni el’encomendero, godeva di speciali privilegi e di una posizione socialenella società spagnola. Il kuraka, legato all’encomendero da unostretto rapporto, riferiva al suo popolo il tipo di beni e di prodottisollecitati dall’encomendero che, in questo modo, entravano agevol-mente nell’economia europea con una forza lavoro a buon mercato.Nonostante tutto, in non poche regioni, gli spagnoli collocarono deicaciques estranei al gruppo etnico preispanico, con la conseguenteperdita di riconoscimento della loro autorità (54). La suddetta misurafu alla base della rivalità tra i capi tradizionali dell’altopiano e icaciques della valle per quanto concerneva la proprietà delle terre deicoloni o mitmaq (55).

Per capire meglio questa dinamica è opportuno sottolineare ilpotere dei kurakas o caciques sull’ordinamento territoriale. Nell’epo-ca precolombiana il kuraka o mallku interveniva nelle controversiesulle terre, assegnava nuove charcas (fattorie) e si faceva portavocedei reclami dei gruppi etnici che rappresentava (56). Il suo ruolo diintermediario tra il gruppo etnico e l’autorità Inca (durante i tempidel Tawantinsuyu si perpetuò in epoca coloniale nel rapporto tra gliayllus (sotto forma di repartimientos) e l’autorità spagnola, la quale,conferendo ai kurakas lo stesso titolo nobiliare europeo (hidalguía),si assicurava lo sfruttamento e l’assoggettamento della classe indige-na (57). La competenza dei kurakas come autorità all’interno dell’ay-llu sarà fondamentale per l’aumento della produzione, per la crea-

(53) In quechua o mallku in aymara, esso rappresenta l’autorità politica e ammini-strativa tradizionale andina. Fu nominato dagli spagnoli con il nome taïno di cacique oregidor de indios.

(54) C. S. ASSADOURIAN, Dominio colonial y señores étnicos en el espacio andino, inHILSA. Revista Latinoamericana de Historia Económica y Social, 1, 1, 1983, p. 10, rist. inID., Transiciones al sistema colonial andino, cit., p. 157.

(55) Evento rilevato per la regione di Cochabamba in Bolivia da B. LARSON inColonialismo y transformación agraria en Bolivia, cit., p. 60 e ss.

(56) Com’è stato rilevato, in base ai dati raccolti da Iñigo Ortiz de Zuñiga nel 1562,da J. V. MURRA, Las autoridades étnicas tradicionales en el Alto Huallaga, in ID., El MundoAndino, población, medio ambiente y economía, Iep, Lima, 2002, p. 210. Cfr. anche supra118-119.

(57) Cfr. K. SPALDING, Kurakas and Comerce. A Chapter in the Evolution of AndeanSociety, in Hispanic American Historical Review, 53, 1973, pp. 584-585.

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zione del mercato di terre e per tramandare la memoria delle terrecomunitarie (cioè i suoi limiti, titolari, ecc). Il lavoro nelle miniere,la lavorazione del cotone crudo per produrre vestiti agli spagnoli ela coltivazione di coca furono tra i più noti esempi dell’uso dellagerarchia originaria andina per lo sfruttamento indigeno. Comeriporta Spalding, la maggior parte dei contratti tra i kurakas e glispagnoli, secondo i registri del sedicesimo secolo, consisteva infattinello scambio del lavoro indigeno per soldi (58).

In questo modo, tramite il ricorso alle strutture delle autoritàtradizionali andine, gli spagnoli furono in grado di ottenere queibeni che gettarono le basi del sistema di mercato nella colonia. I beniprodotti con il servizio prestato provenivano generalmente dalleterre che durante i tempi dell’Inca erano appartenute allo Stato e alculto e che ora, per diritto di « giusta » conquista, erano passate aiconquistatori come successori dei re Inca.

Oltre alla partecipazione attiva nella formazione di un nuovomercato dei prodotti, gli uomini andini sottomessi all’encomenderocostruirono i suoi palazzi, coltivarono la sua terra, badarono al suobestiame e servirono nella sua casa. I nuovi capi richiedevano agliencomendados il pagamento del tributo sotto forma di lavoro, e —diversamente da quanto accadeva ai tempi degli Incas — in naturao in denaro (59).

Nella dinamica fin qui delineata, la forma di tributo (in lavoro)che meglio chiarisce come il sistema ideato dai conquistatori abbiasfruttato la rete di produzione andina a unico beneficio dell’econo-mia di mercato europea è senza dubbio lo sfruttamento delle miniered’oro e d’argento nei primi decenni della Conquista. I kurakas delleterre alte del sud vi avevano inviato i mitayos (indios minatori);costoro, lavorando secondo l’antico sistema incaico di turni (mita)sotto la direzione dell’autorità del kuraka o cacique, utilizzavano letradizionali tecniche per l’estrazione del metallo. Il metallo passavapoi dal kuraka all’encomendero come forma di pagamento della tassa

(58) Ibid., pp. 586-587.(59) Maggiori approfondimenti sui cambiamenti del tributo sotto il sistema colo-

niale sono reperibili in N. WACHTEL, La vision des vainçus, cit.; S. STERN, Peru’s IndianPeople and the Challenge of the Spanish Conquest: Huamanga to 1640, Univ. ofWisconsin Press, Madison, 1982, capitoli 2 e 3.

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stabilita per la sua comunità. Questo è un chiaro adattamento delsistema andino di mitmaq, il quale, insieme al commercio degliarticoli di consumo nella città di Potosí, diede avvio al capitalismocommerciale anticipando qualsiasi riforma sull’assetto fondia-rio (60).

Il disastro demografico causato delle prime epidemie (1525,1546), l’utilizzo smisurato della mano d’opera indigena e gli eccessidella tassazione comportarono, nel 1549, un cambiamento nellapolitica tributaria (61). Si trattò della tasa, opera del presidentedell’Audiencia del Alto Perú Pedro de La Gasca (1547-1550) (62). DeLa Gasca effettuò la sua prima visita generale in Perù per riorga-nizzare la tasa che gli indigeni — tramite i rispettivi kurakas ocaciques — avrebbero dovuto pagare agli encomenderos. Dopo lavisita, si instaurò un sistema tributario di pagamento consistente inprodotti specifici e servizi personali e venne decretata per ognigruppo una somma fissa. Grazie a tale misura, si incentivarono gliscambi tra le comunità e, di conseguenza, il loro ingresso nel sistemadi mercato, in modo tale da ottenere i prodotti richiesti. Peraltro, inativi rimanevano al servizio personale dell’encomendero secondo ilsistema andino di lavoro per turni (mita) (63).

Si può affermare che il tributo si presentò, durante quel periodo,con un carattere doppiamente ibrido rappresentato da una parte dalsistema duale di imposta in tasa (in natura, di origine pre-toledana) ein mita (tributo in lavoro dell’Impero Inca), e dall’altra dall’uso po-litico dei caciques nel nuovo contesto mercantile come nesso tra la

(60) Si denominavano inoltre mita tutti quei lavori manuali che gli indigenidovevano prestare agli spagnoli. Per dettagli cfr. J. H. ROWE, The Incas Under SpanishColonial Institutions, in Hispanic American Historical Review, 2, 37, 1957, p. 170 e ss.

(61) Per uno studio sul cambiamento demografico durante il Cinquecento cfr. M.LIVI BACCI, Conquista. La distruzione degli indios americani, Il Mulino, Bologna, 2005,cap. VII.

(62) Per una lettura della trascrizione e dei commenti sulla tasa cfr. M. ROSTWO-ROWSKI DE DIEZ CANSECO, La tasa ordenada por el Licenciado Pedro de La Gasca, in RevistaHistórica, Órgano de la Academia Nacional de Historia, 34, 1983, p. 53 e ss. Leconseguenze della nuova tasa sono state studiate da C. S. ASSADOURIAN, Transiciones haciael sistema colonial andino, cit., cap. V.

(63) Cfr. T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inkay Rey en la Provincia de Charcas, cit., p. 325; S. E. RAMÍREZ, La tenencia de la tierra y laeconomía del poder en el Perú colonial, cit., pp. 54-56.

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comunità e i suoi prodotti, tra lo Stato e il nascente mercato colo-niale (64).

Metalli, foglie di coca, mais, vestiti, patate, peperoncino, bestia-me e altri prodotti per il commercio furono sottoposti all’encomien-da. Senza alterare bruscamente il sistema di produzione andino, nétrasferire la « proprietà » dei repartimientos, gli encomenderos furo-no in grado di appropriarsi dei beni prodotti dagli indigeni a titolodi tributo trasformandoli in profitto grazie all’aiuto dei mercanti. Glistessi prodotti tipici della società andina entravano ora nei centriurbani (Potosí, Lima) andando incontro agli interessi economici delmercato europeo.

L’encomienda rappresentò dunque la prima spinta alla diffusionedella nozione di mercato nelle Ande, ma, ciò nonostante, il reparti-miento — o meglio la forma territoriale su esso istituita — costituìanche il nucleo che permise la sopravvivenza dell’identità indigenadurante i primi periodi coloniali (65). Questo spiega perché all’iniziodella Conquista l’ayllu mantenne la propria fisonomia e autonomia.

2.3. La politica delle “reducciones”.

Nel 1569 Filippo II inviò in Perù il viceré Francisco de Toledo.Dopo aver posto fine alla resistenza Inca iniziata nel 1532 uccidendoil loro ultimo sovrano (Túpac Amaru I), il nuovo viceré si trovò adaffrontare tre grandi questioni per concretizzare le instrucciones realidecretate dalla Junta Magna di Siviglia nel febbraio del 1568 (66):mantenere una tassazione che permettesse di sfruttare le risorse dellasocietà Inca ma che non minasse la sua stessa sopravvivenza; portareforza lavoro nelle miniere; e diffondere la religione cattolica tramite

(64) In base alle riflessioni di T. PLATT, Acerca del sistema tributario pre-toledano enel Alto Perú, in Avances, 1, 1978, p. 43.

(65) L’analisi delle molteplici forme di partecipazione della popolazione indigena almercato in seguito alla presenza europea nelle Ande costituisce lo scopo centraledell’esauriente opera collettiva B. LARSON-O. HARRIS (a cura di), Ethnicity, Markets, andMigration in the Andes. At the Crossroads of History and Anthropology, Duke Univ.Press, Durham-London, 1995.

(66) Cfr. L. HANKE (a cura di), Instrucción al Virrey Francisco Toledo, 1568, in Losvirreyes españoles en América durante el gobierno de la Casa de Austria, Perú, I, t.CCLXXX, B.A.E., Madrid, 1978.

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il sistema parrocchiale. Di conseguenza, la sfida di Toledo durante idodici anni della sua amministrazione (1569-1581) non fu sempli-cemente quella di risolvere i diversi conflitti, bensì di salvare il regnoandino dal caos sociale e dalla decadenza. La crisi, come sottolineaLarson, condusse all’imposizione della « politica economica delcolonialismo » (67), ma soprattutto contribuì all’organizzazione delsistema coloniale d’assolutismo europeo, chiudendo la tappa diConquista in Perù (68). Vediamo dunque di cosa si trattò.

Per conoscere la realtà della zona, censire la popolazione edeterminare il tributo d’imposta il viceré viaggiò per cinque anni(1570-1575), visitando le quattordici provincie del Perù in compa-gnia di giuristi e religiosi tra cui Juan de Matienzo, Juan Polo deOndegardo e José de Acosta (69). I dati demografici ottenuti in ogniayllu e parcialidad dai visitadores costituirono la base della nuovapolitica di distribuzione della popolazione indigena proposta dalgiurista Juan de Matienzo e ordinata dal viceré Toledo nel 1575 (70).

(67) Cfr. B. LARSON, Colonialismo y transformación agraria en Bolivia, cit., pp.76-77.

(68) K. SPALDING, Huarochirí. An Andean Society Under Inca and Spanish Rule, cit.,pp. 156-157; J. H. ROWE, The Incas Under Spanish Colonial Institutions, cit., p. 156.

(69) Cfr. C. A. ROMERO, Libro de la visita general del virrey Francisco de Toledo,1570-1575, in Revista Histórica, 7, 1924, p. 115 e ss.; A. MÁLAGA MEDINA (a cura di),Visita General del Perú por el Virrey D. Francisco de Toledo 1570-1575 Arequipa, Imp.Edit. El Sol, Arequipa, 1974; M. MERLUZZI, Politica e governo nel Nuovo Mondo.Francisco de Toledo viceré del Perù (1569-1581), prefazione di Francesca Cantu, Carocci,Roma, 2003. Dettagli sulla visita effettuata nel territorio dell’attuale Bolivia sonoreperibili in E. ARZE QUIROGA, Historia de Bolivia. Fases del proceso hispano-americano:orígenes de la sociedad boliviana en el siglo XVI, Editorial Amigos del Libro, La Paz,1969, p. 319 e ss. Per quanto concerne l’approccio etnografico, cfr. T. A. ABERCROMBIE,Pathways of Memory and Power: Ethnography and History Among an Andean People,Univ. of Wisconsin Press, Madison-London, p. 237 e ss.; J. A. GUEVARA GIL-F. SALOMON,A Personal Visit. Colonial Political Ritual and the Making of Indians in the Andes, inColonial Latin American Review, 3 (1-2), 1994, pp. 3-36. Ampli riferimenti bibliograficisono presenti in due studi classici: A. MÁLAGA MEDINA, Las reducciones en el Perú(1532-1600), in Historia y Cultura, 8, 1974, pp. 141-172; F. DE SOLANO, Política deconcentración de la población indígena: objetivos, procesos, problemas, resultados, inRevista de Indias, 35, 1976, pp. 7-29.

(70) Nella zona nord del Perù il processo sembra però essere stato avviato giàqualche anno prima. Cfr. S. E. RAMÍREZ, The World Upside Down. Cross-Cultural Contactand Conflict in Sixteenth-Century Peru, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1996.

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La disposizione andava a implementare il programma di reducción opueblos de indios (villaggi o borgate indiani) imposto dal re Carlo Vnelle cédulas del 1549 e del 1551 (71). Reducción nell’area andina,congregación in Nuova España, o resguardo nello spazio neograna-dino, l’ordine spagnolo consisteva nell’instaurare una formula diassestamento rurale che raggruppava le diverse comunità indigenesecondo il modello amministrativo spagnolo dei cabildos (72) con ilfine ultimo di civilizzare l’indigeno.

Matienzo attribuì il sistema di reducción a una provisión real del1549 che, citando l’esempio delle congregazioni della Nuova Spagna(Tlaxcala), raccomandava il raggruppamento degli indigeni in vil-laggi sulla base del modello delle villas o ciudades spagnole « aquadro », in qui un numero ridotto di autorità (giudici, funzionaripubblici o visitatori, preti, militari, ecc.) avrebbe potuto vigilare suun consistente numero di nativi (73).

L’urgenza di creare questi nuovi villaggi era giustificava dal fattoche molti indios vivevano dispersi tra colli e valli, riuscendo così aevitare l’indottrinamento cristiano e il pagamento del tributo e amantenere in parte vivo il culto degli antenati e degli altri dei. Lereducciones costituivano pertanto un progetto civilizzatore in accor-do con i valori spagnoli della vita in società, poiché, come rivelòMatienzo e più tardi lo stesso Toledo, gli indigeni « non potevanoessere uomini civili, non stando insieme nei villaggi » (74). Oltre atrovare giustificazioni nel discorso dei giureconsulti dell’antica Ro-ma, la nuova politica aveva una forte impronta aristotelica e tomista:

(71) L’idea di concentrare gli indios in zone vicine agli spagnoli per facilitare ilavori nelle campagne e nelle miniere risale però a due previe disposizioni dei ReCattolici del 1501 e 1503. Cfr. G. RIVERA MARTÍN DE ITURBE, La propiedad territorial enMéxico, cit., pp. 285-286.

(72) Municipi a carico del governo e dell’amministrazione delle città.(73) J. DE MATIENZO, Gobierno del Perú, cit., I cap. XIV., pp. 50-51.(74) Cfr. T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka

y Rey en la Provincia de Charcas, cit., p. 516; E. M. ZORDO, Las reducciones en Potosí ysu caracter urbano, in Revista Complutense de Historia de América, 21, 1995, p. 232; N.KERMELE, Idéologie et réforme dans le Pérou du XVIème siècle. Le projet politique de DonFrancisco Toledo, in N. KERMELE-B. LAVALLÉ (a cura di), L’Amérique en projet. Utopies,controverses et réformes dans l’empire espagnol (XVIe – XVIIIe siècle), L’Harmattan,Paris, 2008, p. 182.

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il raziocinio aveva portato l’uomo ad abbandonare lo stato disolitudine per prendere parte alla vita in società e, di conseguenza,l’uomo solitario non poteva appartenere al mondo di Dio (75). Lapopolazione originaria ridotta nei villaggi avrebbe dunque dovutovivere « civilmente » e imparare la « dottrina cristiana ».

Questi, in realtà, non erano gli unici propositi. Secondo quantoemerge dalla Recopilación de Leyes de las Indias, tale dottrina avevacome scopo il « profitto e il lavoro delle miniere » (legge 10, tit. III,lib. VI). Così, la penetrazione dello Stato negli ayllus aveva la chiarafinalità di centralizzare e di razionalizzare la riscossione delle tasse.Affinché ciò fosse possibile, era necessaria una tappa preliminare didefinizione, legalizzazione e razionalizzazione del possesso dellaterra indigena con lo scopo di renderla più produttiva (76).

La politica delle reducciones, al di là delle giustificazioni dog-matiche segnalate, era volta soprattutto a modificare l’organizzazio-ne fondiaria indigena per riassestare i suoi obblighi tributari. La suafinalità fu quindi essenzialmente politica ed economica.

Durante il decennio 1570-1580 la nuova politica riuscì a rag-gruppare 1.500.000 indios in 600 nuove reducciones. A Cuzco, adesempio, Toledo ordinò che 21.000 indios provenienti da 309villaggi si raggruppassero in 40 reducciones (77); in cinque distrettidella zona dell’Alto Perù (attuale Bolivia), 900 comunità che com-

(75) J. DE SOLÓRZANO Y PEREYRA, Política indiana, cit., lib. II, cap. XXIV (De lasReducciones, i agregaciones de los indios à pueblos, i municipios, donde para siempre ayande quedar diputados: i si fueron, i seràn convenientes?), p. 203. Per quanto concernel’influsso della dottrina aristotelica sulle teorie e sui dibattiti intorno alla categoria dipersona e ai diritti fondamentali degli indigeni durante i primi tempi coloniali si rimandaal classico volume di L. HANKE, Aristoteles and the American Indians. A Study in RacePrejudice in the Modern World, Indiana Univ. Press, Bloomington-London, rist. 1970.Più di recente vedi: S. MACCORMACK, On the Wings of Time: Rome, the Incas, Spain, andPeru, Princeton Univ. Press, Princeton, 2007, p. 119 e ss.

(76) D. W. GADE-M. ESCOBER, Village Settlement and the Colonial Legacy inSouthern Peru, in Geographical Review, 72, 4, 1982, pp. 430-449 ; A. MÁLAGA MEDINA,Reducciones toledanas en Arequipa, Publiunsa, Arequipa, 1989, p. 13; T. HERZOG, Terreset déserts, société et sauvagerie. De la communauté en Amérique et en Castille à l’époquemoderne, in Annales HSS, 62, 3, 2007, p. 509.

(77) R. M. MORSE, The Urban Development of Colonial Spanish America, in L.BETHELL (a cura di) The Cambridge History of Latin America, Cambridge Univ. Press,Cambridge, 1984, vol. II, p. 86.

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prendevano più di 129.000 indigeni furono ridotte a 44 reduccio-nes (78).

Una serie di ordinanze dettate dallo stesso Toledo regolamen-tarono i diversi aspetti dell’organizzazione interna delle reducciones.Oltre a creare i cosiddetti cabildos, sorta di consigli municipaliimportati dal modello spagnolo, furono nominate le nuove autorità:gli alcaldes cui spettava l’amministrazione generale, tra cui la giusti-zia (civile, criminale, del lavoro, amministrativa), la ripartizione delleterre e la responsabilità di portare a buon fine il piano di civilizza-zione degli indigeni. Regidores, oficiales de cabildo e alguaciles ma-yores e menores lo coadiuvavano nel controllo e nel buon funziona-mento della reducción (79). I capi tradizionali o kurakas o malkus, oranoti come caciques, non furono però dimenticati. Il loro ruolo nellagerarchia andina servì a mobilitare la forza lavoro e a esigere ilpagamento del tributo da parte dei membri della reducción. Ilcacique riceveva uno stipendio e usufruiva della manodopera gratui-ta degli indigeni sulle sue terre. In cambio doveva fornire agliindigeni le sementi per le coltivazioni e il vitto nei giorni di lavoro.Si occupava di riscuotere le tasas e di depositarle nelle cajas decomunidad (cioè le casse in cui si depositavano tutti i beni prodottidalla comunità, come oro, argento, gioielli, soldi, ecc.). I fondicomunitari, oltre al pagamento delle tasse, erano destinati al finan-ziamento delle risorse di cui la comunità aveva bisogno e al mante-nimento della Chiesa, specialmente in occasione di feste religiose. Ilcompito dei caciques non si esauriva però nelle questioni tributarie:essi, infatti, agivano spesso come mediatori nei conflitti con l’autoritàspagnola, ricercavano gli indios fuggitivi, organizzavano il lavorocomunitario per le opere di uso collettivo (costruzioni di chiese,

(78) Cfr. H. S. KLEIN, Bolivia: the Evolution of a Multi-Ethnic Society, 2a ed.,Oxford Univ. Press, New York-Oxford, 1992, p. 39. Un altro autore ci informa che nellaregione di Cochabamba, attuale Bolivia, 21.726 persone furono ridotte in sette grandipopoli. Cfr. R. H. JACKSON, Regional Markets and Agrarian Transformation in Bolivia.Cochabamba, 1539-1960, Univ. of New Mexico Press, Albuquerque, 1994, p. 25.

(79) Per dettagli cfr. C. VALDEZ DE LA TORRE, Evolución de las comunidades deindígenas, cit., pp. 61-67.

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ponti, strade) e offrivano il vitto ai lavoratori, perpetuando così lastruttura andina di reciprocità interna dell’ayllu (80).

Territorialmente lo spazio della reducción seguiva il modello deivillaggi spagnoli: si divideva in fundo legal (area centrale dove sicostruivano le case individuali); ejido o reserva (ampio terreno checircondava la reducción e che era destinato al pascolo del bestiame,alla ricreazione e a una futura espansione urbana); terreni propios(terre destinate al sostentamento della comunità) e terre di reparti-miento, solares o chacras de comunidad (unità economica destinataall’agricoltura comunitaria degli indios ridotti). Una piazza nelcentro, circondata dalla scuola, dal carcere e dalla chiesa, comple-tava il nuovo panorama urbanistico (81). La Corona dispose inoltreche ogni popolazione indigena avesse dell’acqua e dei boschi persoddisfare i propri bisogni. I terreni erano inalienabili.

Anche se nel testo della real cédula, che impose le reducciones, silegge « agli indigeni ridotti non si tolgano le terre già in loropossesso » (82), le autorità spagnole rispettarono solo parzialmentegli insediamenti precedentemente stabiliti dai repartimientos o dalleautorità tradizionali dei tempi precoloniali. Spesso i raggruppamentiindigeni furono frazionati, creando villaggi del tutto nuovi nelle zonepiù basse delle Ande (più insalubri e meno vivibili). Gli indigenistessi dovevano costruire il nuovo villaggio imposto dal visitador conla minaccia di distruggere le loro antiche case e villaggi (83). Occorre

(80) Per approfondire il sistema delle autorità toledane cfr. K. SPALDING, Huaro-chirí. An Andean Society Under Inca and Spanish Rule, cit., p. 216 e ss.

(81) In base alle Ordenanzas de descubrimientos, nueva población y pacificación delas Indias del re Filippo II (1573), si rimanda a C. VALDEZ DE LA TORRE, Evolución de lascomunidades de indígenas, cit., pp. 67-68; 75-76.

(82) Recopilación de leyes de los Reynos de las Indias, cit., legge 9, tit. III, lib. VI.La disposizione di Carlo V si somma a quelle del suo successore, Filippo II, il quale nel1570 ordinò che gli indios formassero i loro villaggi conservando le terre in loro possesso,reiterando nel 1594 « que no se den tierras en perjuicio de los indios y las dadas sevuelvan a sus dueños ». Cfr. Recopilación de leyes de los Reynos de las Indias, legge 9, tit.XII, lib. IV.

(83) È il caso del reinsediamento dei popolatori di Ñoquihue, regione di Lamba-yeque (nel nord del Perù) illustrato da S. E. RAMÍREZ, La tenencia de la tierra y laeconomía del poder en el Perú colonial, cit., pp. 92-94. Cfr. inoltre T. HERZOG, Terres etdéserts, société et sauvagerie. De la communauté en Amérique et en Castille à l’époquemoderne, cit., p. 510.

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aggiungere però che non tutti i villaggi furono effettivamente co-struiti: in molti casi l’autorità tracciò solo i confini degli insediamen-ti. Altri che furono effettivamente organizzati non perdurarono sia acausa della vicinanza ai centri occidentali, sia per ragioni climatiche,geografiche o perfino di salubrità.

Da una prospettiva territoriale, oltre alla perdita delle terre mi-gliori, l’effetto immediato della politica delle reducciones fu, in nonpoche zone, la separazione tra gli arcipelaghi e i villaggi su cui gli ayllusesercitavano il controllo dei diversi livelli ecologici. Tentando di con-centrare la popolazione in un unico luogo di residenza, la politica dellareducción ignorò gli antichi modelli di mobilità stagionale, special-mente quando gli abitanti dell’altopiano scendevano a valle per lacoltivazione o la raccolta (84). La distanza che separava le terre dellareducción dagli arcipelaghi degli ayllus era un argomento sufficienteper concederle a uno spagnolo o per giustificare l’obbligo degli in-digeni a restare nei nuovi villaggi. In questo modo, il moderno pro-gramma costringeva gli indigeni ad abbandonare gli arcipelaghi su cuiavevano controllo, riducendo uno stesso popolo a diversi ayllus e la-sciando le terre libere per l’ingrandimento delle tenute spagnole (85).

Ciò nonostante, in alcuni popoli il mantenimento delle identitàetniche precolombiane si manifestò nell’usanza di assegnare calles(strade) specifiche per ogni ayllu all’interno dei nuovi villaggi (86). Atale proposito, come sottolinea Stavig, le reducciones, anche se in

(84) Cfr. T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inkay Rey en la Provincia de Charcas, cit., p. 522; J. V. MURRA, Una apreciación etnológica dela visita, in Visita hecha a la provincia de Chucuito por Garci Diez de San Miguel en el año1567, Documentos regionales para la etnología andina, Casa de la Cultura, Lima, 1964,p. 438; G. KUBLER, The Quechua in the Colonial World, in J. H. STEWARD (a cura di),Handbook of South American Indians, Smithsonian Institution Bureau of AmericanEthnology, Washington D.C., vol. 2, 1946, p. 331 e ss.

(85) Si rimanda, ad esempio, alla vicenda delle terre indigene nella regione nordperuviana di Lambayeque in S. E. RAMÍREZ, La tenencia de la tierra y la economía delpoder en el Perú colonial, cit., pp. 95-97.

(86) Cfr. T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino. Tierra y tributo en el norte dePotosí, Iep, Lima, 1982, p. 27. La nozione di identità etnica all’interno dei popoliindigeni si collega al concetto di chuta, la divisione fisica dello spazio (muri, opere varie)della reducción in conformità al numero di ayllus che la compongono. Per un’analisi diqueste forme cfr. G. URTON, La historia de un mito. Pacariqtambo y el origen de los Incasin Revista Andina, 1989, 7, 1, p. 129 e ss.

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forma inaspettata, comportarono un meccanismo di ridefinizione edi adattamento dell’identità culturale indigena, che ne ha permesso,in ultima analisi, la sopravvivenza (87).

La dinamica conseguente alla politica delle reducciones fu al-l’origine dei primi casi giudiziari tra indigeni e spagnoli, nei qualiquesti ultimi reclamavano un diritto sulle terre abbandonate, mentrele comunità indigene rivendicavano il loro diritto fondiario sullabase della doppia residenza (88). Gli spagnoli sostenevano che leterre abbandonate o incolte (generalmente nelle valli ai livelli piùbassi), lontane dalle reducciones e non occupate in modo permanen-te, dovevano diventare di loro proprietà per permettere l’inserimen-to di un’agricoltura a grande scala. In questo modo molte terre« abbandonate » furono acquisite all’asta pubblica dai colonizzato-ri (89).

L’attuazione della politica di reducciones non fu mai un compitosemplice e la loro sorte fu diversa. Alcune furono utilizzate parzial-mente dagli indigeni, altre furono abbandonate a causa delle epide-mie oppure in seguito a pesanti lavori di estrazione o ancora a causadella vicinanza delle vie principali. Altre, come abbiamo già eviden-ziato, non furono neppure terminate. Tuttavia, anche in quellelocalità in cui la reducción fu effettivamente realizzata, essa nonrappresentò sempre il luogo di residenza degli indios, ma soltanto lo

(87) W. STAVIG, Ambiguous Visions. Nature, Law, and Culture in Indigenous-Spanish Land Relations in Colonial Peru, in Hispanic American Historical Review, 80, 1,2000, p. 85.

(88) Malgrado tutto, come è stato accennato di recente, la politica di Toledo,influenzata dagli argomenti etnografici di noti conoscitori della realtà andina dell’epoca,non solo permise agli abitanti delle colonie o mitimaes di conservare il possesso delleterre, ma concesse loro anche la restituzione dei terreni stessi. Cfr. J. R. MUMFORD,Litigation as Ethnography in Sixteenth-Century Peru. Polo de Ondegardo and the Miti-maes, in Hispanic American Historical review, 88, 1, 2008, p. 34.

(89) C. GIBSON, Indian Societies Under Spanish Rule, cit., p. 408; J. PIEL, Capitalismeagraire au Pérou, cit., vol. I, p. 144. Un esempio dell’usurpazione delle terre indigenetramite l’istaurazione del repartimiento e dell’encomienda si può consultare nel contri-buto di L. C. Faron sulla valle di Chancay (odierno Perù). Cfr. L. C. FARON, A Historyof Agricultural Production and Local Organization in the Chancay Valley, Peru, in C. J.ERAMUS-S. MILLER-L. C. FARON, Contemporary Change in Traditional Societies, vol. III,Mexican and Peruvian Communities, Univ. of Illinois Press, Urbana-Chicago-London,1967, pp. 241-245.

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spazio in cui gli indigeni si riunivano per le feste, per assistere allamessa o per pagare le tasse. La somma di questi fattori comportò ilfatto che, parallelamente alle reducciones, si fossero mantenuti degliinsediamenti più piccoli (annessi ad esse) dove gli indigeni conti-nuarono ad abitare in forma dispersa (90). La presenza di questadoppia residenza indigena (Puna o altopiano, insediamento deicentri etnici originari e valli, insediamento delle reducciones) durantetutta l’epoca coloniale riflette un’altra forma di resistenza costante espontanea al modello occidentale di territorio continuo (91).

Gli indigeni non avevano alcun motivo per trasferirsi e perciònel 1573 Toledo erogò delle nuove ordinanze designando i « ridut-tori di indios », che avrebbero dovuto mettere in atto le istruzionidei visitatori (92).

Il disastro demografico causato dal lavoro nelle miniere, som-mato a una serie di epidemie che colpirono duramente la popola-zione andina durante l’ultimo decennio del sedicesimo secolo, ag-gravò la dispersione, la migrazione e l’abbandono dei villaggi indi-geni (93). Verso la fine del Seicento secolo più della metà dellapopolazione censita si trovava fuori dalla sua reducción. Di conse-guenza, per varie ragioni, le disposizioni del viceré Toledo nonfurono applicate a tutti i villaggi permettendo così la sopravvivenzadell’antico ayllu (94).

Per quanto concerne il tributo, Toledo cercò di fissare una politicaintermedia tra coloro che sostenevano il tributo personale per con-

(90) Tale fatto è stato rilevato per la valle peruviana di Monquegua da T. CAÑEDO-ARGÜELLES FÁBREGA, Las reducciones indígenas en el sur andino: estrategias de produccióny sus efectos en el medio ambiente, in Revista Complutense de Historia de América, 21,1995, p. 130.

(91) Cfr. K. SPALDING, Huarochirí. An Andean Society Under Inca and Spanish Rule,cit., p. 179; W. STAVIG, Ambiguous Visions. Nature, Law, and Culture in Indigenous-Spanish Land Relations in Colonial Peru, cit., p. 91.

(92) T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka yRey en la Provincia de Charcas, cit., p. 519.

(93) Tale evento si riflette nella riduzione del numero di originarios nelle comunitàdell’altopiano e nell’aumento del numero di forasteros in altri luoghi come nella regionedi Cochabamba. Cfr. R. H. JACKSON, Regional Markets and Agrarian Transformation inBolivia. Cochabamba, 1539-1960, cit., pp. 27-29.

(94) R. ESCOBEDO MANSILLA, Las comunidades indígenas y la economía colonialperuana, Servicio Editorial de la Universidad del País Vasco, Bilbao, 1997, pp. 62-63.

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ferire maggiore libertà agli indigeni e coloro che argomentavano chela migliore forma di assicurare il pagamento del tributo consistesse nelriconoscere il ruolo delle autorità indigene che ripartivano il tributoriscosso. La soluzione per Toledo fu quella di assegnare il tributo aogni individuo capace tra i diciotto e i cinquanta anni, conferendonela responsabilità alla collettività come insieme (95). I kurakas avevanoil compito di occuparsi della raccolta della tasa, una somma di denaroche la comunità doveva pagare in base al numero dei propri membri,della quantità di risorse, ecc. La riscossione del tributo, così come levariazioni demografiche che la influenzavano, erano monitorate dalcorregidor de indios (96). Di conseguenza le misure di Toledo, a dispettodella definizione legale di tributo, imposero in pratica un obbligotributario alle comunità nel loro insieme (97). Lo stesso fenomeno siverificò con la mita de minas (instaurata a partire dal 1570). Toledo,in base alle Instrucciones sulle miniere emanate nel 1568 dall’autoritàpeninsulare a Siviglia, razionalizzò e centralizzò l’organizzazione dellavoro nelle miniere di Potosí e Huancavelica, istituendo massacrantiturni di lavoro in cambio del pagamento delle tasse (98). Ogni villaggiodoveva fornire, tramite il kuraka, un settimo degli abitanti maschi trai diciotto e i cinquanta anni per il lavoro nelle miniere basato sul

(95) Cfr., per tutte le voci, T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en la Provincia de Charcas, cit., p. 366; B. LARSON,Colonialismo y transformación agraria en Bolivia, cit., p. 94.

(96) Si trattava di un’autorità provinciale, formalmente istituita nel 1565, destinataa controllare direttamente la popolazione indigena. In base a questa nuova ordinanza,imposta dal governatore Castro, i corregidores municipales si occupavano esclusivamentedella popolazione spagnola, da qui il loro appellativo corregidores de españoles. L’autoritàdel corregidor de indios nell’ambito dei popoli nativi gli permise non solo un’acresci-mento d’importanza ma anche un arricchimento sociale a scapito degli encomenderos.Per dettagli cfr. J. H. ROWE, The Incas Under Spanish Colonial Institutions, cit., p. 162 ess.

(97) Cfr. K. SPALDING, Huarochirí. An Andean Society Under Inca and Spanish Rule,cit., p. 162.

(98) Per dettagli documentati sull’imposizione di questo tributo cfr. C. S. ASSA-DOURIAN, Acerca del cambio en la naturalezza del dominio sobre las Indias: la mit’a mineradel virrey Toledo, documentos de 1568-1571, in Anuario de Estudios Americanos, separatadel t. 46, 1989. Per una trattazione generale sui giacimenti dell’Alto Perù cfr. H. S. KLEIN,Bolivia: The Evolution of a Multi-Ethnic Society, cit., p. 40 e ss.; N. KERMELE, Idéologie etréforme dans le Pérou du XVIème siècle. Le projet politique de Don Francisco Toledo, cit.,pp. 185-188.

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sistema dei turni (99). La monetizzazione e il pagamento del salario pertali lavori forzati stimolarono le forze del nascente capitalismo andino,creando una sorta di mercato del lavoro indigeno (100). Di conse-guenza, a partire della politica tributaria di Toledo il kuraka colonialeassunse l’importante ruolo di intermediario tra gli ayllus e lo Statospagnolo. Il kuraka, di fronte agli ayllus, si presentava come il fun-zionario statale incaricato di confermare a ogni unità il possesso dellaterra e di assicurare il pagamento del tributo. Di fronte allo Stato,invece, la sua presenza permetteva al re di Spagna di presentarsi da-vanti agli indigeni come legittimo successore dell’Inca. Anche qui, lacapacità del kuraka di mobilitare la forza lavoro indigena tramite itradizionali meccanismi di reciprocità interna, deve considerarsi allabase del successo commerciale dell’economia coloniale (101).

Le forti misure tributarie e il ruolo giocato dai caciques costi-tuirono la combinazione perfetta per l’instaurarsi del commerciodella terra. La carenza di denaro con cui pagare le tasse costrinse gliindigeni ad affittare e a vendere ad altre gruppi etnici o agli spagnolile terre comunitarie. In alcuni casi, i contribuenti abbandonavano lesayañas attuando su tali aree scambi commerciali sia interni cheesterni (102). Così, la migrazione per evitare gli obblighi tributari fuuna pratica frequente che condusse al declino demografico in certiayllus o, in altri, al suo aumento per l’arrivo dei forasteros (originariosdi un settore migrati verso comunità meno vulnerabili allo sfrutta-mento spagnolo) (103). Dopo un certo tempo i forasteros si sparsero

(99) Per approfondimenti cfr. J. H. ROWE, The Incas Under Spanish ColonialInstitutions, cit., p. 172 e ss. La lotta giudiziaria della popolazione tributaria indigena diHuamanga contro gli eccessi del sistema della mita toledana è stata analizzata da S.STERN, The Social Significance of Judicial Institutions in an Exploitative Society: Huaman-ga, Peru, 1570-1640, in G. A. COLLIER-R. I. ROSALDO-J. D. WIRTH (a cura di), The Inca andAztec States 1400-1800. Anthropology and History, Academic Press, New York-London,1982, p. 294 e ss.

(100) E. TRELLES, Los grupos étnicos andinos y su incorporación forzada al sistemacolonial temprano, in AA.VV., Comunidades campesinas. Cambios y permanencias, ConsejoNacional de Ciencia y Tecnología, Lima, 1987, pp. 39-40.

(101) Cfr. T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., pp. 28-29.(102) J. H. ROWE, The Incas Under Spanish Colonial Institutions, cit., p. 180; A.

MÉTRAUX, Gli Inca, cit., p. 134.(103) Cfr. T. SAIGNES, Quechua-Aymara Heartland (1570-1780), in F. SALOMON-S. B.

SCHWARTZ (a cura di), The Cambridge History of Native Peoples of the Americas,

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in tutto il territorio affittando terre o lavorando terreni altrui. Ilruolo dei caciques nell’assegnazione agli spagnoli di questo surplus,fu nuovamente rilevante e il tributo diventò, in questo modo, uneffettivo mezzo di trasferimento della terra agli spagnoli (104).

Il disordine demografico fu alla base di una serie di riforme checonsentirono (in particolare verso la fine del Settecento durante ilvicereame del duca De la Palata) l’incorporazione dei forasteros nellastessa categoria degli originarios. Il pagamento del tributo diventòper costoro un modo di « entrare » nella comunità e di avere accessoalla terra. Tale cambiamento rappresentò una spinta all’abbandonodella regola della parentela nell’ayllu, struttura che perdeva così lasua dimensione etnica diventando un semplice un raggruppamentodi contadini (105). Le stesse riforme tardocoloniali diedero origine aiPadrones de tributarios, cioè una lista dei contribuenti e dei capi difamiglia, divisi in base alla tipologia di accesso alla terra (originario,agregado, forastero); il tributo ormai si pagava in denaro e, in questomodo, il pagamento collettivo da parte della comunità venne pro-gressivamente meno.

I capi tradizionali affittarono e alienarono le terre abbandonateai forasteri, ai mestizos e agli spagnoli introducendo la nozione discambio commerciale nei territori alto-andini. Gli esempi abbonda-no: Sánchez Albornoz riporta l’interrogatorio effettuato dal Contede Canillas (nel 1690) agli indigeni di Azángaro (sud del Perù), in cuicostoro avevano affermato che l’assenza di indios nei villaggi dellaprovincia e in altri luoghi (Pacajes, Sicasica, Paurarcolla, Cabana,

Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1999, vol. III, parte 2, p. 91; C. GIBSON, IndianSocieties under Spanish Rule, in The Cambridge History of Latin America, cit., vol. II, p.410; W. STAVIG, La comunidad indígena y la gran ciudad: los naturales del Cuzco y laciudad minera de Potosí durante la colonia, in AA.VV., Comunidades campesinas. Cambiosy permanencias, Consejo Nacional de Ciencia y Tecnología, Lima, 1987, pp. 186-187; L.M. GLAVE-M. I. REMY, Estructura agraria y vida rural en una región andina: Ollantaytamboentre los siglos XVI-XIX, Centro de estudios rurales andinos Bartolomé de las Casas,Cusco, 1983, p. 78. Vedi inoltre supra 60 e ss.

(104) W. STAVIG, Ambiguous Visions. Nature, Law, and Culture in Indigenous-Spanish Land Relations in Colonial Peru, cit., pp. 92-93.

(105) L. M. GLAVE, The « Republic of Indians » in Revolt (1680-1790), in F.SALOMON-S. B. SCHWARTZ (a cura di), The Cambridge History of Native Peoples of theAmericas, cit., pp. 505-506, 508.

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Cabanillas, Canas e Canches) era dovuta al fatto che i caciquesavevano sottratto loro terre e pascoli per affittarle agli spagnoli e agliindigeni forasteros; in questo modo né i naturales né gli originariospotevano disporre della terra per la coltivazione e per il pascolo delbestiame (106).

D’altronde, la vendita delle terre dell’ayllu da parte dei caciquesfu una pratica così comune da aver lasciato tracce individuabili ancoraoggi. Teresa Cañedo-Argüelles riporta il caso di un encomendero, Juande Castro, che nel 1557 comprò da un cacique le terre comunitarie delsuo ayllu. In seguito tali terre erano diventate fundos di Tumilaca e daesse ebbe origine la società peruviana « Sociedad Agropecuaria JoséA. de Castro » i cui terreni si trovavano ancora, nel 1968, compresi neiconfini dell’attuale comunità di Tumilaca (107).

Come responsabili dell’amministrazione delle terre comunitariee del pagamento del tributo raccolto, i caciques avevano lo specialeprivilegio di potersi appropriare del reddito prodotto tramite l’af-fitto delle terre della comunità e di usare, inoltre, come proprie lesuddette terre. Si comprende, quindi, come il comportamento scor-retto dei caciques fu una delle cause più comuni delle prime disputecoloniali inerenti la terra e che, al di là delle modalità utilizzate daglispagnoli e dai meticci, il sistema toledano dava luogo a una pressionecrescente sulle terre della comunità (108).

È ormai opportuno domandarsi su quali siano stati gli effetti ei principali risultati della politica toledana.

Innanzitutto, la reducción conferì una forma definitiva ai tentatividi organizzazione politica e amministrativa delle comunità indigene.Le visitas e le reducciones alterarono le tradizioni preispaniche che, invarie forme, si erano mantenute fino a quel momento, per lasciarespazio ai criteri occidentali di organizzazione terriera unitarie e con-

(106) N. SÁNCHEZ ALBORNOZ, Indios y tributos en el Alto Perú, Iep, Lima, 1978, p.128. Cfr. anche O. CELESTINO, La terre et les hommes au Pérou. La Valle du Chancay duXVIe au XIXe siècle, in M. GODELIER (a cura di), Transitions et subordination aucapitalisme, Editions de la Maison de Sciences de l’Homme, Paris, 1991, p. 302.

(107) Cfr. T. CAÑEDO-ARGÜELLES FÁBREGA, La tenencia de la tierra en el sur andino:el Valle de Moquegua, 1530-1825, in Revista de Indias, 55, 193, 1991, pp. 484-485.

(108) T. SAIGNES, Quechua-Aymara Heartland (1570-1780), cit., p. 101.

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tinue (109). Allo stesso tempo la politica toledana aveva consentito lasopravvivenza degli antichi ayllus (anche se in una forma alterata)all’interno delle rispettive reducciones; era stata così riconosciuta alpossesso indigeno una forma legale, sulla base delle categorie dellalegge occidentale. L’operazione avrebbe inoltre finito per creare l’entedi carattere ibrido nota come comunidad (110). Di conseguenza, mentrel’ayllu fu un gruppo di parentela dotato di un ampio controllo sulleproprie risorse, la nozione di comunità indigena fu stabilita sulla basedi un rapporto immediato e diretto con la terra, di matrice occidentale.Vi furono, dunque nell’attuazione della politica delle reducciones, am-biti specifici e paralleli: da un lato la nozione di collettività dovuta allapersistenza di alcune dinamiche interne ai vari gruppi etnici, dall’altrouna spinta individuale determinata dall’attribuzione a ogni indigenodi terre proprie all’interno del villaggio (111).

Da un punto di vista demografico, una consistente parte dellapopolazione si trasferì nelle valli, mentre altri gruppi emigrarono incomunità diverse o verso i grandi fondi spagnoli. Ecologicamente,l’indebolimento delle forme di possesso tradizionale coinvolse leterrazze agricole e le nicchie incaiche, comportando l’impoverimen-to o la distruzione dei sistemi d’irrigazione, imprescindibili per illoro mantenimento (112). La somma di questi fattori determinò lamodificazione radicale della demografia regionale aprendo il primovarco alla penetrazione del mercato nelle terre della comunità. Inquesto modo, l’economia di mercato europea, incentrata sul valoredi scambio dei prodotti, andò a sovrapporsi all’economia indigenatradizionale, basata sul valore d’uso dei beni e sulle forme consue-tudinarie di lavoro collettivo (113).

Le analisi fin qui sviluppate conducono a un’ultima e tuttora

(109) R. ESCOBEDO MANSILLA, Las comunidades indígenas y la economía colonialperuana, cit., pp. 60-61.

(110) Vedi supra 56-59.(111) Cfr. F. PEASE G. Y, La noción de propiedad entre los Incas, cit., pp. 15-16; T.

CAÑEDO-ARGÜELLES FABREGA, La tenencia de la tierra en el sur andino, cit., p. 496.(112) Cfr. il caso della valle di Monquegua in T. CAÑEDO-ARGÜELLES FÁBREGA, Las

reducciones indígenas en el sur andino: estrategias de producción y sus efectos en el medioambiente, cit., p. 133.

(113) M. MÖRNER, The Rural Economy and Society of Colonial Spanish SouthAmerica, in The Cambridge History of Latin America, cit., vol. II., p. 217.

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attuale conseguenza della politica toledana: l’esistenza di due repub-bliche, parallele, interdipendenti, ma culturalmente diverse, unad’impronta eminentemente urbana e l’altra di stampo rurale: larepubblica degli spagnoli e quella degli indigeni (114).

Da una prospettiva comparativa, l’operazione si presenta comeil primo innesto del sistema comunitario spagnolo nello spazioculturale indigeno. Gli spagnoli seppero infatti assimilare alle pro-prie categorie il sistema Inca, proteggendo allo stesso tempo lestrutture originarie di produzione indigena in modo tale da riutiliz-zarle per ottenere il massimo di profitti economici (115). La comunitàindigena si cristallizzò e perdurò sotto diverse modalità durante tuttal’epoca coloniale allo scopo di facilitare lo sfruttamento della forzalavoro contadina da parte dell’autorità spagnola. Inoltre, l’insedia-mento dei nuovi villaggi, tramite la riduzione dei terreni apparte-nenti alla popolazione indigena, provocò l’abbondanza di terrevacantes, gettando le basi per l’ingrandimento della proprietà fon-diaria europea.

3. L’insediamento della proprietà.

Abbiamo ormai sottolineato come, dal punto di vista dell’orga-nizzazione fondiaria, la più nota conseguenza della donazione pon-tificia ai Re Cattolici sia stata la fondazione del dominio eminentesulle terre scoperte nella persona del re. Egli, in quanto primo euniversale titolare delle Indie, conservò il diritto di nominare isudditi “proprietari”.

(114) Cfr. R. M. MORSE, The Urban Development of Colonial Spanish America, cit.,p. 81; M. MÖRNER, The Rural Economy and Society of Colonial Spanish South America, inThe Cambridge History of Latin America, cit., vol. II., p. 265 e ss.; T. PLATT-T. BOYUSSE

CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en la Provincia de Charcas,cit., p. 520. La presenza di tale dualità è riscontrabile in diversi documenti ufficialidurante la colonia. Cfr. A. GARCIA-GALLO, La constitución política de las Indias españolas,rist. in ID., Estudios de historia del derecho indiano, Instituto Nacional de EstudiosJurídicos, Madrid, 1972, pp. 508-509.

(115) Lo rivela la ricorrente affermazione di K. SPALDING in Huarochirí. An AndeanSociety Under Inca and Spanish Rule, cit., p. 183: « The entire apparatus of colonialIndian administration organized by 1580’s was founded on the principle of retaining thetraditional Andean structure of production as the economic underpinning for theextraction of surplus from the members of Indian Society ».

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Tuttavia, parallelamente al perfezionamento delle formule legalidi appropriazione, non occorre dimenticare che una delle primeforme di impossessamento di terre da parte degli spagnoli fu quelladell’occupazione di fatto delle terre indigene. L’uso diretto dellaforza e l’invasione dei terreni furono infatti strategie di appropria-zione molto frequenti durante i primi tempi della Conquista (116).

L’usurpazione poteva, a volte, avere il carattere di contratto,come nel caso del trasferimento della terra nelle forme della com-pañía, in base alla quale le comunità fornivano la terra e il lavoro(così come la costruzione di opere), mentre l’imprenditore mettevaa disposizione il denaro e i materiali. Terminata la compañía, tuttorestava nelle mani dell’imprenditore (117). In altri casi, gli spagnoli sierano serviti degli indigeni forasteros o dei residenti delle haciendasper occupare la terra comunitaria e prenderne possesso attraverso lacoltivazione.

A tali modalità di spoliazione si aggiungono la vendita di terreindigene dagli stessi indios per riuscire ad adempiere agli obblighifiscali e l’abbandono delle terre non sfruttate (cosiddette sobrantes ovacantes) a causa degli eccessivi tributi. Lo storico Assadourianriporta il caso dei kurakas degli indios sipesipe che nel 1551 avevanosollecitato l’intervento di un curatore per svendere alcune terre diloro proprietà e potersi così comprare il bestiame di cui la comunitàaveva bisogno (118). Il trasferimento legale delle terre a favore deglispagnoli fu pertanto un’opera realizzata, in non pochi casi, con ilconsenso degli indios. Tali scambi avevano consentito la formazionedi un iniziale mercato della terra, parallelo a quello dei prodottiagricoli. In questo contesto, il ruolo dei caciques o kurakas fuessenziale. Costoro, abusando della loro posizione di rappresentanti,avevano spesso ceduto le terre sobrantes o quelle abbandonate dagliindios per mezzo di contratti di vendita o di affitto. Negli atti di

(116) Cfr. W. STAVIG, Ambiguous Visions: Nature, Law, and Culture in Indigenous-Spanish Land Relations in Colonial Peru, cit., pp. 98-99.

(117) Cfr. R. MELLAFE, Frontera agraria: el caso del Virreinato peruano en el sigloXVI, in AA.VV., Tierras Nuevas. Expansión territorial y ocupación del suelo en América.Ponencias presentadas al IV Congreso Internacional de História Económico, El Colegio deMéxico, Mexico D.F., 1973, p. 31.

(118) C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit., pp.135-136.

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vendita della terra e nei processi giudiziari gli stessi kurakas eranospesso chiamati a testimoniare sulla titolarità sulle terre indigeneabbandonate.

Al di là delle varie forme di impossessamento dei territoriindigeni, un esame approfondito sulla diffusione dell’idea occiden-tale di proprietà richiede qualche ulteriore commento sulle modalitàdi istituzionalizzazione del dominio nelle nuove terre.

È interessante notare come l’organizzazione fondiaria impostadal governo coloniale non fosse in origine basata su un sistema didiritti reali, bensì su un semplice contratto, detto capitulación, dicarattere pubblico fra un privato (o un gruppo dei privati) e laCorona, in cui erano specificati i benefici che l’impresa dovevagarantire a ciascuna delle parti in caso di successo. Fin dai tempi diColombo, ogni tentativo di scoperta e conquista ebbe come basegiuridica tale contratto (119). Le capitulaciones ebbero diversi conte-nuti e scopi: conquista e popolamento del territorio, popolamento diterreni già scoperti, bonifica di lagune per l’estrazione dei metallipreziosi, esplorazioni del territorio, ecc. Tra tali concessioni siriscontravano diversi tipi di proprietà e di rapporti reali, come laproprietà privata di certe cariche pubbliche (120), il possesso di unafortezza e la ripartizione (repartimiento) di terre (121).

Quest’ultima modalità, priva di antecedenti nel diritto medie-vale, consisteva nel conferire un’estensione di terra di cui si acquisivala « proprietà » solo se effettivamente vi si risiedeva per un periododi tempo compreso tra i cinque e gli otto anni e se si era ottenuta laconvalida del re. Gli esploratori o nuovi occupanti furono i primibeneficiari di tale concessione nota come gracia o merced regia.Come nel caso dell’encomienda, le mercedes furono originariamenteconferite a titolo di ricompensa per gli sforzi individuali nella

(119) Si ricorderà, infatti, che il 17 aprile 1492 vennero firmate presso Santa Fe lecapitulaciones tra i Re Cattolici e Cristoforo Colombo. Per un approfondimento cfr. A.GARCÍA-GALLO, Los orígenes de la administración territorial de las Indias, in Anuario deHistoria del Derecho Español, 15, 1944, pp. 16-106.

(120) Nelle capitulaciones tra i Re Cattolici e Cristoforo Colombo, venne conferitoal navigatore il titolo di ammiraglio trasmissibile per eredità, oltre a quello di viceré e digovernatore di tutti i territori da lui scoperti.

(121) J. M. OTS CAPDEQUÍ, Estudios de historia del derecho español en las Indias, cit.,p. 17 e ss.

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conquista delle nuove terre. Sebbene inizialmente le assegnazioni diterreni restassero soggette alla conferma della Corona (requisito chedal 1531 si precisa solo per la prima dotazione di terre), la scoperta,l’effettiva occupazione e soprattutto la residenza furono requisitiprimari per l’acquisto della proprietà a titolo di merced (122). Lafacoltà di concedere proprietà individuali spettava alla Corona inquanto depositaria del diritto eminente sulle terre conquistate,anche se con il trascorrere del tempo (in virtù delle reales cedulas del1538, 1549, 1559) la concessione stessa divenne una prerogativadelle autorità provinciali (viceré, cabildos).

In seguito alla Conquista, le limitazioni introdotte da La Gascaal sistema dell’encomienda spinsero una considerevole parte dellapopolazione ispanica a cercare altri modi di arricchirsi. La situazionesi aggravò quando il viceré Lope García de Castro (1564-1569)proibì le encomiendas che producevano più di 2.000 pesos. L’effettoimmediato di questa politica fu la crescita dell’interesse per l’agri-coltura e quindi l’aumento delle richieste di titoli di merced odotaciones de tierras con finalità ormai mercantili. Da quel momentoin avanti, la nuova politica di concessioni non avrebbe più consistitoin una semplice dotazione d’appezzamenti per le attività domestiche,bensì in spazi destinati alla produzione agraria, fattore che determi-nò l’inizio della concorrenza commerciale nello spazio rurale (123).Di conseguenza, la merced diventò non solo una delle fonti dellaproprietà rurale, ma anche un fattore decisivo per l’origine dellacosiddetta estancia o hacienda (124). Gli appezzamenti assegnaticome merced, spiega Carmagnani, erano di dimensioni assai ridottee non superavano i cento ettari; in assenza di un vincolo sul numero

(122) Verso la metà del 1497 una reale provvisione autorizzò Colombo a ripartirele terre in proprietà ma con la condizione di permanervi almeno quattro anni e dicoltivare la terra. Per dettagli cfr. J. M. MARILUZ URQUIJO, El régimen de la tierra en elderecho indiano, cit., p. 19. Il testo integrale della provvisione può essere consultato inF. DE SOLANO, Cedulario de tierras. Compilación de la legislación agraria colonial (1497-1820), cit., documento 1. Cfr. anche la casistica e i diversi procedimenti delle mercedesdi terre in Ibid., documentos 45, 63, 65, 74, 78 e 128.

(123) Cfr. L. M. GLAVE-M. I. REMY, Estructura agraria y vida rural en una regiónandina, cit., p. 80; O. CELESTINO, La terre et les hommes au Pérou, cit., p. 297.

(124) S. E. RAMÍREZ, La tenencia de la tierra y la economía del poder en el Perúcolonial, cit., pp. 70-71.

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di mercedes concesse a ogni individuo, esse potevano essere venduteo scambiate e, seppur diverse e contigue, potevano essere raggrup-pate in un unico fondo da cui era possibile si sviluppasse in seguitoil latifondo. La merced è quindi importante non solo perché costi-tuisce il punto di partenza della proprietà intesa come bene privato(in contrapposizione alla concezione prevalente nelle economie delleIndie), ma anche perché rappresenta un elemento fondante delsistema feudale (125).

Nel 1573 le Ordenanzas de descubrimientos, nueva población ypacificación de las Indias segnarono, implicitamente, la fine dell’epo-ca delle mercedes, dichiarando conclusa la stagione della conquista edella pacificazione. Malgrado tutto, esse continuarono a esistere, siain virtù dei servizi prestati alla Corona (mercedes ordinarias), sia atitolo di concessione del Real y Supremo Consejo de Indias per coloroche avevano fatto richiesta di merced per colonizzare e coltivare leterre (mercedes extraordinarias) (126). Il caso dello spagnolo Franci-sco Carillo, databile al 1561 e citato da Assadourian, ne illustrachiaramente il meccanismo. Per inoltrare la sua richiesta di cédula demerced al viceré delle terre di Guayruco e Condepampa, Carillochiese al governatore, in base alla dichiarazione di tre testimonispagnoli, un attestato in cui si segnalasse che tali terre eranoabbandonate e che l’alienazione non avrebbe arrecato danno agliindigeni (127).

Come noto, insieme alla dotazione di mercedes, la politica dellereducciones contribuì in modo indiretto all’espansione del modellodi proprietà a beneficio sia degli spagnoli che degli stessi indigeni. Ilconfinamento degli ayllus, originariamente dispersi tra i diversi livelliecologici, all’interno di centri di popolazione unitari e continui,conformi ai modelli iberici, fece sì che vaste zone di terre indigenefossero abbandonate e diventassero così oggetto di richiesta dimerced.

(125) M. CARMAGNANI, L’America latina dal ‘500 a oggi. Nascita, espansione e crisi diun sistema feudale, Feltrinelli Editore, Milano, 1975, p. 21.

(126) Dettagli in J. M. OTS CAPDEQUÍ, El régimen de la tierra en la América Españoladurante el periodo colonial, Editorial Montalvo - Universidad de Santo Domingo, CiudadTrujillo, 1946, p. 54.

(127) C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit. p. 135.

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La politica toledana fornì, di fatto, una nuova modalità perappropriarsi del territorio degli ayllus risparmiati dalla spoliazioneiniziale: il divieto di abitare fuori dall’area delle reducciones. Taleobbligo determinò l’abbandono di queste terre che si resero cosìdisponibili per essere ridistribuite (come terre baldías o abbandona-te), aggirando la legislazione che proteggeva il patrimonio fondiarioindigeno.

Questa situazione diede origine a diversi casi giurisprudenziali.Lo studio etnostorico di Nicolas, Zegarra e Pozo per gli ayllus diTinkipaya nel dipartimento di Potosí (Bolivia) riporta un’interessan-te controversia territoriale in pieno diciassettesimo secolo. Il princi-pale argomento addotto dallo spagnolo Diego Robles per appro-priarsi delle terre di Sipuro e Coloyo fu che quelle terre eranoappartenute agli indios di Picachuri; questi, al tempo della disputa,si trovavano ormai confinati nell’area di Tinkipaya, a quattordicileghe di distanza dalle terre abbandonate, ragione per cui si potevafare richiesta di merced senza causare danno né agli spagnoli né agliindios (128).

Malgrado le recriminazioni del sistema delle reducciones, da unpunto di vista tecnico-giuridico, tramite tale politica gli spagnoli ave-vano in pratica riconosciuto la realtà sociale preesistente al loro arrivoe, istituzionalizzando gli ayllus, avevano conferito loro la qualifica disoggetti di diritto. Questa misura costituì la base per la legittimazionedelle pratiche fondiarie degli ayllus e permise, quanto meno, il rico-noscimento di un diritto di uso o di possesso precario secondo lecategorie riconosciute dalla dottrina spagnola (129). Ridotti gli ayllusnelle reducciones, essi ricevevano il mero accesso e possesso delle terre,ma ciò non costituiva un ostacolo tale da impedire alle comunità,mediante merced, composición, donazione, scambio o tramite la com-pravendita, di acquisire la proprietà delle terre che utilizzavano. Pe-raltro, la richiesta di titolo di proprietà si fondava spesso sull’usuca-

(128) Expediente Colonial 1602, nº 7, Archivo Nacional de Bolivia, La Paz, citato inV. NICOLAS-S. ZEGARRA Q.-M. POZO B., Los ayllus de Tinkinpaya: Estudio etnohistórico desu organización social y territorial, Fundación Pieb, La Paz, 2005, p. 54.

(129) A. URQUIDI, La comunidades indígenas en Bolivia, Edit. Los Amigos del Libro,Cochabamba, 1970.

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pione derivata dell’immemoralità nel possesso delle terre (130). In que-sto modo, il riconoscimento dei titoli sulla terra da parte dell’autoritàcoloniale si rivelò sempre più importante per gli indigeni, che viderouna progressiva occidentalizzazione dei loro diritti (131).

Per quanto riguarda la proprietà statale, la Corona si riservò laproprietà delle terre ricorrendo alla categoria giuridica di realengo oregalía intesa come patrimonio del re nella sua condizione di capodello Stato (132). Oltre a comprendere i terreni demaniali, taleistituto includeva, come abbiamo sottolineato, le terre che durantel’epoca incaica erano appartenute all’Inca (Stato) e al culto (sole),territori che dal 1° novembre 1591 erano stati dichiarati di proprietàdella Corona come erede dei re Inca di Cuzco (133).

A tal proposito, Solórzano y Pereyra include nella categoria diregalías tutte le terre, acque, monti e pascoli che:

« [...] fuera de las tierras, prados, pastos, montes, i aguas que porparticolar gracia, i mercer suya [della Corona] se hallaren concedidas a lasciudades, villas, o lugares de las mesmas Indias, o a otras comunidades opersonas particulares dellas, todo lo demás, de este género, i especialmentelo que estuviere por romper i cultivar, es i debe ser de su Real Corona, idominio » (134).

Così, in virtù del diritto di conquista, il dominio di tutte le terreassoggettate rimase vincolato alla Corona di Castiglia, circostanza dacui derivò il dominio eminente dello Stato e la dotazione di pro-prietà privata come concessione reale.

(130) Sulle diverse modalità per l’acquisto del dominio delle comunità cfr. C. J.DÍAZ REMENTERÍA, El patrimonio comunal indígena: del sistema incaico de propiedad alderecho castellano, cit. pp. 120-131. L’autore espone peraltro diversi casi di richieste dititoli di proprietà sulla base nel possesso immemoriale (Ibid., pp. 114-118). Cfr. inoltreID., La propiedad, in I. SÁNCHEZ BELLA-A. DE LA HERA-C. J. DÍAZ REMENTERÍA, Historia delderecho indiano, cit., p. 347.

(131) T. CAÑEDO ARGÜELLES, La desvinculación de bienes en las comunidades indí-genas del sur andino (siglos XVI-XVII), in J. FISHER (a cura di), Actas del XI congresointernacional de AHILA, Liverpool 17-22 de septiembre de 1996, Universidad deLiverpool-Ahila, Liverpool, 1998, vol. 3, pp. 241-242.

(132) Per un approfondimento storico cfr. D. E. VASSBERG, Land and Society inGolden Age Castile, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1984, p. 7 e ss.

(133) Cfr. supra 130 e ss.(134) J. DE SOLÓRZANO Y PEREYRA, Política indiana, cit., Lib. VI, cap. XII.

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Conviene tuttavia notare che l’operazione di ripartizione di terreavviata dalla Corona non fu cieca agli interessi degli indigeni.Durante l’epoca coloniale furono infatti ripetutamente promulgateleggi a tutela delle loro terre. La Recopilación de Leyes de las Indiasraccoglie numerose normative di questo tipo come quella del 19febbraio del 1560 in cui Filippo II ordinò di lasciare agli indigeni leterre già in loro possesso (legge 9, tit., XIV, lib. IV), o quella in cuisi dichiarò che tutte le estancias e terre destinate agli spagnoli fosseroassegnate senza arrecare danno agli indigeni (legge 9, tit. XII, lib,IV) (135). La frase « sin perjuicio de naturales » fu, per l’appunto,una clausola comune e una condizione necessaria per la dotazione dimercedes di terra. Così, nel vicereame del Perù, una volta conferitala merced, la giustizia locale doveva indagare se la dotazione delleterre danneggiasse i naturali. Lo stesso viceré Toledo rese operativala clausola ordinando la citazione di tutti gli indigeni della zona perspiegare loro, nella loro lingua, il senso dell’atto di assegnazione inmodo tale da constatare un loro eventuale danno a cui essi potevanoopporsi (136). In quest’ambito è importante sottolineare il valoreassegnato alle tradizioni indigene durante il periodo coloniale rico-nosciuto dalla Cédula de Valladolid del 6 agosto 1555 e perpetuatonella legge 4, tit. I, lib. II della Recopilación de Leyes de las Indias,che recitava:

« Ordenamos y mandamos que las leyes y buenas costumbres quetenían los indios para su buen gobierno y policia y sus usos y costumbresderivadas y guardadas después que son cristianos y que no se encuentrencon nuestra sagrada religión, ni con las leyes de este libro y las que hanhecho y ordenado de nuevo, se guarden y ejecuten y siendo necesario porla parte las aprobamos y confirmamos con tanto que Nos podamos añadir

(135) Recopilación de leyes de los Reynos de las Indias, cit. Un ampio rinvio allalegislazione protezionista indigena è reperibile in F. DE SOLANO, La tenencia de la tierraen Hispanoamérica: proceso de larga duración. El tiempo virreinal, in Revista de Indias, 43,1983, p. 16 e ss. Un elenco delle varie disposizioni che proteggevano le terre indigenedurante il primo periodo della colonia può essere consultato nell’opera del cronista A.DE LEÓN PINELO, Tratado de las Confirmaciones Reales [Madrid, 1630], con introduzionedi L. Molinari, Biblioteca argentina de libros raros americanos, Buenos Aires, 1922,tomo I, p. 171 v.

(136) J. M. MARILUZ URQUIJO, El régimen de la tierra en el derecho indiano, cit., pp.25-26.

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lo que fuésemos servidos y nos pareciese que conviene al servicio de DiosNuestro Señor y al Nuestro y a la conservación y policía cristiana de losnaturales de aquella provincias no perjudicando a lo que tienen hecho ni alas buenas y justas costumbres y estatutos suyos » (137).

Un altro aspetto essenziale dell’assetto fondiario coloniale ècostituito dal pascolo e da altre forme di uso collettivo della terra. Aitempi della Conquista la Castiglia aveva ormai acquisito un notevolebagaglio di conoscenze rispetto a tali forme di sfruttamento: ejidos,dehesas, montes, comunes, baldíos ad esempio, costituivano l’essenzadel sistema comunitario ispanico. Alcune di queste istituzioni furonotrapiantate nel Nuovo Mondo: nelle Ande, dopo un lungo dibattito,nell’ottobre del 1541 si promulgò per la provincia del Perù una realprovisión che decretava come comuni le acque, i monti e i pascoli,permettendo a chiunque di portare a pascolare il bestiame, sia informa comunitaria, sia indipendentemente da altri pastori (138). LaRecopilación de Leyes de las Indias raccoglie questa disposizione:

« que los montes y pastos de las tierras de señorío sean tambiéncomunes » (139).

(137) Recopilación de leyes de los Reynos de las Indias, cit. Sul valore giuridico dellacostumbre indígena nel diritto indiano si rimanda a: A. GARCÍA GALLO, Metodología de lahistoria del derecho indiano, Ed. Jurídica de Chile, Santiago de Chile, 1970; A. ÁVILA

MARTEL-B. BRAVO LIRA, Aporte sobre la costumbre en el derecho indiano, in RevistaChilena de Historia del Derecho, 10, 1983; B. BRAVO LIRA, Derecho común y derechopropio en el nuevo mundo, Ed. Jurídica de Chile, Santiago de Chile, 1989, p. 75 e ss.; M.MENEGUS BORNEMANN, La costumbre indígena en el derecho indiano (1529-1550), inAnuario mexicano de historia del derecho, 4, 1992, pp. 151-159; C. RAMOS NÚÑEZ,Consideración de la costumbre en la doctrina jurídica virreinal. De la valoración clásica asu impugnación moderna, in T. HAMPE (a cura di), La tradición clásica en el Perú virreinal,Unmsm, Lima, 1999, pp. 285-308.

(138) Cfr. J. M. MARILUZ URQUIJO, El régimen de la tierra en el derecho indiano, cit.,p. 100 e ss. L’applicazione della disposizione, come era immaginabile, non fu semplice:in Perù e in Cile trovò grosse resistenze da parte dei potenti e dei numerosi sostenitoridella chiusura dei fondi. Per un approfondimento cfr. M. GÓNGORA, El estado en elderecho Indiano. Época de fundación 1492-1570, Ed. Universitaria, Santiago de Chile,1951, p. 35 e ss.; J. BORDE-M. GÓNGORA, Evolución de la propiedad rural en el Valle delPangue, Santiago de Chile, 1956, t. 1, p. 35 e ss.

(139) Legge 7, tit. XVII, lib. IV.

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Allo stesso modo fu riconosciuta la cosiddetta derrota de mieses,cioè l’apertura delle tenute per permettere l’uso del pascolo comunee libero una volta raccolti i frutti:

« que las tierras sembradas, alzado el pan, sirvan de pasto común » (140).

Occorre, in ultimo, accennare a due istituzioni che consentironodi ultimare la mappa giuridica della proprietà coloniale: le vendite ele donazioni. Durante i primi anni del regno di Filippo II, allo scopodi accrescere il reddito reale, ebbe inizio la vendita all’asta pubblica(« en pública almoneda al rematante mejor postor ») dei terrenibaldíos, dei territori cioè che non erano stati ancora distribuiti. Taleoperazione, insieme alla donazione di terre agli ordini ecclesiastici atitoli di censi e capellanías, finì per completare, già verso la fine delSeicento, il processo di assegnazione e di istituzionalizzazione delleterre nelle Indie.

Il percorso che abbiamo seguito ci consente di individuare leseguenti categorie di possesso fondiario: (1) terre di proprietà reale(realengas); (2) terre di proprietà privata (haciendas ed estancias;media e piccola proprietà dei creoli, spagnoli e meticci); (3) terre diproprietà ecclesiastica (censos e capellanías); (4) proprietà, usufruttoo possesso indigeno collettivo (comunidades, reducciones o pueblosde indios); (5) proprietà indigena individuale (proprietà dei nobili ecaciques); (6) altre forme di proprietà collettiva (ejidos, dehesas,montes) (141).

(140) Legge 6, tit. XVII, lib. IV. Per approfondimenti cfr. J. M. MARILUZ URQUIJO,El régimen de la tierra en el derecho indiano, cit., p. 111. Per indagare sulle istituzioniagricole castigliane e il loro collettivismo cfr. D. E. VASSBERG, Land and Society in GoldenAge Castile, cit; A. NIETO, Bienes comunales, Editorial Revista de Derecho Privado,Madrid, 1964.

(141) Per uno studio più approfondito sulle forme di proprietà coloniale rinviamoalla bibliografia classica: R. ESCOBEDO MANSILLA, Las comunidades indígenas y la economíacolonial peruana, cit.; J. M. OTS CAPDEQUÍ, El régimen de la tierra en la américa españoladurante el periodo colonial, cit.; cfr. anche ID., Estudios de historia del derecho español enlas indias, cit.; M. BONIFAZ, Derecho indiano. Derecho castellano, Derecho precolombino,Derecho colonial, Universidad Mayor de San Francisco Javier de Chiquisaca, Sucre,1961; F. CHEVALIER, La formation des grands domaines au Mexique: terre et société auxXVIe XVIIe siècles, Institute d’Éthologie/Musse de l’Homme, Paris, 1953; C. J. DÍAZ

REMENTERÍA, El patrimonio comunal indígena: del sistema incaico de propiedad al derecho

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Lo schema fin qui delineato non risulta però completo senzafare qualche allusione a una delle istituzioni del diritto fondiario cheaccompagnerà tutto il percorso coloniale.

Verso la fine del sedicesimo secolo le capitulaciones, le mercedese le vendite alle aste pubbliche diedero origine a situazioni irregolari:i primi beneficiari e aggiudicatari si appropriarono di estensioni diterre giungendo a possederne più di quanto consentito dal titolocorrelativo. Inoltre, l’arrogazione della facoltà di distribuzione delleterre da parte dei cabildos comportò situazioni confuse e svantag-giose nei confronti degli indigeni (142). Parallelamente, gli interessifiscali della Corona erano compromessi, soprattutto se si tiene contodei problemi finanziari causati dalla guerra con l’Inghilterra e delleelevate spese sostenute dalla Real Flota per proteggere la merce cheandava e tornava dall’America. Peraltro, le Ordenanzas de descubri-mientos, nueva población y pacificación de las Indias, sebbene fosserochiare in quanto sistematizzavano lo spazio delle nuove terre, nonriuscirono a porre rimedio alla confusione e agli abusi sull’assettofondiario (143).

L’insieme di queste circostanze motivò l’erogazione di tre realescédulas databili al 1° novembre del 1591 e conosciute con il nome diComposición de tierras. In base ad esse lo stesso re, il viceré e ilgovernatore potevano costringere i possessori delle terre a esibire itítulos y gracias sul loro possesso e ad abbandonare tutto ciò che

castellano, cit.; J. M. MARILUZ URQUIJO, El régimen de la tierra en el derecho indiano,segunda edición aumentada, Editorial Perrot, Buenos Aires, 1978; F. DE SOLANO, Latenencia de la tierra en Hispanoamérica: proceso de larga duración. El tiempo virreinal, cit.Un dettagliato esame sulla proprietà coloniale e sul sistema di haciendas nel distrettoperuviano di Ollantaytamo è reperibile in L. M. GLAVE-M. I. REMY, Estructura agraria yvida rural en una región andina: Ollantaytambo entre los siglos XVI – XIX, Centro deEstudios Rurales Andinos Bartolomé de las casas, Cusco, 1983. Possono inoltre essereutili le linee compendianti del capitolo 6, nonché le pagine 90 e ss., del volume di M. C.MIRROW, Latin American Law. A History of Private Law and Institutions in SpanishAmerica, Univ. of Texas Press, Austin, 2004.

(142) Cfr. R. MELLAFE, Frontera agraria: el caso del Virreinato peruano en el sigloXVI, cit., pp. 33-34.

(143) Questo corpo normativo, oltre a confermare la politica delle licenze dellaCorona per ogni nuova scoperta, autorizzò i viceré a conferire terre e solares (terreni perl’abitazione) a chi avesse popolato i nuovi territori senza arrecare pregiudizio a terzi oagli indigeni.

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avessero usurpato, restituendo la proprietà all’erario dello Sta-to (144). In sostanza, la normativa, offriva ai possessori irregolari duesoluzioni: restituire la terra illecitamente usufruita, o pagare unasomma allo Stato, detta composición, che può quindi essere inter-pretata come il primo tentativo di riforma agraria coloniale (145).

Si trattò, in altre parole, di un processo di legalizzazione del-l’appropriazione di fatto dei primi coloni, atta a conferire titolifondiari. La nuova politica, attuata dal viceré del Perù GarcíaHurtado de Mendoza (1590-1596), diede avvio a delle visitas,destinate a misurare le terre e ad assegnare titoli di proprietà aipossessori in grado di dimostrare le forme di acquisizione delle terre.Diede inoltre luogo alla vendita delle terre che, in conformità aglistrumenti giuridici esibiti dagli interessati, fossero demasías (terre ineccesso) e, soprattutto, alla svendita delle sobras (cioè le terrerimanenti). Le terre di demasías e sobras degli indios confluirono nelpatrimonio della Corona come terre realengas e diventarono unpossibile oggetto di vendita (146). Con il trascorrere del tempo, levisitas rappresentarono anche delle occasioni per presentare rimo-stranze all’autorità coloniale e per assicurarsi che ogni tributarioavesse un appezzamento minimo per il suo sostentamento e quellodella sua famiglia (147).

La misura adottata, come si può facilmente intuire, non fufavorevole alle comunità indigene. Nelle istruzioni lasciate dal viceréGarcía Hurtado de Mendoza per le visite nella giurisdizione diCharcas (zona centro andina che comprendeva la ricca regione diPotosí) si ordinava al visitador de tierras fra Luis López di conferiretitoli a chi avesse potuto pagare per le proprie terre, indagandopreviamente sulla quantità e sulla categoria (cioè originarios o agre-

(144) Il testo integrale è reperibile in F. DE SOLANO, Cedulario de Tierras, cit.,documenti 131, 132 e 133.

(145) Sono didattici sull’origine della composición A. MALDONADO, Derecho agrario.Historia, doctrina y legislación, Edit. e imp. Nacional, La Paz, 1956, pp. 243-244; e D. E.VASSBERG, La venta de tierras baldías. El comunitarismo agrario y la corona de Castilladurante el siglo XVI, Servicio de Publicaciones Agrarias, Madrid, 1983.

(146) L.M. GLAVE-M. I. REMY, Estructura agraria y vida rural en una región andina,cit., pp. 87-88; D. AMADO GONZÁLES, Reparto de tierras indígenas y la primera visita ycomposición general, 1591-1595, in Histórica, 22, 2, 1998, pp. 197-207.

(147) J. H. ROWE, The Incas Under Spanish Colonial Institutions, cit., p. 182.

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gados) degli indigeni (148). Allo stesso tempo le composiciones per-mettevano agli ispettori della Corona di aggiudicare la terra nonlavorata o « abbandonata », terra che però era effettivamente inpossesso degli indigeni secondo il tradizionale sistema di coltivazio-ne a rotazione. Situazioni di questo tipo furono la causa comune deiprimi casi giudiziari fra gli spagnoli e i gruppi indigeni (149).

Tramite la Composición de tierras la Corona decise di vendere ilsuo diritto eminente, di mercanteggiarlo, per far accrescere le en-trate fiscali con il potere d’acquisto dei creoli, spagnoli, meticci.L’operazione ebbe quindi una doppia valenza: da un lato i redditidella Corona aumentarono e dall’altro la proprietà fondiaria fuconferita su basi giuridiche solide, rendendo sicuro il possesso deititolari. L’effetto della normativa è evidente; la maggior parte delleterre rimase in mano agli spagnoli, mentre le comunità e i singoliindigeni ammessi alla composición (perfino con diritto di prelazionesugli altri secondo le disposizioni reali), erano costretti a compraredalla Corona le terre che in origine erano a loro appartenute (150).Tuttavia, la politica legittimò con solide basi giuridiche la proprietàdegli ayllus (ormai inseriti nel sistema delle reducciones) che pote-vano permettersi di acquistare le loro terre, entrando pienamente,almeno dal punto di vista formale, nel sistema delle regole dellaproprietà occidentale. Peraltro, l’assegnazione di legittimità sul pos-sesso fondiario portava con sé un valore economico aggiunto: leterre cominciarono a essere valutate per il fatto di avere titolilegalmente compuestos ed estensioni e limiti maggiori di quelli di cuioriginariamente avevano goduto.

L’operazione delle composiciones insieme alle visitas di tierrasproseguì a intervalli per tutta l’epoca coloniale, consentendo distrutturare la proprietà agraria in forma di haciendas, di piccole

(148) R. MELLAFE, Frontera agraria. El caso del Virreinato peruano en el siglo XVI,cit., pp. 39-40.

(149) Cfr. S. STERN, The Social Significance of Judicial Institutions in a ExploitativeSociety, cit., p. 294. Cfr. inoltre J. H. ROWE, The Incas Under Spanish Colonial Institu-tions, cit., p. 191.

(150) A. URQUIDI, Las comunidades indígenas bolivianas, cit., p. 56. Per la vicendaspecifica degli ayllus di Tocabamba (Potosí) si rimanda a AA.VV., Los ayllus de Tacobam-ba: procesos históricos, desarrollo y poder local, Fundación Pieb, La Paz, 2002, p. 36 e ss.

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proprietà e di comunità indigene che in molti luoghi sopravvivonoancora oggi (151).

4. I confronti tra i modelli: brevi cenni sui casi giurisprudenziali.

Ciò che ci preme sottolineare nella casistica delle prime contro-versie giudiziarie è l’argomentazione incrociata di elementi andini edi diritto occidentale a cui ricorsero le parti. Le liti si rivelaronomezzi di conoscenza di stampo etnografico (caso per caso e in modopoco sistematico) della società indigena; conoscenza che per l’auto-rità spagnola costituiva un importante strumento per constatarecome la struttura originaria andina potesse essere utilizzata a bene-ficio dell’impresa coloniale (152).

Per gli indigeni, invece, il sistema giudiziario spagnolo funzionò,come un’effettiva « arma dei deboli » a cui i capi tradizionali dellecomunità si rivolgevano spesso nelle liti relative a grandi estensionidi terra.

I conflitti si svolgevano tra le parti più diverse (liti tra comunità,tra mitimaes ed encomenderos, tra kurakas e spagnoli, tra gruppietnici e i loro stessi kurakas o viceversa, ecc.) e, sebbene coinvol-gessero gli interessi diretti degli indigeni, nella maggior parte dei casisi trattò di controversie destinate a soddisfare le esigenze deglispagnoli, dei meticci o dell’autorità coloniale (153).

(151) Verso la fine del Settecento, furono create la Superintendencia del Beneficio yComposición de Tierras, dipendente del Consejo de Indias, e i tribunales de tierras(giurisdizione che in seguito passò all’intendente). La nuova istituzione tolse al viceré lafacoltà di conferire titoli, composiciones e donazioni; da allora e fino 1754 (anno in cuila cosiddetta seconda riforma agraria coloniale ripristinò la regola iniziale), tutte lematerie relative alle terre ispanoamericane furono di competenza diretta dei membri delConsejo.

(152) Cfr. J. R. MUNFORD, Litigation as Ethnography in Sixteenth-Century Peru: Polode Ondegardo and the Mitimaes, in Hispanic American Historical Review, 88, 1, 2008, pp.5-6, 8. Per uno studio sulle liti in cui era intervenuto direttamente Polo de Ondegardocfr. R. HONORES, El ius comune en los Andes: una aproximación a los Informes dellicenciado Polo Ondegardo, tesis para optar al grado de magister en Derecho, Pucp,Lima, 2005.

(153) Preme anche sottolineare che che l’élite indigena ricorse alla magistraturaspagnola anche come ulteriore mezzo per sfruttare la fascia più debole dei loro stessigruppi etnici e per mantenere i propri privilegi, in collusione con il potere coloniale.C-

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Come abbiamo avuto modo di illustrare, sono spesso documen-tate liti tra i kurakas o caciques e i loro stessi gruppi etnici a causadella vendita, affitto o semplice possesso delle terre della comunitàda parte degli stessi capi tradizionali (154). Altri tipi di conflittiderivarono dall’eliminazione degli arcipelaghi preispanici a seguitodella politica delle reducciones. I preti e le autorità spagnole esige-vano che gli indigeni fossero presenti in modo continuo nellareducción, principalmente per la celebrazione della messa e per ilpagamento delle tasse. Si è detto, infatti, che le terre originarielontane dalla reducción ma appartenenti allo stesso gruppo etnicorestavano in molti casi abbandonate e quindi potenzialmente esposteall’appropriazione da parte degli hacendados spagnoli o di altriayllus.

Illustriamo brevemente tre contenziosi che documentano talisituazioni.

Un primo caso, rilevato da noti e recenti studi storiografici,riporta la discussione sulle assegnazioni conferite dall’Inca ai miti-maes della valle di Cochabamba (Bolivia) nonché la rivalità tra icaciques coloniali (legati agli encomenderos) e gli antichi capi tradi-zionali (legati ai mitimaes,).

Verso il 1550, il kuraka Hernando Asacalla (cacique principaldella comunità di Paria) cercò di ottenere dall’Audiencia de la Platail riconoscimento dei diritti sulla terra comunitaria nella valle diCochabamba occupata dai residenti locali (mitimaes). Egli legittima-va la sua richiesta sulla base di una concessione di terre comunitariefatta dall’Inca Wayna Qhapaq. I mitimaes risposero che l’IncaWayna Qhapaq non aveva conferito alla comunità tali terre inproprietà, bensì come semplice insediamento affinché provvedesse-

fr. W STAVIG, Ambiguous Visions: Nature, Law, and Culture in Indigenous-Spanish LandRelations in Colonial Peru, cit., p. 88; D. GUILLET, Customary Law and the NationalistProject in Spain and Peru, in Hispanic American Historical Review, 85, 1, 2005, pp. 95-96.

(154) Si tratta di una pratica ricorrente dei caciques nella montagna sacra centroandina di Kaata, secondo quanto rivela J. W. BASTIEN, Mountain of the Condor, Metaphorand Ritual in an Andean Ayllu, Prospect Heights, Waveland Press, Illinois, 1985, trad.spag. di F. Vallvé, La Montaña del Cóndor. Metáfora y ritual en un ayllu andino, Hisbol,La Paz, 1996, p. 56 e ss. Cfr. anche ID., Land Litigations in an Andean Ayllu from 1592until 1972, in Ethnohistory, 26, 2, 1979, pp. 101-131.

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ro all’alimentazione dei lavoratori per il periodo in cui questicoltivavano la terra.

La lite poneva quindi un interessante quesito: esaminando laconcessione fatta dall’Inca in rapporto alla dottrina giuridica occi-dentale, bisognava stabilire se i mitimaes si fossero insediati comeproprietari, o come titolari di un semplice diritto di uso temporaneo.Si trattava perciò di chiarire quale fosse la natura giuridica dell’as-segnazione del sovrano Inca secondo la teoria giuridica occidentale.

Sappiamo che sin dai primi tempi coloniali gli studiosi avevanodiscusso sui presupposti del diritto alla terra in epoca preispanica,per poi applicare gli istituti del diritto occidentale. Il riferimento alleconcessioni dell’Inca era frequente. Nonostante le teorie sulla tiran-nia e sull’illegittimità dello Stato Inca, in molti casi furono propriole assegnazioni di terre operate dall’Inca a decretare la legittimità delpossesso o della proprietà dei contendenti durante il periodo colo-niale.

Dopo più di quindici anni di lite giudiziaria, l’autorità, rappre-sentata dal viceré Toledo, decise di concedere ai mitimaes il man-tenimento del loro possesso in base alla « consuetudine dell’epocaInca », senza però fare riferimento esplicito all’eventuale loro dirittodi « proprietà » (155). È evidente notare una posizione favorevole allatesi che sosteneva che durante l’Impero Inca i territori conquistatifossero soltanto controllati dal sovrano ma non annessi alla suaproprietà. I mitimaes quindi mantennero il loro diritto fondiariosenza alterazione durante l’epoca Inca nonostante le concessioni diterre da parte dell’autorità (156).

Un secondo caso rimanda, invece, alla tematica della rivendica-zione delle terre dei mitimaes in mano spagnola. La causa di unpiccolo gruppo di mitimaes della valle Abancay (Perù) sulla devo-

(155) Cfr. N. WACHTEL, The mitimas of Cochabamba Valley: The Colonization Policyof Huayana Capac, in G. A. COLLIER-R.I. ROSALDO-J.D. WIRTH (a cura di), The Inca andAztec States, 1400-1800: Anthropology and History, Academic Press, New York, 1982, p.199-229; B. LARSON, Colonialismo y transformación agraria en Bolivia, cit., p. 62 e ss.; J.R. MUMFORD, Litigation as Ethnography in Sixteenth-Century Peru: Polo de Ondegardoand the Mitimaes, cit., p. 20 e ss. Riferimenti più generici in T. PLATT-T. BOYUSSE

CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en la Provincia de Charcas(siglos XV-XVII), cit., p. 509.

(156) Sull’argomento cfr. supra 116-117 nota 10.

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luzione delle terre (Chuquipalla, Sacapa, Lucumapampa e Poma-chaclla) occupate dallo spagnolo Juan López de Izturiaga costituisceun’interessante occasione per illustrare la dinamica dello scontro trale regole fondiarie tradizionali e i diritti coloniali.

I mitimaes rivendicavano la terra come loro a ragione dellaconcessione fatta dall’Inca Yupanqui. López de Izturiaga sosteneva,invece, che parti di tali terre (Chuquipalla e Sacapa), furono vendutenel 1545 a uno spagnolo dal suo legittimo proprietario, Yupanamo,cacique principale dei mitimaes yungas, che a sua volta le avevaereditate dai suoi antenati. Sulle terre stesse gli indigeni non avevanoquindi più alcun diritto e, anche nel caso lo avessero avuto, eracomunque intervenuta la prescrizione a causa delle vendite e delpossesso continuo per più di trent’anni. Per quanto concerneva lealtre terre (Lucumapampa e Pomachaclla), lo spagnolo rifiutava ilpreteso diritto, sottolineando di aver occupato delle terre abbando-nate (baldías). Per tale ragione il cabildo di Cuzco aveva potutoconcederle in merced senza danneggiare i mitimaes, che, peraltro,avevano una grande estensione di terre in altri luoghi. Per sostenereil suo diritto, la parte spagnola presentò otto testimoni indigeni, iquali, attestando che tali terre erano in passato appartenute all’Inca,negarono le pretese dei mitimaes i quali affermavano che le terreerano « solo coltivate » per l’Inca e « non » destinate al « sostenta-mento dei mitimaes ». Per López de Izturiaga, l’antica élite preispa-nica aveva agito in qualità di « proprietaria », e pertanto i suoi beniavrebbero dovuto essere restituiti al re di Spagna in ragione dellacontinuità tra la proprietà eminente dell’epoca Inca e quella colo-niale (157).

Secondo questa teoria è chiaro che l’Inca aveva un vero eproprio dominio eminente su tutte le terre dell’impero e che taledominio era stato trasmesso all’autorità spagnola. In sostanza, imitimaes non avevano altro che un mero possesso consentito dallastessa autorità coloniale.

La notevole opera documentaria di Platt, Bouysse-Cassagne eHarris ci fornisce una ricca casistica derivante dalla ormai notatripartizione delle terre dell’Inca, del culto e della comunità. La

(157) Cfr. C. S. ASSADOURIAN, Transiciones hacia el sistema colonial andino, cit., p.150 e ss., in cui si cita come fonte l’opera di W. Espinoza del 1973.

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problematica che ci interessa risale al caso delle terre ancestralidell’Inca della valle Sucusuma (Bolivia) pretese dal Relator de laAudiencia de la Plata Juan Díaz Ortíz a ragione di una merced diterre ottenuta dall’autorità spagnola.

Nel 1592, il defensor general de los naturales Francisco Perez deRinaga, attuando come rappresentante degli indios di Chayanta,sollecitò la dichiarazione di nullità della merced. Díaz Ortíz risposeaffermando che possedeva le terre grazie a una concessione emanatadal Cabildo de la Plata nel 1578. Aggiunse che il diritto degli indiossu tali terre era stato negato poiché, appartenendo quei territori alloStato Inca, gli indigeni non ne erano né proprietari né possessori.Così, dopo la morte dell’ultimo sovrano Inca, tali terre erano stateabbandonate, passando successivamente al dominio del re di Spa-gna, da cui Díaz Ortíz, tramite l’atto di concessione del Cabildo, neaveva acquisito il diritto di proprietà (158).

D’altra parte, l’argomento principale addotto dagli indios diChayanta fu che le terre erano sempre state di loro proprietà, manon dai tempi dell’Inca, bensì ab initio: le terre erano cioè statetramandate di generazione in generazione nei periodi antecedentiall’impero Inca. Il fondamento, secondo quanto si legge nel ricorsodel difensore degli indios, era quindi il possesso immemorabile,argomento peraltro in linea con i testimoni e con le dottrine cheavevano negato il dominio del re Inca sulla terra dei gruppi etniciche aveva sottomesso (159).

Risulta dunque manifesto che l’insediamento degli spagnolinella valle di Sucusuma sia riconducibile al fatto che dopo la cadutadel Tawantinsuyu tali terre erano rimaste vacanti a causa delleformazioni delle prime reducciones toledanas. Anche se tra le fontipubblicate manca la decisione della lite dalla Real Audiencia, lacontroversia rivela un’evidente sovrapposizione di argomentazionibasate sul diritto fondiario tradizionale incaico, da una parte, e

(158) Cfr. T. PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS Qaraqara-Charka, Mallku, Inkay Rey en la Provincia de Charcas (siglos XV-XVII), cit., p. 511 (documento 13. f. 2v.).

(159) Cfr. supra 116-117 nota 10.

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sull’uso delle categorie europee relative al dominio, al possesso e allaprescrizione, dall’altra (160).

(160) I fascicoli del processo sono trascritti alle pagine 623 e ss. del volume di T.PLATT-T. BOYUSSE CASSAGNE-O. HARRIS, Qaraqara-Charka, Mallku, Inka y Rey en laProvincia de Charcas (siglos XV-XVII), cit.: Los Ayllus de Chayanta contra el Fiscal de laAudiencia sobre las tierras en los Yungas de Sucusuma, en Archivio Nacional de Bolivia,La Paz, Tierra e Indios, E Año 1592, n. 149.

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SEZIONE IILA LEGALITÀ REPUBBLICANA

I diversi eventi successivi all’indipendenza degli stati latino-americani condussero allo stabilimento di un ordine politico-economico volto a cancellare il passato coloniale in tutti i suoiaspetti. Per quanto concerne la dimensione agraria, il nuovo ordineconsacrò il primato dell’individualismo proprietario, provocando unsistematico processo di attacco alle forme di possesso tradizionalesopravissute all’interno delle reducciones o ayllus. L’operazione,giustificata dall’autorevolezza delle esperienze europee, consentìl’espansione del mercato delle terre, delle haciendas e infine ilpassaggio dal colonialismo al capitalismo agrario periferico. L’asse-dio esercitato durante il diciannovesimo secolo sulle terre comuni-tarie rispose a un programma statale i cui strumenti giuridici avreb-bero segnato l’inizio dell’« impero della legge » secondo formulematurate nell’Occidente europeo che si cercherà ora di decifrare.

1. Il costituzionalismo del diciannovesimo secolo: il silenzio sullarealtà.

La rivoluzione indipendentista in America Latina segnò l’avven-to dello Stato repubblicano e la conseguente proclamazione di unnuovo ordine. Diversamente da quanto accaduto in Europa, larivoluzione non trasse origine dalla lotta tra la borghesia commer-ciale e la nobiltà terriera, ma si ispirò a un ideale romantico,libertario e nazionalista. L’idea di una proprietà individuale, libera eastratta si collocò dunque alle radici del nuovo scenario politico,acquistando una rilevanza costituzionale, secondo le formulazionigià affermatesi nella Spagna borbonica, in Francia e negli Stati Uniti.Le seguenti pagine intendono illustrare le oscillazioni ideologiche enormative sulle forme di proprietà collettiva alla luce dei testi

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costituzionali di quattro paesi della zona andina: l’Argentina, laBolivia, il Cile e il Perù. La nostra analisi è volta allo studio delprocesso di annientamento del collettivismo fondiario, fenomenogiuridico, storico ed economico che rispecchia i valori agrari pro-mossi dalle neo-repubbliche. La riduzione delle regole fondiarietradizionali alla concezione monolitica di proprietà individuale,condusse al rafforzamento dello Stato assolutista e della nozione diunità nazionale, intesa ormai come rifiuto della diversità culturale epertanto come un’ulteriore alterazione del diritto fondiario nelleAnde.

1.1. L’ideologia.

A partire dalla metà del diciottesimo secolo l’Europa fu interes-sata da un’intensa attività statale volta a stabilire un nuovo ordinedella proprietà fondiaria (161). La nuova concezione, chiamata a

(161) Due importanti opere appartenenti al patrimonio culturale spagnolo rappre-sentano dei passaggi obbligati per chi intenda avvicinarsi al fenomeno giuridico dellariforma dell’assetto agrario europeo del diciannovesimo secolo. Un brillante raccontodella normativa europea sull’abolizione degli usi feudali è presente in G. DE AZCÁRATE,Ensayo sobre la historia del derecho de propiedad y su actual estado en Europa, Imprentade la Revista de Legislación, Madrid, 1880, t. II, pp. 326-375. Per gli effetti della politicarivoluzionaria individualista sulle proprietà comunitarie in Europa sono invece illumi-nanti i passaggi del volume di R. ALTAMIRA Y CREVEA, Historia de la propiedad comunal[Madrid, 1890], Instituto de Estudios de Administración Local, Madrid, 1981, p. 321 ess. Tra i più noti studi della storiografia moderna si veda P. GROSSI, Un altro modo dipossedere. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postuni-taria, Giuffrè, Milan, 1977. Per uno studio sistematico degli attacchi liberali contro leproprietà collettive in Europa e in Latino America si rimanda alle seguenti operestoriografiche: A. DE LA HERA, Precedentes ilustrados del proceso desvinculador y desa-mortizador de bienes de manos muertas, in H. J. PRIEN-R. M. MARTÍNEZ DE CODES (a curadi), El proceso desvinculador y desamortizador de bienes eclesiásticos y comunales en laAmérica española, Siglos XVIII y XIX, Cuadernos de Historia Latinoamericana, n. 7,Ridderkerk,1999, pp. 77-96; S. BRAKENSIEK (a cura di), Gemeinheitsteilungen in Europa.Die Privatisierung der kollektiven. Nutzung des Bodens im 18. und 19. Jahrhundert,Jahrbuch für Wirtschaftsgeschichte 2, Berlin, 2000; M. DE MOOR-L. SHAW-TAYLOR-P.WARDE (a cura di), The Management of Common Land in North West Europe, c.1500-1850, Brepols, Turnhout, 2002; M. D. DEMÉLAS-N. VIVIER (a cura di), Les propriétéscollectives face aux attaques libérales (1750-1914). Europe occidentale et Amérique latine,Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 2003; N. VIVIER, Propriété collective et identitécommunale. Les biens communaux en France 1750-1914, Publications de la Sorbonne,

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fondare le basi economiche dello Stato moderno, abbracciava unadottrina individualista-liberale in espansione, supportata dalle ideefisiocratiche e dal nascente capitalismo agrario, al fine di istituire laproprietà agraria come motore del progresso e complemento del-l’identità socio-economica delle nazioni. In questo modo, nel corsodell’Ottocento europeo, si assiste al perfezionamento di quel rap-porto diretto e unitario tra l’uomo e le cose che condurrà all’asse-stamento della cosiddetta proprietà « moderna », formulazione sem-plice e astratta pensata a partire da e in funzione del singolo, inpieno accordo con le idee illuministe del momento (162).

Paris, 1998; M. GARAUD, Histoire générale du droit privé français (de 1879 à 1804). LaRévolution et la propriété fonciere, Sirey, Paris, 1959, p. 153 e ss.; M. BLOCH, La lutte pourl’individualisme agraire dans la France du XVIII siècle, in Annales d’histoire économiqueet sociale, II, 1930, trad. it. di D. Zardin, La fine della comunità e la nascita dell’indivi-dualismo agrario nella Francia del XVIII secolo, Jaca Book, Milano, 1978; E. CORTESE,voce Domini collettivi, in Enc. dir., XIII, 1964, p. 914 e ss.; J. M. NEESON, Commoners:Common Right, Enclosure and Social Change in England 1700-1820, Cambridge Univ.Press, 1996; T. E. SCRUTTON, Commons and Commons Fields. The History and Policy ofthe Laws Relating to Commons in England [New York, 1887], BiblioBazaar, Charleston,Sc., 2010.

(162) Su tali caratteri della proprietà cfr. P. GROSSI, La proprietà e le proprietànell’officina dello storico, rist. in ID., Il dominio e le cose. Percezioni medievali e modernedei diritti reali, Giuffrè, Milano, 1992, p. 651 e ss.; F. WIEACKER, Privatrechtsgeshichte derNeuzeit unter besonderer Berucksichtigung der deutschen Entwicklung, 2, NeubearbieteAuflage, Vandenhoeck u. Ruprecht, Gottingen, 1967, trad. it. di U. Santarelli e S. Fusco,Storia del diritto privato moderno, Giuffrè, Milano, 1980, vol. I, p. 493 e ss. Non bisognadimenticare che l’instaurazione della proprietà privata come principale presuppostodell’evoluzione del capitalismo agrario, e successivamente industriale, ha motivato unavasta bibliografia sugli effetti dell’individualismo proprietario. Cfr. P. LARKIN, Property inthe Eighteenth Century with Special Reference to England and Locke, Cork Univ. Press,Longmans-Green and Co. Ltd., London, 1930; K. POLANYI, The Great Transformation,Holt, Rinehart & Winston Inc., New York, 1944, trad. it di R. Vigevani, La grandetrasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, 2a ed., Einaudi,Torino, 2000; B. MOORE JR., Social Origins of Dictatorship and Democracy. Lord andPeasant in The Making of the Modern World, Beacon Press, Boston, 1966, trad. it. di D.Settembrini, Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Proprietari e contadininella formazione del mondo moderno, Edizioni di Comunità, Torino, 1998; C. B.MACPHERSON, The Political Theory of Possessive Individualism: Hobbes to Locke, Claren-don Press, Oxford, 1962, trad. it. di S. Borutti, Libertà e proprietà alle origini del pensieroborghese. La teoria dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, Isedi, Milano, 1973;A. MACFARLANE, The Origins of English Individualism. The Family, Property and Social

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Il nuovo programma era semplice quanto assoluto: bisognavamettere al centro della scena l’individualismo, allora percepito comeunico motore di progresso. Erano tempi in cui, come afferma PietroCosta, era ancora presente, sullo sfondo, l’antico nesso fra proprietàe personalità, fra proprietà e autodisciplina, patrimonio comune disocietà che avevano fatto dell’assioma libertà = proprietà il loroprincipio fondamentale. L’ordine si reggeva di conseguenza sull’isti-tuto della proprietà e sul principio della libertà contrattuale e ilcompito dello Stato nasceva e finiva con la salvaguardia di tali regolebasilari (163).

Evidentemente, si tratta di una formula volta a creare un dirittoassoluto di fronte al potere politico e proprio per questa ragione lamassima di Portalis, « al cittadino appartiene la proprietà, al sovranol’impero », si ripropone nell’attualità come una lucida formula perspiegare il legame tra l’esercizio di diritti politici e la posizioneproprietaria del singolo (164). Sia dal punto di vista politico sia daquello tecnico-giuridico, si comprende come la concezione di pro-prietà moderna, concretizzatasi nella codificazione napoleonica, sta-biliva l’illimitatezza dei poteri del proprietario nonché la negazionedella proprietà dei gruppi. Per questa ragione, le modalità strutturalidel diritto di proprietà, come puntualizza Rodotà, concorrevanoindiscutibilmente a imporre la lettura dell’istituto in chiave indivi-dualista (165).

Transition, Blackwell, Oxford, 1978. Si rimanda inoltre alle recenti riflessioni di E.MEIKSINS WOOD, The Origin of Capitalism. A Longer View, Verso, London-New York,2002.

(163) P. COSTA, Cittadinanza, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 62-63.(164) S. RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, Il Mulino, Bologna,

2a ed., 1990, p. 105.(165) Ibid., p. 106. Conviene però aggiungere che il contenuto dell’istituto, come

emerge dalla seconda parte dell’art. 544 del Code, resta in ogni caso affidato allalegislazione di ciascun momento storico. Questo punto è stato notevolmente sottolineatoda Gambaro per cui, « il diritto di proprietà descritto nel codice napoleonico non èautonomo, e quindi la sua valenza economico-sociale dipende dalle discipline concor-renti relative all’utilizzazione dei beni. Pertantto, esso può divenire una regolamentazio-ne di carattere individualistico, o anche del tutto egoistico, solo in virtù dei vasti silenziche l’ordinamento eventualmente gli costruisca attorno ». Si comprende quindi che,seguendo ancora Gambaro, la nozione di proprietà formulata dal codice napoleonicoelimina ogni garanzia verso gli atti del governo perché costringe a pensare che il

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Nel nuovo scenario le forme di appropriazione collettiva rap-presentavano quanto meno delle « anomalie »; si volle perciò ridurrel’esercizio dei diritti che da esse derivavano incoraggiando la suddi-visione e la recinzione delle terre tramite un poderoso artefattostatale: la legge. A partire da quel momento essa, produzionecopiosa dello Stato e fonte monista del diritto, divenne l’unica e veraespressione della volontà del potere centrale, nonché lo strumentoideale per eliminare ogni forma di possesso diverso dal modelloindividuale patrocinato dal potere centrale.

Ecco lo scenario successivo all’affermazione del nuovo indirizzogiuridico-politico che trasformò il diritto a partire dalla secondametà del diciottesimo secolo. Ci riferiamo all’Illuminismo giuridicoe al precetto secondo cui gli uomini, in quanto tali, nascono condiritti naturali e imprescrittibili, riconosciuti da una legge derivatadalla sola Ragione (166). Ci riferiamo alla fisiocrazia e al suo attaccocontro il regime fondiario feudale, contro la concezione divisa deldominio e i limiti alla libera circolazione dei beni (167). Ci riferiamo,in breve, all’affermarsi della cosiddetta modernità giuridica (168),attraverso l’instaurazione dello Stato assolutista moderno, con la suanecessità di controllare in modo sistematico il territorio, monopo-lizzando la produzione giuridica (169).

Sono perciò illuminanti le parole di Grossi quando afferma cheil tema delle proprietà collettive è stato uno dei più importantibanchi di prova dell’assolutismo giuridico ottocentesco: per quasitutto il secolo, tra le principali preoccupazioni dello stato monopo-

contenuto della proprietà privata è definibile in base ad altre norme legali e non mai inriferimento a schemi di pensiero esterni alla legislazione. Cfr. A. GAMBARO, Il diritto diproprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo-Mengoni, VIII, 2,Giuffrè, Milano, 1995, pp. 130 e 120.

(166) Cfr. G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codifi-cazione del diritto, Il Mulino, Bologna, 1976, pp. 227, 259.

(167) Per un’approfondita analisi sugli effetti della scuola fisiocratica in ambitogiuridico cfr. M. EINAUDI, The Physiocratic Doctrine of Judicial Control [1938], HarvardUniv. Press, Massachusetts, 1974; G. REBUFFA, Origine della ricchezza e diritto diproprietà: Quesnay e Turgot, Giuffrè, Milano, 1974. Dettagli e rinvii bibliografici sonoreperibili anche in G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, cit., p. 356 e ss.

(168) P. GROSSI, L’Europa del diritto, La Terza, Roma-Bari, 2007, p. 135 e ss.(169) P. GROSSI, Assolutismo giuridico e proprietà collettiva, rist. in ID., Il dominio e

le cose, cit., p. 696.

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lizzatore vi è stata quella di rimuovere gli assetti proprietari collet-tivi. Poiché in un simile stato borghese tutto ciò che concerneval’appartenenza dei beni aveva una rilevanza pesantemente pubblici-stica, la vicenda diventò inevitabilmente un problema di ordinepubblico e perciò squisitamente costituzionale (170). La presenza ditali elementi e la mitologia della legge scritta come fonte sacra,inamovibile e dogmatica della realtà sociale, guidarono quell’asso-lutismo statale al nuovo concetto di proprietà, ora intesa comepotere senza limitazioni e perfino privo di responsabilità (171).

Ed ecco il risultato: l’età del liberalismo si accompagnò a quelladel più acceso assolutismo giuridico (172). Si manifestava così unachiusura netta verso le forme di appartenenza che non si adeguavanoa taluni concetti. Da quel momento in avanti, tali modelli furonoconsegnati all’universo dell’inesistenza per il diritto ufficiale.

Fu un noto giurista spagnolo, Rafael Altamira y Crevea che, sulfinire dell’Ottocento, riuscì a condensare in una fortunata frasel’effetto della penetrazione dell’individualismo in ambito fondiario:« con l’aumentare dell’individualismo personale aumentava anche ilfrazionamento della proprietà, il cui carattere comunitario perdevaterreno, difendendosi e sostenendosi solo per forza della consuetu-dine » (173). La consuetudine, nascosta al margine della legge statale,è infatti l’espressione che meglio rivela il modo in cui sono soprav-vissute le forme di appropriazione collettiva durante i decenniseguiti all’instaurazione del nuovo assetto fondiario.

La sintesi dello scenario europeo evidenzia il contesto intellet-tuale in cui si trovarono a operare le prime autorità degli statiindipendenti latinoamericani quando, una volta al potere, hannoguardato all’orizzonte rivoluzionario europeo e, ormai libere delgiogo spagnolo, hanno cercato di affrancarsi da ogni vestigia colo-niale nel nome del liberalismo. A tale proposito, Juan Bautista

(170) Ibid., pp. 698-699.(171) M. VIDAL, La propriété dans l’école de l’exégèse, in Quaderni Fiorentini, 5/6, I,

1976-1977, p. 30.(172) P. GROSSI, I domini collettivi come realtà complessa nei rapporti con il diritto

statuale, in P. NERVI (a cura di), I demani collettivi e le proprietà collettive, Cedam,Padova, 1998, p. 18.

(173) R. ALTAMIRA Y CREVEA, Historia de la propiedad comunal, cit., p. 321.

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Alberdi scriveva dall’Argentina: « I nostri legislatori non guardavanoaltro che alla necessità di proclamare e assicurare la nostra indipen-denza e di sostenere i principi di eguaglianza e libertà come base delgoverno interno » (174). Così, Bolívar e Sucre, San Martín e O’Higgins si affannarono in una serie di dichiarazioni rivoluzionarie ei loro successori, in seguito alla formazione di testi costituzionali cheavevano lo scopo di mettere in pratica il nuovo ordine, annullaronoi diritti di coloro che incarnavano culture con una concezione diordine diversa dalla loro. Poiché lo Stato liberale moderno avevafatto sua l’equazione tra stato e nazione, nel suo intento di unifica-zione aveva assimilato le culture diverse, eliminando ogni forma dipluralismo culturale e quindi giuridico (175).

Ci si avvicina così a un momento di importanza centrale: icondottieri militari avevano proclamato l’indipendenza e parallela-mente alle loro dichiarazioni avevano suggerito le linee guida delnuovo assetto politico, attraverso l’adozione di costituzioni. A taleproposito — puntualizza Clavero — in America Latina la codifica-zione non fu imposta dall’Europa, ma fu intrapresa per decisionedegli stati in cui, durante i primi decenni del diciannovesimo secolo,si erano sviluppate le lotte per l’indipendenza (176). Questo primomomento repubblicano rappresentò la svolta storica nella ricezionedella codificazione moderna; si trattò dell’avvento della Costituzio-ne, fonte prima dei codici successivi (177).

Tornando alla questione principale, dobbiamo portare l’atten-zione sulla forma di rivoluzione che più ci interessa: quella agraria.

(174) J. B. ALBERDI, Bases y puntos de partida para la organización política de laRepública de Argentina, 2ª ed., Plus Ultra, Buenos Aires, 1980, p. 26.

(175) Per un’analisi di questo assioma si veda il classico contributo di E. J.HOBSBAWM, Nations and Nationalism since 1780, Cambridge Univ. Press, Cambridge,1990.

(176) B. CLAVERO, Códigos como fuente de derecho y desague de constitución, in P.CAPPELLINI-B. SORDI (a cura di), Codici. Una riflessione di fine millennio, atti dell’incontrodi studio (Firenze, 26-28 ottobre 2000), Giuffrè, Milano, 2002, pp. 106-107. Per idettagli sulle diverse trasformazioni che il liberalismo costituzionale apportò a partiredalla seconda metà del diciannovesimo secolo si rimanda ai contributi del volumecollettivo di M. CARMAGNANI (a cura di), Constitucionalismo y orden liberal. AméricaLatina, 1850-1920, Otto Editore, Torino, 2000.

(177) Cfr. B. CLAVERO, Codificación y constitución: paradigmas de un binomio, inQuaderni Fiorentini, 18, 1989, p. 81 e ss.

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Raggiunta l’indipendenza si avvertì la necessità di un radicale rin-novamento giuridico. I principi di libertà e uguaglianza si oppone-vano infatti ad alcune istituzioni che risalivano all’epoca coloniale.Ciò rese necessaria una rivoluzione volta a svincolare la terra damaggioraschi, cappellanie e patronati, a liberare la proprietà dallemodalità di diritti di censo, ad abolire gli ostacoli alla libera circo-lazione dei beni e a riscattare, insomma, la terra dalla manomor-ta (178). Beninteso, negli stati andini la rivoluzione agraria che siavviava non interessò il latifondo, in quanto di proprietà del singolo;il bersaglio furono invece le comunidades o ayllus, le cui terre furonoconsiderate « morte » e perciò valutate come ostacoli allo sviluppodello Stato moderno.

Tra le conseguenze che il processo « liberatorio » fondiarioportò con sé, ci interessa sottolineare il progressivo annientamentodel diritto alla terra delle comunità indigene, attraverso la divisionee la sottomissione delle loro terre alle norme del diritto comunerepubblicano. Sappiamo ormai che durante l’epoca coloniale taliterritori avevano goduto di un regime speciale, dal momento che lafilosofia del tempo aveva consentito il mantenimento di tutti quegliusi e costumi che non fossero contrari alla legislazione reale o allafede (179). Nella Recopilación de Leyes de las Indias si riscontrano

(178) A. LEVAGGI, El proceso desamortizador y desvinculador de los bienes de manosmuertas desde la óptica jurídica, in H. J. PRIEN- R.M. MARTÍNEZ DE CODES (a cura di), Elproceso desvinculador y desanmortizador de bienes eclesiásticos y comunales en la Américaespañola, siglos XVIII y XIX, cit., p. 52. Maggiori dettagli sull’esperienza peruviana,nonché rinvii bibliografici generali, sono reperibili in C. RAMOS NÚÑEZ, Historia delderecho civil peruano. Siglos XIX y XX, Pucp, Lima, 2003, t. IV. p. 168 e ss.

(179) Tra le numerose opere sulla tematica della consuetudine in America Latina sirimanda nello specifico a V. TAU ANZOÁTEGUI, La costumbre jurídica en la Américaespañola (siglos XVI-XVIII), in Revista de Historia del Derecho, 14, 1986, pp. 355-425; C.J. DÍAZ REMENTERÍA, La costumbre indígena en el Perú hispano, in Anuario de EstudiosAmericanos, 33, 1976, pp. 189-215; T. HERZOG, Indiani e cowboys: il ruolo dell’indigenonel diritto e nell’immaginario ispano-coloniale, in A. MAZZACANE (a cura di), Oltremare.Diritto e istituzioni dal colonialismo all’età postcoloniale, Istituto Suor Orsola Benincasa,Napoli, 2006, pp. 17-27. Sulla dinamica degli strati giuridici coloniali è utile il testo diV. TAU ANZOÁTEGUI, El derecho indiano en su relación con los derechos castellano y común,in B. CLAVERO-P. GROSSI-F. TOMÁS Y VALIENTE (a cura di), Hispania. Entre derechospropios y derechos nacionales, atti dell’incontro di studio (Firenze-Lucca, 25-27 maggio1989), Giuffré, Milano, 1990, p. 578.

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disposizioni relative agli indios, ai loro diritti fondiari collettivi e alledifferenti tipologie di uso comune delle terre. Numerose normeavevano nel tempo garantito il rispetto del possesso delle terre daparte degli indigeni (180). In tale ambiente, come si è evidenziato,particolare fu la sorte degli ayllus; questi, ridotti nelle reducciones,avevano visto riconfigurare la loro situazione secondo delle figurenote alla tradizione civilistica europea (possesso, usufrutto o pro-prietà, a seconda dei casi) e ciò aveva consentito loro di mantenerele pratiche tradizionali (181).

Tuttavia un simile equilibrio tra Stato coloniale e gruppi indi-geni era destinato a fallire al sopraggiungere del periodo repubbli-cano. Ottenuta l’indipendenza, mutati i tempi, gli intellettuali e lenuove autorità furono chiamati a realizzare in concreto l’ideologiadel nuovo ordine e a ricostruire le forme giuridiche e sociali dellenuove nazioni su una base del tutto eurocentrica. Fu così ritenutaanomala ogni differenza riscontrata tra il modello teorico, di cui essierano fautori, e la realtà locale.

Ed ecco l’elementare domanda che, seguendo la formula dellastorica Marie-Danielle Demélas, è doveroso porsi: quale sorte loStato moderno doveva riservare a tali strutture collettive in unsistema che non riconosceva altro che l’individuo? (182).

Secondo Simón Bolívar lo Stato doveva erigersi sulla sola Ragione;questo implicava l’introduzione di un concetto estraneo all’eredità

(180) Si vedano le leggi 5, 7, 9, 12, 16, 17, 18 e 19, tit. 12, lib. IV; 8, 14 e 20, tit. 3,lib. VI. Cfr. anche supra 159-160. Occorre tuttavia aggiungere che la politica protezio-nista delle terre indigene non fu un fenomeno esclusivo dei primi secoli del periodocoloniale. La Real Cédula del 15 ottobre 1754, nota come Seconda riforma agrariacoloniale, difendeva in particolar modo la « proprietà » comunitaria dei popoli oreducciones indigene, proteggendo le situazioni sia di fatto sia di diritto anteriori al 1700e ammettendo a conferma reale (composición) il possesso di fatto successivo a quelladata. Cfr. J. M. OTS CAPDEQUÍ, El régimen de la tierra en la America española durante elperiodo colonial, Santo Domingo, 1946; A. MALDONADO, Derecho agrario. Historia,doctrina y legislación, La Paz, 1956, p. 245 e ss.

(181) Cfr. supra 150-151 e 157 ss.(182) M. D. DEMÉLAS, L’invention politique - Bolivie, Equateur, Pérou au XIXe siècle,

Editions Recherches sur les Civilisations, Paris, 1992, trad. spag. di E. Rivera Martínez,La invención política. Bolivia, Ecuador, Perú en el siglo XIX, Ifea-Iep, Lima, 2003, p. 361.

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della storia latinoamericana (183). La repubblica, pertanto, avrebbedovuto interrompere ogni legame con il passato coloniale e realizzare,tramite un’esauriente produzione legislativa, gli ideali della Rivolu-zione francese e quelli sorti durante i dibattiti delle Cortes di Cadice:la libertà e l’uguaglianza formale. Tali principi comportavano l’assi-milazione (almeno declamatoria) della classe indigena alla condizionedi cittadino moderno, passando così dalla politica coloniale di con-servazione dell’identità indigena, all’assimilazione e omogeneizzazio-ne culturale dell’indio secondo i nuovi valori repubblicani (184). Inbase a questo ordine di idee si può comprendere come la nuova con-dizione del « cittadino » indigeno, proiettata sullo sfondo del sistemaeconomico, potesse concretizzarsi solo eliminando il sistema comu-nitario di possesso fondiario attraverso la sua conversione in proprietàindividuale e diretta.

I liberali dell’Ottocento di conseguenza non diedero importanzaai rapporti fondiari preispanici sopravissuti all’epoca coloniale, inquanto seguivano un pensiero universale, senza alcun riferimentoterritoriale, e una ragione astratta priva di tradizione.

Tale premessa determinò, in seno alla Junta Revolucionaria deSanta Fe de Bogotá, la promulgazione del decreto del 24 settembre1810 che stabilì l’uguaglianza dei diritti, la cittadinanza degli indi-geni e la ripartizione delle terre di resguardos (comunità) in proprietàindividuali. Sulla base delle stesse premesse, con il decreto del 27agosto 1821 il Libertador José San Martín proibì di chiamare gliaborigeni indios o naturales, per sottolineare che essi erano figli ecittadini del Perù e che come peruviani dovevano essere identificati.Allo stesso tempo, e seguendo i medesimi presupposti, il decreto diSucre del 19 febbraio 1826 proibì le segregazioni parrocchiali, inquanto non dovevano più esistere luoghi riservati ai creoli e agliindios; ed i decreti agrari emanati da Simón Bolívar a Trujillo (1824),

(183) C. ALJOVÍN DE LOSADA, Caudillos y constituciones: Perú 1821-1845, InstitutoRiva-Agüero Pucp/Fondo de Cultura Económica, Lima-México D.F,, 2000, p. 82, 84.

(184) Sui diversi modelli costituzionali relativi allo statuto dell’indigeno in SudAmerica sono interessanti le pagine di R. YRIGOYEN, Hitos del reconocimiento delpluralismo jurídico y el derecho indígena en las políticas indigenistas y el constitucionali-smo andino, in M. BERRAONDO (a cura di), Pueblos indígenas y derechos humanos,Universidad de Deusto, Bilbao, 2006, pp. 537-567.

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Cuzco (1825) e Chuquisaca (1825), come vedremo, assestarono idiritti fondiari degli indios secondo la formula dell’inidividualismoproprietario (185).

Dalla prospettiva iuspubblicista, l’opera di Juan Bautista Alberdi,principale ideatore del progetto della Costituzione argentina del 1853,rivela il pensiero dei primi artefici di testi costituzionali sulla proprietà.Influenzato dalle idee liberali di Spencer e di Smith, egli riteneva chela repubblica dovesse conferire ampi margini all’iniziativa privata. Inbase a tale presupposto, per Alberdi, la proprietà privata, fondata sulriconoscimento del diritto di uso e di disposizione esclusiva del pro-prio lavoro, capitale e delle proprie terre, doveva essere consideratacome il motore principale della ricchezza della nazione (186). E perciòasseriva che « [...] ogni legge che tolga al possessore lo stimolo attualedella proprietà completa e assoluta, lo fa diventare indolente perchéniente stimola la sua attività: lo fa diventare pigro per l’incertezza incui rimane la sua proprietà o possesso... » [...] « ...la proprietà non puòprodurre tutti i risultati di cui è capace in beneficio della popolazionee del benessere della maggioranza se non quando è libera nella suaacquisizione, trasmissione, collocazione e uso » (187). In Alberdi ilsenso ultimo dell’economia era umanista e spirituale; si trattava di« cambiare la condizione dell’uomo argentino » e di superare la po-vertà e l’arretratezza tramite la garanzia del diritto di proprietà. Laricchezza fondiaria costituiva quindi l’oggetto primordiale nella co-struzione della nazione. I territori dovevano essere resi produttivi e atale scopo occorreva popolare i vasti territori dell’Argentina « conmaggiore e migliore popolazione » poiché per il noto pubblicista « go-vernare » era sinonimo di « popolare » (188).

(185) Cfr. M. D. DEMÉLAS, La invención política, cit., pp. 362-363, 394-396; G.FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidades campesinas delPerú, Editorial San Marcos, Lima, 2007, p. 82.

(186) J. B. ALBERDI, Sistema económico y rentístico de la Confederación Arjentinasegún su Constitución de 1853, Imprenta y Librería del Mercurio, Valaparíso, 1854, p. 16.

(187) Citazione tratta da A. LEVAGGI, El proceso desamortizador y desvinculador delos bienes de manos muertas desde la óptica jurídica, cit., p. 54. Per approfondimentisull’ideologia e sul contributo di Alberdi cfr. J. MAYER, Alberdi y su tiempo, BuenosAires, Eudeba, 1963.

(188) Espressione usata nell’introduzione delle sue Bases y puntos de partida para laorganización política de la República de Argentina (1852). Sull’argomento cfr. B. CANAL

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Queste riflessioni erano di certo note al giurista ed economistapolitico Nicolás Avellaneda che nelle pagine del suo volume Estu-dios sobre las leyes de las tierras (1865) sosteneva, ricordandoBentham, la necessità di moltiplicare i proprietari, ricorrendo almodello di colonizzazione nordamericano per « perpetuare la Re-pubblica Argentina » (189). Lo stesso Avellaneda, ormai divenutopresidente della Repubblica, avrebbe promulgato la legge di immi-grazione del 1876, che proclamò il carattere migratorio-colonizzatore della Nazione argentina.

Tali premesse costituivano in definiva la base ideologica per laConquista del Desierto: la campagna militare argentina contro ipopoli indigeni che, intorno al 1880, condusse all’occupazione eall’incorporazione dei territori della Pampa e della Patagonia. Lostesso termine desierto suggerisce un’idea dispregiativa delle popo-lazioni indigene che occupavano la vasta area australe. Raggiunto loscopo di popolare la zona, il presidente Julio Argentino Roca nel suomessaggio al Congresso dell’8 maggio 1881 affermò: « non passa unsolo indio per le stesse praterie ove molte tribù avevano i propriinsediamenti [...] e il valore delle terre aumenta in proporzioneinattesa. Sulle rive del Rio Negro molti degli indios prigionieri osottomessi sono oggi peones alla giornata [...] le tribù scompaiono eil selvaggio si sottomette alle esigenze della civiltà [...] ». « Si sonoliberati per sempre dal dominio indigeno quei vastissimi territori,che ora si presentano pieni di abbaglianti promesse per l’immigratoe per il capitale straniero » (190). Ciò che si perseguiva, in breve, era

FEIJOO, Constitución y revolución: Juan Bautista Alberdi, Fondo de Cultura Económica,Buenos Aires, 1955, p. 357 e ss.; H. CIAPUSCIO, El pensamiento filosófico-político deAlberdi, Ediciones Culturales Argentinas, Buenos Aires, 1985, p. 172.

(189) N. AVELLANEDA, Estudios sobre las leyes de tierras públicas, Imprenta del Siglo,Buenos Aires, 1865, p. 8, 133 e 147.

(190) La citazione testuale corrisponde al messaggio rivolto al Congresso l’8 maggio1881, riportato in M. ROSTI, Gli indios e la terra nell’attuale Costituzione argentina, in M.G. LOSANO (a cura di), Un giudice e due leggi. Pluralismo normativo e conflitti agrari inSud America, Giuffrè, Milano, 2004, p. 89. L’Argentina dell’Ottocento rappresenta unimportante esempio dell’uso della forza militare per eseguire azioni di competenza deifunzionari civili. In questa zona, il processo di transizione verso l’ordine liberalerepubblicano si caratterizzò per la constante partecipazione delle forze militari nelle piùvarie materie di governo. Cfr. R. FORTE, Los militares argentinos en la construcción y

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l’occupazione di nuovi territori mediante lo sterminio delle popola-zioni indigene. Conquista del Desierto in Argentina, Pacificación de laAraucanía nell’esperienza cilena; entrambi gli eufemismi nascondo-no il processo di genocidio del popolo indigeno come preamboloallo sviluppo economico delle nazioni indipendenti. L’operazionerappresenta perciò un chiaro e significativo esempio di accumula-zione « originaria » — per saccheggio ed esproprio — sviluppatasi apartire dall’alleanza tra Stato e capitale (191). Tuttavia, sia in Cile siain Argentina, l’espansione dell’economia avrebbe allo stesso tempocomportato la diffusione di un vecchio sistema di organizzazionedella produzione: l’estancia argentina e il fundo cileno, varianti delsistema dell’hacienda (192).

In quest’ordine di idee, l’affermazione del latifondista e politicoliberale boliviano, José Vicente Dorado, avanzata per giustificare lavendita delle terre comunitarie indigene, ci fornisce un’immagine delrazzismo sfrontato dei grandi proprietari terrieri del dicannovesimosecolo. Dorado, seguace delle dottrine di libero scambio deglieconomisti inglesi e difensore della corrente agraria liberale delPartido Rojo, affermava nel suo Proyecto de repartición de tierras yventa de ellas entre los indígenas (1864) che: « togliere questi terrenidalle mani dell’indigeno ignorante e arretrato, senza mezzi, nécapacità o volontà per coltivarli, e passarli all’intraprendente, attivae intelligente razza bianca, avida di proprietà e fortuna, piena diambizioni e necessità, risulta effettivamente la conversione più op-portuna, nell’ordine sociale ed economico della Bolivia. Svincolarlaquindi delle “mani morte” dell’indigeno significa riportarla alla sua

consolidación del estado liberal, 1853-1890, in M. CARMAGNANI (a cura di), Constitucio-nalismo y orden liberal, cit., pp. 97-102.

(191) G. GALAFASSI, La seconda conquista. Il saccheggio delle risorse naturali e delterritorio e la resistenza degli indigeni nella Patagonia argentina, in R. MARTUFI-L.VASAPOLLO (a cura di), Futuro indigeno: La sfida delle Americhe, Jaca Book, Milano, 2009,p. 121.

(192) J. CHONCHOL, Sistemas agrarios en América Latina. De la etapa prehispánica ala modernización conservadora, Fondo de Cultura Económica, México D.F.-Santiago deChile, 1996, p. 117. Il contesto comparativo di entrambi i processi è stato recentementedelineato dall’antropologa I. HERNÁNDEZ, Autonomía o ciudadanía incompleta. El pueblomapuche en Chile y Argentina, Cepal, Santiago de Chile, 2003, pp. 134-145.

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condizione produttiva, di utilità e beneficio per l’umanità intera[...] » (193).

Sono parole eloquenti. Lo scopo dell’operazione liberale pro-posta da Dorado non era diverso da quello intrapreso in Argentinao Cile. Si trattava di utilizzare le regole dello Stato di diritto perimpadronirsi delle terre di comunità, trasferendole, tramite diversimeccanismi legislativi, alla classe creolo-europea come proprietàindividuale.

E all’imposizione monista dell’istituto della proprietà individua-le si aggiunse la formalizzazione del possesso attraverso l’iscrizione alcatasto dei titoli di dominio. Così, alla reinvenzione giuridica del-l’indigeno come libero cittadino, si ricollega la formazione deiregistros di proprietà che, garantendo il diritto individuale sulla terrae stabilendo le conseguenti basi per il pagamento del tributo, siinnalzarono a « vera Costituzione dell’Impero » (194).

Dalle precedenti osservazioni è facile evincere come il discorsoideologico appena delineato fosse dominato da un atteggiamentoetnocentrico, ovvero, da un quadro distorto della realtà, offuscatadalla prospettiva europea con cui gli intellettuali avevano osservatol’orizzonte repubblicano. (195).

È certo dunque che lo sguardo delle autorità era rivolto ad altre

(193) Citato in S. RIVERA CUSICANQUI, Oprimidos pero no vencidos. Luchas delcampesinado aymara y qhechwa de Bolivia 1900-1980, Unrisd, Ginebra, 1986, pp. 13-14.Per maggiori dettagli cfr. L. ANTEZANA E., La política agraria en la primera etapa nacionalboliviana, Plural Editores, La Paz, 2006, pp. 136-137.

(194) È l’espressione dell’avvocato potosino Modesto Omiste citata da T. PLATT,Liberalism and the Ethnocide in the Southern Andes, in History Workshop Journal, 17, 1,1984, p. 6.

(195) Sull’argomento sono interessanti i contributi del volume collettivo E. LANDER

(a cura di), La colonialidad del saber: eurocentrismo y ciencias sociales. Perspectivaslatinoamericanas, Clacso, Buenos Aires, 2000; A. FILIPPI, Radici dell’etnocentrismogiuridico-politico, in Quaderni dell’Istituto di Studi Economici e Sociali, Università degliStudi di Camerino, 10, 1994, p. 105 e ss. Occorre inoltre ricordare che la dicotomia trala realtà e il modello imposto in America Latina si sviluppò a partire dall’inizio delcolonialismo castigliano; così il concetto stesso di ius naturale moderno, applicato perdare risposta alle discussioni giuridiche che il Nuovo Mondo sollevava, conteneva unanozione tutta europea di « ragione », alla quale giuristi e teologi attribuirono invece unavalenza universalistica. Sul punto cfr. A. A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea delNuovo Mondo, Laterza, Bari-Roma, 2007, p. 15; L. NUZZO, Il linguaggio giuridico della

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latitudini e che pertanto, come afferma l’antropologo Tristan Plattanalizzando il panorama repubblicano boliviano, la persistenza del-l’ayllu andino-coloniale si interponeva come ostacolo anacronistico,posticipando l’ingresso della Bolivia — e diremo noi del resto deglistati andini — nel gruppo delle nazioni libere (196).

Per lo Stato repubblicano le forme tradizionali di possessorappresentavano delle anomalie che, in quanto tali, relativizzavano ediversificavano lo schema monista della proprietà libera e individua-le voluta dalla modernità.

Apparentemente, durante il diciannovesimo secolo, si è pertantosviluppata in America Latina una concezione universalista del dirit-to. In realtà, come sostiene Clavero, si trattò di un’universalitàlimitata, dell’imposizione di un concetto particolare presentato inve-ce come generale. Tale fenomeno da conto di una forma di impe-rialismo, innanzitutto culturale; non si postulava un diritto per tutti,ma un diritto per determinati cittadini, per quegli individui fortunatiche rispondevano alla concezione culturale — minoritaria — patro-cinata dal potere politico (197).

Il silenzio costituzionale sulla presenza indigena e l’uso delleleggi per dividere le terre si configurarono come mezzi imprescin-dibili dello Stato repubblicano per concretizzare l’ideologia delnuovo ordine: quella del corpus dottrinario del liberalismo, chetuttavia nell’interpretazione latinoamericana assunse gradualmenteun carattere riduzionista. Tutto ciò rappresentava, nelle parole dellostorico Carmagnani, l’accettazione, quasi esclusiva, dei principi delliberalismo economico che, senza scontrarsi con gli interessi delcapitale straniero, finivano col favorire la classe dominante dellegrandi oligarchie (198). Fu questo, per l’appunto, lo sfondo ideolo-gico adottato, con connotazioni imperialistiche e xenofobe, per

conquista, Jovene Editore, Napoli, 2004; A. PAGDEN, Spanish Imperialism and the PoliticalImagination, Yale Univ. Press, New Haven-London, 1990, p. 13 e ss.

(196) T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, Iep, Lima, 1982, pp. 88-89.(197) B. CLAVERO, Derecho indígena y cultura constitucional en América, Siglo

Veintiuno editores, Madrid, 1994, p. 23.(198) M. CARMAGNANI, La grande illusione delle oligarchie. Stato e società in America

latina (1850-1930), Loescher editore, Torino, 1981, pp. 172-173.

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perpetuare l’egemonia delle dottrine europee sull’assetto fondiarionelle Ande (199).

1.2. I testi e il programma dei documenti costituzionali (200 ).

L’America Latina è terra fertile di testi costituzionali. Si stimache dall’indipendenza a oggi i paesi latinoamericani abbiano pro-mulgato circa duecento carte costituzionali. Ma la cifra, tuttavia, nondeve essere motivo di giubilo; l’esperienza latinoamericana ha infattidimostrato come le costituzioni rispecchiassero la fragilità istituzio-nale e l’oscillazione costante degli interessi politici ed economici deigoverni di turno (201). In linea di principio, la maggior parte di esseripropongono la linea dell’assolutismo borbonico, rappresentandouna vera e propria attualizzazione dell’autoritarismo, ormai presi-denziale, con un marcato carattere centralizzato e oligarchico (202).

Come si era verificato in Francia con il trionfo della classeborghese, o negli Stati Uniti con la crescente influenza del pensierodi Alexander Hamilton, i suddetti testi erano indirizzati a proteggerel’oligarchia e quindi a fondare la base istituzionale nella ricchezza

(199) Sull’argomento cfr. T. PLATT, Liberalism and the Ethnocide in the SouthernAndes, cit., p. 15; O. CELESTINO, La terre et les hommes au Pérou: la Valle du Chancay duXVIe au XIXe siècle, in M. GODELIER (a cura di), Transitions et subordination aucapitalisme, Editions de la Maison de Sciences de l’Homme, Paris, 1991, p. 308.

(200) Per i testi costituzionali del Perù si rimanda al sito web dell’Archivo Digital dela Legislación en el Perú: http://www.congreso.gob.pe/ntley/Default.asp (consultato il12/01/12); per il Cile cfr. R. ANGUITA-V. QUESNEY, Leyes promulgadas en Chile desde 1810hasta 1901 inclusive, Imprenta Nacional, Santiago de Chile, 1902. Sulla Costituzioneargentina del 1853 abbiamo consultato il testo pubblicato in J. B. ALBERDI, Sistemaeconómico y rentístico de la Confederación Arjentina según su Constitución de 1853, cit.Per il periodo costituzionale boliviano 1826-1947 si rinvia a R. SALINAS MARIACA (a curadi), Las constituciones bolivianas, Artística, La Paz, 1947.

(201) Durante il diciannovesimo secolo si promulgarono undici testi costituzionaliin Bolivia (1826, 1831, 1834, 1839, 1843, 1851, 1861, 1868, 1871, 1878, 1880); dodici inPerù (1823, 1826, 1828, 1834, 1836 x3, 1839, 1856, 1860, 1867); cinque in Cile (1818,1822, 1823, 1828, 1833); tre in Argentina (1819, 1826, 1853).

(202) Lo afferma Heise per la Costituzione cilena del 1833 in concordanza con lageneralità dei primi testi costituzionali e il pensiero dei condottieri americani; cfr. J.HEISE GONZÁLEZ, 150 años de evolución constitucional, 7a ed. Andrés Bello, Santiago deChile, 1990, pp. 45-46.

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fondiaria (203). Questi infatti erano tempi in cui la politica si conce-piva come scienza di gestione di interessi, intesi soprattutto sottoforma di interessi relativi a beni fondiari. Essendo il proprietario ungestore di interessi, il suo patrimonio fondiario e la sua capacità diamministrarlo erano considerati il fondamento della scienza politi-ca (204).

L’interesse dell’hacienda era quindi di natura più vasta rispettoal mero interesse economico poiché, come rivela Carmagnani, essarappresentava l’elemento centrale a partire dal quale si era organiz-zato il potere sociale — e non solo — dell’oligarchia, essendo il resto(partecipazione nel settore bancario, commerciale, ecc.) un merocomplemento. Solo l’hacienda, conferendo signoria sugli uomini,poteva assegnare quel prestigio che il commerciante non avrebbemai potuto avere (205). E sarà per l’appunto questa classe, superatala fase del caudillismo e iniziato il periodo dell’istituzionalizzazione,ad assumere le redini dell’apparato statale.

Sul versante costituzionale, la stabilità del patto tra poterepolitico e ricchezza agraria risultò rafforzata dai primi testi chedecretarono la titolarità di immobili come requisito per accedere allaCamera dei Deputati e al Senato e per l’acquisizione e il godimentodei diritti politici fondamentali, come la cittadinanza e il suffra-gio (206). Le prime costituzioni stabilirono un sistema di voto del

(203) Per quanto concerne lo stretto collegamento tra la classe oligarchica e lo statocostituzionale si rimanda al classico contributo di M. CARMAGNANI, La grande illusionedelle oligarchie, cit., p. 82 e ss.

(204) M. D. DEMÉLAS, La invención política. Bolivia, Ecuador, Perú en el siglo XIX,cit., p. 364.

(205) M. CARMAGNANI, La grande illusione delle oligarchie, cit., p. 67.(206) Una prima lettura dei testi ci fornisce una chiara idea. In Cile, la Costituzione

del 1822 (art. 39, n. 2) richiedeva una proprietà fondiaria di valore non inferiore a duemila pesos come condizione per diventare deputato; in seguito la Costituzione del 1828precisava che la proprietà doveva rendere almeno cinquecento pesos all’anno per poteraccedere al Senato (art. 34, n. 3); la Costituzione del 1833 (art. 8, n. 1) condizionava lastessa cittadinanza e il diritto di suffragio a una proprietà immobile. Anche in Perù laCostituzione del 1823 (art. 17, n. 4) richiedeva una proprietà per la cittadinanza e unimmobile superiore al valore di dieci mila pesos per accedere al Senato (art. 92, n. 4);quella del 1828 (art. 13, n. 3), una proprietà che rendesse trecento pesos all’anno perentrare a far parte della Camera dei Deputati e mille per il Senato (art. 29, n. 3). LaCostituzione del 1856 (art. 38, n. 4) chiedeva un reddito di settecento pesos proveniente

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tutto limitato, istituendo in un primo momento un suffragio censi-tario (l’elettorato era essenzialmente composto dall’oligarchia e dagruppi urbani come commercianti, burocrati, etc.) e solo in seguitoun suffragio universale, circoscritto però alla popolazione maschileadulta e alfabetizzata. In questo modo, esse fornirono un’interpre-tazione restrittiva del diritto di suffragio che consentì alla classe deglihacendados, in quanto popolazione alfabetizzata (in un contesto incui il tasso di analfabetismo era di circa l’80-90%), di monopolizzareil diritto di voto e di manovrare a proprio vantaggio le liste elettoralifacendo comparire come alfabetizzati i propri braccianti, coloni emezzadri. La somma di tali eventi consacrò come unica classepolitica quella oligarchica, mentre lo Stato si configurò come unmero strumento nelle sue mani (207).

Anche se i primi testi costituzionali avevano creato gli spazi perl’espansione del potere della classe fondiaria, occorre notare che allostesso tempo si era cercato di smantellare l’apparato giuridicocoloniale che gravava e ostacolava la libera circolazione dei benicome base per il godimento individuale sulle tenute. In Cile, l’art.162 della Costituzione del 1833 aveva enunciato la libertà di dispo-sizione delle proprietà nonostante il vincolo del maggiorascato,mentre la sua concretizzazione rinviava a una legge speciale, redattada Andrés Bello nel 1852. (208). Qualche anno dopo, nel 1857, sisvincolarono i predi rustici o urbani che si trovavano sotto la

dai beni immobili per esser senatore. In Bolivia, la Costituzione del 1834 richiedeva uncapitale di seimila pesos per accedere alla Camera dei deputati (art. 35, n. 3) e il doppioper arrivare al Senato (art. 43, n. 4); quella del 1843, una proprietà di valore non inferiorea quattromila pesos per la Camera dei deputati (art. 21, n. 4) e seimila per il Senato (art.25, n. 4). Ancora nel 1880 si manteneva come requisito per la Camera dei deputati e peril Senato la ricchezza legata alla proprietà fondiaria (artt. 57, n. 2; art. 62, n. 3). LaCostituzione del 1861 stabilì come requisito per la cittadinanza il possesso di unaqualsiasi proprietà immobile o una rendita annuale di duecento pesos.

(207) Cfr. M. CARMAGNANI, La grande illusione delle oligarchie, cit., pp. 87-88, 173,177.

(208) Art. 162: « Las vinculaciones de cualquiera clase que sean, tanto las estable-cidas hasta aquí como las que en adelante se establecieren, no impiden la libreenajenación de las propiedades sobre que descansan, asegurándose a los sucesoresllamados por la respectiva institución el valor de las que se enajernaren. Una leiparticular arreglará el modo de hacer efectiva esta disposicion ».

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proibizione perpetua di alienare (209). In Perù, la Costituzione del1828 affermò che la proprietà non riconosceva né privilegi ereditariné vincoli civili, essendo alienabile, qualunque fosse la sua condi-zione (210). In Argentina, la legislazione rivoluzionaria del primoCongresso del 1813 (nota come Asamblea del año XIII) dichiarò laproprietà libera dai maggioraschi. In seguito, la Costituzione del1853 consacrò il diritto al libero uso e alla libera disposizione dellaproprietà, garantendone l’inviolabilità (211). In Bolivia, la Costitu-zione liberale del 1826, elaborata a partire dal progetto di SimónBolívar, assicurò il diritto di proprietà (art. 149), sopprimendo tuttii privilegi ereditari e i vincoli di qualsiasi tipo. Fu inoltre proclamatal’alienabilità di tutte le proprietà, anche se appartenenti a opere dicarità, religione o altri fini (art. 154) (212). La Costituzione del 1843dichiarò la proprietà inviolabile, tranne in caso d’interesse pubblico(art. 95), formula ripetuta nei testi successivi (213).

Il processo che prese avvio da questi testi nasce certamentecome reazione all’antico regime, però con un effetto del tuttoparticolare per il contesto latinoamericano, dal momento che divi-dere le terre, svincolandole delle « mani morte », significava portarlenelle mani « vive » della classe con potere acquisitivo. Per talemotivo, nell’esperienza andina il processo di rivendicazione dell’in-dividualismo proprietario, con la conseguente divisione e svincolo

(209) F. CAMPOS HARRIET, Historia constitucional de Chile, 6ª ed., Editorial Jurídicade Chile, Santiago de Chile, 1984, p. 205.

(210) Art.160: « La Constitución no reconoce empleos ni privilegios hereditarios, nivinculaciones laicales. Todas las propiedades son enajenables a cualquier objeto quepertenezcan. La ley determinará el modo y forma de hacer estas enajenaciones ».

(211) Art. 14: « Todos los habitantes de la Confederación gozan de los siguientesderechos conforme a las leyes que reglamentan su ejercicio; a saber: [...] de usar ydisponer de su propiedad ». Art. 17: « la propiedad es inviolable, y ningún habitante dela Confederación puede ser privado de ella, sino en virtud de sentencia fundada en lei[...] ».

(212) Art. 154: « Quedan abolidos los empleos y privilegios hereditarios, y lasvinculaciones; y son enajenables todas las propiedades, aunque pertenezcan a obras pías,a religiones, o a otros objetos ». Questa formula si ripete in tutti i testi boliviani fino al1851.

(213) Art. 95: « La propiedad es inviolable y sólo por causa de interés público,comprobado legitimamente, se puede obligar a un boliviano a enajenarla, precediendouna justa indemnización ».

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delle terre diede avvio ad una forma di espropriazione di carattereoligarchico, che rappresentò un altro aspetto della cosiddetta « mo-dernizzazione tradizionalista » propria del diciannovesimo seco-lo (214).

Non sorprende pertanto l’omissione delle forme di possessotradizionale nei testi costituzionali presi in esame (215). A taleproposito è rilevante sottolineare che le — rare — norme relativeall’indigeno rispecchiano la politica assimilazionista in un chiarotentativo di omogeneizzarlo ai valori della società « civilizzata ». Ciòrisulta evidente nell’esperienza del Cile dove l’unica disposizioneriguardante gli indigeni della storia costituzionale cilena, inserita neltesto del 1822 (art. 47 n. 6), stabilì che il Congresso avrebbeottemperato al compito di « civilizzazione degli indigeni del territo-rio » mentre in Argentina il testo del 1853 auspicava la conservazio-ne di relazioni pacifiche e la promozione della loro conversione alcristianesimo (art. 67 n. 15). Disposizioni di questo tipo si ripetononelle costituzioni peruviane del 1823 (216) e del 1828 (217).

Ma c’è dell’altro. La modernizzazione dello spazio agrario do-veva da prendere corpo attraverso altri due strumenti legislativi

(214) La formula è di F. DE TRAZEGNIES, La idea de derecho en el Perú republicanodel siglo XIX, Pucp, Lima, 1992, p. 30 e ss.

(215) Occorre sottolineare un eccezionale e incidentale riferimento costituzionalealla comunità indigena presente all’art. 76 della Costituzione peruviana del 1828: « Losfondos de que por ahora podrán disponer las Juntas Departamentales, son [...] los bienesy rentas de comunidades de indígenas, en beneficio de las mismas... ». In Bolivia, i testicostituzionali del 1871 e del 1878 avevano garantito la proprietà delle comunidades masenza aggiungere la parola « indigena ». La redazione degli articoli e il chiarimentoapportato dalla Costituzione del 1880 ci portano a concludere un rimando alle comunitàreligiose. Cfr. A. MALDONADO, Derecho agrario, cit., p. 267.

(216) Art. 90: « Las atribuciones del Senado son: [...] 10. Velar sobre la conserva-ción y mejor arreglo de las reducciones de los Andes; y promover la civilización yconversión de los infieles de su territorio conforme al espíritu del Evangelio ».

(217) Art. 75: « Son atribuciones de estas Juntas [Departamentales]: [...] 10.Entender en la reducción y civilización de las tribus de indígenas limítrofes al departa-mento, y atraerlos a nuestra sociedad por medios pacíficos ». Di notevole interesse risultal’elenco e l’analisi delle dichiarazioni relative all’indigeno nelle costituzioni dell’Americalatina in B. CLAVERO, Pronunciamientos indígenas de las constituciones americanas, inwww.Alertanet.org/constitucion-indigenas.htm (consultato il 30/01/12); ID., Derechosindígenas y constituciones latinoamericanas, in M. BERRAONDO (a cura di), PueblosIndígenas y derechos humanos, Universidad de Deusto, Bilbao, 2006, pp. 313-338.

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destinati a perfezionare il programma costituzionale: i codici civili ele leggi agrarie.

Le prime costituzioni, seguendo il testo della Costituzione diCadice del 1812 (218), ordinarono di redigere codici e, come preve-dibile, i primi furono quelli civili (Bolivia 1830-1845; Perù 1852; Cile1855; Argentina 1869) (219). I codici civili furono i veri fautori delnuovo assetto politico e sociale imposto dal costituente. Seguendo ilmodello francese, essi consacrarono la supremazia dell’individuali-smo proprietario, incoraggiarono la divisione dei terreni, stabilironoun numero ristretto di diritti reali, limitarono il ruolo della consue-tudine e assicurarono il monopolio delle terre prive di titolare oabbandonate allo Stato. Si comprende, di conseguenza, che nelloschema individualistico tracciato dal Codice la presenza indigena ei suoi diritti fondiari risultavano nuovamente ignorati.

La mancata inclusione delle popolazioni indigene nei testi co-stituzionali e nei codici civili pose le basi per una terza — e ormaidiretta — forma di aggressione contro le terre indigene: la legisla-zione agraria.

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si iniziò ad avvertireuna crescente pressione sulle comunità nel momento in cui, definitele frontiere interne dei nuovi stati, si cercò un’espansione a spesedelle istituzioni coloniali e delle terre indigene. Diverse normeagrarie misero in atto la nuova politica territoriale. In Perù (e anchein Bolivia prima della dichiarazione d’indipendenza del 1825) giànell’aprile del 1824 Bolívar aveva ordinato la ripartizione delle terrecomunitarie degli indigeni « in maniera tale che nessuno rimanessesenza terreno », e la rivendita all’asta delle terre « eccedenti » a un

(218) Art. 258: « El Código civil y criminal y el de comercio serán unos mismos paratoda la Monarquía, sin perjuicio de las variaciones, que por particulares circunstanciaspodrán hacer las Cortes ».

(219) La letteratura sul processo di codificazione civile in America Latina è vasta. Sirimanda a tre importanti contributi: A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoa-mérica, siglos XIX y XX, Edit. Jurídica de Chile, Santiago de Chile, 2000; C. RAMOS

NÚÑEZ, El Código napoleónico y su recepción en América Latina, Pucp, Lima, 1997; S.SCHIPANI, Codici civili nel sistema latinoamericano, in Digesto disc. priv., sez. civ., 4ª ed.,agg., 2010, pp. 286-319.

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valore inferiore a quello nominale (220). Ebbe così inizio la legisla-zione di smembramento comunitario e, insieme a essa, la nascita delneo-latifondo a scapito delle riserve territoriali indigene (221). InBolivia, tale politica avrebbe avuto il suo culmine nella promulga-zione della Ley ex-vinculación de la comunidad indígena (1874), laquale dichiarò giuridicamente estinta la comunità, prescrivendo ladivisione delle terre. Questa legge permise l’accelerato e duraturoprocesso di espansione latifondista che si sviluppò nei successiviquarant’anni e che colpì principalmente le zone dell’altipiano di LaPaz e le valli interandine (222). In Cile, la legge del 4 dicembre 1866ordinò che i terreni a sud del fiume Biobío (di chiaro possesso delpopolo indigeno mapuche) fossero trattati come di proprietà dell’E-rario e quindi venduti all’asta pubblica. Fu inoltre decisa la chiusuradelle restanti terre indigene e la loro riduzione e assegnazione sottoforma di titoli di merced; fu infine istituita la Comisión Radicadora deIndígenas con l’incarico di confinare gli indios nei terreni assegna-ti (223). L’iniziativa, come abbiamo anticipato, faceva parte del piùgenerale piano di « pacificare » il territorio dell’Araucanía. Contem-poraneamente, in Argentina, Julio A. Roca diede avvio alle campa-gne militari del Deserto e del Chaco con lo scopo di conquistare leterre delle popolazioni indigene mapuche, tehuelche e ranquel.L’operazione si fondava sulla legge del prestito pubblico n. 947 del4 ottobre 1878, la quale, eseguendo la normativa di frontiera del 13agosto 1867, ordinò di investire l’importo di un milione e seicento-mila pesos fuertes per sottomettere ed evacuare gli indios bárbarosdella Pampa.

(220) Per approfondimenti sui decreti dell’8 aprile 1824 a Trujillo e del 4 giugno1825 a Cuzco si rimanda a J. PIEL, Les formes de propriété collective au Pérou de1750-1920, in M. D. DEMÉLAS-N. VIVIER (a cura di), Les propriétés collectives face auxattaques libérales (1750-1914), cit., p. 281 e ss. Cfr. inoltre infra 207 e ss.

(221) Cfr. M. D. DEMÉLAS, Attaques et résistances. Les communautés indiennes enBolivie au XIXe siècle, in M. D. DEMÉLAS-N. VIVIER (a cura di), Les propriétés collectivesface aux attaques libérales (1750-1914), cit., p. 304.

(222) Cfr. S. RIVERA CUSICANQUI, Oprimidos pero no vencidos, cit., p. 14.(223) J. BENGOA, Historia del pueblo mapuche (Siglo XIX y XX), Lom eds., Santiago

de Chile, 2000, p. 161 e ss. Per uno schema riassuntivo dell’imposizione della regolarepubblicana sull’asseto fondiario mapuche vedi R. MÍGUEZ NÚÑEZ, Estado chileno ytierras mapuche: entre propiedades y territorialidad, in H. OLEA (a cura di), Derecho ypueblo mapuche. Algunas aproximaciones, Ediciones Udp, Santiago de Chile, 2013.

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Sia in Cile che in Argentina la messa in atto della filosofiarepubblicana relativa alle terre indigene si basava sulla dottrina dellaterra nullius, in accordo con l’usuale prospettiva eurocentrica: per leautorità dei nuovi stati gli indigeni non avevano diritto di proprietàpoiché si trattava di popolazioni nomadi che non rispettavano irequisiti previsti dalla dottrina giuridica occidentale per la suaacquisizione (224). Inoltre, dal punto di vista del diritto internazio-nale, la nozione di terra nullius, sviluppatasi durante il periodocoloniale per giustificare le prime appropriazioni di terre, avevamaturato la finzione secondo cui tutte le terre fuori dal controllo deicosiddetti « stati civilizzati » dovevano essere considerate vacan-ti (225). Fu così che, nel nuovo ambiente politico, l’eredità teoricadella dottrina della terra nullius contribuì su ogni fronte a giustifi-care il mancato diritto alla terra dei popoli tradizionali come pre-messa per la spoliazione dei terreni stessi.

Le situazioni messe in luce pongono le premesse di ciò chediverrà il nuovo assetto rurale in Latino America; mentre le azionisvincolanti anteriori al 1830 avevano reso possibile il trasferimentodi terre dai soggetti privilegiati dell’antico regime alla classe oligar-chica legata al nuovo apparato statale, le misure adottate a partiredalla seconda metà del diciannovesimo secolo consentirono l’espan-sione del liberalismo agrario, compromettendo questa volta gliinteressi delle comunità indigene (226). Due fenomeni paradossali sierano quindi trovati a collidere nella prima fase di implementazionedel nuovo ordine fondiario avviato dalla Costituzione. Da una parte

(224) Cfr. V. TOLEDO LLANCAQUEO, En segura y perpetua propiedad. Notas sobre eldebate jurídico sobre derechos de propiedad indígena en Chile, siglo XIX, actas 4°Congreso Chileno de Antropologia, Colegio de Antropólogos de Chile, Santiago deChile, 2001, p. 1131; J. BENGOA, Historia de un conflicto. Los mapuches y el Estadonacional durante el siglo XX, Planeta, Santiago de Chile, 2007, p. 74; A. LEVAGGI, Cómofue la relación de los indígenas con el territorio, in Roma e America. Diritto RomanoComune, 18, 2004, p. 111.

(225) Così, J. GILBERT, Indigenous Peoples’ Land Rights Under International Law:From Victims to Actors, Transnational Publishers, Ardsley, New York, 2006, pp. 26-27.

(226) J. PIEL, Problemática de las desamortizaciones en Hispanoamérica en el sigloXIX (algunas consideraciones desde el punto de vista socioeconómico y, por lo tanto,ideológico), trad. spag. di J. M. Haro Sabater, in H. J. PRIEN-R. M. MARTÍNEZ DE CODES

(a cura di), El proceso desvinculador y desamortizador de bienes eclesiásticos y comunalesen la América española, siglos XVIII y XIX, cit., pp. 112-113.

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si cercava di svincolare la terra da ogni ostacolo alla sua liberacircolazione, ma al contempo si intendeva accrescere la grandeproprietà fondiaria della classe aristocratica a scapito dei settorisociali più deboli. All’epoca né il successo politico del nuovo Statoné il progresso economico razional-capitalista potevano essere con-cepiti senza l’aiuto dell’oligarchia e senza la formazione di cittadinianimati da spirito individualista. E così, di fronte ad un programmache pretendeva di conferire superiorità a un paese legale rispetto aquello reale (227), la cultura indigena e le sue pratiche fondiarie eranorimaste nel vasto universo del diritto non scritto, sviluppando unordine parallelo che si conserverà nell’attesa dei riconoscimentilegislativi che si avranno nel secolo successivo.

2. I codici civili: Napoleone nelle Ande.

La sistemazione del diritto pubblico e l’imposizione delle nuovepolitiche relative all’assetto fondiario nelle repubbliche latinoameri-cane furono processi che, a partire dal terzo decennio dell’Ottocen-to, confluirono nella promulgazione dei primi codici civili. Leautorità erano consapevoli che il controllo del diritto privato impli-cava il controllo della nazione e che quindi la riforma del dirittostesso avrebbe fondato l’ordine interno dei nuovi stati. Insieme a ciò,dal punto di vista della tecnica giuridica anche in America Latinapossono avere eco le parole di Tarello. Così, la codificazione sipresentava come uno strumento normativo, unitario e coerente,necessario per superare il « particolarismo giuridico » proprio del-l’epoca precedente (228).

Per quanto riguarda le sue fonti, la codificazione civile latinoa-mericana, come accadeva ovunque nel mondo di tradizione roma-nistica, si ispirava ai principi liberali della Rivoluzione e del Codicefrancese (229). Come noto il Codice napoleonico aveva definitiva-

(227) B. BRAVO LIRA, Entre dos constituciones, histórica y escrita. Scheinkonstitutio-nalismus en España, Portugal e Hispanoamérica, in Quaderni Fiorentini, 27, 1998, p. 155e 158.

(228) G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, cit., p. 29.(229) Cfr. A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoamérica, cit.; C. RAMOS

NUÑEZ, El código napoleónico y su recepción en América Latina, Pucp, Lima, 1997. Per

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mente eliminato i retaggi dell’Antico Regime e aveva creato unasocietà borghese e liberale, d’ispirazione laica, nella quale i diritti diuguaglianza, libertà, sicurezza e proprietà erano considerati i dogmidella modernità. La proprietà, l’autonomia della volontà e la libertàcontrattuale erano quindi stabiliti come pilastri di un nuovo dirittoprivato che individuò nella codificazione lo strumento normativoatto a rinforzare l’unità nazionale (230). La codificazione si presen-tava perciò come un modello dotato di prestigio — e dunque daimitare, secondo una dinamica da tempo studiata dalla dottrinacomparatistica (231). Il Código, pertanto, era inanzittuto adottato alfine di costruire l’identità nazionale e rinforzarne l’ordine giuridicointerno (232).

Tali premesse si riflettono chiaramente nei discorsi dei condot-tieri dell’indipendenza e nel testo delle prime costituzioni dei nuovistati americani, che ordinarono espressamente la codificazione (233).

le implicanzioni del code nella teoria dei trapianti giuridici cfr. M. GRAZIADEI, Compara-tive Law as the Study of Transplants and Receptions, in M. REIMANN-R. ZIMMERMANN (acura di), The Oxford Handbook of Comparative Law, Oxford Univ. Press, Oxford, 2007,pp. 447 e ss.

(230) F. TOMÁS Y VALIENTE, Códigos y constituciones (1808-1978), Madrid, Alianza,1989, p. 85.

(231) Sulla questione cfr. R. SACCO, Introduzione al diritto comparato, Utet, Torino,1992; E. GRANDE, Imitazione e diritto: ipotesi sulla circolazione dei modelli, Giappichelli,Torino, 2000; U. MATTEI, voce Circolazione dei modelli giuridici, in Enc. dir., Annali I, 2008p. 173 e ss.

(232) M. C. MIROW, Latin American Law. A history of Private Law and Institutionsin Spanish America, Univ. of Texas Press, Austin, 2004, p. 98. Per quanto concerne loscopo politico della codificazione nel pensiero di Bolívar si rimanda a ID., The Power ofCodification in Latin America: Simón Bolívar and the Code Napoleón, in Tulane Journalof International and Comparative Law, 8, 2000, pp. 83-116.

(233) In Cile, la prima spinta alla codificazione fu data dallo stesso liberator e alloraDirector Supremo Bernardo O’ Higgins che, nel luglio del 1822, alludendo al modellofrancese, affermò: « Sapete quanto necessaria è la riforma delle leggi. Magari si adottinoi cinque codici celebri ». La prima Costituzione peruviana del 1823 (estesa all’Alto Perù,cioè l’attuale Bolivia) prevedeva nell’art. 106 che i codici civile e criminale prefissasserole forme giudiziarie. L’art. 121 lasciava invece vigente il diritto coloniale in attesadell’emanazione dei codici civile, penale, militare e di commercio. In base a taledichiarazione, nel 1825 Bolívar nominò una commissione incaricata di redigere i codicicivile e criminale. In termini simili la Costituzione peruviana (del 1826 detta Vitalizia oBolivariana) ordinò nell’art. 46, n. 1, la codificazione e conferì al Senato la facoltà di

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In questo vivace scenario conviene sottolineare che, com’era acca-duto in Francia, il compito di sistemare l’assetto fondiario fu con-ferito esclusivamente alla codificazione civile, ragione per cui duran-te tutto il diciannovesimo secolo si rifiutò l’idea del Codice agra-rio (234).

Il Codice francese non conteneva disposizioni sulle comunità epertanto non sorprende constatare che nelle Ande i codici omette-vano ogni riferimento ad esse, comprese quelle indigene, e sorvola-vano, allineandosi al mandato costituzionale, sulla stessa esistenzadel popolo indigeno (235). La tendenza della codificazione modernaall’unificazione del soggetto di diritto portava con sé la cancellazionedelle norme che differenziavano la condizione giuridica degli indi-geni. In questo modo, il bagaglio normativo del diritto indigeno,sviluppato gradualmente durante il periodo coloniale, venne elimi-nato senza la previsione di altre forme di garanzie a favore degliindigeni (236).

Ma concentriamoci, sia pur brevemente, sul carattere dellacodificazione civile degli stati che più ci interessano: il Perù e laBolivia.

Il Codice civile boliviano promulgato nella città di Chuquisaca il

emanare il Codice civile, criminale, di procedura e di commercio oltre ai regolamentiecclesiastici. Nello stato boliviano un decreto del generale Santa Cruz, databile al 21dicembre 1825, ordinò ai tribunali di giustizia di applicare le leggi delle Cortes di Cadicedel 1812, mentre si preparavano i codici civile e penale. Un anno dopo lo stesso Bolívar,nel discorso presentato al Congresso boliviano il 25 maggio 1826, affermò: « [...] Inquanto alla proprietà, essa dipende del Codice Civile che la vostra saggezza dovrebbesistemare dopo, per la fortuna dei vostri concittadini ». Infine, in Argentina, la bozzadella Costituzione del 1813 (detta del Río de la Plata) stabilì che dovevano esserepreparati i codici civile e commerciale. Qualche tempo dopo, la Costituzione del 1853dispose all’art. 64 n. 11 la redazione del Codice civile, commerciale, penale e minerario.Per tutte queste voci si rinvia ad A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoamérica,cit.; S. SCHIPANI, Codici civili nel sistema latinoamericano, cit.; M. C. MIROW, LatinAmerican Law, cit.

(234) Cfr. B. CLAVERO, Derecho agrario entre código francés, costumbre aymara, orden in-ternacional y constitución boliviana, in Revista de Estudios Políticos, 125, 2004, p. 82 e ss.

(235) Per dettagli relativi all’esperienza boliviana cfr. ibid.(236) S. LANNI, Sistema giuridico latinoamericano e diritti dei popoli indigeni, in ID.

(a cura di), I diritti dei popoli indigeni in America Latina, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli, 2011, p. 63.

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25 ottobre 1830 (noto come Código civil Santa Cruz, in onore al pre-sidente, il più energico sostenitore della codificazione civile e penaleboliviana), oltre ad avere come principale fonte il Code civil, avevaattinto alcuni articoli dalla legislazione castigliana (in particolare dalleSiete Partidas e dalla Novísima Recopilación) e altri dalle Leyes de Torose dalle Leyes de Estilo. La sua struttura seguì la suddivisione in tre librie titolo preliminare del Code francese. In materia di proprietà, i 171articoli del libro 2 (De los bienes y de las diferentes modificaciones dela propiedad) e i 1.135 articoli del libro 3 (De las diferentes maneras deadquirir la propiedad), relativi anche alle obbligazioni e ai contratti,erano per lo più stati tradotti letteralmente (anche se spesso non cor-rettamente) dal Codice napoleonico.

Il Codice Santa Cruz, insieme a quello penale, entrò in vigore il1° gennaio 1831. È stato applicato fino al novembre del 1845, annoin cui fu promulgato un nuovo Codice, simile al precedente, che ebbevalidità fino al novembre del 1846. Successivamente tornò in vigoreil codice originario, che subì alcune modifiche, soprattutto in materiadi diritto di famiglia, e rimase in vigore fino all’aprile del 1976 (237).

Per quanto concerne la situazione dell’indigeno, la parola stessa,come immaginabile, fu esclusa dalla codificazione. Un unico eincidentale articolo regolamentava una situazione eccezionale, inse-rita nella Recopilación de Leyes de las Indias, relativa alle formalitàdei testamenti degli indigeni insediatisi in luoghi lontani dai centricivici (238). La norma fu peraltro omessa dal successivo Codice del1845 (239).

Nel 1845 il Perù intraprese il processo di codificazione civile permezzo di una legge del presidente Ramón Castilla che ordinaval’insediamento di una commissione per redigere diversi codici. Il 28luglio 1852, dopo varie revisioni al progetto presentato nel 1847, il

(237) R. ROMERO LINARES, Apuntes de derecho civil boliviano, Editorial Juventud, LaPaz, 1965, pp. 68-69; ora in R. ROMERO SANDOVAL, Derecho civil según los apuntes de« Derecho civil boliviano » del Prof. Dr. Raúl Romero Linares, Editorial los Amigos delLibro, La Paz-Cochabamba, 1983, p. 96 e ss.; A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil enIberoamérica, cit., p. 314.

(238) Art. 455: « A los indios residentes a distancia de más de una legua de susrespectivos cantones concede la ley el privilegio de hacer sus testamentos de palabra, opor escrito, con solo dos testigos vecinos ».

(239) A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoamérica, cit., pp. 275-276.

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presidente José Rufino Echenique promulgò il nuovo Codice, cherimase in vigore fino al 1936. La sua struttura, anche se simile alloschema del Code, aveva piuttosto seguito il modello gaiano-giustinianeo, nonché la sistemazione e la terminologia dei commen-tatori spagnoli (240). Le differenze rispetto al modello francese eranoevidenti per quanto riguardava il diritto di famiglia, il possesso, laprescrizione estintiva, la successione e altre materie in cui si eraseguita la traccia del diritto castigliano. Ciò nonostante, il Codice del1852, adottato dopo l’indipendenza raggiunta sotto l’influsso dellaRivoluzione Francese, accoglieva chiaramente il principio dell’ugua-glianza civile, ragione per cui le disposizioni relative al dominio e alleobbligazioni, oltre che ad un sostrato romano e coloniale, si ispira-rono indiscutibilmente al Codice napoleonico (241).

Non stupisce, ancora una volta, il silenzio del Codice sullapresenza indigena. Con l’espressione « un olvido célebre » gli stu-diosi peruviani ricordano la « svista » compiuta dagli autori delCodice civile del 1852 con riguardo all’esistenza delle comunitàindigene, la cui personalità giuridica risultava, per omissione, can-cellata (242).

È inutile insistere sulle ragioni di tale disattenzione. Si intendeinvece approfondire nelle pagine successive i principali postulati deicodici andini del diciannovesimo secolo, orientati verso l’annienta-mento dei diritti collettivi sulle terre.

2.1. Il concetto di proprietà.

Un primo importante elemento a favore dell’eliminazione deidiritti fondiari tradizionali è costituito dalla nozione di proprietà cheprogressivamente si diffuse nei i codici e tra i suoi studiosi.

Secondo l’ideologia che il Code rappresentava, solo un mondodi proprietari con piene facoltà poteva garantire la sicurezza e

(240) Lo evidenziano J. BASADRE, Historia del derecho peruano [1937], Edigraf S.A.,Lima, 1985 p. 360 e ss.; A. GUZMÁN BRITO, La codificación civil en Iberoamérica, cit., p.338 e ss.

(241) J. BASADRE, Historia del derecho peruano, cit., p. 371.(242) G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidades

campesinas del Perú, cit., p. 113 e ss.; A. SIVIRICHI, Derecho indígena peruano, EdicionesKutur, Lima, 1946, p. 116.

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l’ordine dello Stato (243). Tale premessa è alla base della classicamassima: « La propriété est le droit de jouir et disposer des chosesde la manière la plus absolue, pourvu qu’on n’en fasse pas un usageprohibé par les lois ou par les règlements » (art. 544) e dellaconseguente massima « Nul ne peut être contraint de céder sapropriété, si ce n’est pour cause d’utilité publique, et moyennant unejuste et préalable indemnité » (art. 545).

Le formule suddette sono riproposte con minime variazioni daicodici civili dei paesi andini (244). Di fronte a tali dichiarazioni, ilcompito affidato ai giuristi della seconda metà del diciannovesimosecolo fu quello di elogiare l’individualismo proprietario sancito dalCodice, abbracciando i postulati della scuola dell’esegesi.

In Perù, il giurista e politico José Silva Santistevan (1825-1889),nel suo Derecho civil peruano (1853), identificava il dominio come lafacoltà di godere della cosa e dei suoi frutti, di rivendicarla e didisporne liberamente, escludendo altri dal suo possesso (245). Qual-che anno dopo, nelle pagine consegnate al suo Tratado de derechocivil, il più noto trattatista dell’Ottocento, Toribio Pacheco (1828-1868), propose una concezione di proprietà strettamente legata alladefinizione stessa di diritto, inteso come sinonimo di giustizia, cioè

(243) Cfr. A. J. ARNAUD, Les origines doctrinales du Code civil français, Lgdj, Paris,1969, p. 192.

(244) In Bolivia, l’art. 289 del Codice Santa Cruz dichiara: « La propiedad es elderecho de gozar y disponer de las cosas del modo más absoluto, con tal que no se hagaun uso prohibido, por las leyes o reglamentos ». L’art. 290 lo complementa: « Ningunopuede ser obligado a ceder su propiedad, sino es por causa de utilidad pública ymediante una justa y previa indemnización ». In Perù, il Codice del 1852 definiscenell’art. 460 la proprietà come il « derecho de gozar y disponer de las cosas »,aggiungendo come effetti (art. 461): « 1º el derecho que tiene el propietario de usar lacosa, y de hacer suyos los frutos y todo lo accesorio a ella; 2º el derecho de recojerla, siella se halla fuera de su poder; 3º el derecho de disponer libremente de ella; 4º el derechode excluir a otros de la posesion ó uso de la cosa ». La proprietà viene inoltre garantitanell’art. 462: « No se puede obligar a ninguno a ceder su propiedad, sino por utilidadpública, legalmente declarada, y previa indemnización de su justo valor ». In Cile, l’art.582 del Codice di Bello stabilisce che: « El dominio (que se llama también propiedad)es el derecho real en una cosa corporal, para gozar y disponer de ella arbitrariamente; nosiendo contra la ley o contra derecho ajeno ». Infine, l’art. 2.506 del Codice argentino del1869 dichiara: « El dominio es un derecho real en virtud del cual una cosa se encuentrasometida a la voluntad y a la acción de una persona ».

(245) Ibid., p. 58.

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come « una condizione dipendente dalla volontà umana, necessariaper lo sviluppo e perfezionamento dell’uomo » (246). In Pacheco« l’uomo ha un diritto perfetto di prendere, appropriarsi e fare usodelle cose che contribuiscono al suo sviluppo e perfezione » (247); eperciò « ogni uomo ha una proprietà, fondata nella sua proprianatura, che deve essere riconosciuta e garantita dalla legge » (248).Per Pacheco la definizione di proprietà è simile a quella di diritto,poiché ambedue sono condizioni o mezzi dipendenti dalla volontà enecessari per la conservazione e lo sviluppo dell’uomo (249). Laproprietà sarebbe così un diritto non solo privato e assoluto, maanche personale, poiché riferito alle necessità fisiche o intellettualidell’individuo che è chiamato a soddisfare (250).

L’opera di Pacheco ebbe la sua continuazione in quella diRicardo Ortiz de Zevallos y Vidaurre (1871-1908) che nel suoTratado de derecho civil peruano. Teórico y práctico (1906) affermòche la comunità impediva la libera circolazione dei beni e che perciòil legislatore peruviano l’aveva considerata « contraria all’ordinepubblico », anche se il Codice civile non era stato così esplicito (251).

Le cose non andavano diversamente in Cile, dove RobustianoVera (1844-1916), nel suo Código civil de la República de Chile,comentado i esplicado (1892-1894), lodava la formula del Codicesostenendo che « la proprietà ha recuperato oggi la sua libertà pertornare a essere quello che fu nei tempi di Giustiniano; un dirittoindividuale sopra le cose, senza altri limiti che quelli stabiliti dallalegge nell’interesse del bene comune o per rispetto del diritto di unterzo » (252). Sulla stessa scia, il classico trattato di Luis Claro Solar(1857-1945), Explicaciones de Derecho civil chileno y comparado,insegna che la proprietà comporta « il potere giuridico più completo

(246) T. PACHECO, Tratado de derecho civil, 2ª ed., Imprenta del Estado, Lima, 1872,t. I, p. 3.

(247) Ibid., t. II, p. 23.(248) Ibid., p. 24.(249) Ibid., p. 25.(250) Ibid., p. 31.(251) R. ORTIZ DE ZEVALLOS Y VIDAURRE, Tratado de derecho civil peruano. Teórico y

práctico, Librería Fonseca Científica Galland-E. Rosay editor, Lima, 1906, p. 560.(252) R. VERA, Código civil de la República de Chile, comentado i esplicado, Imprenta

Gutenberg, Santiago de Chile, (t. I, 1892; t. II, 1893;), t. III, 1894, p. 3.

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che la persona ha su una cosa [...] essendo un diritto reale in virtùdel quale una cosa si trova sottomessa, in maniera assoluta edesclusiva, alla volontà e all’azione di una persona » (253).

A partire dalla nozione codicistica di una proprietà eminente-mente personale si giunge pertanto a negare ogni forma di proprietàcomunitaria dei beni. In Bolivia, José Miguel Terrazas enunciò nelsuo Principios o reglas jenerales del derecho (1857) il principiosecondo cui « nessuno può essere forzato a permanere in comuni-tà » (254). Sempre sulla stessa impronta dogmatica, in Spagna Mo-desto Falcón (1828-1902), primo commentatore del Codice civile del1889, elogia la definizione dell’art. 348 (« La propiedad es el dere-cho de gozar y disponer de una cosa sin más limitaciones que lasestablecidas en las leyes ») come una « gloriosa conquista » dellascienza romana giustinianea, definendola come « un diritto perso-nale, individuale, interamente umano, figlio della nostra natura,completamente necessario per la personalità umana » (255). Sullabase di tale posizione, Falcon rifiuta la dottrina di coloro chepretendevano di disciplinare la proprietà in corporazioni con regolecivili speciali, poiché, anche se favorevole all’esistenza delle proprie-tà, egli riteneva che ogni istituto dovesse erigersi sulla base norma-tiva della proprietà individuale stabilita dal Codice (256).

Il breve accenno al programma della civilistica ispano-americana rivela, come altrove, la fedeltà all’individualismo proiet-tato dal Codice. La nostra conclusione si riduce pertanto a unaconstatazione già anticipata: le forme di organizzazione diverse dallo

(253) L. CLARO SOLAR, Explicaciones de derecho civil chileno y comparado, ImprentaCervantes, Santiago de Chile, 1930, t. VI, p. 325 e ss.

(254) J. M. TERRAZAS, Principios o reglas jenerales del derecho y colección dedefiniciones del código civil boliviano vijente, Tipografía Quevedo, Cochabamba, 1857, inColeccion de Documentos Bolivianos recojidos I ordenados por G.R.-M., vol. 62, segundaserie. Derecho Natural 1848-1870, s/n, Santiago de Chile, 1872, p. 3.

(255) M. FALCÓN, Código civil español. Redactado por el Gobierno en cumplimientode la Ley de 11 de mayo de 1888 y publicado á virtud de autorización concedida al mismopor el Real Decreto de 6 de octubre del mismo año; ilustrado con notas, referencias,concordancias, motivos y comentarios por don Modesto Factón con un estudio crítico delCodigo por el Exmo. Sr. Don Vicente Romero y Girón, Centro Editorial Góngora,Madrid, 1889, t. II, p. 26.

(256) Ibid., pp. 32-33.

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schema monista della proprietà individuale non avevano trovatospazio né nella codificazione civile né nella nozione di dominioelaborata dalla scienza giuridica del diciannovesimo secolo.

2.2. Lo Stato proprietario.

La dichiarazione di indipendenza permise ai nuovi stati diconsiderarsi eredi di tutte le terre di proprietà della Corona (terrerealengas e baldías). Le terre di realengo diventarono così terrenidemaniali e tutti i terreni privi di proprietari furono attribuiti alloStato come titolare del dominio originario della nazione.

Nel diritto romano i beni, mobili o immobili, abbandonati dalproprietario (res derelictae), erano inseriti nella categoria delle coseche non appartenevano a nessuno, res nullius. Bona vacantia ful’espressione utilizzata per designare le eredità prive di beneficiariconosciuti o che erano state rifiutate. Nel diritto spagnolo eranoconsiderati patrimonio dello Stato (realengos o regalías) tutti i beni,mobili o immobili, che non avevano un proprietario. Essi si suddi-videvano in tre categorie: mostrencos, i beni mobili persi o abban-donati; vacantes, i beni immobili senza proprietario conosciuto oabbandonati; abintestatos, beni mobili o immobili senza titolare acausa della morte del proprietario che, senza lasciare eredi legittimi,non aveva fatto testamento. Il diritto castigliano delle Siete Partidas,seguendo il diritto romano, assegnava al primo occupante i benimostrencos e vacantes (leggi 49 e 50, tit. 28, part. 3). La legge 6, tit.13 part. 6, assegnava alla Camera del re (Fisco) l’eredità di chimoriva senza eredi, perché questi o non esistevano, o vi avevanorinunziato, o erano incapaci di succedere al defunto. Tale disciplinafu mantenuta, con qualche modifica, durante il periodo coloniale apartire dalla normativa della Composición de tierras del 1° novembre1591 fino al suo inserimento nella Novísima Recopilación del 1806(tit. XII, lib. X).

Raggiunta l’indipendenza, i primi condottieri ricorsero alla fi-gura giuridica delle terre rimanenti o vacanti per organizzare l’as-setto fondiario con scopi diversi. Un decreto supremo (257), emesso

(257) La voce decreto supremo fa riferimento a un atto amministrativo generalmenteprovvisto di un contenuto normativo regolamentare emanato dal potere esecutivo. Come

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da Bolívar in Perù il 14 dicembre 1825, dispose che le terre diproprietà dello Stato dovessero essere attribuite in dominio dandopreferenza agli indigeni che le possedevano. In Bolivia, la legge del30 ottobre 1833 autorizzò l’Esecutivo a distribuire gratuitamente leterre vacanti (baldías), con l’unico obbligo per gli assegnatari dicoltivarle. La norma, che fu in seguito estesa agli stranieri residenti(legge del 5 novembre 1833), prefigurò la politica di colonizzazioneche per più di cento anni avrebbe caratterizzato l’assetto ruraleboliviano (258).

In Cile, l’art. 590 del Codice civile stabilì: « Son bienes delEstado todas las tierras que, estando situadas dentro de los límitesterritoriales, carecen de otro dueño ». In Argentina, invece, l’art.2.342, n. 1 statuì: « Son bienes privados del Estado general o de losEstados particulares: 1° todas las tierras que estando situadas dentrode los límites de la República, carecen de otro dueño [...] 3° losbienes vacantes o mostrencos, y los de las personas que mueren sintener herederos, según las disposiciones de este Código ».

Vacantes, sobrantes, o baldías furono quindi i nomi assegnati atutte le terre, per la maggior parte di possesso indigeno, che agliocchi delle autorità repubblicane non risultavano né coltivate népossedute. È quindi importante sottolineare come l’istituzione ac-colta dal codice fosse utilizzata per giustificare e promuovere lacolonizzazione di provenienza occidentale a scapito delle vaste areepossedute e utilizzate stagionalmente dagli indigeni.

Tale premessa si rivelò chiaramente in una delle più autorevolivoci dell’economia politica argentina dell’Ottocento. Nel 1865 Ni-colás Avellaneda, nel già accennato, Estudios sobre las leyes de tierraspúblicas, fu energico nell’affermare che il proprietario, anche se natoin regioni lontane (riferendosi tacitamente ai colonizzatori europei),sarebbe automaticamente diventato cittadino (259). Seguendo il mo-dello della colonizzazione nordamericana, Avellaneda interpretava ildesiderio di tanti altri ideologi dell’epoca: per molti, sia liberali che

nella maggior parte delle legislazioni tali decreti possiedono una gerarchia inferiore alleleggi.

(258) Per un approfondimento cfr. A. MALDONADO, Derecho agrario, cit., p. 341 e ss.(259) N. AVELLANEDA, Estudios sobre las leyes de tierras públicas, cit., pp. 8, 133 e

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conservatori, la soluzione più radicale al problema territoriale con-sisteva nel sostituire lo Stato con i nuovi colonizzatori, assegnandonuovi titoli di proprietà (260).

2.3. Lo spazio della consuetudine.

Una rilevante conseguenza del programma assolutista repubbli-cano fu la rivendicazione allo Stato del potere di dettare delle leggidi carattere generale e astratto per tutti i cittadini delle nuovenazioni. Una simile impostazione comportava il rifiuto dei diritti difonte locale in quanto relativizzanti della regola statale. Fu così chela consuetudine soffrì una riduzione inaudita di fronte all’acresci-mento della legge scritta.

L’impero della legge come fonte primaria e monista del dirittofu elaborato a partire dall’art. 1 del Code francese (« Les lois sontexécutoires dans tout le territoire français »), norma che in seguitoconfluì nei diversi codici civili andini (art. 1 Cod. civ. argentino/1869, art. 1 Cod. civ. boliviano/1831, art. 1 Cod. civ. peruviano/1852 e art. 14 Cod. civ. cileno/1855).

Per il Codice civile peruviano le leggi non sono derogate a causadella consuetudine (art. 6), mentre per quello cileno e argentino ilcostume non costituisce diritto se non nei casi in cui la legge sirimetta a esso (art. 2 Cod. civ. cileno, art. 17 Cod. civ. argentino).

Ma vi è di più. Nello schema giuridico dello Stato repubblicanola consuetudine, salvo note eccezioni, non è stata accolta come fontenemmeno nei casi d’interpretazione dei passaggi oscuri delle leggi,in cui cioè il giudice è costretto ad avvalersi dei « principi generalidel diritto » (art. 16 Cod. civ. argentino, art. 9, n. 3 Cod. civ.peruviano), dello spirito generale della legislazione (art. 24 Cod. civ.

(260) Sulla base delle stesse premesse ideologiche, la Bolivia offre un ideale esempiodell’applicazione della politica colonizzatrice: durante il governo di José Ballivián(1841-1847) si firmò, con il consenso del Congresso, un contratto tra il console bolivianoin Inghilterra e la Compagnia Belga di Colonizzazione allo scopo di formare unaComunità Agricola, Industriale e Mercantile. Tramite tale contratto lo Stato concedevaalla Compagnia un milione di acri per la durata di novant’anni; in cambio essa dovevaportare alle terre basse boliviane cinquanta famiglie ogni anno. Cfr. L. PEÑALOZA,Historia económica de Bolivia, s.n., La Paz, t. I, 1953, p. 306.

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cileno) o dell’equità che deriva dalle leggi (art. 949 Cod. proc. civ.boliviano).

Il Codice, insegna Clavero, non può che ignorare l’intera realtàgiuridica consuetudinaria, di cui presume semplicemente la scom-parsa; il Codice ha lo scopo di imporre una fonte, la legge, e non diriconoscere un ordinamento, quello consuetudinario (261). Poichéper la codificazione l’universo del costume non ha alcun valore, apredominare è il monismo giuridico plasmato nel Codice. Per talemotivo, la soluzione di ogni controversia di rilevanza giuridica deverintracciarsi sempre nella stessa legge scritta, e mai al di fuori, perchésolo « por estas leyes serán decididos todos los pleitos civiles de losciudadanos de la República » (art. 1570 Cod. civ. boliviano).

Evidentemente, la messa in atto della Codificazione civile com-portò l’abrogazione dello statuto giuridico che il diritto colonialeaveva riservato all’indigeno. Tale fu l’esito, inevitabile, della promul-gazione del codice. Laddove il cosiddetto diritto indiano avevariservato una speciale efficacia giuridica alla costumbre indígena neidiversi ambiti del diritto, il codice taceva la presenza indigena enegava il risultante pluralismo giuridico.

Le fonti ispaniche attestano che la consuetudine indigena era,infatti, rispettata già a partire dalla Cédula de Valladolid del 6 agosto1555, norma che, come sappiamo, fu mantenuta nella Recopilaciónde Leyes de las Indias (262). Una volta stabilite le nuove Repubbliche,il riconoscimento ufficiale della consuetudine soffrì una severa re-trocessione; nello schema giuridico repubblicano, la fonte su cui sisosteneva il diritto tradizionale risultava sottomessa al potere dellalegge scritta, pronta a colmare, attraverso il richiamo alle regole diorigine europea, il vuoto giuridico lasciato dall’annullamento deldiritto precedente. A tal proposito, per Guzmán Brito risulta curiosoosservare che la tradizione del diritto indiano, che conferiva ampispazi alla consuetudine indigena, non fu presa in considerazione innessuno dei paesi iberoamericani al momento di redigere i lorocodici, nemmeno in quelli in cui parte importante della popolazioneera composta da indigeni. La ragione, aggiunge lo storico, è chiara:

(261) B. CLAVERO, Ama llunku, Abya Yala: Constituyencia indígena y código ladinopor América, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, Madrid, 2000, p. 176.

(262) Cfr. supra 159-160 e 179.

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il diritto degli indigeni — già dai tempi del diritto indiano — era perlo più un diritto speciale e, come tale, non aveva luogo all’interno diun codice di diritto comune e generale come quello civile (263).

Due considerazioni possono valere a riepilogare il nostro discor-so riguardante la sistemazione attuata dal Codice.

I codici civili rappresentano il perfezionamento del liberalismoeconomico voluto dal potere pubblico. Essi assimilano il modelloeuropeo dell’individualismo proprietario senza tener conto in alcunmodo del diverso ambito in cui tale modello era stato introdotto.Ángel Ossorio y Gallardo, noto giurista e politico spagnolo, nontrascura tale evento quando nel 1943, in pieno esilio argentino,consegna le pagine del suo Anteproyecto del código civil boliviano.Secondo l’autore la mancanza di riferimento agli indios nella codi-ficazione civile del diciannovesimo secolo era dovuta alla « meratraduzione per l’America del diritto politico della Rivoluzione fran-cese, che naturalmente non contemplava la loro presenza » (264). Sitratta di una basilare constatazione, che permette di sviluppare unaseconda riflessione: lo schema fondiario europeo, proposto dall’au-torità repubblicana secondo i parametri individualisti del Codice,annullò il tradizionale rapporto tra lo Stato e i vari gruppi etnici,sovrapponendo ad esso l’impianto istituzionale basato sul vincoloesclusivo tra potere e ricchezza agraria. Ed è proprio questo aspettodella legislazione repubblicana il motivo del laconico commento delpensatore peruviano José Carlos Mariátegui: « [...] durante un se-colo di Repubblica la grande proprietà fondiaria si è rinforzata e siè ingrandita a dispetto del liberalismo teorico della nostra Costitu-zione e delle necessità pratiche di sviluppo della nostra economiacapitalista » (265).

(263) A. GUZMÁN BRITO, El régimen de la costumbre en las codificaciones civiles deHispanoamérica y España emprendidas durante el siglo XIX, in Revista de EstudiosHistórico-Jurídicos, 12, 1987-1988, p. 254. Per più approfondimenti sulla trattazionedella consuetudine durante il periodo di codificazione cfr. A. HERNÁNDEZ GIL-ALVAREZ

CIENFUEGOS-E. ZULETA PUCEIRO (a cura di), El tratamiento de la costumbre en lacodificación civil hispanoamericana, El Autor, Madrid, 1976

(264) A. OSSORIO Y GALLARDO, Anteproyecto del código civil boliviano, Ed. Lopez,Buenos Aires, 1943, p. 275.

(265) J. C. MARIÁTEGUI, 7 ensayos de interpretación de la realidad peruana, 18ª ed.,Minerva, Lima, 1970, p. 51.

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L’effetto della diffusione del Code non corrispose, dunque, aquello originariamente progettato nella Francia rivoluzionaria. NelleAnde non si è assistito alla creazione di una società egualitaria dipiccoli proprietari, bensì all’espansione della ricchezza fondiaria diuna minoranza privilegiata.

3. La legislazione agraria speciale: Bolívar e la Bolivia.

Una delle più radicali testimonianze dell’attuazione del pro-gramma liberal-repubblicano riguardante l’assetto agrario emergedal florido ma confuso panorama legislativo volto a regolamentare ildiritto alla terra dei gruppi indigeni boliviani. Nei prossimi paragrafisi cercherà pertanto di delineare le diverse tappe legislative destinatea mettere in pratica l’ideologia dell’individualismo proprietario neiterritori occupati dai gruppi tradizionali alto-boliviani (266).

3.1. I decreti bolivariani.

Il punto di partenza di tale analisi non può che essere il pensierodel Libertador Simón Bolívar.

Bolívar riteneva che lo Stato avesse il compito primario diproteggere e di garantire la proprietà. Ispirandosi a Locke, a Humee alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, egliconsiderava la proprietà, insieme all’uguaglianza, alla libertà e allasicurezza, uno dei quattro grandi diritti su cui doveva essere costrui-ta la nuova realtà istituzionale. E poiché egli credeva in una pro-prietà basata sull’equità, sulla giustizia e sulla morale, lo Statodoveva assumersi come compito primario quello di proteggerla intutte le situazioni in cui si fosse presentata come diritto « eticamentegiustificabile » (267). La logica è chiara; era lecito dedurne chel’operazione di « giustizia » agraria ricercata da Bolívar si sarebbe

(266) Certamente, l’instabilità e i costanti cambiamenti politici del secolo influironosul programma agrario boliviano. Per un’analisi completa degli avatari della politicaboliviana durante il diciannovesimo secolo si rinvia al classico volume di A. ARGUEDAS,Historia general de Bolivia (El proceso de la nacionalidad) 1809-1921, [1922] EdicionesPuerta del Sol, La Paz, 1977.

(267) J. L. SALCEDO-BASTARDO, Simón Bolívar: la vita e il pensiero politico, trad.coordinata da Franca Rovigatti, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1983, p. 139.

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dovuta realizzare con la restituzione delle terre di comunità agliindigeni, secondo i postulati europei della proprietà individuale.

E dalla teoria si passò alla prassi: il decreto bolivariano diCundinamarca del 20 maggio 1820 attuò tale politica per la Colom-bia. La normativa disponeva infatti la restituzione dei diritti indivi-duali sulle terre necessarie per costituire un’unità agricola familiarea ogni capo famiglia indigeno, qualificandolo come « proprietariolegittimo » (artt. 1 e 2).

In base a tali presupposti, l’8 aprile del 1824 Bolívar emise ilcelebre decreto di Trujillo (Perù) in cui, affinché « nessun indiorestasse privo della terra », ordinò quanto segue:

« Le terre cosiddette comuni saranno distribuite tra gli indiosche non possiedano altra terra, e che ne acquisteranno così laproprietà [...]. Questa distribuzione si farà tenendo conto dellasituazione di ogni assegnatario, facendo sempre in modo che chi èsposato sia favorito rispetto a chi non lo è » (268).

Fu così decretata la proprietà individuale e assoluta degli indi-geni sulle terre in loro possesso (art. 2) (269) e fu inoltre ordinatal’attribuzione delle terre di comunità in base al loro stato familiare(artt. 3 e 4) (270). La norma, in breve, permise di giustificare laproprietà con il previo possesso individuale e di riscattare così unodei principali elementi del diritto andino, la cui origine risaliva aitempi degli ayllus preispanici, vale a dire il posseso come fondamen-to per il godimento dei frutti della terra (271).

Per evitare il trasferimento delle terre alle istituzioni religiose e

(268) Cfr. Ibid., p. 142.(269) Art. 1: « Se vendarán por cuenta del estado todas la tierras de su pertenencia,

por una tercera parte menos de su tasación legítima ». Art. 2: « No se comprende en elartículo anterior las tierras que tienen en posesión los denominados indios; antes bien,se les declara propietarios de ellas, para que puedan venderlas o enajenarlas de cualquiermodo ».

(270) Art. 3: « Las tierras llamadas de comunidad, se repartirán conforme aordenanza entre todos los indios que no gocen de alguna otra suerte de tierra, quedandodueños de ellas, como lo declara el artículo 2º; y vendiéndose los sobrantes según elartículo 1º ». Art. 4: « Se hará este repartimiento con consideración del estado de cadaporcionero, asignándole siempre más al casado que al que no lo sea y de manera queningún indio pueda quedarse sin su respectivo terreno ».

(271) G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidadescampesinas del Perú, cit., p. 92.

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tutelare l’indigeno contro i truffatori, un secondo decreto bolivaria-no, pubblicato a Cuzco il 4 luglio 1825, proibì di alienare laproprietà assegnata a ogni indigeno fino al 1850 e mai a favore delle« mani morte », pena la nullità (art. 9) (272). Lo stesso decreto rese icaciques di sangue (cioè i discendenti dei kurakas degli antichi ayllus)proprietari pieni delle terre che possedevano (art. 4). Ai caciques chenon avevano terre furono invece conferiti dei terreni in misuramaggiore rispetto agli indigeni comuni (art. 5).

Un ulteriore decreto, emesso a Chuquisaca (Bolivia) il 14 di-cembre 1825, riconobbe il diritto di proprietà agli indigeni posses-sori (art. 3) e conferì loro preferenza nell’attribuzione delle terre(art. 4), obbligando i beneficiari del provvedimento a lavorare laterra assegnata a rischio della revoca del diritto (art. 5).

Valutando tali decreti, possiamo individuare alcuni elementiutili a stabilire le concrete intenzioni del Libertador.

Bolívar voleva edificare un sistema agrario basato sulla proprietàindividuale del lavoratore contadino. Il programma, come noto, siinseriva nella più generale utopia di creare uno Stato-nazione, unicoe monista, assimilando l’indigeno al cittadino moderno. Gli indigenidovevano essere dunque considerati legittimi proprietari con pienidiritti di disposizione, poiché solo in questo modo si sarebbeaffermata una società di persone autonome in ambito economico,sociale e politico, requisito essenziale per il successo dello Statorepubblicano. Nell’immaginario bolivariano gli indigeni, in quantopiccoli agricoltori, avrebbero, in definitiva, incrementato la produ-zione agricola e garantito l’esito dell’indipendenza (273).

Sull’interpretazione dei decreti bolivariani si è molto discusso indottrina (274). È sufficiente ricordare che l’operazione di giustizia agra-

(272) Art. 9: « La propiedad absoluta declarada en favor a los denominados indiosdel citado decreto [8 aprile 1825] se entiende con la limitación de no poderlos enajenarhasta el año 50, y jamás en favor de manos muertas, so pena de nulidad ».

(273) Cfr. C. ALJOVÍN DE LOSADA, Caudillos y constituciones: Perú 1821-1845, cit.,p. 81.

(274) Cfr. J. OVANDO SANZ, El tributo indígena en las finanzas bolivianas del sigloXIX, Ceub, La Paz, 1985, p. 9 e ss.; J. PIEL, Capitalisme agrarie au Pérou, EditionsAnthropos, Paris, 1975, vol. I, p. 271; C. VALDEZ DE LA TORRE, Evolución de lascomunidades de indígenas, Universidad de Cuzco, Cuzco, 1921, p. 147; A. MALDONADO,Derecho agrario, cit., p. 265; L. ANTEZANA E., La política agraria en la primera etapa

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ria ricercata da Bolívar, pur dissolvendo teoricamente le comunità,legittimava la situazione di molti indigeni, trasformando il loro pos-sesso precario in proprietà privata. Il grande passo della legislazioneagricola bolivariana consistette di conseguenza nel sostituire il pos-sesso precario con la proprietà piena, permettendo a ogni indigeno didisporre liberamente del proprio appezzamento. Nonostante ciò, sitrattò di una politica discutibile. Come rivela l’agrarista boliviano Ur-quidi, l’aspetto vulnerabile della politica agraria di Bolívar fu l’averpropugnato la costituzione della proprietà privata contadina a partiredalla divisione delle terre di comunità e non tramite la frammentazionedei latifondi formatisi durante l’epoca coloniale. Ciò comportava nonsolo attentare all’autonomia delle organizzazioni autoctone, rispettatedurante la dominazione spagnola, ma soprattutto rinnegare i dirittiterritoriali, tradizionalmente riconosciuti, delle « nazionalità indige-ne » (275).

Tuttavia, da un punto di vista storiografico, bisogna sottolineareche la formula proposta dal Libertador non era del tutto originale.Da un lato, la soppressione del tributo e la distribuzione della terraagli indigeni per trasformarli in produttori utili al regno erano giàstati proposti in alcuni progetti avanzati verso la fine dell’epocacoloniale (276). Dall’altro, in Spagna, Pedro Rodríguez de Campo-

nacional boliviana, cit., p. 45; G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación delas comunidades campesinas del Perú, cit., p. 107.

(275) A. URQUIDI, El feudalismo en América y la reforma agraria boliviana, Libreríay Editorial « Juventud », La Paz, 1990, p. 163.

(276) Il riferimento è al progetto del fiscal de la Audiencia de Lima MiguelEyzaguirre e alla proposta presentata nelle Cortes di Cadice da Dionisio Inca Yupanqui.Cfr. M. D. DEMÉLAS, La invención política. Bolivia, Ecuador, Perú en el siglo XIX, cit.,p. 395. Occorre aggiungere che di fronte alla proposta della ripartizione delle terre agliindigeni la Comisión Ultramarina delle Cortes si pronunciò il 21 ottobre 1812 consi-derando « muy conforme » la mozione rispetto alle terre realengas o baldías, ma nonnel caso in cui si trattasse delle terre di comunità perché « se han mirado siempre comoun sagrado las tierras de comunidades de indios, no solamente porque en ellas trabajanalgunos naturales sus latores llamadas de comunidad, sino también porque cadaindividuo tiene en ellas el uso de aquella porción que puede cultivar, como también delas maderas y otros frutos en la parte que necesita ». Il 9 novembre del 1812 le Cortesdi Cadice decisero di ripartire le terre « que no sean de dominio particular o decomunidades » ammettendo la ripartizione di queste ultime (fino alla loro metà) solonel caso in cui fossero abbondante rispetto alle aree vicine. Cfr. A. LIPSCHUTZ, La

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manes e Gaspar Melchor de Jovellanos avevano proposto la divisio-ne di tutti i terreni incolti della penisola spagnola, mentre José delCampillo y Cossío e Bernardo Ward avevano manifestato le stesseidee in rapporto al problema indigeno nel Nuovo Mondo (277). Lariforma agraria propugnata da Bolívar rappresentava quindi un altroaspetto dell’eredità del dispotismo illuminato, configurandosi comeun evidente segno di continuità con le idee anticipate durante la finedell’antico regime.

3.2. L’individualismo proprietario e le leggi agrarie.

Il programma agrario avanzato dalle prime costituzioni e normefondiarie di ispirazione bolivariana ebbe celere accoglienza neidiversi stati latinoamericani. Per quanto riguarda il suo effetto sullasistemazione dell’assetto indigeno, un notevole esempio dell’attivitàstatale volta alla riforma dello schema agrario è costituito dall’intro-duzione delle idee liberali nella Repubblica boliviana dell’Ottocen-to (278). La vicenda delle terre indigene nella Bolivia del dicianno-vesimo secolo, anche se priva delle connotazioni militari propriedelle esperienze del Cile o dell’Argentina, risultò infatti caratteriz-zata da un attacco legislativo senza precedenti e solo lontanamenteparagonabile a quello impostato in Perù (279).

comunidad indígena en América y en Chile, Editorial Universitaria, Santiago de Chile,1956, pp. 69-70.

(277) D. J. FRASER, La política de desamortización en las comunidades indígenas,1856-1872, in AA.VV., Los pueblos de indios y las comunidades, El Colegio Médico,México D.F., 1991, p. 222.

(278) Su cui vedi M. GOODALE, Dilemmas of Modernity: Bolivian Encounters withLaw and Liberalism, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 2009, p. 45 e ss.

(279) Mentre in Bolivia si era assistito a un progressivo attacco alle comunità su tuttii fronti, in Perù per tutto l’Ottocento persistette l’usanza – almeno – amministrativa dirispettare le pratiche tradizionali e di attendere le decisioni delle comunità sull’utilizzoo meno della legislazione bolivariana. Ciò si verificò con gli indigeni della provincia diConchucos, tramite la risoluzione suprema del 14 ottobre 1830 che sospese l’appropria-zione delle terre di comunità in attesa della decisione comunitaria di ripartire i loroterreni secondo il tenore della nuova legislazione. Nella risposta alla consulta del 2giugno del 1858, il sindaco di Cuzco chiese al Ministero del Governo se gli indigeni dellecomunità che non avevano aderito alla legislazione repubblicana individualista dovesseroessere considerati proprietari delle loro terre. La risposta del fiscal José Simeón Tejadadel 2 dicembre 1858 fu laconica: « Il fatto che gli indigeni finora non abbiano messo in

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Dichiarata l’indipendenza boliviana (6 agosto 1825), Bolívarestese al nuovo Stato i decreti emanati a Trujillo e a Cuzco. Lenorme agrarie dei suoi successori, i presidenti Antonio José de Sucre(1825-1828) e Andrés Santa Cruz (1829-1839) proseguirono lapolitica agraria avviata da Bolívar. Così, il primo, con la legge del 27settembre 1826, abolì la regola che vietava di vendere fino al 1850 leterre ripartite a favore degli indigeni. La nuova legge dispose che iterreni loro assegnati potessero essere alienati dopo dieci anni (280).

pratica il loro diritto di proprietà piena né lo abbiano esercitato in favore di loro eredinon attenta contro la legge perché tali fatti non ledono il diritto ». Una successivadeliberazione, del 4 febbraio 1859, stabilì che la suddetta risoluzione dovesse essereconsiderata come regola generale per casi simili. Fu tale, infine, lo spirito della risolu-zione legislativa del 20 ottobre 1876 che proibì alle autorità della provincia di Acomayodi introdursi nel sistema annuale di ripartizione delle terre comunitarie. Cfr. J. PIEL,Capitalisme agraire au Pérou, cit., vol. II, p. 227. La soluzione al caso qui riportato èconsiderata un tipico esempio del formalismo giuridico del diciannovesimo secolo in F.DE TRAZEGNIES, La idea de derecho en el Perú republicano del siglo XIX, cit., p. 190.Tuttavia, occorre sottolineare che l’attacco della legislazione agraria peruviana alle terreindigene sussisteva e fu portato avanti tramite due mezzi: la dichiarazione di ampi terreni« rimanenti » delle comunità come di proprietà statale e l’abolizione degli ostacoli per lalibera contrattazione con gli indigeni rispetto alle loro terre. In tale scenario la Ley detierras del 1829 ricercò apertamente la spoliazione delle terre comunitarie: derogando ildecreto di Bolívar nella parte in cui si sospendeva fino al 1850 la facoltà degli indigenidi vendere loro terre (tempo necessario per loro scolarizzazione), gli indigeni stessifurono autorizzati ad alienare le terre a condizione di saper leggere e scrivere. Negligentiscrivani dichiararono che molti indigeni erano — miracolosamente — diventati abilinella lingua castigliana, attestando la validità delle vendite dei loro appezzamenti ailatifondisti. Malgrado tutto, la legislazione bolivariana non ebbe alcun effetto pratico abreve termine. Una volta terminata la guerra con il Cile (1879-1884) si registrò l’ingressodell’economia peruviana nel mercato internazionale e la successiva espansione degliinvestimenti stranieri nell’agricoltura e nel settore minerario. Il cambiamento comportòuna nuova dinamica all’interno delle haciendas consistente nell’aggregazione delle unitàterritoriali a scapito delle terre di comunità. L’utilizzo della legislazione liberale boliva-riana fu certamente essenziale per raggiungere tale scopo. Cfr. E. ROMERO, Historiaeconómica del Perú, cit., pp. 277-278; G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión yreafirmación de las comunidades campesinas del Perú, cit., p. 110; Cfr. H. BONILLA,Comunidades indígenas y Estado Nación en el Perú, in AA.VV., Comunidades campesinas.Cambios y permanencias, Centro de Estudios Sociales Solidaridad, Lima, 1988, p. 15.

(280) Sulla legislazione agrario-indigena dei primi cento anni della Repubblica bo-liviana si rimanda a M. BONIFAZ, Legislación agrario-indigenal, Imprenta Universitaria,Cochabamba, 1953. Vedi inoltre J. FLORES MONCAYO, Legislación agraria del indio: reco-pilaciones de resoluciones, órdenes, decretos supremos y otras disposiciones legales 1825-

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Durante il governo di Santa Cruz, la legge del 7 gennaio 1838 stabilìl’incapacità delle comunità di comparire in giudizio, vietando aqualsiasi persona di introdurre domande giudiziarie in loro nome.La norma è particolarmente significativa in quanto rappresenta laprima dichiarazione repubblicana direttamente volta a rinnegare lacomunità indigena come soggetto di diritto. Un anno prima, dandoesecuzione alle leggi agrarie dei suoi predecessori, Santa Cruzproclamò il diritto di proprietà dei caciques sui terreni che avevanoposseduto durante il periodo coloniale e il dominio degli indigenicontribuenti originarios sulle terre di cui avevano goduto il pacificopossesso per almeno dieci anni alla data della legge (Decreto del 7aprile 1837). Tale misura, spiega lo storico Sánchez Albornoz,incitava l’aborigeno a svincolarsi motu proprio dalle comunità perassicurarsi la titolarità fondiaria dell’appezzamento che lavora-va (281). Queste prime disposizioni, anche se inizialmente limitate aun valore declamatorio — date le difficoltà pratiche che comportavala loro attuazione — costituiscono la prima ondata di una serie dinorme volte ad attuare il liberalismo economico propugnato daBolívar sull’assetto fondiario indigeno (282).

Verso la prima metà dell’Ottocento la Bolivia, insieme agli altripaesi latinoamericani, partecipò alla rinascita delle idee liberali (283).Le idee sostenute da figure politiche come Jorge Mallo, José VicenteDorado e Melchor Urquidi diventarono la politica ufficiale duranteil governo di José María Achá (1861-1864); quest’ultimo, persuasodalla proposta del suo ministro del Tesoro e delle Finanze, Melchor

1953, Ministerio de Asuntos Campesinos/ Instituto Indigenista Boliviano, La Paz, 1953.(281) Cfr. N. SÁNCHEZ ALBORNOZ, Indios y tributos en el Alto Perú, Iep, Lima, 1978,

p. 205).(282) Durante il mandato del presidente Santa Cruz fu inoltre creato il Reglamento

de la Revisita de Tierras (28 febbraio 1831). Da quel momento in poi tutti gli indigenidovevano immatricolarsi per conservare il diritto alla terra, suddividendosi tra contri-buenti originari e forestieri (con e senza terra). Seguendo Sánchez Albornoz, i contributiindigeni nel 1831 costituivano il 42,8% del totale delle entrate del Tesoro Nacional,arrivando nel 1838 al 52,7%. Per quanto riguarda i terreni baldíos, rimanenti o incolti,la legge del 30 ottobre 1833 autorizzò il Potere Esecutivo a distribuirli gratuitamente conil solo obbligo di coltivarli e allevare il bestiame nel termine di un anno.

(283) Sull’argomento è didattico. C. HALE, Political and Social Ideas in LatinAmerica, 1870-1930, in L. BETHELL (a cura di), The Cambridge History of Latin America,Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1986, vol. IV, pp. 367-414.

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Urquidi, emise un decreto in cui ordinava di mettere in atto lalegislazione agraria di Bolívar e Santa Cruz, e quindi di distribuire leterre comunitarie tra gli indigeni e di vendere all’asta pubblica ilrimanente come proprietà statale. Numerosi politici consideraronola normativa un attentato contro la proprietà indigena riconosciutada Bolívar e così, prima di entrare in vigore, essa fu abrogata nelgiugno del 1863. Il decreto di Achá anticipò tuttavia la mozioneliberale che si sarebbe imposta nei governi successivi: smantellare leterre di comunità.

Fu così che all’inizio del governo dittatoriale del generale Ma-riano Melgarejo (1864-1871), i politici boliviani si trovarono ascegliere tra due alternative che riducevano il destino dell’indigenoe delle sue terre a due condizioni mutuamente escludenti: indioscolonos, soggiogati al sistema dell’hacienda (284), o indios proprietariindividuali delle terre che possedevano (285). Sia nei discorsi deiliberali « rossi », sia in quelli dei più moderati, la soluzione definitivaal problema della terra indigena presupponeva l’abolizione dellecomunità come premessa per raggiungere la modernizzazione delregime agrario.

Il governo di Melgarejo accolse la tesi più radicale. Due decretimodificarono definitivamente il destino delle comunità e delle loroterre. Il primo, datato 20 marzo 1866, dichiarando tutte le terre diproprietà dello Stato, permise agli indigeni di diventare proprietaridelle terre che possedevano a condizione che pagassero una cifranon inferiore ai venticinque pesos né superiore ai cento, previostudio dei periti. Gli indigeni che nel termine di sessanta giorni nonavessero legalizzato la loro situazione, sarebbero stati privati delleloro terre, e queste vendute all’asta pubblica. Il termine è irrisorio eil risultato prevedibile.

Un secondo storico decreto, del 28 settembre 1868, ordinò che

(284) Il colonato era un rapporto di rendita-lavoro, in base al quale, in cambiodell’accesso alla terra (individuale in sayañas e pegujales e/o collettiva nelle terre comuniagricole o di pascolo), i contadini subordinati all’hacienda dovevano lavorare un numerovariabile di giorni nelle terre sotto diretto controllo dell’hacienda stessa. Cfr. S. RIVERA

CUSICANQUI, Oprimidos pero no vencidos, cit., p. 22.(285) Cfr. queste posizioni in E. D. LANGER, El liberalismo y la abolición de la

comunidad indígena en el siglo XIX, in Historia y Cultura, 14, 1988, p. 67 e ss.

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le terre possedute dagli indigeni, conosciute con il nome di « terre dicomunità » e non acquistate da essi, fossero dichiarate di proprietàdello Stato. La loro successiva vendita all’asta pubblica sarebbeservita per coprire le spese del governo. L’art. 25 del citato decretostabiliva che, nel caso in cui gli indigeni avessero rivendicato le loroterre compiendo le formalità del decreto del 20 marzo 1866, ciò nonavrebbe comportato altro che « un semplice contratto d’affitto dicinque anni, al cui termine esse ritornavano allo Stato ».

Si può allora notare che la normativa di Melgarejo costrinseancora una volta la popolazione indigena a comprare le stesse terrepossedute da tempo immemorabile e che la Corona spagnola avevaloro riconosciuto. Si trattò, in sostanza, di una nuova composición diterre, in questo caso però con caratteristiche di spoliazione e truffa,sia pure appoggiata dallo Stato. La politica agraria di Melgarejopermise infatti che il governo, tra il 20 marzo 1866 e il 31 dicembre1869, vendesse all’asta pubblica le terre appartenenti a duecentose-dici comunità nel dipartimento di La Paz, quindici in Cochabamba,dodici in Chuquisaca, quattro in Tarata, tre in Oruro e una inPotosí (286).

In seguito alla caduta del governo di Melgarejo (gennaio 1871) cifu una forte controversia sulla legalità delle vendite delle terre di co-munità effettuate durante il suo mandato. Il dibattito si focalizzò suldestino delle terre di comunità e dello stesso indigeno nel nuovo sce-nario agrario-economico, in cui due posizioni erano ormai destinatea scontrarsi.

I liberali più radicali (e certamente gli acquirenti delle terre di

(286) In base ai dati desunti dalla Memoria del Ministero delle Finanze del 1870 cfr.N. SÁNCHEZ ALBORNOZ, Indios y tributos en el Alto Perú, cit., pp. 207-208; A. M. LEMA,Le cauchemar et le rêve: politique economiche du Gouvernement de Melgarejo. Bolivie1864-1871, mémoire de maîtrise présenté sous la direction de Monsieur FrançoisChevalier, Université de Paris I, 1983, p. 194. I numeri variano in altre opere. Cfr. inoltreH. S. KLEIN, Haciendas & Ayllus. Rural Society in the Bolivian Andes in the Eighteenthand Nineteenth Centuries, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1993, trad. spag. di J.Flores, Haciendas y ayllus en Bolivia, ss. XVIII y XIX, Iep, Lima, 1995, p. 147; E. P.GRIESHABER, Survival of Indian Communities in Nineteenth-Century Bolivia: A RegionalComparison, in Journal of Latin American Studies, 12, 1980, pp. 223-269; L. GOTKOWITZ,A Revolution for Our Rights. Indigenous Struggles for Land and Justice in Bolivia,1880-1952, Duke Univ. Press, Durham-London, 2007, p. 20.

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comunità durante l’amministrazione di Melgarejo) erano a favoredell’instaurazione del sistema delle haciendas e quindi della conver-sione dell’indigeno proprietario in colono — locatario — « libero ».Tale condizione era considerata sotto tutti gli aspetti superiore aquella del comunario perché il colono libero « [...] non ha altro capoal quale ubbidire che il proprietario [...] poiché nessuno offendel’indio di hacienda, nessuno gli toglie i suoi animali, né lo fa lavorarecontro sua volontà [...] » (287). Citando economisti come Garnier eQuesnay, i liberali proponevano il trasferimento della proprietà delleterre nelle mani dei grandi capitalisti, in modo da consentire unaproduzione su grande scala. Per costoro, l’ingrandimento dei fondie il colonato indigeno erano gli unici mezzi idonei per salvarel’economia e conferire civiltà e dignità agli indigeni. Proclamando« più libertà e meno governo », chiedevano allo Stato di adottare lapolitica del laisser faire, laisser passer e di riconoscere dunque lalegalità delle vendite delle terre di comunità. Molto significativifurono i frequenti richiami all’epoca Inca. Secondo i liberal-radicaligli indigeni non furono mai proprietari sotto il sistema Inca, ma solopossessori di un diritto d’uso controllato dallo Stato. Con l’arrivo deldominio spagnolo la titolarità sulle terre sarebbe passata alla Coronaper poi radicarsi nello Stato repubblicano (288).

(287) MEDINACELI, Cuestión de Comunidades. Artículos tomados de « La Reforma »,Imprenta de la Unión Americana-de Cesar Sevilla, La Paz, giugno 1871, p. 9, BibliotecaNacional de Bolivia (BNB), Sucre, M 807 XXIX.

(288) Ibid., pp. 11-12, 21; LOS COMPRADORES DE TERRENOS, Dos palabras sobre las ventasde tierras realengas, a la Nación, a la Soberana Asamblea y al Supremo Gobierno, Imprentade Gutierrez, Cochabamba, 13 maggio 1871, p. 19 e ss., BNB, Sucre, M 420 VI; DOS

ABOGADOS DE LA PAZ, La defensa de los intereses del Pueblo ante la Honorable AsambleaConstituyente de 1871 (primera serie), Imprenta del Siglo XIX, La Paz, giugno 1871, p.17 e ss., BNB, Sucre, M 420 VII; LOS COMPRADORES, Legitimidad de las compras de tierrasrealengas o sea ecsamen de los folletos titulados, « revindicación de los terrenos de comu-nidad » y « propiedad de los terrenos de los orijinarios », Imprenta de los Amigos, Cocha-bamba, 10 luglio 1871, p. 35 e ss., BNB, Sucre, M 420 IX; J. M. BARRAGAN Y EYZAGUIRRE,Reclamo de los compradores de terrenos del Estado ante la Soberana Asamblea, Imprentade la Unión Americana de Cesar Sevilla, La Paz, luglio 1871, p. 5 e ss., BNB, Sucre, M 807XXXI; LOS COMPRADORES DE TIERRAS DE COMUNIDAD, Solicitud presentada al Supremo Go-bierno, Imprenta Siglo XIX, La Paz, luglio 1873, BNB, Sucre, M 534 X. Sull’argomento dellanatura del diritto del sovrano Inca sulle terre di comunità si ricorderà anche il dibattittoriportato in supra 116-117 nota 10

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La posizione contraria, di tendenza liberal-conservatrice, vedevainvece nella legislazione di Melgarejo un aperto attentato contro illegittimo diritto di proprietà della popolazione indigena sancito daidecreti di Bolívar e di Santa Cruz. Il colonato era rifiutato e siriteneva che l’indigeno dovesse essere dichiarato proprietario indi-viduale e autonomo delle terre che possedeva. La proprietà indivi-duale era considerata auspicabile perché « il comunario proprietariodelle sue terre potrà coltivarle con più attenzione e, potendo ven-derle, esse saranno trasferite nelle mani più attive » (289). Secondoquesta ipotesi, gli indigeni (sia individualmente sia raggruppati negliayllus) erano sempre stati proprietari delle loro terre; il loro possessoera poi diventato proprietà privata tramite le concessioni assegnatedalla Corona, e la legislazione bolivariana aveva solo confermato ilsistema di proprietà stabilito dalla regola coloniale (290). La propostadei liberal-conservatori era quindi quella di assegnare agli indigeni iterreni di comunità in proprietà piena e individuale, procedendopreviamente alla rivendicazione dei terreni venduti durante il gover-no di Melgarejo.

Sarà quest’ultima la soluzione adottata dall’art. 1 della legge del31 luglio 1871: « Gli indigeni sono stati e sono proprietari dei terrenidi origine e di comunità. Restano, perciò, annullate di pieno diritto,come attentatrici del diritto di proprietà, tutte le vendite, aggiudi-cazioni o alienazioni di qualunque tipo di tali terreni fatte sottol’amministrazione di Mariano Melgarejo ».

(289) Cfr., J. M. SANTIBAÑEZ, Revindicación de los terrenos de comunidad, Imprentadel Siglo, Cochabamba, 1871, p. 28, 32, 44 e ss., BNB, Sucre, M 420 V bis; ID.,Revindicación de los terrenos de comunidad o sea la refutación del folleto titulado« Legitimidad de las compras de tierras realengas », Imprenta del Siglo, Cochabamba,1871, p. 42 e ss., BNB, Sucre, M 420 XI. In supporto alla sua posizione cfr. M. M. DE

AGUIRRE, Apéndice al folleto del Dr. José María Santibañez sobre venta de tierras deorijinarios, Imprenta del Siglo, Cochabamba, giugno 1871, BNB, Sucre, M 420 VIII; UN

VECINO DE CHAYANTA, Propiedad de los terrenos de orijinarios y la injusticia de las ventasde ellos, ante el juicio de la nación, Imprenta de Pedro España, Sucre, 17 luglio 1871,BNB, Sucre, M 420 X.

(290) Gli argomenti a favore e contro le vendite delle terre di comunità sono statidettagliatamente studiati da A. M. LEMA, Le cauchemar et le rêve: politique économiche duGouvernement de Melgarejo. Bolivie 1864-1871, cit., p. 196 e ss. Cfr. inoltre J. OVANDO

SANZ, El tributo indígena en las finanzas bolivianas del siglo XIX, cit., capitoli XV, XVI;L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 21 e ss.

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Malgrado la chiara intenzione del legislatore, la successiva nor-mativa integrò la disciplina originaria, a danno degli interessi degliindigeni: la legge del 9 agosto 1871 modificò infatti la regola dellanullità di pieno diritto delle vendite. Da quel momento in avantidivenne necessario seguire un giudizio e ottenere una sentenza chedichiarasse espressamente la nullità della vendita. In seguito, laresolución suprema del 7 giugno 1872 stabilì all’art. 1: « Gli indigenicomunarios non possono né individualmente né collettivamentepromuovere azioni giudiziarie sulla proprietà dei terreni di riparti-mento [comunità] fin quando non vengano determinate le condi-zioni necessarie per l’esercizio del pieno dominio ».

In questo contesto si può ben capire come la legislazionesuccessiva al decreto del luglio 1871 abbia facilitato, paradossalmen-te, la spoliazione delle terre comunitarie. Di fronte agli ostacoliburocratici stabiliti dalle leggi successive, poche terre tornaronoeffettivamente nelle mani degli indigeni, e si consolidò così ilprocesso di concentrazione dei terreni delle ex-comunità nelle manidegli hacendados.

3.3. La legge di svincolo e le “revisitas”.

Le basi della politica liberale agraria erano ormai ben radicateall’inizio degli anni settanta, mancando solo il colpo di grazia afavore dell’individualismo proprietario sulle terre indigene. Talecompito sarebbe spettato al governo di Tomás Frías (1874-1876),che emise il 5 ottobre 1874 la legge nota come Ex-vinculación detierras de comunidad (legge di svincolo). Il nuovo testo seguì le lineedella normativa precedente, dichiarando il pieno diritto degli indi-geni sulle terre (art. 1). All’indigeno era ora riconosciuto il diritto divendere le terre in suo possesso e l’esercizio di tutti gli atti didominio « dalla data della consegna del rispettivo titolo di proprie-tà » (art. 5). Il compito di perlustrare, delimitare e conferire tali titolifu conferito alle cosiddette juntas revisitadoras (art. 11). Nuovamen-te, i terreni non posseduti dagli indigeni furono dichiarati vacanti(sobrantes) e quindi di patrimonio dello Stato (art. 4).

La più importante novità fu comunque sancita dall’art. 7, cheaccolse con straordinaria chiarezza la massima aspirazione dei libe-rali boliviani: « [...] dal momento in cui siano conferiti titoli di

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proprietà la legge non riconoscerà comunità. Nessun individuo ogruppo di individui potrà avere il nome di comunità o aillo [ayllu],né comparire nel loro nome davanti a nessuna autorità ».

Un regolamento, datato al 24 dicembre dello stesso anno, fu isti-tuito allo scopo di regolare nel dettaglio l’esecuzione dell’operazionedi svincolo. Ed ecco la regola enunciata nell’art. 59: « Dal momentoin cui le giunte inizino a esercitare le loro funzioni, saranno disco-nosciute giuridicamente le comunità o aillos, e né le juntas revisita-doras, né alcun’altra autorità della Repubblica ammetteranno né da-ranno corso alle richieste che saranno avanzate a loro nome » (291).

È essenziale per noi constatare nell’emergere di una legislazionesenza precedenti nello scenario andino; uno scontro culturale direttoche esprimeva in maniera particolarmente netta lo spirito repubbli-cano già annunciato dalla costituzione, perfezionato dal codice e oraattuato dalla legge agraria.

Come conseguenza del riconoscimento della proprietà indivi-duale, gli indigeni potevano ormai liberamente alienare e ipotecarele loro terre a parità di condizioni con gli altri cittadini e inconformità alle disposizioni del Codice civile. Ma la piena consacra-zione dei diritti civili, come sottolinea l’agrarista Abraham Maldo-nado, anziché favorirli li pregiudicò: gli hacendados non avevano piùbisogno di ricorrere al potere pubblico, né alle sottigliezze giuridi-che per appropriarsi delle terre di comunità. Ora la legge autoriz-zava una simile appropriazione in forma di legittimo contratto conuomini che reputava uguali (292).

La legge di svincolo (e il suo regolamento) non ebbe tuttaviaun’applicazione immediata. Fu solo cinque anni dopo che, in base aldecreto del 16 settembre 1879, si ordinò l’inizio delle revisitasgenerales (« rivisite »), con la finalità di misurare e tracciare i confinidelle terre come prima tappa per il conferimento di titoli di pro-prietà individuali nonché per la successiva determinazione del tri-buto o contribuzione territoriale.

In questo periodo, in seno alla Convención Nacional del 1880 siaprì un importante dibattito sulla sorte dell’indigeno una volta

(291) La disposizione concordava con un’altra del 7 gennaio 1838 emessa duranteil governo di Santa Cruz. Cfr. supra 213.

(292) A. MALDONADO, Derecho agrario, cit., p. 292.

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smembrata la comunità. Lo scontro si concentrò nuovamente suibeni comuni e sull’opportunità o meno di far diventare l’indigenoproprietario. Si discuteva, in particolare, se questi avesse diritto allaterra come proprietario legittimo o se al contrario il dominio emi-nente sulle terre spettasse allo Stato (293). Le voci di esponentipolitici come José Rosendo Gutierrez (« Non c’è stato-nazione senzaprevia distruzione della comunità indigena ») o Nataniel Aguirre(« Seguiamo l’esempio della nobiltà francese! restituiamo i dirittiall’indigeno! ») furono finalmente accolte per confermare l’annulla-mento degli ayllus e la trasformazione degli indigeni in cittadiniindipendenti secondo la formula economica di stampo europeo (294).

Due specifiche leggi rappresentarono la conseguenza immediatadella politica agraria adottata a seguito della Convención: quella del15 agosto 1880 che nell’art. 6 ordinava la vendita forzata delle terredi comunità non ripartite a causa dell’opposizione degli indigeni; equella del 1° ottobre dello stesso anno, che considerava abbando-nate, ovvero beni pubblici, le terre indigene non coltivate e neautorizzava la vendita (295).

Tra le leggi successive alla normativa di svincolo occorre ricor-dare quella che escluse dalle revisitas le terre delle comunità cheavevano legittimato il loro possesso durante l’epoca coloniale attra-verso le cédulas de composición. La disposizione, datata 23 novembre1883, rinviò direttamente ai titoli coloniali per legittimare il possessofondiario in tempi repubblicani, fatto notevole se si considera lavolontà delle autorità repubblicane di rifiutare le istituzioni legatealla regola spagnola. Su tale base gli indigeni che avevano pagato ilprezzo delle loro terre tramite l’istituzione della composición rima-nevano esenti dalla « rivisita ». Questa legge sarebbe servita a unagrande quantità di ayllus aventi titoli coloniali per ottenere l’esen-

(293) Cfr. M. IRUROZQUI VÍCTORIANO, Elites en litigio. Las ventas de tierras decomunidad en Bolivia, 1880-1899, Iep, Lima, 1993, p. 10.

(294) M. D. DEMÉLAS, La invención política, cit., p. 403; cfr. anche ID., Les propriétéscollectives face aux attaques liberales, cit., p. 314. Approfondimenti sul pensiero liberalerelativo alla cittadinanza degli indigeni di Nataniel Aguirre sono reperibili in L.GOTKOWITZ, A Revolution for Our Right, cit., pp. 27-30.

(295) Questa legge confermò inoltre l’esonero tributario degli indigeni forasteros, osenza terra, che furono definitivamente dispensati nel 1882. Cfr. N. SÁNCHEZ ALBORNOZ,Indios y tributos en el Alto Perú, cit., p. 214.

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zione del tributo repubblicano e soprattutto per legittimare larichiesta della loro esistenza giuridica (296).

Tuttavia la legge del 1883 rappresentò un’eccezione li dove eragià stata decisa la sorte della comunità e dell’indigeno comunario. Itermini concreti del dibattito sviluppatosi durante la Convención del1880 rivelavano infatti come gli argomenti dei liberali e conservatorisi collocassero, in definitiva, sullo stesso piano di idee relativamentealla sorte degli indigeni una volta cancellate le comunità: colonos oproprietari individuali.

A dispetto della legislazione che dichiarava l’indigeno proprie-tario pieno delle terre che possedeva, nella realtà dei fatti la solu-zione che prese definitivamente il sopravvento fu quella del colonato.Così, l’indigeno sarebbe stato costretto ad abbandonare le comunitàe a sottoporsi, in cambio della terra, agli ordini dell’hacendado.

Tale processo ebbe inizio con l’attuazione della legge di svincolodel 1874, la quale, avendo confermato agli indigeni originarios,agregados e forasteros la proprietà assoluta delle terre in loro pos-sesso, fissò un nuovo tipo di tributo unico basato sulla « terraposseduta » (297). Come abbiamo anticipato, la cosiddetta junta

(296) Cfr. T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., pp. 108-109. Tra ibeneficiari di tale normativa si trovava, ad esempio, la storica marka di Jesús deMachaqa. Cfr. R. CHOQUE CANQUI, Jesús de Machaqa: la marka rebelde, Plural-Cipca, LaPaz, 2003, p. 269.

(297) Sia in Bolivia che in Perù, la vicenda legata alla soppressione e ristabilimentodel tributo indigeno durante il diciannovesimo secolo è complessa. Il 27 agosto 1821,dopo aver dichiarato cittadini gli indigeni peruviani, José de San Martín abolì laschiavitù e il tributo indigeno. Qualche anno dopo, il 22 dicembre 1825, Simón Bolívarabrogò a Chuquisaca (Bolivia) la contribuzione personale imposta agli indigeni dallaCorona spagnola, stabilendo una politica tributaria mista basata sui contributi personali,sulla proprietà territoriale e sui redditi delle scienze, delle arti e delle industrie.Malgrado le intenzioni dei primi condottieri, l’11 agosto 1826 lo stato di necessità dellefinanze pubbliche portò il Congresso peruviano a ristabilire il tributo coloniale cheassunse però la denominazione di contribución de indígenas. In Bolivia, intanto, iltributo indigeno fu ristabilito con l’appellativo di contribucion indigenal mediante unalegge firmata nel 1826 dal presidente Sucre. Nel nuovo scenario, gli indigeni conser-vavano il diritto di possesso dei loro appezzamenti in cambio del pagamento delleimposte alle nuove repubbliche. Questa regola concesse loro nuovi diritti e obblighicome cittadini-proprietari secondo i principi dell’ideologia repubblicana liberale. Perun approfondimento cfr. N. SÁNCHEZ ALBORNOZ, Indios y tributos en el Alto Perú, cit.,p. 192; B. LARSON, Trials of Nation Making. Liberalism, Race, and Ethnicity in the Andes,

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revisitadora doveva recarsi sul terreno per poi conferire titoli diproprietà in base ai quali sarebbe stato fissato il nuovo tributo.

Alla revisita general di svincolo, decretata per tutta la Repub-blica il 16 settembre 1879, sarebbe spettato il compito di mettere inpratica la legislazione che sopprimeva l’ayllu e stabiliva la nuovaformula tributaria.

Evidentemente, l’operazione avviata dalla revisita sanciva unanuova dinamica nei rapporti con le comunità basata sull’individua-lismo proprietario, sul capitalismo agrario e sulla conseguente mer-cificazione delle terre e dei rapporti con le autorità statali. L’incaricoconferito alle juntas revisitadoras consisteva, in altri termini, nell’ap-plicare la legislazione destinata a creare un mercato nazionale diterre come prima tappa per l’ingrandimento dell’hacienda (298).

Le cifre parlano da sole. Durante il decennio del 1880 il risultatodell’operazione avviata dalla legislazione agraria fu, per l’appunto, iltrasferimento di circa il 30% della terra di comunità nelle mani diprivati (299). Tra il 1846 e il 1941 nel solo dipartimento di La Paz lecomunità diminuirono del 67,7% (da 879 a 262), mentre le hacien-das aumentarono del 423,5% (da 1625 a 8507). Le comunità pro-porzionalmente più colpite furono quelle dell’altopiano (300).

1810-1910, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 2004, pp. 143-144; T. PLATT, Tributoy ciudadanía en Potosí, Bolivia. Consentimiento y libertad entre los ayllus de la provinciade Porco, 1830-1840, in P. GARCÍA JORDÁN (a cura di), Dinámicas de poder local enAmérica Latina, siglos XIX-XXI, Publicacions i edicions de la Universitat de Barcelona,2009, p. 113, 121, 131-132.

(298) T. PLATT, The Role of the Andean Ayllu in the Reproduction of the PettyCommodity Regime in Northern Potosí (Bolivia), in D. LEHMANN (a cura di), Ecology andExchange in the Andes, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1982, p. 36.

(299) Nelle provincie dell’altopiano di Omasuyos e Pacajes, le più vicine a La Paz,il 58% delle terre di sayañas dei sette cantoni di Omasuyos passò ai latifondisti; nei cantonidi Tiahuanaco, Guaqui, Taraco e Viacha della provincia di Pacajes, l’86 % delle terrecomunitarie fu acquisito dai privati. Ibid., p. 20. Per uno sguardo microstorico del processodi creazione del colonato a scapito dell’ingrandimento dell’hacienda tutelata dalla legisla-zione di exvinculación si rimanda a R. BARRAGÁN-F. DURÁN, El despojo en el marco de la ley,in AA.VV., Collana: conflicto por la tierra en el altiplano, Fundación Tierra, La Paz, 2003,p. 37 e ss. Per approfondimenti sul processo di vendita delle terre di comunità tra il 1881e il 1883 nel dipartimento di La Paz cfr. D. DEMÉLAS, Nationalisme sans Nation? La Bolivieaux XIXe - XXe siècles, Editions du Cnrs, Toulouse, 1980, p. 148 e ss.

(300) Cfr. D. DEMÉLAS, Nationalisme sans Nation?, cit., p. 163. Secondo Grieshabernel dipartimento di La Paz tra il 1881 e il 1920 furono venduti 12.158 appezzamenti

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È altresì evidente che, dalla prospettiva degli indigeni, la revisita rea-lizzava una trasformazione totale del sistema impositivo vigente, compor-tando l’inadempimento unilaterale del « patto di reciprocità » tra lo Statooccidentale e la comunità indigena; ovvero, di quel sistema democratico-feudale per cui il consenso indigeno alla riscossione statale del tributo ve-niva accordato in cambio del riconoscimento e della protezione dei dirittirelativi alle comunità, tra cui il possesso delle loro terre (301). È dunquechiaro che la soppressione della comunità, lo stabilimento dell’individua-lismo proprietario, e il mantenimento del tributo portava a una trasfor-mazione dello storico equilibrio tra comunità e autorità statale (302).

Sia in Bolivia che in Perù, paese quest’ultimo che soppresse eristabilì il tributo in diversi periodi nel corso del diciannovesimosecolo (303), il risultato più significativo delle misure fiscali successivea Bolívar fu il ripristino dei criteri discriminatori di regolamentazio-ne coloniale del tributo (304). Fu così che una parte importante delsistema tributario coloniale si perpetuò durante i primi tempi re-pubblicani consentendo la prosecuzione delle strutture economichee sociali pre-capitaliste (305). La continuità era tuttavia snaturata; iprovvedimenti tributari proponevano una riedificazione del patto

comunitari, il 40% di essi tra il 1881 e il 1886. Cfr. E. P. GRIESHABER, Resistencia indígenaa la venta de tierras comunales en el departamento de La Paz, in Data, Revista del Institutode Estudios Andinos y Amazónicos, 1, 1991, p. 114.

(301) T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., p. 100. Si ricorderà inoltre che,organizzati gli indigeni nei loro insediamenti permanenti (reducciones o ayllus), glispagnoli ottenevano i vari prodotti dell’altopiano tramite lo sfruttamento delle tradizio-nali forme di lavoro indigeno. Sull’argomento cfr. E. P. GRIESHABER, Survival of IndianCommunities in Nineteenth-Century Bolivia: a Regional Comparison, in Journal of LatinAmerican Studies, 12, 1980, pp. 260-262; supra 132 e ss.

(302) La sequenza delle politiche repubblicane agrarie e delle loro resistenze apartire dal 1825 è stata analizzata da T. PLATT, The Andean Experience of BolivianLiberalism, in S. J. STERN (a cura di), Resistance, Rebellion, and Consciousness in theAndean Peasant World, 18th to 20th Centuries, The Univ. of Wisconsin Press, Madison,1987, capitolo 10.

(303) Cfr. E. ROMERO, Historia económica del Perú, cit., p. 365. J. MATOS MAR,Comunidades indígenas en el área andina, in ID. (a cura di), Hacienda, comunidad ycampesinado en el Perù, Iep, Lima, 1976, p. 185; H. BONILLA, Estado y tributo campesino,in ID., El futuro del pasado. Las coordenadas de la configuaración en los Andes, Institutode Ciencias y Humanidades, Lima 2005, t. II, p. 1079 e ss.

(304) Cfr. supra 61-62; 136-138; 146-150.(305) J. PIEL, Capitalisme agraire au Pérou, cit., vol. I, pp. 286-288.

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tra Stato e gruppi indigeni, questa volta però con un’importantemodifica: in cambio del pagamento del tributo lo Stato si limitava agarantire il possesso « individuale », omettendo le forme collettive disfruttamento terriero. Il patto coloniale tra comunità e Stato risul-tava perciò infranto.

Ma torniamo alla vicenda boliviana. Tenuto conto del tradizio-nale equilibrio tra comunità e Stato, non si poteva non prevederel’effetto della nuova politica tributaria. Tra il 1882 e il 1903 ebbeluogo la revisita general ma, a causa della resistenza delle comunitàdell’altopiano (306), in molti casi si rese necessario l’appoggio arma-to, trasformando semplici processi burocratici in veri e propri campidi battaglia (307).

Il metodo così avviato, anche se permise il conferimento di unaconsiderevole quantità di titoli individuali, non fu mai completamenteimplementato e meno che mai rispettato. A causa della rottura delpatto di reciprocità da parte dello Stato, gli indigeni si sentirono liberidi non rispettare le nuove regole tributarie e di assestamento fondiario

(306) In particolare della zona nord del dipartimento di Potosí, e di quella deidipartimenti di La Paz e di Oruro. Tali situazioni contrastano con l’accettazione dellarevisita, con la conseguente divisione delle terre e il conferimento di titoli individualiverificatisi nel dipartimento di Cochabamba. A tale proposito cfr. L. GOTKOWITZ, ARevolution for Our Rights, cit., pp. 33-34.

(307) Conviene inoltre sottolineare che dal versante indigeno, l’implementazionedella politica anti-comunità sancita dalla legge di svincolo, diede luogo alla nascita delmovimento degli apoderados generales (1880-1890), composto da diverse autorità indi-gene dei dipartimenti di La Paz, Oruro, Potosí, Chuquisaca e Cochabamba. Lo scopoprincipale dell’iniziativa, capeggiata da Feliciano Espinosa e Diego Cari, fu quello diopporsi alla politica statale di espansione del latifondo, avviata in base alla legislazioneliberale dell’epoca. Si trattava quindi di bloccare la revisita general de tierras ma, alcontempo, di rivendicare i titoli originari delle comunità indigene ricorrendo alla legalitàconferita in epoca coloniale. Ironicamente, il sostegno legale che legittimava la posizionedegli apoderados, come rappresentati degli indigeni, si trovava nella stessa legge disvincolo del 1874. Essa aveva dichiarato che gli indios potevano comparire rappresentatidagli apoderados (art. 7) senza negare esplicitamente la loro appartenenza indigena.Un’importante vittoria degli apoderados fu la sospensione della revisita general di terre e,come anticipato, l’esenzione della revisita per le comunità riconosciute in tempi coloniali(legge del 23 novembre 1883). Cfr. T. PLATT, The Andean Experience of BolivianLiberalism, cit., p. 319; E. TICONA ALEJO, Il nuovo ruolo dei popoli indigeni contadini nellapolitica boliviana, in R. MARTUFI-L. VASAPOLLO (a cura di), Futuro indigeno. La sfida delleameriche, Jaca Book, Milano, 2009, p. 47.

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individuale (308). A partire dal 1881 e fino alla fine del diciannovesimosecolo diverse memorie del Ministero del Tesoro e delle Finanze bo-liviano testimoniano l’agitata situazione sociale di fronte all’appli-cazione della politica della misurazione e del riconoscimento di titolifondiari individuali (309). Nel nord del dipartimento di Potosí, Narcisode la Riva — il funzionario addetto dell’applicazione della legge disvincolo per la provincia di Chayanta — avendo rinunciato alla suacarica dopo tre anni di servizio, consegnò, nel 1885, un coraggiosorapporto in cui spiegava le ragioni delle resistenze indigene e gli erroridella legislazione del 1874. Dal suo rapporto si evince che, oltre allecostanti sollevazioni indigene, la causa principale del suo esaurimento« fisico e morale » era dovuta « all’inefficacia delle misure adottate delGoverno per sottomettere gli indigeni » (310).

La radice del problema impostato dalle revisitas si trovavanell’inadeguatezza del programma liberale per una Repubblica incui, come sottolinea Platt, « ciò che cominciò come un modellogiuridico elaborato dalle forze del progresso agro-minerario, perraggiungere la razionalizzazione del possesso e la modernizzazionedel regime agrario, finiva per minare le basi stesse della società civileche si era sviluppata a partire dall’eredità coloniale » (311). Nell’im-posizione dell’ideologia liberale e nella conseguente frattura del« patto di reciprocità » coloniale si possono riconoscere i fattoriessenziali del disequilibrio sociale che avrebbero portato allo scate-narsi delle rivolte che culminarono nella guerra civile del 1899 (312).

(308) T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., p. 73.(309) Cfr. Memoria del Ministerio de Hacienda correspondiente al año 1882, BNB,

Sucre, PO MF1 1881; Informe del Ministerio de Hacienda è Industria al H. Congreso de1887, BNB, Sucre, PO MF1 1886-1887; Informe al Congreso Ordinario de 1888, BNB

Sucre, M 780 PO MF1.(310) Cfr., Informe que presenta al Supremo Gobierno el Revisitador de la Provincia

de Chayanta Narciso de La Riva, 1885, BNB, Sucre, M 780. Per approfondimenti cfr. T.PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., p. 95 e ss.

(311) T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, cit., p. 91. Cfr. inoltre J. OVANDO

SANZ, El tributo indigena en las finanzas bolivianas del siglo XIX, cit., p. 301 e ss. L’operacontiene peraltro la trascrizione delle memorie del Ministero del Tesoro e delle FinanzeBoliviano del periodo compreso tra il 1826 e il 1901.

(312) La guerra civile rappresentò il successo dell’alleanza delle forze indigene,capeggiate dal dirigente aymara Zárate Willca, con quelle del Partito Liberale. Dai primianni novanta, i liberali avevano sviluppato un discorso pro-indigenista per ottenere il

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La base strutturale dell’assetto fondiario boliviano rimase intattaper i successivi sessanta anni. Il programma liberale voluto daBolívar fu quindi concretizzato, ma per una quantità limitata dicittadini; per quella classe libera dotata di potere di acquisto. Epoiché il processo di trasformazione a cui abbiamo fatto riferimentofu accompagnato da uno stretto legame tra potere politico e potereagrario, l’epoca compresa tra il 1880 e il 1914 rappresentò senzadubbio uno dei periodi di maggiore stabilità politica nella storiacontemporanea latinoamericana, una stabilità dovuta essenzialmenteal fatto che la classe oligarchica era riuscita nel periodo precedentea gettare le basi di uno Stato in grado di arginare, a livello politico,le contraddizioni che si erano sviluppate (313). Su una base istituzio-nale ormai solida, il collegamento tra ricchezza fondiaria e Stato

supporto degli indios colpiti dalla legislazione adottata dai conservatori. Con la promessadi restituire le terre collettive e di abolire la contribución indigenal, l’insurrezioneindigena, inserita in un ambiente di caos civile generalizzato, avrebbe portato all’appog-gio decisivo delle trionfanti forze liberali di José Manuel Pando. Ciò nonostante, unavolta al potere, il fragile patto tra i liberali e gli indigeni non fu rispettato. I liberalidettarono ben presto la legge del 10 novembre 1900 che ordinava la continuazione dellerevisitas. La decisione ebbe la sua causa diretta negli eventi verificatisi nel 1899 alvillaggio di Mohoza (provincia di Ingavi, dipartimento di La Paz), dove un gruppo diindigeni assassinò un contingente militare delle forze liberali come vendetta per gli abusicommessi contro le comunità. Tuttavia, non deve sorprendere una simile misuralegislativa. Come già illustrato, sia i liberali sia i conservatori propugnavano identicivalori: lo sviluppo del settore minerario, la modernizzazione economica e l’abolizionedelle comunità indigene. In quest’ordine di idee gli eventi di Mohoza devono essere visticome un altro pretesto per giustificare la frattura del patto indigeno-liberale. Un’esau-riente trattazione sulla rivolta di Zarate Willca è reperibile in R. CONDARCO MORALES,Zárate el Temible Willca. Historia de la Rebelión Indígena de 1899 en la República deBoliva, 2ª ed., Imp y Librería Renovación, La Paz, 1982; G. FLORES, LevantamientosIndígenas durante el Periodo Liberal, Ceres, Cochabamba, 1984; B. LARSON, Trials ofNation Making, cit., pp. 229-245. Il rifiuto indigeno delle revisitas come una delle causedecisive della rivolta del 1899 è riportato da T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino,cit., p. 88; cfr. anche ID., The andean Experience of Bolivian Liberalism, cit. e L.GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 36.

(313) M. CARMAGNANI, La grande illusione delle oligarchie, cit., p. 172. Lo strettocollegamento tra capitale inglese e classe oligarchica fu alla base di tale processo. Lapenetrazione in America Latina del capitalismo mercantile inglese, a partire dalledichiarazioni indipendentiste, e il nuovo ruolo delle economie latinoamericane nelconcerto internazionale della seconda metà del ventesimo secolo sono argomenti trattatidallo stesso autore, L’America latina dal 500’ a oggi, cit.,. 67 e ss.

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repubblicano risultò rafforzato dagli investimenti di capitale stranie-ro, soprattutto inglese, e dal supporto statale alla colonizzazione,tutti eventi che permisero agli oligarchi boliviani di avviare il cosid-detto « periodo di attacco essenziale » contro le comunità e diperpetuare, insieme a esso, il sistema del latifondo per gran parte delventesimo secolo (314).

Conclusioni

Nel sedicesimo secolo si verificò uno scontro culturale tra duemondi molto dissimili, che rese possibile la penetrazione nelle Andedi un’ideologia del tutto estranea al mondo precolombiano. Non sipuò, tuttavia, considerare l’evoluzione del sistema politico e giuri-dico andino alla stregua della realizzazione di un programma pre-stabilito dai conquistatori; si trattò, al contrario, di complesse dina-miche di imposizione, reazione e ibridazione giuridica tra i modellidei colonizzatori e quelli dei colonizzati; dinamiche che si alimen-tarono a vicenda nel contesto storico in questione. Su tali basi icolonizzatori seppero utilizzare le strutture di potere preispanicheper inserire elementi propri dell’economia di mercato europea. Atale proposito determinante fu il ruolo delle autorità tradizionalinell’introdurre nell’ambiente locale la mercificazione della terra e deirapporti economici collegati di essa.

In un’importante opera dell’etnostorico francese NathamWachtel, relativa al primo secolo di dominazione coloniale, si ricorreal concetto di « destrutturazione » per spiegare la complessa naturadel processo di penetrazione del concetto di proprietà fondiaria nelleAnde (315). Infatti, se da un lato tale penetrazione aveva comportatola distruzione del regime fondiario Inca, dall’altro alcuni caratteri in-caici originari erano stati inclusi e utilizzati essenzialmente a vantaggiodei colonizzatori occidentali. L’autorità coloniale aveva intuito chetale scopo poteva essere raggiunto tramite la sovrapposizione del si-stema fondiario occidentale e le forme tradizionali di produzione an-dina. Secondo tale schema, l’introduzione della nozione di proprietà

(314) H. S. KLEIN, Haciendas y ayllus en Bolivia, ss. XVIII y XIX, cit., p. 148.(315) N. WACHTEL, La vision des vainçus, cit.

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si rivelò la regola di base per controllare la terra indigena al fine diincentivare una produzione di tipo mercantile.

Si trattò, di conseguenza, di un’operazione di distruzione chetramite l’assimilazione cercò di attenuare il forte scontro tra i duemondi, ma non solo. L’edificazione del Nuovo Mondo operò afavore della creazione del mercato agrario, e perciò degli interessiterrieri. Man mano che avanzava il Seicento, i cambiamenti siindirizzarono verso la sistemazione del disordine e degli abusi, macon l’un unico obiettivo d’incorporazione la terra e i suoi prodottinel sistema di mercato europeo. L’inserimento della nozione diproprietà nelle aree andine e la trasformazione dei sistemi di pro-duzione, di scambio e di tributo tramite l’introduzione del denarofurono quindi processi complementari e paralleli che portarono allaformazione del mercato e di un’economia lucrativa.

Dal punto di vista agrario, la conformazione delle strutturecoloniali si attuò tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. Iprincipali cambiamenti si erano però verificati nel periodo prece-dente (1530-1575). Durante questa fase si svilupparono i primiscontri tra i modelli, causando la distruzione dello Stato Inca, dellestrutture e delle dinamiche geo-politiche della società autoctona,consentendo, infine, la « subordinazione formale del sistema primiti-vo » (316). Le misure statali relative all’assetto fondiario nel periodocompreso tra il 1550 e il 1591, permisero, per l’appunto, l’incorpo-razione formale del sistema fondiario primitivo in quello dellaproprietà occidentale, aprendo il primo varco alla circolazione mer-cantile della terra e alla mobilizzazione degli uomini. Tale fenomenoda conto di ciò che Gregoire Madjarian ha opportunamente definitocome la desacralizzazione del suolo e delle relazioni parentali tradi-zionali a esso correlate (317).

Come in Europa, l’Ottocento in America Latina è un secolo dicostituzioni e codici civili. Come in Europa, il messaggio dellaRivoluzione era la fondazione di una modernità giuridica. Come inEuropa, l’Ottocento post-illuminista auspicava una modernità fon-

(316) C. S. ASSADOURIAN, El sistema de la economía colonial. Mercado interno,regiones y espacio económico, Iep, Lima, 1982, pp. 293-294.

(317) G. MADJARIAN, L’invention de la propriété. De la terra sacrée à la sociétémarchande, L’Harmattan, Paris, 1991, pp. 123-124.

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data sul singolo individuo, soprattutto proprietario. È costui il« soggetto virtuoso » (318) che dapprima in Europa prende progres-sivamente il centro della scena. L’Ottocento ha visto, di conseguen-za, lo sforzo dei politici e giuristi repubblicani teso ad assestarel’individualismo proprietario al centro della produzione giuridicastatale. Così, la perfetta simbiosi tra assolutismo giuridico e libera-lismo economico, riflesso dell’affermarsi di uno Stato unico e com-patto in consonanza con il liberalismo economico sancito dai primitesti costituzionali, porterà al graduale assorbimento delle forme dipossesso collettivo sottoposte alle norme del diritto civile.

Tuttavia, ai fini della riflessione sul trapianto giuridico dell’in-dividualismo proprietario occorre un’ulteriore considerazione. Cer-tamente, l’introduzione del modello individualista in America Latinaha avuto scopi ed effetti assai diversi che in Europa. Il contesto in cuifurono applicate le soluzioni europee era del tutto diverso dall’am-biente in cui la nozione moderna di proprietà era stata originaria-mente ideata. Nei paesi andini, l’interpretazione della legislazionebolivariana secondo l’ideologia liberale agraria del diciannovesimosecolo consentì, infatti, la crescita del latifondo a scapito delle terredi comunità e delle altre istituzioni ritenute « mani morte ». Inquesto modo, la stessa rivoluzione del regime di proprietà, e la suarifondazione su basi mercantilistiche, hanno paradossalmente per-petuato un sistema sostanzialmente feudale destinato a sopravviverenel secolo successivo.

Sul piano economico, tale fenomeno può trovare una spiegazio-ne, come rileva con lucidità lo storico Carmagnani, nel fatto chel’espansione del capitalismo ha comportato l’espansione solo dialcuni suoi elementi; questi potevano essere catturati e funzionaliz-zati all’interno del sistema preesistente o dare origine, come nel casodell’America Latina, a forme ibride che, nella realtà storica, sonorisultate molto più frequenti dei modelli ideali. Per tale motivo latrasformazione del sistema feudale non assunse in Sudamerica laforma sperimentata nell’Europa occidentale. Nel contesto latinoa-mericano si è assistito alla formazione di un capitale monopolistico

(318) P. GROSSI, L’Europa del diritto, cit., p. 114.

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(di provenienza soprattutto inglese) caratterizzato da una dimensio-ne marcatamente imperialista (319).

Malgrado la legislazione di carattere centralista del diciannove-simo secolo, non si può dire che scompaia ogni traccia di pluralismogiuridico. Sopra il sistema coloniale, le cui reliquie persistono inmateria tributaria e, in alcuni casi eccezionali, nel riconoscimentodei titoli di proprietà pro-indiviso, si stabilì una legislazione oscil-lante, a cui gli indigeni aderirono o meno a seconda dei loro interessicontingenti (320). Fu così che le revisitas, i titoli individuali e idocumenti coloniali riconosciuti dallo Stato si trasformarono inmezzi giuridici adottati dalle comunità per non soccombere allapressione del mercato e all’attacco legislativo del diciannovesimosecolo.

Mi sia, infine, concessa un’ultima notazione, basata sulle recentiriflessioni di Mattei e Nader (321). L’omissione di ogni considerazio-ne delle aspirazioni degli indigeni e l’uso funzionale della legislazio-ne per dividere, trasferire o usurpare la terra in loro possessocostituiscono elementi decisivi per rivelare una dimensione negativa,spesso ignorata, della rule of law. La storia occidentale ci riferisceinfatti frequenti esperienze in cui essa, in contrasto con i valoridemocratici che giustificarono la sua nascita, è stata utilizzata comemeccanismo destinato a costruire e a legittimare situazioni antigiu-ridiche. In tale dimensione, il diritto è percepito come uno strumen-to di oppressione, volto ad attuare un’illegittima redistribuzionedelle risorse a danno dei soggetti settori più deboli (322).

Alla luce della nostra ricostruzione, appare evidente come sia daleggere in questa chiave l’imposizione della regola dello Stato didiritto che accompagnò la politica agraria riguardante l’assetto

(319) Cfr. M. CARMAGNANI, L’America latina dal 500 a oggi, cit., pp. 89-90.(320) Situazione enunciata in un breve studio di M. L. SIUX, El problema de la

propiedad en las comunidades indígenas. Patrimonio y herencia 1825-1850, in R.BARRAGÁN-D. CAJÍAS-S. QAYUM (a cura di), El siglo XIX: Bolivia y América Latina,Ifea-Embajada de Francia, La Paz, 1997. Cfr. inoltre M. D. DEMÉLAS, La invenciónPolítica, cit., p. 400 e ss.; H. S. KLEIN, Haciendas y ayllus en Bolivia, ss. XVIII y XIX, cit.,p. 164.

(321) U. MATTEI-L. NADER, Plunder. When the Rule of Law is Illegal, Blackwell,Oxford, 2008.

(322) Ibid., pp. 10-26.

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fondiario tradizionale durante l’Ottocento repubblicano. Costituzio-ni e codici civili, sull’onda dei principi liberoscambisti, annullaronoil tradizionale legame tra lo Stato e i gruppi etnici, sovrapponendo aesso uno stretto vincolo tra le istituzioni e la ricchezza fondiaria. Lavendita delle terre di comunità, sommata all’imposizione di tributisempre più onerosi, alterò lo storico equilibrio della struttura socio-economica andina, consentendo l’ingrandimento della ricchezzafondiaria della classe oligarchica.

Tutto ciò accadde poiché l’ideologia etnocentrica delle nuovenazioni non lasciò spazio a concezioni diverse dalla razionalitàcapitalista. Sotto il segno del prestigio dei modelli europei, ledinamiche fondiarie legate alle culture originarie andine furonoannullate dal rigido schema monista di uno Stato assolutista, prontoa concretizzare la modernità nei diversi ambiti della produzionegiuridica.

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PARTE II

IL SISTEMA RIVENDICATO

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CAPITOLO III

I PRIMI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI

« La condición del indígena comunario,perdonenos decir, es peor que la de unabestia que tiene dueño, que lo cuida, lofavorece, lo estima ».

DOS ABOGADOS DE LA PAZ, GIUGNO 1871 (*).

« La tenencia de la tierra consiste en unaserie de relaciones muy complejas e intrin-cadas. La propiedad legal es sólo un indica-dor conceptual menor de esas relaciones;por ningún motivo las describe con exacti-tud. Cuando se consideran los efectos de lareforma agraria en cualquier parte del mun-do, no debe ser olvidado este hecho ».

WILLIAM E. CARTER (**).

SEZIONE I. Il Perù. — 1. I dibattiti e le prime regole costituzionali. — 2. Il Codice civilee le leggi speciali. — 3. La riforma agraria: la scelta cooperativista. — SEZIONE II. LaBolivia. — 1. Tra rivolte e diritti sociali. — 2. Le prime regole costituzionali e iprogrammi politici. — 3. La riforma agraria: tra sindacalismo e liberalismo. — Conclu-sioni.

Si è già sottolineato come l’Ottocento repubblicano sia statocaratterizzato da una forte ondata legislativa volta a sopprimere,

(*) La defensa de los intereses del pueblo ante la Honorable Asamblea Constituyentede 1871, por dos abogados de La Paz (primera serie), Imprenta del Siglo XIX, La Paz,giugno 1871, p. 15, BNB, Sucre, M 420 VII.

(**) W. E. CARTER, Comunidades aymaras y la reforma agraria en Bolivia, InstitutoIndigenista Interamericano, México D.F., 1967, p. 119.

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tramite meccanismi diversi, le comunità indigene dal panoramaagrario (1). Tale fenomeno ebbe però una durata limitata. In seguitoai grossi mutamenti politici gradualmente sviluppatisi a partire daiprimi decenni del ventesimo secolo, in America Latina si diffuse ilpensiero europeo del dopoguerra nonché i nuovi indirizzi giuridico-filosofici. Si trattò, in breve, dell’avvio di un’era che celebrava l’iniziodel cosiddetto costituzionalismo sociale, al cui interno i testi delMessico (1917), dell’Unione Sovietica (1918) e della Repubblica diWeimar (1919) avrebbero avuto il ruolo di protagonisti.

Il testo costituzionale messicano del 1917 introdusse per laprima volta in America Latina una serie di diritti sociali e collettiviche limitavano il modello liberale del diciannovesimo secolo (2). Ilnuovo indirizzo politico condusse a un maggior intervento delloStato nella vita economica e sociale, che si manifestò nell’adozione dipolitiche attive e nel disegno di nuove leggi che stabilirono dellelimitazioni ai principali istituti del diritto privato.

Il costituzionalismo sociale permeava la nozione dei rapporti trai soggetti e le cose; occorreva ripensare ai postulati individualisti edegoisti della proprietà ottocentesca, che non era più considerata undiritto inviolabile, bensì un diritto limitato, derivato dallo Stato egarantito soltanto tramite l’adempimento di una legittima funzionesociale (3).

(1) Nei primi decenni del Novecento i riferimenti legislativi alle forme di organiz-zazione fondiaria indigena erano ancora isolati. Il panorama potrebbe essere cosìriassunto: in Perù, il riferimento secondario dell’art. 76 della Costituzione del 1828, l’art.235 del Código de aguas del 1902, qualche disposizione della Ley de caminos (n. 2.323 del3 novembre 1916) e qualche secondaria risoluzione della Corte Suprema, costituivano ilfondamento giuridico della presenza della comunità indigena nel diritto formale dopopiù di novant’anni di vita repubblicana. In Bolivia lo scenario non appariva piùpromettente: un isolato articolo della Costituzione del 1871, per la precisione il n. 16,disponeva che i beni appartenenti alle comunità godessero delle stesse garanzie dellaproprietà individuale. La disposizione era ripetuta anche nei testi successivi (art. 17 Cost.1878; art. 17 Cost. 1880).

(2) J. SAYEG HELÚ, El constitucionalismo social mexicano. La integración constitu-cional de México (1808-1988), Fondo de Cultura Económica, México D.F., 1991.

(3) Nozione che in Europa sembra rievocare il modello socialdemocratico weime-riano secondo cui la proprietà obbliga i cittadini e viene posta al servizio del benecomune. Sui significati associati alla complessità dell’espressione funzione sociale sirimanda a P. RESCIGNO, voce Proprietà, in Enc. dir., 37, 1988, p. 273 e ss. Dalla

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Malgrado il mutamento di indirizzo, la costituzione mantenne laproprietà « individuale » come centro di gravità e base istituzionaledei rapporti economici. Tuttavia, benché il cambiamento ius-teoriconon denotasse uno spostamento del paradigma individualista deirapporti con le cose, le prime dichiarazioni costituzionali latino-americane del Novecento, seguendo la scia del modello rivoluzio-nario messicano, portarono a un nuovo e generico programmapro-collettività la cui realizzazione era affidata alle future generazio-ni.

Sul versante dei diritti collettivi il costituzionalismo socialeaveva innescato due importanti cambiamenti che avrebbero avutoinnegabili conseguenze sul programma legislativo relativo alle co-munità indigene. Innanzitutto, il principio dell’uguaglianza formale(ovvero assimilazionista) proprio della filosofia repubblicana deldiciannovesimo secolo fu applicato esclusivamente nel caso in cui isoggetti presentassero delle condizioni materiali atte a renderloeffettivo. Fu così che lo Stato si attribuì un ruolo sempre piùprotettivo nei confronti dei settori sociali più deboli (lavoratori,contadini e gruppi indigeni) sviluppando delle politiche e dellenorme di carattere speciale per garantire la loro sussitenza. Unaseconda trasformazione riguardò la proclamazione di soggetti giuri-dici diversi dall’individuo del costituzionalismo liberale dell’Otto-cento. E quindi, poiché l’introduzione di diritti collettivi richiedevail riconoscimento di enti collettivi, si aprì la strada verso la dichia-razione legislativa della collettività indigena come soggetto di diritto.

Nell’ambito dei primi riconoscimenti legislativi emerge la rile-vante dichiarazione dell’art. 27 della Costituzione messicana, chericonobbe la proprietà fondiaria delle comunità. L’ordinanza avreb-be avuto immediato eco nel costituzionalismo latinoamericano delventesimo secolo (4).

prospettiva storiografica sono interessanti per le Ande le riflessioni di H. S. KLEIN, TheOrigins of the Bolivian National Revolution. Parties, Politics and War, 1920-1943, trad.spag. di R. Medrano, Orígenes de la revolución nacional boliviana. La crisis de lageneración del Chaco, Librería y Editorial Juventud, La Paz, 1968, p. 320

(4) Sugli effetti del costituzionalismo messicano in America Latina sono basilari leriflessioni del classico contributo di R. H. FITZGIBBON, Constitutional Developments inLatin America: A Synthesis, in American Political Science Review, 3, 39, 1945, p. 518 e ss.

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È opportuno notare come, paradossalmente, l’apertura del di-ritto costituzionale verso schemi di appropriazione collettiva abbiaimplicato la concretizzazione di un principio annunciato dagli stessiliberali dell’Ottocento: sin dai tempi di Bolívar i liberali avevano,infatti, proclamato la massima secondo cui la proprietà fondiariadoveva essere resa accessibile a tutti, includendo ogni settore dellasocietà. In tale ambito, va rilevato che il concetto di funzione socialedella proprietà privata sarebbe stato primariamente garantito dallaconfigurazione di quest’ultima non come privilegio di pochi macome diritto di molti; si sottolineava in questo modo lo strettolegame fra il precetto della funzione sociale e quello della generaleaccessibilità (5). Al costituzionalismo sociale spettava dunque ilcompito di perfezionare l’operazione di distribuzione, avendo peròin mente l’archetipo di ripartizione equa delle risorse in base aipostulati della funzione sociale che la proprietà era chiamata adadempiere (6).

Occorre tuttavia sottolineare che, nelle regioni oggetto dellanostra analisi, il nuovo approccio sociale non conobbe alcunosviluppo derivante all’importazione delle nozioni giuridiche euro-pee. Nello spazio andino, lo sguardo giuridico verso la collettività

Per approfondimenti sul riconoscimento costituzionale dell’indigeno in America Latinasi rimanda alle limpide osservazioni di B. CLAVERO, Derecho indígena y cultura constitu-cional en América, Siglo Veintiuno editores, Madrid, 1994, p. 44 e ss. Cfr. inoltre A. PEÑA

JUMPA-V. CABEDO MALLOL-F. LÓPEZ BÁRCENAS, Constituciones, derecho y justicia en lospueblos indígenas de America Latina, Pucp, Lima, 2002; R. YRIGOYEN, Hitos del recono-cimiento del pluralismo jurídico y el derecho indígena en las políticas indigenistas y elconstitucionalismo andino, in M. BERRAONDO (a cura di), Pueblos indígenas y derechoshumanos, Universidad de Deusto, Bilbao, 2006, pp. 537-567. È da sottolineare chemoderne dichiarazioni costituzionali, come quella colombiana del 1991, comprendonoall’interno della funzione sociale l’impegno dello Stato di tutelare e di promuovere leforme associative o comunitarie di proprietà, introducendo il dibattito intorno alladistribuzione democratica della terra. Sull’argomento vedi, di recente, le riflessioni di H.ALVIAR GARCÍA, The Unending Quest for Land: The Tale of Broken ConstitutionalPromises, in Texas Law Review, 89, 7, 2011, pp. 1895-1914.

(5) F. PEDRINI, Note preliminari a uno studio sui diritti costituzionali economici, inwww.forumcostituzionale.it (consultato il 24/03/2012).

(6) J. SAYEG HELÚ, El constitucionalismo social mexicano. La integración constitu-cional de México (1808-1988), cit., p. 640; P. RESCIGNO, voce Proprietà, in Enc. dir., cit.,p. 272.

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indigena si legava piuttosto a una nuova concezione di legalità, natain seguito all’appello del movimento indigenista sulla condizioneprecaria dell’indio. Su questa base, è interessante sottolineare comeil discorso giuridico sulla terra, motivato dall’assenza di un ricono-scimento ufficiale della classe indigena e dall’abolizione dei suoidiritti fondiari, abbia indotto i giuristi peruviani di inizio Novecentoa riflettere sull’urgenza del riconoscimento giuridico delle comunità,e a ricorrere agli spunti offerti dalla nascente etnografia e dall’etno-logia, consentendo una prima e precaria fotografia del contesto edella condizione della comunità indigena dell’epoca. Lo sforzo diricercare il diritto negli elementi della realtà, la critica alla leggeemanata con un criterio generale e astratto, e la conseguente denun-cia dell’abisso tra Paese reale e Paese legale, inseriscono il movimen-to dell’« indigenismo giuridico » alla base di una riflessione dimatrice sociologica. In questo modo, ponendo la sua attenzione sulleproblematiche originariamente andine, la scienza giuridica peruvia-na annullò implicitamente la visione etnocentrica che aveva tradi-zionalmente caratterizzato l’analisi delle istituzioni giuridiche inLatino America (7).

Nel frattempo, in ambito europeo, importanti sviluppi si eranoconcretizzati. L’apertura verso il modello pluralista in materia fon-diaria si verificò in gran parte grazie allo studio intrapreso da diversiversanti delle scienze sociali alla scoperta delle società tradizionali.Le prime opere antropologiche, sviluppate soprattutto da giuristiintraprendenti durante la seconda metà dell’Ottocento, rivelaronol’esistenza di sistemi giuridici paralleli al modello occidentale sancitodalla codificazione decimononica. Come rileva Nader, erano tempiin cui i più affermati antropologi erano giuristi che, per spiegare ilproprio mondo, utilizzavano paradigmi di pensiero storici ed evo-

(7) Lo studio dell’indigenismo giuridico e delle sue implicazioni nella culturagiuridica latinoamericana è fenomeno recente. Cfr. C. RAMOS NÚÑEZ, Historia del derechocivil peruano. Siglos XIX y XX., t. V, vol. 2, Pucp, Lima, 2006, p. 207 e ss.; D. GUILLET,Customary Law and the Nationalist Project in Spain and Peru, in The Hispanic AmericanHistorical Review, 2005, 85, 1, p. 81 e ss. Per ulteriori riflessioni sul movimentoindigenista nella sistemazione del diritto alla terra delle comunità si rimanda a R. MÍGUEZ

NÚÑEZ, Indigenismo, scienza giuridica e proprietà andina, in Riv. crit. dir. priv., 30, 2,2012, pp. 269-305; ID., Las proyecciones del indigenismo jurídico sobre la propiedadandina, in Anuario de Historia del Derecho Español, 80, 2010, pp. 767-804.

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luzionisti (8). Così, nel giro di trent’anni, si diffuse una serie di opereche consideravano le società umane come un insieme coerente eunitario, sottoposto a leggi di trasformazione globale e generale.Secondo tali lavori, tutte le società umane attraversano identiche fasinel loro contenuto e nella loro successione. Una simile visione,applicata alle materie giuridiche, è nota come evoluzionismo giuri-dico (9). Per quanto concerne il nostro studio, l’intento di illustrarela storia comparata di tutte le società tradizionali e moderne riguar-

(8) Cfr. L. NADER, The Life of Law. Anthropological Projects, Univ. of CaliforniaPress, Berkeley-Los Angeles-London, 2002, p. 77; ID., Le Forze vive del diritto. Un’in-troduzione all’antropologia giuridica, presentazione di E. Grande, Ed. Scientifiche Italia-ne, Napoli, 2003, p. 28.

(9) A capo di questa corrente si collocano i lavori di Henri Sumner Maine (AncientLaw, 1861; On Early Law and Custom, 1883); dello scozzese John F. MacLennan (Studiesin Ancient History, 1876); della scuola tedesca della Comparative Jurisprudence di F.Bernhoeft, G. Cohn e J. Kohler (lavori ripresi nella loro rivista Zeitschrift für verglei-chende Rechtswissenschaft, 1878) e Albert Hermann Post (con la sua giurisprudenzaetnologica sviluppata e sistemata in Grundriss der ethnologischen Jurisprudenz, 1890); lateoria dell’etnologia di parentela matriarcale del magistrato svizzero Johann Bachofen(Das Mutterrecht, 1861); l’opera leader dell’evoluzionismo del giurista newyorkese LewisH. Morgan (Ancient Society, 1877) e i lavori degli italiani Pietro Cogliolo (La teoriadell’evoluzione darwinista nel diritto privato, 1882), Giuseppe D’Aguanno (La genesi el’evoluzione del diritto civile: secondo le risultanze delle scienze antropologiche e storico-sociali con applicazioni pratiche al codice vigente, 1890) e Giuseppe Mazzarella (Lacondizione giuridica del marito nella famiglia matriarcale: contributo alla giurisprudenzaetnologica, 1899). In Francia, Fustel de Coulanges (La cité antique, 1864), CharlesLetourneau (L’évolution de la propriété, 1889) ed Emile de Laveleye (De la propriété etdes ses formes primitives, 1874), anche se non forniscono una struttura completadell’evoluzionismo, prendono in esame il soggetto della proprietà in base a tale prospet-tiva. Più tardi, sul piano economico, l’approccio evoluzionista di Charles Gide (Coursd’économie politique, 1909) suddividerà l’evoluzione della proprietà in sei fasi. Oltretut-to, da diverse prospettive, Helbert Spencer, Edward Burnett Tylor e John Lubbockinsieme ad altri scienziati dell’epoca lavoreranno sotto l’influenza del radicale evoluzio-nismo darwiniano, secondo cui i gruppi indigeni americani si mantengono in unacostante e indefinita fase « primitiva » nota come « stato selvaggio ». Sulla costruzionedella nozione dell’ « altro » come uomo primitivo nelle opere evoluzioniste del dician-novesimo secolo è utile la lettura di B. MCGRANE, Beyond Anthropology. Society and theOther, Columbia Univ. Press, New York, 1989, p. 77 e ss. Per riflessioni generalisull’evoluzionismo giuridico cfr. K. S. NEWMAN, Law and Economic Organization: AComparative Study of Preindustrial Societies, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1983;ROULAND, Anthropologie juridique, Puf, Paris, trad. it. di R. Aluffi Beck Peccoz, presen-tazione di P. G. Monateri, Antropologia giuridica, Giuffrè, Milano, 1992; A. NEGRI, Il

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dò anche l’Impero Inca. Fu così che, su diversi fronti, gli autoristranieri si occuparono del Perù antico e delle sue vestigia prece-dendo gli stessi studiosi peruviani (10).

Intanto, sul piano filosofico, Pierre Leroux (De l’individualismeet du socialisme, 1834) e Auguste Comte (Système de politiquepositive ou Traite de sociologie, instituant la religion de l’humanité,1851) avevano annunciato il bisogno di spostare l’individuo dalcentro del mondo e di ripensare quindi alla proprietà come aun’istituzione eminentemente socio-centrica (11). In sede strettamen-te giuridica, i primi decenni del ventesimo secolo attestarono unarivolta contro il formalismo legale, cioè contro quell’indirizzo dipensiero che affondava le sue origini nelle dottrine del giusnatura-lismo illuministico e in alcuni principi sviluppati e applicati dallascuola francese dell’esegesi (12). I contributi in questione, presentinelle opere di Eugen Ehrlich, François Gény, Leon Duguit e Geor-

giurista dell’area romanista di fronte all’etnologia giuridica, Giuffrè, Milano, 1983; RenatoTREVES, Sociologia del diritto. Origini, ricerche, problemi, Einaudi, Torino, 2002.

(10) Con ironia il poliedrico intellettuale, Víctor A. Belaúnde, (in La vida univer-sitaria, Lima, 1917, citato da R. BUSTAMANTE CISNEROS, Condición jurídica de las comu-nidades de indígenas en el Perú, tesis para optar al grado de bachiller en la Facultad deJurisprudencia de la Universidad Mayor de San Marcos, s.n., Lima, 1918, p. 19) sottoli-neava in questi termini la mancanza di studi in sede peruviana: « Immaginiamoci che unostraniero venga in Perù e voglia conoscere la realtà del Perù attraverso l’Università.Quale istituzione con più titoli, con maggiori dati, con migliori conoscenze, potrebbefornire a quello straniero una visione di quello che realmente è il Perù? Lo straniero dirà:questo paese si appoggia sulla classe indigena. La classe indigena costituisce la fasciainferiore della società [...] In che forma vive la classe indigena? Quasi tutta vive sottoforma di comunità. E così, lo straniero andrà nell’università e domanderà: cos’è lacomunità indigena? Come si costituisce? Qual è stato il processo della sua evoluzione?Che cosa rappresenta dal punto di vista della legge? È conveniente, oppure no,mantenerla secondo la sociologia economica dell’indigeno? L’Università gli risponderà:esiste un lavoro del tedesco Uhle e una monografia di Bautista Saavedra sulla questione;però io non ho studiato la Comunità indigena in tutti i suoi dettagli; ma potrei dartiqualche dato sulla marka tedesca o sul mir russo ».

(11) Cfr. P. COSTA, Cittadinanza, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 90 e ss.(12) Cfr. R. TREVES, Sociologia del diritto. Origini, ricerche, problemi, cit., p. 103. Per

la ricezione e trasformazione di tali contributi in America Latina si rimanda a D. LÓPEZ

MEDINA, Teoría impura del derecho. La transformación de la cultura jurídica latinoameri-cana, Edit. Legis, Bogotà, 2004.

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ges Gurvitch, si collocano alle origini di un nuovo ramo giuridicochiamato sociologia del diritto (13).

Tali apporti devono essere considerati in una prospettiva con-testuale e non vanno perciò intesi come elementi decisivi nellaprogrammazione del cambiamento giuridico che i giuristi peruvianidi inizio Novecento avrebbero attuato. Nelle Ande, il manifestoverso il pluralismo fondiario non fu intrapreso mediante l’imposi-zione o la semplice imitazione di un’ideologia fortunata. Nel nuovostadio giuridico, i fattori decisivi nel disegno del programma legi-slativo, indicato dai primi testi costituzionali del secolo, furono ildiscorso indigenista in tutte le sue espressioni nonché le pressionidei gruppi indigeni e contadini, che gradualmente raggiunsero unmaggiore grado di organizzazione e di rappresentanza.

Ciò che il nuovo scenario propose fu la socializzazione dellaproduzione giuridica statale, fenomeno per cui il riconoscimentodella diversità pose gradualmente al centro del dibattito giuridicol’indigeno, la comunità e le sue forme di possesso, conducendoall’adozione progressiva della politica multi-culturale.

SEZIONE IIL PERÙ

1. I dibattiti e le prime regole costituzionali.

Le spoliazioni delle terre di comunità e le conseguenti sollevazioniindigene segnarono la vicenda dell’assetto rurale peruviano dei primianni del ventesimo secolo (14). Le cause di tale fenomeno devono

(13) A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa: dal Medioevo all’età contem-poranea, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 584 e ss.

(14) Le diverse rivolte indigene esplose tra il 1884 e il 1924 nel dipartimento diPuno attestano gli sforzi vani degli indigeni volti a bloccare l’espansione dei latifondi. Laletteratura sulle rivolte indigene di tale periodo è abbondante. Cfr. W. KAPSOLI (a curadi), Los movimientos campesinos en el Perú: 1879-1965, Delva Editores, Lima, 1977; H.JOVÉ-A. CANAHUIRE, Historia del movimiento popular y sindical en el departamento dePuno (1880-1968), Tesis de licenciatura en Sociología, Universidad Nacional del Alti-plano, Puno, 1980; J. TAMAYO HERRERA, Historia social e indigenismo en el altiplano,Ediciones Treintaitrés, Lima, 1982, p. 193 e ss.; M. BRUGA-A. FLORES GALINDO, Apogeo

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essere ricercate nell’aumento smisurato dell’hacienda dovuto al raf-forzamento economico dell’oligarchia locale (15). Questa, infatti, vissetra il 1880 e il 1914 la sua età d’oro grazie allo stretto collegamentocon il capitale inglese, che avrebbe consentito la creazione di banche,compagnie di assicurazione e società finanziarie, determinando cheuna parte importante del reddito ottenuto fosse destinato ad accre-scere l’estensione territoriale dei latifondi (16).

Dalla prospettiva giuridica, l’aumento della grande proprietà,com’è da supporsi, era fondato sull’accorto utilizzo della legislazioneliberale dell’Ottocento. D’altro canto però non bisogna nemmenodimenticare che l’aumento della popolazione indigena, a partiredalla seconda metà del diciannovesimo secolo, accelerò la tendenzaall’appropriazione individuale degli appezzamenti all’interno dellecomunità tramite il ricorso alla stessa normativa (17).

y crisis de la república aristocrática, Rikchay Perú, Lima, rist. 1991. Per un approcciostorico generale e rinvii bibliografici cfr. A. FLORES GALINDO, Movimientos campesinos enel Perú: balance y esquema, rist. in ID., Obras completas, Fundación Andina - Concytec,Lima, 1996, t. IV, pp. 349-370. Si vedano inoltre i classici contributi sulle rivolte di Punoin D. MAYER, La historia de las sublevaciones indígenas en Puno, in El Deber Pro-Indígena,IV, 48, settembre 1917, pp. 285-294; IV, 49, ottobre 1917, pp. 295-300.

(15) Bastino alcuni esempi: verso il 1923, nel distretto di Canchayllo, dipartimentodi Junín, l’84% delle terre apparteneva al sistema latifondista, di cui circa il 75%corrispondeva a terre comunitarie sottratte a seguito dell’applicazione della legislazionebolivariana. Occupandosi del dipartimento di Puno, il giurista Manuel Quiroga presen-tò, nelle pagine della sua tesi di laurea, un’interessante analisi comparativa tra la crescitadelle comunità e le haciendas. Dal suo studio risulta che dal 1876 fino al 1915 il numerodelle tenute nel dipartimento era salito da 703 a 3.219: erano dunque nate 2.516haciendas nel corso di quarant’anni. M. QUIROGA, Evolución jurídica de la propiedad ruralen Puno, tesis de doctorado en Jurisprudencia, Universidad de Arequipa, 1915. Sirimanda anche all’esauriente rapporto dell’agente fiscale di Azángaro J. FRISANCHO,Algunas visitas fiscales concernientes al problema indígena, Tip. El Progreso Editorial,Lima, 1915. Per una più dettagliata casistica sull’espansione dell’hacienda cfr. F.CHEVALIER, La expansión de la gran propiedad en el alto Perú, in A. FLORES GALINDO-O.PLAZA (a cura di), Haciendas y plantaciones en el Perú, Programa Académico de CienciasSociales de la Universidad Católica, Lima, 1975, pp. 8-23; A. FLORES GALINDO, Arequipay el sur andino: ensayo de historia regional (siglos XVIII-XX), Editorial Horizonte, Lima,1977, p. 114 e ss.

(16) M. CARMAGNANI, Le grande illusione delle oligarchie. Stato e società in Americalatina (1850-1930), Loescher editore, Torino, 1981, p. 118 e ss.; p. 130 e ss.; p. 144.

(17) Noti esempi di quest’ultimo fenomeno sono reperibili in J. PIEL, Capitalismeagraire au Pérou, Anthropos, Paris, 1975, vol. II, p. 264 e ss.

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L’insieme di tali circostanze spinse diversi settori intellettuali epolitici peruviani a confrontarsi con la vicenda dell’indigeno, apren-do il dibattito sul bisogno di una legislazione più protettiva nei suoiconfronti. Tale problematica avrebbe avuto un primo spazio didiscussione pubblica in seno all’Asamblea Nacional del 1919, con-gresso convocato dal secondo governo di Augusto B. Leguía (1919-1930) con lo scopo di riformare la Costituzione liberale del 1867.

Il governo di Leguía rappresentava una rottura politica rispettoal processo di costruzione della « repubblica aristocratica » avviatonella seconda meta del diciannovesimo secolo (18). Leguía prevedevadi ampliare i margini di partecipazione a settori sociali diversi daquelli oligarchici, conferendo alla piccola borghesia urbana e allaclasse contadina una voce privilegiata nella costruzione della nuevapatria. In base a tali premesse, il periodo compreso tra il 1919 e il1922 si fece testimone di un eccezionale programma politico checercò di far fronte al gamonalismo e ai gruppi di potere regionali (19).L’Asamblea del 1919 fu il primo e più noto risultato di questa storicacongiuntura della vita repubblicana peruviana (20).

A partire dal 14 ottobre 1919 si discussero i diversi aspetti dellaproposta presentata dalla maggioranza della Comisión de Constitu-ción presieduta dal giurista e storico Javier Prado y Ugarte. Quantoall’indigeno, il progetto presentato dalla Comisión aveva una chiaradoppia finalità: vietare ogni elemento che potesse minare la libertà

(18) M. BRUGA-A. FLORES GALINDO, Apogeo y crisis de la república aristocrática,Rikchay Perú, Lima, 1991, rist. in A. FLORES GALINDO, Obras completas, FundaciónAndina - Sur Casa de Estudios del Socialismo, Lima, 1994, t. II, p. 185.

(19) L’espressione gamonalismo, derivata da gamonal, fa riferimento all’uomoricco, proprietario delle terre più redditizie (in un ambito territoriale ristretto) cheesercita un potere politico ed economico, e che sottomette, per suoi personali interessi,gli indios o contadini a metodi abusivi e coercitivi la cui efficacia dipende dal timore chesuscitano sulla popolazione indigena. Il concetto è ampiamente chiarito nel secondocapitolo dell’opera di J. TAMAYO HERRERA, Historia social e indigenismo en el altiplano,cit., p. 149 e ss. Per una dettagliata analisi del rapporto tra il movimento indigeno e ilsistema gamonal si rimanda ad A. FLORES GALINDO, Buscando un Inca. Identidad y utopíaen los Andes, Editorial Horizonte, Lima, 1988, trad. it. di M. A. Peccianti, Perù: identitàe utopia. Cercando un Inca, Ed. Ponte alle Grazie, Firenze, 1991, p. 208 e ss.

(20) Cfr. N. LYNCH, El pensamiento social sobre la comunidad indígena en el Perú delsiglo XX, Centro de Estudios Regionales Andinos « Bartolomé de las Casas », Cuzco,1979, p. XIX.

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dell’indio e riconoscere la personalità giuridica della comunità indi-gena. Tali scopi furono perseguiti attraverso la proposta di quattroarticoli: l’art. 30, che proibiva tutte le forme di schiavitù (21); l’art.45, che riconosceva l’esistenza legale delle comunità e imponeva ilrispetto dei diritti che le corrispondevano (22); l’art. 52, che assimi-lava i beni delle comunità a quelli dello Stato e delle istituzionipubbliche quanto alle regole sulla loro vendita (23); e, infine, l’art. 73,che esprimeva l’impegno dello Stato per la protezione, lo sviluppo ela diffusione della cultura indigena, attraverso la promulgazione dileggi specifiche in proposito (24).

Nella seduta del 27 ottobre 1919 si discusse il testo dell’art. 45del progetto. È opportuno riportare il dibattito poiché in esso siconfrontarono per la prima volta le due correnti che si contrappo-nevano in seno al nascente movimento dell’indigenismo giuridico:quella protezionista (tutelar) e quella liberale progressista (abolizio-nista) (25). La prima posizione, nota anche come « socialista rifor-mista », postulava, in breve, la continuità della comunità sotto formadi « cooperativa di consumo socialista ». Secondo i suoi sostenitoritale regime consentirebbe di mantenere il contadino indigeno come« usufruttuario » della terra all’interno del regime comunitario, osta-colando così la crescita della proprietà individuale che, a lungotermine, condurrebbe alla dissoluzione della comunità. La secondaposizione invitava, invece, alla soppressione « radicale » o « gradua-

(21) Art. 30: « No hay ni puede haber esclavos en la República y la ley no reconocepacto ni imposición alguna que prive de la libertad individual ».

(22) Art. 45: « La Nación reconoce la existencia legal de las Comunidades deIndígenas y la ley respetando su índole y modalidades, declara los derechos de dichascomunidades ».

(23) Art. 52: « Los bienes de propiedad del Estado, de Instituciones Públicas y deComunidades de Indígenas, sólo podrán transferirse en los casos y en la forma quedisponga la ley y para los objetos que ella designe. Esos bienes no podrán ser adquiridos,en ningún caso, sino mediante título público y legítimo traslado de dominio ».

(24) Art. 73: « El Estado atenderá a la protección, desarrollo y cultura de la razaindígena en armonía con sus condiciones y necesidades peculiares; dictará leyes espe-ciales para hacerlas efectivas ». Per una lettura completa del progetto presentato dallaComisión de Costitución cfr. A. SIVIRICHI, Derecho indígena peruano, Ediciones Kutur,Lima, 1946, pp. 103-104.

(25) Diario de los Debates de la Asamblea Constituyente de 1919, Imp. TorresAguirre, Lima, 1920, p. 810, 812.

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le » della comunità e alla trasformazione degli indigeni in proprietariindividuali delle terre che possedevano. Questa proposta, nella suaversione « radicale » è supportata dai sostenitori del declino dellarazza indigena e della preminenza economica delle forme di appro-priazione individuale, quale unico sistema civilizzatore e stimolanteper lo sviluppo economico dei popoli. Al contrario, la soppressione« graduale » dava conto della proposta « moderata » sostenuta dallamaggioranza del movimento indigenista. Per essa, lo sviluppo socio-culturale dei popoli trasformerà gradualmente le pratiche agrariecollettive in proprietà individuali (26).

I difensori del progetto legislativo, tra cui il deputato e giuristaJuan José Calle, giustificarono la necessità dell’art. 45 data la specialeprotezione che lo Stato avrebbe dovuto conferire alle comunità inconsiderazione dei costanti attacchi dei latifondisti. Su tali basi,dichiararono la necessità di integrare il testo presentato alla Comi-sión, aggiungendo che il riconoscimento giuridico delle comunitàdoveva rispettare « l’indole e le modalità relative al dominio, pos-sesso e il godimento delle loro proprietà ». La tendenza opposta, sicoglie invece nella voce del deputato José Rodríguez. A suo parereil riconoscimento delle comunità avrebbe comportato una distinzio-ne tra i cittadini di una stessa nazione, mentre la regola principedoveva essere l’omogeneità. Occorreva quindi cancellare la parte delprogetto relativa al riconoscimento legale delle comunità, sostituen-do la norma con la dichiarazione del diritto che gli indigeni e le lorofamiglie avevano come proprietari sulle terre, seguendo il modellodell’homestead anglosassone (27).

Il testo costituzionale del 18 gennaio 1920 scelse la via tutelar.Dal progetto originariamente presentato, due singoli articoli, inseritinel titolo sulle Garantías sociales, diedero esplicita vita giuridica allecomunità indigene peruviane dopo cent’anni di vita repubblicana.

L’art. 41 stabiliva:

« I beni di proprietà dello Stato, delle istituzioni pubbliche e delle

(26) Per maggiori dettagli rinviamo a R. MÍGUEZ NÚÑEZ, Indigenismo, scienzagiuridica e proprietà andina, cit., pp. 302-304

(27) Diario de los Debates de la Asamblea Constituyente de 1919, cit., p. 814.

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comunità indigene sono imprescrittibili e potranno trasferirsi solo median-te titolo pubblico nei casi e tramite le forme stabilite dalla legge » (28).

E l’art. 58:

« Lo Stato proteggerà la razza indigena e detterà delle leggi speciali peril suo sviluppo e la sua cultura in armonia con le sue necessità. La Nazionericonosce l’esistenza legale delle comunità indigene e la legge dichiarerà idiritti che le spettano » (29).

Il primo inserimento delle comunità nel testo costituzionale —generico si dirà, ma al contempo risoluto — rivela un vitale cam-biamento nella natura del rapporto tra Stato e indigeno: il costitu-zionalismo peruviano, liberandosi della politica di assimilazione eomogeneizzazione culturale, si avviava verso la protezione e l’inte-grazione dell’indigeno nella vita nazionale sulla base del rispettodelle sue specificità culturali.

Il mandato costituzionale aveva tuttavia un carattere eminente-mente declamatorio, e sarebbe poi spettato agli operatori giuridici ilcompito di renderlo effettivo. Due enti furono istituiti a tale scopo:il Patronato de Indígenas (1922) e la Sección de Asuntos Indígenas delMinisterio de Fomento. Il primo aveva come finalità la difesa e laprotezione della « razza » indigena, con il compito, tra l’altro, diagire come organismo conciliatore in caso di conflitti tra comunità eterzi. Il secondo, nato con il decreto supremo del 12 settembre 1921e diretto fino al 1925 dal giurista Hildebrando Castro Pozo, sirendeva operativo in caso di conflitto sulle terre. Ingegneri delMinisterio visitavano la comunità e disegnavano la riproduzionetopografica. Il processo portava infine al conferimento del titolo diproprietà.

Tre risoluzioni supreme (due del luglio 1924, una dell’agosto

(28) Art. 41: « Los bienes de propiedad del Estado, de instituciones públicas y decomunidades de indígenas son imprescriptibles y sólo podrán transferirse mediantetítulo público, en los casos y en la forma que establezca la ley ».

(29) Art. 58: « El Estado protegerá a la raza indígena y dictara leyes especiales parasu desarrollo y cultura en armonía con sus necesidades. La Nación reconoce la existencialegal de las comunidades de indígenas y la ley declara los derechos que les correspon-dan ».

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Page 258: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

1925) regolarono il censimento e il disegno catastale delle comunità:l’ultima di esse si occupò del « riconoscimento e iscrizione dellecomunità » creando una procedura per l’iscrizione e un RegistroOficial redatto dalla Dirección General de Asuntos Indígenas, dipen-dente dal Ministerio de Fomento. L’iscrizione nel Registro diventòcosì una formalità amministrativa necessaria per tutte le comunitàche volevano ottenere il riconoscimento legale. Fu così che lanormativa posteriore alla Costituzione stabilì un nuovo — e discu-tibile — requisito non previsto dalla carta fondamentale: da quelmomento, per comparire in giudizio, le comunità dovevano attestarel’iscrizione ufficiale nel Registro (30).

Malgrado l’importanza storica della dichiarazione costituziona-le, di fatto la nuova condizione legale delle comunità non apportòulteriori trasformazioni nell’ambiente indigeno-contadino. Ciò fudovuto alla mancanza di una specifica normativa riguardante i dirittiche spettavano alle comunità stesse una volta riconosciute come tali.Un progresso significativo in tal senso sarebbe stato dato dallaCostituzione del 1933.

Destituito il presidente Leguía, la Junta Nacional de Gobiernonominò il 7 agosto 1931 una commissione per la preparazione di unabozza di Costituzione. Il giurista limeño Manuel Vicente Villaránavrebbe avuto il compito di presiederla.

Le sedute del Congreso Constituyente, istituito nel dicembre del1931, coincidono con l’epoca più florida dell’indigenismo giuridico.Come afferma lo storico Jorge Basadre, la crescente importanzadell’indigeno nella coscienza nazionale si riflette nei lunghi discorsipronunciati durante le assemblee. Fu in questo modo che il salonedelle sedute diventò l’aula in cui ebbero luogo delle vere e proprieconferenze sul diritto indigeno (31).

(30) Tale condizione è ribadita dalla giurisprudenza degli anni trenta. Cfr. lesentenze presenti in F. GUZMÁN FERRER, Código civil comentado y concordado, EditorialCientífica, Lima, 1982, t. 1, pp. 218-219. Altri decreti complementari furono il decretosupremo del 18 novembre 1927 sul regolamento del disegno catastale delle comunità, ela resolución suprema del 16 settembre 1927 sul picchettamento dei confini. Sulla basedella nuova normativa, il riconoscimento delle prime comunità risale al 29 gennaio 1926:due nel dipartimento di Cuzco, due in quello di Lima e una in quello di Junín.

(31) Cfr. J. BASADRE, Historia de la República del Perú 1822-1933, 7ª ed., Lima,Editorial Universitaria, 1983, t. X, p. 263.

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All’interno del Congreso, si presentò lo stesso antagonismopolitico del 1919 tra le posizioni « tutelar » e « abolizionista ». Cisono tuttavia notevoli cambiamenti circa il tenore del dibattito.Innanzitutto, dopo la dichiarazione costituzionale della personalitàgiuridica delle comunità indigene, la discussione si incentrò suimetodi per garantire effettivamente i diritti generici riconosciutidalla Costituzione e sulla possibilità di allargare la protezione costi-tuzionale delle comunità, assicurando anche l’impignorabilità e l’ina-lienabilità dei terreni in loro possesso. In secondo luogo, le notevoliopere indigeniste pubblicate negli anni venti avrebbero influenzatole diverse proposte presentate in seno al Congreso. Così, per coloroche proponevano la scomparsa delle terre di comunità a favore diuna sua trasformazione in proprietà privata, l’opera di riferimento ful’esauriente monografia di Carlos Valdez de la Torre Evolución de lascomunidades indígenas (1921). Il Partito Socialista Peruviano, inve-ce, seguendo i presupposti avanzati da Hildebrando Castro Pozo inNuestra comunidad indígena (1924) e da José Carlos Mariátegui nelclassico 7 ensayos de interpretación de la realidad peruana (1928),postulò la trasformazione delle comunità in « cooperative di produ-zione socialiste ».

I dibattiti più interessanti ebbero luogo tra il 26 agosto e il 2settembre 1932 (32). La discussione iniziò con la presentazione degliundici articoli del progetto sulle comunità indigene proposto dallaComisión de Constitución dell’assemblea. Per i membri della Comi-sión le comunità indigene « nate sotto la protezione delle disposi-zioni coloniali, specialmente quelle contenute nelle ordinanze diToledo e nella Recopilación de Leyes de Indias, sono vere e propriepersone giuridiche, che reclamano, per ragioni speciali, la tuteladella legge » (33). Lo spirito tutelar del progetto garantiva l’integritàterritoriale delle comunità mediante la dichiarazione dell’inalienabi-lità e impignorabilità delle loro terre, obbligando lo Stato a distri-buire le terre alle comunità che non ne possedevano in quantitàsufficiente. Dall’intenso dibattito sorto intorno al disegno di legge

(32) Cfr. Diario de los Debates del Congreso Constituyente de 1931, t. VI, DebateConstitucional, n. 113, 115, 117, 118, 119.

(33) Diario de los Debates del Congreso Constituyente de 1931, t. VII, n. 113, DebateConstitucional, 26 agosto 1932, p. 3130.

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possono essere individuati due punti di conflitto: la possibilità diconferire agli indigeni la facoltà di dividere la comunità con ilquorum dei 2/3 dei suoi membri e l’opportunità di riconoscere ildiritto consuetudinario in materia successoria (34). L’approvazionedel testo definitivo sullo statuto giuridico delle comunità ebbe luogonella seduta del 5 settembre 1932 (35). Si adottò una posizioneecclettica che da un lato rifiutava la divisione delle terre comunitarie,ma che dall’altro annullava il riconoscimento del diritto consuetu-dinario indigeno poiché, andando contro ogni rinvio al pluralismo,si considerò che « non era possibile che le consuetudini degliorganismi arretrati si ponessero in parallelo con le norme del Codicecivile » (36).

La Costituzione del 1933 dedicò alle Comunidad de Indígenas isei articoli del titolo XI (207-212).

L’art. 207 reiterò la disposizione della Costituzione del 1920sull’esistenza legale delle comunità, aggiungendo esplicitamente cheesse avevano personalità giuridica (37). Con tale misura si cercò, inprincipio, di favorire le comunità sottraendole alle formalità ammi-nistrative imposte dalla legislazione complementare alla Costituzio-ne del 1920. Ciò nonostante, l’art. 193 (app. 9 e 10) aggiunse comerequisito per il riconoscimento della personalità giuridica dellecomunità l’iscrizione nel Registro corrispondente (38). Tramite que-st’ultimo vincolo, la normativa costituzionale pregiudicò la condi-zione legale delle comunità: l’iscrizione nel Registro aveva ora una

(34) Da ciò derivò la presentazione di due progetti sostitutivi: Diario de los Debatesdel Congreso Constituyente de 1931, t. VII, n. 118, Debate Constitucional, 1 settembre1932, p. 3257; ID., t. VII, n. 119, Debate Constitucional, 2 settembre 1932, pp.3287-3288.

(35) In seguito furono però presentate alcune aggiunte dai membri del PartitoSocialista. Per dettagli cfr. J. BASADRE, Historia de la República del Perú, cit., pp. 263-264.

(36) G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidadescampesinas del Perú, Editorial San Marcos, Lima, 2007, p. 128.

(37) Art. 207: « Las Comunidades de Indígenas tienen existencia legal y personeríajurídica ».

(38) Art. 193: « Son atribuciones de los Concejos Departamentales además de lasque señalan las leyes, las siguientes: [...] 9. Inscribir oficialmente a las comunidades deindígenas, conforme a la ley, en el Registro correspondiente, para el efecto de recono-cerles personería jurídica; y 10. Proteger a las comunidades de indígenas; levantar elcenso y formar el catastro de las mismas... ».

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validità costituzionale e quindi ineludibile per ottenere il riconosci-mento come persona giuridica (39).

L’art. 208 dichiarò che lo Stato avrebbe garantito l’integritàdella proprietà delle comunità e che la legge avrebbe organizzato ilRegistro corrispondente (40). Lo stesso spirito protezionista si leggenell’art. 209 che dichiarò la loro proprietà imprescrittibile, impigno-rabile e inalienabile, a eccezione del caso di espropriazione per causedi utilità pubblica (41). Importante è, inoltre, la misura introdottadall’art. 210, che consacrò l’autonomia economica e amministrativadelle comunità vietando l’intromissione delle autorità statali al lorointerno (42). L’art. 211 dichiarò la volontà dello Stato di darepriorità, nell’assegnazione di terre, alle comunità che ne fosserocarenti, espropriando le proprietà private, previa debita indenni-tà (43). L’art. 212, infine, ordinò di dettare una legislazione specialeper la popolazione indigena (44).

Qualche commento conclusivo al testo è d’obbligo.La Costituzione del 1933 accolse la tesi socialista di tutela delle

terre indigene. In tale ambito, la garanzia generica sull’integrità deiterreni, presente agli artt. 208 e 209, salvaguardò le comunità daglieventuali attacchi della legislazione complementare. Per tale ragione,

(39) Cfr. P. CASTILLO CASTAÑEDA, Las comunidades campesinas en el siglo XXI:balance jurídico, in AA.VV., ¿Qué sabemos de las comunidades campesinas?, Allpa, Lima,2007, pp. 22-23.

(40) Art. 208: « El Estado garantiza la integridad de la propiedad de las comuni-dades. La Ley organiza el registro correspondiente ».

(41) Art. 209: « La propiedad de las Comunidades es imprescriptible e enajenable,salvo el caso de expropiación por causa de utilidad pública, previa indemnización. Esasimismo, inembargable ».

(42) Art. 210: « Los Concejos Municipales, ni corporaciones, ni autoridad algunaintervendrán en la recaudación, ni admimistración de las rentas y bienes de lasComunidades ». Questa disposizione, peraltro, era in armonia con la dottrina di certerisoluzioni supreme erogate verso la fine del diciannovesimo secolo. Cfr. supra 211-212nota 279.

(43) Art. 211: « El Estado procurará de preferencia dotar de tierras a las Comu-nidades de Indígenas que nos las tengan en cantidas suficiente para las necesidades desu población, y podrá expropiar con tal propósito, tierras de propiedad particular, previaindemnización ».

(44) Art. 212: « El Estado dictará la legislación civil, penal y económica educacionaly administrativa, que las peculiares condiciones de los indígenas exigen ».

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il testo del 1933, andando al di là della dichiarazione della esistenzalegale della comunità, fu il primo nella storia repubblicana latino-americana in grado di conferire un’effettiva protezione alle terreindigene. Inoltre, la nuova Costituzione risultò innovativa anche peraver incorporato gli artt. 210 e 212, norme che lasciavano aperta lapossibilità di una riforma agraria a beneficio specifico delle comu-nità (45).

Quanto al versante patrimoniale, anche se il riconoscimento diuna comunità non implicava automaticamente il conferimento deidiritti di proprietà sulla terra, esso tuttavia permetteva la difesalegale del territorio in quei contenziosi in cui era necessario dimo-strare il possesso ed eventuali titoli. Di conseguenza, una voltariconosciute legalmente, molte comunità presentarono ricorsi desti-nati a rivendicare le loro terre avvalendosi di titoli risalenti persinoall’epoca coloniale (46).

Resta infine da sottolineare un aspetto critico dovuto all’assenzadi rinvio alle pratiche tradizionali sull’uso della terra. La Costituzio-ne del 1933 si limitò a vietare l’intervento delle autorità statali nellariscossione e amministrazione dei redditi e beni della comunità,attribuendo implicitamente un simile ruolo alle autorità tradizionali(art. 210). Il progetto originario conteneva invece ampi rinvii alleconsuetudini relative al trasferimento della terra all’interno dellacomunità, lasciando come suppletiva la legislazione statale. Malgra-do i tentativi di autorevoli rappresentanti, i progetti sostitutivi e iltesto costituzionale finale accolsero la tesi sull’omogeneità dellalegislazione, privando il sistema di trasferimento e di eredità tradi-zionale di spazi all’interno del testo definivo.

(45) Così, G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comuni-dades campesinas del Perú, cit., p. 129.

(46) L’antropologo Alejandro Diez Hurtado illustra tale situazione per la comunitàdi Tacalpo, nella sierra del dipartimento di Piura (nord del Perù). I titoli coloniali furonola base del contenzioso di rivendicazione di terre presentato nel 1941. Cfr. A. DIEZ

HURTADO, Comunidades y haciendas. Procesos de comunalización en la Sierra de Piura(siglos XVIII al XX), Centro de Estudios Regionales Andinos « Bartolomé de las Casas »,Cuzco, 1998, p. 91.

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2. Il codice civile e le leggi speciali.

Una volta stabilita la nuova base istituzionale delle comunitàindigene, al giurista peruviano si presentò la sfida di armonizzare ilmandato costituzionale con la legislazione civile e speciale. Fino adallora la legislazione speciale agraria e i principi liberoscambisti delCodice peruviano del 1852 erano stati conseguenza della volontàpolitico-economica imposta dal costituzionalismo liberale dell’Otto-cento. Occorreva pertanto una riforma della legislazione civile indi-rizzata a inseguire l’ideologia socialista dei nuovi tempi, ovvero unariforma volta alla ricerca della giustizia sociale e della rivendicazionedell’« io » compreso nella collettività. Il compito di proporre lamodifica al Codice civile del 1852 fu affidato alla Comisión Refor-madora del Código Civil, organo creato nell’agosto del 1922 epresieduto dal civilista puneño Juan José Calle. La Comisión lavoròper quattordici anni realizzando gran parte del lavoro sotto ilmandato del testo costituzionale del 1920.

Nel maggio del 1923, Calle presentò la prima bozza del progettodi legge riguardante le comunità indigene, le cui disposizioni eranovolte sostanzialmente a: « [...] portare le comunità indigene verso lalegalità effettiva, sia per quanto concerne il loro funzionamento, siaper l’esercizio dei diritti di cui godono, conducendo l’odiernoindigeno comunero a diventare il proprietario individuale del doma-ni, unico mezzo capace di elevarlo alla categoria giuridica di personasui juris oltre che elemento cosciente e efficace della nostra nazio-nalità » (47).

Va segnalato come lo spirito della bozza di legge avesse ideolo-gicamente seguito la corrente abolizionista delle comunità (48). Leparole di Calle richiamarono infatti, testualmente, una delle frasi piùnote del fortunato saggio di Francisco Tudela y Varela, che qualchedecennio prima aveva proposto l’abolizione del regime delle comu-

(47) Cfr. Actas de las sesiones de la Comisión Reformadora del Código Civil Peruanocreada por supremo decreto de 26 de agosto de 1922, Imprenta El Progreso Editorial,Lima, 1923, fasc. 1, p. 215.

(48) N. LYNCH, El pensamiento social sobre la comunidad indígena en el Perú delsiglo XX, cit., p. xxi.

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nità, al fine di trasformare la popolazione della sierra in un elemento« attivo e cosciente » per il progresso della Nazione (49).

Nonostante i precetti in difesa dell’integrità delle terre comuni-tarie (50), il progetto ritornava quindi, all’art. 5, sull’argomento delladivisione delle terre indigene già affrontato in seno al CongresoConstituyente del 1931. La Costituzione del 1933 non si pronunciòin merito alla questione e per Calle questa era l’occasione ideale perseguire il modello di stampo liberale. E così affermò:

« La convinzione profonda che ho sul fatto che la rigenerazionedell’indigeno e la sua civilizzazione dipendano non solo della suaistruzione, ma principalmente dallo sviluppo delle attività che sti-

(49) Per Tudela y Varela la principale critica alla proprietà collettiva indigenaconsiste nell’attacco al sistema di ripartizione annuale delle terre. Sappiamo, infatti, chesecondo la norma ancestrale, le autorità tradizionali distribuivano ogni anno, tra imembri della comunità, le terre di coltivazione (aynuqa) nel corso di una cerimoniareligioso-simbolica (cfr. supra 95). Egli, quindi, sostiene che il frazionamento e laripartizione annuale del suolo tra gli individui del gruppo producono un minorrendimento della terra, giacché la precarietà della proprietà avvertita dall’indigeno (nonsicuro del conferimento dello stesso lotto nella successiva distribuzione) lo induce adattribuire scarsa importanza alla coltivazione e al conseguente miglioramento del suolo.La critica è quindi indirizzata ad un elogio alla proprietà individuale che l’autoreconsidera « l’unica che può servire da stimolo per lo sviluppo dell’agricoltura e per ilprogressivo arricchimento del suolo ». Per Tudela y Varela il collegamento dei centriurbani con la popolazione indigena è il fattore che avrebbe permesso la progressivaabolizione del regime di comunità delle terre. Ma non solo: la ripartizione dei lotti deveinoltre essere dichiarata permanente e i titoli di proprietà individuali devono essereconferiti agli indigeni. Solo in questo modo - afferma - quelle regioni potranno rimanereinglobate nella società e nel commercio del paese e i cittadini avranno la possibilità dicontribuire in modo attivo e consapevole al progresso comune. F. TUDELA Y VARELA,Socialismo Peruano. Estudio sobre las comunidades indígenas, Imprenta La Industria,Lima, 1905, p. 23-24; 31-34.

(50) Per quanto concerne la qualificazione del diritto alla terra dei comuneros, Calleera, paradossalmente, favorevole alla teoria del possesso pro-indiviso delle terre che essioccupavano. Per tale ragione, e come ordinava peraltro la Costituzione, fu inserito nelprogetto il divieto di atti giuridici che limitassero la proprietà della comunità (art. 3). Fuanche questo il motivo per cui il progetto presentato dichiarò le terre comunitariedivisibili esclusivamente in relazione al loro sfruttamento tra i comuneros (art. 4). Lostesso articolo aggiunse un interessante rinvio alle forme di sfruttamento tradizionaledella terra: tale diritto corrispondeva a coloro che risiedevano nella comunità « nellaforma stabilita dalla consuetudine, sia per coltivarle o per il pascolo del bestiame ». Cfr.Actas de las Sesiones de la Comisión Reformadora del Código Civil Peruano, cit., fasc. 3,p. 25 e ss.

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molano particolarmente ciò che potrebbe dirsi il sentimento dellaproprietà, mi ha indotto a proporre la procedura da eseguirsi pertrasformare l’odierno indigeno comunero nel proprietario individua-le del domani » (51).

Di conseguenza, l’art. 5 del progetto ripropose gli stessi terminidel primo progetto sulle comunità indigene presentato durante ildibattito costituzionale presso il Congreso Constituyente del 1931:« La proprietà delle terre della comunità è indivisibile; ciò nono-stante, il Potere Esecutivo potrà ordinarne la divisione e ripartizionetra i comuneros, se i 2/3 dei maschi maggiorenni che formano la suapopolazione lo richiedono ». I lotti aggiudicati dovevano essereriportati nel Registro della Proprietà Fondiaria (art. 9) e « la pro-prietà così acquisita e inalienabile costituirà l’abitazione della fami-glia e sarà trasmessa dai genitori ai figli unicamente secondo le regoledi successione legale » (art. 10).

Fu in questo modo che l’articolo di Calle riportò la massimapropugnata dai rappresentati liberali nel Congreso Constituyente del1931. Si trattava, in altre parole, di importare l’istituzione anglosas-sone dell’homestead e di favorire inoltre la canalizzazione delleforme di possesso e delle consuetudini andine in un unico sistema diproprietà individualista regolato dal Codice civile. Il progetto, insostanza, tendeva all’omogeneità delle regole sull’assetto fondiarionel momento in cui il modello, sviluppato a partire dai testi costi-tuzionali del 1920 e 1933, procedeva verso il pluralismo.

Com’era prevedibile, il progetto fu duramente criticato dallevoci che tutelavano gli interessi delle comunità. Durante quegli anni,il movimento indigenista aveva già raggiunto connotazioni interna-zionali godendo di autorevolezza scientifica grazie a intellettualicome Luis E. Valcárcel, Hildebrando Castro Pozo, José CarlosMariátegui, Pedro Zulén e Dora Mayer. Fu quest’ultima l’autrice delrichiamo più diretto contro il progetto di Calle. Mayer, nel suo Elindígena y su derecho (1929) aveva sottolineato come la concezioneindividualista, propria del diritto romano e chiaramente espressa nelprogetto presentato da Calle, escludesse la persona intesa comecomponente della sua collettività, concetto questo che era invece

(51) Ibid., p. 29.

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parte integrante del sistema Inca. Per Mayer, il regime comunitariotradizionale costituiva l’essenza della forza della razza e pertantoogni tentativo di limitarlo confliggeva con la base etnica e gliinteressi della nazione peruviana. In risposta all’iniziativa legislativaproposta, l’autrice esortava il civilista a rinunciare al mero trapiantoe all’applicazione metodica del diritto romano nella realtà andina. Igiuristi di Lima, affermava sono impregnati di psicologia romanistamalgrado tale diritto si trovasse fuori dal contesto latinoamericano.Per tale motivo, la riforma del Codice civile all’ombra dell’autoritàdel diritto romano non era più attuabile, perché il diritto romano equello indigeno rappresentavano due sistemi antagonisti: il primo diordine patriarcale, il secondo imperiale (52).

Non sappiamo se la pungente critica contro il trapianto diistituzioni giuridiche estranee al contesto locale abbia avuto riper-cussioni tra i membri della Comisión riformatrice del Codice, ma ècerto che il progetto di Calle non fu alla fine accolto. Ciò nonostante,il Codice civile del 1936, nella sezione relativa alle persone giuridi-che, introdusse cinque articoli di taglio decisamente liberale (53).

Il Codice, così come stabilito dalla Costituzione del 1933,riportava l’iscrizione delle comunità nel Registro come requisitofondamentale per l’acquisizione dell’esistenza legale (54). Ciò facilitòin modo implicito la cancellazione di quelle comunità che per motividiversi si trovavano al di fuori del sistema del catasto (55). Inoltre,

(52) D. MAYER DE ZULEN, El indígena y su derecho, s.n., Lima, 1929, p. 7 Ilfenomeno evidenziato da Mayer de Zulen non è estraneo all’osservatore italiano. Vedi,di recente, cfr. G. MARINI, La costruzione delle tradizioni giuridiche e il diritto latinoa-mericano, in Riv. crit. dir. priv., 29, 2, 2011, p. 184.

(53) L’intero testo dell’articolo, nonché il riassunto della sua creazione, può essereconsultato in G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidadescampesinas del Perú, cit. p. 130 e ss. Si rimanda anche a F. GUZMÁN FERRER, Código civilcomentado y concordado, cit., pp. 215-224.

(54) Art. 71: « Es obbligatoria la inscripción de estas comunidades en su registroespecial. Son igualmente obligatorias la formación de los catastros de las comunidadesy la rectificación quinquenal de los padrones ».

(55) Sul punto vedi P. G. NUÑEZ PALOMINO, Derecho y comunidades campesinas enel Perú 1969-1988, Centro de Estudios Regionales Andinos « Bartolomé de las Casas »- Centro de Educación Ocupacional « Jesús Obrero », Cuzco, 1996, p. 46; R. ROBLES

MENDOZA, Legislación peruana sobre las comunidades indígenas, Fondo Editorial Facultadde Ciencias Sociales, Unmsm, Lima, 2002, p. 69. Non mancarono però delle voci che

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l’art. 74 permetteva l’entrata in vigore delle regole sulla proprietà delCodice civile (e altre norme speciali) ma solo se compatibili conl’indivisibilità delle terre comunitarie (56).

Come si può dedurre, le poche e generiche disposizioni delCodice seguivano lo stile del testo costituzionale del 1933 (art. 212);la vicenda delle comunità non era cioè regolata in modo dettagliatoe la normativa del Codice rinviava concisamente alla legislazionespeciale che doveva essere ancora dettata (57). Veniva inoltre speci-ficato che il fatto di trattare le comunità indigene all’interno del librodelle persone conferiva loro la debole condizione di persone giuri-diche di diritto privato. Tale qualità, sommata al requisito dell’iscri-zione nel Registro, apriva un varco verso la frammentazione e lacancellazione delle comunità che si trovavano ai margini del sistemaufficiale del catasto.

Il Codice del 1936 si ispirò alla concezione individualista dellaproprietà. E quindi, anche se la diffusione del socialismo costituzio-nale imponeva l’accessibilità alla proprietà dalla prospettiva dellagiustizia sociale, nell’ideologia del Codice non c’era ancora spazioper forme di possesso alternative alla filosofia individualista.

Si comprende, dunque, che la soluzione adottata dai codificatoriper risolvere il problema imposto dal mandato costituzionale con-sisteva nel consegnare l’effettività del riconoscimento delle comunitàindigene alla normativa futura, assimilando, nel frattempo, le prati-che tradizionali fondiarie alle norme del Codice civile (58). Per lalegge formale, l’indio acquisiva, infatti, il dominio ricorrendo a

insistettero sul fatto che la sola norma dell’art. 207 della Costituzione del 1933 fossesufficiente a conferire la qualità di soggetto attivo delle comunità e poter così agire ingiudizio. Cfr. J. E. CASTAÑEDA, Código civil de 1936, Ed. Librería Mejía Baca, Lima, 1955,p. 47.

(56) Art. 74: « Mientras se dicte la legislación señalada en el artículo 70, lascomunidades de indígenas continuarán sometidas a sus leyes específicas, al régimen depropiedad establecido por este código, en cuanto sea compatible con la indivisibilidadde sus tierras, y a las disposiciones del Poder Ejecutivo ».

(57) Cfr. E. ROMERO ROMAÑA, Derecho civil: los derechos reales, Editorial Revista deDerecho Privado, Lima, t. II, 1967, p. 328.

(58) Sull’argomento cfr. J. M. ARANIBAR, Derecho civil peruano, t. I, Introducción alestudio del derecho de las personas naturales y juridicas, Fundación Manuel Bustamante,Arequipa, 1967, p. 598.

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modalità di acquisto come l’occupazione, l’accessione, l’usucapioneo a contratti come la compravendita. Tale situazione si ripeteva nelleregole di successione e del diritto contrattuale. A nostro avvisol’innovazione realizzata dal Codice è da rintracciarsi nell’art. 73 cheproteggeva le comunità tramite il divieto di affittare o cedere l’usodelle loro terre ai proprietari di terre confinanti (59). Al di là di talenorma, l’indivisibilità delle terre comunitarie era l’unica particolaritàofferta dalla legislazione peruviana alle comunità (60).

Tuttavia, l’applicazione suppletiva delle norme del Codice avevauna scadenza, benché incerta: quella della promulgazione della« legislazione speciale ». In seguito alla promulgazione del Codicecivile, la necessità di procedere alla legislazione speciale sulle comu-nità si fece impellente. Lo scopo da raggiungere era quello diconferire effettività giuridica al programma annunciato dalla Costi-tuzione e dal Codice. Come si è sottolineato, qualcosa in taledirezione era già stato fatto: il decreto del 2 agosto 1925 avevaregolamentato il primo procedimento che le comunità dovevanoseguire per ottenere il riconoscimento legale. Dopo oltre dieci anni,il decreto supremo del 24 luglio 1938 fissò le attribuzioni dellarecente Dirección General de Asuntos Indígenas (61), stabilendo unsecondo procedimento amministrativo da eseguirsi sotto la suagiurisdizione. Da allora in poi la Dirección avrebbe rappresentatol’organismo incaricato del riconoscimento e dell’iscrizione dellecomunità. La nuova procedura stabiliva una maggiore quantità direquisiti rispetto a quelli previsti nel testo del 1925.

Ai suddetti corpi legislativi si affiancarono altri decreti supremitramite cui la normativa speciale delle comunità indigene preseforma. Il decreto supremo 008, del 10 maggio 1961, disciplinò per laterza volta i requisiti necessari per il riconoscimento delle comunitàindigene, sostituendo i procedimenti previsti dalla legislazione an-teriore, e aumentando il numero di requisiti richiesti per il ricono-

(59) Art. 73: « Las comunidades de indígenas no podrán arrendar ni ceder el usode sus tierras a los propietarios de los predios colindantes ».

(60) Su quest’argomento si rimanda alle ampie riflessioni di A. SIVIRICHI, Derechoindígena peruano, cit., p. 119 e ss.

(61) Creata dalla legge 8.547 dell’11 giugno 1937.

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scimento giuridico (62). Qualche mese più tardi, l’Estatuto de Comu-nidades Indígenas del Perú, creato dal decreto supremo 011 del 2giugno 1961, unificò e organizzò, nei suoi sessantaquattro articoli, ledisposizioni vigenti sul funzionamento interno delle comunità, re-golamentando in maniera esauriente la quasi totalità degli aspettidella vita comunitaria. Occorre riportare due importanti disposizio-ni: innanzitutto l’art. 1 che, a partire dalla base giuridica conferitadalla Costituzione e dal Codice civile, nonché da alcuni elementitratti dagli studi etnografici, riassume in un’unica formula l’eteroge-neità delle comunità peruviane definendole come « l’insieme dipersone giuridiche di diritto privato, consistente nell’associazione diindividui vincolati da tradizione, abitudini e costumi, o dal possessodi terre in comune ». Poi, in una norma di attuale rilevanza, ildecreto consegnava l’organizzazione interna della comunità allenorme tradizionali, anche se nella pratica, come rileva la dottrina, siassistette a un forte intervento statale (63).

Infine, un quarto procedimento di riconoscimento della perso-nalità giuridica delle comunità è riconducibile al decreto supremo011-A del 27 luglio 1966. Questa volta si trattò di « orientarel’organizzazione, il funzionamento, il regime economico, le forme digoverno delle comunità indigene e la loro integrazione al processo disviluppo economico, sociale e culturale della nazione ». La nuovanormativa, com’era già tradizione, incrementò i requisiti previsti perl’iscrizione delle comunità. Essi, infatti, aumentarono nel tempo: daiquattro stabiliti dalla legislazione del 1925 si arrivò nel 1966 a dodicidiventando l’iscrizione una pratica burocratica sempre più comples-sa. I diversi documenti richiesti (piano catastale, data di fondazione,

(62) La novità di quest’ultima normativa consistette nel consacrare il diritto di terzia ricorrere ai tribunali per far valere i propri interessi sulle terre possedute dallecomunità (art. 6). Si stabilì inoltre il diritto di opporsi al riconoscimento e all’iscrizioneufficiale di una comunità (art. 7). Art. 6: « El reconocimiento e inscripción oficial de unacomunidad de indígenas constituye solo el otorgamiento de su personeria jurídica,quedando a salvo el derecho de terceros sobre las tierras que la socilitante alega comode su exclusivo dominio ». Art. 7: « Cualquier persona jurídica, singular o colectiva, quese crea con legítimo interés, podrá oponerse al reconocimiento e inscripción oficial deuna comunidad ».

(63) P. G. NUÑEZ PALOMINO, Derecho y comunidades campesinas en el Perú, cit., p.48.

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titoli, ecc.) resero inoltre la procedura più onerosa, tanto da diven-tare una delle principali ragioni per cui diverse comunità decisero dinon piegarsi alla nuova normativa. Nel 1963 lo studioso franceseJehan Vellard sosteneva che, in base ai numeri suggeriti dal Mini-stero del Lavoro peruviano, delle 4.623 comunità censite in Perù nel1920 (cifra che peraltro riteneva poco attendibile) nel giugno del1961 soltanto 1.556 erano state registrate conformemente alle nuovedisposizioni (64).

Dagli elementi rilevati si comprende come il riconoscimentoavviato dalle prime costituzioni avesse trovato degli ostacoli nellalegislazione amministrativa e perciò, anche se il periodo di spolia-zione delle terre di comunità ebbe fine grazie all’attuazione dellalegislazione tutelar, non si raggiunse ancora un effettivo sviluppo néun supporto sistematico delle organizzazioni tradizionali (65).

Ecco quindi il panorama legislativo nel momento in cui si fastrada la prima riforma agraria peruviana (66).

3. La riforma agraria: la scelta cooperativista.

Negli anni cinquanta e sessanta si assistette a una rinnovatamobilizzazione contadina a causa della disuguale distribuzione delleterre (67). All’inizio degli anni sessanta le haciendas, pur rappresen-tando solo il 3,9% del totale delle unità agricole e zootecniche,possedevano il 56% dell’estensione agricola. Il 96% delle restanti

(64) J. VELLARD, Civilisations des Andes. Evolution des populations du haut-plateaubolivien, Gallimard, Paris, 1963, p. 186. Viene comunque rilevato che, durante i governidi Leguía (1919-1930) e di Belaúnde (1964-1968) la maggior parte delle comunitàlegalmente riconosciute furono quelle insediate nei dipartimenti alto andini. Per mag-giori dettagli vedi C. TRIVELLI, Reconocimiento legal de las comunidades campesinas: unarevisión estadística, in Debate Agrario, 14, 1992, pp. 23-37.

(65) L. DEL CASTILLO, ¿Tienen futuro las comunidades indígenas?, in Debate Agrario,14, 1992, p. 40.

(66) Per approfonfimenti sulla normativa speciale delle comunità indigene peru-viane del ventesimo secolo cfr. P. CASTILLO CASTANEDA, Las comunidades campesinas enel siglo XXI, cit., pp. 20-26.

(67) Cfr. dettagli in R. MONTOYA, Lucha por la tierra, reformas agrarias y capitalismoen el Perú del siglo XX, Mosca Azul Editores, Lima, 1989; R. MAC-LEAN Y ESTENOS, Lareforma agraria en el Perú, Instituto de Investigaciones Sociales de la Unam, s. l., 1965,pp. 109-139.

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unità (piccola e media proprietà contadina e comunità indigene) neoccupavano il 44% (68). Nelle Ande peruviane la lotta contadina perla rivendicazione delle terre, tra cui assunse un valore emblematicoquella scatenatasi nell’hacienda « Patria » della Cerro Pasco Corpo-ration (69), si accentuò nutrita dagli sviluppi del pensiero indigenista,dalle scoperte degli studi antropologici e dall’influenza dell’esperien-za rivoluzionaria boliviana (1952-1953) e cubana (1959).

Sul versante giuridico, un timido tentativo di riforma agraria erastato avviato durante il governo di Manuel Prado nel 1956. Neldecennio successivo vennero erogate altre due leggi: il governomilitare di Pérez Godoy promulgò la Ley de Bases de la ReformaAgraria (D.L. n. 14.328) del novembre 1962 e quello di BelaúndeTerry la Ley de Reforma Agraria (n. 15.037) del maggio 1964. Ciònonostante, nessuna avrebbe avuto una conseguenza generalizzata eprofonda nella modificazione del possesso fondiario rurale. Nel1968 beneficiarono della redistribuzione delle terre solo 15.000contadini, con circa 385.000 ettari. Ciò rappresentava meno del 5%delle terre assoggettate e meno del 2% della popolazione contadinache ne avrebbe potuto godere (70).

L’incapacità dell’oligarchia di controllare il potere e di rispon-

(68) J. MATOS MAR-J. MEJÍA, La reforma agraria en el Perú, Iep, Lima, 1980, p. 27.(69) Si trattò della conquista violenta e soffocata, a opera dei comuneros di San

Antonio de Ranca, delle terre usurpate dalle imprese monopoliste nella regione dellasierra centrale peruviana. Tali eventi avrebbero in seguito ispirato il classico romanzoandino Redoble por Rancas (1970) di Manuel Scorza. Sull’argomento si rimanda a W.KAPSOLI, Literatura e historia del Perú, Editorial Lumen, Lima, 1986, p. 93 e ss.; F.LUCARELLI, La riforma agraria in Perù: il caso della Cerro Pasco Co., Cedam, Padova, 1986.

(70) La Ley de Bases e il successivo decreto legge n. 14.444 cercarono di porre finealle gravi rivolte contadine scatenatesi nelle valli di Cuzco (La Convención e Lares). Perdettagli e antecedenti legislativi della riforma agraria si rimanda a R. MAC-LEAN Y

ESTENOS, La reforma agraria en el Perú, cit., p. 167 e ss.; J. MATOS MAR-J. MEJÍA, Lareforma agraria en el Perú, cit., p. 83 e ss.; ID., Reforma agraria: logros y contradicciones1969-1979, Iep, Lima, 2a ed., 1984, p. 35 e ss.; L. A. DONGO DENEGRI, Derecho agrarioperuano, Marsol Peru´ Editores, Trujillo, 1986, t. 1, p. 171 e ss. Trattazione generale inJ. CHONCHOL, Sistemas agrarios en América Latina. De la etapa prehispánica a lamodernización conservadora, Fondo de Cultura Económica, México D.F.-Santiago deChile, 1996, pp. 304-305. Vedi anche il recente schema riassuntivo di E. Mayer, UglyStories of the Peruvian Agrarian Reform, Duke Univ. Press, Durham-London, 2009, pp.1-40.

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dere alle pressioni dei diversi gruppi sociali fu causa, nell’ottobre del1968, del colpo di stato diretto dal capo delle forze armate peruvianeJuan Francisco Velasco Alvarado. Il nuovo presidente, inauguravaun’epoca di profondo cambiamento economico mediante un feno-meno politico singolare nel continente: la cosiddetta rivoluzionemilitare (1968-1975) (71).

All’interno di tale processo un valore privilegiato fu conferitodal Governo Rivoluzionario delle Forze Armate alla Ley de ReformaAgraria avviata dal decreto legge n. 17.716 del 24 giugno 1969, chesi sarebbe configurata come la più drastica normativa contro ilsistema delle haciendas.

Il processo innescato da Velasco Alvarado era destinato amodificare profondamente il settore capitalista. Si trattava di elimi-nare i latifondi stabilendo al loro posto un sistema di assegnazione diterre orientato a creare « forme associative di sfruttamento » tali dacostituire il 70% delle terre ridistribuite (72). A tale fine si istituironola Cooperativa Agropecuaria de Producción (CAP) e la Sociedad Agríco-la de Interés Social (SAIS). La prima si organizzò intorno allo sfrut-tamento dei beni di proprietà collettiva da parte degli operai delle exhaciendas o delle imprese della costa; la seconda invece si formò conle grandi ex haciendas di pascolo della sierra, permettendo l’ingressoa quelle comunità (incorporate come persone giuridiche) che nonpossedevano delle terre (73).

Occorre osservare che il processo di riforma agraria peruvianonon era orientato a una semplice redistribuzione delle terre inproprietà individuale, ma mirava ad colpire profondamente il capi-talismo agrario introducendo come elemento centrale la cooperati-vizzazione del settore rurale e l’ingerenza diretta dello Stato a favoredei contadini (74). La scelta dominante della riforma agraria fu

(71) J. MATOS MAR-J. MEJÍA, Reforma agraria: logros y contradicciones, cit., p. 40.(72) Tra le altre misure, si incrementarono le cause di espropriazione e di ridistri-

buzione delle terre fissando, come limite massimo delle tenute, 150 ettari nella zona dicosta, 30-55 nelle terre di coltivazione della sierra o montagna, e tra 2.500 e 5.000 per leterre di pascolo nella stessa zona.

(73) J. MATOS MAR-J. MEJÍA, Reforma agraria: logros y contradicciones, cit., pp.52-53.

(74) J. CHONCHOL, Sistemas agrarios en América Latina, cit., p. 307; J. MATOS MAR-J.MEJÍA, Reforma agraria: logros y contradicciones, cit., p. 60. Per un approfondimento sul

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pertanto quella della proprietà e dell’organizzazione collettiva dellaproduzione nelle terre agricole. Nelle parole di Velasco Alvarado lariforma ridistribuiva le risorse del capitale verso l’industria, il cuifuturo dipendeva decisamente dalla creazione di un grande mercatointerno, a consumo diversificato, dato « l’inevitabile destino indu-striale della nostra patria » (75).

Certamente, le comunità indigene costituivano parte integrantedel processo di riforma agraria. La legge n. 15.037 dedicava a essetredici articoli (artt. 127-139), il cui contenuto era ribadito (conqualche modifica) nei dodici articoli del decreto legge n. 17.716(artt. 115-126) (76). In quest’ultimo decreto devono essere rilevatedue importanti novità: innanzitutto si modificava la denominazionedi « comunità indigene » in quella di « comunità contadine » (co-munidades campesinas), sostituendo così, nella logica del governomilitare, l’allusione a un termine razziale con un termine di tiposocio-economico. Inoltre, la normativa prevedeva la promulgazionedi uno statuto speciale destinato a regolamentare i diversi aspettiinterni delle comunità in stretto rapporto con il processo di riformaagraria.

La politica fondiaria avviata con il decreto legge 17.716 cercavadi proteggere e rafforzare il sistema collettivo, adattandolo però allanozione di cooperativismo propiziata dallo Stato: l’art. 117 stabilivainfatti come primo compito statale quello di incentivare la mecca-nizzazione delle comunità dei contadini e la loro organizzazione incooperative, al fine di « evitare la frammentazione delle terre comu-nitarie » (77). L’art. 118 dichiarò che le assegnazioni di terre alle

carattere cooperativista della riforma si rimanda a U. SCHIRMER, Reforma agraria ycooperativismo en el Perú: cambios estructurales y contradicciones de la nueva políticaagraria del gobierno militar del Perú, in Revista Mexicana de Sociología, 39, 3, 1977, pp.799-856.

(75) Cit. in F. EGUREN, La reforma agraria en el Perú, Fao, Chile, 2006, p. 11.(76) Il testo è stato riformulato nel decreto supremo 265-70-AG del 18 agosto

1970; cfr. F. BONILLA, Reforma agraria peruana: texto único concordado del Decreto ley no.17716, sus ampliatorias y conexas, Decreto supremo no. 265-70-AG, 18 de agosto de 1970:Decreto-ley no. 18296, Editorial Mercurio, Lima, 1975.

(77) Art. 117: « El Estado estimulará la tecnificación de las comunidades campe-sinas y su organización en cooperativas [...] la Dirección de Comunidades Campesinastendrá la responsabilidad de reestructurar dichas comunidades. El criterio básico para

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comunità si potevano realizzare a condizione di « non trasferire ildominio diretto ». I comuneros avrebbero potuto godere solo indi-vidualmente dell’uso della terra all’interno di sistemi compatibili conl’organizzazione comunitaria cooperativa (78).

Nel tentativo di rendere effettiva la proprietà riconosciuta daitesti costituzionali del 1920 e 1933, spicca l’art. 119, che sancival’obbligo di sottoporre al dominio della comunità tutte le terre chedopo l’entrata in vigore del testo costituzionale del 1920 si trovavanoin possesso individuale di alcuni suoi membri. La stessa normaaggiungeva, accogliendo un principio del diritto tradizionale, chedopo la morte del titolare le terre dovessero essere restituite allacomunità (79).

Sulla base della stessa ideologia, l’art. 120 permise alla comunitàdi recuperare il possesso degli appezzamenti abbandonati e di quellinon sfruttati in forma diretta dai comuneros. L’art. 121, peraltro,giudicò nulli tutti gli atti di trasferimento di dominio delle terre dicomunità a terzi estranei, il cui titolo di trasferimento era posteriorealla Costituzione del 1920 (80).

implementar la tecnificación de las Comunidades Campesinas y su organización encoorperativas será la necesidad de evitar la fragmentación de las tierras comunales ».

(78) Art. 118: « Las adjudicaciones de tierras a las comunidades se harán con lacondición expresa de que no podrán transferir el dominio directo, salvo que dichastierras sean incorporadas a cooperativas o sociedades agrícolas de interés social, las quepodrán contituirse de acuerdo a las disposiciones legales vigentes integradas exclusiva-mente por comuneros que trabajan la tierra. Los comuneros sólo podrán tener indivi-dualmente el uso de la tierra dentro de los sistemas compatibles con la organizacióncomunal cooperativa ».

(79) Art. 119: « Las tierras de comunidades que, con posterioridad dal 18 de enerode 1920, se encuentren en posesión particular de alguno o algunos de sus integrantes, semantendrán bajo el dominio de la comunidad sin alterar ese derecho posesorio y nopodrán ser enajenadas o transferidas ni por contrato ni por sucesión hereditaria. Enconsecuencia, al fallecimiento del usuario, la posesión revertirá a la comunidad ». Cfr.anche supra p. 87.

(80) Art. 120: « La comunidad recuperará la posesión de las parcelas abandonadasy de las no explotadas en forma directa por los comuneros, previo pago de las mejorasnecesarias hechas en ellas ». Art. 121: « Son nulos todos los actos de trasnferencia dedominio de tierras pertenecientes a comunidades, realizadas a favor de terceros y cuyotítulo original de transferencia a dichos terceros sea posterior al 18 de enero de 1920 ».« Asimismo son nulas las concesiones de tierras otorgadas por el Estado a particulares;con fines de irrigación, en detrimento de la propiedad de las Comunidades Campesinas

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Fin qui, si osserva che tutte le disposizioni della riforma agrariafurono volte a garantire l’integrità del collettivismo possessivo dellecomunità. Tuttavia, sul versante della regolamentazione speciale,l’art. 124 fece riferimento a un Estatuto Especial destinato a disci-plinare l’organizzazione e il funzionamento delle comunità, nonchéil loro regime economico, la forma di governo, i servizi comuni e lealtre istituzioni interne a esse. Tale normativa avrebbe però com-portato l’adeguamento del regime amministrativo delle comunità alsistema cooperativo, segnando così l’inizio di una nuova tappa diimposizione di modelli estranei a quello tradizionale (81).

L’Estatuto Especial de Comunidades Campesinas, compreso neldecreto supremo 37-70-A del 17 febbraio 1970, (82) si sarebbeconfigurato come il più dettagliato corpo normativo relativo allacomunità andina. Infatti, fino ad allora, la normativa destinata aregolare le comunità si era limitata al loro riconoscimento legale e alperfezionamento del sistema di titolazione, senza alcun approfondi-mento sugli aspetti relativi all’organizzazione interna, all’autorità,alle forme di sfruttamento delle risorse, al rapporto con lo Stato, ecc.L’art. 1 del decreto dichiarava ora che l’Estatuto Especial rappre-sentava il corpo normativo destinato a regolamentare il regimeeconomico, la forma di governo, i diritti e le obbligazioni dellecomunità con i propri membri. Inoltre, adattandosi alla linea dimodernizzazione cooperativista annunziata dal D.L. n. 17.716, rife-riva nel suo preambolo il dovere di: « dare impulso alla tecnicizza-zione e alla cooperativizzazione delle comunità di contadini al fine diraggiungere la maggiore produzione e produttività di essa [...] ».L’art. 5 aggiunse: « le comunità contadine adotteranno il sistemacooperativo di produzione per gli effetti del decreto legge 17.716[...] ». Ecco, quindi, la proposta ideologica: l’autorità peruvianasceglieva il cooperativismo come strumento per integrare la comu-

y de las propiedades similares a aquellas, debiendo revertir las tierras a la comunidad[...] ».

(81) R. ROBLES MENDOZA, Legislación peruana sobre las comunidades indígenas, cit.,p. 92.

(82) Estatuto de comunidades campesinas del Perú: decreto supremo No. 37-70 A de17 de febrero de 1970; contiene en la parte prelim. las disposiciones de la Constitución ydel Código civil referentes a las comunidades y las leyes, decretos y normas a que se refiereel estatuto, Libr. Distrib. « Bendezú », Lima, 1970.

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nità nel processo di sviluppo, per dinamizzare e modernizzare leforme tradizionali di sfruttamento terriero, e infine per rivitalizzarele norme e i valori consuetudinari. Risulta chiaro, a questo punto,che per lo Stato la questione delle comunità contadine si riduceva aun mero problema di produzione; l’obiettivo, in altri termini, eraquello di trasformare le istituzioni tradizionali in unità economicheche permettessero il raggiungimento dello sviluppo tecnologicoagrario. Il modello cooperativo era quindi il nuovo archetipo desti-nato a sostituire la tradizionale comunità e la riforma, in definitiva,avrebbe conferito delle terre solo a quelle comunità che si fosseroadeguate allo schema promosso dallo Stato (83).

Ci sono, tuttavia, alcuni aspetti positivi dell’Estatuto che meri-tano attenzione. L’art. 2 conteneva una definizione di comunità cheesprimeva i progressi della tecnica giuridica nel comprenderne i suoitradizionali caratteri: « raggruppamento di famiglie che possiedonoe si identificano in un determinato territorio e che si trovano legateda tratti sociali e culturali comuni, dal lavoro comunitario e dalmutuo aiuto e basilarmente dalle attività vincolate all’agro ». L’art. 4,d’altronde, chiariva il problema relativo alla titolarità della proprietàdelle terre comunitarie. Accogliendo la tesi di Castro Pozo, sileggeva: « La comunità è l’unica proprietaria delle sue terre, e i suoimembri sono usufruttari delle stesse ». L’art. 6, infine, ordinava allacomunità di redigere un proprio regolamento, che doveva comun-que essere approvato dalla Dirección de Comunidades Campesinas,doveva cioè godere del consenso statale (84).

(83) M. NUIJTEN-D. LORENZO, ¡Dueños de todo y de nada! (Owners of all andnothing). Restitution of Indian Territories in the Central Andes of Peru, in D. FAY-D.JAMES (a cura di), The Rights and Wrongs of Land Restitution: « Restoring What WasOurs », Routledge-Cavendish, Milton Park-New York, 2008, pp. 190-191.

(84) Con la nuova normativa i requisiti per ottenere la personalità giuridica furonomodificati. Vennero, infatti, semplificati e ridotti a cinque: secondo l’art. 13, oltre acostituire un raggruppamento nei termini del suddetto art. 2 (requisito 1) e raggiungereil quorum di 2/3 dell’Assemblea Generale (requisito 2), non occorreva accreditare ilpossesso immemorabile delle terre, ma era sufficiente il titolo di proprietà dei terreni oil mero il possesso di essi (requisito 3). Il censimento della popolazione e gli altri datirichiesti dai formulari (requisito 4), oltre a un piano con indicazione dei confini(requisito 5), costituivano gli altri requisiti, stabiliti dall’art. 14. Una volta riconosciuta la

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Tiriamo ora le fila della nostra breve analisi.Per i comuneros la riforma agraria rappresentò un’opportunità

storica per rivendicare le terre usurpate dalle haciendas. Ciò nono-stante, lo scopo dei contadini si scontrò con le azioni di moder-nizzazione volute dallo Stato. Gli studiosi insistono infatti sul viziodella legislazione agraria nel considerare le comunità come sempliciunità produttive, tralasciando la loro complessità in quanto istitu-zioni storico-sociali. Il nuovo sistema creava perciò un abisso tra le— storiche — domande di restituzione dei comuneros e i diritti chelo Stato conferiva loro. Le SAIS e le CAP, forme associative disfruttamento patrocinate dal potere centrale, imponevano all’am-biente comunitario la dinamica delle imprese, introdotte nel mer-cato e perciò sottomesse a un sistema di prezzi e concorrenza. Lapressione di tale mercato costrinse molte comunità a stabilire dellepratiche commerciali secondo norme economico-capitaliste (85). Pertale ragione, laddove furono effettivamente inserite, le forme asso-ciative di sfruttamento rappresentarono un fattore di conflittocontinuo all’interno delle comunità nonché nei rapporti con loStato (86).

I grandi beneficiari della riforma agraria furono le famiglie e lecomunità in quanto aggiudicatarie, sotto la forma di impresecooperative, delle terre espropriate ai latifondisti (87). Per taleragione il processo di riforma nella comunità indigena peruviana fu

comunità - con una risoluzione suprema - si accedeva alla personalità giuridica tramitel’iscrizione al Registro Nacional de Comunidades Campesinas (art. 10).

(85) P. G. NUÑEZ PALOMINO, Derecho y comunidades campesinas en el Perú, cit., p.55, 58; G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidadescampesinas del Perú, cit., p. 159; J. M. CABALLERO, Sobre el caracter de la reforma agrariaperuana, in Latin American Perspectives, 4, 3, 1977, pp. 153-154.

(86) Cfr. L. J. SELIGMANN, Between Reform and Revolution. Political Struggles in thePeruvian Andes, 1969-1991, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1995, pp. 60-62, 85-92.Cfr. inoltre le testimonianze sulle problematiche inerenti all’attuazione delle CAP e delleSAIS in E. Mayer, Ugly Stories of the Peruvian Agrarian Reform, cit., cap. 4, 5, 6.

(87) Nel dipartimento di Puno queste imprese, che nel loro insieme ricevevanol’88,5% delle terre espropriate come conseguenza del processo di riforma agraria,furono ventitré SAIS, sedici CAP e cinque Empresas Rurales de Propiedad Social (ERPS).Tuttavia, la maggior parte delle comunità non si trovava in questa situazione: soltantosettantasei furono beneficiate ricevendo 58.551 ettari, mentre altri gruppi di contadiniricevettero 153.452 ettari. Cfr. J. VALERO-C. LÓPEZ, Uso y tenencia de la tierra en Puno:

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caratterizzato da un pesante rovescio della medaglia: se, da un lato,la legge pretendeva di disciplinare capillarmente tutti gli aspettidella vita comunitaria, garantendone l’integrità e il sistema tradi-zionale di possesso collettivo, dall’altro si assisteva a un fortecontenuto ideologizzante, destinato alla modernizzazione del set-tore agro-pastorale tramite l’adeguamento della comunità al mo-dello del cooperavitismo (88). Di fronte al quesito che poneva lanuova legislazione, alcune comunità adattarono la loro organizza-zione a quella stabilita dalla legge, individuando in ciò l’escamotageper accedere al riconoscimento legale e ottenere l’appoggio statale.Altre invece si divisero in gruppi e adottarono parzialmente l’or-ganizzazione cooperativa; un terzo gruppo preferì portare avanti ilsistema tradizionale rifiutando totalmente lo schema progettatodalla riforma (89).

Non occorre tralasciare un’ultima rilevante riflessione storiogra-fica circa il cambiamento di direzione della legislazione peruviana.Se il diciannovesimo secolo si era chiuso con l’espansione dell’indi-vidualismo proprietario e l’omissione dei corpi legislativi sull’esi-stenza delle comunità e del loro diritto alla terra, il ventesimo secolofu testimone di una crescente regolamentazione dei diversi aspettidelle comunità, il cui apice può essere individuato nella regolamen-tazione cooperativista-collettivista istituita dall’Estatuto Especial deComunidades Campesinas. Tuttavia, è opportuno osservare comeentrambi i secoli, dall’evidente antagonismo, abbiano offerto lo

titulación y registro de propriedad rural, in Debate Agrario, 27, 1998, p. 26. Per unapproccio statistico generale sulla titolazione delle comunità durante la riforma agrariavedi C. TRIVELLI, Reconocimiento legal de las comunidades campesinas: una revisiónestadística, in Debate Agrario, 14, pp. 23-37.

(88) Conviene però notare che la politica statale riguardante la riforma agraria nonfu del tutto uniforme. Durante la sua evoluzione subì infatti l’influsso delle diversecorrenti adottate dal regime militare: centralismo (1969-1972), cooperativismo (1972-1975) e liberalismo (1975-1978). Per l’approfondimento vedi P. S. CLEAVES-M. J.SCURRAH, Agriculture, Bureaucracy and Military Government in Peru, Cornell Univ. Press,Ithaca-London, 1980, capitolo 7.

(89) Cfr. P. G. NUÑEZ PALOMINO, Derecho y comunidades campesinas en el Perú, cit.,pp. 58-59; G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión y reafirmación de las comunidadescampesinas del Perú, cit., p. 160.

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stesso fondamento dell’attività statale sull’assetto fondiario indigeno.Si trattò di stabilire una nozione estranea al tradizionale rapportouomo-terra mediante l’imposizione dell’individualismo, durante l’O-ttocento, e del cooperativismo a partire dalla realizzazione dellariforma agraria.

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SEZIONE IILA BOLIVIA

1. Tra rivolte e diritti sociali.

Contrariamente a quanto accadeva in Perù, i primi decenni delventesimo secolo non conobbero alcuna novità legislativa per quan-to concerne la condizione giuridica delle comunità indigene bolivia-ne (90). La mancanza di attività statale sul piano agrario fece sì chela riforma liberale avviata alla fine dell’Ottocento venisse portataavanti dagli stessi hacendados, supportati dall’arrivo di nuovi capitaliesteri (91). Tutto ciò fu accompagnato dall’affermarsi del discorsoliberal-positivista della seconda metà del diciannovesimo secolo, checonsiderava l’indigeno un soggetto incolto, estraneo al mondo dellaciviltà occidentale e quindi alieno all’economia di mercato. Taleideologia permeava profondamente la coscienza delle autorità diinizio Novecento, che videro nell’arretratezza dell’indigeno la scusaper giustificare l’espansione del latifondo e l’appropriazione deiprodotti dalle comunità. Vennero così forniti incidentali stimoli, daparte dei governi di turno, a favore dell’aristocrazia terriera, mirati aliberalizzare la « colonizzazione » tramite l’occupazione delle esten-sioni incolte o disabitate (92). Tale politica fu attuata in base ai larghi

(90) Soltanto nel 1921 un’isolata legge sul matrimonio degli indigeni li definiva comegente di razza aymara, quechua o guarani che abitava le zone rurali o che lavorava la terra,cioè gli indios delle comunità, i colonos dell’hacienda come pure i piccoli proprietari. Cfr.L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights. Indigenous Struggles for Land and Justice inBolivia, 1880-1952, Duke Univ. Press, Durham-London, 2007, p. 13.

(91) Come afferma Platt, i proprietari creolo-meticci, avvalendosi dei postulatidella legislazione agraria del diciannovesimo secolo, fecero causa comune a favore deglihacendados, allo scopo di estendere i loro terreni a scapito della terra degli ayllus. Cfr.T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino, Iep, Lima, 1982, pp. 145-146.

(92) Durante i vent’anni successivi alla ribellione indigena capeggiata da PabloZárate Willka (1899), la politica lineare del governo liberale fu quella di fomentare

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margini conferiti ai capitali stranieri e nazionali arricchitisi per lacrescente produzione e commercializzazione dello stagno (93). Inquesto modo, come afferma lo storico Helbert S. Klein, tra il 1880e il 1930 si assistette in Bolivia alla seconda grande epoca dicostruzione dell’hacienda, evento che condurrà, intorno ai primianni trenta, a una drastica riduzione del possesso fondiario dellecomunità a meno di un terzo del totale delle terre rurali (94).

Occorre inoltre rilevare che il Partito Liberale, che prese ilpotere dopo il 1900, portò a termine ciò che i suoi predecessoriavevano iniziato: un sistema ferroviario che collegasse la Bolivia conl’estero. Ciò comportò l’aumento del valore delle terre perifericheconsentendo una seconda ondata di vendita di terre comunitarie trail 1905 e il 1915. Questa volta il processo di annientamento raggiun-se però anche le aree più lontane, dove le comunità erano riusciteancora a sopravvivere (95). Fu in questo scenario che venne promul-gato il decreto supremo dell’8 marzo 1900, che consentì agli impren-ditori boliviani, ma soprattutto alle imprese straniere con capitale« fresco » di colonizzare all’incirca 309.227 km2 (96). Una tale poli-tica incorporava nella panoramica agraria boliviana un tipo di

l’invasione latifondista e di soffocare le rivolte indigene. Per dettagli cfr. V. H. CÁRDENAS,La lucha de un pueblo, in X. ALBÓ (a cura di), Raíces de América: El mundo Aymara,Alianza Editorial, Madrid, 1988, pp. 514-515.

(93) Intorno al 1910 la Bolivia aveva raggiunto la seconda posizione come espor-tatrice di stagno nel mondo, detenendo all’incirca il 20% della produzione mondiale.Tale sviluppo favorì la prosperità dei centri urbani e la crescita di importanti industriea La Paz, Oruro e Cochabamba. Cfr. H. S. KLEIN, Bolivia: The Evolution of aMulti-Ethnic Society, 2a ed., Oxford Univ. Press, New York-Oxford, 1992, p. 163 e ss.Cfr. anche ID., Orígenes de la revolución nacional boliviana. La crisis de la generación delChaco, Juventud, La Paz, 1968, pp. 39-40, 63-64; J. M. MALLOY, Bolivia: the UncompletedRevolution, Univ. of Pittsburg Press, Pittsburg, Pa., 1970, p. 42 e ss.

(94) H. S. KLEIN, Bolivia: The Evolution of a Multi-Ethnic Society, cit., p. 152.(95) L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 46.(96) Durante lo stesso periodo la Bolivian Sindicate (di origine statunitense)

ricevette 200.000 km2; la National City Bank and Seller Company of New York, grazie auna legge del novembre 1906, fu autorizzata ad acquisire perfino 1.000 leghe quadre inqualsiasi parte del paese a un prezzo di dieci centesimi per ettaro; la Patiño Mines &Enterprise acquistò nel 1911 500.000 ettari al prezzo di dieci centesimi per ettaro.Durante lo stesso anno l’imprenditore Horacio Ferrecio fu autorizzato ad acquisire 400leghe di terreni demaniali in qualsiasi parte del territorio della Repubblica ove essefossero disponibili. Per un approfondimento cfr. R. BARRENECHEA ZAMBRANA, Derecho

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proprietà allora sconosciuta, quella dell’« hacienda capitalista trans-nazionale » (97).

Sul versante indigeno, occorre qui riportare un evento fonda-mentale conseguente alla contingenza boliviana dei primi anni delNovecento. Tra le comunità indigene si sviluppò un movimentodestinato a proteggere le loro terre e ad acquisire un graduale estraordinario protagonismo nella politica boliviana degli anni venti.Sulla base dell’esperienza degli apoderados generales della fine deldiciannovesimo secolo (98), i nuovi condottieri indigeni, noti comecaciques apoderados (99), intrapresero un nuova fase di lotta legale direcupero delle terre usurpate. I nomi legati indissolubilmente aquesto periodo furono quelli degli illustri rappresentanti MartínVásquez, Santos Marka T’ula ed Eduardo Leandro Nina Qui-spe (100). Lo scopo principale delle loro richieste fu la rivendicazionedelle terre comunitarie usurpate dalle haciendas e il pieno accessoalla cittadinanza. Così, durante oltre due decenni i caciques apode-rados capeggiarono campagne destinate a reclamare i diritti fondiarie sociali tramite diverse richieste legislative. Una delle loro strategiegiudiziarie fu il recupero dei titoli coloniali di composición y ventaemessi dalla Corona di Spagna (101). Tra questi tentativi spiccaquello di Eduardo Nina Quispe, rappresentante aymara dell’aylluChivo di Taraco, che rese celebre la sua richiesta tramite la pubbli-cazione di un’opera, risalente al 1932, in cui elencò cronologicamen-te i passi legislativi che giustificavano, sin dai tempi coloniali, ildiritto alla terra delle comunità. Egli chiese inoltre la rifondazione

agrario: hacia el derecho del sistema terrestre, « El Original » San José, La Paz, 4a ed.,2007, pp. 124-126.

(97) R. BARRENECHEA ZAMBRANA, Derecho agrario, cit., p. 126.(98) Cfr. supra 224-225 nota 307.(99) Sappiamo ormai che con il temine cacique si fa riferimento in lingua spagnola

alle autorità tradizionali degli ayllus (kuraka o mallku). Apoderado è invece il nome datoal rappresentante legale con potere di avvocato. Poiché designati dalla comunità e nondallo Stato, essi non erano intermediari ufficiali. Per questo motivo i caciques apoderadosrichiesero ripetutamente al governo il riconoscimento dei loro poteri per comparire innome delle comunità. L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 55.

(100) Per dettagli cfr. ibid. p. 46 e ss.(101) E. TICONA ALEJO, Il nuovo ruolo dei popoli indigeni contadini nella politica

boliviana, in R. MARTUFI-L. VASAPOLLO (a cura di), Futuro indigeno. La sfida delleameriche, Jaca Book, Milano, 2009, p. 48.

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della Bolivia basandosi sui titoli fondiari concessi agli ayllus e markasdurante l’epoca coloniale (102).

Diverse cause politiche determinarono il fallimento del progettodi Nina Quispe. Tra queste deve sottolinearsi la creazione dell’or-ganizzazione militare Legión Cívica, corpo specializzato nella repres-sione indigena, che avrebbe annientato il movimento degli apodera-dos. Nina Quispe fu additato come comunista e imprigionato e gliapoderados furono costretti a una sorta di esilio interno ai loro luoghidi origine o in regioni distanti (103).

Parallelamente, sul versante ideologico, anche se l’indigenismoboliviano non raggiunse il grado di sviluppo di quello peruviano, cifurono tuttavia eccezionali sforzi culturali rappresentati dalle operedi Franz Tamayo (Creación de la pedagogía nacional, 1910), AlcidesArguedas (Pueblo enfermo, 1909), Carlos Medinaceli (Estudios críti-cos, 1935), Jaime Mendoza (La tesis andinista, 1933; El macizoboliviano, 1935) e da iniziative editoriali come la rivista « Kollasu-yo » fondata a La Paz nel 1939 da Julio Alvarado e RobertoPrudencio (104). A Tristan Marof, intellettuale di sinistra e autore dinote opere indigeniste, spettò il compito di supportare le richiesteterritoriali degli attivisti indigeni in seno al suo Grupo Tupac Amaru(1927) e di stabilire, insieme ad altri intellettuali, un contatto direttocon i caciques apoderados. Gli studiosi legati alla causa indigenistaritennero che il « problema indigeno » dovesse essere risolto tramitela rivitalizzazione dell’autoctono, promuovendo un discorso nazio-nalista che integrasse la razza indigena nell’orizzonte creolo-meticcio. Da una prospettiva prettamente ideologica, si può quindirintracciare la base del passaggio dalla nozione assimilazionista a

(102) E. NINA QUISPE, De los títulos de composición de la corona de España.Composición a título de usufructo como se entiende la excensión revisitaria. Venta ycomposición de tierras de origen con la corona de España. Títulos de las comunidades dela República. Renovación de Bolivia. Años 1536, 1617, 1777 y 1925, s.e., La Paz, 1932.

(103) E. TICONA ALEJO, Il nuovo ruolo dei popoli indigeni contadini nella politicaboliviana, cit., p. 50.

(104) Cfr. G. FRANCOVICH, El pensamiento boliviano en el siglo XX, Fondo deCultura Económica, México D.F.-Buenos Aires, 1956, p. 89, 114 e ss. Sulla scia delleopere di Tamayo, Arguedas e in genere della generazione di studiosi e artisti sensibili al« problema indigeno » durante la prima metà del Novecento cfr. J. SANJINES C., Elespejismo del mestizaje, Ifea-Pieb, Lima-La Paz, 2005.

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quella integrazionista propria del costituzionalismo del ventesimosecolo.

A queste prime iniziative pro-indigene si unì la voce di uno deipiù noti difensori degli interessi delle comunità. Intorno ai primianni del Novecento il giovane avvocato Bautista Saavedra godeva dimolta considerazione grazie alla difesa degli indigeni di Mohoza,accusati del massacro delle truppe di Pando durante la rivoluzionefederale del 1899 (105). Oltre a ciò, Saavedra era stato nominatoministro dell’Educazione e aveva ricoperto un incarico diplomaticoa Lima. Al termine di tali impegni, nel 1903, pubblicò una delle piùautorevoli monografie sull’evoluzione storica dell’ayllu (106). Tra il1916 e il 1917, insieme ad altri giuristi, offrì aiuto legale all’apode-rado Santos Marka Tul’a e ad altri caciques in una causa criminale edi registro fondiario (107). In base alle conoscenze ed esperienzeaccumulate, nell’agosto del 1919 propose un progetto di legge cheintroduceva delle modifiche alle procedure al fine di contenere laspoliazione fraudolenta delle terre indigene, oltre alla sospensionedei tributi per le comunità originarie che avevano legittimato ilpossesso delle loro terre mediante la figura giuridica della composi-ción con la Corona di Spagna (108). Il progetto aggiungeva che leterre possedute dagli indigeni non potessero essere alienate o tra-sferite tranne in caso di vendita all’asta pubblica, e neppure gravateda ipoteca o esproprio.

(105) Cfr. supra 225-226 nota 312.(106) B. SAAVEDRA, El ayllu. Estudios sociológicos [Impr. Artística Velarde Alazosa,

La Paz, 1903], Librería Editorial Juventud, La Paz, 1998. È essenziale constatare comel’apporto descrittivo di Saavedra e l’utilizzo della letteratura straniera contribuisca a unaprima conoscenza scientifica della civilizzazione aborigena, chiarendo aspetti di tipoculturale ed economico del Perù antico a partire della descrizione evolutiva dell’ayllu.Nel testo si rivela il rafforzamento dell’applicazione del metodo storico-comparativo edelle più moderne teorie evoluzioniste per spiegare le istituzioni giuridiche tradizionalitra cui la proprietà. L’analisi di Saavedra sarà utilizzata dalla corrente indigenista comepilastro dogmatico per affrontare lo studio sulla comunità. Per approfondimenti vedi R.MÍGUEZ NÚÑEZ, Indigenismo, scienza giuridica e proprietà andina, cit. .

(107) Saavedra patrocinò infatti diverse cause in rappresentanza dei caciques controi latifondisti. Sull’argomento cfr. E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa:la marka rebelde. La lucha por el poder comunal, Cedoin-Cipca, La Paz, 1997, pp.100-101.

(108) Vedi supra 162 e ss.

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La richiesta di Saavedra fu appoggiata dalla dichiarazione dicinquanta caciques provenienti dai dipartimenti di La Paz, Oruro,Chuquisaca, Cochabamba e Potosí. La loro petizione, basata suldiritto di proprietà ancestrale riconosciuto dalla Corona di Spagna,era indirizzata alla promulgazione di una legge che permettesse unarevisione generale dei confini delle tenute (109). Malgrado gli sforzi,la petizione venne rifiutata dalla Camera dei Deputati con il ridicolopretesto che tali materie dovevano essere studiate nella rispettivaistanza legislativa, puntualizzando ai caciques che, in conformità alledisposizioni del Codice di procedura civile, competeva alla giustiziaordinaria la risoluzione dei problemi derivanti dai confini e dai titolidelle loro terre (110).

Tuttavia, il progetto di Saavedra diventerà decreto legge il 2ottobre 1920 e in seguito, l’8 gennaio 1925, legge delle Repubblica.La normativa, come si intuisce, ha soprattutto una valenza storica:essa infatti consentì, per la prima volta nella storia repubblicanaboliviana, di proteggere il possesso delle terre indigene; fu infattiproibito alienare, costruire, ipotecare, espropriare o assegnare inasta pubblica, a ragione di obbligazioni personali, le terre stesse,senza previo processo che dichiarasse la necessità e l’utilità di taliatti (111).

La svolta politica sulla tematica indigena fu una delle prime epiù note conseguenze dei cambiamenti politici boliviani. Nel 1920,in seguito a un colpo di stato, Saavedra venne eletto presidente. Lasua nomina, com’era prevedibile, fu vista con simpatia e speranzadalla popolazione indigena. Egli infatti, oltre a supportare i progetti

(109) Argomento trattato dalla sociologa boliviana S. RIVERA, Pedimos la revisión delímites: un episodio de incomunicación de castas en el movimiento de caciques-apoderadosde los Andes bolivianos 1919-1921, in S. MORENO-F. SALOMON (a cura di), Reproduccióny transformación en las sociedades andinas, siglos XVI-XX, Abya Yala, Quito, 1991, pp.603-652.

(110) Cfr. E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde,cit., p. 104.

(111) Per questa e successive citazioni legislative boliviane si rimanda a M. BONIFAZ,Legislación agrario-indigenal, Imprenta Universitaria, Cochabamba, 1953; J. FLORES

MONCAYO, Legislación agraria del indio: recopilaciones de resoluciones, órdenes, decretossupremos y otras disposiciones legales 1825-1953, Ministerio de Asuntos Campesinos-Instituto Indigenista Boliviano, La Paz, 1953.

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di legge in difesa delle terre comunitarie, sponsorizzò la primalegislazione a tutela del lavoratore e approvò le richieste per le scuoledelle comunità indigene. Lo stretto rapporto tra il nuovo presidentee le organizzazioni tradizionali fu tuttavia di breve durata. Lasollevazione del villaggio indigeno paceño Jesús de Machaca del 12marzo 1921, in risposta alla spoliazione delle terre confinanti con laferrovia La Paz-Guaqui, trovò una dura contestazione da parte delgoverno di Saavedra che, inviando oltre 1.200 soldati, provocò lostorico massacro della popolazione dando, di fatto, avvio alla rotturadel rapporto con la classe indigena (112).

A partire dagli anni venti le rivolte contadine e le più varieiniziative indigene si svilupparono progressivamente nei dipartimen-ti di La Paz, Chuquisaca, Oruro e Potosí. Inoltre, sollevamenti comequelli di Chayanta del 1927 giocarono un ruolo decisivo nell’elevaresu scala nazionale il problema della terra e dell’educazione indigeno-contadina (113).

La mancata risposta alle richieste indigene da parte del governoboliviano, coinvolto dalla crisi mondiale e dal conflitto bellico delChaco con il Paraguay (1932-1935), diede origine a iniziative paral-lele e informali, a opera dei partiti politici e dei gruppi indigeni,destinate ad ampliare la partecipazione dei gruppi sociali ancoraesclusi. In tale scenario, e con il supporto di un gruppo di operai,artigiani e professionisti, nacque un’iniziativa mirata ad affittare leterre appartenenti ai comuni o agli ordini religiosi per sfruttarlecollettivamente. Il movimento, di chiara rivendicazione agraria, ènoto come « sindacalismo contadino » (114). Il decreto supremo del22 gennaio 1937, accolse i primi obiettivi del sindacalismo ordinan-do ai municipi e agli ordini religiosi di preferire come locatari, a

(112) Cfr. E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde,cit.; L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 65 e ss.

(113) M. URIOSTE FERNÁNDEZ DE CÓRDOVA, Fortalecer las comunidades. Una utopíasubversiva, democrática... y posible, Aipe/Procom/Tierra, La Paz, 1992, p. 47. Suldibattito pubblico nei giornali dell’epoca cfr. R. D. ARZE AGUIRRE, Guerra y conflictossociales. El caso rural boliviano durante la campaña del Chaco, Ceres, La Paz, 1987.

(114) Il primo sindacato contadino, creato nel 1936, fu quello di Ana Rancho nelfondo di Santa Clara, valle alta del dipartimento di Cochabamba. Per dettagli cfr. J.DANDLER, El sindicalismo campesino en Bolivia. Los cambios estructurales en Ucurena,Instituto indigenista interamericano, México D.F., 1969, p. 63 e ss.

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parità di condizioni, i colonos organizzati in sindicatos de trabajosagrícolas (115). È importante sottolineare questo evento poiché laforma di organizzazione sindacale sarà più tardi adottata e svilup-pata nell’altopiano (dipartimento di Oruro) con la creazione delSindicato Nacional de Indios (116).

Il movimento sindacalista non era tuttavia isolato; andò infatti asommarsi ad altre iniziative di origine extra-statale (117). Tra essespicca, intorno al 1928, il tentativo del professore Elizardo Pérez dirivalorizzare i diversi aspetti della cultura aymara mediante l’orga-nizzazione di un’esperienza educativa parallela a quella statale al-l’interno della comunità di Warisata, ai confini della località diAchacachi (altopiano del dipartimento di La Paz). Il suo progettoconsistette in un complesso regionale formato da piccole scuole chedipendevano da un ente di istruzione centrale di carattere tradizio-nale. L’iniziativa merita una profonda rivalutazione in quanto dimo-stra, per la prima volta nella storia boliviana, la possibilità di creareuno « Stato pluri-culturale » (118). Sul versante politico, nello stessoanno e a seguito della Primera Convención Nacional de EstudiantesBolivianos, fu creata a Cochabamba la Federación UniversitariaBoliviana (FUB) su iniziativa dell’intellettuale marxista José AntonioArze, dello scrittore Carlos Medinaceli e del giurista Arturo Urquidi.Il programma della Federazione, ispirato alle idee indigeniste di JoséCarlos Mariátegui, postulava « la limitazione del latifondo e l’attri-buzione di terre agli indigeni [...] riorganizzando la proprietà adiscapito del frazionamento delle haciendas come era accaduto inMessico » (119). Nel 1930, sulla stessa base ideologica, venne fondatala Sociedad República del Kollasuyo con il dirigente indigeno Eduar-do Nina Quispe come direttore. Questi erano anche gli anni in cui

(115) Cfr. la trascrizione del decreto in J. DANDLER, El sindicalismo campesino enBolivia, cit., pp. 173-174.

(116) L. ANTEZANA E., El movimiento obrero boliviano (1935-1943), s.n., La Paz,1966, p. 18.

(117) Cfr. X. ALBÓ, Los sindicatos: una nueva forma de lucha campesina, in ID. (acura di), La cara india y campesina de nuestra historia, cit., p. 192 e ss.

(118) Per dettagli vedi M. Urioste FERNÁNDEZ DE CÓRDOVA, Fortalecer las comuni-dades, cit., p. 40. Per approfondimenti sull’esperienza socio-pedagogica di Warizata cfr.A. VALDEZ, El indio. Ensayos, Ediciones Ilsa, La Paz, 1985, pp. 68-88.

(119) R. BARRENECHEA ZAMBRANA, Derecho agrario, cit., p. 129.

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Gustavo Navarro, sotto lo pseudonimo di Tristán Marof, pubblicavail suo Justicia del Inca (Bruxelles, 1926) e il classico Tragedia delaltiplano (Buenos Aires, 1934), in cui ripeteva la parola d’ordine« minas al Estado, tierra al indio » (120).

Ci furono, insomma, tante organizzazioni e iniziative così comeassenza di diritti. La Bolivia degli inizi del secolo visse quindiun’esperienza assai diversa da quella peruviana. Il movimento intel-lettuale che nacque a seguito delle rivolte indigene non raggiunse ungrado di organizzazione tale da motivare riforme strutturali comeaccadde in Perù. I limitati diritti indigeni furono stabiliti, in modoincidentale, come parte della legislazione settoriale di caratteresociale, instaurata a seguito di specifiche circostanze. Tale panora-mica, tuttavia, avrebbe subito un profondo cambiamento con laconvocazione della Convención Constituyente il 24 maggio 1938.

2. Le prime regole costituzionali e i programmi politici.

La Convención Constituyente del 1938 offrì ai diversi settoridella nazione boliviana la possibilità di dibattere, per prima volta suuno stesso livello, circa la necessità di riconoscere i diritti sociali.Furono oligarchi, comunisti, operai e conservatori a formare l’ecce-zionale pluralità sociale del congresso che discusse la modifica deltesto costituzionale del 1880 (riformato in precedenza nel 1930). Ilrisultato, dopo cinque mesi di intensa attività, avrebbe portato allaprima Costituzione rivoluzionaria della storia boliviana (121).

In seno alla Convención, un’importante discussione si incentròsull’orientamento dottrinale riguardo alla proprietà privata (122). Imoderati e la sinistra sollecitarono una revisione del testo sul

(120) Ibid., p. 218. Cfr. anche J. M. MALLOY, Bolivia. The Uncompleted Revolution,cit., pp. 95-97. Marof era inoltre convinto che i latifondi dovessero essere distribuiti trai soldati e gli indigeni per dar forma a grandi comunità basate sulle moderne tecniche disfruttamento delle risorse. In questo nuovo contesto, i popoli aymara e quechuaavrebbero avuto la possibilità di organizzarsi liberamente, garantendo lo sviluppo dellaloro identità e cultura. Cfr. A. MALDONADO, Derecho agrario: historia, doctrina, legislación,Ed. e Imp. Nacional, La Paz, 1956, p. 322.

(121) Cfr. H. S. KLEIN, Orígenes de la revolución nacional boliviana, cit., pp.321-322.

(122) Lo rileva anche L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 101 e ss.

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modello delle costituzioni moderne e in particolare di quella messi-cana del 1917, con lo scopo di limitare il classico concetto diproprietà liberale introducendo la funzione sociale. La sinistra piùradicale ne approfittò per presentare una rivoluzionaria riforma:l’espropriazione dei latifondi improduttivi e la loro suddivisione afavore dei contadini che li lavoravano. Su tali basi, il giurista ediplomatico Wálter Guevara Arze propose che le terre espropriatevenissero destinate alle comunità per il loro sfruttamento colletti-vo (123).

Il dibattito avrebbe avuto seguito nella discussione sugli articolidel titolo Del campesinado, in cui si confrontarono le diverse posi-zioni relative al riconoscimento delle comunità indigene. I rappre-sentanti Wálter Guevara Arze e Alfredo Arratia, seguendo i postu-lati dell’intelletuale peruviano José Carlos Mariátegui e i principidella rivoluzione messicana, affermarono che il problema dell’indioin Bolivia non era legato all’educazione ma fondamentalmente allacarenza di terra (124). Fu così che il programma inizialmente presen-tato dall’ala sinistra comprese la mozione della riforma agrarianonché la protezione costituzionale speciale per gli indigeni. Anchese il progetto, per ragioni più politiche che di giustizia sociale, nonfu accolto, diede comunque spunto ai redattori della Costituzioneper stabilire alcune generiche, ma rilevanti, dichiarazioni a favoredella classe indigena.

Il testo nato a seguito della Convención Constituyente, la Costi-tuzione del 1938, consacrò nell’art. 106 un importante principiodello stato socialista riguardante il regime economico e finanziario:

« Il regime economico dovrà rispondere essenzialmente ai principi digiustizia sociale, che hanno come scopo di assicurare a tutti gli abitantiun’esistenza degna in quanto esseri umani » (125).

(123) Per i dibattiti e rinvii bibliografici cfr. H. S. KLEIN, Orígenes de la revoluciónnacional boliviana, cit., pp. 327-328; L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p.121e ss.

(124) Cfr. H. S. KLEIN, Orígenes de la revolución nacional boliviana, cit., p. 333.(125) Art. 106: « El régimen económico deberá responder esencialmente a los

principios de justicia social, que tienen como objetivo asegurar para todos los habitantesuna existencia digna como seres humanos ».

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È questo il punto di vista in base al quale sarà riconosciuto, perprima volta a livello costituzionale, l’insieme di diritti sociali (126).

Per quanto concerne la proprietà, il testo del 1938 (al pari diquelli messicano e peruviano) aggiunse un’importante restrizionederivata dal principio della funzione sociale, oltre all’espropriazioneper causa di pubblica utilità (127). Questa disposizione, come con-stateremo tra poco, sarebbe stata basilare per la costruzione dottri-nale della riforma agraria.

Ma la novità più rilevante è inserita nelle norme contenute neltitolo Del campesinado, cui art. 165 conteneva la prima dichiarazionerepubblicana a favore delle comunità. Si legge:

« Lo Stato riconosce e garantisce l’esistenza delle comunità indigene ».

Il proclama era accompagnato da un’enunciazione che lasciavaspazio al pluralismo giuridico fondiario fondato sulle particolaricondizioni geografiche e culturali del paese:

« La legislazione indigena e agraria sarà stabilita avendo presente lecaratteristiche delle diverse regioni del paese » (art. 166) (128).

Occorre tuttavia notare che la Costituzione non si era pronun-ciata sullo status speciale delle terre che appartenevano alle comu-nità, delegando implicitamente tale compito alla legislazione specia-

(126) Sul piano del diritto del lavoro, la Costituzione riconobbe la libertà diassociazione, il contratto sindacale (art. 125) e il diritto allo sciopero (art. 126). Fu inoltregarantito e protetto il diritto all’educazione, alla cultura e all’identità nazionale (artt.154-164). Il testo era peraltro caratterizzato da un particolare spirito anti-imperialista: lalegge boliviana fu dichiarata imperativa per tutte le compagnie insediatesi sul territorionazionale (artt. 18 e 110). Da quel momento, nessun straniero avrebbe potuto acquistarené affittare terre, né avere diritti fondiari nel raggio di ottanta chilometri dalla frontiera(art. 109) e solo lo Stato avrebbe potuto esportare petrolio, prodotto sia pubblicamentesia privatamente (art. 109).

(127) Art. 17: « La propiedad es inviolable, siempre que llene una función social; laexpropiación podrá imponerse por causa de utilidad pública, calificada conforme a leyy previa indemnización justa ».

(128) Art. 165: « El Estado reconoce y garantiza la existencia legal de las comuni-dades indígenas »; art. 166: « La legislación indígena y agraria se sancionará teniendo encuenta las características de las diferentes regiones del país ».

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le. Entrambe le disposizioni sarebbero state riprodotte, con la stessanumerazione, dalla Costituzione del 1945 e del 1947, senza però chenel frattempo alcuna normativa specifica fosse stata promulgata inmateria di regime fondiario. Di conseguenza, a fronte della mancan-za di azioni governative che permettessero l’inclusione dei popoliindigeni nella struttura sociale, economica e politica dello Stato, ilgenerico riconoscimento avviato dai testi costituzionali restò dicarattere solo formale o declamatorio (129).

Ancora una volta l’unica norma che si proponeva di regolamen-tare l’intero assetto fondiario era quella della proprietà contenuta nelCodice civile Santa Cruz, in conformità all’ideologia liberal-individualista del diciannovesimo secolo.

La mancanza di impegno statale nel porre rimedio alla disugua-glianza sulla ripartizione delle terre motivò la pubblicazione, daparte di diversi partiti politici, di vari programmi agrari duranti glianni quaranta. In sostanza, tutti programmi politici erano volti arisolvere le due grandi tematiche sospese dallo Stato boliviano:proteggere la classe contadina-indigena e porre fine al sistema deilatifondi garantendo una distribuzione equa della terra (130). Tra lediverse proposte spicca il Proyecto de Reformas Constitucionales delRégimen Agrario y Campesino presentato dal Movimiento NacionalRevolucionario (MNR) in seno alla Convención Nacional riunita nel1944 per la riforma costituzionale che avrebbe portato al testo del1945. Il progetto, esposto da Víctor Paz Estenssoro e Wálter Gue-vara Arze, rappresentò il primo tentativo della storia repubblicana

(129) Si rimanda a J. A. RIVERA S., Los pueblos indígenas y las comunidadescampesinas en el sistema constitucional boliviano. Pasado, presente y perspectivas para elfuturo, in Anuario de Derecho Constitucional Latinoamericano, Mastergraf, Montevideo,2005, t. 1, p. 202.

(130) Tra essi si ricordano la Falange Socialista Boliviana (FSB), il Partido deIzquierda Revolucionaria (PIR), il Partido Comunista Boliviano (PCB) e il MovimientoNacional Revolucionario (MNR) nato nel 1936 con il nome di Frente de la IzquierdaBoliviano. La FSB proponeva un piano di riforma agraria destinato a svincolare econo-micamente l’indigeno. Il PIR, di ispirazione marxista, si indirizzava verso l’espropriazio-ne, senza risarcimento, del latifondo per conferire ai contadini la terra in proprietàindividuale, stabilendo però delle forme di associazione collettive e di cooperativesocialiste di produzione. Il PCB proponeva la rivoluzione agraria secondo il modellosovietico, programmando però il recupero delle terre usurpate agli indigeni.

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boliviana di concedere uno statuto speciale al « possesso fondiario »delle comunità. Il regime fondiario all’interno delle comunità venivaqualificato come « proprietà privata » di tipo « comunitario conta-dino » e così differenziata dalla « proprietà privata » appartenentealle « persone fisiche o giuridiche ». Inoltre, la garanzia del possessocomunitario era garantita dalla dichiarazione di impignorabilità,imprescrittibilità e inalienabilità delle terre di comunità. Peraltro, inun nitido tentativo di incoraggiare le forme di organizzazione fon-diaria tradizionali, il progetto presupponeva l’espropriazione (inden-nizzabile) in favore dei contadini ivi residenti e privi di terre, con lacondizione che tale richiesta venisse firmata da oltre cinquantacontadini organizzati in comunità nelle regioni « in cui tale formad’organizzazione avesse avuto luogo » (131).

In un contesto sempre più impegnato nella causa indigeno-contadina, solo sul finire degli anni quaranta si raggiunse qualcheprogresso formale nell’ambito della politica indigenista. Su iniziativadel governo di Gualberto Villarroel (1944-1946), nel maggio del1945 si tenne a La Paz il Primer Congreso Indigenal de Bolivia,occasione che consentì il primo incontro tra rappresentati indigenidelle diverse regioni boliviane (132). In seguito a esso venneropromulgati tre decreti: uno relativo all’abolizione dei lavori gratuiti,un altro sull’obbligo di latifondisti e imprenditori di costruire scuolea loro spese e un terzo sull’istituzione di una commissione incaricatadi redigere il Codice sul diritto del lavoro agrario. Tuttavia, anche sel’avvio di tale legislazione segnò l’inizio della sensibilizzazione stataleverso la specifica problematica della società rurale, non c’era ancoraalcun richiamo al tema terriero.

La caduta del governo di Villarroel diede avvio a un’epoca di

(131) Cfr. la bozza di legge in R. BARRENECHEA ZAMBRANA, Derecho agrario, cit., pp.135-136; L. ANTEZANA E., El movimiento obrero boliviano, cit., pp. 35-36. Occorre perònotare che insieme al progetto del MNR vennero presentati altri progetti durante lesedute della Convenzione Nazionale. Anche se nessuno di tali programmi fu approvato,essi stabilirono le basi del dibattito politico degli anni successivi. Per ulteriori dettagli sirimanda ad A. MALDONADO, Derecho agrario: historia, doctrina, legislación, cit., pp.324-325.

(132) J. DANDLER, El sindicalismo campesino en Bolivia, cit., p. 32. Cfr. anche F.CALDERÓN-J. DANDLER (a cura di), Bolivia: la fuerza histórica del campesinado, Unrisd,Ginebra, 1986, p. 33; L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., p. 192 e ss.

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repressioni e sollevazioni politico-sociali, culminanti nella rivolta del9 aprile 1952, che avrebbe portato all’istituzione di un co-governofra l’MNR e la Central Obrera Boliviana (COB) (133). La nuova erapolitica segnò il punto più promettente della Revolución Nacionalavviata gradualmente dalla fine degli anni trenta. In questo fervidoscenario i gruppi politici, la classe operaia e contadina si concentra-rono su una mobilitazione attiva di occupazione di terre contro ilsistema latifondista, che avrebbe avuto fine solo con la riformaagraria del 2 agosto 1953 (134).

L’esperienza boliviana della prima metà del ventesimo secoloaveva legato le diverse trasformazioni del mondo agrario a unprocesso di partecipazione sociale e di lotte urbane contro l’ingran-dimento dell’hacienda e lo sfruttamento indigeno. La riforma avreb-be rappresentato perciò il punto di convergenza fra la mobilitazionedelle forze politiche e quelle operaie e contadine. Nonostante ciò,come vedremo, essa avrebbe paradossalmente comportato ancheuna risposta contro la mobilitazione indigena, qualificandosi comeuna reinvenzione dell’ideologia liberale più adatta ai tempi moder-ni (135).

3. La riforma agraria: tra sindacalismo e liberalismo.

Sotto la presidenza di Víctor Paz Estenssoro (1952-1956) e conl’appoggio del MNR ebbe inizio il piano di riforma agraria, che venneattuato con il decreto legge n. 3.464 del 2 agosto 1953. Come nelcaso dell’esperienza peruviana, si trattò di una normativa orientatasostanzialmente a sopprimere il latifondo e a incrementare la pro-duttività della terra attraverso lo sviluppo dell’industria agricola.

Il sottosviluppo del settore agrario, a causa della concentrazionedella ricchezza fondiaria nelle mani del latifondisti, si configurava

(133) Per dettagli cfr. V. H. CÁRDENAS, La lucha de un pueblo, cit., p. 518.(134) Un’analisi approfondita delle insurrezioni e dei primi passi della Rivoluzione

scatenata dal MNR è reperibile nel classico volume di J. M. MALLOY, Bolivia: TheUncompleted Revolution, cit., p. 151 e ss. Cfr. anche D. B. HEATH, Bolivia’s Law ofAgrarian Reform, in D. B. HEATH-C. J. ERASMUS-H. C. BUECHLER, Land Reform and SocialRevolution in Bolivia, Praeger, New York, 1969, p. 36 e ss.

(135) Cfr. L. GOTKOWITZ, A Revolution for Our Rights, cit., pp. 288-290.

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come la prima sfida della riforma. Come afferma Klein, in baseall’informazione dell’Oficina Nacional de Estadística y Censo (SecciónAgropecuario), nel 1950 il 92% dell’area coltivabile si trovava all’in-terno delle terre di haciendas, possedute da solo il 6% del totale deiproprietari. D’altro canto, il 94% dei titolari possedeva solo l’8%della terra totale coltivabile (136). La Bolivia rappresentava, in so-stanza, il caso più estremo del latifondismo latinoamericano del-l’epoca.

Su tali premesse, le basi teoriche della riforma possono ridursi aquattro principi: a) funzione sociale della proprietà (conseguenzadella legislazione sociale sancita nell’art. 17 della Costituzione del1938); b) la terra per chi la lavora (allo scopo di sopprimere il regimefeudale della servitù contadina); c) parziale ammissione del principiodella proprietà privata (garantita solo nel caso in cui compia unafunzione utile per la collettività e limitata all’estensione fissata dallalegge secondo la categoria); d) riconoscimento del diritto statale sulsuolo, sottosuolo e sulle acque della Nazione (137).

In tutto ciò non è riscontrabile alcuna novità: si trattava infattidei principi, ormai noti, propri del programma politico della Revo-lución Nacional. Occorre piuttosto qui riportare un secondo aspettodella riforma agraria, già annunziato nel preambolo del decreto chela stabilì, cioè: « restituire alle comunità indigene le terre usurpate ecooperare per la modernizzazione delle loro coltivazioni, rispettandonella misura possibile le loro tradizioni collettiviste » (138). Fu così

(136) Così, H. S. KLEIN, Prelude to the Revolution, in J. M. MALLOY-R. S. THORN (acura di), Beyond the Revolution: Bolivia since 1952, Univ. of Pittsburg Press, Pittsburg,Pa., 1971, p. 42. Cifre simili in J. M. MALLOY, Bolivia: The Uncompleted Revolution, cit.,p. 102.

(137) A. URQUIDI, Temas de reforma agraria, Librería Editorial Juventud, La Paz,1985, pp. 28-30.

(138) « Considerando: Que, la Revolución Nacional, en su programa agrario, sepropone esencialmente, elevar los atuales niveles productivos del país, transformar elsistema feudal de tenencia y explotación de la tierra, imponiendo una justa redistribu-ción entre los que la trabajan, e incorporar en la vida nacional a la población indígena,reinvidicándola en su jerarquía económica y en su condición humana; [...] Que, deacuerdo con tales antecedentes, son objetivos fundamentales de la Reforma Agraria: [...]b) Restituir a las comunidades indígenas las tierras que les fueron usurpadas y cooperaren la modernización de sus cultivos; respetando y aprovechando, en los posible, sustradiciones colectivistas [...] ».

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che, accanto alla questione della presenza monopolista del latifondosi affermò come seconda grande tematica della riforma quella dellaregolamentazione dei rapporti fondiari delle comunità.

Il censimento del 1950 aveva registrato l’esistenza di circa 3.800comunità indigene insediatesi su una superficie approssimativa disette milioni di ettari. Di fronte a tale realtà, la riforma avrebbedovuto prendere posizione conferendo effettività ai generici articolidella Costituzione che le avevano concesso esistenza legale. La primadichiarazione in tale direzione è contenuta nell’art. 57 del decreto diriforma agraria:

« Le comunità indigene sono proprietarie private delle terre chepossiedono come insieme. Le assegnazioni familiari fatte nelle revisitas oquelle riconosciute dalla consuetudine all’interno di ogni comunità costi-tuiscono proprietà privata familiare » (139).

Il diritto alla terra delle comunità, sotto forma di proprietàprivata, fu formalmente riconosciuto. Benché si trattasse di unaproprietà pro-indiviso a nome della intera comunità, la normariconosceva, al suo interno, l’esistenza dei diritti individuali presentinei titoli conferiti dai visitadores a partire dalla seconda metàdell’Ottocento e nelle forme di uso tradizionale della terra. Per lariforma tali diritti e pratiche dovevano essere definiti « proprietàprivata familiare ». Pertanto, anche se la normativa permise per laprima volta di parlare di proprietà comunitaria, essa trasformò inproprietà individuale gli appezzamenti posseduti dalle famiglie co-munitarie.

L’art 57 rappresentò, infatti, l’apice di tutto un dispositivoorientato a stabilire il primato dell’individualismo. In tale contesto,il titolo VI del decreto, nel regolamentare la materia della restitu-zione delle terre, rivelava in modo palese lo spirito individualisticoche si voleva imprimere con la riforma. Esso annunziava la restitu-zione di tutte terre usurpate alle comunità dal 1º gennaio 1900 in

(139) Art. 57: « La comunidades indígenas son propietarias privadas de las tierrasque poseen en conjunto. Las asignaciones familiares hechas en las revisitas o lasreconocidas por la costumbre dentro de cada comunidad, constituyen la propiedadprivada familiar ».

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avanti in base a una speciale procedura (art. 42) (140). Il soggettoattivo della richiesta era inizialmente la comunità intesa come insie-me, circostanza però che si rivelò illusoria per il contenuto dellenorme che regolavano la materia (141). Se si considera, per l’appunto,la normativa speciale destinata a disciplinare la restituzione delleterre di comunità, i decreti legge n. 3.732 del 19 maggio 1954 e 4.235del 24 novembre 1955, si constaterà che la restituzione definitadall’art. 42 non era destinata al beneficio delle comunità ma aimembri individualmente considerati; pertanto, ai sensi degli articoli3 e 9 del decreto 3.732, erano proprio i « membri espropriati », enon la comunità come insieme, gli unici titolari dell’azione (142).

Malgrado tutto, andrebbero sottolineati certi aspetti pro-comunità della riforma: l’art. 47 riconobbe una pratica ereditariapresente in molte comunità, quella in cui, in caso di assenza di eredi

(140) Art. 42: « Las tierras usurpadas a las comunidades indígenas, desde el 1º deenero del año 1900, les serán restituidas cuando prueben su derecho, de acuerdo a unareglamentación especial ».

(141) Ci basti un solo esempio: secondo l’art. 46 del decreto quando si trattava direstituire le terre che appartenevano a una hacienda esse, una volta riconsegnate allacomunità, diventavano di proprietà individuale dei colonos o pegujaleros che la lavora-vano. Art. 46: « Las tierras a las que se refiere el artículo anterior [restituzione delle terrein potere dell’hacienda] serán explotadas en forma colectiva por la comunidad, respe-tando las parcelas poseídas individualmente por los colonos o pegujaleros que pasan aser propietarios de ellas ».

(142) Art. 3: « Los comunarios desposeídos interpondrán directamente las demandasde restituciónde tierras de comunidad ante los Jueces Agrarios de las jurisdicciones re-spectivas, quienes las sustanciaránen un solo proceso por cada ex-comunidad o hacienda ».Art. 9: « Tienen derecho a ejercitar la acción de restitución de las tierras de comunidad,los propios comunarios que hubiesen sido desposeídos, y por muerte de ellos, solamentesus herederos en línea directa. Quedan excluidos los parientes colaterales ». Ciò nono-stante, secondo il parere di uno dei principali artefici della riforma agraria, Arturo Urquidi,il decreto n. 3.732 snaturò lo spirito dell’art. 42 della riforma, giacché nella pratica lerichieste di restituzione non tenevano conto delle terre di comunità (cioè quelle appar-tenenti agli antichi ayllus), ma delle terre di ex-comunità (ovvero le terre di comunitàtrasformate in proprietà privata individuale a seguito dell’applicazione della legislazionedi svincolo del 5 ottobre 1874). Per tale ragione, aggiunge Urquidi, le richieste di resti-tuzione hanno avuto come scopo non il recupero delle terre delle attuali comunità, ma dellesayañas, ovvero gli appezzamenti che erano stati oggetto di appropriazione familiare e chefurono trasformati in proprietà individuali a partire dagli ultimi decenni del Novecento.Cfr. A. URQUIDI, El feudalismo en América y la reforma agraria boliviana [1966] LibreríaEditorial Juventud, La Paz, 2ª ed., 1990, pp. 198-199.

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di un comunero, il diritto sulle terre passava alla comunità intera, chedoveva destinarle allo sfruttamento collettivo o all’edificazione discuole (143). La disposizione comportava una via alternativa allenorme sancite dal Codice civile di Santa Cruz e si sommava allaprotezione sancita dall’art. 58 del decreto secondo cui le terre dellecomunità indigene erano in linea di principio inalienabili. Un altroimportante aspetto riguarda l’organizzazione dei diversi tipi dicomunità stabilita dall’art. 123: per la prima volta si era cercato didefinire e classificare le comunità boliviane. L’articolo chiarì che, inrelazione all’« origine », si distinguevano tre tipi di comunità « con-tadine », definendo come « comunità indigena » quella composta dafamiglie di contadini che, sotto la denominazione di originarios oagregados, erano proprietari di un’area legalmente riconosciuta cometerra di comunità in virtù di titoli concessi dai governi coloniali orepubblicani o dall’occupazione territoriale. Questo tipo di comu-nità, aggiungeva la norma, « si regola nell’ordine interno delle sueproprie istituzioni » (144).

Insieme alle comunità vennero istituiti i cosiddetti sindicatosagrarios i quali potevano esistere in forma parallela e indipendente-mente dalle comunità. Ai sindicatos spettava il compito di difenderegli interessi agricoli e conservare le conquiste sociali (artt. 126 e 132).I contadini e le comunità aderenti al sindacalismo si raggrupparononella Confederación Nacional de Trabajadores Campesinos de Bolivia(CNTCB), organizzazione che durante gli anni sessanta avrebbe avutouno stretto legame con il governo tramite il Pacto Militar Campesi-no (145). La legge stimolava infine, in armonia con la soluzione

(143) Art. 47: « A los comunarios fallecidos sin dejar herederos les sucederá lacomunidad. Las tierras objeto de esta sucesión, serán destinadas para la explotacióncolectiva o para el campo escolar, sus rentas serán administradaspor la comunidad enbeneficio exclusivamente local ».

(144) Art. 123: « Por razón de su origen se distinguen tres clases de comunidadescampesinas: [...] c) La comunidad indígena está compuesta por las familias de loscampesinos que, bajo la denominación de originarios y agregados, son propietarios de unárea legalmente reconocida como tierra de comunidad, en virtud de los títulos conce-didos por los gobiernos de la Colonia y la República o de ocupación territorial. Lacomunidad indígena, en el orden interno, se rige por instituciones propias ».

(145) Per dettagli cfr. S. RIVERA CUSICANQUI, Oprimidos pero no vencidos. Luchas delcampesinado aymara y qhechwa de Bolivia 1900-1980, Unrisd, Ginebra, 1986.

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intrapresa in Perù, la costituzione di cooperative composte dacomunità o da piccoli e medi proprietari. Lo Stato, a tal fine, siimpegnava a incoraggiare la formazione di cooperative tramite ladichiarazione di impignorabilità delle loro terre (art. 135). Questotipo di associazione rimaneva, comunque, sempre volontaria.

L’impatto della riforma agraria nell’altopiano boliviano ebbe unsignificato diverso da regione a regione (146). Di fronte ai nuoviorizzonti di legalità proposti dalla riforma occorre domandarsi qualesia stata la via scelta dalle comunità per formalizzare il loro dirittoalla terra. Anche se non esistono studi specifici in merito, cinquesembrano essere le soluzioni scelte.

Innanzitutto molte comunità optarono per la titolazione pro-indiviso a nome di tutti i propri membri. Si trattò del risultatodell’ibridazione fra la legislazione del 1953 e quella precedente; lehaciendas vennero restituite ai contadini che scelsero la titolazionecollettiva secondo la formula della proprietà pro-indiviso del Codicecivile Santa Cruz. In molti di questi casi, la distribuzione internadelle terre di comunità continuò però a essere disciplinata secondoi tradizionali meccanismi di trasferimento ed eredità (147). La for-mazione dei sindicatos, sviluppatisi a partire dal 1934 e rafforzatidalla riforma agraria, rappresentò un’altra modalità di sopravvivenzadelle comunità. In base a tale formula, la comunità si adeguava allemodalità stabilite dalla riforma come mezzo per rivendicare i propridiritti. Da un punto di vista politico, ciò comportò l’affermarsi dellostretto legame tra le comunità e il modello sindacalista promosso dalgoverno del MNR (148). Una terza soluzione fu quella di conferire dei

(146) W. E. CARTER, Revolution and the Agrarian Sector, in J. M. MALLOY-R. S.THORN (a cura di), Beyond the Revolution: Bolivia since 1952, cit., p. 249.

(147) Questa fu la vicenda degli ayllus di Jesús de Machaqa a partire dai primi annisettanta. Cfr. E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde, cit.,pp. 180-181.

(148) Esteban Ticona e Xavier Albó affermano che occorre distinguere tra ilprocesso di sindacalizzazione nelle zone delle haciendas e quello delle zone di comunitàoriginarie o ayllus. Nel primo caso il sindacato fu uno strumento di pressione erivendicazione contro gli abusi dell’hacendado. Una volta soppresso il latifondo, ilsindacato venne a costituire l’organizzazione comunitaria basilare, soprattutto nelle zonein cui l’hacienda era stabilita da tempi ormai remoti. Nel secondo caso, la comparsa deisindacati fu un processo più lento e tardivo; l’assenza di hacendados e la presenza di

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titoli individuali per le sayañas a ciascuna famiglia, evento checontribuì alla formazione del minifondo. Questo avvenne soprattut-to per le comunità ex-haciendas, anche se nella pratica in molteregioni i singoli continuarono a sottoporsi al controllo e alle deci-sioni delle comunità (149). Una quarta soluzione fu quella di aggior-nare gli antichi titoli conferiti nei periodi coloniali o dalle revisitas.Tale strategia fu adottata da alcune comunità originarie non spo-gliate dalle haciendas. Infine, una quinta via giuridica fu quellaindividuata dall’art. 42 della riforma agraria, cioè la restituzionedelle terre usurpate a partire dal 1900. Tuttavia, la mancanza di unanormativa dettagliata e il forte stampo individualista dei decretidettati per eseguire il mandato della riforma furono ostacoli decisivialla sua esecuzione.

Occorre per ultimo aggiungere che la scelta adottata dallecomunità rispetto al quesito che la riforma agraria aveva posto ebbegrande rilevanza per quanto concerne lo sviluppo di due importantiassociazioni che riscossero grande successo mediatico a partire daglianni novanta. Le comunità legate al sistema sindacalista si raggrup-parono nella Confederación Sindical Única de Trabajadores Campe-sinos de Bolivia (CSUTCB), mentre quelle legate alle forme di orga-nizzazione precedenti la riforma, nel Consejo Nacional de Markas yAyllus del Qullasuyu (CONAMAQ).

Il breve esame dei principi relativi alle terre di comunità con-tenuti nella riforma agraria evidenzia come essa impose una legisla-zione liberale volta a stabilire la moderna nozione di proprietà sullo

un’organizzazione comunitaria tradizionale robusta furono fattori decisivi per il gradualesviluppo di tali organizzazioni. Anche se in qualche zona, come nell’altopiano deidipartimenti di Oruro e Potosí, il sindacato non si affermò mai, la formula più frequentefu l’inclusione (a seguito di diversi stimoli politico-sociali) delle comunità originarie nellanuova organizzazione sindacale contadina. Cfr. E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesúsde Machaqa: la marka rebelde, cit., pp. 171-173. Cfr. anche E. TICONA ALEJO, Il nuovoruolo dei popoli indigeni contadini nella politica boliviana, cit., pp. 67-69. Trattazionegenerale sull’introduzione dei sindacati come unità basica rurale in J. M. MALLOY,Bolivia. The Uncompleted Revolution, cit., p. 209 e ss.

(149) Cfr. X. ALBÓ, Prólogo a dos manos, in M. URIOSTE-R. BARRAGÁN-G. COLQUE,Los nietos de la reforma agraria: tierra y comunidad en el altiplano de Bolivia, cit., p. ix

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sfondo del profitto individuale agricolo (150). La riforma cercò,stimolando la titolazione individuale delle terre, di sbloccare ognipossibilità di sviluppo capitalista nell’agricoltura. Su tali basi, lostesso presidente Víctor Paz Estenssoro dichiarò:

« La riforma agraria non implica necessariamente un criterio socialista,è un criterio liberale; rappresenta l’uscita dal regime feudale del latifondo[...]. La suddivisione della terra è la classica proposta della riforma agrariadi tipo liberale » (151).

Per lo storico James Malloy, la riforma agraria si basò, oltre chesull’influsso del MNR, sulla base ideologica del Partido de la IzquierdaRevolucionaria (PIR), secondo cui era impossibile arrivare al sociali-smo senza prima passare attraverso la tappa del capitalismo. Diconseguenza, il carattere della società boliviana semi-capitalista esemi-agraria doveva essere sostituito da un capitalismo che rompessecon quanto restava del sistema semi-feudale. Lo scopo iniziale dellariforma fu pertanto ben lontano dalla ribellione socialista, avvici-nandosi piuttosto a una rivoluzione democratica di stampo borghe-se (152): democratica per il suo contenuto anti-oligarchico e pro-repubblicano, e borghese per il suo contenuto anti-feudale e pro-capitalista (153).

Secondo l’ideologia della riforma, la titolazione della proprietàindividuale (sulla premessa della frammentazione delle terre deilatifondi) avrebbe portato libertà e più razionali forme di rapportoeconomico. L’indigeno avrebbe goduto di mobilità e, al tempostesso, grazie al fatto di essere proprietario, sarebbe diventato sia

(150) Sul punto vedi J. M. MALLOY, Bolivia. The Uncompleted Revolution, cit., p.206.

(151) Cit. in E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde,cit., p. 169. Cfr. anche R. S. THORN, The Economic Transformation, in J. M. MALLOY-R.S. THORN (a cura di), Beyond the Revolution, cit., p. 160.

(152) J. M. MALLOY, Bolivia. The Uncompleted Revolution, cit., p. 205; W. J. ASSIES,Land tenure in Bolivia: from colonial times to post-neoliberalism, in J. M. UBINK-A. J.HOEKEMA-W. J. ASSIES (a cura di), Legalising Land Rights, Local Practices, State Responsesand Tenure Security in Africa, Asia and Latin America, Leiden Univ. Press, Leiden, 2009,pp. 299-300.

(153) A. URQUIDI, Temas de reforma agraria, cit., p. 30.

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produttore che consumatore (154). Si può quindi constatare come loscopo della riforma non differisse dal progetto liberale attuato con lalegge di svincolo del 1874 (155). È proprio per questo motivo chel’antropologo Mark Goodale afferma oggi che lo stimolo statale e glisforzi dei contadini verso la registrazione dei titoli fondiari, secondole modalità stabilite dalla riforma agraria, devono essere consideraticome una riappropriazione delle idee repubblicane in conformità aimedesimi principi giuridici liberali su cui si era fondata la Boli-via (156). Come allora, la riforma agraria cercava di costituire unamoltitudine di unità contadine e di conferire titoli a piccoli proprie-tari, allo scopo di raggiungere la modernizzazione dell’assetto ruraletramite l’imposizione di meccanismi di produzione come la coope-rativizzazione (157). L’enfasi conferita alla « questione contadina » fupertanto finalizzata a stabilire un limite massimo agli appezzamentiche sarebbero stati consegnati a ogni famiglia in proprietà privata,con carattere di inalienabilità e imprescrittibilità. Tale scelta esclu-deva altre variabili sull’uso della terra e riduceva lo sviluppo ruraleal possesso individuale del suolo (158).

La riforma, per tutto ciò, risultò incompleta non solo per averparzialmente disatteso i suoi scopi iniziali (159), ma anche per non

(154) J. M. MALLOY, Bolivia. The Uncompleted Revolution, cit., p. 206.(155) Cfr. supra 218 e ss.(156) M. GOODALE, Dilemmas of Modernity: Bolivian Encounters whit Law and

Liberalism, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 2009, pp. 48-49.(157) T. PLATT, Estado boliviano y ayllu andino , cit., p. 150.(158) Così, M. URIOSTE FERNÁNDEZ DE CÓRDOVA, Fortalecer las comunidades, cit., p.

57.(159) Anche se oggi nelle zone dell’altopiano, in linea di massima, non esistono

latifondi né imprese capitaliste, trovandosi la quasi totalità delle terre nelle mani degliaymaras, non si osserva una simile situazione nelle terre basse dell’oriente boliviano. Lariforma agraria consentì, infatti, per il dipartimento di Santa Cruz una proprietà ruraledella massima estensione di 501.000 ettari. Peraltro, le dittature militari di Hugo BanzerSuarez (1971-1978) e di Luis García Meza (1980-1982) si distinsero per la distribuzionegratuita e arbitraria di terre nella zona orientale in cambio di supporto e lealtà politica.Questi fattori rappresentarono la principale causa dell’origine del neo-latifondismoorientale boliviano. Per dettagli cfr. R. BARRENECHEA ZAMBRANA, Derecho agrario, cit., pp.155-158. Vedi inoltre M. URIOSTE F. DE CÓRDOVA, Necesidad de una ley de comunidadescampesinas e indígenas, in La legislación agraria y la tenencia de la tierra, Club deEconomía Agrícola y Sociología Rural, La Paz, 1992, p. 57.

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aver considerato il vasto settore della popolazione rurale bolivianaorganizzata sotto forma di comunità (160). Quest’ultima, nella pra-tica, fu ignorata con la consapevolezza che si sarebbe gradualmenteestinta tramite l’applicazione delle disposizioni che non contempla-vano la sua persistenza (161). Il processo di trasformazione agricolanella zona alto-andina boliviana non produsse, in definitiva, i risul-tati sperati poiché la proprietà fu confusa con l’accesso alla terra el’indigeno assimilato al moderno produttore, secondo un criterioche ancora una volta seguiva i principi della cultura « ispanica » enon di quella « aymara » (162).

Conclusioni

Considerati gli importanti sviluppi legislativi illustrati in questocapitolo, occorre avanzare una conclusione riassuntiva per formula-re qualche riflessione generale.

I primi decenni del Novecento furono testimoni, ovunque nelleterre alto-andine, dell’ingrandimento dell’hacienda, in base al ricorsoalla legislazione liberal-individualista del diciannovesimo secolo.Due sono le caratteristiche di questo periodo: la mancanza di unalegislazione statale che tutelasse le pratiche tradizionali di possessofondiario e l’uso, da parte della classe aristocratica, coadiuvata dalcapitale straniero, degli strumenti giuridici offerti dalla legislazionerepubblicana dell’Ottocento per incrementare il proprio patrimo-nio.

In Perù, la voce di denuncia legata al movimento indigenista,sommata alle rivolte che travolsero sopratutto il dipartimento diPuno, portarono al primo riconoscimento legislativo delle comunitàindigene sul versante costituzionale. In tale scenario ebbero un ruolo

(160) A. URQUIDI, Temas de reforma agraria, cit., p. 37. Da un’altra prospettiva, unacritica alla mancanza di impostazione economico-sociale nei fondamenti della Riforma eall’instaurarsi del sistema minifondista può essere reperita in A. MALDONADO, Derechoagrario: historia, doctrina, legislación, cit., pp. 325-327.

(161) E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde, cit., p.170.

(162) Così, W. E. CARTER, Comunidades aymaras y la reforma agraria en Bolivia, cit.,p. 118.

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cardine le più note voci dell’indigenismo giuridico, le cui idee eranostate illustrate nei diversi scritti sin dai primi decenni del ventesimosecolo (163). In questo modo, le costituzioni di inizio secolo, influen-zate dall’indigenismo e dalla socializzazione del diritto, accolsero latesi tutelar delle comunità. Di fronte alla prima timida dichiarazionedel testo costituzionale del 1920, la Costituzione del 1933 rappre-sentò un significativo progresso, costituito in particolare dall’effet-tività concessa al riconoscimento del diritto alla terra delle comunità,mettendole al riparo di fronte agli attacchi di terzi. Ciò nonostante,sia la Costituzione del 1933 sia la limitata normativa inserita nelCodice civile del 1936 aggiunsero come requisito per tale riconosci-mento l’iscrizione nel registro speciale delle comunità. Nacque cosìun divario tra comunità formali e informali che costrinse quelle nonregistrate a optare per la frammentazione o la sussistenza comeistituzioni « di fatto ».

Dopo oltre cinquant’anni di spoliazione smisurata delle terreindigene in Bolivia non si era ancora diffusa negli anni trenta unavolontà statale decisa a imporre un equilibrio nella distribuzionedella ricchezza fondiaria. Così, fino agli anni quaranta, si assistetteancora al cosiddetto « ingrandimento sostanziale » della classe ari-stocratica a scapito delle terre di comunità. Di fronte all’inattivitàstatale, diversi sollevamenti indigeni e iniziative di carattere socialeconsentirono di aprire il dibattito sulla questione indigena, che ebbela sua prima e formale accoglienza in seno alla Convención Consti-tuyente del 1938. Benché le comunità siano poi state riconosciute daltesto costituzionale del 1938, il diritto alle terre non fu oggetto diregolamentazione durante la prima metà del ventesimo secolo. Iprimi manifesti a favore di tale sviluppo furono i programmi politicidei partiti di ispirazione socialista-marxista. Di conseguenza, ilprocesso di riforma agraria boliviano legò le diverse trasformazionidel mondo rurale a un processo di partecipazione politico-sociale edi rivolte contro l’ingrandimento dell’hacienda e lo sfruttamentoindigeno-contadino.

Contrariamente all’esperienza boliviana, a partire dagli anniventi in Perù vi fu un aumento della legislazione settoriale sui

(163) Cfr. supra 238-239.

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requisiti previsti per il riconoscimento delle comunità e sui diversiaspetti della loro organizzazione interna. Nella seconda metà delsecolo, l’Estatuto Especial de Comunidades Campesinas del 1970,inserito nel cuore della riforma agraria, rappresentò un noto esem-pio di tale fenomeno giuridico. Fu per l’appunto a partire da questoperiodo che nelle Ande peruviane si tentò di ricondurre le comunitàal modello cooperativo con la finalità di inserirle, sotto forma diunità economiche note come SAIS e CAP, nella dinamica dell’econo-mia di mercato. In questo modo, la politica statale transitò dalla« modernizzazione tradizionalista » del diciannovesimo secolo aquella « cooperativista », propria della riforma agraria della finedegli anni sessanta. Intanto, qualche anno prima la rivoluzionecontadina boliviana del 1952 aveva rappresentato il risultato dell’in-sieme delle forze sociali che, di fronte all’inattività statale in materiaagricola, avevano richiesto una ripartizione più equa delle terre. Lariforma agraria del 1953 si limitò a perfezionare lo schema liberal-individualista della legislazione del diciannovesimo secolo e a poli-ticizzare, con l’avvento del sindacalismo, la tematica legata all’acces-so alla terra delle comunità. In sintesi, il processo di riforma agrariaavviato in entrambi i paesi non prese in considerazione la compo-sizione multietnica della popolazione, né la persistenza di schemi diorganizzazione tradizionali come gli ayllus.

L’analisi della legislazione agraria del Novecento mostra l’im-porsi dei modelli ideologici occidentali, che prevalsero sulla siste-mazione dell’assetto fondiario comunitario. Nell’esperienza peruvia-na i primi decenni del secolo si trovarono impregnati delle rimem-branze del liberalismo come parte della modernizzazione tradizio-nalista dell’Ottocento (legislazione bolivariana, codici civili del 1852e del 1936). In un secondo momento, i testi costituzionali del 1920e del 1933 accolsero le idee socialiste consacrando la posizionetutelar delle comunità. In Bolivia, il modello liberal si scontrò con ilprimo tentativo socialista avviato con la Costituzione del 1938. Ma,come detto, la riforma agraria intrapresa qualche decennio dopoavrebbe implicato la reinvenzione dell’ideologia del liberalismo che,applicato alle comunità, prese la forma del modello sindacalista perassicurare il dominio politico del partito di Stato su di esse.

L’impatto delle ideologie che abbiamo ora richiamato attraversoi testi giuridici analizzati aveva consentito l’arricchimento del « mo-

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saico giuridico-legislativo » di cui disponevano le comunità. Esse,infatti, sin dai tempi coloniali hanno accolto, o rifiutato, la legisla-zione occidentale di ogni epoca, secondo i propri specifici interessi.Durante il ventesimo secolo alcune comunità optarono per il rico-noscimento dei titoli individuali ai propri membri; altre scelseroinvece la via della titolazione pro-indiviso facendo ricorso ai docu-menti coloniali o alle revisitas. Non poche comunità si adattarono, avolte anche solo formalmente, alla nuova organizzazione previstadalla legge agraria (cooperativismo, sindacalismo, ecc.), mentre altrerifiutarono ogni processo statale di sistemazione dell’assetto fondia-rio. La conseguenza della somma di codici e leggi, ispirate a principidiversi, nonché del conferimento di titoli sovrapposti esito dellepassate politiche fondiarie promosse dallo Stato occidentale, fu lacrescente confusione da parte della popolazione indigena circa lascelta della via giuridica più idonea al perseguimento dei propriinteressi. Tale fenomeno si colloca alla base dei più gravi conflitti diinteresse all’interno delle comunità odierne e dimostra come ilmosaico giuridico fino ad allora creato non fosse stato in grado difornire una soluzione effettiva ai problemi di organizzazione relativiai rapporti fondiari tradizionali. Beninteso, le diverse politiche han-no paradossalmente permesso, dopo secoli di imposizione, di ibri-dazione e di resistenza, la creazione di situazioni extra o interlegali,ovvero la fruizione di spazi giuridici che, sebbene non opposti aldiritto, si presentano come schemi alternativi in quanto non ricono-sciuti dal sistema giuridico occidentale.

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CAPITOLO IV

LE SCIENZE SOCIALIE I NUOVI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI

« La nota anímica primaria del indígena essu agrarismo. Es difícil que una inteligenciaoccidental u occidentalizada pueda com-prender plenamente como pesa la tierra enel espíritu del indio de los Andes ».

FRANCISCO PASTOR (*).

SEZIONE I. Per una ricostruzione della complessità fondiaria andina: gli approcci interdi-sciplinari — 1. Dall’antropologia all’economia di comunità. — 2. Antropologi, econo-misti e la logica dell’uso della terra. — 3. La teoria economica e le terre andine: i dibattitiintorno alle tesi neoliberali. — SEZIONE II. I nuovi riconoscimenti legislativi: tra neolibe-ralismo e multiculturalismo — 1. Il Perù: l’ascesa e la caduta della legislazione pro-comunitaria. — 2. La Bolivia, verso il riconoscimento integrale: progetti, movimenti eStato pluri-nazionale. — Conclusioni.

SEZIONE IPER UNA RICOSTRUZIONE DELLA COMPLESSITÀ FONDIARIA ANDINA:

GLI APPROCCI INTERDISCIPLINARI

Il passaggio dall’ignoranza del diritto formale al riconoscimentodei diritti fondiari tradizionali non deve essere valutato come unfenomeno isolato nell’ambito delle scienze sociali andine. Esso,piuttosto, rappresenta un fenomeno associato a una evoluzione

(*) El indígena peruano: apunes para una sociología nacional [Lima, 1931], cit. in P.E. ROCA S., Por la clase indígena, Pedro Castro Barrientos Editor, Lima, 1935, p. 44.

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scientifica maturata grazie alle scoperte che progressivamente siverificarono nei settori dell’antropologia, della storia e dell’econo-mia. Questi sviluppi consentirono, di fatto, di raggiungere un gradodi specificità tale da permettere la conoscenza tecnica atta a rivelare,da prospettive diverse, la complessità del sistema di possesso fon-diario. Occorre, pertanto, ripassare capillarmente i contributi suglistudi delle comunità sviluppatisi durante la seconda metà del No-vecento, in quanto precedenti scientifici per il successivo sviluppodei più concreti riconoscimenti nell’ambito del diritto formale.

1. Dall’antropologia all’economia di comunità.

È ormai noto che i precursori degli studi sulla società tradizio-nale andina sono stati, per lo più, gli esploratori, i viaggiatori e gliscienziati stranieri. Sappiamo inoltre che il loro primo stimoloideologico affonda le radici nel movimento indigenista e nei contri-buti della scienza giuridica peruviana dei primi decenni del vente-simo secolo. Quest’ultima, infatti, avviò un’iniziale conoscenzascientifica delle comunità andine e pose le basi per le discussionilegislative che avrebbero portato ai primi riconoscimenti della co-munità all’interno del diritto formale. Tali lavori furono però solo ilriflesso ideologico di una corrente che, tranne note eccezioni, non fuin grado di riunire e discutere l’informazione empirica ottenuta diprima mano (1). Questo compito sarebbe spettato alla fiorenteantropologia andina che, dapprima in Perù e poi in Bolivia, avrebbe

(1) Cfr. J. URRUTIA, Comunidades campesinas y antropología: historia de amor (casi)eterno, in Debate Agrario, 14, 1992, p. 1. Come rivela Guevara Gil, « la prédicaindigenista de los años 1920 asumió el carácter colectivista de la comunidad indígena. Leatribuyó una matriz exclusivamente andina, la presentó como el núcleo duro de la naciónperuana y le asignó un potencial cooperativista y hasta socialista capaz de refundar elpaís. Primó la ideología sobre la observación de campo y, a partir de una serie demediaciones ideológicas, concluyó que la comunidad se caracterizaba por la propiedadcomún, el usufructo familiar de las tierras, el trabajo colectivo de los comuneros y sufiliación a « ayllus » o unidades parentales fuertemente arraigadas a la tierra ». J. A.GUEVARA GIL, Diversidad y complejidad legal. Aproximaciones a la antropología e historiadel derecho, Pucp, Lima, 2009, p. 94. Sulla limitazione discorsiva dell’indigenismogiuridico peruviano si consenta il rinvio a R. MÍGUEZ NÚÑEZ, Indigenismo, scienzagiuridica e proprietà andina, in Riv. crit. dir. priv. 30, 2, 2012, pp. 269 e ss.

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fatto dell’analisi etnografica della comunità indigena l’oggetto prin-cipale del suo studio (2).

Lo studio etnografico ebbe inizio in Perù con l’arrivo degliantropologi e archeologi stranieri in un momento che coincise con lavisita degli etnologi peruviani presso autorevoli sedi accademichedegli Stati Uniti grazie a numerose borse di studio conferite dallefondazioni Guggenheim, Carnegie e Rockefeller. Importanti sezionidi questi primi studi furono pubblicati, con il sostegno della Smi-thsonian Institution, nell’Handbook of South American Indians (2vol., 1946) sotto la direzione di Julian H. Steward e di AlfredMétraux (3). A queste prime esperienze scientifiche si era sommata,

(2) Tra i tanti lavori che riassumono il contributo dell’antropologia andina sullemonografie di comunità cfr.: J. V. MURRA, Research and Prospects in Andean Ethnohi-story, in Latin American Research Review, 5, 1, 1970, pp. 3-36; S. B. BRUSH, Man’s Useof Andean Ecosystems, in Human Ecology, 2, 4, 1976, pp. 147-166; K. A. YAMBERT,Thought and Reality: Dialectics of Andean Community, in B. S. ORLOVE-G. CUSTRED (acura di), Land and Power in Latin America. Agrarian Economies and Social Processes inthe Andes, Holmes & Meier Publishers, INC, New York-London, 1980, pp. 55-78; L. E.VALCÁRCEL, Memorias, Iep, 1981; P. OSTERLING-H. MARTÍNEZ, Notes for a History ofPeruvian Social Anthropology, 1940-1980 [and Comments and Reply], in Current Anthro-pology, 24, 3, 1983, pp. 343-360; F. SALOMON, The Historical Development of AndeanEthnology, in Mountain Research and Development, 5, 1, 1985, pp. 79-98; J. URRUTIA,Comunidades campesinas y antropología: historia de amor (casi) eterno, in Debate Agrario,14, 1992, pp. 1-16; J. MALENGREAU, Sociétés des Andes: des empires aux voisinages,Éditions Karthala, Paris, 1995; R. PAJUELO, Imágenes de la comunidad. Indígenas,campesinos y antropólogos en el Perú, in C. I. DEGREGORI (a cura di), No hay país másdiverso. Compendio de antropología peruana, Red Para el Desarrollo de las CienciasSociales en el Perú, Lima, 2000, pp. 123-179; C. I. DEGREGORI, Panorama della antropo-logía en el Perú: del estudio del otro a la construcción de un nosotros diverso, in ID. (a curadi), No hay país más diverso. Compendio de antropología peruana, cit., pp. 20-73; J.URRUTIA, Cambios y permanencias comunales en medio siglo: revisita a un texto olvidado,in Debate Agrario, 35, 2003, pp. 183-194; C. I. DEGREGORI-P. SANDOVAL, Peru: FromOtherness to a Shared Diversity, in D. POOLE (a cura di), A companion to Latin AmericanAnthropology, Blackwell, Malden-Oxford, 2008, p. 150 e ss.; R. BARRAGÁN, Bolivia:Bridges and Chasms, in D. POOLE (a cura di), A Companion to Latin American Anthro-pology, cit., p. 32 e ss.; J. A. GUEVARA GIL, Diversidad y complejidad legal. Aproximacionesa la antropología e historia del derecho, cit., p. 93 e ss.

(3) L’Handbook, considerato il punto di partenza dell’antropologia delle comunità,racchiude i primi contributi dell’antropologia culturale nordamericana. Contiene, infatti,classici lavori sulla cultura Inca (John Rowe), sull’etnologia ed etnostoria andina (HarryTschopik, Bernard Mishkin, Weston Labarre, Luis Valcárcel). Tra i contributi peruviani,

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nel 1946, la nascita formale dell’antropologia nelle università peru-viane e la creazione di istituti antropologici che sponsorizzavano ilavori di ricerca sul campo (4). L’insieme di tali iniziative diede avvioalla cosiddetta « età d’oro » dell’antropologia di comunità (1940-1960). Per Guevara Gil, gli studi sulle comunità che si sono susse-guiti in Perù durante il ventesimo secolo hanno consentito, attra-verso analisi etnografiche e comparative che hanno mostrato legrandi differenze presenti all’interno delle società contadine, ladecostruzione del mito iniziale, proprio delle prime opere indigeni-ste degli anni venti. Tale mito aveva individuato nella comunità ilnucleo forte della nazione peruviana, fondata sul collettivismo epredisposta all’imposizione di un cooperativismo socialista capace dirifondare il paese (5). Infatti, man mano che il Novecento avanzava,le monografie dedicate alle comunità esaminavano come la crescenteesogamia, la privatizzazione delle terre, la migrazione nelle città, le

spicca il lavoro del giurista Hildebrando Castro Pozo sull’evoluzione delle comunitàindigene nella zona centrale del Perù. A queste prime pubblicazioni si affianca, nellostesso periodo, la monografia di George Kubler Los quechuas en el mundo colonial cheriformula i postulati e le dinamiche sulla comunità dell’epoca.

(4) L’antropologia peruviana nasce formalmente all’interno dell’Università Nacio-nal Mayor de San Marcos di Lima nel 1946, quando l’antropologo ileño Luis E.Valcárcel, nominato ministro dell’Educazione, crea l’Instituto de Etnología y Arqueolo-gía. Parallelamente vengono intrapresi i primi studi di antropologia presso l’UniversitàSan Antonio Abad de Cuzco. Nello stesso anno nacque l’Instituto Indigenista Peruano,con Valcárcel come direttore. Ad esso si somma la nascita, nel 1948, dell’InstitutoFrancés de Estudios Andinos (IFEA), sotto la direzione dell’etnografo francese, JehanVelard, e la creazione, nel 1964, dell’Instituto de Estudios Peruanos (IEP) su iniziativa diLuis E. Valcárcel, José María Arguedas, José Matos Mar e María Rostworowski insiemead altri noti intellettuali peruviani.

L’arrivo dell’antropologo Bernard Mishkin segna l’inizio dell’attività etnologica inPerù. Mishkin compie il suo lavoro etnografico a Quispicanchis (dipartimento di Cuzco)tra gli anni 1938-1939 e 1941-1942. Il prodotto della sua analisi sarà The ContemporaryQuechua (1946), opera pubblicata parzialmente in lingua spagnola dalla Revista delMuseo Nacional in 1953. Negli stessi anni, Harry Tschopik compie ricerche sul campoa Chucuito (dipartimento di Puno), pubblicando le sue conclusioni nella monografia TheAymaras of Chucuito (1951), opera tradotta e pubblicata dall’Instituto IndigenistaLatinoamericano con il titolo Magia en Chucuito (1968). Grazie al patrocinio dellaSmithsonian Institution, il noto antropologo John Gillin visita nel 1944 il Perù con loscopo di lavorare nella comunità di Moche. L’opera Moche, a Peruvian Coastal Com-munity (1947) riferisce della sua attività sul campo.

(5) J. A. GUEVARA GIL, Diversidad y complejidad legal, cit., p. 94.

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nuove forme di solidarietà endocomunitaria, l’influenza della mo-dernità urbana, dei mercati e l’influsso della tesi sulla « matricecoloniale » — e non precolombiana — della comunità andina (6)avessero consentito una conoscenza più reale e sottile delle comunitàodierne. Queste considerazioni spiegavano, le ragioni degli indigenie contadini nell’adeguarsi o meno alle politiche legislative attuatedallo Stato peruviano (7).

In Bolivia, lo sviluppo dell’antropologia, presente fino agli annisettanta solo in lavori isolati e di minore scala, si avviò grazie a dueeventi che attirarono l’attenzione degli scienziati sulla questionerurale: le rivolte contadine dei primi anni cinquanta e la riformaagraria del 1953. In tale ambito, due lavori si pongono a capo dellosviluppo dell’antropologia di comunità: Aymara Communities andthe Bolivian Agrarian Reform (1965) di Willian E. Carter e TheBolivian Aymara (1971) di H. Buechler e J. M. Buechler (8). A livelloistituzionale, gli anni settanta testimoniano il fiorire della scienzaantropologica tramite la creazione dei primi istituti specializzati e lapubblicazione di opere che raggruppano gli iniziali contributi etno-storici (9). Gli unici due volumi della rivista Avances (Revista Boli-viana de Estudios Históricos y Sociales), risalenti al 1978, rappresen-

(6) Cfr. supra 56 e ss.(7) Sul punto è interessante la tesi ricostruttiva di J. GOLTE, El problema con las

comunidades, in Debate Agrario, 14, 1992, pp. 17-22.(8) Qualche anno più tardi lo stesso Carter insieme a Mauricio Mamani, studioso

originario della comunità Irpa Chico, sviluppa i diversi temi collegati all’uso della terranella medesima comunità nell’opera « Irpa Chico ». Individuo y comunidad en la culturaaymara (1982). L’analisi delle regole fondiarie, dell’ecologia, delle forme di lavoro, dellacoltivazione, delle strutture di parentela, delle feste e religione, e dell’atteggiamentoverso l’esterno, rende questo lavoro un riferimento obbligato per gli studi etnograficiboliviani contemporanei, trattandosi della più esauriente monografia di quell’epocadedicata a una comunità boliviana.

(9) Nel 1971 a La Paz, in un chiaro tentativo di decolonizzazione scientifica avviatodal sacerdote, linguista e antropologo catalano Xavier Albó nasce il Centro para laInvestigación y Promoción del Campesinado (CIPCA) con lo scopo di approfondiretematiche come l’integrazione, la discriminazione, l’interculturalità e la democrazia,relativi alla cultura aymara. Dalle prime esperienze all’interno del gruppo CIPCA deriva,nel 1972, una pionieristica opera etnografica sull’organizzazione sociale della comunitàdi Jesús de Machaqa del dipartimento di La Paz. In modo parallelo, un gruppo distudiosi stranieri, provenienti dal Regno Unito e dalla Francia, stabiliscono un floridorapporto accademico con istituzioni boliviane tramite le loro ricerche universitarie.

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tano i primi tentativi di applicare l’etnostoria e l’ideologia marxistaalla realtà boliviana. Durante lo stesso anno un fondamentale stimo-lo al substrato storico nell’analisi delle comunità è dato da JohnMurra e Nathan Wachtel in un numero speciale della rivista franceseAnnales. Il dossier riunisce noti contributi storici, geografi, archeo-logi ed etnologi riguardanti le comunità, nonché i principali proble-mi metodologici, con lo scopo di stimolare le ricerche sul mondoandino (10). Questi primi passi, seguiti dalla successione di lavorietnostorici che a partire degli anni ottanta avrebbero rivendicato ilruolo della cultura andina nel campo politico-sociale, hanno per-messo di stabilire una solida base scientifica per la ricostruzionedella Bolivia pluri-nazionale di fine secolo (11).

In Bolivia, diversamente dal Perù l’età d’oro della monografia dicomunità perdura, essendo legata alle implicazioni e alle sfide che lanuova Riforma Agraria del 1996, la successiva legge agraria del 2006e l’odierna Costituzione del 2009 pongono agli studiosi (12). Tra lediverse iniziative, due nuove spinte hanno istituzionalizzato lo studioetnografico delle comunità: la creazione nel 1991 della FundaciónTierra che, in consorzio con altre istituzioni nazionali e internazio-nali, dal 2003 pubblica diverse monografie sull’accesso, il possesso el’uso della terra nell’altopiano, e la nascita del Programa de Investi-gación Estratégica en Bolivia (PIEB), il quale dal 1994, sotto la tuteladel Ministero di Cooperazione dei Paesi Bassi per lo Sviluppo(NEDA), patrocina, tra altri progetti, studi locali sulla situazione dellecomunità nei diversi dipartimenti dell’altopiano boliviano.

(10) L’approccio interdisciplinare, rivolto nello specifico all’analisi storica, è evi-dente nell’introduzione al volume: « Il ne s’agit évidemment pas de projeter mécanique-ment le présent sur le passé, mais de procéder, sur l’ensemble des matériaux, à un travailcritique et comparatif. Les tactiques que nous venons d’évoquer ont pour caractéristiquecommune de se situer au niveau local et régional: elles mettent au jour l’extraordinairediversité des groupes ethniques et des chefferies qui ont précédé l’État inca, et qui lui ontsurvécu, parfois jusqu’à nos jours. Autrement dit, entre l’immense Empire d’une part, etla communauté actuelle d’autre part, c’est tout le tissu intermédiaire, à la fois spatial ettemporel, qui resurgit, reliant en quelque sorte les deux bouts de la chaîne, en mêmetemps que l’histoire et l’anthropologie ». J. V. MURRA-N. WACHTEL, Présentation, inAnnales. Economies, Sociétés, Civilisations, 5, 1978, p. 891.

(11) Cfr. infra 340 e ss.(12) Cfr. infra 345 e ss.

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Si comprende così come gli studi etnografici ed etnostoriciprogressivamente avviati in Perù e in Bolivia siano stati in grado diindividuare la complessità propria delle regole fondiarie nelle co-munità. La consapevolezza di tale complessità oggi è fondamentalenon solo per comprendere una realtà che di cui il diritto formaledeve prendere atto, ma soprattutto per lo sviluppo, come passaggioprevio e complementare a esso, di altre prospettive scientifichenell’analisi delle organizzazioni tradizionali andine, tra cui quellelegate all’economia.

Fino alla fine degli anni settanta gli studi dedicati ai rapportiagrari nelle comunità andine non percepivano l’economia contadinacome una particolare forma di organizzazione produttiva (13). Lemonografie sulle comunità si limitavano a fornire una panoramicagenerale delle forme di sfruttamento fondiario, riservando unospazio ridotto all’analisi dei modi di produzione e ai fenomeni legatialla migrazione. Ma grazie al contributo antropologico, e in parti-colare con l’introduzione, a opera dell’etnostorico John V. Mur-ra, dei concetti di reciprocità, redistribuzione e controllo dei livelliecologici (14), gli studiosi iniziarono ad avvalersi dell’etnostoria edell’etnografia per studiare dinamiche economiche nella vita dellacomunità (15). Come sappiamo, John Murra, influenzato dall’operadi Karl Polanyi e dalla sua scuola, inserì le forme di interazioneeconomica (redistribuzione e reciprocità) nei rapporti sociali dilunga durata come la parentela. Egli sottolineò così l’estrema im-

(13) Cfr. V. GÓMEZ, Economía campesina: balance y perspectivas, in V. GÓMEZ-B.REVESZ-E. GRILLO-R. MONTOYA, in Perú: el problema agrario en el debate, Sepia I, Lima,1986, p. 24.

(14) Vedi supra 66 e ss.; 69 e ss.(15) Per studi economici intendiamo i principali contributi dell’economia finaliz-

zati alla comprensione delle tradizionali dinamiche di produzione e di sopravvivenzadelle comunità andine. Per quanto riguarda il percorso ideologico e storico dell’econo-mia contadina andina, nonché le diverse fasi del binomio hacienda-comunidad nel sistemaagrario latinoamericano, rinviamo alla bibliografia specializzata. Cfr. B. KERVYN, Laeconomía campesina en el Perú: teorías y políticas, in Perú: el problema agrario en debate,Sepia II, Lima, 1988, p. 29 e ss.; J. GOLTE, Economía, ecología, redes. Campo y ciudad enlos análisis antropológicos, in C. I. DEGREGORI (a cura di), No hay país más diverso.Compendio de antropología peruana, cit., p. 204 e ss.; AA.VV., Haciendas, latifundios yplantaciones en América Latina, Siglo XXI, México, 1975.

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portanza di tali concetti e li contrappose all’interazione mercantile,più impersonale, che prescinde da attori previamente relazionati (16).

Sulla scia di Murra, il primo contributo formulato sulla basedella combinazione degli elementi economici e antropologici èquello del peruviano César Fonseca Martel. La sua tesi di dottoratoin antropologia sociale (Sistemas económicos andinos, 1973) dimostracome il modello di organizzazione sociale basato sulle attività cicli-che e sull’uso verticale dei livelli ecologici continuasse a regolarel’economia di sussistenza familiare nelle comunità, malgrado lapartecipazione dei contadini al mercato nazionale. In quest’ottica,afferma Fonseca, la sfera dell’autosufficienza — ovvero dell’econo-mia di sussistenza derivata dal modello di controllo di diversi livelliecologici — e la sfera del mercato sarebbero forme economichecombinabili e sovrapposte in quelle comunità in cui i diversi livelliecologici si trovavano a distanze ridotte dalle località di residenza deigruppi etnici. Avremmo così la prova non solo del permaneredell’agricoltura di sussistenza, ma anche del biculturalismo dellecomunità contemporanee.

Sempre sulla stessa linea, la pioneristica opera dell’antropologoperuviano Enrique Mayer, Las reglas del juego en la reciprocidadandina (1974) (17), sottolinea l’esistenza di un sistema economicodualista: l’economia di sussistenza da un lato e l’economia di mer-cato dall’altro. Per Mayer, all’interno della comunità i rapporti diparentela, basati sui concetti di reciprocità e redistribuzione, gioca-no un ruolo primario nel lavoro delle unità produttive. Ma il sistemaeconomico oltrepassa i confini della comunità, abbracciando altretenute agricole nell’altopiano e nei villaggi della valle con cui simantengono rapporti di scambio. In tale scenario, il baratto tra lediverse regioni agro-ecologiche andine si presenta come fondamen-tale per la sicurezza alimentare e la sussistenza delle famiglie. PerMayer, il dualismo del sistema economico riflette la doppia vitacomunitaria: verso l’interno (autosufficienza e autonomia) e versol’esterno (rapporti tra la comunità, lo Stato e il mercato). Si tratta,

(16) J. GOLTE, Economía, ecología, redes. Campo y ciudad en los análisis antropoló-gicos, cit., p. 208.

(17) Contributo presente all’interno di G. ALBERTI-E. MAYER (a cura di), Recipro-cidad e intercambio en los Andes peruanos, Iep, Lima, 1974, p. 37 e ss.

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indubbiamente, di una rilevante constatazione dal momento che talecircostanza spiegherebbe la sopravvivenza della comunità attraversoi secoli, malgrado i cambiamenti del sistema politico-statale (18).

Una definitiva convergenza verso il dialogo tra gli economisti egli altri studiosi andini si sarebbe verificata a partire dagli anniottanta, periodo in cui si studiano, in modo più sistematico e sullabase degli strumenti antropologici, i rapporti tra l’economia disussistenza e l’economia di mercato (19). Tali lavori ampliano l’oriz-zonte degli studi sul campo, permettendo di analizzare, da prospet-tive inedite, le logiche dell’agricoltura andina. Le analisi antropolo-giche, come quelle economiche, concordano sul fatto che l’economiacontadina sia per lo più organizzata in comunità. Il suo perno èl’economia familiare, con una produzione di sussistenza che coesistecon quella di mercato. L’integrazione del contadino comunero nelsistema di mercato (in diverse forme e gradi), il primato dellaproduzione agricola nelle comunità e la commercializzazione di unaparte significativa della produzione, costituiscono tematiche comuniai contributi in questione (20).

Su tali basi, l’approccio economico tenterà di comprendere ilfunzionamento delle unità di produzione familiare all’interno delle

(18) Tra i lavori successivi che insistono sull’importanza dell’opera di Murra percomprendere la società e l’economia andina si rimanda a J. A. FLORES OCHOA (a cura di),Pastores de Puna uywamichiq punarunakuna, Iep, Lima, 1977; R. RAVINES (a cura di),Teconología andina, Iep, Lima, 1978; J. GOLTE, La racionalidad de la organización andina,Iep, Lima, 1980; E. MAYER-B. RALPH (a cura di), Parentesco y matrimonio en los Andes,Puc, Lima, 1981.

(19) Per gli studi economici si rimanda a Adolfo Figueroa, Economía Campesina dela Sierra del Perú (1981); José María Caballero, Economía Agraria de la sierra peruana(1981); Efraín Gonzales de Olarte, Economía de la comunidad campesina (1984). Perquelli antropologici cfr. Eduardo Aramburú, El campesino peruano. Crítica a Maletta(1979); Jürgen Golte, La racionalidad de la organización andina (1980); David Guillet,Risk Management Among Andean Peasants (1980); Id., Agrarian Ecology and PeasantProduction in the Central Andes (1981) e Marisol de la Cadena — insieme a Golte — inLa codeterminación de la organización andina (1983).

(20) J. M. CABALLERO, Agriculture and the Peasantry under Industrialization Pressu-res: Lessons from Peruvian Experience, in Latin American Research Review, 19, 2, 1984,pp. 3-41. Su tale scia, i contributi inseriti nel lavoro collettivo a cura di David Lehmannruotano intorno all’impatto della penetrazione del mercato e dello sviluppo capitalistanell’economia contadina e nelle haciendas. Cfr. D. LEHMANN (a cura di), Ecology andExchange in the Andes, Cambridge Univ. Press, Cambridge-New York, 1982.

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comunità, così come il loro grado di integrazione rispetto ai mercatidi beni e di lavoro. Oltre a ciò, le forme di lavoro salariato, le entratedovute al commercio di beni, l’artigianato e le migrazioni tempora-nee o definitive sono considerate fenomeni associati e subordinati alciclo agricolo di produzione, e perciò radicate in un unico processodi elaborazione. Per tale ragione, alcuni studi rifiutano il dualismotra il settore tradizionale e il settore moderno o capitalista, propo-nendo, invece, la nozione di integrazione dell’indigena-contadinonel sistema di mercato, o di coesistenza, in un’unica struttura, dellediverse sfere in cui si articola l’economia contadina (21). Il mercatoaltera le tattiche dell’economia contadina, ma le relazioni con esso,anche se fondamentali, non sono né dirette né spontanee e quindi,solo una volta soddisfatte le necessità della famiglia, il rimanente saràallocato vuoi per il baratto, vuoi per le contrattazioni mercantili .

L’osservatore avveduto constaterà come il nesso tra gli elementidell’economia andina che commentiamo e la teoria di Alexander V.Chayanov sia stringente. Per quest’ultimo, i contadini, piuttosto chemassimizzare i profitti secondo i postulati dell’economia classica,preferiscono completare la produzione necessaria per la sussistenzadelle unità domestiche. Il lavoro della famiglia costituisce la princi-pale categoria di entrata perché non esiste il fenomeno sociale deisalari e, perciò, risulta anche assente il calcolo capitalista del guada-gno. Per Chayanov, il principale scopo dei contadini non è ilconseguimento di un profitto nella dinamica del mercato, bensì lasussistenza (22).

(21) Per uno sguardo riassuntivo cfr. H. HOSSBRUCKER, Economía de subsistencia yel concepto de comunidad. Un enfoque crítico, Iep, Lima, 1990, p. 42 e ss.; V. GÓMEZ,Economía campesina: balance y perspectivas, cit., p. 25 e ss.; E. MAYER, Households andtheir Markets in the Andes, in J. G. CARRIER (a cura di), A Handbook of EconomicAnthropology, Edward Elgar, Cheltenham-Northampton, Ma., 2005.

(22) Cfr. D. THORNER, Chayanov’s Concept of Peasant Economy, in D. THORNER-B.KERBLAY-R. E. F. SMITH (a cura di), A. V. Chayanov on The Theory of Peasant Economy,Manchester Univ. Press, Manchester, 1986, p. xiii; R. M. NETTING, Smallholders,Householders. Farm Families and the Ecology of Intensive, Sustainable Agriculture,Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 1993, p. 296. L’avvicinamento tra l’antropologica el’economica non ha però dissolto una divergenza di fondo nel modo in cui economistie antropologi si accostano allo studio delle comunità. Così, l’influenza dell’economiaclassica porta molti economisti a trattare come fattori marginali le specificità culturali

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2. Antropologi, economisti e la logica dell’uso della terra.

Abbiamo già visto come l’eterogeneità dell’ambiente andino el’accidentata caratteristica delle terre dell’altopiano abbiano resoogni attività agricola nelle Ande incerta e aleatoria (23). La presenzacostante del rischio spiega, infatti, il motivo per cui le scelte delcontadino puntino sempre ad attuare tutte le misure necessarie perridurre eventuali grandi perdite agricole (24).

Da questa elementare premessa discendono due importantivalutazioni sulla logica del funzionamento delle regole fondiarieandine: l’avversione al rischio e il ruolo del sistema dei cicli dicoltivazione. Ambedue i fenomeni spiegherebbero la dialettica eco-nomica del sistema fondiario delle comunità andine e le ragioni percui, nonostante la loro povertà, esse siano sopravvissute nei seco-li (25).

Per l’economista peruviano Adolfo Figueroa, l’avversione alrischio sarebbe l’elemento determinante per comprendere l’econo-mia contadina andina. Nelle famiglie povere una perdita considere-vole della produzione comporterebbe un disastro economico. Unapiccola perdita è preferibile a una perdita maggiore e perciò lacombinazione di attività agro-pastorali costituirebbe il modo idealeper minimizzare il rischio tra i contadini andini. Tutto ciò spiegacome una parte del lavoro di ogni famiglia all’interno della comunitàsia dedicata alla primaria attività agricola (e/o di pascolo) e il restoalle attività di commercio, artigianato o lavoro stipendiato (26). Lacombinazione di attività si manifesta anche nell’esistenza di vari cicli

nonché le interrelazioni tradizionali tra i diversi gruppi delle Ande. Gli antropologi,invece, incentrano l’analisi sulla dimensione culturale per spiegare la specificità dell’eco-nomia comunitaria di fronte ai modelli economici diffusi nel mondo occidentale. Sulpunto cfr. J. GOLTE, Economía, ecología, redes. Campo y ciudad en los análisis antropo-lógicos, in DEGREGORI, cit., p. 218; L. SELIGMANN, Agrarian Reform and Peasant Studies:The Peruvian Case, cit., p. 336.

(23) supra 69 e ss.(24) D. GUILLET, Agrarian Ecology and Peasant Production in the Central Andes, in

Mountain Research and Development, 1, 1, 1981, p. 20.(25) H. BONILLA, El futuro pasado. Las coordenadas de la configuración de los Andes,

Instituto de Ciencias y Humanidades, Lima 2005, t. II, p. 1036.(26) A. FIGUEROA, La economía campesina de la sierra del Perú, Pucp, Lima, 1981,

p. 95.

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agro-pastorali e di diversi tipi di coltivazioni nelle zone verticali eorizzontali delle montagne (27). Di fronte al costante agguato delrischio, la diversificazione — e non la specializzazione — costituiscedunque una delle principali caratteristiche dell’economia contadinanelle Ande (28).

Simili sono le conclusioni a cui arriva l’antropologo tedescoJürgen Golte nell’ormai classico volume La racionalidad de la orga-nización andina (1980). Per Golte i contadini andini sfruttano aproprio vantaggio la diversità delle condizioni naturali gestendo unaserie di cicli paralleli di produzione, la cui somma permette l’utilizzodi una forza lavoro maggiore a quella che si utilizzerebbe percondurre un solo ciclo (29). Se l’agricoltore andino utilizzasse la suaforza lavoro unicamente per la coltivazione, il prodotto ottenuto,data la bassa produttività, non sarebbe sufficiente per la sua sussi-stenza. La strategia di produzione adottata per soddisfare i suoibisogni, considerando le povere condizioni agricole e la grandevarietà di microclimi e di suoli in spazi ridotti, consiste nellacombinazione di cicli agricoli e di pascolo, in modo tale da sfruttare almassimo la capacità lavorativa durante l’anno (30). Per raggiungeretale scopo Golte sottolinea come la cooperazione tra i contadini,tramite le tradizionali forme di reciprocità e redistribuzione interna(scambio di lavoro per lavoro, beni, compimento di incarichi da cuiderivano diritti e benefici) sia essenziale. Tale strategia di produzio-ne avrebbe, pertanto, la propria razionalità (31).

In uno stadio più avanzato, lo stesso Golte insieme all’antropo-

(27) D. GUILLET, Agrarian Ecology and Peasant Production in the Central Andes, cit.,p. 21.

(28) A. FIGUEROA, Economía campesina de la Sierra del Perú, cit., p. 92.(29) J. GOLTE, La racionalidad de la organización andina, Iep, Lima, 1980, p. 13.(30) Ibid., p. 25 e ss.(31) L’attenzione degli antropologi e degli economisti sugli effetti delle forme di

cooperazione tradizionale nell’economia contadina è ormai nota. Cfr. G. ALBERTI-E.MAYER (a cura di), Reciprocidad e intercambio en los Andes peruanos, cit.; N. LONG-B. R.ROBERTS, Peasant Cooperation and Capitalist Expansion in Central Peru, Institute of LatinAmerican Studies, Univ. of Texas press, Austin, 1978; E. GONZALES DE OLARTE, Economíade la comunidad campesina, Iep, Lima, 1984; M. DE LA CADENA, Cooperación y mercado enla organización comunal andina, Iep, Lima, 1985; H. MOΒBRUCKER, The « Comunidad »Andina. A Critical Examination, in Anthropos, 84, 4/6, 1989, pp. 385-404; E. MAYER, TheArticulated Peasant: Household Economies in the Andes, Boulder-Oxford, 2002.

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loga Marisol de la Cadena ipotizza l’esistenza di una « doppiarazionalità » nell’organizzazione comunitaria. Il volume La codeter-minación de la organización andina (1983) parte dal presupposto chenelle Ande il mercato coinvolga regioni con uno sviluppo assaiimpari delle forze produttive, permettendo l’esistenza di due sfereparallele: quella del mercato e quella delle interazioni e scambi nonmercantili. Esse competono per lo stesso spazio e attori sociali eperciò ogni unità domestica ottimizza il suo intervento nel processosociale di produzione tenendo presente sia le entrate provenienti dalmercato, sia ciò che si può ottenere attraverso la sfera non mercan-tile (32).

Sempre sulla falsariga dei lavori di Murra, Enrique Mayer offreuna nuova prospettiva per comprendere i modi di produzionedell’economia contadina. Considerando l’enorme varietà di condi-zioni microclimatiche ed ecologiche, il compito tecnologico dellepopolazioni andine consisterebbe nel creare i requisiti per la stabilitàe la sicurezza della produzione. La sfida sarebbe, quindi, quella diadattare la produzione dei beni essenziali e superflui alla gammadelle condizioni micro ambientali. Mayer afferma che, per raggiun-gere tale scopo, esiste una determinata forma collettiva di organiz-zazione della produzione che si spiega, per l’appunto, con il concettodi « zone di produzione », ossia uno specifico gruppo di risorseproduttive gestite comunitariamente e caratterizzato da un partico-lare modo di lavorare la terra (33). In tali zone si presenta unadialettica tra l’individuale e il comunitario. In questo modo, indivi-dualmente si cercherà di ottenere il massimo controllo possibile sulleproprie decisioni, mentre la comunità ostacolerà tale autonomiaimponendo delle restrizioni sullo sfruttamento del suolo. I dirittid’uso variano da una zona all’altra di produzione e in ognuna di essela comunità imporrà diverse limitazioni. La cooperazione di personee istituzioni, con interessi diversi, nella coordinazione, creazione esfruttamento delle zone di produzione amministrate comunitaria-

(32) J. GOLTE-M. DE LA CADENA, La codeterminación de la organización andina,Documento de Trabajo n° 13, Iep, Lima, 1983, p. 18.

(33) Vedi E. MAYER, Production Zones, in S. MASUDA-I. SHIMADA-C. MORRIS (a curadi) Andean Ecology and Civilization: An Interdisciplinary Perspective on Andean EcologyComplementarity, Univ. of Tokyo Press, Tokyo, 1985, pp. 45-84.

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mente spiegherebbe il superamento dell’handicap derivante dallaverticalità geografica propria delle Ande (34).

Tutti i contributi in esame riportano il fattore delle necessitàfamiliari, e non di quelle individuali, come motore centrale dellaproduzione contadina all’interno delle comunità. Il dovere di prov-vedere alla sussistenza e alla riproduzione familiare allontana loscopo degli sforzi produttivi dall’esclusivo ottenimento di profitti. Aldi la di ciò, la comunità e le sue forme di collaborazione interna sonoconsiderate parte della strategia di sopravvivenza dell’economiacontadina, ragione per cui il controllo comunitario sulle famiglie esulle risorse viene considerato come un elemento imprescindibileper coordinare le attività che consentono il successo del sistemaagro-pastorale tradizionale.

Risulta in sostanza evidente il duplice destino della produzionedelle unità contadine nelle Ande: l’autoconsumo e lo scambio. Lescelte familiari considerano sia il valore d’uso, riferito alla sussistenzafamiliare, sia il valore di scambio, che si inserisce invece in conside-razioni di tipo mercantile. Innegabile è, pertanto, la penetrazione delsistema di mercato nell’economia andina. Tuttavia, la trasformazionedei comuneros in agricoltori industrializzati non è completata nem-meno sul finire del Novecento. La spiegazione di tale fenomenosarebbe da ricercare nella posizione periferica delle Ande nell’areadell’economia mondiale e, soprattutto, nell’esistenza di un sistemaben strutturato di controllo delle risorse, la cui tipologia contrastacon le misure proposte dal modello capitalista in cui domina ilmercato. La penetrazione (variabile e secondaria) del mercato inquesta zona risponderebbe, di conseguenza, a fattori diversi daquelli presenti in paesi in cui l’industrializzazione si è sviluppata apartire dal diciannovesimo secolo (35).

(34) Cfr. E. MAYER, The Articulated Peasant: Household Economies in the Andes,Boulder-Oxford, 2002, trad. spag. di J. FLORES ESPINOZA, Casa, charca y dinero. Eco-nomías domésticas y ecología en los Andes, Iep, Lima, 2004, pp. 270, 280, 299.

(35) Sul punto vedi D. GUILLET, Agrarian Ecology and Peasant Production in theCentral Andes, cit., p. 27.

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3. La teoria economica e le terre andine: i dibatitti intorno alle tesineoliberali

L’ideologia liberale ha da sempre sostenuto la superiorità scien-tifica della proprietà individuale rispetto alle modalità di possessofondiario delle comunità andine. Secondo tale lettura, le tradizionaliforme di uso della terra, oltre a disincentivare l’investimento perso-nale, sono prive della tecnologia e della capacità gestionale necessa-ria per garantire una produttività adeguata alle esigenze economichemoderne. La comunità è considerata, a priori, un’istituzione conser-vatrice, mentre i programmi liberali puntano a investire sulla tecno-logia e, di conseguenza, richiedono di commercializzare la terra,incoraggiando la titolazione progressiva degli appezzamenti, tramiteil ricorso al miglioramento del sistema di registro fondiario. Solo inquesto modo, si ritiene che le unità produttive siano in grado diinvestire o vendere i loro attivi e le loro terre ai settori economici piùefficienti (36).

Sulla base di tali premesse, verso la fine degli anni ottanta,l’espansione del neoliberalismo in America Latina diede avvio a unimportante dibattito sul cambiamento istituzionale e tecnologico inmateria agricola. La polemica fu innescata dai lavori degli economi-sti peruviani Hernando de Soto e Daniel Cotlear, fautori dell’appl-icazione della teoria economica del libero mercato alle terre conta-dine, a cui si erano opposte, nella tesi di Bruno Kervyn, le criticheformulate dai difensori dei sistemi fondiari tradizionali. La discus-sione riguardò tre punti fondamentali: il ruolo dei sistemi di pro-prietà nello sviluppo agrario, il confronto in termini di efficienza trai sistemi a base individuale e quelli a base collettiva e, di conseguen-za, il modello che lo Stato avrebbe dovuto incoraggiare.

Per Hernando de Soto l’ingresso dei paesi terzi nel sistema delleeconomie capitaliste si potrebbe raggiungere attuando riforme legi-slative volte a conferire titoli formali in materia fondiaria (37). Èquesta la premessa sviluppata in Perù in seno al suo Instituto por la

(36) Così, E. MAYER, Casa, charca y dinero. Economías domésticas y ecología en losAndes, cit., pp. 340-341.

(37) H. DE SOTO, The Other Path. The Economic Answer to Terrorism, Basic Books,NewYork, 1989, pp. 158-163.

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Libertad y la Democracia (ILD) e resa poi nota dai suoi best sellers: Elotro sendero, la respuesta económica al terrorismo (1986) e El misteriodel capital: ¿Por qué el capitalismo triunfa en occidente y fracasa en elresto del mundo? (2000) (38).

De Soto afferma che solo un sistema di proprietà modernizzatoè in grado di creare capitale nei paesi in via di sviluppo. Perraggiungere tale scopo occorre modificare il sistema giuridico eamministrativo in modo tale da garantire l’accesso alla proprietàformale alle classi sociali che sono state emarginate dalla cosiddetta« campana di vetro » (39). Fuori dalla campana la proprietà esiste,ma essa, protetta da una serie di accordi extragiuridici basati sulconsenso informale, non è in grado di produrre ricchezza. Lasoluzione proposta da De Soto consiste nell’integrare i due sistemi,formale e informale, « alzando » la campana, in modo tale dapermettere agli accordi extra-legali, che governano il regime infor-male, di essere compresi all’interno del sistema della proprietàformale. Si tratta, pertanto, di stabilire un solo sistema sottoposto aimedesimi principi generali del diritto. A tale scopo l’autore sostieneche sarebbe compito dello Stato studiare come operano questeconvenzioni giuridiche per poterle integrare in un unico mondo diproprietari con titoli formali. Per l’economista peruviano l’equazio-ne è quindi semplice: senza un sistema di proprietà formale unaparte importante della popolazione non sarebbe in grado di prospe-rare nelle società capitaliste e l’economia di mercato modernasarebbe perciò inconcepibile. Questi paesi resterebbero, di fatto,invisibili al radar dei policy-makers (40).

Nella tesi di De Soto le popolazioni indigene hanno sviluppatodelle regole extralegali come mezzo razionale per proteggere i loro

(38) Cfr. anche H. DE SOTO, The Mystery of Capital, in Finance and Development,38, 1, 2001; ID., Law and Poverty Outside the West: A Few New Ideas about FightingPoverty, in Forum for Development Studies, 29, 2, 2002, pp. 349-361; ID., Rejoinder theMathieu, in Forum for Development Studies, 29, 2, 2002, pp. 376-388; ID., Listening to theBarking Dogs: poverty law against poverty in the non-west focal, in European Journal ofAnthropology, 41, 2003, pp. 179-361.

(39) Metafora presa in prestito da Fernand Braudel per fare riferimento ai limitirestrittivi che conosce il sistema formale di proprietà.

(40) H. DE SOTO, The Mystery of Capital: Why Capitalism Triumphs in the West andFails Everywhere Else, Basic Books, New York, 2000, pp. 157-159.

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beni di fronte alla mancanza di riconoscimento statale. Di conse-guenza, la legge formale continuerà a perdere la sua legittimazione,mentre questi settori della popolazione seguiteranno a creare delleregole proprietarie aggirando il diritto (41). Ma oltre ai problemiassociati all’informalità, per De Soto l’esistenza di diritti comunitarisulla terra comporterebbe costi di transazione elevati, o quantomeno più alti di quelli legati all’attuazione dei diritti individuali diproprietà. La privatizzazione, intesa come individualismo proprie-tario, sarebbe quindi la soluzione per i problemi legati ai costi socialiderivanti dall’uso collettivo di una risorsa. La proprietà privataincentiva il proprietario a considerare i costi, permettendo di inter-nalizzare le esternalità negative esistenti nell’agricoltura e conferen-do incentivi al titolare per quanto concerne la valorizzazione dellerisorse, l’investimento, e l’innovazione produttiva per il progressodell’insieme della comunità sociale (42).

La teoria che ne deriva è indirizzata a stabilire un processo dicapitalizzazione nei paesi poveri tramite la modernizzazione deisistemi di pubblicità immobiliare in base a tre idee principali:

1. La popolazione ha bisogno di essere certa del proprio titolofondiario per investire sulle proprie terre.

2. La certezza dei titoli fondiari e il conseguente accesso alcredito erogato nel quadro di un’economia capitalista pos-sono essere raggiunti soltanto tramite la legalizzazione degliinsediamenti e degli accordi informali.

3. Il modo per ottenere tali risultati consiste nell’assegnare titoliindividuali di proprietà a tutti i membri della società. Questamisura sradica la povertà, permettendone l’accesso al sistemacapitalista.

Una lettura più approfondita constaterà come la formula adot-tata da De Soto non offra ulteriori novità. Essa rappresenta piuttostouna riformulazione delle nozioni basilari delle teorie che, nel tardoOttocento, avevano consentito la divisione delle terre di comuni-tà (43), nonché la ragione delle riforme agrarie di ispirazione liberale

(41) Ibid., pp. 167-169.(42) H. DE SOTO, The Other Path, cit., p. 178.(43) Su cui, oltre quando detto nei capitoli precedenti, cfr. E. ROSSER, Anticipating

De Soto: Allotment of Indian Reservations and the Dangers of Land Titling, in D. B.

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avviate a partire dalla seconda metà del secolo successivo. Laformula stabilisce una chiara definizione dei diritti individuali, cuicorrispondono parallele forme di pubblicità, mediante la registra-zione dei titoli, tali da offrire quella certezza giuridica che dàimpulso all’investimento. È inoltre palese la derivazione di questoapproccio dalla nota Property Rights School, che prende piede con laletteratura economica fiorente negli Stati Uniti a partire dagli annisessanta nei lavori di Demsetz (44), Turner (45), North e Thomas (46)e sviluppata in modo esauriente durante la fine degli anni ottantanegli studi Feder (47), Barzel (48), Libecap (49), tra gli altri (50).

A nostro avviso, il vero contributo apportato dalla teoria di DeSoto consiste nell’aver riaperto un antico dibattito, prendendo inconsiderazione il problema dell’interazione fra sistemi formali e

BARROS (a cura di), Hernando de Soto and Property in a Market Economy, Ashgate,Farnham-Burlington, 2009, pp. 61-81.

(44) H. DEMSETZ, Towards a Theory of Property Rights, in American EconomicReview, 57, 1967, pp. 347-359.

(45) J. F. C. TURNER, Housing Priorities, Settlement Patterns, and Urban Develop-ment in Modernizing Countries, in Journal of the American Institute of Planners, 34, 1968,pp. 354-363.

(46) D. C. NORTH-R. P. THOMAS, The Rise of Western World: A new EconomicHistory, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1973.

(47) AA.VV., Land Policies and Farm Productivity in Thailand, Baltimore, Maryland,John Hopkins Univ. Press, 1988.

(48) Y. BARZEL, Economic Analysis of Property Rights, Cambridge Univ. Press,Cambridge, 1989.

(49) G. D. LIBECAP, Distributional Issues in Contracting for Property Rights, inJournal of Institutional and Theoretical Economics, 145, 1989, pp. 6-24.

(50) G. FEDER-D. FEENY, Land Tenure and Property Rights: Theory and Implicationsfor Development Policy, in World Bank Economic Review, 5, 1991, pp. 135-153; T.BESLEY, Property Rights and Investment Incentives: Theory and Evidence from Ghana, inJournal of Political Economy, 103, 1995, pp. 903-937. Certamente, questa scuola dipensiero è stata anche oggetto di critiche. Limitiamoci a evidenziare quelle formulate daRud Burgerss, secondo cui la formalizzazione dei possedimenti fondiari avrebbe facili-tato la penetrazione degli interessi commerciali negli appezzamenti regolarizzati, spo-stando i residenti originari da quei luoghi, come risultato dell’arrivo di gruppi sociali direddito più alto. Cfr. R. BURGERSS, Self-Help Housing Advocacy: a Curious Form ofRadicalism. A Critique of the Work of John F.C. Turner, in P. M. WARD (a cura di),Self-Help Housing: a Critique, Mansell, London, 1996.

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informali di proprietà, e sviluppando la descrizione dei meccanismidi formalizzazione volti allo sviluppo economico (51).

Interessa comunque sottolineare che nell’ambito delle politichepubbliche, la dottrina di De Soto, già consigliere economico diStato, ebbe pronta accoglienza in Perù durante il governo di AlbertoFujimori (1990-2000), il quale avviò la cosiddetta « politica econo-mica di shock » (52) che avrebbe portato, come si constaterà, allatotale liberalizzazione del mercato delle terre, comprese quelle dicomunità (53).

De Soto è stato il bersaglio di molte critiche tra gli studiosi: ladebolezza della ricostruzione storica ed economica su cui basa le sueteorie, la visione troppo semplicistica delle complesse dinamiche del

(51) Cfr. A. VARLEY, Private or Public: Debating the Meaning of Tenure Legalization,in International Journal of Urban and Regional Research, 26, 3, 2002, pp. 449-461.

(52) Su cui vedi J. SHEAHAN, Searching for a Better Society: the Peruvian Economyfrom 1950, Pennsylvania State Univ. Press, University Park, PA, 1999, p. 153 e ss.

(53) Cfr. infra 330 ss. Il successo della formula proposta da De Soto non si attestasolo in Perù; nel 1999 The United Nations Human Settlements Programme (UN-HABITAT)lancia The Global Campaing for Securing Tenure for the Urban Poor incoraggiando laprogressiva regolarizzazione degli insediamenti non autorizzati o informali tramite lamodifica dei sistemi giuridici interni. Ma ancora prima, agli inizi degli anni novanta, lamedesima strategia era divenuta la chiave dell’Housing Policy Agenda presso la BancaMondiale. Presto, altresì, la formula conquista gli elogi dell’United States Agency forInternational Development (USAID) nonché di influenti politici, come Bill Clinton, che lagiudicano una soluzione effettiva per le aree periferiche delle grandi città in Tailandia,Cina, Nicaragua, Ecuador e Venezuela. Per tutte queste tematiche si rimanda a G. PAYNE

(a cura di), Land, Rights and Innovations: Improving Tenure Security for the Urban Poor,Itdg Publishing, London, 2002; A. DURAND-LASSERVE-L. ROYSTON (a cura di), HoldingTheir Ground: Secure Land Tenure for the Urban Poor in Developing Countries, Earth-scan, London, 2002; WORLD BANK, Housing: Enabling Markets to Work, World Bankpolicy paper, Washington D.C., 1993; G. A. JONES-P. M. WARD, The World Bank’s ‘New’Urban Management Program: Paradigm Shift or Policy Continuity?, in Habitat Interna-tional, 18, 1994, pp. 33-51; USAID, Promoting Effective Property Rights Systems forSustainable Development, Washington D.C., 2002; J. M. UBINK-A. J. HOEKEMA-W. J.ASSIES (a cura di), Legalising Land Rights, Local Practices, State Responses and TenureSecurity in Africa, Asia and Latin America, Leiden Univ. Press, Leiden, 2009, p. 7 e ss.Occorre inoltre aggiungere che una non meno influente bibliografia, ispirata a De Soto,propone oggi l’introduzione della titolazione individuale, per i popoli indigeni del NordAmerica, attraverso la modalità dell’autodeterminazione. Cfr. T. L. ANDERSON-B. L.BENSON-T. E. FLANAGAN (a cura di), Self-Determination: The Other Path for NativeAmericans, Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 2006.

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possesso informale nei paesi in via di sviluppo, il presuppostouniversale che i settori più poveri siano interessati all’ottenimento dicredito, sono alcuni tra gli appunti più frequenti (54). Ma forse la piùdura critica dal punto di vista della teoria del trapianto filosofico-giuridico è quella che collega la tesi di De Soto all’imposizione delcapitalismo nel concerto dei sistemi giuridici moderni. Nelle paroledi Mattei, una simile teoria rappresenta il simbolo della sfrontataarroganza con cui il capitalismo occidentale, dopo il trionfo nellaGuerra Fredda, ha imposto i suoi valori e interessi nei settori piùdeboli. In questa lettura, l’ipotesi di De Soto si pone come unsemplice mezzo per materializzare il progetto neoliberale dello Statopost-moderno, conducendo a una nuova era di imperialismo cultu-rale (55). L’integrazione di regole fondiarie diverse in un sistemaunificato sotto il controllo centralizzato è stata, di fatto, la formulaadottata da vari stati contemporanei, incoraggiati da agenzie inter-nazionali, come prima fase per espandere il capitalismo globaletramite il mercato delle terre. Tuttavia, l’attuazione di tale formulanon fu esente da polemiche a causa dei suoi rischi e di fortiresistenze contrastanti con i vantaggi che il possesso tradizionale/informale delle terre avrebbe rappresentato per i settori margina-li (56). In tale ambito, molte delle critiche alla proposta di De Sotosi focalizzano sull’aver ignorato la distanza tra la teoria economicadella proprietà, la struttura della pubblicità immobiliare organizzata

(54) A. GILBERT, On the Mystery of Capital and the Myths of Hernando de Soto:What Difference Does Legal Title Make?, in International Development Planning Review,24, 1, 2002, pp. 1-20; E. FERNANDES, The Influence of de Soto’s The Mystery of Capital, inLand Lines: Newsletter of the Lincoln Institute of Land Policy, 14, 1, 2002, pp. 5-8; R.HOME-H. LIM (a cura di), Demystifying the Mystery of Capital: Land Tenure and Povertyin Africa and the Caribbean, The Glass House Press, London, 2004; E. SJAASTAD-B.COUSINS, Formalisation of Land Rights in the South: An Overview, in Land Use Policy, 26,2008, pp. 1-9; A. MANJI, The Politics of Land Reform in Africa: From Communal Tenureto Free Markets, Zed Books, London-New York, 2006, pp. 1-30; A. VARLEY, Private orPublic: Debating the Meaning of Tenure Legalization, cit.

(55) Cfr. U. MATTEI, The Peruvian Civil Code, Property and Plunder. Time For aLatin American Alliance to Resist the Neo Liberal Order, in Global Jurist Topics, 2005, 5,1, art. 3, pp. 9-10.

(56) Cfr. R. HOME, Outside de Soto’s Bell Jar: Colonial/Postcolonial Land Law andthe Exclusion of the Peri-Urban Poor, in R. HOME-H. LIM (a cura di), Demystifying theMystery of Capital: Land Tenure and Poverty in Africa and the Caribbean, cit., p. 22.

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con il registro fondiario, e la realtà di un settore importante dellasocietà peruviana. Detto in altre parole, l’imposizione del complessodi norme associate alla formalizzazione dei diritti fondiari nonrisolve del tutto il problema, dal momento che la titolazione nelregistro non è assistita dalla garanzia statale sulla prova della pro-prietà, né evita eventuali frodi (57). La garanzia e la sicurezza dellaproprietà iscritta dipendono dalla funzione e dalla natura giuridicache ogni sistema conferisce all’iscrizione e, per l’appunto, una dellecaratteristiche più note dei registri fondiari latinoamericani è lainsufficiente garanzia statale a concordanza tra le situazioni reali diappartenenza e quelle risultanti dal registro (58). Inoltre, moltelegislazioni, come quella peruviana, stabiliscono che il registrazionedella proprietà sia facoltativa e non obbligatoria, fatto dal qualederiva uno dei tanti fattori che determinano la pervasiva informalitàcaratteristica del regime fondiario in atto (59).

Ricollegandosi all’argomento che nello specifico a noi interessa,occorre aggiungere che l’attenzione di De Soto non è incentrata sullecomunità andine; l’oggetto principale della sua analisi sono le peri-ferie (una volta rurali) in procinto di diventare zone urbane (le c.d.Peri-Urban areas) e, più di recente, le comunità della foresta amaz-zonica peruviana (60). Ciò nonostante, si può rilevare come laproprietà informale su cui fonda la sua tesi corrisponda nelle Andealle terre comunitarie organizzate secondo sistemi autonomi e sullabase di pratiche tradizionali. È possibile, dunque, accettare i postu-lati della teoria di De Soto nell’ambito delle comunità andine?

(57) I termini sono di S. HENDRIX, Myths of Property Rights, in Ariz. J. Int’l & Comp.Law, 12, 1995, p. 192. Come lo stesso De Soto indica, la titolazione fondiaria non implicaprotezione del possesso, soprattutto per alcuni gruppi, quali occupanti abusivi, societàtribali, mafie, ecc., che amministrano i loro beni in modo abbastanza efficiente. H. DE

SOTO, The Mystery of Capital, cit., p. 59.(58) Sull’argomento cfr. la trattazione generale di D. PEÑAILILLO ARÉVALO, Los

bienes, la propiedad y otros derechos reales, Editorial Jurídica de Chile, Santiago de Chile,2007, pp. 240-252.

(59) Cfr. L. DEL. CASTILLO, Propiedad rural, titulación de tierras y propiedadcomunal, in Debate Agrario, 26, 1997, p. 65.

(60) A tale proposito si rimanda al documentario disponibile sul sito web: http://www.ild.org.pe/en/our-work/projects/indigenous-peoples/documentary (consultato il06/09/12).

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In realta, l’esperienza comparativa ha dimostrato che per certesocietà tribali gli accordi informali, propri del diritto consuetudina-rio, conferiscono una sicurezza sufficiente per consentire ai loromembri di investire sulle terre, rendendo perciò quanto menoinopportuno l’intervento statale in merito alla formalizzazione deidiritti fondiari (61). Nelle Ande, il fatto che il sistema fondiariotradizionale abbia conferito secolarmente diritti ben definiti e sicuri,in grado di permettere la sussistenza dei raggruppamenti in unambiente estremamente inospitale, costituisce un elemento che oc-correrebbe comunque valutare di fronte all’applicabilità di ogniproposta di titolazione secondo i presupposti di De Soto. Conviene,tuttavia, aggiungere che in molte comunità andine la sopravvivenza

(61) Ciò è evidente per i sistemi tradizionali di possesso fondiario in AmericaLatina sin dai primi studi degli anni novanta. Cfr. D. STANFIELD, Rural Land Titling andProperty Registration in Latin America and the Caribbean: Implications for rural develop-ment programs, Land Tenure Center, University of Wisconsin, Madison, Wi., 1990, p.11. Secondo Stanfield « the means for improving security of ownership are not limitedto extending the laws of property and improving the public agencies established by thestate to define ownership, such as the property registry, or to defend land ownershipclaims, such as the courts and the police. Rather, in many parts of Latin America and theCaribbean there are functioning, customary systems for defining property rights, usuallywithout a formal, legal basis but with the support and the respect of local communities.These customary systems are relatively inexpensive to operate, are easily accessible tolocal people, and may be socially and economically advantageous by permitting tenureforms not protected by the formal cadastral land information system (CLIS). As such,the customary parts of the CLIS may be quite resilient and the holders of customary titlesmay prefer that system to the formal, legal one ». Più di recente, conclusioni simili perl’esperienza di alcuni paesi africani sono proposte da D. A. ATWOOD, Land Registrationin Africa: the impact on agricultural production, in World Development, 18, 1990, pp.659-671; J. W. BRUCE-S. E. MIGOT-ADHOLLA (a cura di), Searching for Land TenureSecurity in Africa, Kendal/Hunt Publishing, Dubuque, Iowa, 1994; J. P. PLATTEAU, TheEvolutionary Theory of Land Rights as Applied to Sub-Saharan Africa: a critical asses-sment, in Development and Change, 27, 1996, pp. 29-86; D. W. BROMLEY, FormalisingProperty Relations in the Developing World: The Wrong Prescription for the WrongMalady, in Land Use Policy Volume, 26, 1, 2009, pp. 20-27. Per un’analisi del rapportotra diritto consuetudinario e l’introduzione moderna del modello di proprietà privata inAmerica Latina cfr. A. ZOOMERS-G. VAN DER HAAR (a cura di), Current Land Policy inLatin America. Regulating Land Tenure under Neo-Liberalism, Royal Tropical Institute,Amsterdam, 2000. Vedi anche le riflessioni antropologiche sull’argomento del giurista É.LE ROY, La terre de l’autre. Une anthropologie des régimes d’appropriation foncière, Lgdj,Paris, 2012, p. 313 e ss.

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si è basata sull’esistenza di un sistema di regole ben definite concre-tizzatesi in un registro fondiario tradizionale. Questi registri, comedi recente rilevato, riflettono delle differenze ed esclusioni propriedelle dinamiche interne alla comunità. Tali « difetti », dal punto divista dell’uguaglianza distributiva, sono bilanciati da altri valoririguardanti la giustizia e la responsabilità, propri delle regole internecomunitarie, e così sono accettati dai loro membri come parte delleregole del gioco del gruppo di appartenenza (62). Tutto ciò testimo-nia la presenza di regole fondiarie legittimate dalla stessa comunitàda cui deriva un vero e proprio « titolo » tradizionale sull’uso dellaterra (63).

L’insieme di tali considerazioni dimostra come in contesti pluri-culturali l’adozione di programmi di titolazione predeterminati sullabase di politiche etnocentriche non sembra essere sempre la solu-zione più consona al miglioramento delle condizioni dei gruppitradizionali, dal momento che i loro sistemi fondiari risulterebberoin molti casi più efficaci rispetto alla regola esterna imposta dalpotere centrale (64).

Non sono comunque da sottovalutare i diversi vantaggi di cuigode la teoria di De Soto. Una proprietà formalizzata perfeziona loStato di diritto, garantisce un maggior controllo del governo, con-sente l’integrazione istituzionale e accresce l’efficienza economica ele entrate fiscali, contribuendo all’equità nell’accesso alle terre.Questi vantaggi devono, però, essere contestualizzati, tenendo cioèconto di un insieme di fattori che consenta l’adozione di una politicastatale più vicina alla realtà che regola. Si dovrà valutare, pertanto,

(62) Cfr. M. NUIJTEN-D. LORENZO, Ruling by Record: The Meaning of Rights, Rulesand Registration in an Andean Comunidad, in Development and Change, 40, 1, 2009, pp.101-102.

(63) E. ROSSER, Anticipating de Soto: Allotment of Indian Reservations and theDangers of Land Titling, cit., p. 75.

(64) Questa peraltro è stata la politica recentemente adottata dalla Banca Mondiale.Secondo il World Bank Policy Review Report on Land Policy del 2003 i sistemiconsuetudinari di possesso fondiario si sono sviluppati in diversi periodi in risposta allespecifiche condizioni di ogni località. In molti casi essi costituiscono una forma diamministrazione più flessibile e più adatta alle specifiche condizioni di quanto potrebberiuscire un approccio centralizzato. Cfr. WORLD BANK, Land Policies for Growth andPoverty Reduction, Washington D.C., 2003, p. 53.

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il tipo di popolazione (rurale, indigena, urbana), l’infrastruttura, ifattori culturali, la densità demografica, la presenza dello Stato, illivello di istruzione, e soprattutto la natura culturale delle regole chedeterminano la distribuzione delle terre all’interno di ogni socie-tà (65).

La formula neoliberale di De Soto ha avuto eco tra gli econo-misti agrari peruviani. La voce più nota a favore del cambiamentodelle strutture agrarie secondo i suoi postulati è stata quella diDaniel Cotlear. Nel suo Cambio institucional, derechos de propiedady productividad en las comunidades campesinas (1988), Cotlear sta-bilisce una correlazione tra l’intensificazione dell’agricoltura, l’inno-vazione istituzionale, il cambiamento tecnologico e la proprietàprivata. La sua ipotesi parte da un’interessante ricostruzione storicadelle regole fondiarie andine. Secondo Cotlear il sistema fu origina-riamente comunitario; l’abbondanza di terre non creò il bisogno didiritti esclusivi sulle terre di coltivazione e di riposo collettivo(aynuqas), non essendoci incentivi per ottenere diritti sugli appez-zamenti individuali. Ma quando, a ragione degli avvenimenti storici,la terra cominciò a scarseggiare, i diritti di proprietà tesero progres-sivamente a una maggiore privatizzazione: i comuneros si appropria-rono ogni anno di una più grande estensione di terra per lacoltivazione individuale, scatenando una disputa sugli appezzamentiche altre famiglie avevano coltivato nei cicli agrari precedenti. Lapressione per avere le terre migliori comportò la riduzione deiperiodi di riposo agricolo e la necessità di sviluppare diritti partico-lari sui lotti. Da allora in avanti si sarebbe verificata un’intensifica-zione della coltivazione, a causa della diminuzione parziale delperiodo di riposo agricolo e dell’incremento della porzione diterritorio un tempo non destinato alla coltivazione. All’aumento deicicli di coltivazione corrispose, allo stesso tempo, un’estensione delladurata dell’usufrutto familiare di ogni appezzamento, a scapito deltempo destinato al maggese collettivo. Esso, in definitiva, condusse

(65) Sull’argomento sono note le riflessioni di D. FITZPATRICK, ’Best Practice’Options for the Legal Recognition of Customary Tenure, in Development and Change, 36,3, 2005, pp. 449-475. Cfr. inoltre D. W. BROMLEY, Property Rights and Development, inD. A. CLARK (a cura di), The Elgar Companion to Development Studies, Edward ElgarPub., Cheltenham-Northampton, Ma., 2006, p. 483.

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la comunità a una progressiva perdita di controllo della terra.Questo sviluppo nella modalità dell’utilizzo della terra spiega, perCotlear, perché i contadini sono oggi sempre meno soggetti allerestrizioni imposte dalla comunità e più liberi di decidere cosa,quando e come coltivare, nonché di trasmettere i loro diritti ad altritramite contratti di vendita, affitto, ecc. In questa lettura, il sistemadi riposo agricolo regolato comunitariamente sarebbe quindi effi-ciente solo in quelle organizzazioni comunitarie in cui la terra èrelativamente abbondante e la manodopera sostanzialmente scar-sa (66).

L’evolversi dei fatti storici consente di affermare, secondo Cot-lear, che solo un’agricoltura intensiva, derivata dal possesso indivi-duale, determinerebbe un miglioramento qualitativo della terra: ilprocesso di privatizzazione incoraggerebbe gli investimenti privati,mentre gli investimenti in nuove tecnologie intensificherebberol’attività agricola rendendo più fertili e produttivi i suoli (67). Lachiave per il cambiamento istituzionale dalla forma di proprietàcomunitaria alla privatizzazione della terra coltivabile si troverebbe,quindi, nella pressione esercitata su di essa. L’incremento dellacoltivazione condurrebbe a una riduzione del tempo di riposoagricolo e, pertanto, del controllo comunitario. Così, l’adozionedella politica di divisione delle terre costituirebbe un incentivo perl’introduzione della tecnologia moderna (cambiamento tecnologico),eviterebbe l’erosione dovuta al soprapascolo e stimolerebbe gliinvestimenti per migliorare la qualità dei suoli (68).

Come si evince, il contributo di Cotlear ripropone, in base a unaricostruzione storica semplicistica e funzionale, l’adozione del mo-dello neoclassico della divisione dei suoli per favorire lo sviluppodell’agricoltura nelle Ande. Resta comunque da dimostrare se essasia di per sé la soluzione più efficiente, in confronto al sistema

(66) D. COTLEAR, Cambio institucional, derechos de propiedad y productividad en lascomunidades campesinas, in Revista Andina, 6, 1, 1988, pp. 18-20; cfr. anche ID.,Desarrollo campesino en los Andes. Cambio tecnológico y transformación social en lascomunidades de la sierra del Perú, Iep, 1989, p. 31 e ss.

(67) D. COTLEAR, Cambio Cambio institucional, derechos de propiedad y productivi-dad en las comunidades campesinas, cit., pp. 23, 26-27.

(68) Ibid., p. 30 e ss.

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tradizionale, quando la pressione sulla terra, dovuta ai fattori geo-climatici e demografici, diviene più forte. La risposta al dubbio cosìsollevato viene offerta dall’economista Bruno Kervyn (69).

Dopo aver studiato quattordici comunità site nelle vicinanze diCuzco verso la fine degli anni ottanta, Kervyn avanza argomenti afavore dell’efficienza delle regole fondiarie tradizionali. Occorre,però, non dimenticare che solo qualche anno prima i diversi van-taggi ecologici del sistema di rotazione e riposo agricolo praticatinelle comunità andine erano stati osservati dagli antropologi Benja-min Orlove e Ricardo Godoy (70). Kervyn svolse dunque il compitodi offrire un’analisi esauriente e innovativa sui benefici del sistemaagrario tradizionale.

Nella sua tesi, il nocciolo della questione non consiste nellaconvenzionale opposizione tra il modello individuale (privato) equello collettivo (comunitario), ma nel fatto che all’interno dellacomunità è garantita uno spazio sufficiente alle autonome decisioniindividuali e, allo stesso tempo, al controllo delle esternalità in gradodi ridurre il fattore del rischio (71). Su tali basi, la comunità esiste-rebbe per rispondere a delle esigenze materiali, e non per ragionimeramente tradizionali, o culturali. Le istituzioni collettive rappre-sentano, perciò, delle risposte alla necessità di controllare i rischiassociati alle esternalità negative derivanti dalle caratteristiche fisichee dalla densità demografica presenti nelle Ande. Un attore razionale,egli spiega, sceglierà il sistema istituzionale che comporta un mag-giore beneficio netto e parteciperà a un sistema collettivo soltanto seda esso subisce un danno minore rispetto al sistema privato alter-nativo (72). Ed ecco quindi il problema: date le particolari condizionifisiche dell’ambiente andino non si può analizzare l’intensità del-l’agricoltura soltanto in funzione della densità demografica (comepretende Cotlear). É invece la diversità ecologica il fattore che

(69) B. KERVYN, Mercado de tierras: argumentos para un debate, in Cuadernos detrabajo, Sepia I, 1990, pp. 2-39.

(70) B. ORLOVE-R. GODOY, Sectorial Fallowing Systems in Central Andes, in Journalof Ethnobiology, 6, 1, 1986, pp. 160-204.

(71) B. KERVYN-CEDEP AYLLU, Campesinos y acción colectiva: La organización delespacio en comunidades de la sierra sur del Perú, in Revista Andina, 7, 1, 1989, p. 7.

(72) Ibid., p. 15.

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consente di introdurre variabili ambientali nella spiegazione delleregole fondiarie. In altre parole, la diversità degli ecosistemi com-presi nel territorio della comunità spiega la presenza di differenti tipidi produzione e di accordi sull’uso della terra.

Basandosi sul contributo di Enrique Mayer, Kervyn sostiene chele comunità creino le già note « zone di produzione » cioè porzionidelimitate all’interno dello spazio della comunità caratterizzate dallapresenza di determinate risorse e di meccanismi comunitari che neregolano l’uso (73). In tutte le zone si applica il principio dell’agri-coltura in campo aperto nei periodi di riposo agricolo. In questomodo, in un sistema di sfruttamento agricolo combinabile, eteroge-neo e flessibile, alla comunità appartiene il compito fondamentale dicontrollare l’alternanza tra i periodi assegnati all’agricoltura e alpascolo. Per Kervyn le condizioni ambientali hanno spontaneamenteportato, in molte zone, a un’agricoltura di campo aperto organizzatasu base comunitaria: i fattori geo-climatici generano delle fortiesternalità nella produzione, da cui deriva una naturale interdipen-denza tra i produttori. Per questo motivo, il sistema tende all’istin-tiva creazione di istituzioni comunitarie volte a regolare e controllarele esternalità.

Per Kervyn la regola comunitaria è quindi essenziale al fine disincronizzare le raccolte negli appezzamenti, nonché per costringereogni membro a rispettare le modalità e i tempi agricoli, abbattendocosì le esternalità negative (74). Le regole comunitarie sono pertantoefficienti in quanto assicurano il maggiore benessere della collettivitàtramite l’adozione di tipologie di uso della terra che riflettono leparticolarità geografiche e climatiche e l’esigenza di coordinare leattività agro-pastorali delle famiglie (75).

L’importanza della tesi di Kervyn consiste nel sostenere che ilcompito conferito alla comunità non può essere sostituito da inizia-tive individuali o di mercato. La privatizzazione dell’agricoltura

(73) Nelle comunità studiate Kervyn individua la presenza di cinque zone inprogressione altitudinale: zona chiusa, zona d’irrigazione o maizales, zona di terreno nonirrigato o trigales, zona dei turni, zona non agricola. B. KERVYN-CEDEP AYLLU, Campesinosy acción colectiva, cit., pp. 19-20.

(74) Ibid., p. 31.(75) B. KERVYN, Mercado de tierras: argumentos para un debate, cit., p. 8.

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andina, dunque, non sarebbe una scelta attuabile in termini di logicaculturale ed efficienza economica, dal momento che in un regime diproprietà individuale i titolari non hanno interesse a considerare glieffetti negativi delle proprie decisioni sulla produzione degli altrititolari.

Sulla scia del lavoro di Kervyn, l’antropologo Jorge Gascón, nelsuo lavoro sulle comunità presenti nell’isola Amantaní (versanteperuviano del lago Titicaca), ribadisce la tesi secondo cui l’efficienzanell’utilizzo delle risorse non dipende dal sistema di proprietà(individuale o collettivo), ma da altre variabili legate alle caratteri-stiche delle risorse, alla partecipazione nel sistema di mercato, agliinteressi specifici dei titolati, ecc. (76). Per illustrare la propria teoria,Gascón offre un esempio di come lo sfruttamento di due risorse (ilpascolo e la pesca), amministrate comunitariamente da una stessapopolazione e secondo le stesse regole, produca esiti diversi di fronteall’aumento demografico. Come egli sottolinea, il sistema di rotazio-ne delle coltivazioni, seguito da un periodo di riposo (in cui la terrasi apre al pascolo comune), ha garantito secolarmente che le comu-nità accedessero al pascolo a eguali condizioni e che tutte le terrefossero concimate dagli animali, impedendo così l’esaurimento deipascoli. Ma l’aumento demografico, unito alla perdita di aspettativelavorative fuori dall’isola, ha determinato un’intensificazione dellaproduzione. Il risultato è stato quindi il sovra-sfruttamento dellerisorse (erosione) e un aumento della moria del bestiame. La causaprincipale è stata l’eccessivo numero di capi di bestiame per ognifamiglia. In tali condizioni, conclude l’autore, si assiste alla tragediadei comuni di cui ha scritto Garret Hardin (77). Riguardo alla pesca,invece, malgrado l’aumento demografico, si osserva un efficiente usodella risorsa. Per Gascón, la regolamentazione e la vigilanza sui

(76) J. GASCÓN, La polémica sobre la tragedia de los comunes: un caso andino, inDebate Agrario, 25, 1996, pp. 32-35.

(77) Come noto, la teoria di Hardin viene generalmente utilizzata per dimostrare lanecessità della proprietà privata o di qualche forma di regolamentazione restrittivasull’utilizzo di scarse risorse. In breve, la massimizzazione degli interessi individualirispetto all’uso delle risorse comuni e la mancanza di un accordo istituzionale in ordinea tale utilizzo comporterebbe il collasso delle risorse. Cfr. G. HARDIN, The Tragedy of theCommons, in Science, 162, 1967, pp. 1234-1248; U. MATTEI, La proprietà, in Trattato didiritto civile, dir. da Rodolfo Sacco, Utet, Torino, 2001, p. 8.

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luoghi comunitari di pesca, tra le varie comunità confinanti sul lagoTiticaca, sebbene stabiliscano il modo in cui il prodotto è distribui-to, difeso e utilizzato, non spiegano ancora il fenomeno della pro-duzione efficiente. Essa, invece, risulta dalle varie condizioni chederivano dai caratteri propri dell’attività peschereccia, come l’one-rosità, l’impegno e il rischio che essa comporta. Tali fattori ostaco-lano il libero accesso al lago da parte dei membri dell’isola, permet-tendone un uso « controllato » (78).

La tesi di Gascón aggiunge un altro fattore alla complessità delrapporto uomo-terra, finora non valutato: i limiti esistenti al liberoaccesso alle risorse per via della condizione dei luoghi. Spesso,infatti, le difficoltà climatiche della zona andina impediscono aicomuneros di accedere a un certo tipo di attività a causa del suorischio, costo e onere. Tale considerazione spiegherebbe perché inquesti ambienti non si verifichi l’esito predetto dalla teoria di GarretHardin. Essa infatti presuppone un accesso ideale, equo e libero pertutti i membri della comunità a una risorsa limitata, senza previoaccordo dei suoi membri circa la modalità dello sfruttamento.Pertanto, le soluzioni neoliberali hanno il torto di paventare ilrischio di una tragedia che, nella realtà dei fatti, non si è maiconsumata in modo generalizzato nella gestione delle risorse nellesocietà tradizionali andine.

Questo modello, che basa la propria razionalità sulle pratichetradizionali di reciprocità e ridistribuzione, si presenta come un’al-ternativa al paradigma dominante negli studi economici e apre loscenario a una pluralità di schemi organizzativi in cui sono presi inconsiderazione i fattori culturali più che i valori razionali basati suicriteri essenzialmente quantitativi e materiali propri dell’homo oeco-nomicus dell’economia classica (79).

(78) J. GASCÓN, La polémica sobre la tragedia de los comunes: un caso andino, cit.,pp. 28-29.

(79) Per questa e altre riflessioni sull’argomento vedi M. DISTASO-M. CIERVO,Economia rurale come economia di reciprocità. Il caso degli ayllu delle Ande boliviane, inRivista di Economia Agraria, 61, 1, 2006, pp. 105-132.

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SEZIONE III NUOVI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI:

TRA NEOLIBERALISMO E MULTICULTURALISMO

1. Il Perù: l’ascesa e la caduta della legislazione pro-comunitaria

Alle soglie del nuovo secolo i risultati prodotti dagli studidedicati alle comunità finalmente venivano accolti in modo piùaperto e puntuale da parte del diritto ufficiale. Fu così che a partiredalla seconda metà degli anni ottanta, e sotto la nuova Costituzionedel 1979 (80), il numero di comunità legalmente riconosciute aumen-tò considerevolmente nelle Ande peruviane.

(80) La Costituzione del 1979 dedica alle « comunità di contadini » gli artt. 161,163 e 192. Per quanto riguarda i principi enunciati nei testi del 1920 e del 1933, il nuovotesto conferma l’esistenza legale e la personalità giuridica delle comunità, eliminando ilrequisito, introdotto dall’art. 193 della Costituzione del 1933, dell’iscrizione in unregistro speciale per il riconoscimento della personalità giuridica. L’art. 161 aggiunge unimportante elemento anticipato dall’articolo 210 della Costituzione precedente: l’auto-nomia delle comunità nell’organizzazione, nella disciplina del lavoro comunitario erispetto all’uso della terra, così come in materia economica e amministrativa nell’ambitodi competenza stabilito dalla legislazione. L’ampliamento dell’autonomia delle comunitàha permesso un più ampio riconoscimento del loro diritto consuetudinario. L’art. 163apporta un’altra novità, che mette però a rischio l’integrità del territorio comunitario.Nel suddetto articolo le terre di comunità furono dichiarate impignorabili e imprescrit-tibili, confermando la legislazione precedente; tuttavia, per quanto riguarda l’inaliena-bilità, salva l’espropriazione per necessità o utilità pubblica, fu aggiunta la regola checoncede alla maggioranza dei 2/3 dei membri qualificati della comunità la facoltà didecidere l’alienazione delle terre. Ciò nonostante, come è stato sottolineato da noti studi,durante l’intero periodo in cui fu in vigore la Costituzione in esame (1979 - 1993) nonsi verificò un solo caso di vendita di terre comunitarie. Sul punto cfr. P. G. NÚÑEZ

PALOMINO, Derecho y comunidades campesinas en el Perú 1969-1988, Centro de EstudiosRegionales Andinos « Bartolomé de las Casas » — Centro de Educación Ocupacional« Jesús Obrero », Cuzco, 1996, p. 61; G. FIGALLO ADRIANZÉN, Origen, exclusión yreafirmación de las comunidades campesinas del Perú, Editorial San Marcos, Lima, 2007,p. 161; P. CASTILLO CASTAÑEDA, Las comunidades campesinas en el siglo XX: balance

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L’effetto della politica di ristrutturazione democratica delleimprese associative di produzione (CAP, SAIS) (81) e soprattutto ilcontesto politico-giuridico favorevole alle organizzazioni tradizionaliche caratterizzò il governo di Alan García Pérez (1985-1990), rap-presentarono l’apice di un fenomeno politico-giuridico espresso neinuovi testi legislativi, con cui lo Stato si impegnava a comprenderele particolarità culturali delle comunità (82).

Nel 1984 era stato intanto promulgato il nuovo Codice civile.Come il suo predecessore del 1936, esso si occupava delle comunitàin relazione alle persone. Per la prima volta fu introdotta la defini-zione di « comunità contadina », anche se priva di riferimenti aidiritti sulla terra (83). L’omissione riguardante quest’ultimo aspettosi attenuava però con l’art. 136, il quale, oltre a dichiarare laprotezione delle terre comunitarie (cioè l’inalienabilità, l’impignora-bilità e l’imprescrittibilità), presupponeva la proprietà delle terrepossedute dalle comunità iscritte (84).

Durante questo periodo, è però nella nuova legislazione agrariache si ritrovano sviluppi significativi circa i diritti fondiari dellecomunità.

Nell’aprile del 1987 venne promulgata la legge 24.656, Ley Ge-

jurídico, in AA.VV., ¿Qué sabemos de las comunidades campesinas?, Allpa, Lima, 2007, pp.68-69.

(81) Il processo, avviato nel febbraio del 1986 tramite i decreti supremi 005-86-AGe 006-86-AG, aveva tra i suoi scopi quello di conferire titoli di proprietà alle impreseassociative che non avevano terre. Diverse comunità e contadini senza terreni ne furonoi principali beneficiari.

(82) Cfr. J. VALERO-C. LÓPEZ, Uso y tenencia de la tierra en Puno: titulación y registrodel propiedad rural, in Debate Agrario, 27, 1998, pp. 27-28; 32-33. Sul consistentenumero di comunità contadine riconosciute nel periodo 1984-1990 cfr. C. TRIVELLI,Reconocimiento legal de las comunidades campesinas: una revisión estadística, in DebateAgrario, 14, pp. 23-37.

(83) Art. 134: « Las comunidades campesinas y nativas son organizaciones tradi-cionales y estables de interés público, constituidas por personas naturales y cuyos finesse orientan al mejor aprovechamiento de su patrimonio, para beneficio general yequitativo de los comuneros, promoviendo su desarrollo integral ».

(84) Art. 136: « Las tierras de las comunidades son inalienables, imprescriptibles einembargables, salvo las excepciones establecidas por la Constitución Política del Perú.Se presume que son propiedad comunal las tierras poseidas de acuerdo al reconoci-miento e inscripción de la comunidad ».

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neral de Comunidades Campesinas, con lo scopo di stabilire i diritti egli obblighi dei comuneros, l’organizzazione interna delle comunità, illoro territorio e patrimonio e le loro attività imprenditoriali. Il suoregolamento, contenuto nel decreto supremo 008-91-TR del 15 feb-braio 1991, si occupò dettagliatamente dei requisiti per ottenere lapersonalità giuridica. Esso stabilì che l’iscrizione nel Libro de Comu-nidades Campesinas y Nativas del Registro de Personas Jurídicas com-portava il tacito riconoscimento legale della comunità (85).

La legge 24.656 lasciò in vigore quanto stabilito dal decreto diriforma agraria n. 17.716, con l’eccezione di ciò che era incompati-bile con il suo testo. Nel contesto di tale normativa, si trovano alcuneimportanti dichiarazioni a favore delle comunità. Innanzitutto, sullabase della necessità nazionale, dell’interesse sociale e culturale edello sviluppo integrale delle comunità contadine, lo Stato peruvia-no assume il ruolo di garante dell’integrità del diritto di proprietà delterritorio delle comunità (art. 1, lettera a), impegnandosi al rispettoe alla protezione degli usi e tradizioni delle stesse (art. 1, lettera b).La nuova definizione di comunità contadina rappresenta un eviden-te progresso se confrontata con le definizioni offerte dallo Estatutode Comunidades Campesinas del 1970 e dal Codice civile del 1984. Iltesto precisa che le comunità sono « organizzazioni di interessepubblico, con esistenza legale e personalità giuridica, composte dafamiglie che abitano e controllano determinati territori, legate davincoli ancestrali, sociali, economici e culturali, che si esprimononella proprietà collettiva della terra, nel lavoro comunitario, nelmutuo aiuto, nel governo democratico e nello sviluppo delle attivitàmulti-settoriali [...] » (86). Emergono, dunque, tre nuovi elementi

(85) Il testo completo delle leggi relative alle comunità, a partire dal 1987, puòessere consultato nella pagina web del Gruppo Allpa: http://www.allpa.org.pe/content/legislaci%C3%B3n-indice-normativo (consultato il 29/10/11). Occorre aggiungere cheil Decreto Supremo 008-91-TR eliminò l’obbligo di presentare titoli di proprietà delleterre, essendo sufficiente il solo possesso. Aggiunse però un nuovo requisito formale:copie dell’accordo — legalizzate davanti al notaio o al giudice di pace — in cui si decidel’iscrizione come comunità contadina, l’approvazione dello statuto della comunità e ladirettiva comunitaria.

(86) Art. 2: « Las Comunidades Campesinas son organizaciones de interés público,con existencia legal y personería jurídica, integrados por familias que habitan y controlandeterminados territorios, ligadas por vínculos ancestrales, sociales, económicos y cultu-

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che dimostrano una conoscenza più scientifica delle regole fondiarietradizionali. In primo luogo, si considera di interesse pubblico l’esi-stenza stessa delle comunità; si sottolinea inoltre la nozione delcontrollo del territorio da parte delle famiglie che la compongono; esi afferma, infine, che i vincoli ancestrali dei suoi membri si mani-festano nella proprietà comunitaria della terra.

Altri passaggi della legge 24.656 confermano il coinvolgimentostatale nella protezione delle comunità, nonché una migliore com-prensione delle sue dinamiche interne. Il titolo IV si occupa del ter-ritorio comunitario, consacrando lo stesso trinomio protettivo delleterre comunitarie: impignorabilità, imprescindibilità e inalienabilità— tranne i casi di espropriazione e l’accordo dei 2/3 dei membri riunitinell’assemblea, previsti dall’art. 163 della Costituzione del 1979. Perquanto concerne il regime di possesso e uso della terra, alla comunitàspettano ampie facoltà. L’art. 11 stabilisce infatti che ad essa competela decisione sul regime di uso delle sue terre tra le modalità comu-nitaria, collettiva o mista. A tale scopo ogni comunità doveva predi-sporre un catasto da cui risultasse l’uso delle terre, in modo da regi-strare gli appezzamenti familiari e i loro usuari. Questi terreni, in baseall’art. 13, dovevano essere lavorati direttamente dai comuneros nelleestensioni fissate dall’autorità comunitaria. Lo stesso art. 13 regola-mentava, infine, il pascolo collettivo. La norma conferiva all’assembleagenerale la facoltà di determinare la quantità massima di bestiame checiascun comunero poteva far pascolare. Queste e altre tematiche, comel’estinzione del possesso familiare e il recupero delle terre non sfruttatedirettamente dai comuneros, riflettono l’attenzione del diritto statalenell’abbracciare la complessità propria del sistema fondiario tradi-zionale.

Occorre menzionare qui anche la legge n. 24.657 su Deslinde yTitulación del Territorio de las Comunidades Campesinas, risalenteall’aprile del 1987. La normativa chiarisce cosa comprende il territoriodella comunità, al fine di stabilire la basi per un riassestamento delpossesso delle terre e agevolare la richiesta di titolazione delle stesse.L’art. 2 delle legge, rendendo palese l’accumulazione di norme e si-

rales, expresados en la propiedad comunal de la tierra, el trabajo comunal, la ayudamutua, el gobierno democrático y el desarrollo de actividades multisectoriales, cuyosfines se orientan a la realización plena de sus miembros y del país ».

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tuazioni di fatto, recita che tale territorio è composto dalle terre ori-ginarie della comunità, le terre acquisite in conformità al diritto agra-rio, le aggiudicazioni realizzate nel quadro della riforma agraria e leterre in suo possesso, incluse quelle incolte.

Verso la fine degli anni ottanta la legislazione pro-comunitariaaveva ormai raggiunto il suo apice (87). Ma l’intesa tra il governo e lecomunità sarebbe stata di breve durata, a causa del cambiamentodelle politiche pubbliche che si sarebbero verificati nel decenniosuccessivo.

Il governo di Luis Alberto Fujimori (1990-2000), con il suppor-to della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, chefacilitarono il risanamento del debito estero peruviano, abbracciò,come accadde in altre esperienze latinoamericane, il modello neoli-berale di crescita. L’effetto immediato della nuova politica pubblicafu la liberalizzazione del mercato delle terre, incluse quelle comu-nitarie, che persero definitivamente il loro carattere di inalienabilità,risalente al testo costituzionale del 1933 (88).

Nello specifico, il processo di liberalizzazione fondiaria fu av-viato tramite il decreto legge n. 653 Ley de Promoción de lasInversiones en el Sector Agrario del 1 agosto 1991. La normativa,definita « la riforma della riforma », derogò la Ley de ReformaAgraria (D.L. 17.716) e dichiarò che la proprietà agraria, di qualsiasiorigine, poteva essere liberamente trasferita a terzi. Occorre notarecome il D.L. 653 violava non solo il mandato costituzionale relativoalla protezione delle terre comunitarie, ma anche la Ley General deComunidades Campesinas che aveva esplicitamente garantito l’inte-grità di tutte le terre comunitarie, incluse quelle incolte. In breve, ilD.L. 653 mise fine al processo di riforma agraria iniziato negli anni

(87) Ciò nonostante, come suggerisce Laureano Del Castillo, l’impatto della legi-slazione agraria del 1987 fu nella pratica molto limitato: delle 4.976 comunità legalmentericonosciute nel marzo del 1992, 3.672 erano già state riconosciute nel gennaio 1987.Secondo i dati offerta elaborati da Carolina Trivelli il maggior numero di comunitàlegalmente riconosciute risale al 1986. Cfr. L. DEL CASTILLO, ¿Tienen futuro las comu-nidades indígenas?, in Debate Agrario, 14, 1992, p. 43; C. TRIVELLI, Reconocimiento legalde las comunidades campesinas: una revisión estadística, cit., p. 29.

(88) J. CRABTREE, The Impact of Neo-liberal Economics on Peruvian Peasant Agri-culture in the 1990s, in T. BRASS (a cura di), Latin American Peasants, Frank Cass,London-Portland, Or., 2003, p. 139.

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sessanta, dando origine a una nuova legislazione caratterizzata dalladeregolamentazione delle attività agricole (89).

Il D.L. 653 fu seguito dal decreto legge n. 667, Ley del Registrode Predios Rurales, del 13 settembre 1991. La nuova norma creò ilRegistro de Predios Rurales il quale, anche se non fu applicato alle terredi comunità, che continuarono a essere rette dalla Ley de Deslinde yTitulación, stabilì un regime semplice per l’iscrizione dei fondi ruraliapplicabile, di fatto, a parte delle valli del dipartimento di Lima (90).Inoltre, nel 1992 fu avviato il Proyecto Especial de Titulación de Tierrasy Catastro Rural (PETT) con il principale scopo di formalizzare il pos-sesso dei fondi rustici resi disponibili dalla divisione delle impreseassociative create dalla Riforma Agraria del 1969 (91). Il PETT offrivasicurezza giuridica ai possessori delle aree rurali tramite l’erogazionedi titoli di proprietà (individuali o collettivi) e stabilendo delle con-dizioni di base per lo sviluppo del mercato fondiario. Secondo il rap-porto del progetto della Banca Interamericana di Sviluppo, uno degliscopi generali del PETT era quello di appoggiare « lo stabilimento diun mercato rurale delle terre in Perù che operasse in modo aperto,flessibile e trasparente tramite una decisa regolarizzazione del pos-sesso di tutte le proprietà create con la riforma agraria » (92). L’in-centivo per registrare la proprietà della terra fu alimentato, nel 1992,dalla chiusura del Banco Agrario — principale fonte di credito age-volato per i piccoli agricoltori — consentendo l’accesso al credito soloa chi aveva titolo formale sulle terre (93).

Il PETT ebbe un certo impatto sulla titolazione del territorio an-

(89) CEPES, Legislación agraria: una década de cambios, in La Revista Agraria, 10,1999, p. 8.

(90) Cfr. in proposito L. DEL CASTILLO, Propiedad rural, titulación de tierras ypropiedad comunal, cit

(91) Il Reglamento de Organización y Funciones del PETT, DS 057-92-AG (derogatonel 2000 da un nuovo regolamento, il DS 064-2000-AG) dichiarava nell’art. 3 che il pro-getto abbracciava le attività riguardanti il perfezionamento dei titoli di proprietà dei fondirustici compresi nel processo di riforma agraria, per consentirne l’iscrizione nel registro.

(92) R. PLANT-S. HVALKOF, Titulación de tierras y pueblos indígenas, Banco Intera-mericano de Desarrollo, Washington, D.C., 2002, p. 63; AA. VV, Titulación de tierras enel Perú: ¿se está cumpliendo la promesa?, in Debate Agrario, 32, 2001, p. 55.

(93) Ibid., p. 56. F. EGUREN-I. CANCINO, Agricultura y sociedad rural en el Perú, inDebate Agrario, 29-30, 1999, p. 11; J. CRABTREE, The Impact of Neo-liberal Economics onPeruvian Peasant Agriculture in the 1990s, cit., p. 141.

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dino, sia per quanto riguarda la titolazione individuale che rispetto aquella collettiva. Ma più che all’iniziativa spontanea delle comunità,ciò fu dovuto all’azione statale (94). Il governo di Fujimori si servì,infatti, dell’aiuto internazionale per legalizzare i titoli delle comunitàprima di procedere alla seconda fase della titolazione agraria, consi-stente nella divisione delle terre collettive. Questa scelta, sottolineaMayer, si deve al fatto che in Perù, all’epoca, vigeva un’economiapoliticizzata: Fujimori cercava il voto di tutti i comuneros promettendoloro un titolo legale a vantaggio della comunità. Si ritenne tuttavia cheemettere un titolo per ogni comunero era troppo costoso e rischiava,inoltre, di scatenare liti tra i membri delle comunità (95).

Il processo di liberalizzazione delle terre comunitarie fu, infine,consacrato dall’art. 89 della Costituzione del 1993. Il nuovo testo,pur riconoscendo il carattere multi-culturale dello Stato e il plura-lismo giuridico, rappresentava un eclatante ritorno al passato rispet-to alla legislazione pro-comunitaria. Le comunità contadine eranoriconosciute, era dichiarata la loro autonomia nell’uso e disposizionedelle terre, ma si taceva sull’inalienabilità e l’impignorabilità delleloro terre, limitando così la garanzia dell’imprescrittibilità dei lorodiritti. Si ritornava, quindi, allo stesso precario stato di protezioneofferto dal testo costituzionale del 1920 (96).

(94) F. EGUREN-L. DEL CASTILLO-Z. BURNEO, Los derechos de propiedad sobre la tierraen las comunidades campesinas, in Economía y Sociedad, 71, 2009, p. 36; J. VALERO-C.LÓPEZ, Uso y tenencia de la tierra en Puno: titulación y registro del propiedad rural, cit.,pp. 38-39. Per un’analisi degli effetti e dei primi problemi derivanti dalla messa in attodel programma di titolazione del PETT, tra le comunità contadine, sono didattiche leriflessioni di L. DEL CASTILLO, Propiedad rural, titulación de tierras y propiedad comunal,p. 72 e ss. Per gli effetti economici del PETT in tematiche di investimento e accesso alcredito si rimanda allo studio di R. FORT, The Homogenization Effect of Land Titling onInvestment Incentives: Evidence from Peru, in HJAS, 55, 4, 2008, pp. 325-340; R.PLANT-S. HVALKOF, Titulación de tierras y pueblos indígenas, cit., p. 63 e ss.

(95) E. MAYER, Casa, charca y dinero. Economías domésticas y ecología en los Andes,cit., p. 351.

(96) Art. 89: « Las Comunidades Campesinas y las Nativas tienen existencia legaly son personas jurídicas. Son autónomas en su organización, en el trabajo comunal y enel uso y la libredisposición de sus tierras, así como en lo económico y administrativo,dentro del marco que la ley establece. La propiedad de sus tierras es imprescriptible,salvo en el caso de abandono previsto en el artículo anterior. El Estado respeta laidentidad cultural de las Comunidades Campesinas y Nativas ».

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La maggioranza che approvò l’art. 89 sosteneva di voler pro-muovere la « modernizzazione dell’ambiente agricolo ». E ancorauna volta, le forze politiche fautrici del nuovo testo si appellarono aiprincipi individualisti sostenuti dai liberali dell’Ottocento:

« Oggi, noi stiamo modernizzando questo articolo e dicendo allecomunità che possono disporre delle loro terre e dare titoli ai lorocomuneros affinché essi possano recarsi alle istituzioni di credito e ottenereil denaro sufficiente per sviluppare l’agricoltura [...] » (97).

La norma deve, tuttavia, essere inquadrata all’interno di unanozione liberale ancora più ampia rispetto alle esperienze passate,dal momento che la Costituzione, eliminando ogni riferimento alimiti sociali o legislativi nell’esercizio del diritto di proprietà, rin-forza la nozione assolutista dell’istituto (98).

I principi neoliberali sanciti dal D.L. 653 e dal testo costituzio-nale del 1993, sarebbero stati sviluppati dalla legge n. 26.505, delluglio 1995, nota come Ley de Tierras (99). Essa stabilisce i principigenerali necessari per promuovere l’investimento privato nello svi-luppo delle attività economiche nelle terre delle comunità. Lanormativa prescrive nell’art. 2 che « il regime giuridico delle terreagricole sia retto dal Codice civile e dalla presente legge ». Lecomunità sono così costrette ad adeguare i loro statuti alle disposi-zioni della nuova legge per ottenere delle garanzie economiche el’aiuto statale. Si annulla, in altre parole, il riconoscimento del

(97) È l’opinione di León Trelles della coalizione di destra « Cambio 90-Nueva Ma-yoría ». Discussione sull’art. 89, seduta del 20 luglio 1993, cit. in P. CASTAÑEDA, Las co-munidades campesinas en el siglo XX: balance jurídico, cit., p. 72. Occorre però non di-menticare che l’articolo 2 n. 19 della Costituzione riconosce a ogni cittadino il diritto allasua identità etnica e culturale. Lo Stato, aggiunge la norma, riconosce e protegge la pluralitàetnica e culturale della Nazione. La disposizione da conto di una dichiarazione adottatain seguito all’approvazione — del 26 novembre 1993 — della Convenzione sulle Popo-lazioni Indigene e Tribali in Stati Indipendenti dell’Organizzazione Internazionale delLavoro (OIL) del 1989.

(98) Così, L. DEL CASTILLO, La ley de tierras y los límites al derecho de propiedad, inDebate Agrario, 23, 1995, pp. 16-17 [13-35].

(99) Ley de la inversión privada en el desarrollo de las actividades económicas en lastierras del territorio nacional y de las comunidades campesinas y nativas. Ne è comple-mento il decreto supremo n. 011-97-AG del giugno 1997.

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pluralismo giuridico gradualmente instaurato dalla legislazione agra-ria del Novecento (100). In questo modo, le diverse disposizionidell’odierna Ley de Tierras imprimono un marcato carattere com-merciale alle attività agricole e agevolano, tramite la messa in attodell’art. 163 della Costituzione del 1993, la liberalizzazione definitivadelle terre di comunità (101).

(100) Inoltre, poiché il Codice civile non stabilisce limiti di estensione dellaproprietà rurale, è da notarsi che sia il latifondo, sia il minifondo sono implicitamenteautorizzati. Cfr. L. DEL CASTILLO, La ley de tierras y los límites al derecho de propiedad,cit., p. 25.

(101) L’art. 8 dispone che le comunità sono libere di adottare l’organizzazioneimprenditoriale prescelta dall’Assemblea, mentre l’art. 11 dichiara che per alienare,gravare, affittare o compiere qualsiasi atto sulle terre comunitarie della sierra occorre ilvoto favorevole di almeno 2/3 di tutti i membri della comunità. Sulla portata della Leyde Tierras cfr. C. MONGE, La comunidad: tierra, institucionalidad e identidad en el Perúactual, in C. I. DEGREGORI (a cura di), Comunidades: tierra instituciones, identidad,Diakonía-Cepes-Arariwa, Lima, 1998, pp. 81-115. Grazie al sostegno istituzionale dellaBanca Interamericana di Sviluppo queste soluzioni legislative sono accompagnate da unmassiccio piano di risanamento e di titolazione della proprietà agraria avviato nel marzo1996, mediante il decreto legge 803 — Ley de Promoción al Acceso de la Propiedad formal— e, più di recente, tramite la legge 28.298 del luglio 2004, che incoraggia la formazione« di imprese private capitalizzate », composte da terre comunali. Il D.L. 803 creò laCOFOPRI (Organismo de Formalización de la Propiedad Informal), che avrebbe assorbito eassunto, dal 2007, il PETT e i suoi compiti. Cfr. inoltre la legge n. 27.046, LeyComplementaria de Promoción del Acceso a la Propiedad Formal, que modifica y comple-menta algunos artículos del Decreto Legislativo N° 803, 5 gennaio 1999; il decretosupremo n. 009-99-MTC, Aprueban el Texto Único Ordenado de la Ley de Promoción deAcceso a la Propiedad Formal, 11 aprile 1999. Per un riepilogo della normativa modernariguardante le comunità indigene peruviane si rimanda a CEPES, Legislación de comuni-dades agrarias y nativas, in Informativo Legal Agrario, 21, 2005, p. 20 e ss. Nel 2008, sullaspinta di varie polemiche il secondo governo di Alan García (2006-2011) ha tentato diliberalizzare in modo più aperto il mercato delle terre di comunità. In forza dellecompetenze delegate dal Congresso per l’attuazione del Trattato di Libero Commerciocon gli Stati Uniti, l’Esecutivo, tramite il decreto 1.105 del maggio 2008, autorizzò lecomunità a disporre delle loro terre con il voto favorevole del 50% dei membri« assistenti » all’assemblea comunitaria. La finalità della norma era quella di « promuo-vere e facilitare l’investimento privato sulle terre di comunità ». La normativa, oltre aviolare in modo palese diversi articoli della Costituzione del 1993, che obbligavano loStato a rispettare l’autonomia, l’identità e la proprietà delle comunità indigene, si ponevain contrasto con la Convenzione OIL 169 che richiedeva di consultare i popoli indigeniper tutte le misure che li riguardavano. Il decreto fu abrogato dall’Esecutivo qualchemese dopo la sua promulgazione, dopo un’intensa opposizione pubblica — che coin-

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Di fronte alle più recenti politiche pubbliche ci si può doman-dare quale sia la realtà attuale delle comunità indigene peruviane.Certamente, la visione romantica della comunità, come uno spazioridotto in cui si conservano intatti i valori della solidarietà e le formedi democrazia tradizionali, attraverso un sistema di lavoro e di usocomunitario della terra, è messa in discussione da tempo (102). Comeaccaduto in Perù, i paesi latinoamericani che hanno fatto proprio ilmodello neoliberale, oltre a fermare il processo di espropriazionedelle terre, ispirato da fini di giustizia sociale, hanno intrapreso« contro-riforme », ammettendo la divisione delle terre delle comu-nità indigene (103). Tuttavia, le comunità peruviane hanno accolto idiversi programmi statali di sviluppo agrario in modo diverso,poiché ispirati a interessi in parte diversi. Così, ad esempio, lecomunità del dipartimento di Puno sono oggi classificabili in trecategorie in base alla risposta alle alternative legislative offerte dalloStato (104). È interessante notare che, malgrado l’imposizione dioscillanti politiche fondiarie statali, le comunità sono riuscite asopravvivere « reinventandosi », e hanno adottato, in non pochi casi,piani di titolazione individuale (105). La divisione delle terre non ha

volse diverse associazioni agrarie e comunitarie nonché i partiti politici — espressa sulpiano del diritto con la proposizione di una questione di costituzionalità. Per dettagli cfr.La inconstitucionalidad del Decreto Legislativo 1015 y su modificatoria, in Palestra delTribunal Constitucional, Revista de Legislación y Jurisprudencia, 7, 2008, p. 133 e ss.

(102) Cfr. L. DEL CASTILLO,¿Tienen futuro las comunidades indígenas?, cit., p. 46;M. I. REMY, Arguedas y López Albujar. Rasgos de un nuevo perfil de la sociedad peruana,in Debate Agrario, 13, 1992, pp. 121-137.

(103) C. D. DEERE-M. LEÓN, Empowering Women. Land Property Rights in LatinAmerica, Univ. of Pittsburgh Press, Pittsburgh, Pa., 2001, p. 181.

(104) J. VALERO-C. LÓPEZ, Uso y tenencia de la tierra en Puno: titulación y registro delpropiedad rural, cit., pp. 33-34, distingue tra « Comunità originarie », in cui la comunitàè l’unica proprietaria delle terre e i membri meri usuari delle stesse; « comunitàlottizzate », dove non esiste terra comunitaria e i terreni sono di proprietà privata deimembri della comunità riconosciuta e iscritta come tale; e « comunità mista », quellecomunità cioè che possiedono sia un terreno comunitario (di solito nelle aree di pascolo)sia una proprietà privata (nelle aree in cui si insedia la famiglia).

(105) L’adozione delle diverse politiche statali è palese nell’esperienza della comu-nità di Usibamba, stanziata tra i 3.600 e i 4.000 metri di altitudine nel distretto di SanJosé de Quero, dipartimento di Junín. Riconosciuta legalmente come comunità nel 1939,nel 1958 l’assemblea generale decide di ristrutturarne la terra e di ridistribuirla in piccolilotti tra i comuneros. Con l’aiuto dello Stato, 803 ettari furono ridistribuiti e consegnati

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così comportato la scomparsa delle organizzazioni tradizionali ma,piuttosto, una sorta di uniformazione legale interna, essenziale per lostesso consolidamento della comunità (106). La spiegazione a talefenomeno va ricercata, oltre che nella forte coesione comunitaria,nell’autonomia lasciata alle comunità, le quali, come noto, hannoaderito o meno ai diversi strumenti legislativi promossi dallo Statodurante il ventesimo secolo (107).

2. La Bolivia, verso il riconoscimento integrale: progetti, movimentie Stato pluri-nazionale.

Come sottolineato, la riforma agraria intrapresa in Bolivia nel1953 non ebbe tra i suoi obiettivi il riconoscimento del possesso fon-diario delle comunità. Come afferma l’economista Miguel Urioste,« verso la metà degli anni sessanta la riforma agraria era stata abban-

a 305 comuneros. Qualche anno dopo, in seguito all’attuazione della riforma agraria diVelasco Alvarado, Usibamba divenne uno dei 16 membri della SAIS Tupac Amaru. Laterra, per la seconda volta, e con un diretto intervento statale, fu ridistribuita in modougualitario. Per dettagli cfr. M. NUIJTEN-D. LORENZO, Peasant Community and TerritorialStrategies in the Andean Highlands of Peru, in F. VON BENDA-BECKMANN-K. VON BENDA-BECKMANN-A. GRIFFITHS (a cura di), Spatializing Law: An Anthropological Geography ofLaw in Society, Ashgate, Farnham-Burlington, 2009, pp. 31-55.

(106) È il caso, reso noto dall’antropologo Jaime Urrutia, della comunità diCumbico nella sierra nord peruviana, il cui titolo legale risale al 1817 e che, nonostantefosse stata scissa nel 1880 in 55 appezzamenti individuali (ognuno dei quali avente terrenei tre livelli ecologici della comunità che si estendono tra i 1.750 e i 3.400 m., cioè nelleterre alte, basse e di villaggio) ha mantenuto la sua coesione di fronte agli attacchi deilatifondisti confinanti e ha finalmente ottenuto, nel 1962, un riconoscimento legale. Cfr.J. URRUTIA, La comunidad campesina reinventada: el ejemplo de Cumbico, Cajamarca, inDebate Agrario, 32, 2001, pp. 1-12.

(107) La cifra totale delle comunità riconosciute secondo il PETT nel 2002 era di5.818. Il numero non differisce molto dalle 5.680 del Censo Nacional Agricola del 1994.Per uno sguardo illustrativo delle tendenze regionali di riconoscimento delle comunitàsi rimanda a M. CASTILLO FERNÁNDEZ, Comunidades campesinas del Perú: más cantidadmenos comunidad y más diversidad en el último medio siglo, in AA.VV., Comunidadescampesinas en el siglo XXI. Situación actual y cambios normativos, Gruppo Allpa -Comunidades y Desarrollo, Lima, 2004, pp. 15-63. Per il periodo 1926-1991 cfr. C.TRIVELLI, Reconocimiento legal de las comunidades campesinas: una revisión estadística, inDebate Agrario, 14, 1992, pp. 23-37.

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donata e nessuno sa quando finì » (108). Poche furono infatti, durantegli anni successivi, le proposte mirate a un ripensamento della riformanei confronti delle comunità delle valli e dell’altopiano. In tale con-testo, il giurista Arturo Urquidi ebbe il merito di suggerire per primola formazione di una commissione speciale di esperti per lo « studiosociologico delle comunità » con lo scopo di « orientare scientifica-mente le misure più adatte a esse » (109). La sua proposta ebbe rispostastatale tramite i decreti supremi n. 6.818 del 3 luglio 1964 e n. 7.031del 3 luglio 1965 che ordinarono la costituzione di una commissioneper l’ideazione di una legge speciale per le comunità indigene. Lacommissione fu alla fine ridotta alla sola persona di Urquidi che, nel1970, presentò il progetto intitolato Ley de Comunidades Indígenas nelsuo volume Las comunidades indígenas en Bolivia (110). Conviene quirichiamare la proposta di Urquidi poiché, sebbene rifiutata, si basa sulmoderno principio dell’autodeterminazione delle comunità, in forzadel quale è loro concessa totale libertà, decisione sul loro destino esull’organizzazione fondiaria interna (111).

Il progetto di Urquidi fu il primo di una serie discussi tra glianni ottanta e novanta. Nel 1984, a seguito del primo ConvegnoNazionale di Riforma Agraria tenutosi a La Paz, la ConfederaciónSindical Única de Trabajadores Campesinos de Bolivia (CSUTBC) (112)presentò la bozza della Ley Agraria Fundamental (LAF). Il documen-to, curato dal giurista Isaac Sandoval Rodríguez, dalla storica SilviaRivera Cusicanqui e dall’antropologo Xavier Albó, rappresentò ilprimo tentativo, dopo la riforma agraria del 1953, destinato a

(108) M. URIOSTE, Bolivia: la reforma agraria abandonada. Los valles y el altiplano, inDebate Agrario, 37, 2004, p. 161.

(109) A. URQUIDI, El feudalismo en América y la reforma agraria boliviana [1966],Librería Editorial Juventud, La Paz, 2ª ed., 1990, p. 236.

(110) Cfr. A. URQUIDI, Las comunidades ingígenas en Bolivia, Los Amigos del Libro,La Paz, 1970; ID., Temas de reforma agraria, Librería Editorial Juventud, La Paz, 1985.

(111) Cfr. Anteproyecto de Ley General de Comunidades Indígenas, in A. URQUIDI,Temas de reforma agraria, cit., p. 80. Il progetto di legge fu presentato nella seduta delCongresso del 7 febbraio 1984 dal senatore Aberlardo Villalpando, ma con la svoltaverso le politiche neoliberali, promosse dal quarto governo di Víctor Paz Estenssoro(1985-1989), esso non diventò mai legge.

(112) Nel 1979, dopo la rottura del patto con il governo militare, la ConfederaciónNacional de Trabajadores Campesinos (CNTCB) divenne la CSUTCB, sotto la guida deldirigente Jenaro Flores Santos.

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trasformare radicalmente la struttura agraria del paese. La nuovaproposta, decisa a rafforzare l’identità indigena su tutti i fronti,ridefiniva il ruolo del movimento contadino che rivendicava il dirittoalla terra e il proprio apporto alla costruzione dello Stato pluri-nazionale. Si inserivano, di fatto, degli elementi fondamentali perricostituire la nozione di territorialità dei popoli indigeni e perriconoscere la loro autonomia politica e amministrativa su questionilocali. La LAF ebbe un marcato orientamento « andino-comunita-rio » e cercò, pertanto, di dare maggior forza alla partecipazioneindigeno-contadina nell’autogoverno locale (113). Anche se non fumai analizzata nel Congresso — pur essendo riproposta in bencinque occasioni — la LAF costituisce il punto di riferimento dove-roso per i successivi progetti agrari e riforme costituzionali (114). Trai primi spicca, infatti, il Proyecto de Ley de Comunidades Campesinase Indígenas, presentato al Congresso nel settembre del 1990 dal notoeconomista agrario, e allora deputato per il partito MovimientoBolivia Libre, Miguel Urioste. Il progetto raccoglieva degli elementicontenuti nella LAF, nella bozza della Ley de Pueblos Indígena dellaConfederación de Pueblos Indígenas de Bolivia (CIDOB) del 1990 e, inmodo particolare, i suggerimenti tratti dai diversi convegni organiz-zati dalla CSUTBC. Oltre ai particolari relativi alla legalizzazione dellecomunità, la proposta di Urioste riprendeva l’argomento del rico-noscimento delle loro autorità interne e del diritto alla territorialitàcome unità politica e amministrativa autonoma. Si trattava, in altreparole, di consolidare il diritto alla terra secondo le norme stabilitedalle comunità indigene nell’ambito di una giurisdizione territorialeautonoma, governata dalle autorità tradizionali. La proposta sarebbestata infine respinta dalla Comisión de Constitución della Camera deiDeputati in quanto giudicata « lesiva della Costituzione » (115).

(113) M. URIOSTE, Bolivia: la reforma agraria abandonada. Los valles y el altiplano,cit., p. 163.

(114) Per approfondimenti sul testo della bozza e sui diversi commenti intorno aessa cfr. il volume speciale collettivo della Revista Articulo Primero, supplemento n. 12,agosto 2003, disponibile sul sito: http://www.cejis.org/archivo/pub/revsepcaart/separata_12.pdf (consultato il 04/06/2011).

(115) Cfr. M. URIOSTE, Prólogo a dos manos, in M. URIOSTE-R. BARRAGÁN-G. COLQUE,Los nietos de la Reforma Agraria: tierra y comunidad en el altiplano de Bolivia, FundaciónTierra, La Paz, 2007, pp. xxxiii-xxxiv. Il testo integrale del progetto può essere

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Lo scenario che qui si presenta rende chiaro come fossero ormaimessi in discussione i presunti benefici della modernizzazione av-viata con la riforma agraria. In tale prospettiva, la resistenza deicontadini indigeni al modello sindacalista imposto dalla riforma simanifesta con chiarezza nella formazione a La Paz del movimentointellettuale-indigeno noto come katarismo (116). Esso nacque versola fine degli anni sessanta come un progetto ideologico autonomo,sostenuto dagli intellettuali aymaras — tra cui il noto scrittoreindianista Fausto Reinaga — che durante quel periodo lasciarono leloro comunità di origine per frequentare l’università. Come preve-dibile, il movimento ebbe un immediato successo tra i circoliuniversitari e le organizzazioni sindacali contadine aymaras dell’al-topiano (117). La clandestinità durante il governo di Hugo Banzer(1971-1978), non impedì ai kataristas di rendere pubblico il loroprogramma politico; il cosiddetto « Manifesto di Taiwanaku »(1973) stabiliva le linee di azione e il progetto nazionale di baseindigena, fondato sull’importanza concessa alla lingua tradizionale ealla cultura, e sulla rivalorizzazione progressiva delle pratiche comu-nitarie aymara (118). Il katarismo rappresenta quindi un discorsodiverso da quello dei contadini dei sindacati rurali: per la prima voltainfatti si vuole rivendicare in modo programmatico un’identitàculturale indigena autonoma rispetto al potere centrale.

consultato in M. URIOSTE, Necesidad de una ley de comunidades campesinas e indígenas,in La legislación agraria y la tenencia de la tierra, cit., p. 31 e ss.; ora in M. URIOSTE-R.BARRAGÁN-G. COLQUE, Los nietos de la Reforma Agraria: tierra y comunidad en el altiplanode Bolivia, cit., anesso n. 3.

(116) Si tratta di un movimento che cerca essenzialmente di riscoprire l’identitàaymara tramite il recupero della memoria dell’eroe coloniale indigeno Túpaj Katari, che,nel 1781, mise in scacco il regime coloniale spagnolo assediando la città di La Paz. Sulparticolare si rimanda all’ormai classico contributo di J. HURTADO, El katarismo, Hisbol,La Paz, 1986.

(117) Nel 1971, durante il IV Congresso Nazionale della CNTCB, i kataristas,capeggiati da Jenaro Flores, riuscirono a battere l’egemonia degli antichi dirigentirelazionati con il MNR e affiliati al Pacto Militar Campesino (vedi supra 287). Il katarismodivenne così la corrente principale del nuovo sindacalismo contadino autonomo. Cfr. R.PAJUELO TEVES, Reinventando comunidades imaginarias. Movimientos indígenas, nación yprocesos sociopolíticos en los paises centroandinos, Iep, Lima, 2007, p. 65.

(118) Su tali eventi è d’obbligo: S. RIVERA CUSICANQUI, Oprimidos pero no vencidos.Luchas del campesinado aymara y qhechwa de Bolivia 1900-1980, Unrisd, Ginebra, 1986.

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Fu così che, a partire dalla politica integrazionista del sindaca-lismo agrario, gli anni settanta segnarono la svolta verso il cosiddettoindianismo che avrebbe rivendicato la propria identità e il dirittoall’autodeterminazione dei popoli autoctoni (119). Tale passaggioebbe inizio formale durante la presidenza di Hernán Siles Zuazo(1982-1985), quando si registra per la prima volta una concretapresenza dell’indigeno nella politica ufficiale boliviana. In tale pe-riodo furono eletti i primi deputati indianisti appartenenti al Movi-miento Indio Tupaj Katari (MITKA, ovvero, l’ala radicale del katari-smo) e al Movimiento Revolucionario Tupaj Katari (MRTKL, alamoderata). Per di più, negli anni ottanta, furono nominati i primiministri indigeni, come Zenón Barrientos, Mauricio Mamani eSimón Yampara (120).

In questo contesto, un chiaro intento politico di enfatizzarel’etnicità e la diversità culturale boliviana derivò dal lavoro associatodegli antropologi, degli storici e dei capi tradizionali nella creazionedi istituzioni culturali che avrebbero rivendicato i nessi storici dellecomunità alto-andine nonché l’identità indigena del popolo bolivia-no. A questo punto non sorprende notare come, alla base delfenomeno di riedificazione della struttura tradizionale, si trovasse lapiù approfondita conoscenza scientifica delle culture originarie svi-luppata dagli studi antropologici e storici sulle comunità che sisusseguirono con intensità a partire dalla fine degli anni settanta.Così, a cavallo tra il 1983 e il 1984, l’intellettuale aymara Silvia RiveraCusicanqui creò a La Paz il Taller de Historia Oral Andina (THOA).Il THOA insisteva sulla necessità di ritornare alle radici natie peraccelerare il processo di decolonizzazione culturale; postulava nello

(119) Cfr. G. COLQUE-J. CAMERON, El difícil matrimonio entre la democracia comunale indígena en Jesús de Machaca, in J. P. CHUMACERO R. (a cura di), Reconfigurandoterritorios, reforma agraria, control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, FundaciónTierra, La Paz, 2009, p. 188.

(120) E. TICONA ALEJO, Il nuovo ruolo dei popoli indigeni contadini nella politicaboliviana, in R. MARTUFI-L. VASAPOLLO (a cura di), Futuro indigeno: La sfida delleameriche, Jaca Book, Milano, 2009, p. 51. Per quanto concerne le manifestazioni, occorrequi ricordare il Primer Encuentro de Pueblos Indígenas del Oriente Boliviano (1982, SantaCruz). Come risultato dell’assemblea i partecipanti fondarono un’associazione regionalenota come la Confederación de Indígenas del Oriente Boliviano (CIDOB) che dovevapromuovere le loro rivendicazioni fondiarie e all’autonomia.

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specifico che le storie locali andine, tratte dalla memoria scritta deipopoli, offrissero un’alternativa anti-coloniale alle formule offertedalla storia egemonica. Lo stesso THOA, insieme a Oxfam America ead altre organizzazioni internazionali pro-indigeniste, avrebbe finan-ziato diversi progetti il cui scopo era la ricomposizione politica eculturale degli antichi ayllus. Tra questi, spicca l’iniziativa promossadall’antropologo boliviano Ramiro Molina Rivera il quale, appog-giato dai capi tradizionali di diverse comunità, diede impulso allacreazione, nel 1987, della prima federazione boliviana di ayllus, lacosiddetta Federación de Ayllus del Sur de Oruro (FASOR). Il FASOR

ebbe come scopo la ricostruzione delle alleanze politiche tra gliayllus del sud del dipartimento di Oruro sulla base delle strutturetradizionali risalenti al sedicesimo secolo (121). L’iniziativa avrebbeinfluenzato la formazione della Federación de Ayllus OriginariosIndígenas del Norte de Potosí (FAOI-NP) creata nel 1993 e, successi-vamente, della confederazione Consejo de Ayllus y Markas delQullasuyu (CONAMAQ, 1997) (122). Quest’ultima organizzazione mi-rava a ricostituire gli ayllus, suyus, e markas del Qullasuyu in modotale da ottenere un’autodeterminazione politica che garantisse l’eser-cizio dei diritti collettivi dei popoli indigeni in Bolivia (123).

(121) A tale proposito Ricardo Calla, nel suo Aproximaciones etnográficas a lacubierta vegetal en Potosí (Potosí, 1995), avrebbe contribuito alla ricostruzione degliayllus nel dipartimento di Potosí.

(122) Le federazioni e consigli di cui è composta sono: Federación de Ayllus del Surde Oruro, Federación de Ayllus Originarios Indígenas del Norte de Potosí (oggi ChascasQhara Qhara), Consejo de Ayllus Originarios de Potosí, Consejo de Ayllus de Jach’aCharangas, Consejo de Ayllus de Cochabamba, Consejo de Ayllus y Markas de Chuquisacae Consejo de Suyus Aymara Quichwa.

(123) Si deve ricordare anche la formazione dell’Asamblea de las NacionalidadesOriginarias y del Pueblo, sorta di parlamento indigeno convocato nel 1992 con lo scopodi esprimere l’unità delle nazioni originarie e di presentare la richiesta territoriale. Suimovimenti indigeni boliviani che propongono la reinvenzione della cultura originariaandina vedi in sintesi: R. BARRAGÁN, Bolivia: Bridges and Chasms in D. POOLE (a cura di),A Companion to Latin American Anthropology, cit., p. 32 e ss.; J. MCNEISH, Globalizationand the Reinvention of Andean Tradition: The politics of Community and the Ethnicity ofHighland Bolivia, in T. BRASS (a cura di), Latin American Peasants, cit., p. 228 e ss.; M.STEPHENSON, Forging an Indigenous Counterpublic Sphere: The Taller de Historia OralAndina in Bolivia, in Latin American Research Review, 37, 2, 2002, pp. 99-118; J. A.LUCERO, Struggles of Voice. The Politics of Indigenous Representation in the Andes, Univ.

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Dalla prospettiva delle politiche pubbliche, gli ultimi decennidel ventesimo secolo furono testimoni dell’interesse del governoboliviano nei confronti dei movimenti internazionali sui diritti uma-ni, interesse che conduceva a un’ambiente ideologico favorevole allaformazione di uno Stato pluri-nazionale. Così, durante il governo diJaime Paz Zamora (1989-1993), sulla scia delle richieste di diverseONG e associazioni indigene, si ratificarono due strumenti fonda-mentali di protezione delle culture e dei diritti tradizionali: ladichiarazione del Comitato per l’Eliminazione della Discriminazionecontro le Donne (1990) (124) e la Convenzione 169 dell’Organizza-zione Internazionale del Lavoro (OIL) sulle Popolazioni Indigene eTribali in Stati Indipendenti (1991) (125). Il concetto di « territorioindigeno » fu, per l’appunto, sostenuto da quest’ultimo strumento,al quale le comunità — dapprima amazzoniche — aderirono epresentarono le loro istanze tramite la rappresentanza della Confe-deración de indígenas del Oriente Boliviano (CIDOB) .

Altri passi verso la costruzione del modello pluralista ebberoluogo durante il governo di Gonzalo Sánchez de Lozada (1993-1997), grazie all’ampliamento degli spazi di partecipazione degliindigeni nella politica del paese (126). Furono così approvate treimportanti leggi.

of Pittsburg Press, Pittsburg, Pa., 2008, pp. 81-96; G. COLQUE (a cura di), Territoriosindígena originario campesinos en Bolivia. Entre la Loma Santa y la Pachamama, Funda-ción Tierra, La Paz, 2011, p. 13.

(124) Ratificato dalla legge n. 1.100 del 15 settembre 1989.(125) Con la ratifica dell’11 dicembre 1991 la Bolivia fu il quarto paese ad aderire

alla Convenzione 169 OIL del 1989. L’adozione dell’accordo spinse una serie di paesilatinoamericani a seguire una politica multi-etnica e di pluralismo giuridico. Per dettaglicfr. W. ASSIES, Multi-Ethnicity, the State and the Law in Latin America, in Journal of LegalPluralism and Unofficial Law, 43, 1999, pp. 145-158; A. PEÑA JUMPA-V. CABEDO MALLOL-F. LÓPEZ BÁRCENAS, Constituciones, derecho y justicia en los pueblos indígenas de AmericaLatina, Pucp, Lima, 2002, p. 96 e ss.

(126) La presidenza di Sánchez de Lozada coincise con il consolidamento delle ideeneoliberaliste in Bolivia (il cui esempio più noto fu la Ley de Capitalización n. 1.544 delmarzo 1994). Tuttavia, la contingenza politico-sociale del Paese permise una peculiarericezione di tale corrente, abbastanza lontana dalle sue linee classiche originarie. Così, adesempio, c.d. Plan de Todos (1993), instaurò un nuovo rapporto tra governo e cittadini,avviando la privatizzazione delle imprese statali e promuovendo, al contempo, l’adozionedi una politica multi-culturale, che promuoveva l’indigenismo rappresentativo, l’educa-zione bilingue e una nuova legislazione agraria. Durante questo periodo, il katarismo

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Innanzitutto, le prime domande di inclusione etnica avrebberoavuto riconoscimento nella Ley de Participación Popular (LPP) n.1.551 dell’aprile 1994. Essa, di fatto, fu la prima normativa cheintegrava formalmente le comunità indigene nella vita giuridica,politica ed economica del paese. La LPP stabilì i requisiti perl’ottenimento della personalità giuridica delle comunità, creando ilRegistro de la Personalidad Jurídica e rappresentò il primo decisopasso verso la decentralizzazione municipale (127).

Un secondo importante passaggio legislativo si ebbe con la leggen. 1.585, dell’ agosto 1994, la quale modificò sostanzialmente il testocostituzionale del 1967 circa i popoli originari. La riforma si può

moderato, sotto la guida di Víctor Hugo Cárdenas, partecipò attivamente alla politicastatale, formando un’alleanza inedita con il movimento neoliberale. Il patto avrebbe datoi suoi frutti a breve termine. Nel 1993, quando Sánchez de Lozada fu eletto presidente,Cárdenas diventò il primo vicepresidente indigeno della storia boliviana, nonché untramite fondamentale per la formulazione della successiva legislazione pro-indigena. Suidiversi effetti della ricezione delle nozioni neoliberali in Bolivia si rimanda a B. KOHL,Challenges to Neoliberal Hegemony in Bolivia, in Antipode, 38, 2006, pp. 305, 313-314;M. GOODALE, Dilemmas of Modernity: Bolivian Encounters with Law and Liberalism,Stanford Univ. Press, Stanford, Ca., 2009, pp. 129-130; W. J. ASSIES, Land Tenure inBolivia: From Colonial Times to Post-Neoliberalism, in J. M. UBINK-A. J. HOEKEMA-W. J.ASSIES (a cura di), Legalising Land Rights, Local Practices, State Responses and TenureSecurity in Africa, Asia and Latin America, Leiden Univ. Press, Leiden, 2009, p. 306; D.L. VAN COTT, A Political Analysis of Legal Pluralism in Bolivia and Colombia, in Journalof Latin American Studies, 32, 2000, pp. 207-234; A. LUCERO, Struggles of Voice, cit. p.125.

(127) Grazie alla LPP e all’aiuto finanziario esterno della Danish InternationalDevelopment Agency (DANIDA), si crearono oltre 300 municipi, si assegnò il 20% delletasse raccolte dallo Stato ai governi municipali, si trasferirono nuove competenze aisettori educativi e sanitari e si stabilirono regole istituzionali che permisero ai rappre-sentanti locali di partecipare alle diverse iniziative nelle materie a cui si rivolgeva lapianificazione municipale. Nell’ambito delle comunità indigene, la politica di decentra-lizzazione favorì la proliferazione di veri e propri municipi indigeni. Nel 1995 ci furonole prime elezioni municipali in base alla nuova legge. Nella votazione la presenzaindigena fu notevole e i candidati dei gruppi tradizionali furono quindi eletti comesindaci e consiglieri comunali. Si ebbe così il primo consistente accesso della classeindigena alla gestione dei poteri locali. Per un approfondimento dell’esperienza dellamarka Jesús di Machaca cfr. G. COLQUE-J. CAMERON, El difícil matrimonio entre lademocracia comunal e indígena en Jesús de Machaca, cit.,; E. TICONA ALEJO-X. ALBÓ

CORRONS, Jesús de Machaqa: la marka rebelde. La lucha por el poder comunal, Cedoin-Cipca, La Paz, 1997, pp. 279-312.

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comprendere solo alla luce della crescente pressione esercitata dallediverse organizzazioni indigene (128). Come rilevato, il progetto diuna Bolivia pluri-nazionale non rispondeva solo al bisogno isolatodella classe indigena; esso era anzi ben legato al discorso sviluppatoda diverse ONG, come il Centro para la Investigación y Promoción delCampesinado (CIPCA), e al lavoro di diversi intellettuali e accademici,tra cui si ricorda il sostanziale contributo dell’antropologo XavierAlbó (129).

L’effetto di tale influsso ideologico-sociale fu alla base dellariforma dell’articolo 1 della Costituzione del 1967 che, nella suanuova redazione del 1994, dichiarò la Repubblica della Boliviamultietnica e pluri-culturale. Inoltre, all’interno dei regimi speciali,il terzo titolo si occupò del Régimen Agrario y Campesino, consa-crando nell’art. 171 la più completa disposizione costituzionale afavore dei diritti indigeni del tempo:

« I. Si riconoscono, rispettano e proteggono, nei limiti legali, i dirittisociali, economici e culturali dei popoli indigeni che abitano nel territorionazionale, specialmente quelli relativi alle loro terre comunitarie di origine,garantendo l’uso e lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, allaloro identità, valori, lingue, costumi e istituzioni.

II. Lo Stato riconosce la personalità giuridica delle comunità indigenee contadine, delle associazioni e dei sindacati contadini.

(128) Esse iniziano in modo formale con la marcia per il « Diritto al Territorio e laVita dei Popoli Indigeni » su iniziativa dell’organizzazione amazzonica Central dePueblos Indígenas del Beni (CPIB). Lo scopo centrale era quello di presentare unaproposta per ottenere il riconoscimento del carattere plurinazionale dello Stato bolivia-no. La marcia, diretta verso La Paz nel 1990, ebbe una grande portata simbolica: aidiversi popoli amazzonici si unirono dirigenti aymaras e quechuas in un’istanza chepermise agli indigeni e ai contadini delle diverse località boliviane di presentare comecomune rivendicazione la nozione di territorialità. Sul tema cfr. E. TICONA ALEJO, Ilnuovo ruolo dei popoli indigeni contadini nella politica boliviana, cit., p. 62; R. PAJUELO

TEVES, Reinventando comunidades imaginarias, cit., p. 70.(129) X. ALBÓ, Algunas pistas antropológicas para un orden jurídico andino, in D.

GARCÍA SAYÁN (a cura di), Derechos humanos y servicios legales en el campo, Caj-Cij, Lima,1987, pp. 55-90; X. ALBÓ-J. BARNADAS, La cara india y campesina de nuestra historia,Cipca, Unitas, La Paz, 1990; X. ALBÓ, El retorno del indio, in Revista Andina, 9, 2, 1991,pp. 299-366. Due pubblicazioni del CIPCA sono in particolare dedicate al riconoscimentodel pluralismo culturale boliviano: Por una Bolivia diferente: aportes a un proyectohistórico popular, La Paz, 1991; En busca de una Bolivia diferente. Sociedad y EstadoPlurinacional, La Paz, 1994. Vedi anche supra 301 nota 9.

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III. Le autorità naturali delle comunità indigene e contadine potrannoesercitare funzioni di amministrazione e applicazione di norme propriecome soluzione alternativa dei conflitti, in conformità alle loro consuetu-dini, e ai loro procedimenti, sempre che non siano contrarie a tale Costi-tuzione o alle leggi. La Legge renderà compatibile queste funzioni con leattribuzioni dei poteri dello Stato » (130).

Il passo finale verso il modello pluri-nazionale fu compiuto conl’approvazione della Ley de Tierras n. 1.715 dell’ottobre 1996 (anchenota come Ley INRA, Instituto Nacional de Reforma Agraria) chesostituì la storica normativa agraria del 1953. Questa volta il pro-cesso di preparazione della bozza avvenne con l’attiva partecipazio-ne delle organizzazioni indigene e contadine (CSUTCB, CIDOB e Cen-tral Obrera Campesina, COB), oltre ai rappresentanti degli impren-ditori agrari (CAO). Bisogna però ricordare che la legge INRA fuapprovata nel contesto dell’attuazione delle politiche neoliberali; nel1995 un rapporto della Banca Mondiale consigliava, infatti, dielaborare una nuova legge sulle terre a causa della grande incertezzasulla titolazione, che avrebbe implicato gravi problemi per l’investi-mento nell’agricoltura, soprattutto nelle regioni orientali. Ciò spiegaperché, durante i suoi primi anni di applicazione (1996-2004), lamaggior parte dei fondi — oltre 70 milioni di dollari concessi dallacooperazione internazionale — tra cui la Danish International De-velopment Agency (DANIDA), la Banca Mondiale e la Banca Intera-mericana di Sviluppo — furono destinati al risanamento e allatitolazione delle terre di comunità delle pianure e dell’oriente boli-

(130) Art. 171: « I. Se reconocen, respetan y protegen en el marco de la ley, losderechos sociales, económicos y culturales de los pueblos indígenas que habitan en elterritorio nacional, especialmente los relativos a sus tierras comunitarias de origengarantizando del uso y aprovechamiento sostenible de los recursos naturales, a suidentidad, valores, lenguas y costumbres e instituciones. II. El Estado reconoce lapersonalidad jurídica de las comunidades indígenas y campesinas y de las asociacionesy sindicatos campesinos. III. Las autoridades naturales de las comunidades indígenas ycampesinas podrán ejercer funciones de administración y aplicación de normas propiascomo solución alternativa de conflictos, en conformidad a sus costumbres y procedi-mientos, siempre que no sean contrarias a esta Constitución y las leyes. La Leycompatibilizará estas funciones con las atribuciones de los poderes del Estado ».

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viano (131). Così, i beneficiari della legge INRA furono, come avrebbedichiarato lo stesso vicepresidente Cárdenas, i popoli indigeni delleterre basse (132). Tale evento, sommato alla modalità con cui la leggefu approvata, si trova alla radice delle tensioni odierne tra lecomunità delle terre alte (valli e altopiano, concentrate nella CSUTCB)e basse (terre orientali riunite nella CIDOB) (133).

La legge INRA intendeva modernizzare il possesso fondiario inBolivia, ma soprattutto rafforzare i diritti comunitari delle organiz-zazioni tradizionali attraverso la titolazione delle cosiddette terrecomunitarie di origine (TCO), cioè, secondo l’art. 41 della legge:

« quelle aree geografiche che costituiscono l’habitat dei popoli e dellecomunità indigene originarie, a cui queste hanno tradizionalmente accessoe dove mantengono e sviluppano le loro forme di organizzazione econo-mica, sociale e culturale per garantirsi la sopravvivenza e lo sviluppo » (134).

Tali terre sono riconosciute come inalienabili, indivisibili, irre-versibili, collettive, impignorabili e imprescrittibili.

Fu così che molte comunità, che avevano aderito al modelloofferto dal sindacalismo della riforma agraria del 1953, optarono perla ricostituzione secondo il modello delle TCO, rivendicando la loro

(131) Un esempio di tali esperienze è l’accordo bilaterale firmato nel 2003 tra ilgoverno boliviano e l’USAID per la titolazione di tutte le terre del tropico di Cochabamba;a tale proposito si rimanda a: USAID, Finally I Own My Land. Bolivia Land Titling ProjectFinal Report, 2008, disponibile sul sito: http://pdf.usaid.gov/pdf_docs/PDACO482.pdf(consultato il 03/03/2011).

(132) Cit. in A. LUCERO, Struggles of Voice, cit., p. 137.(133) La negoziazione separata dello Stato con la CIDOB durante la discussione del

contenuto della legge INRA avrebbe, infatti, condotto a una formulazione della legge chefavoriva in modo palese le comunità delle terre amazzoniche e delle pianure e laconseguente divisione tra le organizzazioni amazzoniche e quelle quechuas e aymaras.Cfr. R. PAJUELO TEVES, Reinventando comunidades imaginarias, cit., pp. 74-75; A. LUCERO,Struggles of Voice, , cit., pp. 94 e 137.

(134) Art. 41, n. 5: « Las Tierras Comunitarias de Origen son los espacios geográfi-cos que constituyen el habitat de los pueblos y comunidades indígenas y originarias, a loscuales han tenido tradicionalmente acceso y donde mantienen y desarrollan sus propiasformas de organización económica, social y cultural, de modo que aseguran su sobre-vivencia y desarrollo ». Per dettagli su questa e sulla più recente normativa agrariaboliviana rinviamo al sito istituzionale dell’Instituto Nacional de la Reforma Agraria:www.inra.gob.bo.

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natura di ayllus. La LPP e la legge INRA avrebbero, dunque, compor-tato l’inizio di una nuova era, caratterizzata dalla rivalorizzazionedegli antichi ayllus il cui perfezionamento è il tema odierno dell’-amministrazione del presidente aymara Evo Morales. Durante il suoprimo governo (2006-2009) Morales ha rivitalizzato la riforma agra-ria tramite la legge n. 3.545 di Reconducción de la Reforma Agraria(2006). Essa ha modificato sostanzialmente la legge INRA a favore diuna politica più ampia e decisa di redistribuzione di terre allecomunità, con speciale riguardo alle organizzazioni tradizionali in-sediate nell’altopiano e nelle valli (135).

Nell’ambito di una rivoluzione democratica e culturale senzaprecedenti in America Latina, la recente Costituzione del 7 febbraio2009 ribadisce la volontà statale di rivendicazione dei diritti tradi-zionali e dell’autonomia territoriale delle comunità come principalestrumento per garantire la riconciliazione tra la popolazione andinamillenaria e quella contemporanea.

L’aspetto più rilevante del testo costituzionale boliviano consi-ste, per l’appunto, nell’aver proposto la rifondazione dello Stato apartire dall’esplicito riconoscimento delle radici millenarie dei po-poli indigeni ignorati nella prima fondazione repubblicana. I popoliindigeni, afferma Irigoyen, sono ormai riconosciuti non solo come« culture diverse », ma anche come nazioni originarie con caratteredi autodeterminazione: cioè soggetti politici collettivi con diritto adefinire il loro destino, a governarsi in modo autonomo e a parte-

(135) L’art. 59-II della legge di Reconducción de la Reforma Agraria indica che leterre espropriate dallo Stato saranno destinate esclusivamente ai popoli indigeni originaricon la modalità della titolazione collettiva. Quasi dieci milioni di ettari sono statiriconosciuti come TCO durante il primo mandato di Evo Morales (2005-2009). L’esten-sione di tali terre è molto variabile; l’economista Chumacero, della Fundación Tierra,afferma che in media esse hanno una superficie di 65.000 ettari essendo più grandi quelleinsediate nelle terre basse. Alcune TCO raggiungono perfino un milione di ettari(Monteverde, Tipnis y Guarayos) e altre invece neanche meno di mille (come alcuniayllus del dipartimento di Potosí); altre ancora sono frammentate in diversi territoridiscontinui (come le TCO del Chaco chuquisaqueño e tarijeno appartenenti ai guaranís oai weenhayek). Cfr. J. P. CHUMACERO R., Trece años de reforma agraria en Bolivia. Avances,dificultades y perspectivas, in ID. (a cura di), Reconfigurando territorios. Reforma agraria,control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, cit., p. 20.

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cipare nei nuovi patti con lo Stato che si configura, perciò, come uno« Stato pluri-nazionale » (136).

Il cuore della rivoluzione agraria boliviana odierna è il ricono-scimento dei diritti sociali che incorporano la cosmologia indigenanella dimensione politico-sociale del Paese. La suma tamaña, ovveroil paradigma del Vivir Bien dei popoli ancestrali boliviani, rappre-senta l’essenza di una rivoluzione sociale, politica e costituzionale, diispirazione indigena, volta a superare la società capitalistica per darvita a una società basata sul concetto di sviluppo socio-eco sosteni-bile (137). Tale alternativa consiste nel riconoscere ai popoli originarigli antichi territori e le risorse naturali e spiega il crescente interessedel governo boliviano nello stabilire una procedura di risanamentodelle terre più veloce e flessibile a favore della titolazione delle TCO

dell’altopiano.In questo contesto, uno dei grossi inconvenienti della legge INRA

e della successiva legge di Reconducción deriva dall’aver contrappo-sto le due modalità di titolazione, individuale e collettiva, in mododa vietare la titolazione simultanea di uno stesso suolo come pro-

(136) R. IRIGOYEN, El horizonte del constitucionalismo pluralista: del multiculturali-smo a la descolonización, in C. RODRÍGUEZ GARAVITO (a cura di), El derecho en AméricaLatina. Un mapa para el pensamento jurídico del siglo XXI, Siglo Veintiuno Editores,Buenos Aires, 2011, p. 149. Vedi anche C. PRONER, El Estado plurinacional y la nuevaConstitución boliviana, in Riv. dir. pubb. comp. eur., 2, 2012, p. 414 e ss. I primi esempidi rifondazione di organizzazioni tradizionali secondo le logiche dello Stato pluri-nazionale in Bolivia rendono evidente l’iniziale successo della formula che proponeval’adeguamento reciproco tra diritto statale e regola tradizionale. Sul punto, si possonoconsultare gli statuti delle c.d. autonomías indígenas originario campesinas (cioè, auto-governi locali basati sul concetto di territori indigeni originari contadini nei termini degliartt. 289 e ss. della Costituzione). Cfr. FUNDACIÓN TIERRA – REGIONAL ALTIPLANO, Estatutoy Reglamento Interno del Ayllu Originario Yanarico, La Paz, 2012; Estatuto ComunalOriginario Campesino Autónomo del Ayllu Yanamani, La Paz, 2011; Estatuto Comunaldel Ayllu Guaraya Originario; La Paz, 2011; Estatuto del Ayllu Originario Caluyo, La Paz,2011. Testi disponibili sul sito web: www.ftierra.org.

(137) Cfr. L. VASAPOLLO, Dagli Appennini alle Ande, cit., p. 152. Cfr. anche L.VASAPOLLO-I. FARAH (a cura di), Pachamama. L’educazione universale al Vivir Bien,Natura Avventura Edizioni, vol. 1, Roma, 2010. Sono, d’altronde, rilievi simili alparadigma del Buen vivir (sumak kawsay) adottato dalla Costituzione Ecuadoriana del2008. Per l’approfondimento vedi E. R. ZAFFARONI, Pachamama, Sumak Kawsay yConstituciones, in Riv. dir. pubb. comp. eur., 2, 2012, p. 422 e ss.

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prietà collettiva e familiare (138). Si contrapponevano, così, la tito-lazione delle terre familiari o individuali da un lato, e la titolazionedelle terre di comunità o delle TCO di proprietà collettiva dall’altro,in un ambito in cui, come è noto, « con un piede nelle economie dimercato e con l’altro nei rapporti tradizionali di reciprocità, lecomunità si organizzano e accedono alle terre in una complessacombinazione di un diritto proprietario che, nella maggior parte deicasi, fonde la proprietà privata familiare con la proprietà comunita-ria » (139).

Abbiamo avuto modo di constatare nel corso di quest’opera cheil diritto alla terra nelle comunità integra diritti famigliari-individualie diritti comunitari strettamente collegati a obblighi verso il grup-po (140). Anche se la titolazione delle TCO, secondo il modello dellaproprietà collettiva, non è stata la soluzione più adatta per moltecomunità quechuas e aymaras delle terre alte (141), il successo di taleformula in Bolivia, afferma Gonzalo Colque, si spiega perché ilmodello proprietario proposto era affine al sistema fondiario deipopoli indigeni delle terre basse, beneficiati dal processo di riformaagraria intrapreso con la legge INRA. La proprietà collettiva delleTCO, di fatto, corrisponde strettamente all’economia delle comunitàindigene dell’Amazzonia, basata sull’uso estensivo dei territori per lacaccia, la pesca, la raccolta e l’estrazione delle risorse dei boschi.Tale situazione, come sappiamo, contrasta con le tipologie di pos-

(138) Come sottolinea Gonzalo Colque, tale possibilità fu riconosciuta alle comu-nità formatesi con le ex-haciendas durante il periodo della riforma agraria del 1953: unaparte delle terre delle haciendas fu consegnata come proprietà individuale e un’altra futitolata come proprietà pro-indiviso a favore di tutti o di una parte dei comunerosvincolati all’ex-hacienda. Ogni comunero aveva così un piano di proprietà che specificavagli appezzamenti che erano di sua proprietà (in genere da cinque a dieci ettari), comepure le terre pro-indiviso in cui aveva diritto di accesso insieme ad altri membri dellacomunità. G. COLQUE, La propiedad colectiva o comunitaria. Recientes enfoques y dilemasde la reforma agraria, in J. P. CHUMACERO (a cura di), Reconfigurando territorios. Reformaagraria, control territorial y gobiernos indígenas en Bolivia, cit., p. 39.

(139) M. URIOSTE, Bolivia: la reforma agraria abandonada. Los valles y el altiplano,cit., 179.

(140) Cfr. supra 66 e ss.; 106 e ss.(141) Per tale ragione molte comunità alto-andine hanno preferito la titolazione

individuale degli appezzamenti a nome delle famiglie che li lavorano. Così, G. COLQUE,La propiedad colectiva o comunitaria, cit., p. 42.

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sesso e utilizzo delle risorse delle comunità agro-pastorali insediatenelle valli e nell’altopiano boliviano (142).

La Costituzione politica del 2009 ha riproposto, tuttavia, ildualismo individuale-cottettivo della proprietà. Ma per quanto con-cerne i diritti fondiari delle comunità, ha invece introdotto dueimportanti modifiche. Innanzitutto, ha aggiunto una nuova catego-ria, il Territorio Indígena Originario Campesino (TIOC), che sostitui-sce le TCO, le quali gradualmente saranno sottoposte ad una praticaamministrativa di conversione. Il cambiamento comporta che i titolidelle TCO siano riconfermati come « territorio », espressione omessadalla legge INRA e che il testo costituzionale riconosce per adeguarela legge agraria alla Convenzione 169 dell’OIL, nonché alla Dichia-razione delle Nazione Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni del2007 (143). Ma la novità più importante dal punto di vista delriconoscimento dei diritti fondiari tradizionali risiede nell’art. 394-III che dichiara la « complementarietà tra diritti collettivi e indivi-duali », propria delle dinamiche fondiarie delle comunità alto-andine. Viene così ammessa la titolazione mista delle terre (144),dichiarazione che, insieme alla consacrazione del diritto di consul-tazione e all’autonomia territoriale su materie rilevanti come l’auto-governo e i diritti sulle risorse naturali, rendono il testo del 2009 unconsolidamento avanguardista dei diritti territoriali indigeni nelcontesto latinoamericano.

Lo Stato boliviano dovrà superare molte sfide collegate allarecente legislazione; se solo si pensa alla difficile complementarietàtra i diritti paritari riconosciuti alla donna, in materia di accesso etitolazione fondiaria, e la sua paradossale e precaria situazionenell’ambito delle regole tradizionali, si può già intuire una delle tantecontrapposizioni culturali tra la regola statale e il diritto indige-no (145). Malgrado gli importanti sviluppi legislativi a favore del

(142) Ibid., p. 47.(143) Ratificata tramite la legge n. 3.760 del 2007.(144) Art. 394-III: « Las comunidades podrán ser tituladas reconociendo la com-

plementariedad entre los derechos colectivos e individuales respetando la unidadterritorial con identidad ».

(145) Sul punto cfr. E. SANJÍNES DELGADO, Los rostros fememinos de la reformaagraria. Retos inconclusos en el tema de género, in J. P. CHUMACERO (a cura di),

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riconoscimento della parità di genere in materia di accesso e titola-zione delle terre, nelle comunità aymaras e quechuas persiste oggi ilprincipio secondo cui la donna sposata accede alle terre del maritoe, per tale motivo, si ritiene che non sia necessario che le riceva pervia ereditaria, o che le riceverà di qualità inferiore, o in modo piùlimitato. La vedova inoltre è priva, in non poche comunità, di dirittiereditari, ragione per cui i familiari del defunto — o a volte la stessacomunità — negano i suoi diritti fondiari alla morte del capofamiglia (146).

Si comprende, pertanto, come la normativa che attuerà la nuovalegislazione dovrà avere presente il gioco di complessi temi culturali,nonché i più impari conflitti di interesse per quanto riguardal’accesso e la distribuzione della terra presenti sia all’interno di unastessa famiglia, sia nei rapporti famiglia-comunità, sia tra comunitàdiverse (147).

Conclusioni

Gli studi interdisciplinari sulle comunità, condotti con intensitàdurante la seconda metà del Novecento, individuano da prospettive

Reconfigurando territorios. Reforma agraria, control territorial y gobiernos indígenas enBolivia, cit., p. 69.

(146) Cfr. J. P. CHUMACERO, Conflicto por la tierra en comunidades aymaras, quechuasy chiquitanas en Bolivia, cit., p. 89; G. COLQUE-J. CAMERON, El difícil matrimonio entre lademocracia comunal e indígena en Jesús de Machaca, cit., pp. 181-183; G. COLQUE, TitikaniTakaka. Construyendo normas y derechos sobre la tierra, Fundación Tierra, La Paz, 2005,p. 30. Sul coordinamento tra i principi aymaras e quelli statali, per quanto concerne i dirittie il ruolo attivo delle donne nell’esperienza del municipio indigeno Jesús di Machaca, sonoeloquenti le riflessioni di G. COLQUE-J. CAMERON, El difícil matrimonio entre la democraciacomunal e indígena en Jesús de Machaca, cit., pp. 181-183; 201-202. Cfr. anche E. VALDA-P.COSTAS, Mujer y tierra en Sopachuy. Comunidad Villa Candelaria, Fundación Tierra, 2010.

(147) A tale proposito si rimanda a J. P. CHUMACERO, Conflicto por la tierra encomunidades aymaras, quechuas y chiquitanas en Bolivia, cit. Conviene notare che iconflitti intracomunitari sono più frequenti in quelle comunità che hanno un’organiz-zazione comunitaria debole, situazione che consente la penetrazione delle regole stataliche, in genere, autorizzano la formulazione di pretese basate su interessi individuali. Alcontrario, una comunità organizzata esprime la sua coesione nel rispetto delle normeinterne e gli eventuali conflitti sono quindi sciolti nel quadro della sua organizzazione,evitando così l’intromissione delle autorità statale negli affari interni della comunità.

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moderne i fattori e le strategie da cui dipende il funzionamento delsistema fondiario tradizionale. Lo sforzo combinato degli economistie degli antropologi ha prodotto una conoscenza migliore dellelogiche delle pratiche delle comunità e ha conferito alle regoleoriginarie una valenza scientifico-culturale che è il primo presuppo-sto per politiche pubbliche più adeguate alla realtà. Lo studio delsistema fondiario tradizionale impone di padroneggiare un approc-cio trasversale all’argomento e la creazione di tale nesso tra variediscipline apre oggi agli economisti, agli antropologi, agli storici e aigiuristi la preziosa opportunità di comprendere la complessità cheemerge dal gioco dei rapporti fondiari nelle terre alto-andine. Tut-tavia, il ricorso a tale tecnica ha avuto risultati impari di fronte allepolitiche adottate dal potere centrale in tempi più recenti.

I contributi su cui ci siamo soffermati chiariscono la ragione percui, nonostante i ripetuti tentativi di riforma legislativa di taglioliberale, le comunità non siano state azzerate. La risposta all’inter-rogativo circa il perdurare della dimensione comunitaria nel temposi trova nelle pratiche che conferiscono alle organizzazioni tradizio-nali una forte coesione e autonomia, nonché in modalità di uso dellaterra rispondenti alle condizioni ecologiche estreme delle Ande. Perquesto motivo le politiche legislative, ispirate alle diverse filosofieeconomiche occidentali, non sono riuscite a distruggere quei mec-canismi comunitari che esprimono una forte coesione tra le culturetradizionali e la natura.

D’altra parte, imporre una soluzione esterna all’assetto fondiariotradizionale equivale ad ignorare una questione che da sempre sipone: sapere se l’incorporazione nella società dominante e il poten-ziale surplus economico che deriva dall’accesso alla proprietà for-male siano, per i membri delle comunità, esiti necessariamentepositivi, ovvero desiderabili dal punto di vista razionale.

In verità, le scelte economiche del comunero sono razionali inquanto rispettano i rapporti reciproci e le dinamiche stabilite dallacomunità alla luce delle condizioni geo-climatiche del luogo. Ma nonsolo: l’aspetto spirituale della relazione che lega ogni comunero allaterra origina una particolare logica culturale che è altra rispetto aquella propria delle economie capitaliste. Siamo, quindi, di fronte auna cultura che, come rileva Thierry Verhelst a proposito dei sistemieconomici dei popoli del Terzo Mondo, intende l’economia a suo

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modo; si tratta cioè di un’economia basata sui valori della conviven-za e della cooperazione, sui meccanismi di mantenimento a ognicosto della coesione sociale e del rispetto degli equilibri naturali, einfine sul senso di solidarietà rinforzato — e spesso anche limitato a— dall’appartenenza alla comunità. In tale ambito, la sopravvivenzae l’autosufficienza valgono più del profitto e dei rischi materiali espirituali che ne conseguono (148).

Dal versante dell’evoluzione legislativa, negli anni ottanta delventesimo secolo il Perù avvia un rinnovato processo di riconosci-mento giuridico delle comunità. Intervengono così la dichiarazionedell’autonomia delle comunità per quanto riguarda l’organizzazioneinterna e l’uso della terra, e si ampliano dei margini del dirittotradizionale.

La legislazione pro-comunitaria si afferma con il più notoesempio costituito dalla Ley General de Comunidades Campesinasdel 1987. Malgrado gli ampi riconoscimenti fondiari conferiti allecomunità, l’influsso della teoria neoliberale presente nei decretilegge n. 653 e 667, nel PETT e nella Costituzione del 1993, avrebbeconcluso il ventesimo secolo con una spinta alla divisione delle terredi comunità e alla scomparsa delle regole tradizionali dalle normedel Codice civile del 1984. In tempi odierni, l’ondata di liberalizza-zione delle terre agricole ha permesso che un gran numero diimprese transazionali si installasse nei territori indigeni per realizzareattività estrattive, dando luogo a nuove spoliazioni, simili a quelle deldiciannovesimo secolo. Tale ondata è anche all’origine di movimentiindigeni, soprattutto nelle zone amazzoniche, che rivendicano ildiritto di autodeterminazione e il recupero delle terre ancestralirichiamandosi alla Convenzione 169 dell’OIL.

Il quadro legislativo applicabile alle comunità peruviane è dun-que cambiato radicalmente a partire dagli anni novanta. Dallalegislazione tutelar inaugurata dal testo costituzionale del 1920 si èpassati a una politica che conferisce maggiore autonomia ai membridelle comunità circa il destino delle loro terre, innescando undibattito interno circa l’opportunità della divisione dei loro territorie della titolazione individuale. Così, con la caduta della legislazione

(148) Così, T. VERHELST, Sud Nord: Il diritto dei popoli alla differenza, EdizioniGruppo Abele, Torino, p. 50.

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pro-comunitaria in Perù riprende l’attuazione della politica repub-blicana dei piccoli proprietari, voluta da Bolívar nell’Ottocento.Ritorna, pertanto, sulla scia delle idee sostenute da De Soto, unapolitica fondiaria che si rifà alla nozione di « sviluppo » nei terminiproposti dalla teoria economica occidentale (149).

L’imposizione monolitica del modello dell’individualismo pro-prietario, proprio delle riforme neoliberali peruviane, contrasta conla via scelta in Bolivia quanto alla sorte dei territori delle comunità.

Durante gli anni novanta, una maggiore consapevolezza dellamatrice indigeno-comunitaria della nazione boliviana e la mancanzadi impegno dei governi nei confronti della realtà dei popoli originaridiede origine a una serie di mobilitazioni indigene per la ricostitu-zione degli antichi ayllus secondo la loro struttura precolombiana. Inquesto contesto, l’introduzione del neoliberalismo nelle politichepubbliche coincise paradossalmente con la ratifica di varie conven-zioni internazionali indirizzate a riconoscere le differenze culturali egli spazi di partecipazione sociale fino ad allora negati ai settoristoricamente emarginati. Fu così che la riforma costituzionale del1994 e la legge INRA del 1996 ricongiunsero la regola statale almodello del multiculturalismo, allargando il glossario dei diritticollettivi dei popoli indigeni. Di conseguenza, il neoliberalismo inBolivia si trova a convivere con un movimento di promozione delpluralismo culturale, il quale riconosce ampi margini di autonomiaterritoriale, consentendo la ricomposizione dei diritti tradizionalisulle terre ancestrali. Tale processo ha per cornice un fenomenorivoluzionario senza precedenti, attuato oggi attraverso il processo dirisanamento di terre ancestrali stabilito dalla Ley de Reconducción dela Reforma Agraria del 2006 e, soprattutto, dal testo costituzionaledel 2009.

Il valore essenziale della rivoluzione giuridico-culturale bolivia-na consiste nell’aver basato la filosofia dello Stato sul concetto delVivir Bien, che offre un modello di sviluppo alternativo alla legge delcapitale. Si tratta di un modello di carattere comunitario, che implica

(149) Sul punto cfr. le valide riflessioni di E. GRILLO FERNANDEZ, Development orDecolonization in the Andes?, in F. APFFEL-MARGLIN & PRATEC (a cura di), The Spirit ofRegeneration: Andean Culture Confronting Western Notions of Development, Zed Books,London & New York, 1998, p. 220.

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la comunione armonica del singolo con la Pacha Mama. La Boliviaodierna propone così il passaggio dal modello di sviluppo occiden-tale alla nozione di « decolonizzazione » mediante la rifondazionedello Stato che viene realizzata attraverso il recupero dei valoriculturali dei popoli autoctoni.

Nella prospettiva dei fatti, è importante infine sottolineare comenelle Ande odierne la contesa è sulla risorsa sempre più scarsa: laterra idonea all’uso agro-pastorale. Fattori come la crescita dellapopolazione, l’influsso delle forze del mercato e l’applicazione delleregole successorie tradizionali, hanno infatti aggravato le condizionidi scarsità della risorsa. Tutto ciò si traduce nell’aumento delllaparcellizzazione fondiaria, nell’uso più intensivo delle aynuqas, enella conseguente eliminazione delle pratiche di rotazione dellecoltivazioni e della riduzione delle attività pastorali. Molte sono lemisure adottate dalle comunità e dalle famiglie quechuas e aymarasper far fronte a tale situazione: dalla migrazione nelle città, o in altrecomunità, ad uno sfruttamento più intenso dei diversi livelli ecolo-gici, dall’utilizzo di nuove tecniche che operano in spazi sempre piùridotti, allo sviluppo di regole successorie che impediscono la ricercadi introiti provenienti da attività diverse da quelle agricole. Si trattadi strategie che hanno consentito di mantenere, nelle valli e nell’al-topiano, una situazione che è oggi definita come « minimamentesostenibile » (150).

In uno scenario che pone delle sfide sempre più complesse agliattori dell’altopiano, il ruolo che spetta alla comunità è quello digarantire l’equo accesso alla terra per far sopravvivere le famiglienelle estreme condizioni ambientali delle Ande. Occorrerà, pertan-to, rafforzare il collegamento tra le politiche centrali e quelle locali,integrando le forme di democrazia statali e tradizionali. Nell’ambitodegli ampi spazi riconosciuti dallo Stato pluri-nazionale ai popoliindigeni, preme infine consolidare le comunità, le loro regole,l’importanza del loro ruolo come enti garanti della definizione deidiritti fondiari, in modo tale da raggiungere l’anelato equilibrio tra lalogica statale e la cosmologia tradizionale.

(150) Così, J. P. CHUMACERO, Conflicto por la tierra en comunidades aymaras,quechuas y chiquitanas en Bolivia, cit., p. 86 e 87.

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INDICE SOMMARIO

Presentazione di Ugo Mattei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VII

Chiarimenti preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

INTRODUZIONE

PER UNA DECOSTRUZIONE DEL CONCETTO DI« PROPRIETÀ » NELLE ANDE CENTRALI

1. Il linguaggio della Conquista. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112. Il problema metodologico: i nuovi venuti, gli autoctoni. . . . . . . . . . . 153. Il rapporto con la terra. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274. La base spirituale della relazione con la terra. . . . . . . . . . . . . . . . 315. Il dualismo individuale-collettivo: una critica. . . . . . . . . . . . . . . . . 346. Tra persone e cose: un sistema olistico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417. La proprietà e la comunità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 448. Una prima proposta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

Parte IIL SISTEMA ALTERATO

CAPITOLO I

LE REGOLE TRADIZIONALIALLA LUCE DELL’ETNOGRAFIA CONTEMPORANEA

Sezione ILE REGOLE FONDIARIE ALL’INTERNO DELLE COMUNITÀ ANDINE

1. La struttura territoriale della comunità: l’ayllu, la marka e la comunidad. . 522. I rapporti fondiari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

2.1. I tributi, le categorie e l’accesso alla terra. . . . . . . . . . . . . . 60

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2.2. La reciprocità e la redistribuzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662.3. I fattori geografici: il controllo dei livelli ecologici. . . . . . . . . . 692.4. Le regole successorie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

Sezione III CARATTERI DELLE REGOLE FONDIARIE

1. Le forme di possesso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 911.1. La “sayaña”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 931.2. L’“aynuqa”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 951.3. Le terre di pascolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98

2. La dinamica delle regole e i tentativi di sistemazione. . . . . . . . . . . . 99

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

CAPITOLO II

L’ALTERAZIONE: L’INSERIMENTO DELLA TERRANEL DIRITTO OCCIDENTALE

Sezione ILA CONQUISTA E IL PRIMO PERIODO COLONIALE (1492-1591)

1. Brevi considerazioni sul sistema fondiario incaico. . . . . . . . . . . . . . 1132. La frattura del sistema. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122

2.1. La giustificazione dell’appropriazione. . . . . . . . . . . . . . . . . 1222.2. L’encomienda e i tributi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1322.3. La politica delle “reducciones”. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

3. L’insediamento della proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1524. I confronti tra i modelli: brevi cenni sui casi giurisprudenziali. . . . . . . 165

Sezione IILA LEGALITÀ REPUBBLICANA

1. Il costituzionalismo del diciannovesimo secolo: il silenzio sulla realtà. . . 1711.1. L’ideologia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1721.2. I testi e il programma dei documenti costituzionali. . . . . . . . . 186

2. I codici civili: Napoleone nelle Ande. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1942.1. Il concetto di proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1982.2. Lo Stato proprietario. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2022.3. Lo spazio della consuetudine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204

INDICE SOMMARIO358

Page 369: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

3. La legislazione agraria speciale: Bolívar e la Bolivia. . . . . . . . . . . . . 2073.1. I decreti bolivariani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2073.2. L’individualismo proprietario e le leggi agrarie. . . . . . . . . . . . 2113.3. La legge di svincolo e le “revisitas”. . . . . . . . . . . . . . . . . . 218

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227

Parte IIIL SISTEMA RIVENDICATO

CAPITOLO III

I PRIMI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI

Sezione IIL PERÙ

1. I dibattiti e le prime regole costituzionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2422. Il codice civile e le leggi speciali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2533. La riforma agraria: la scelta cooperativista. . . . . . . . . . . . . . . . . . 260

Sezione IILA BOLIVIA

1. Tra rivolte e diritti sociali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2702. Le prime regole costituzionali e i programmi politici. . . . . . . . . . . . 2783. La riforma agraria: tra sindacalismo e liberalismo. . . . . . . . . . . . . . 283

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292

CAPITOLO IV

LE SCIENZE SOCIALIE I NUOVI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI

Sezione IPER UNA RICOSTRUZIONE DELLA COMPLESSITÀ FONDIARIA ANDINA:

GLI APPROCCI INTERDISCIPLINARI

1. Dall’antropologia all’economia di comunità. . . . . . . . . . . . . . . . . 298

INDICE SOMMARIO 359

Page 370: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

2. Antropologi, economisti e la logica dell’uso della terra. . . . . . . . . . . 3073. La teoria economica e le terre andine: i dibatitti intorno alle tesi neoli-

berali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311

Sezione III NUOVI RICONOSCIMENTI LEGISLATIVI:

TRA NEOLIBERALISMO E MULTICULTURALISMO

1. Il Perù: l’ascesa e la caduta della legislazione pro-comunitaria. . . . . . . 3262. La Bolivia, verso il riconoscimento integrale: progetti, movimenti e Stato

pluri-nazionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 336

Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 351

INDICE SOMMARIO360

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UNIVERSITÀ DI FIRENZE

CENTRO DI STUDIPER LA STORIA DEL PENSIERO GIURIDICO MODERNO

PUBBLICAZIONI

QUADERNI FIORENTINI« Per la storia del pensiero giuridico moderno »Vol. 1 (1972), 8°, p. 486Vol. 2 (1973), 8°, p. 798Vol. 3-4 (1974-75) - Il « socialismo giuridico ». Ipotesi e letture, due tomi in 8°, p. 1041Vol. 5-6 (1976-77) - Itinerari moderni della proprietà, due tomi in 8°, p. 1140Vol. 7 (1978) - Emilio Betti e la scienza giuridica del Novecento, 8°, p. 648Vol. 8 (1979), 8°, p. 564Vol. 9 (1980) - Su Federico Carlo di Savigny, 8°, p. 590Vol. 10 (1981), 8°, p. 584Vol. 11-12 (1982-83) - Itinerari moderni della persona giuridica, due tomi in 8°, p. 1200Vol. 13 (1984), 8°, p. 782Vol. 14 (1985), 8°, p. 646Vol. 15 (1986), 8°, p. 748Vol. 16 (1987) - Riviste giuridiche italiane (1865-1945), 8°, p. 718Vol. 17 (1988), 8°, p. 640Vol. 18 (1989), 8°, p. 744Vol. 19 (1990), 8°, p. 736Vol. 20 (1991) - François Gény e la scienza giuridica del Novecento, 8°, p. 588Vol. 21 (1992), 8°, p. 750Vol. 22 (1993) - Per Federico Cammeo, 8°, p. 706Vol. 23 (1994), 8°, p. 554Vol. 24 (1995), 8°, p. 620Vol. 25 (1996), 8°, p. 810Vol. 26 (1997), 8°, p. 744Vol. 27 (1998), 8°, p. 590Vol. 28 (1999) - Continuità e trasformazione: la scienza giuridica italiana tra fascismo e

repubblica, due tomi in 8°, p. 1180Vol. 29 (2000), 8°, p. 578Vol. 30 (2001), due tomi in 8°, p. 988Vol. 31 (2002) - L’ordine giuridico europeo: radici e prospettive, due tomi in 8°, p. 950Vol. 32 (2003), 8°, p. 796Vol. 33-34 (2004-2005) - L’Europa e gli ‘Altri’. Il diritto coloniale fra Otto e Novecento,

due tomi in 8°, p. 1408Vol. 35 (2006), due tomi in 8°, p. 1120Vol. 36 (2007) - Principio di legalità e diritto penale (per Mario Sbriccoli), due tomi in

8°, p. 1562Vol. 37 (2008), 8°, p. 744Vol. 38 (2009) - I diritti dei nemici, due tomi in 8°, p. 1956Vol. 39 (2010), 8°, p. 946Vol. 40 (2011) - Giudici e giuristi. Il problema del diritto giurisprudenziale fra Otto e

Novecento, due tomi in 8°, p. 1174Vol. 41 (2012), 8°, p. 940

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BIBLIOTECA« Per la storia del pensiero giuridico moderno »01 LA SECONDA SCOLASTICA NELLA FORMAZIONE DEL DIRITTO

PRIVATO MODERNO Incontro di studio - Firenze, 17-19 ottobre 1972 Atti, a cura di Paolo Grossi (1973), 8°, p. 484

02 Mario Sbriccoli, CRIMEN LAESAE MAIESTATIS Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna (1974), 8°, p. 399

03 Pietro Costa, IL PROGETTO GIURIDICO Ricerche sulla giurisprudenza del liberalismo classico Vol. I: Da Hobbes a Bentham (1974), 8°, p. XIII-414

04 Mario Sbriccoli, ELEMENTI PER UNA BIBLIOGRAFIA DEL SOCIALISMO GIURIDICO ITALIANO

(1976), 8°, p. 169

05 Paolo Grossi, « UN ALTRO MODO DI POSSEDERE » L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica post-unitaria (1977), 8°, p. 392

06/7 Franz Wieacker, STORIA DEL DIRITTO PRIVATO MODERNO con particolare riguardo alla Germania Trad. di Umberto Santarelli e di Sandro A. Fusco Vol. I (1980), 8°, p. 560 Vol. II (1980), 8°, p. 429

08 Maurizio Fioravanti, GIURISTI E COSTITUZIONE POLITICA NELL’OTTO-CENTO TEDESCO

(1979), 8°, p. 432

09 Peter Stein-John Shand, I VALORI GIURIDICI DELLA CIVILTÀ OCCIDEN-TALE

Trad. di Alessandra Maccioni (1981), 8°, p. 465

10 Gioele Solari, SOCIALISMO E DIRITTO PRIVATO Infl uenza delle odierne dottrine socialistiche sul diritto privato (1906) Edizione postuma a cura di Paolo Ungari (1980), 8°, p. 259

11/12 CRISTIANESIMO, SECOLARIZZAZIONE E DIRITTO MODERNO A cura di Luigi Lombardi Vallauri e Gerhard Dilcher (1981), 8°, p. 1527

13 LA « CULTURA » DELLE RIVISTE GIURIDICHE ITALIANE Atti del Primo Incontro di studio - Firenze, 15-16 aprile 1983 A cura di Paolo Grossi (1984), 8°, p. VI-198

14 Franco Todescan, LE RADICI TEOLOGICHE DEL GIUSNATURALISMO LAICO

I. Il problema della secolarizzazione nel pensiero giuridico di Ugo Grozio (1983), 8°, p. VIII-124

Page 373: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

15 Emanuele Castrucci, TRA ORGANICISMO E « RECHTSIDEE » Il pensiero giuridico di Erich Kaufmann (1984), 8°, p. XIV-202

16 Pietro Barcellona, I SOGGETTI E LE NORME (1984), 8°, p. IV-204

17 Paolo Cappellini, SYSTEMA IURIS I. Genesi del sistema e nascita della « scienza » delle Pandette (1984), 8°, p. XII-63818 Luca Mannori, UNO STATO PER ROMAGNOSI I. Il progetto costituzionale (1984), 8°, p. XII-656

19 Paolo Cappellini, SYSTEMA IURIS II. Dal sistema alla teoria generale (1985), 8°, p. XII-416

20 Bernardo Sordi, GIUSTIZIA E AMMINISTRAZIONE NELL’ITALIA LIBERALE La formazione della nozione di interesse legittimo (1985), 8°, p. 483

21 Pietro Costa, LO STATO IMMAGINARIO Metafore e paradigmi nella cultura giuridica fra Ottocento e Novecento (1986), 8°, p. IV-476

22 STORIA SOCIALE E DIMENSIONE GIURIDICA - STRUMENTI D’INDAGI-NE E IPOTESI DI LAVORO

Atti dell’Incontro di studio - Firenze, 26-27 aprile 1985 A cura di Paolo Grossi (1986), 8°, p. VIII-466

23 Paolo Grossi, STILE FIORENTINO Gli studi giuridici nella Firenze italiana - 1859-1950 (1986), 8°, p. XV-230

24 Luca Mannori, UNO STATO PER ROMAGNOSI II. La scoperta del diritto amministrativo (1987), 8°, p. VIII-254

25 Bernardo Sordi, TRA WEIMAR E VIENNA Amministrazione pubblica e teoria giuridica nel primo dopoguerra (1987), 8°, p. 378

26 Franco Todescan, LE RADICI TEOLOGICHE DEL GIUSNATURALISMO LAICO

II. Il problema della secolarizzazione nel pensiero giuridico di Jean Domat (1987), 8°, p. VIII-88

27 Paolo Grossi, « LA SCIENZA DEL DIRITTO PRIVATO » Una rivista-progetto nella Firenze di fi ne secolo - 1893-1896 (1988), 8°, p. IX-206

28 LA STORIOGRAFIA GIURIDICA SCANDINAVA Atti dell’Incontro di studio - Firenze, 22-23 maggio 1987 A cura di Paolo Grossi (1988), 8°, p. VI-87

29 LA CULTURE DES REVUES JURIDIQUES FRANÇAISES A cura di André-Jean Arnaud (1988), 8°, p. IV-144

Page 374: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

30 Adam Smith, LEZIONI DI GLASGOW Introduzione a cura di Enzo Pesciarelli Traduzione di Vittoria Zompanti Oriani (1989), 8°, p. CXXVIII-766

31 Thilo Ramm, PER UNA STORIA DELLA COSTITUZIONE DEL LAVORO TEDESCA

A cura di Lorenzo Gaeta e Gaetano Vardaro (1989), 8°, p. 195

32 PIERO CALAMANDREI - Ventidue saggi su un grande maestro A cura di Paolo Barile (1990), 8°, p. 556

33 IL PENSIERO GIURIDICO DI COSTANTINO MORTATI A cura di Mario Galizia e Paolo Grossi (1990), 8°, p. 644

34/35 HISPANIA - ENTRE DERECHOS PROPIOS Y DERECHOS NACIONALES Atti dell’incontro di studio - Firenze/Lucca 25, 26, 27 maggio 1989 A cura di B. Clavero, P. Grossi, F. Tomas y Valiente Tomo I (1990), 8°, p. VI-530 Tomo II (1990), 8°, p. IV-531-1036

36 Osvaldo Cavallar, FRANCESCO GUICCIARDINI GIURISTA I ricordi degli onorari (1991), 8°, p. XXII-396

37 Bernardo Sordi, L’AMMINISTRAZIONE ILLUMINATA Riforma delle Comunità e progetti di Costituzione nella Toscana leopoldina (1991), 8°, p. 424

38 Franco Cipriani, STORIE DI PROCESSUALISTI E DI OLIGARCHI La Procedura civile nel Regno d’Italia (1866-1936) (1991), 8°, p. X-536

39 Bartolomé Clavero, ANTIDORA Antropología católica de la economía moderna (1991), 8°, p. VI-259

40 Giovanni Cazzetta, RESPONSABILITÀ AQUILIANA E FRAMMENTAZIONE DEL DIRITTO COMUNE CIVILISTICO (1865-1914)

(1991), 8°, p. IV-564

41 Paolo Grossi, IL DOMINIO E LE COSE Percezioni medievali e moderne dei diritti reali (1992), 8°, p. 755

42 L’INSEGNAMENTO DELLA STORIA DEL DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO Strumenti, destinatari, prospettive Atti dell’Incontro di studio - Firenze, 6-7 novembre 1992 A cura di Paolo Grossi (1993), 8°, p. VIII-440

43 PERIODICI GIURIDICI ITALIANI (1850-1900) - Repertorio A cura di Carlo Mansuino (1994), 8°, p. XIV-368

44 Stefano Mannoni, UNE ET INDIVISIBLE Storia dell’accentramento amministrativo in Francia - I (1994), 8°, p. XXII-603

Page 375: Biblioteca per la storia del pensiero giuridico moderno ...raffinatissimo civilista cileno Daniel Peñailillo, intendeva dedicare, come il maestro, le proprie energie allo studio

45 Luca Mannori, IL SOVRANO TUTORE Pluralismo istituzionale e accentramento amministrativo nel Principato dei Medi-

ci (Secc. XVI-XVIII) (1994), 8°, p. VIII-486

46 Stefano Mannoni, UNE ET INDIVISIBLE Storia dell’accentramento amministrativo in Francia - II (1996), 8°, p. XVI-448

47 Bartolomé Clavero, TOMÁS Y VALIENTE Una biografía intelectual (1996), 8°, p. XXXVI-374

48 Costantino Mortati, L’ORDINAMENTO DEL GOVERNO NEL NUOVO DIRITTO PUBBLICO ITALIANO

Ristampa inalterata, con una prefazione di Enzo Cheli (2000), 8°, p. X-234

49 Costantino Mortati, LA COSTITUZIONE IN SENSO MATERIALE Ristampa inalterata, con una premessa di Gustavo Zagrebelsky (1998), 8°, p. XXXVIII-212

50 GIURISTI E LEGISLATORI Pensiero giuridico e innovazione legislativa nel processo di produzione del diritto Atti dell’Incontro di studio - Firenze, 26-28 settembre 1996 A cura di Paolo Grossi (1997), 8°, p. VIII-530

51 Pio Caroni, SAGGI SULLA STORIA DELLA CODIFICAZIONE (1998), 8°, p. XX-270

52 Paolo Grossi, ASSOLUTISMO GIURIDICO E DIRITTO PRIVATO (1998), 8°, p. X-474

53 Giovanni Cazzetta, PRÆSUMITUR SEDUCTA Onestà e consenso femminile nella cultura giuridica moderna (1999), 8°, p. IV-426

54 Stefano Mannoni, POTENZA E RAGIONE La scienza del diritto internazionale nella crisi dell’equilibrio europeo (1870-1914) (1999), 8°, p. IV-276

55/56 Sergio Caruso, LA MIGLIOR LEGGE DEL REGNO Consuetudine, diritto naturale e contratto nel pensiero e nell’epoca di John Selden

(1584-1654) Tomo I (2001), 8°, p. IV-432 Tomo II (2001), 8°, p. IV-433-1024

57 Franco Todescan, LE RADICI TEOLOGICHE DEL GIUSNATURALISMO LAICO

III. Il problema della secolarizzazione nel pensiero giuridico di Samuel Pufendorf (2001), 8°, p. VIII-106

58/59 Maurizio Fioravanti, LA SCIENZA DEL DIRITTO PUBBLICO Dottrine dello Stato e della Costituzione tra Otto e Novecento Tomo I (2001), 8°, p. XXII-572 Tomo II (2001), 8°, p. IV-573-918

60 Raffaele Volante, IL SISTEMA CONTRATTUALE DEL DIRITTO COMUNE CLASSICO

Struttura dei patti e individuazione del tipo. Glossatori e ultramontani (2001), 8°, p. IV-502

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61 CODICI Una rifl essione di fi ne millennio Atti dell’incontro di studio - Firenze, 26-28 ottobre 2000 A cura di Paolo Cappellini e Bernardo Sordi (2002), 8°, p. VIII-604

62 Pietro Costa, IURISDICTIO Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433) Ristampa (2002), 8°, p. XCVI-412

63 Mario Piccinini, TRA LEGGE E CONTRATTO Una lettura di Ancient Law di Henry S. Maine (2003), 8°, p. XVI-286

64 Arturo Carlo Jemolo, LETTERE A MARIO FALCO Tomo I (1910-1927) A cura di Maria Vismara Missiroli (2005), 8°, p. XVIII-592

65 Ferdinando Mazzarella, NEL SEGNO DEI TEMPI Marchi persone e cose dalla corporazione medievale all’impresa globale (2005), 8°, p. 530

66 Michele Pifferi, GENERALIA DELICTORUM Il Tractatus criminalis di Tiberio Deciani e la “Parte generale” di diritto penale (2006), 8°, p. 468

67 Maria Rosa Di Simone, PERCORSI DEL DIRITTO TRA AUSTRIA E ITALIA (SECOLI XVII-XX) (2006), 8°, p. XII-374

68 Franco Cipriani, SCRITTI IN ONORE DEI PATRES (2006), 8°, p. XIV-502

69 Piero Fiorelli, INTORNO ALLE PAROLE DEL DIRITTO (2008), 8°, p. XXXII-548

70 Paolo Grossi, SOCIETÀ, DIRITTO, STATO Un recupero per il diritto (2006), 8°, p. XX-346

71 Irene Stolzi, L’ORDINE CORPORATIVO Poteri organizzati e organizzazione del potere nella rifl essione giuridica dell’Italia fascista (2007), 8°, p. IV-464

72 Hasso Hofmann, RAPPRESENTANZA - RAPPRESENTAZIONE Parola e concetto dall’antichità all’Ottocento (2007), 8°, p. XL-586

73 Joaquín Varela Suanzes-Carpegna, GOVERNO E PARTITI NEL PENSIERO BRITANNICO (1690-1832)

(2007), 8°, p. VIII-156

74 Giovanni Cazzetta, SCIENZA GIURIDICA E TRASFORMAZIONI SOCIALI Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento (2007), 8°, p. X-388

75 Manuela Mustari, IL LUNGO VIAGGIO VERSO LA “REALITÀ” Dalla promessa di vendita al preliminare trascrivibile (2007), 8°, p. VI-284

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76 Carlo Fantappiè, CHIESA ROMANA E MODERNITÀ GIURIDICA Tomo I L’edifi cazione del sistema canonistico (1563-1903), (2008), 8°, p. XLVI-520 Tomo II Il Codex iuris canonici (1917), (2008), 8°, p. IV-521-1282

77 Rafael D. García Pérez, ANTES LEYES QUE REYES Cultura jurídica y constitucíon política en la edad moderna (Navarra, 1512-1808) (2008), 8°, p. XII-546

78 Luciano Martone, DIRITTO D’OLTREMARE Legge e ordine per le Colonie del Regno d’Italia (2008), 8°, p. X-228

79 Michael Stolleis, STORIA DEL DIRITTO PUBBLICO IN GERMANIA I. Pubblicistica dell’impero e scienza di polizia 1600-1800 (2008), 8°, p. X-632

80 Paolo Grossi, NOBILTÀ DEL DIRITTO Profi li di giuristi (2008), 8°, p. XII-742

81 Andrea Marchisello, LA RAGIONE DEL DIRITTO Carlantonio Pilati tra cattedra e foro nel Trentino del tardo Settecento (2008), 8°, p. XXIV-532

82 Bartolomé Clavero, GENOCIDE OR ETHNOCIDE, 1933-2007 How to make, unmake, and remake law with words (2008), 8°, p. VIII-26883 Paolo Grossi, TRENT’ANNI DI PAGINE INTRODUTTIVE Quaderni fi orentini 1972-2001 (2009), 8°, p. XXVIII-252

84 Aldo Sandulli, COSTRUIRE LO STATO La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945) (2009), 8°, p. XVIII-324

85 DIRITTI E LAVORO NELL’ITALIA REPUBBLICANA Materiali dall’incontro di studio Ferrara, 24 ottobre 2008 A cura di Gian Guido Balandi e Giovanni Cazzetta (2009), 8°, p. IV-306

86 Pio Caroni, LA SOLITUDINE DELLO STORICO DEL DIRITTO (2009), 8°, p. VI-252

87 Federigo Bambi, UNA NUOVA LINGUA PER IL DIRITTO - I Il lessico volgare di Andrea Lancia nelle provvisioni fi orentine del 1355-57 (2009), 8°, p. IV-816

88 Mario Sbriccoli, STORIA DEL DIRITTO PENALE E DELLA GIUSTIZIA Scritti editi e inediti (1972-2007) Tomo I (2009), 8°, p. XVI-722 Tomo II (2009), 8°, p. IV-723-1338

89 Arturo Carlo Jemolo, LETTERE A MARIO FALCO Tomo II (1928-1943) A cura di Maria Vismara Missiroli (2009), 8°, p. IV-512

90 Sabino Cassese, IL DIRITTO AMMINISTRATIVO: STORIA E PROSPETTIVE (2010), 8°, p. X-576

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Centri di documentazione e di distribuzione Giuffrè

91 Marco Sabbioneti, DEMOCRAZIA SOCIALE E DIRITTO PRIVATO La Terza Repubblica di Raymond Saleilles (1855-1912) (2010), 8°, p. XXXVIII-682

92 Condorcet, DICHIARARE I DIRITTI, COSTITUIRE I POTERI Un inedito sulla dichiarazione dei diritti dell’uomo A cura di Gabriele Magrin Edizione del manoscritto a cura di Mercurio Candela (2011), 8°, p. VI-190

93 DIRITTI INDIVIDUALI E PROCESSO PENALE NELL’ITALIA REPUBBLICANA Materiali dall’incontro di studio - Ferrara, 12-13 novembre 2010 A cura di Daniele Negri e Michele Pifferi (2011), 8°, p. VI-442

94 Rodolfo Savelli, CENSORI E GIURISTI Storie di libri, di idee e di costumi (secoli XVI-XVII) (2011), 8°, p. XXXIV-410

95 ALESSANDRO GIULIANI: L’ESPERIENZA GIURIDICA FRA LOGICA ED ETICA A cura di Francesco Cerrone e Giorgio Repetto (2012), 8°, p. VI-848

96 Carlo Nitsch, IL GIUDICE E LA LEGGE Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura giuridica italiana del primo

Novecento (2012), 8°, p. X-342

97 Rodrigo Míguez Núñez, TERRA DI SCONTRI Alterazioni e rivendicazioni del diritto alla terra nelle Ande centrali (2013), 8°, p. X-360

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E 36,003495-99 9 788814 180453

ISBN 88-14-18045-8