Bibliografia Kantiana. Le 3 critiche

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Assoluto Bibliografia delle opere di Kant

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1755 - Storia universale della natura e teoria del cielo ovvero saggio sulla costituzione e sull'origine meccanica dell'intero universo, trattate secondo i principi di Newton. – Konigsberg

1762 - L'unico argomento possibile per la dimostrazione dell'esistenza di Dio – Konigsberg 1764 - Disamina sulla perspicuità dei principi della teologia naturale e della morale – Berlino 1766 - Sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica – Konigsberg 1770 - La forma e i principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile – Konigsberg 1771 - Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime – Konigsberg 1781 - Critica della ragion pura - Riga [Conversazione sull'Assoluto] 1783 - Prolegomeni a ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza – Riga [Conversazione

sull'Assoluto] 1784 - Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico – Berlino 1784 - Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? – Berlino 1785 - Fondazione della metafisica dei costumi – Riga 1786 - Primi principi metafisici della scienza della natura – Riga 1786 - Congetture sull'origine della storia – Berlino 1787 - Critica della ragion pura - II edizione 1788 - Critica della ragion pratica – Riga [Conversazione sull'Assoluto] 1790 - Critica della capacità di giudizio – Berlino [Conversazione sull'Assoluto] 1793 - La religione entro i limiti della sola ragione – Konigsberg 1795 - Per la pace perpetua. Un progetto filosofico – Konigsberg 1797 - La metafisica dei costumi – Konigsberg 1798 - Antropologia dal punto di vista pragmatico – Konigsberg Opus postumum - Berlino 1936

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Prolegomeni a ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza - 1783

I Prolegomeni nelle conversazioni filosofiche.

La Conversazione sull'assoluto.

Dopo la pubblicazione della Critica della ragiona pura non vi era stata in Germania nessuna reazione, né di critica né di commento, per circa un anno, fino a quando un certo Garve fa uscire una recensione in cui, elogiando l’opera, le attribuisce niente meno che un’ispirazione di tipo empirista. Allarmato dal silenzio e dai fraintendimenti, Kant allora pubblica i Prolegomeni, che altro non sono se non una guida interpretativa della Critica. Scritti in uno stile molto più accessibile ed essenziale, essi diventano il vero punto di partenza del dibattito che da quel momento si svilupperà attorno alla filosofia critica.

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Kant - Critica della ragion pura - I edizione: 1781 - II edizione, 1787

Sitografia

Sito WEB contenente la sintesi schematica dell'opera Sito WEB con notazione critica del testo Sito WEB dedicato all'analisi particolareggiata dei concetti fondamentali della filosofia kantiana: Parafrasi didattica integrale dell'opera

La Critica della ragion pura nelle conversazioni filosofiche.

Nella "Conversazione sull'assoluto" la CRP coprì un ruolo di apertura.

Essa introdusse le seguenti problematiche:

Vengono presi in considerazione esclusivamente i temi attinenti l'argomento specifico della conversazione prescelta. L'opera infatti può essere letta come "risposta" a una particolare problematica della tradizione filosofica, e quindi appartenente a un dibattito già aperto. Oppure, può essere vista come un punto di svolta verso nuove ipotesi di ricerca, e quindi come testo generativo di una nuova conversazione. Il nostro scopo è di distinguere ipoteticamente le sfere di appartenenza del testo, per metterne maggiormente in risalto ricchezza di contenuti e struttura teoretica.

La necessità di un'indagine critica sulla metafisica. Kant assume il concetto di metafisica da una collocazione particolare: appartenendo cioè a una tradizione, come quella tedesca, fortemente ancorata alla concezione che vedeva nella metafisica la "filosofia in quanto tale" [Wolff], ma vivendo in un momento di forte crisi di tale modello, e di irresistibile ingerenza dell'atteggiamento scettico-critico in tutta la cultura europea [Hume; illuminismo francese]. Il risultato è la ricerca di una "via di mezzo" tra il dogmatismo e l'indifferenza, e l'affermazione che la metafisica è ineliminabile dall'orizzonte degli interessi umani in quanto "disposizione naturale" della ragione. Per questo occorre che la "tendenza" alla metafisica si trasformi in una scienza, che essa sia cioè sottoposta al tribunale della critica che ne tuteli le giuste pretese e tolga di mezzo le illusioni prive di fondamento. Questa concezione della metafisica assume nella CRP un valore gnoseologico poiché essa è generata all'interno di una "conversazione sulla scienza"; ma le conseguenze che ne derivarono in Germania andarono ben oltre le intenzioni di Kant, e determinarono ben presto il formarsi di un nuovo concetto di scienza, opposto a quello meccanicistico ed empirista sorto dalla Rivoluzione scientifica, e diretto alla determinazione sistematica dei presupposti logico-ontologici della conoscenza, o in parole povere allo studio dei principi universali del pensiero.

L'introduzione del punto di vista trascendentale nel dibattito filosofico. Il concetto di "categoria trascendentale" K. lo ricava dalla filosofia scolastica, ma il nuovo significato che egli gli attribuisce non ha niente a che vedere con quel contesto. Nella definizione che K. ne dà, il concetto viene a riguardare l'ambito della conoscenza, non più però riferita agli oggetti bensì al nostro modo di conoscerli. La trasformazione è tanto più clamorosa in quanto tutto il discorso filosofico - ovvero l'insieme delle problematiche, dei referenti, delle attese e delle intenzioni che agitano la conversazione dei filosofi - dalla CRP in poi si trasferisce dall'ambito dell'oggetto - o dell'essenza dell'ente - a quello del Soggetto - alla sua costituzione interiore (conoscenza, coscienza, io, spirito). È quella che il nostro filosofo definisce "rivoluzione copernicana", il cui intento fondamentale è trovare una risposta alla domanda: "come conosciamo le cose?". In questa nuova impostazione del problema della conoscenza è implicita sia una critica all'empirismo che al razionalismo, in quanto la conoscenza trascendentale ha ugualmente bisogno dell'esperienza e di componenti a priori indipendenti da essa. Ma l'impostazione critica data da Kant al concetto avrà uno sviluppo inatteso e non giustificato dalle premesse poste dal suo autore, proprio nel corso della Conversazione sull'Assoluto.

La conoscenza non riguarda le cose in sé (Noumeno) ma i Fenomeni. Kant approfondisce la distinzione tradizionale tra intuizione infinita - che è conoscenza immediata della cosa nella sua essenza (conoscenza divina) - e intuizione finita, ovvero quel tipo di intuizione che si deve avvalere della mediazione del pensiero e che costituisce la dimensione tipicamente umana della conoscenza. Inserendo tale distinzione nel suo sistema trascendentale, egli giunge alla conclusione che non è data all'uomo alcuna possibilità di conoscere tutto ciò che è esterno alla coscienza, e quindi ciò che non dipende dalla sua elaborazione intellettuale. La novità rispetto alle posizioni scettico-empiriche della gnoseologia precedente è data dal fatto che questa distinzione da un lato non toglie alcuna importanza all'esistenza delle cose fuori di noi, perché esse forniscono il materiale delle sensazioni, ma esclude qualsiasi forma di "rispecchiamento" ideale o logico che

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ancora caratterizzava la gnoseologia settecentesca. Con K. la mente cessa definitivamente di essere "specchio della natura", e viene ad acquisire un'autonomia che il seguito della conversazione radicalizzerà sempre più.

La necessità di una deduzione trascendentale dei principi della conoscenza. La netta separazione tra i principi interni della conoscenza e il materiale sensibile che ne costituisce la materia, porta all'esigenza di giustificare in qualche modo la pretesa dell'intelletto di poter veramente conoscere ciò che percepiamo, ovvero il fondamento di verità dei giudizi che esprimiamo sul mondo. Questa necessità è assolta dalla deduzione trascendentale [vedi Fichte, Dottrina della scienza], termine che sta per "dimostrazione del diritto" dell'intelletto di applicare le proprie categorie all'esperienza sensibile, e che K. desume dalla giurisprudenza. Più nessun filosofo, dopo la CRP, trattando dei principi trascendentali della conoscenza, poté più esimersi dal compito di fornire un'adeguata deduzione del suo sistema.

La separazione tra filosofia teoretica e filosofia pratica (o morale). In realtà la problematica non è nuova [Aristotele],ma è noto come, già dallo scetticismo in poi, e definitivamente con il pensiero cristiano, l'idea di bene e di perfezione - sintetizzabili nei concetti di Incondizionato, Totalità, Dio - torni a far parte della ricerca teoretica, venendosi a identificare strettamente con la metafisica. Nella CRP K. è perentorio: non è possibile nessuna conoscenza che prescinda dall'esperienza. Quindi le "idee della ragione" - l'Incondizionato, Dio, l'Anima, la Libertà - possono funzionare al massimo come principi regolativi del nostro comportamento (pratico): agire "come se" ci fosse Dio, fossimo liberi e conoscessimo il mondo nella sua totalità. Qui si colloca il punto di rottura tra Kant e i suoi successori.

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I nuovi elementi concettuali che l'opera introdusse nella conversazione filosofica:

Alcuni concetti sono "nuovi" perché estranei fino a quel momento al dibattito filosofico; per altri la novità consiste nello spostamento semantico verso connotazioni inusuali, nell'applicazione cioè del termine in contesti che precedentemente appartenevano a discipline o realtà diverse. In alcuni casi particolari, naturalmente, il termine può essere una invenzione dell'autore.

Cosa in sé (Noumeno) [vedi Jacobi, David Hume]. La definizione di questo concetto rappresenta uno dei momenti più travagliati dell'intero pensiero kantiano. Creato in risposta alle problematiche gnoseologiche che dividevano empiristi e razionalisti, l'idea della "cosa in sé" rappresenta il tentativo kantiano di superare le contraddizioni dell'empirismo circa il rapporto tra idee e sostanze, o tra rappresentazioni mentali e oggetti esterni, che né Locke né Hume avevano risolto. Nella I edizione della CRP, infatti, la "cosa in sé" costituisce il sostrato materiale della conoscenza ovvero del fenomeno [vedi], anche se di essa non è possibile una conoscenza effettiva. Con la II ed., invece, il termine Noumeno viene ad acquistare un valore puramente negativo, stando ad indicare il puro limiti negativo della conoscenza, tutto ciò che un intelletto finito come quello umano non può conoscere. Con questa esclusione di ogni relazione possibile tra intelletto e realtà esterna, K. apre involontariamente la strada alla radicale metamorfosi idealista del criticismo, come si potrà vedere sin dalle opere di Reinhold e Maimon.

Idealismo. Kant inserisce il termine all'interno del dibattito sulla conoscenza, ma come avverrà per molti altri del suo repertorio concettuale, esso sarà utilizzato successivamente in tutt'altro orizzonte, così che si può affermare che il concetto di idealismo in K. chiude la Conversazione sul soggetto e apre quella sull'assoluto. K. definisce Idealismo critico la propria dottrina in contrapposizione all'idealismo "problematico" di Cartesio (l'esistenza degli oggetti esterni è indimostrabile) e all'idealismo dogmatico di Berkeley (è impossibile l'esistenza di una realtà esterna).

Incondizionato [vedi Fichte, Dottrina della scienza]. È l'oggetto della ricerca della ragione. Le idee della metafisica diventano per K. un termine di confronto tra ciò che l'uomo può fare e sapere in quanto essere condizionato dall'esperienza sensibile e dalla sua finitezza, e ciò che per lui è invece desiderabile fare e sapere, in quanto essere che appartiene anche al "regno dei fini ideali". Questa dicotomia tra natura e spirito è un altro dei grandi concetti kantiani che nutriranno al Conversazione sull'assoluto.

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Il viraggio semantico di concetti desunti dalla tradizione filosofica:

Dialettica. Kant riprende la distinzione aristotelica fra analitica - o logica formale - e dialettica intesa come "scienza dei ragionamenti probabili", trasformandone il significato: la dialettica trascendentale diventa "logica della parvenza", cioè l'insieme dei ragionamenti scorretti costruiti dalla ragione nel momento in cui pretende di trascendere l'esperienza sensibile. Il ruolo di K. nella riproposizione di questo concetto è consistito dunque nel riconoscere alla dialettica una funzione produttiva (dal punto di vista del soggetto), anche se non accettabile sul piano della conoscenza oggettiva; questa intuizione avrà il suo supremo sviluppo nel sistemi idealisti di Fichte e Hegel.

Esperienza. Nella CRP il termine "esperienza" subisce una trasformazione che avrà conseguenze importanti nella successiva Conversazione sull'assoluto. Esso infatti viene ad indicare non più solo la fonte della conoscenza sensibile, denotando quindi una sorta di facoltà passiva, ma l'attività sintetica di collegamento tra le percezioni e la coscienza. Esperire diventa un fare, anche se a un livello ancora vago e indeterminato.

Immaginazione [vedi Fichte, Dottrina della scienza]. Come il concetto di "esperienza", anche il termine "Immaginazione" subisce, a partire dalla CRP, un viraggio semantico di straordinaria importanza. Considerata sempre, filosoficamente, come una facoltà negativa o secondaria, nella teoria dello schematismo l'immaginazione diventa la facoltà intellettuale che permette all'uomo di rappresentare un oggetto "anche senza la sua presenza". È solo con questa teoria che nel dibattito filosofico si adombra per la prima volta la possibilità che la mente umana possa generare spontaneamente oggetti di conoscenza a cui sia possibile attribuire un valore oggettivo.

Io penso. Questo particolare concetto sorge, filosoficamente, all'interno dal razionalismo cartesiano, e determina - come si sa - uno spostamento epocale dell'idea ontologica di sostanza dall'ente oggettivo al soggetto. L'io cartesiano è il soggetto in quanto fondamento sostanziale dell'esistenza della realtà. Senza soggetto non sono più date le condizioni di possibilità dell'esistenza del mondo. K. trasforma il concetto ontologico in concetto trascendentale [vedi], ovvero in una funzione universale che non ha più valore metafisico ma gnoseologico. Anche se l'Io assoluto di Fichte e poi di Hegel riprenderà la valenza ontologica perduta col criticismo, tuttavia questo passaggio rimane necessario per stabilire la dimensione puramente umana o finita - in Hegel "storica" - del fondamento della conoscenza, che in quanto tale diventa totalmente autonomo da ogni "principio" trascendente di carattere infinito (innatismo delle idee), pur rimanendo "universale" in quanto facoltà di tutti gli uomini.

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Kant - Critica della ragion pratica - 1788

Sitografia

Sito WEB contenente l'analisi schematica dell'opera Sito WEB con notazione critica del testo Un'intervista al filosofo Reinhardt Brandt Uno studio sulla lettura post-kantiana della Seconda critica

La Critica della ragion pratica nelle conversazioni filosofiche.

La Conversazione sull'assoluto.

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Nella "Conversazione sull'assoluto", la Ragion pratica conferma l'opera di stimolo e di rifondazione culturale inaugurata dalla Prima critica. Più di ogni altra opera di Kant, la Critica della ragion pratica fu sottoposta a una contestazione profonda, e i suoi concetti fondamentali reinterpretati con esiti a volte addirittura opposti alle intenzioni originarie dell'autore.

La CRPT introdusse le seguenti problematiche:

Vengono presi in considerazione esclusivamente i temi attinenti l'argomento specifico della conversazione prescelta. L'opera infatti può essere letta come "risposta" a una particolare problematica della tradizione filosofica, e quindi appartenente a un dibattito già aperto. Oppure, può essere vista come un punto di svolta verso nuove ipotesi di ricerca, e quindi come testo generativo di una nuova conversazione. Il nostro scopo è di distinguere ipoteticamente le sfere di appartenenza del testo, per metterne maggiormente in risalto ricchezza di contenuti e struttura teoretica.

Nella vita etica dell'uomo si apre la dimensione del Noumeno [torna alla Prima Critica]. Sulla scia del criticismo teoretico, la CRPr intende fondare la forma universale a priori della legge morale, distinguendo ciò che è buono in sé da ciò che è buono "per qualche motivo". Così come Kant aveva individuato nell'Io penso [torna alla Prima Critica] il principio assolutamente incondizionato di ogni conoscenza finita (umana), altrettanto è per lui necessario dare un fondamento assolutamente incondizionato al valore morale dei comportamenti. Questo fondamento è la volontà pura, e l'elemento formale puro che la determina è la legge morale, a priori ed indipendente dall'esperienza. Questa autonomia della volontà da ogni condizionamento come principio fondamentale della moralità porta la dimensione noumenica - ideale, assoluta - all'interno dell'uomo: per poter agire come un essere morale, l'uomo deve avere in sé la capacità di partecipare dell'incondizionato, di uscire da sé per collocarsi nel "regno dei fini" o della libertà. L'uomo, in quanto Ragione, non appartiene dunque al mondo dei fenomeni, ma a quello soprasensibile: non è solo un essere finito, ma ha la capacità di partecipare dell'infinito. Con questo K. non vuole rinnegare la sua ferrea distinzione tra conoscenza e volontà - tra vita teoretica e vita pratica -, ma l'ammissione di una dimensione noumenica immanente alla coscienza costituisce un punto di svolta fatale per il destino del criticismo: è chiaro infatti che l'incondizionato presente in noi deve in qualche modo precedere e contenere in sé tutto il resto.

La libertà come chiave di volta dell'intero sistema critico. In alcuni momenti la Conversazione sull'assoluto viene a coincidere con la Conversazione sulla libertà, e questo proprio grazie alla particolare collocazione che Kant attribuisce all'idea di libertà. Dato il carattere assolutamente formale e a priori della legge morale, per rendere possibile l'applicazione di questa legge da parte della volontà, occorre che quest'ultima sia assolutamente autonoma, cioè capace di subordinare i moventi soggettivi (bisogni e desideri) solo ed esclusivamente a se stessa. Solo la libertà rende la volontà capace di applicare l'imperativo morale. Dunque la libertà è il fondamento assoluto - noumenico perché non conoscibile - della condizione umana. A questo punto del dibattito si può dire che l'unica differenza tra Kant e i suoi successori consiste nel fatto che egli non porta alle estreme conseguenze metafisiche questa dimensione noumenica della libertà, ma si limita ad attribuire ad essa un valore di possibilità, a farne l'elemento distintivo dell'esistenza umana e non la sua essenza costitutiva.

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I nuovi elementi concettuali introdotti:

Alcuni concetti sono "nuovi" perché estranei fino a quel momento al dibattito filosofico; per altri la novità consiste nello spostamento semantico verso connotazioni inusuali, nell'applicazione cioè del termine in contesti che precedentemente appartenevano a discipline o realtà diverse. In alcuni casi particolari, naturalmente, il termine può essere una invenzione dell'autore.

Libertà. Il concetto entra nel dibattito filosofico tedesco attraverso due vie: quella illuminista-rivoluzionaria centrata sulla natura politica dell'uomo e quindi appartenente in pieno diritto alla Conversazione sulla libertà; e quella etico-religiosa, di origini luterane, la cui valenza abbraccia anche l'ambito della metafisica o, più precisamente, la Conversazione sull'anima. I due versanti convergono nel pensiero di Kant e rendono molto più complesso l'ambito semantico del termine, tanto che il concetto di L. diventa una sorta di linea di confine tra filosofia politica e filosofia morale, linea destinata ad essere progressivamente superata e cancellata, tanto che proprio dalla CRPr la conversazione sulla libertà e sull'assoluto tendono a confondersi e sovrapporsi. La natura metafisica della libertà consiste per K. nel fatto che essa costituisce per l'uomo non una condizione aggiunta dalle circostanze esterne, ma un fatto della ragione, la condizione pura e a priori della volontà. Ma questo "agire" della ragione è limitato, negativamente, alla semplice rinuncia verso gli impulsi sensibili, alla capacità di dire di no. Contro questa concezione puramente formale della L. insorgeranno i filosofi post-kantiani e idealisti [vedi Fichte, Dottrina della scienza].

Il viraggio semantico di concetti desunti dalla tradizione filosofica:

o Natura soprasensibile. La storia della N. S. dell'uomo coincide con la storia stessa della metafisica, da Platone in poi. È tanto più forte quindi il valore di svolta che K. attribuisce a questo concetto, in ragione della sua autorevole tradizione. In sostanza, K. capovolge la relazione tradizionale tra natura sensibile e sovrasensibile, facendo della seconda il principio immanente della ragione, ovvero trasferendo (per dirla in termini hegeliani) l'esterno (trascendente) nell'interno. Questo uso del concetto non ha però nulla a che vedere con quello di "anima", poiché in esso non è presente nessun connotato ontologico-sostanziale. La N. S. è totalmente a priori, è la condizione trascendentale (umana) di possibilità della moralità, e non può quindi essere condizionata da nessun fattore superiore (divino).

o Volontà. La storia lunga e complessa del termine nella filosofia greca e cristiana, e nella tradizione razionalistica moderna, non trova seguito nel pensiero di Kant, che ne circoscrive l'uso al solo ambito della vita morale. Ma in questo ambito, essa assume una funzione di straordinaria importanza, tanto che si può dire che con la CRPr prende corpo una diversa e per noi decisiva Conversazione sulla volontà. La V. diventa infatti l'unico principio capace di dare all'uomo la chiave per entrare nel mondo del Noumeno [torna alla Prima Critica], altrimenti rigorosamente precluso alla conoscenza, che non può uscire dai limiti del fenomenico. È proprio attraverso la V. che il valore "negativo" del noumeno - come limite della conoscenza - si trasforma in principio positivo: nella capacità cioè di rappresentare qualcosa (la legge morale) che non ha nessuna base empirica nell'esperienza. In questo senso, il concetto è determinante per la "piega" idealista che prenderà la Conversazione sull'assoluto.

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Kant - Critica della capacità di giudizio - 1790

Sitografia Un portale sui maggiori siti dedicati a Immanuel Kant Vasta bibliografia degli studi su Kant Intervista al filosofo Reinhard Brandt sulla Critica del giudizio Una introduzione del prof. Quintili

La Critica del giudizio nelle conversazioni filosofiche.

La Conversazione sull'assoluto.

La Conversazione sul Bello.

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Con la Critica del giudizio entra nella conversazione filosofica una nuova categoria spirituale mai utilizzata nelle tradizionali suddivisioni delle facoltà dell'anima: la categoria del sentimento. Questa categoria entra a far parte della Conversazione sull'Assoluto in particolare per quanto riguarda il giudizio teleologico (vedi più avanti).

Analizziamo le problematiche introdotte dalla CdG:

Vengono presi in considerazione esclusivamente i temi attinenti l'argomento specifico della conversazione prescelta. L'opera infatti può essere letta come "risposta" a una particolare problematica della tradizione filosofica, e quindi appartenente a un dibattito già aperto. Oppure, può essere vista come un punto di svolta verso nuove ipotesi di ricerca, e quindi come testo generativo di una nuova conversazione. Il nostro scopo è di distinguere ipoteticamente le sfere di appartenenza del testo, per metterne maggiormente in risalto ricchezza di contenuti e struttura teoretica.

Il Sentimento viene definito come l'aspetto irriducibilmente soggettivo di ogni rappresentazione. Questa categoria va inquadrata nel tentativo, portato poi a compimento dall'Idealismo, di trovare un accordo tra natura e libertà, cioè tra la natura sensibile e quella noumenica dell'uomo; tentativo già avviato con la Ragion pratica.

o L'uomo deve realizzare la sua libertà [torna alla Seconda Critica] senza contraddire le leggi della natura. Questo accordo non può essere oggettivo, cioè necessario e uguale per tutti, ma deve risultare da una riflessione che cerchi un possibile accordo tra la realtà e le esigenze della morale.

o L'accordo tra realtà e sentimento è un bisogno dell'uomo, e come tale non può produrre conoscenze certe.

L'accordo tra natura e libertà può essere pensato mediante il concetto di fine. In quest'ottica, la natura diventa il luogo in cui l'uomo realizza la sua libertà, permettendogli di pensare - non conoscere - una Causa intelligente attraverso il giudizio teleologico. Questo giudizio privo di realtà può costituire una norma per la riflessione sul destino universale dell'esistenza, e quindi l'ambito in cui assumere le proprie responsabilità.

I nuovi elementi concettuali introdotti nella conversazione filosofica:

Alcuni concetti sono "nuovi" perché estranei fino a quel momento al dibattito filosofico; per altri la novità consiste nello spostamento semantico verso connotazioni inusuali, nell'applicazione cioè del termine in contesti che precedentemente appartenevano a discipline o realtà diverse. In alcuni casi particolari, naturalmente, il termine può essere una invenzione dell'autore.

Giudizio riflettente. E' il giudizio del sentimento. Esso sorge dal bisogno di accordare le esigenze della libertà con i fatti della natura. E' esclusivamente soggettivo e non produce alcuna conoscenza. Inoltre non è determinato da un interesse perché non è legato alla realtà delle cose ma solo alla loro rappresentazione. Quando l'accordo tra natura e libertà è appreso immediatamente, senza l'aiuto di concetti, abbiamo il giudizio estetico. Quando invece può essere pensato tramite il concetto di fine, abbiamo il giudizio teleologico.

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La conversazione sul Bello.

La nuove problematiche:

Il senso del bello - sentimento estetico - nasce dall'impotenza dell'uomo come soggetto morale di fronte alla natura; questa impotenza si trasforma nella capacità di cogliere nella natura una finalità che non viene dagli interessi umani e che non è neppure la pura e semplice riduzione alle sue leggi meccaniche.

Il giudizio estetico non può essere universale perché non è comunicabile in concetti, ma può esigere di essere condiviso sulla base di un comune sentire.

I nuovi concetti:

Gusto. Kant modifica radicalmente l'uso di questo concetto; esso viene ad indicare la facoltà di giudicare un oggetto o una rappresentazione mediante un piacere o un dispiacere privo di interesse. L'oggetto del giudizio di gusto è il bello. La bellezza può essere libera (non presupporre alcun concetto - per es. quella dei fiori) o aderente (presupporre il concetto di ciò che la cosa dev'essere - per es. la bellezza di una donna).

Sublime.... Genio....