Boccherini - Op6 n30 - La Musica Notturna Delle Strade Di Madri
Bessa
Transcript of Bessa
B e s s a miniera d'oro Romana geologia, storia, incisioni rupestri , coltivazione del giacimento aurifero
2012
Alberto Vaudagna docBi
07/12/2012
Miniera d' oro romana della Bessa
La Riserva Naturale Speciale della Bessa, istituita nel 1985, è situata nel Piemonte settentrionale allo
sbocco della Valle d’ Aosta e alla base delle pendici meridionali delle Alpi Biellesi, in provincia di Biella.
Estesa per 7.5 kmq è delimitata a Nord dai resti di una morena del Pleistocene Inf. e dalle alluvioni
quaternarie del torrente Elvo, a Sud da una seconda morena della stessa fase glaciale e dalla valle del
torrente Olobbia. L’area della miniera le cui evidenze archeologiche sono databili al II/I secolo a.C. con
tracce di frequentazioni anteriori rappresentate in gran parte da massi erratici con incisioni rupestri è
costituita da 2 terrazzi di origine fluvioglaciale ricoperti, nel Terrazzo Superiore da cumuli di ciottoli ed
in quello Inferiore da sabbie e ghiaie, residui del lavaggio per l’estrazione del metallo. La Bessa si presenta,
attualmente, come altopiano che si estende sul prolungamento della valle del torrente Viona per 8 km in
direzione NW-SE, largo da 800 metri fino ad un massimo di 1,7 km e digradante da una quota massima
di circa 450 m a NW alla quota di circa 300 m a SELa sede del Parco, in comune di Cerrione, è facilmente
raggiungibile dal casello di Santhià (autostrada Torino - Milano) ed un' area attrezzata è attiva in località
Vermogno.
Il giacimento aurifero della Bessa si formò per erosione e risedimentazione, da parte di corsi d’acqua, dei
depositi morenici ricchi di oro trasportati dall’espansione dei ghiacciai valdostani avvenuta a partire da 1
milione di anni fa; contemporaneamente furono liberati dai detriti i grandi massi erratici che ora costellano
a centinaia il territorio del parco (vedi: Giacimento aurifero). La presenza su molti di questi massi di
incisioni rupestri prevalentemente a forma di coppella attesta una intensa frequentazione protostorica
dell’area che, a partire dal V/IV sec. a.C., si ritiene fosse controllata dai Salassi, popolazione di etnia celtica
o celto-ligure. Dopo sanguinose battaglie l’oro della Bessa cadde, tra il 143 ed il 140 a.C., nelle mani
delle legioni romane di Appio Claudio e l’estrazione fu affidata ai pubblicani, gli imprenditori dell’epoca,
che impiegarono nei lavori fino a 5000 uomini contemporaneamente. Non è nota la durata del periodo di
sfruttamento sappiamo però dallo storico Strabone che, alla fine del I secolo a.C., le miniere erano già
state abbandonate (o più probabilmente esaurite) e l’oro di Roma proveniva ormai in massima parte dall’
Iberia e dalla Gallia. La superficie totale interessata dai lavori minerari si estende oltre i confini del Parco
e doveva occupare in origine circa 12 kmq. La Bessa, attualmente oggetto di indagini approfondite da
parte di un gruppo di ricerca del Consiglio Superiore della Ricerca Scientifica spagnolo è considerata la
più importante miniera d'oro di età Repubblicana e il suo studio è di fondamentale importanza per
migliorare la conoscenza delle miniere spagnole della successiva età Imperiale, una delle quali: Las
Medulas, è Patrimonio dell' Umanità UNESCO.
Cinque itinerari, dotati di segnaletica, permettono di percorrere parte della Riserva Naturale Il più
settentrionale situato in comune di Mongrando si snoda dove la valle della Viona, il torrente che ha
generato il giacimento aurifero, sbocca nella pianura. Paesaggio molto movimentato con alte creste
moreniche ricoperte da boschi, massi erratici ed un magnifico punto panoramico: il Truch Briengo.
L’interesse archeologico è focalizzato nel recentemente restaurato insediamento del cosiddetto
“castelliere”.
Dal Centro Visita del Parco in frazione Vermogno del comune di Zubiena si diramano tre itinerari. Uno
dedicato alle incisioni rupestri percorre boschi e cumuli di ciottoli, lungo strade sterrate, sentieri e brevi
tratti "fuori strada" in una zona in cui si sovrappongono resti della cultura contadina, aurifodinae romane
e la maggior concentrazione di incisioni rupestri protostoriche con la più ampia gamma di tipologie di
tutta la Bessa. Due soste particolarmente interessanti: il piccolo e soleggiato "masso degli allineamenti" e
l'imponente e fosco "Roch Malegn". Altri due itinerari permettono di visitare resti di “villaggi” abbandonati
da oltre venti secoli. lungo le “strade di servizio” e i canali di smaltimento dello sterile sfocianti in "conoidi
" a ventaglio. E’ questa una delle aree dove maggiormente evidenti sono le testimonianze dello
sfruttamento minerario da parte dei Romani, in un ambiente in cui la vegetazione contende lo spazio al
deserto di sassi. In comune di Cerrione si incontra l’Itinerario ”storico” del Parco il primo ad essere aperto
ai visitatori. Percorre la parte meridionale della Bessa tra estesi cumuli e fasce vegetate. Di grande
interesse per il ritrovamento avvenuto nel 1997 di una stele, unico esemplare presente nel biellese (visibile
nella sede del Parco) e per le recenti campagne di indagine archeologica riguardanti il sistema di
coltivazione del giacimento aurifero.
Riserva Naturale Speciale la Bessa
Via Crosa 1 - 13882 Cerrione (Bi)
tel. 015677276 fax:0152587904
email: [email protected]
Ecomuseo Valle Elvo e Serra
email: [email protected]
sito web: www.ecomuseo.it
Associazione Biellese Cercatori d'Oro
email: [email protected]
sito web: http://www.cercatoridoro.it
Alberto Vaudagna (webmaster)
docBI Centro studi biellesi - Societé Valdotaine de Préhistoire et d'archéologie
email: [email protected]
Ambiente naturale
Caratteristiche floristiche della Bessa
E’ noto come la fisionomia della Bessa sia prevalentemente caratterizzata da ammassi di ciottoli creati
dalla coltivazione del giacimento aurifero.
Gli ammassi di pietre venutisi a creare, privati di gran parte degli originari sedimenti tra loro interposti e
soggetti ad un rapido dilavamento per le precipitazioni, hanno costituito un severo approccio per la
vegetazione; pertanto solo le entità più adattate a condizioni di scarsità di elementi nutritivi hanno potuto
man mano stabilirvisi e mantenersi. Si tratta giocoforza di elementi erbacei cui, perifericamente,
succedono alcuni arbusti ed anche, ove ormai i ciottoli sono decisamente compattati, qualche essenza
arborea.
Nel complesso oggi possono essere individuate nell’area 4-5 tipi di situazioni vegetazionali, peraltro
sfumate l’una nell’altra; nella loro analisi si procederà secondo un ordine di decrescente grado di umidità
passando dalle più mesofite (che necessitano di moderate quantità di acqua), a quelle xerofile (che
vegetano in ambiente arido).
Pervinche Giglio rosso
Stazioni umide
E’ a ridosso del maggior corso d’acqua che delimita il lato occidentale della Bessa, l’Olobbia, che è
possibile rinvenire la tipica flora ripariale della pianura: salici (alba e purpurea ) in prevalenza e ontano
nero (Alnus glutinosa ), frassino maggiore (Fraxinus excelsior ) e olmi (Ulmus minor ) fra le essenze
arboree, il nocciolo (Corylus avellana ), la sanguinella (Cornus sanguinea) la berretta del prete (Evonymus
europaeus ) tra gli arbusti. Il corteggio erbaceo annovera, tra le varie specie, la veronica acquatica
(Veronica anagallis-aquatica ), il non ti scordar di me (Myosotis scorpiodes ), il crescione palustre (Rorippa
palustris ), la rampicante dulcamara (Solanum dulcamara ), varie carici, chenopodi, amaranti, poligoni, tra
i quali varie specie estranee alla flora locale, le esotiche, insediatesi negli ultimi decenni, come l’americana
forbicina (Bidens frondosa ) o l’asiatic poligono giapponese (Fallopia japonica ).
Singolare è invece un piccolo bacino palustre, a ridosso della Cascina del Sirogi, l’ultima cosa che si
potrebbe pensare di rinvenire in un ambiente tutt’attorno prettamente “roccioso”. Tra l’altro quella piccola
superficie umida ospita alcune specie veramente singolari: la veronica delle paludi (Veronica scutellata ),
le cui uniche due altre segnalazioni nel Biellese (laghi di Viverone e di Bertignano) non hanno avuto
conferme recenti; la cannella delle torbiere (Calamagrostis canescens ), una graminacea nota in Piemonte
solo nel Biellese e alla Garzaia di Valenza; la viola palustre (Viola palustris ), specie di ambienti montani
che molto raramente si rinviene a queste quote (300 m), l’erba scopina (Hottonia palustris ) e l’erba vescica
(Utricularia australis ), entità ormai divenute rarissime per le “bonifiche” effettuate negli ambienti umidi di
pianura.
Coperture boschive
Nelle depressioni fra i vari settori ciottolosi e in prossimità di scorrimenti idrici si trovano condizioni
favorevoli allo sviluppo di formazioni boschive. Ove il tasso di umidità è maggiore si produce una
boscaglia ove prevalgono il carpimo (Carpinus betulus ), la farnia (Quercus robur) e il già citato frassino
maggiore; l’elemento arbustivo consta del nocciolo, ciliegio selvatico (Prunus avium), del biancospino
(Crataegus monogyna ), del tremolo (Populus tremula) e della frangola (Frangula alnus ). In questi ambienti
tende sempre più ad infiltrarsi la robinia (Robinia pseudacacia ), aggressiva esotica nordamericana che si
è inserita partendo dalle estremità longitudinali dell’area, correndo lungo le vie di maggiore accesso, più
antropizzate. Oggi sono diversi gli esempi di situazioni boschive ove la robinia domina su ogni altra
essenza, mostrando la faccia di maggiore degradazione della Bessa.
La componente erbacea di queste boscaglie è abbastanza numerosa: la primula (Primula vulgaris ), la
silvia (Anemone nemorosa ), il sigillo di Salomone (Polygonatum multiflorum ), il mughetto (Convallaria
majalis ), il ciclamino (Cyclamen purpurascens ), la verga d’oro (Solidago virgaurea) ed altre ancore; ai
rami si aggrappano l’edera (Hedera helix ), la madreselva (Lonicera caprifolium ), il tamaro (Tamus
communis ). La specie erbacea più significativa è però la stellaria bulbosa (Pseudostellaria europaea ),
limitata ad un piccolo tratto nel settore NE dell’area: questa stazione, più le altre del Biellese, Valsesia e
Novarese costituiscono il nucleo più occidentale della distribuzione di questa specie più tipica dell’Europa
centro-orientale, le cui uniche altre stazioni italiane sono nella Carnia.
In presenza di un suolo meno profondo, in genere nella parte centrale della Bessa, il minor tasso di
umidità esistente produce differenti riposte vegetazionali favorendo, tra le essenze legnose, il più
consistente sviluppo della rovere (Quercus petraea ) mentre appaiono nuovi arbusti: il sorbo montano
(Sorbus aria ), l’acero campestre (Acer campestre ), il ginepro (Juniperus communis ), il prugnolo (Prunus
spinosa ), il pado (Prunus padus ). Tra le erbe sono da segnalare, in ordine di sviluppo stagionale, l’erba
trinità (Hepatica nobilis ), il vincetossico (Vincetoxicum hirundinaria ), la fava grassa (Sedum maximum ).
In condizioni ecologiche abbastanza simili a quelle ove prevale la rovere, ma generalmente in presenza di
suolo più profondo e sciolto, si sviluppa il castagno (Castanea sativa ), che qui, come in altre realtà, è
stato “aiutato” dall’attività umana; invece nelle condizioni di suolo meno favorevoli, più xerofile, si
sviluppa la roverella (Quercus pubescens ), una tipica essenza mediterranea, rara in tutto il Biellese,
mentre ancor più rare appaiono due altre legnose ugualmente mediterranee: il cerro (Quercus cerris ) e
l’orniello (Fraxinus ornus ). Una specie arbustiva che caratterizza questi ambienti è il pungitopo (Ruscus
aculeatus ), peraltro presente anche nelle boscaglie di rovere.
anemoni ciclamini
Formazioni erbacee
Quando le condizioni del suolo cominciano ad essere tali che il substrato è di modesta profondità, col
ciottolame poco profondo o appena fuoriuscente, lo sviluppo di una copertura arborea continua è di fatto
impedita e tende allora a prevalere un aspetto a formazione aperta ove prevalgono elementi arbustivi ed
erbacei.
Quantitativamente, dal punto di vista floristico, questo ambiente risulta il più vario di ogni altro in Bessa.
Gli arbusti annoverano i già citati prugnolo e frangola, il ligustro (Ligustrum vulgare ), la rosa canina (Rosa
canina ), la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius ), lo spino cervino (Rhamnus cathartica ), mentre il
corredo delle specie erbacee è quanto mai ricco per cui è il caso solo di prendere in considerazione quelle
che assumono maggiore significato. L’inizio della primavera vede in fioritura il violaceo fiore della
pulsatilla comune (Pulsatilla montana ) e quello azzurro del muscari azzurro (Muscari botryoides ), due
specie che in tutto il territorio biellese si rinvengono solo nella Bessa. Più tarda è la fioritura del geranio
sanguigno (Geranium sanguineum ), noto nel Biellese in una sola altra località (presso Sostegno), della
campanula a fiore di pesco (Campanula persicifolia ), presente altrove solo presso Salussola, del verbasco
di Chaix (Verbascum chaixi ), esclusivo della Bessa, e della codolina nuda (Phleum phleoides ), una
graminacea di cui, oltre la Bessa, è una nota una sola altra stazione nel Biellese (Naviglio di S. Damiano)
però non più ritrovata da oltre un secolo e mezzo! Esteticamente, è rilevante in questi ambienti la presenza
del magnifico giglio rosso (Lilium bulbiferum var. croceum ), entità protetta dalla Regione Piemonte, che
non manca, sebbene non sia mai comune, in altri settori del Biellese a quote maggiori.
Pietraie scoperte
Dove gli accumuli di ciottoli mostrano una scarsa o scarsissima copertura vegetale siamo in presenza
della peculiarità morfologica più nota della Bessa, un unicum. Ne scaturisce un insolito aspetto floristico
nel quale figurano diverse entità che non è dato di osservare altrove nel Biellese, o quasi. Si tratta
prevalentemente di essenze xerofile, la risposta scontata alla limitata quantità di elementi nutritivi
disponibili. Predominano le specie erbacee e fra esse è tipica la categoria di quelle che si rivestono di
organi che impediscono un’eccessiva perdita di acqua dai tessuti: foglie grasse o molto sottili e
consistenti. Tra queste è particolarmente frequente il semprevivo maggiore (Sempervivum tectorum ), una
tipica pianta montana dalla bella fioritura rosea (mese di maggio), le cui rosette di foglie spesse ravvicinate
tra loro formano a volte ampi tappeti sulle distese dei cumuli di ciottoli. Molto meno evidente è la esile
graminacea festuca annuale (Micropyrum tenellum ), per la quale non vi sono altre indicazioni nel Biellese;
è una specie prevalentemente distribuita nell’area mediterranea, come lo sono due specie di lattughe
selvatica, la alata (Lactuca viminea ) e la rupestre (Lactuca perennis ), la prima presente solo sui ciottoli
presso il bivio per Settimo Vittone e la seconda nota altrove nel Biellese solo presso Sostegno. Un’altra
specie che ricorda climi ancor più caldi, è la paleosubtropicale felcetta lanosa (Cheilanthes marantae ),
ovunque rara in Italia.
Adriano Soldano
fiori di ghiaccio sui ciottoli
Geologia
Formazione del giacimento aurifero
Nel corso delle varie fasi glaciali del Quaternario, a partire dalla fine del Pleistocene inf., i ghiacciai alpini
della Valle d'Aosta si sono espansi fino a raggiungere a più riprese l'angolo nord occidentale della pianura
piemontese ove hanno edificato con il materiale detritico eroso un complesso sistema di argini e cerchie:
l'anfiteatro morenico di Ivrea. Il territorio del quale la Bessa fa parte si estende dal punto in cui l'alta
pianura biellese si raccorda alle due dorsali moreniche più esterne di questo sistema: la morena Donato
- Mongrando che inizia sulle pendici meridionali della Colma di Mombarone e termina a Mongrando (ma
in origine doveva prolungarsi verso SE ed avvolgere completamente la Bessa sul lato esterno ) e una
seconda che si allunga in direzione NW - SE tra Bornasco e Vermogno, dove sembra subire un'interruzione
per ricomparire in piccoli lembi a Cerrione. Questi depositi furono edificati nel corso della più antica fase
glaciale documentabile in questo settore (800.000anni fa circa).
Terminata l'influenza diretta delle fasi glaciali che si susseguirono durante la parte alta del Pleistocene
medio e nel Pleistocene sup., nel settore esterno dell'anfiteatro ebbe luogo la sovrimposizione del reticolo
idrografico ed iniziò una generalizzata fase di erosione. Il torrente Viona smantellò parte dei depositi
glaciali dell'unità di Bornasco che occupavano tutta l'area della Bessa lasciando come unico relitto la
morena Bornasco - Vermogno. In questo contesto furono liberati dai detriti i massi erratici che ora
costellano a centinaia dossi e avvallamenti e si formò il giacimento aurifero: infatti l'erosione e
risedimentazione locale dei depositi risalenti alla prima fase glaciale produsse una concentrazione dell'oro
già presente in forma dispersa. L'oro contenuto in tali depositi si presenta sotto forma di lamelle e di
granuli: la forma a granulo è indice del basso tasso di trasporto che esso ha subito ad opera dei corsi
d'acqua; infatti i granuli subiscono in acqua corrente continue percussioni tra i ciottoli e per la loro elevata
malleabilità si assottigliano assumendo una forma lamellare, ne consegue che la maggior parte del
percorso dai giacimenti primari della Val d'Ayas avvenne su superficie glaciale. L'evoluzione posteriore
alla costituzione del placer riguarda il modellamento della nuova superficie del terrazzo con la
formazione, ad opera dei corsi d'acqua, delle scarpate che lo delimitano su tre lati. La Bessa si
presenta,quindi, attualmente come uno stretto terrazzo fluviale che si estende sul prolungamento della
valle della Viona per oltre 7 km in direzione NW-SE, larga da poche centinaia di metri fino ad un massimo
di 1,1 km e degradante da una quota massima di circa 400 m a NW alla quota di circa 300 m a SE.
Delimitato a destra dalla morena Bornasco - Vermogno e da uno zoccolo poco rilevato verso la valle del
torrente Olobbia aggetta invece a sinistra, con un'alta scarpata, sulla piana del T. Elvo.
La quasi totalità dei 4,5 kmq di superficie del terrazzo sup. è ricoperta da cumuli di ciottoli prodotti dal
lavaggio della parte più grossolana dei depositi fluviali auriferi (all'interno dei quali sono ancora evidenti
le tracce di insediamenti e dell'impianto di distribuzione delle acque) mentre la frazione più fine (ciottoli
piccoli, ghiaie e sabbie) fu fatta transitare in canali artificiali e risedimentò ai loro sbocchi formando una
sequenza di conoidi coalescenti anche questi compresi entro i confini della Riserva Naturale Speciale
istituita nel 1985.
testo rielaborato da F. Gianotti 1996 - stereogrammi: F. Gianotti
Area della Bessa dopo le fasi glaciali Area della Bessa dopo la costituzione del "placer"
carta geologica della Bessa
Terrazzo sup. delle aurifodinae [puntinato] Terrazzo inf. (conoidi antropici)
Morena Bornasco-Vermogno Morena Donato-Mongrando
Scarpata (depositi fluviali della Dora Baltea) Depositi alluvionali recenti
Oro
Simbolo chimico AU, l’oro è noto fin dalla più remota antichità: si sono trovate tracce del suo utilizzo a
partire dal V millennio a.C.
Esiste in natura allo stato nativo ed è l’unico metallo di colore giallo. Dopo il Platino è il più pesante, con
peso specifico: 19,3. Fonde a 1063° C. e si può saldare a sé stesso per semplice riscaldamento al disotto
del punto di fusione. E’ il più duttile e malleabile tra i metalli: con la battitura si possono ottenere foglioline
di spessore inferiore ad 1 millesimo di millimetro. In oreficeria lo si utilizza in lega con argento o rame
perchè è poco resistente; la proporzione d’oro contenuta in queste leghe si esprime in carati con la
convenzione che il titolo di 24 carati corrisponde all’oro puro ed è inalterabile all’aria e all’acqua: non si
patina, quindi, se esposto agli agenti atmosferici.
L’oro attualmente estratto dalle sabbie del torrente Elvo si presenta sotto forma di lamelle di dimensione
non eccedenti i 2 mm. Gli attrezzi più comuni utilizzati dai moderni cercatori sono: la “scaletta” e il “piatto”
o “batea”. La “scaletta” è un asse lungo 80-90 cm., largo 40-50 cm. e dotato nel senso della lunghezza
di un bordo alto 10. Il piano, liscio nella metà superiore, è provvisto in quella inferiore di scanalature
orizzontali profonde 1,5-2 cm. Viene immersa nel corso d’acqua ed ancorata al fondo con inclinazione
tale da essere percorsa da una debole corrente di 4-5 cm. di altezza che priva il sedimento aurifero,
versato lentamente sulla superficie, della frazione più fine e leggera mentre la frazione pesante
(magnetite, granati e oro) è trattenuta dalle scanalature. Il “piatto” (tradizionalmente in legno di pioppo,
castagno, ontano) a fondo concavo e con diametro tra 30 e 50 cm., può essere usato in sostituzione della
“scaletta”. In questo caso la separazione delle frazioni a diverso peso specifico avviene mediante
movimenti di rotazione ed oscillazione durante l’immersione nella corrente. L’operazione mediante l’uso
del “piatto” può anche costituire la fase finale del procedimento con la “scaletta”.
I ciottoli della Bessa
Sono in genere di dimensioni medio-grandi (oltre 15 cm. di diametro), ben arrotondati e freschi o poco
alterati. La parte esposta è, nella maggioranza dei ciottoli superficiali, coperta da una patina grigiastra
formata da colonie di licheni. I ciottoli sepolti o portati in superficie da poco, naturalmente ne sono privi.
I cumuli rappresentano un patrimonio quasi completo delle rocce presenti nell’Arco Alpino Occidentale,
dato che il ghiacciaio Balteo ha, durante il proprio incedere verso valle, ricevuto apporti di materiale da
tutte le unità tettoniche attraversate. Troviamo perciò micascisti eclogitici (costituenti la maggior parte
dei massi erratici), gneiss del Monte Rosa, bianche quarziti, quarzi filoniani della valle d’Ayas (da cui
proviene l’oro), gabbri nerastri e rocce vulcaniche di colore violaceo del Canavese, verdi serpentiniti e
calcescisti giallastri della media Valle d’Aosta, graniti del Monte Bianco.
Cenni storici
Situato all'ombra della grande morena pleistocenica della Serra il giacimento aurifero della Bessa era ai
margini di una via di comunicazione che dalla fine del Neolitico collegava la Pianura Padana con la valle
del Rodano e con l'altopiano Elvetico attraverso il passo del Gran San Bernardo. Testimonianze evidenti
dell'esistenza di questa "via" sono le steli antropomorfe che arrivarono nel corso del III millennio a.C. al
seguito di correnti culturali provenienti dall'oriente Mediterraneo e dal Mar Nero lungo itinerari di
penetrazione che in buona parte sembrano coincidere con il cammino dei miti di Giasone e di Eracle
(Mezzena 1998). Le ritroviamo dapprima nella fascia pedemontana poi in Valle d'Aosta e, oltre il passo
alpino, nel cantone Vallese in Svizzera. Nella necropoli megalitica di Saint Martin de Corleans (Aosta)
abbiamo, con una magnifica serie di steli, una prova della fondatezza dell'associazione di queste culture
al mito di Giasone, dato che il rito preliminare per il loro impianto é consistito nell'aratura del terreno e
nella semina di denti umani uguale quindi a quello che celebrarono gli Argonauti prima di partire alla
conquista del Vello d'Oro. Un probabile percorso risalì la Dora Baltea (testimoniato dalle steli di Vestigné)
e passò a breve distanza dalla Bessa, possiamo quindi ragionevolmente pensare che questi "cercatori di
metalli" (il Vello d'Oro altro non è che la pelle di animale attraverso la quale venivano filtrate le sabbie
aurifere) abbiano avuto la possibilità di venire a conoscenza dell'esistenza di questo esteso e ricco
giacimento di superficie e delle sabbie aurifere dei corsi d'acqua che lo delimitavano.
Non vi sono tuttavia,al momento, testimonianze dirette che indichino con certezza uno sfruttamento
protostorico del giacimento aurifero, ma il ritrovamento di due nuclei di ossidiana e la presenza di
numerosi massi erratici con incisioni a "coppella" (alcune tipologie appaiono collocabili nelll'età del
Rame/Bronzo Antico) attestano una intensa frequentazione protostorica dell’area che, a partire dal V/IV
sec. a.C., era controllata dalla tribù celtica (o celto-ligure) dei Salassi, insieme al territorio biellese parte
dell’attuale provincia di Torino e alla Valle d’Aosta.
Dagli storici Cassio Dione (155 - 235 d.C. ca) (1), Paolo Orosio (fine IV - inizio V sec. d.C.) (2) e dal
geografo greco Strabone (64 a.C. - 21 d.C. ca) (3) abbiamo una serie di significative notizie sul giacimento
della Bessa che brevemente riassumiamo (testi originali alle note 1/3). Nel 143 a.C. il console Romano
Appio Claudio attaccò i Salassi prendendo a pretesto una contesa tra questi e le popolazioni insediate
nella pianura (in cui i primi venivano accusati di privare i campi coltivati dell' acqua del fiume Duria,
utilizzata per il lavaggio delle sabbie di un grande giacimento aurifero). Malgrado una disastrosa sconfitta
iniziale, Appio Claudio si impadronì del territorio oggetto del contendere. Ritornato a Roma chiese al
senato il "trionfo" ma gli fu rifiutato a causa dell'elevato numero di perdite. Appio Claudio se lo
autoconcesse pagando di propria tasca le spese, ma la parata rischiò di finire in rissa e per evitare di
essere assalito da alcuni tribuni il console fece salire sul proprio carro la sorella vestale per beneficiare
della sua inviolabilità. Appio Claudio che apparteneva ad una dinastia che oltre a tramandarsi il nome si
tramandava anche il consolato era suocero di Tiberio Gracco uno dei famosi “gioielli” di Cornelia, figlia di
Scipione Africano vincitore della battaglia di Zama.
L'identificazione del suddetto giacimento con la Bessa (o più probabilmente con le sabbie fortemente
aurifere dei corsi d'acqua circostanti) non è certa, ma molto verosimile dato che doveva trattarsi di entità
di grandi dimensioni. Si deve pensare che Strabone citando la Duria non si riferisse all'attuale fiume Dora
che scende dalla Valle d'Aosta ed é separato dalla Bessa dalla grande morena della Serra, ma lo utilizzasse
come idronimo dato che non esistevano nella regione altri giacimenti di consistenza tale da giustificare
una, sia pur pretestuosa, disputa sull'acqua. Si deve ricordare a questo proposito che in Valle d'Aosta
esistono numerose Dore (Savarenche, Rheme ecc.), in Piemonte la Dora Riparia, in Savoia e Vallese sono
comuni le Doire, Doron, Drance e Duria era l'antico nome del fiume Duero. Il testo di Strabone evidenzia
anche che i Salassi controllavano le sorgenti del corso d'acqua e quindi evidentemente erano in grado di
controllarne anche il flusso, cosa assolutamente impossibile se si fosse trattato della Dora Baltea. Anche
a sud del lago di Viverone, in comune di Mazzè, dove la Dora esce dall'anfiteatro morenico di Ivrea vi è
una zona di sfruttamento aurifero di modeste dimensioni che in parte si adatterebbe alla descrizione di
Strabone. In questa zona si potevano effettivamente utilizzare le acque della Dora Baltea, ma l'ampiezza
del cantiere non è compatibile con l'impoverimento della portata del corso d'acqua e con il controllo delle
sorgenti. L’ipotesi più attendibile e maggiormente in linea con il testo di Strabone (suddivisione del corso
d’acqua in canaletti) indirizza verso una estrazione dell’oro contenuto nell’alveo dei torrenti che
delimitavano il giacimento alluvionale (gli attuali Elvo, Viona e Olobbia), i quali, ancora oggi, contengono
buone quantità di metallo in pagliuzze.
Il 140 a.C. è quindi il termine post quem i pubblicani romani poterono avere in appalto la miniera d'oro e
il ritrovamento, nella zona centrale della Bessa non lontano dalla frazione Vermogno, di un tesoretto di
10 Vittoriati e 3 Denari d'argento il più recente dei quali è databile al 118 a.C. e di un Asse nella zona
settentrionale databile al 91 a.C. conferma l'attribuzione dei lavori al II - I sec. a.C.
L'oro era di proprietà dello Stato ed un Procurator metallorum era posto a capo dell'amministrazione. Il
testo di Strabone conferma anche che il metallo era già estratto dai Salassi (gli Ictimuli citati da Plinio
erano probabilmente Salassi che avevano come centro di riferimento il villaggio omonimo), evidentemente
su scala non semplicemente artigianale. Da Plinio (23 - 79 d.C.) abbiamo invece la prova della dimensione
del cantiere poiché, a proposito della Bessa, cita una lex censoria (4) che, probabilmente per problemi di
ordine pubblico, vietava l'utilizzo nelle aurifodinae di più di 5000 lavoratori, ciò significa che vi furono
periodi in cui il loro numero dovette essere maggiore. E' probabile che questo numero non si riferisse ai
soli addetti ai lavori minerari ma al totale dei lavoratori impiegati compresi quindi quelli coinvolti nella
logistica. L'apertura dei cantieri provocò certamente una imponente rilocazione di popolazioni di etnia
salassa verso l'area della Bessa e una modifica alla loro struttura sociale ed economica
(l'approvvigionamento in viveri e materiali doveva rappresentare un importante problema) dato che si
ritiene che la mano d'opera fosse costituita da comunità di "dedicti" che, dopo la sconfitta, pagavano
tributo a Roma con il lavoro. Inoltre in prossimità della miniera doveva essere necessaria la presenza
dell'esercito dato che si trattava di zona di confine con popolazioni che furono totalmente sottomesse
solo sotto Augusto.
Il periodo di sfruttamento della Bessa è stato uno dei più turbolenti nella storia della Repubblica. Viene
immediatamente dopo la caduta di Cartagine ad opera di Scipione Emiliano poi ucciso da Caio Gracco,
l’altro “gioiello” di Cornelia. In seguito arrivarono le invasioni dei Cimbri che furono sconfitti da Mario nei
pressi di Vercelli nel 101 a.C. e le lotte tra lo stesso Mario e Silla. E’ probabile che l’oro della Bessa sia
servito a finanziare i vari contendenti fino alla presa del potere da parte di Cesare, che era scampato alle
liste di proscrizione (eliminazione fisica) emesse da Silla.
Non è nota la durata del periodo di sfruttamento (probabilmente un centinaio di anni) sappiamo però che
all’epoca in cui scriveva Strabone le miniere erano già state abbandonate (o esaurite) e l’oro di Roma
proveniva ormai in massima parte dall’Iberia e dalla Gallia.
Amministrativamente la miniera dipese nella fase iniziale da Vercelli poi, in seguito alla deduzione di
Eporedia (Ivrea) nel 100 a.C., passò, secondo una tesi recente, sotto questa. Lo testimonierebbero
indirettamente alcune lapidi ed iscrizioni di cittadini eporediesi, rinvenute ai margini della Bessa (fraz.
Riviera di Zubiena) e sul sito di S.Secondo di Salussola, da alcuni ritenuta l'antica Victimula. La lapide di
Riviera è relativa ad un sacerdote di Augusto, l’iscrizione di S.Secondo ricorda la donazione di un
ponderarium (struttura in cui venivano conservati pesi e misure) da parte di un magistrato. A questo
proposito si deve però constatare che le iscrizioni sono di età alto imperiale, che sia Strabone che Plinio,
attivi in epoca posteriore alla chiusura della miniera, la collocano vicino a, o nell'ager di Vercelli senza
menzionare Eporedia. L’identificazione della Ictimuli/Victimulae, citata dagli storici, con il centro
direzionale delle aurifodinae non è stata fino ad ora confermata, dato che la datazione dei reperti e delle
strutture indagate a S.Secondo non sono antecedenti l’età Imperiale e nessuna necropoli contemporanea
al periodo di “coltivazione” é per ora venuta alla luce. Un vicus a nome Ictimuli o Victimula è sicuramente
esistito dato che oltre Strabone anche l'Anonimo Ravennate (VII sec.) la cita situandola vicina all'attuale
Ivrea (5).
La ricerca dell’oro continuò anche nei secoli successivi e prosegue ancora attualmente a livello
amatoriale ad iniziativa di singoli e limitata alle sabbie provenienti dal rimaneggiamento dei depositi delle
morene ad opera dei torrenti.
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1. “(Appio) Claudio, il collega di Metello al consolato, orgoglioso di nascita, e geloso di Metello, ottenne
dalla sorte di governare l'Italia, ma non avendo alcun nemico, e desiderando assolutamente ottenere una
brillante vittoria; spinse la tribù gallica dei Salassi - che non aveva ragioni di conflitto – a entrare in
guerra contro i Romani. Inviò loro qualcuno per mettere pace, disse, tra di loro e loro vicini, poiché non
vi era accordo circa l'acqua necessaria alle miniere d'oro; e fece delle incursioni attraverso tutto il loro
paese.”
2. “Appio Claudio attaccò il Galli Salassi e nella sua disfatta perse cinque mila soldati, dopo aver
nuovamente dato battaglia uccise cinque mila nemici ma benchè avesse chiesto il trionfo, che la legge
prevedeva per chi avesse ucciso cinque mila nemici, non lo ottenne a causa delle maggiori perdite
subite, egli diede prova di una impudenza e di una ambizione incredibile trionfando a proprie spese”
3. " Il paese dei Salassi ha pure delle miniere, di cui un tempo, quando ancora erano potenti, i Salassi
erano padroni, cosi come erano padroni dei valichi alpini. Nella produzione mineraria era loro di grande
aiuto il fiume Duria per il lavaggio dell’oro; perciò in molti punti, dividendo l’acqua in canaletti,
svuotavano la corrente principale. Questo serviva a quelli per la produzione dell’oro, ma danneggiava gli
agricoltori che coltivano le pianure sottostanti, privati dell’acqua di irrigazione…. Per questo motivo vi
erano continui conflitti tra le due popolazioni."
" Dopo la vittoria dei Romani, i Salassi furono cacciati dalle miniere e dal territorio circostante, ma
perché continuavano ad occupare i monti, fino a poco fa vendevano l’acqua ai pubblicani che avevano
appaltato i lavori delle miniere d’oro e vi erano continue liti coi Salassi per la cupidigia dei pubblicani ."
" Quanto allo sfruttamento delle miniere, oggi non avviene più come prima, perché quelle dei Celti
transalpini e parimenti quelle dell’Iberia sono più proficue. Una volta invece, quando anche a Vercelli
c’era una miniera d’oro, era in vigore tale sfruttamento. Vercelli è un villaggio vicino a Ictimuli che pure
è un villaggio: entrambi sono vicini a Piacenza ."
4. "Extat lex censoria ictimulorum aurifodinae in Vercellensi agro, qua cavebatur, ne plus quinque milia
hominum in opere publicani haberent ."
5. " Iuxta Eporedia non longe ab Alpes est villa quae dicitur Victimula."
Roma nel 143 a.C.
Leggende dell'oro
Tra le numerose leggende e tradizioni popolari biellesi alcune, che significativamente hanno origine nei
territori occidentali in prossimità del fiume Elvo ai margini della Bessa, hanno come filo conduttore l'oro.
La più interessante detta dei "pe' d'oca" (piedi d’oca) narra di stranieri alti, biondi e con occhi azzurri che
giunsero nel territorio dell'attuale comune di Muzzano accolti benevolmente dalla popolazione perché
promisero di insegnare l'arte di trovare ed estrarre l'oro dalle montagne e dai fiumi. Un'altra causa della
generosa ospitalità offerta (da parte della componente maschile) fu la bellezza e la "formosità" delle loro
donne. Mogli ed aspiranti tali, dei muzzanesi, si opposero senza successo a questa sgradevole situazione
che le poneva in evidente inferiorità, fino a quando una sera durante un ballo dinanzi al fuoco, una
giovinetta si accorse che sotto alle vesti lunghe fino a terra delle straniere spuntavano dei piedi
d'oca. L'ilarità generale e lo scherno a cui furono sottoposte le donne, offese i "cercatori d'oro". Difesi da
una Fata e da un grosso serpente, che impedirono ai muzzanesi di riportarli indietro con la forza, se ne
partirono senza aver rivelato il loro segreto.
Una leggenda simile proviene dal territorio di Mongrando. Qui gli stranieri sono sostituiti da bellissime
Fate che al pari di questi promisero alla gente di insegnare il modo di trovare l'oro. Anche queste
malcapitate se ne andarono dal paese senza trasmettere la straordinaria facoltà di cui erano dotate a
causa della derisione delle donne locali che scoprirono una imperfezione alle loro estremità inferiori. Sotto
diversa forma le due leggende hanno evidentemente una origine comune dato che riferiscono di esseri o
genti di etnia e cultura diversa dai locali, con capacità specifiche nel campo della ricerca dell'oro e piedi
(probabilmente calzature) di tipo sconosciuto. La presenza dell’oro nell’Elvo e nella Bessa era certamente
nota almeno dal II sec. a.C. é possibile quindi pensare ad una genesi più antica per questi racconti.
Anche la Bessa ha naturalmente la propria leggenda legata all'oro. Si narra infatti che i Vittimuli
(Ictimuli/Salassi) abbiano nascosto, all'arrivo dei romani, una consistente parte dell'oro in loro possesso,
nel punto più alto della Bessa, dopo averlo fuso in forma di cavallo. Si tratta in questo caso di una probabile
eco di culto solare, lo dimostrerebbe anche una successiva cristianizzazione della leggenda che sostituì
l'animale sacro ad Helios, con una statua della Madonna.
Anche gli gnomi compaiono nel folklore della Bessa. Si narra infatti che da una fontana situata nei pressi
della fraz. Riviera-S. Cassiano escano a volte piccoli uomini benefici per fare il bucato. S.Cassiano, l’antica
Blatino, la cui origine si vuole risalga ad epoca romana (una stele risalente ad età imperiale fu rinvenuta
nel 1951), è una delle più antiche pievi del biellese ed è citata in un diploma di Federico II del 1151. Fu
“depraedata et cremata per multos armatos de Bugella” nel 1341-1343 e non riprese vita fino alla metà
del ‘600. A valle di S. Cassiano vi é il masso con il maggior numero di incisioni a coppella della Bessa
(n. 14).
La Via Francigena
In cerca di salvezza eterna, di conforto spirituale o, a volte, semplicemente in fuga da una esistenza ai
limiti della sopportabilità migliaia di pellegrini percorrevano nell’XI secolo l’Europa, in direzione di Roma
e della tomba di Pietro. Uno degli itinerari più frequentati fu la via Francigena (in realtà una serie di strade)
che attraversava le Alpi provenendo appunto dalla Francia. Attraversati i passi della Valle d’Aosta un ramo
scendeva ad Ivrea e qui si suddivideva: uno proseguiva verso Viverone, un altro attraversava la Serra per
raggiungere la famosa abbazia di S.Salvatore della Bessa (oggi in gran parte perduta) e ….. le sabbie
aurifere dell’Elvo. I pellegrini-cercatori sostarono certamente anche nel borgo di Magnano ( il nome deriva
dalla professione dei suoi abitanti che erano calderai) che, fino al XIV secolo, era raggruppato intorno a
S.Secondo, una delle chiese romaniche più significative del Biellese, eretta inizialmente ad una sola navata
poi ampliata con la costruzione di altre due e dell’imponente campanile, nel corso dell’XI secolo. Con il
trasferimento del villaggio su una altura, attorno ad un Ricetto, la chiesa conobbe un periodo di decadenza
e rimaneggiamenti stilistici e fu restituita alle forme primitive nel 1968/70.
Incisioni rupestri della Bessa
La Bessa è situata tra 400 e 300 m. di altitudine alla base delle pendici meridionali del Mombarone (Alpi
Biellesi - Piemonte). Si estende dalla fraz. Bornasco del comune di Sala a Cerrione per una lunghezza di
oltre 7 km. ed una larghezza massima di 1.4 con una superficie di 7.5 kmq, ed è delimitata a destra dai
resti della morena Bornasco-Vermogno e a sinistra dal corso del torrente Elvo. Morfologicamente è
suddivisa in due terrazzi (superiore - inferiore) orientati NO-SE separati da una scarpata di alcune decine
di metri. Il terrazzo superiore è costituito da una sequenza di dossi, ricoperti da strati di ciottoli residuati
dalla miniera romana del II sec. a.C., alternati a fasce boschive che occupano le depressioni, quello
inferiore è caratterizzato da ampie ondulazioni, con bosco e radure, originate dai conoidi di discarica di
sabbie e ghiaie successive al lavaggio del sedimento aurifero. Consistenti tracce di frequentazioni
protostoriche sono testimoniate da cinquantacinque massi erratici con oltre seicento incisioni
prevalentemente coppelliformi.
La presenza di massi erratici nella Bessa si deve allo smantellamento, ad opera dei torrenti Viona ed Elvo,
di morene edificate dal ghiacciaio Balteo che durante la prima fase glaciale pleistocenica (circa 800000
anni fa) fluiva dalla Valle d'Aosta e si espandeva nell'angolo nord occidentale della Pianura Padana.
L'erosione di questi due corsi d'acqua arrotondò in parte i massi ed i ciottoli che ora appaiono come
imponenti cumuli di discarica della miniera romana. I massi isolati o in piccoli gruppi prodotti da blocchi
di frana sulla superficie glaciale che fungeva da nastro trasportatore, sono sparsi lungo tutta la superficie
del terrazzo superiore che doveva apparire, prima dello sconvolgimento minerario, come un movimentato
altopiano ciottoloso inciso da vallette trasversali in approfondimento verso Est.
Il giacimento di oro alluvionale si formò per erosione e risedimentazione locale, da parte di corsi d’acqua
(verosimilmente una paleo Viona), dei depositi che contenevano metallo esarato dai ghiacciai nei filoni
della sinistra orografica della Valle d'Aosta (Ayas).
La presenza su molti massi di incisioni rupestri attesta una colonizzazione protostorica dell’area che, a
partire dal V/IV sec. a.C., si ritiene fosse controllata dai Salassi. Questi reperti pongono il problema della
effettiva data iniziale di sfruttamento del giacimento (sia pure su scala artigianale) considerando che la
presenza dell’oro difficilmente può essere sfuggita agli artefici delle incisioni dato che doveva affiorare
nei corsi d’acqua temporanei che attraversavano il Terrazzo e nei loro conoidi ed è probabile che l'elevata
densità dei segni sia diretta conseguenza della presenza del metallo.
Carta distribuzione incisioni
Nonostante una distribuzione abbastanza uniforme dei massi sul Terrazzo superiore, la quasi totalità di
quelli incisi incisi é concentrata tra le fraz. Filippi e Vermogno del comune di Zubiena e cioé su 1/3 della
superficie. Questa anomalia é probabilmente spiegabile con il fatto che le colline moreniche delimitanti il
lato destro della Bessa terminano proprio all'altezza di Vermogno e su queste alture soleggiate e sicure
dovevano essere situati gli insediamenti, appare quindi logico che gli atti legati alle incisioni fossero
compiuti nelle vicinanze degli abitati.
I massi sono generalmente posizionati su piccoli dossi su piani e comunque mai in versanti
prevalentemente in ombra; inoltre la quasi totalità delle incisioni è su superfici orizzontali o inclinate
verso il corso del sole e sono in questo caso in maggioranza concentrate nella metà superiore. Queste
caratteristiche fanno supporre che un ampio soleggiamento fosse condizione preminente nella scelta,
infine sembra fosse necessaria una particolare posizione dei massi sul terreno. Questa ipotetica
caratteristica è suggerita dal fatto che ve ne sono con superfici regolari e ben esposte che sono privi di
segni mentre, altri a rugosità accentuata ed a tessitura irregolare furono utilizzati. Le dimensioni non
sembrano aver condizionato gli autori delle coppelle della Bessa dato che furono ritenuti idonei esemplari
da 1 mc. ed altri da oltre cinquanta, inoltre massi piccoli portano decine di cavità, altri, maestosi solo
poche unità. Una conferma a quanto detto ci viene da un masso (n.14) situato in prossimità del cimitero
di Riviera (Zubiena) che, nonostante sia di ridotte dimensioni, è letteralmente ricoperto da oltre cento
coppelle. Questo masso potrebbe essere stato scelto anche per la particolare tessitura della roccia,
formata da sottili strati di quarzo e mica, che danno ai manufatti scavati perpendicolarmente alla
stratificazione, un aspetto a cerchi concentrici digradanti di grande effetto visivo.
Masso n.14 Masso n.50
Altri tipi di incisione sono presenti sui massi della Bessa : "vaschette ovali" e "pediformi" si trovano
esclusivamente in zone periferiche a valle della fraz. Vermogno mentre, sparse su tutto il territorio, vi
sono forme a "scudo" che potrebbero essere state ottenute a volte allargando artificialmente fratture
preesistenti perpendicolari al piano di scistosità, altre percuotendo la roccia dove questa tendeva a
sfaldarsi naturalmente secondo piani paralleli, caratteristica questa tipica del micascisto che costituisce
la quasi totalità dei massi erratici della Bessa. Il risultato finale è un incavo a fondo piano profondo fino a
3 cm. con diametro massimo variabile da 20 ad oltre 60 cm. Se per alcune può esserci il dubbio di una
origine naturale per altre è da escludere, data l'estrema regolarità e simmetria dell'ovale. Queste incisioni
presentano tuttavia un'ampia variabilità di disegno e sono, a volte, collegate ad una coppella o appendice
sul bordo superiore sinistro.
Masso n. 29 Masso n. 43 Masso n. 31
Per concludere l’analisi delle tipologie presenti nella Bessa si devono citare una forma a “coltello” con
manico terminante a pomo, ottenuto mediante scavo di una coppella, collocabile cronologicamente nella
seconda età del Ferro e una coppia di vaschette quadrate con canaletti per la quale sembra possibile
ipotizzare una rappresentazione legata alla coltivazione del giacimento aurifero : bacini di accumulo e
canali di smaltimento.
Masso n. 4 Masso n. 32
Nonostante le numerose suddivisioni contemplate dalla Scheda Internazionale d'Arte Rupestre, le rocce
coppellate appaiono in grande maggioranza cosparse da gruppi, più o meno numerosi di incisioni
disposte apparentemente in modo casuale. Tuttavia nella Bessa si osservano, su due massi, sequenze che
evocano composizioni intenzionali.
Il primo masso (n.5), situato a valle della fraz.Roletti (Zubiena) ospita sulla superficie superiore piana,
oltre 90 coppelle, 60 delle quali sembrano organizzate in una struttura equilibrata in cui la continuità ed
uniformità dei segni fa pensare ad una esecuzione unitaria volta a rappresentare un "oggetto" dotato di
un manico (doppia fila di coppelle) all'apice del quale, sul lato sinistro si origina una forma a trapezio e
sul destro una lunga appendice. Questo "oggetto" presenta forti rassomiglianze con le "asce a manico
ricurvo o asce aratro" incise su alcuni megaliti francesi (Trou aux Anglais, Mane Kerioned, Mane er Hroeck).
Ovviamente in assenza di contesto archeologico la parentela non è che un'ipotesi di lavoro, ma la presenza
di un oggetto adatto ad "aprire" il terreno ed utilizzato a scopo rituale (arature di consacrazione) fin dal
suo apparire nell'età del Rame ben si adatterebbe al luogo dato che l'estrazione dell'oro (metallo delle
divinità) avveniva mediante scavo del sedimento.
Il secondo masso (n.41), situato a valle della fraz. Vermogno (Zubiena) porta ben cinque allineamenti
composti da più di tre coppelle, in parte collegate da canaletti, paralleli tra loro. Anche in questo caso
sembra esservi intenzionalità nella disposizione dei segni e si deve considerare, inoltre, che gli
allineamenti collegati da canaletti, maggiori di tre coppelle, sono molto rari sia nella Bessa (7 in totale)
che altrove.
Masso n.5 Masso n.41
La classificazione tipologica in uso nell'arco alpino occidentale, suddivide in categorie le incisioni a forma
di coppella a seconda che siano collegate o no da canaletti, che assumano forme geometriche o di
allineamenti. Questa classificazione può in alcuni casi stabilire una approssimativa sequenza temporale,
in quanto si ritiene (non da tutti) che siano apparse per prime incisioni di piccole dimensioni, poco
profonde, a partire dall'età del Rame, con successivi incrementi di volume e comparsa dei collegamenti
durante l'età del Bronzo e nella successiva età del Ferro.
Ben pochi dubbi sussistono comunque sul periodo di comparsa iniziale delle incisioni a coppella data la
loro frequente associazione con megaliti o necropoli a cista dell' età del Rame, dalla Svezia meridionale
fino al Caucaso ed alla valle del Giordano. Appare quindi impossibile attribuire datazioni di origine,
posteriori a quest'epoca considerando che solo il megalitismo ebbe una diffusione geografica così ampia
e capillare. Una datazione più tarda (Bronzo finale/prima età del Ferro), come da alcuni sostenuto, su
un'area di tale estensione non è supportata da alcuna "cultura" e l'ipotesi di una casuale convergenza non
appare attendibile.
Non è possibile al momento attuale, in assenza di contesto archeologico, datare le incisioni rupestri della
Bessa poichè i lavori di coltivazione del giacimento hanno intaccato quasi totalmente lo strato superficiale
del terreno; la maggior parte delle alture circostanti hanno subito una antropizzazione continua fino ai
nostri giorni e non sono stati effettuati sondaggi alla base dei pochi massi che potrebbero aver conservato
il sedimento originale. Tuttavia l'estensione tipologica (10 tipi della categoria 0) e la varietà morfologica
(coppelle di diametro e profondità variabili ma sovente in gruppi omogenei) fanno pensare ad una ampia
estensione del tempo di incisione. Sembra comunque da scartare la tesi, più volte formulata, che le
coppelle della Bessa siano da attribuire cronologicamente al periodo di sfruttamento del placer da parte
dei Romani dato che la loro ripartizione sul territorio riguarda 1,5 kmq. contro una superficie totale del
terrazzo di 4,5 inoltre la zona di massima concentrazione di insediamenti relativi alle aurifodinae non
coincide con quella delle incisioni.
Roc d'la Sguia Roc Malegn
Un'eco di culti litici è ancora presente nella Bessa in due massi situati, forse non casualmente, alle due
estremità della zona ad incisioni. Il n.6 detto "Roc d'la Sguia" (roccia dello scivolo) è un magnifico monolito
carenato (quasi un gigantesco uovo) sul quale appaiono ancora le "strie" longitudinali dovute al trasporto
nel ghiacciaio Balteo. Sul dorso arrotondato, oltre ad una serie di coppelle vi è la traccia levigata prodotta
da innumerevoli "scivolate" di generazioni di donne in cerca di fertilità (ed in tempi recenti da giochi
infantili). Questo singolare legame tra alcune pietre e la capacità di generare è noto in molte parti d'Europa
ed è legato a culture protostoriche la cui influenza è giunta fino a noi. All'estremo opposto del benefico
Roc d'la Sguia è situato il n.50 "Roc Malegn" (roccia maligna), enorme e spigoloso erratico spezzato in tre
parti che, ancora oggi, alcuni vecchi abitanti della zona preferiscono non frequentare e neppure nominare.
Il frammento dominante e meglio soleggiato è inciso da una consistente serie di coppelle in maggioranza
collegate a due a due da un canaletto. La presenza insistente del tema della coppia fa sospettare che
anche in questo caso la fertilità sia entrata, in tempi lontani, nella storia di questo masso, ciò spiegherebbe
la pessima fama, dovuta forse ad un anatema di matrice cristiana o ad una ancor più antica interdizione
a frequentare un luogo sacro.
Anche per le coppelle della Bessa è opinione diffusa che fossero contenitori di offerte in forma liquida,
opinione basata in parte sulla presenza di canaletti. Ciò è teoricamente possibile per alcuni tipi larghi e
profondi, collegati o no, ma tale caratteristica è molto dubbia per i manufatti le cui ridotte dimensioni
rendono difficile ipotizzare un eventuale contenuto e sovente, anche a dimensioni consistenti, non
corrisponde una adeguata capacità a contenere dato che molti sono scavati su superfici inclinate ( pur in
presenza di zone piane sullo stesso masso). Per quanto riguarda i tipi collegati da canaletti vi sono
anomalie che lasciano perplessi: alcuni collegamenti non permettono il passaggio di liquidi tra le coppelle,
altre serie hanno una inclinazione talmente accentuata che versando acqua nell'incavo superiore questa
attraversa i successivi e trabocca all'esterno, lasciando scarsi residui nei presunti contenitori. Per molte
incisioni l'eventuale funzionalità appare quindi secondaria rispetto alla posizione sulla superficie del
masso e si potrebbe tuttalpiù ipotizzare una irrorazione per aspersione.
Fossero o no contenitori, sembra fondamentale l'atto di scavare la pietra. Si può quindi supporre che la
materia avesse un significato trascendente, non difficile da percepire, dato che la pietra è la parte più
apparentemente immutabile della Terra Madre e l'incisione di una coppella può simbolizzare una unione
con essa. Si aggiunga che le rocce incise sono esposte ai raggi del Sole Padre e periodicamente irrorate
dalla pioggia fecondatrice ed avremo una possibile spiegazione della ragione per cui furono scavate,
almeno una parte, delle innumerevoli coppelle che popolano non solo la Bessa ma estese aree dell'Europa
occidentale e del Vicino Oriente. E' comunque verosimile che l'uso di "fare" coppelle abbia attraversato tre
millenni di protostoria con mutamenti di indirizzo rituale dovuti alle diverse e successive popolazioni e
culture che lo adottarono, (pur rimanendo immutata la sacralità del gesto) e che la religiosità così espressa
divenisse, col tempo, una manifestazione secondaria e parallela che convisse con i culti dominanti o fu da
questi incorporata. Il perdurare fin quasi ai nostri giorni, in una società conservatrice e poco permeabile
come quella alpina, di superstizioni legate alla pietra rende probabile l'incisione e l'utilizzo a scopo rituale,
almeno occasionale, di coppelle ben dentro all'era cristiana.
Tecnica di incisione
Per meglio comprendere la tecnica di esecuzione sono state incise alcune coppelle su un blocco di
micascisto usando un ciottolo di quarzite (comune nei sedimenti fluvioglaciali della Bessa) dotato di punta
arrotondata con diametro di circa 4 cm. I colpi sono stati portati con leggera angolazione rispetto al piano
di percussione e sono state rilevate più volte, nel corso del lavoro, le sezioni dell’incavo. Dopo alcuni
tentativi iniziali non è stata effettuata alcuna rotazione dell’attrezzo che è apparsa una inutile
interruzione, si è inoltre dovuto liberare periodicamente il fondo del manufatto dal materiale polverizzato.
Dirigendo i colpi senza particolare precisione si è formata dopo circa 15 min. una coppella a fondo conico-
emisferico e bordi debolmente arrotondati di 5 cm. di diametro, profonda 1,7 cm. ed al termine di 1 h. la
coppella risultò avere un diametro di 9 cm. una profondità di 2,8 cm. ed una forma leggermente ovale.
La prova ha evidenziato una forte diffilcotà ad eseguire con attrezzo litico coppelle emisferiche con
rapporto tra diametro e profondità minore di 2,5 a causa sia della ìmprecisione della percussione diretta,
sia della scarsa inclinazione dei colpi per approfondire, condizionata dalla normale morfologia dei ciottoli
quasi mai lunghi e stretti, come sarebbe necessario (ma in questo caso la punta sarebbe estremamente
fragile). Una seconda prova eseguita con una punta di ferro ha dato tempi di esecuzione molto più ristretti
ed inclinazione delle pareti molto più accentuata.
La superficie dell'incavo appare sempre punteggiata da microfratture, che in alcuni casi erano in passato
state indicate come segno di utilizzo di strumento di ferro, ma che in realtà sono semplicemente causate
dalla frantumazione dei cristalli di quarzo presenti nella roccia. Risultati analoghi ha dato l'incisione di
canaletti di collegamento tra le coppelle.
Sembra quindi molto probabile che le dimensioni ed il rapporto diametro/profondità possano essere indici
del tipo di strumento utilizzato. Si dovrebbe infine cambiare il termine "strumento metallico" con
"strumento di ferro" dato che un tentativo fatto con una punta di bronzo ha evidenziato una inadeguata
durezza di quest'ultima
Stele della Bessa
Durante la prospezione totale del terrazzo superiore della Bessa svoltasi tra il 1997 ed il 2003 è stata
individuata (Febbraio 1997) in località Fontana del Buchin (Cerrione) una stele antropomorfa a forma sub
cilindrica in serpentinoscisto, lunga 2,90 m. La parte apicale appare lavorata in forma di prisma, forse a
simulare una testa, da cui scendono, curve, le spalle. La base della "testa" presenta una incisione a collare
ma a causa della scistosità della roccia non è possibile stabilirne l'intenzionalità. Un incavo pettorale
curvilineo, questo sicuramente artificiale, occupa la parte immediatamente sottostante per circa 40 cm.
di altezza. La metà inferiore rastremata frontalmente termina con una punta tagliata diagonalmente con
evidenti segni di lavorazione non portata a termine. La superficie dorsale, piana all'altezza delle spalle,
prosegue verso il basso con convessità e concavità di difficilmente spiegabili con fenomeni erosivi
naturali. La parte superiore appare quindi fortemente assottigliata rispetto al resto del monolito.
La stele al momento del ritrovamento giaceva al suolo, apparentemente sulla superficie ciottolosa delle
aurifodinae e rivolta a Sud Est (in direzione dell'alba del solstizio invernale). Era posizionata al bordo
superiore del terrazzo (versante Olobbia) in situazione dominante, nelle immediate vicinanze della più
abbondante sorgente del Parco ed in zona non interessata dalla presenza di massi incisi.
La stele nel luogo di ritrovamento
Dettaglio della parte apicale Dettaglio della parte distale
Il tipo di roccia costituente, ha nella Bessa caratteristiche di estrema rarità. I massi del Parco sono infatti
"erratici" trasportati dai ghiacciai pleistocenici, successivamente erosi da corsi d'acqua nelle fasi di
deglaciazione e, dato l'alto grado di scistosità e quindi di fragilità del serpentinoscisto, la presenza di
elementi di grandi dimensioni costituisce un evento insolito. In prossimità della stele esiste un secondo
masso con le stesse caratteristiche litologiche (viaggiano quasi sempre in gruppi essendo originati da
frane sulla superficie glaciale) a conferma che la materia prima fu reperita in loco.
La rimozione del manufatto, trasportato nella sede del Parco a Cerrione per pulitura e consolidamento,
ha permesso di constatare che si trovava ancora nell' "atelier" di lavorazione. Lo testimoniano la presenza
di numerose schegge di grandi dimensioni (non attribuibili a distacco naturale) situate immediatamente
al disotto del "dorso" (non visibili precedentemente a causa di un leggero strato di terra a copertura).
Questi resti di lavorazione poggiano su una serie di lastre curve interconnesse, infossate per oltre 40 cm
nello strato di ciottoli, a formare un "negativo" della stele.
Schegge sottostanti il manufatto Lastre di base
L'esecuzione del manufatto non fu portata a termine e quindi non fu mai eretto (forse a causa della
frantumazione della pietra all'altezza della spalla destra), ma la cura con cui fu abbandonato (lastre,
schegge e stele sovrapposte ed allineate, e orientamento particolarmente significativo) suggeriscono la
celebrazione di un rito. Non è al momento definibile una precisa datazione poichè, pur essendo la stele
in superficie, le lastre erano affondate, come detto, nel sedimento della discarica mineraria, appoggiate
ad un sottile strato di ciottoli che le manteneva distaccate dal terreno. Non é quindi chiara la collocazione
stratigrafica, tuttavia i ciottoli disordinatamente addossati al manufatto fanno supporre che un
rimaneggiamento del contesto sia avvenuto in epoca posteriore alla lavorazione del reperto. Risulta quindi
problematica una sua attendibile definizione. In via indicativa si ipotizza una datazione nell'ambito della
seconda età del Ferro (IV/II secolo a.C.) sulla base di confronti con altri manufatti analoghi rinvenuti nel
vicino Canavese ed una interpretazione come cippo monumentale.
Riproduzione dal vero ( Maria Ciocchetti 1997 )
Altri ritrovamenti
Da un cumulo di discarica delle aurifodinae, situato lungo la "strada delle pietre bianche", proviene un
ciottolo di gneiss alto 31 cm. con una profonda incisione a collare sulla faccia anteriore (sulla posteriore
si presenta come una leggera martellatura), eseguita presumibilmente con uno strumento litico. La parte
apicale del ciottolo presenta inoltre smussature di origine artificiale, che interrompono la naturale
curvatura causata dalla lunga permanenza in un corso d'acqua. In assenza di contesto non é possibile
avanzare ipotesi sulla data di esecuzione dell'incisione, si può tuttavia constatare la forte rassomiglianza
(per forma, dimensione, tipo di roccia utilizzata e tipo di incisione) con idoliformi ritovati in associazione
con sepolture dell'età del Rame.
I conoidi antropici della Bessa, formati dal materiale fine di discarica della miniera, sono composti
prevalentemente da sabbie e ghiaie residuate dal lavaggio del giacimento aurifero e molte cave di
sfruttamento sono state attive fino a tempi recenti. All’interno del sedime ghiaioso di ricoprimento,
proveniente dai suddetti conoidi, di una carrareccia situata in regione Briengo, al limite settentrionale
del Parco, è stato rinvenuto (9/2009) un nucleo di ossidiana su ciottolo con cortice, di circa 4 cm. di
lunghezza, sul quale vi sono evidenti tracce di lavorazione finalizzata all’ottenimento di piccole lame.
Questo reperto di evidente importazione (la maggior parte dell'ossidiana ritrovata nel nord Italia
proviene dalla Sardegna o dalle isole Eolie) evidenzia una frequentazione della Bessa in epoca collocabile
tra il Neolitico e l’Età del Rame.
A conferma della continuità di insediamenti nell'area della Bessa è stata rinvenuta (4/2010), nelle ghiaie
dei conoidi situati in comune di Mongrando, una fusaiola di 5 cm. di diametro per la cui datazione si è
potuto trovare un riscontro probante in un reperto proveniente dall’insediamento di Roc del Col in Val
Chisone (TO) ritrovato in un contesto Bronzo Medio con forti richiami, negli elementi ceramici,
all’insediamento palafitticolo di Viverone (Fozzati, Bertone - La civiltà di Viverone – 2004). Entrambi i
reperti presentano segni di usura su una faccia, probabilmente causati dal contatto accidentale con il
terreno durante la rotazione.
Roc del Col Bessa - recto Bessa - verso
Coltivazione del giacimento
La coltivazione del giacimento aurifero di origine alluvionale della Bessa necessitava di grandi quantità di
acqua in quanto il sedimento, formato da ciottoli di varia pezzatura, ghiaie, sabbie, limi e contenente il
metallo in pagliuzze o piccole pepite, doveva essere “lavato”.
L’acqua fu derivata dal torrente Viona a quota 500 e fatta scorrere in un canale situato inizialmente sulla
sinistra orografica della morena Bornasco-Vermogno, attraversata poi all'altezza dell'attuale frazione
Bornasco del comune di Zubiena, fino alla frazione Filippi. Il tracciato si identifica in una carrareccia che
percorre la morena che, dal corso del torrente, scende con pendenza costante verso la
miniera. Da Filippi doveva poi seguire le pendici superiori della morena lungo la quota 380 in
corrispondenza con l'attuale strada provinciale fino alla frazione Caporale (con varie derivazioni in
direzione del giacimento) per scendere infine, a livello Terrazzo, all’altezza dell’abitato di Vermogno,
lungo un percorso segnato dalla carrareccia di confine del Parco.
All'interno della Bessa, a valle di Vermogno, il terreno dove ipoteticamente il canale avrebbe dovuto
trovarsi (a monte delle vasche di accumulo) é stato fortemente rimaneggiato, ne consegue che il manufatto
fu distrutto o interrato e in questo caso sembra corrispondere, ora, a tratti dei sentieri utilizzati nei
percorsi di visita. La strada della Mezza Bessa è probabilmente una testimonianza dell’antico canale che
alimentava i lavaggi e permetteva lo smaltimento dello sterile nel settore meridionale, in direzione di
Cerrione.
Percorso del canale di alimentazione
Secondo recenti studi riguardanti le miniere d'oro alluvionale del Nord Ovest della Spagna (che possiamo
applicare anche alla Bessa) la coltivazione del giacimento procedeva da valle verso monte (e quindi nella
Bessa da Cerrione verso Mongrando) e dall'esterno verso l'interno del "placer” (e quindi a partire dalle
scarpate che delimitano i terrazzi dei versanti Elvo e Olobbia). Ne consegue che il canale principale di
alimentazione doveva essere tracciato per intero all'inizio dei lavori. La rete idrica era probabilmente
progettata da legionari in congedo che dopo aver acquisito le necessarie conoscenze durante il "servizio"
passavano in seguito alle dipendenze, come tecnici, di imprenditori privati o dello Stato.
Veduta da Nord (abitato di Vermogno, terrazzo superiore, conoidi di discarica)
Il procedimento di "coltivazione" consisteva nello scavo, mediante forza idraulica, del sedimento. I
ciottoli di grandi dimensioni erano raccolti ed accatastati ai lati dello scavo, a formare i grandi cumuli che
oggi caratterizzano il paesaggio della Riserva. La frazione più fine (limo, sabbia, ghiaie e ciottoli di piccola
taglia) transitava, in seguito in canali, dotati di rivestimento ligneo a debole e costante pendenza ed il
"concentrato" di oro, magnetite e granato, che essendo di peso specifico più elevato tendeva a depositarsi
per primo, veniva raccolto tramite procedimenti diversi (erica, ginestra o scalette lignee inserite nei canali
per provocare la necessaria turbolenza). Un secondo lavaggio, probabilmente con il classico “piatto”,
ancora oggi usato dai cercatori dell’Elvo, separava l’oro dai rimanenti minerali.
Anche se non è possibile ipotizzare la quantità di metallo estratto si ritiene che il giacimento fosse molto
remunerativo. Lo si può dedurre dal fatto che circa la metà del deposito era costituita da ciottoli di
dimensioni medio-grandi (oltre 15 cm. di diametro) ed è noto che proprio nelle immediate vicinanze di
questi l'oro tende a precipitare a causa delle turbolenze provocate dalla resistenza alla corrente (nel nostro
caso, della paleo-Viona che erodendo la morena pleistocenica produsse la concentrazione dell'oro).
Terrazzo sup. cumuli di ciottoli Cumuli di ciottoli e canali di smaltimento
L’apparente caos morfologico del paesaggio a cumuli di ciottoli attualmente osservabile è dovuto al
frazionamento del territorio in concessioni di modeste dimensioni affidate ad imprenditori privati: i
pubblicani. E’ tuttavia sovente possibile osservare nell’andamento dei cumuli una conformazione a “solchi
convergenti” in direzione dei canali di smaltimento, che costituiva il normale sistema di coltivazione del
placer aurifero. Rare tracce sono invece rimaste degli impianti di lavaggio dato che venivano smantellati
e ricoperti dai detriti delle successive fasi di sfruttamento.
Solchi convergenti a Fontana del Roc dj pè
Cantieri di Fontana del Roc dj pè e progressione dei lavori (F.J. Sanchez Palencia 2009)
Lo sterile residuo (sabbie, ghiaie e ciottoli di piccole dimensioni) era poi scaricato mediante canali di
smaltimento oltre la scarpata, in direzione dell’Elvo (e nella parte meridionale del terrazzo anche in
direzione opposta verso l’Olobbia), a formare i “conoidi antropici”. Le operazioni avvenivano mediante
l'uso della forza idraulica e nelle zone in cui la scarpata era di modesta elevazione era accatastato in
dossi e cordoni a ventaglio, mentre dove i due terrazzi erano separati da dislivelli di decine di metri
(settore centro meridionale) i canali erano prolungati su bastioni sopraelevati. Alcuni di questi
raggiungono una lunghezza di oltre 400 m. ed un’altezza di 20.
La "rete" appare ancora oggi evidenziata nelle numerose derivazioni che dal canale principale di
alimentazione percorrono ortogonalmente il Terrazzo. Molti di questi canali artificiali, che sembrano in
parte impostati su rii effimeri preesistenti allo sfruttamento del giacimento si allargano durante il loro
corso, o più frequentemente all’apice, in ampie superfici piane o leggermente inclinate verso valle,
delimitate totalmente o parzialmente da murature a secco, sovente a forma di imbuto, in cui si possono
riconoscere i resti delle "vasche di accumulo" nelle quali si ritiene venisse raccolta l’acqua da utilizzare
durante le ore di lavoro. Questi manufatti hanno avuto buone possibilità di conservarsi fino ad oggi (con
successivi rimaneggiamenti ed ampliamenti) in quanto le superfici, bonificate e spianate, si prestavano
molto bene alla coltivazione, una volta terminata la funzione originaria. In alcune di queste "vasche" é
ancora individuabile il canale alimentatore.
Rete idrica - canali di smaltimento dello sterile
strada della Mezza Bessa canale di smaltimento dello sterile (terrazzo sup.)
bastione di Canej canale di smaltimento (terrazzo inf.)
La presenza di massi erratici e l’affioramento di terreno morenico sui fianchi e sulla sommità dei cumuli
dimostrano come questi ammassi poggino su una sequenza di dossi e conche e non su terreno
pianeggiante, la loro reale consistenza andrebbe quindi fortemente ridimensionata rispetto alle stime
inizialmente proposte. Il volume di 200 milioni di metri cubi indicato per il sedimento trattato appare
inverosimile, dato che significherebbe uno spessore medio del "placer" di oltre 40 m., che avrebbe
teoricamente in molti punti travalicato la sommità della morena Bornasco-Vermogno delimitante a destra
il Terrazzo. Una stima attendibile (Gianotti 1996) ne riduce la potenza ad un massimo di 10 m. e a 50
milioni di metri cubi il sedimento aurifero.
Numerose sorgenti, molte delle quali ancora attive, altre interrate, sono sparse all'interno del Terrazzo e
lungo i suoi margini e costituiscono, in molti casi, il “terminale” visibile dell’acqua che, infiltrandosi nei
cumuli, percorre gli avvallamenti o si raccoglie in conche impermeabili. L’ottimo stato di conservazione
delle protezioni in murature semicircolari o rettangolari in ciottoli con piani inclinati o gradini di accesso
in quelle più profonde, testimonia della manutenzione accurata di cui furono oggetto fino ad epoca
recente.
la Bessa dopo la coltivazione del giacimento (tavola da F.Gianotti 1996)
Terrazzo superiore della Bessa da Cerrione
Strutture murarie della Bessa
All' interno dell'area occupata dai resti della miniera romana sono presenti numerose tipi di strutture
murarie: fondi di capanna, recinti, terrazzamenti, piattaforme, sistemazioni di sorgenti e di ripari sotto
roccia. Lo stato di conservazione, molto variabile, è certamente dovuto a manutenzioni effettuate per
reimpieghi, probabilmente ad uso agricolo, fino all' istituzione del Parco (1985). Tuttavia si ritiene che la
maggior parte di queste strutture abbia origine all'epoca dello sfruttamento minerario, quando migliaia
di lavoratori vivevano sul territorio. Tutte queste evidenze necessiterebbero di indagini archeologiche per
stabilire datazioni attendibili dell'epoca di costruzione.
Poco si conosce a proposito della vita dei cinquemila addetti alla miniera d'oro romana citati da Plinio, ma
sulle imponenti pietraie che ne testimoniano la fatica rimangono, ancora oggi, i resti della loro presenza.
Murature a secco ricavate all' interno dei cumuli di ciottoli, a pianta prevalentemente quadrata o
rettangolare, con superfici interne variabili da uno a decine di metri quadrati e profondità da alcuni
decimetri ad oltre due metri, attribuibili ad insediamenti (abitazioni, depositi e focolari) sono sparsi su
tutto il Terrazzo superiore, con una più elevata densità ad Est della fraz.Vermogno di Zubiena, oltre il
termine della morena. Per la posizione normalmente lontana da zone adibite ad uso agricolo queste
costruzioni, che si ritiene fossero dotate di copertura e rivestimento interno in legno, è certamente
contemporanea ai lavori minerari. Lo stato di conservazione è molto variabile: a zone in cui le murature
originarie sono ancora sufficientemente riconoscibili, si alternano tracce costituite da estesi affossamenti
nei cumuli, spesso associati a concentrazioni di ciottoli di dimensioni eccedenti la media, ciò fa supporre
che molti resti siano stati intenzionalmente colmati al momento del loro abbandono. Ad analoga
utilizzazione si devono attribuire i ripari addossati a massi erratici, o scavati al disotto dei medesimi.
Insediamento di Ciapej Parfundà fondi di capanne affossati nei cumuli
Dato l' elevato numero di insediamenti (oltre 250 gruppi), è quindi probabile che una consistente parte
della popolazione collegata alla coltivazione del giacimento aurifero fosse stanziata sul luogo di lavoro.
Scavi effettuati all' interno degli insediamenti hanno restituito grandi quantità di ceramica romana di età
repubblicana (in frammenti) e ceramica gallica. Una conferma alla datazione per il periodo di sfruttamento
del giacimento compresa tra la seconda metà del II secolo a.C. e la prima metà del I secolo a.C. ci viene
dal ritrovamento di un "asse" la cui data di coniazione può essere fatta risalire al 91 a.C. e di un tesoretto
nel quale il reperto più recente è un "denario" databile al 118 a.C.
Riparo sotto masso al "villaggio africano" Sorgente del ramificato G
Nella piccola enclave posta a monte della strada Mongrando-Zubiena è stato più volte indagato (Calleri
1965, Clemente-Rittatore 1971, Soprintendenza Archeologica del Piemonte fine anni '90 e inizio 2000) il
cosiddetto "castelliere" con conclusioni non univoche. L' area occupa una modesta elevazione allo sbocco
della valle della Viona e potrebbe in effetti aver rappresentato un buon punto di controllo delle acque da
essa derivate per lo sfruttamento del giacimento aurifero. Tuttavia le strutture attualmente visibili (in
parte rimaneggiate) non sembrano aver avuto funzioni difensive tali da giustificare il nome loro assegnato,
ma è anche poco verosimile attribuirle all' opera di moderni abitanti locali dato che i manufatti non
sembrano aver avuto una efficace funzione in ambito agricolo. Si tratta in effetti di terrazzamenti in
muratura a secco ricavati lungo i pendii della collina (lato orientale), con nicchie lungo le pareti, collegati
da gradini in ciottoli. Il piano sommitale dotato di modesti resti di costruzioni e di una grande fossa
protetta da muri (forse per la raccolta dell' acqua) è in terreno ciottoloso e non pare quindi essere stata
mai utilizzata per coltivazioni. Una enigmatica canalizzazione interna alle murature scende lungo il pendio
fino al piano sottostante. Si può ipotizzare che la prima occupazione del sito con le opere di sistemazione
a terrazzamenti risalga ad epoca di poco anteriore all’arrivo dei Romani dato che i frammenti di ceramica
ritrovati sono collocabili nella seconda Età del Ferro e non differiscono significativamente dalla ceramica
gallica che si rinviene all’interno della Bessa.
Terrazzamenti del "castelliere" Fossa per la raccolta dell'acqua (?)
Nella parte centro settentrionale del Parco, a valle delle frazioni Roletto e Caporale del comune di Zubiena,
nascoste tra i cumuli e invase da fitta vegetazione, furono elevate in epoca per ora indeterminata una
serie di strutture murarie di tipo totalmente diverso dagli insediamenti descritti in precedenza In queste
due zone un fitto reticolo di strade e sentieri, alcuni ancora oggi utilizzati altri abbandonati e di cui la
natura si è riappropriata, sono adiacenti o portano agli ingressi di nove costruzioni, alcune delle quali
furono verosimilmente adibite ad uso agricolo fino ad epoca recente.
Nel territorio limitrofo alla suddetta fraz. Roletti, sono stati identificati tre recinti subcircolari (A e B sono
contigui, C dista 150 m.dai primi due) a superficie interna pianeggiante, apparentemente ricavati in
avvallamenti tra cumuli molto bassi o in conche ricoperte in origine da poco consistenti strati di ciottoli e
delimitati da muri interni, alti fino a 2 m. L'aspetto esterno è quello di un piano inclinato di pietre (ciò
contribuisce molto al loro mimetismo) regolarizzato in alcuni casi da brevi tratti di muri in alzato, quando
la superficie era eccessivamente ondulata (quasi una necessità estetica).
In tutti si nota, nella parte meridionale del muro interno, una nicchia subrettangolare con gradino.
Particolarmente interessante quella in B, dotata nel muro di fondo di una canalizzazione verso l'esterno a
forma quadrata di 20 cm. di lato, lunga circa 2 m.,ottenuta mediante l'uso di ciottoli piatti. Le aperture di
accesso sono di tipo relativamente complesso, caratterizzate da una piattaforma laterale interamente
costruita in A e B e da uno stretto corridoio in C. Molto variabili le dimensioni delle superfici interne: circa
3300 mq. per A, 200 mq. per B e 50 mq. per C.
- -
Recinto A: lung.max. 75 m. -larg.max. 65 m. - alt.muri 1,20/2,00 m.
Recinto B: lung.max. 17 m. -larg.max. 13 m. - alt.muri 1,10/1,40 m.
Recinto C: lung.max. 9 m. -larg.max. 6,50 m. - alt.muri 0,90/1,20 m.
Per quanto possa sembrare la soluzione più ovvia, pare improbabile che le tre strutture possano essere
state edificate in epoca successiva alle attività attinenti la miniera d'oro per scopi agro pastorali. Come
recinti per greggi hanno muri e/o superfici interne sproporzionate alla necessità, inoltre sono in zone
ciottolose, inadatte al pascolo di grandi quantità di bestiame quali sarebbe stato possibile teoricamente
sistemare negli oltre 3000 mq di A infine, vi sono fondi di capanna a stretto contatto con i recinti o inseriti
nelle murature esterne che avrebbero dovuto essere sommersi di ciottoli se i lavori di bonifica fossero
stati successivi alla loro costruzione. Un secondo tipo di struttura localizzato nella zona precedentemente
descritta è costituito da recinzioni in muro a secco di ciottoli, costruite prevalentemente in alzato di
minore elevazione (tra 50 cm. e 1 m.) rispetto a quelle del primo tipo; seguono inoltre i contorni irregolari
del terreno, sembrano cioè, almeno in parte, delimitazioni simboliche dello spazio. Anche qui,compaiono
nei muri alcune nicchie, in questo caso però semicircolari. All'interno il terreno é sopraelevato in forma di
tumulo alto circa 3 m. in D e di rozza piramide triangolare terrazzata, rivolta a SE, alta oltre 6 m. in E, con
aree rispettivamente di 1000 e 1800 mq. circa. Entrambi gli interni sono in terreno morenico con massi
erratici, a gradoni rinforzati da ciottoli in E; tracce di terrazzamento appaiono anche in D , mal conservate
data l'assenza di muri di contenimento.
Recinto D: lung.max. 35 m. -larg.max. 24 m. - alt.muri 0,60/0,90 m.
Recinto E: lung.max. 65 m.-larg.max.40 m.-alt.muri 0,60/1,50 m.-alt."piramide" 6 m.
L'ingresso all'area della "piramide" avviene da Sud tramite uno stradino, che si stacca dalla carrareccia
che da Roletti scende in direzione dell'Elvo, bordato da muri che si allargano progressivamente fino a
circondare l'intera struttura. Un piano inclinato sale dalla base seguendo il muro orientale fino ad un
ampio ripiano formato dal prolungamento del secondo terrazzo, seguendo il quale si può circumambulare
la base dei due superiori ai quali non vi è accesso apparente. Altri due accessi secondari, in forma di
strade di terra bordate da ciottoli ammucchiati, portano all'irregolare piano (non bonificato) che fronteggia
a Sud Ovest la struttura. Questa interessante costruzione fu rilevata in pianta da M. e P. Scarzella alla fine
degli anni '60. L'edificazione ad uso agro-pastorale è in queste strutture improbabile, dato che l'interno a
tumulo D e la piramide terrazzata E a ripiani molto stretti o inclinati hanno caratteristiche che contrastano
con la necessaria funzionalità ed è difficile giustificare in questo caso la presenza di muri di delimitazione
dello spazio.
Numerose strutture a piattaforma, sostenute da muri e sovente recintate, sono adiacenti a strade
secondarie. Per una di queste (situata in posizione dominante a valle della frazione Caporale), una
tradizione popolare vuole che fino alla metà dell' 800 fosse luogo di celebrazione di una messa espiatoria
annuale.
La porzione di terrazzo a valle della fraz. Caporale presenta quattro strutture, due delle quali sembrano
tipologicamente apparentate. F,costruita (o scavata?) al bordo di un alto cumulo di ciottolia ppare come
una serie interconnessa di corridoi a forma curva, su piani di diversa altezza separati da un gradino ancora
evidente. Una sorgente protetta da una magnifica muratura a secco è inserita sul prolungamento del
corridoio di accesso, una seconda è esterna alla struttura in prossimità di un grande fondo di capanna. G
, appare come un complesso labirinto a piattaforme incise da anse curvilinee, separate da spazi a corridoio
(in cui il piano di calpestio non pare bonificato dai ciottoli) di dimensioni molto variabili, raccordati da
piani inclinati. Una recinzione nella solita muratura a secco (di fattura molto accurata) lo circonda. Una
mulattiera costeggia la base del recinto e tre sorgenti ancora attive sono allineate al fondo di un valloncello
a circa trenta metri di distanza.
Ramificato F: lung.max. 54 m.- largh.max. 36 m.-altezza muri 0,80/1,80 m.
Ramificato G: lung.max. 77 m.- larg.max. 64 m - altezza muri 0,50/1,50 m.
Adiacente ad F, da cui dista una ventina di metri, la struttura H è situata al bordo esterno di un cumulo.
La forma ad elle è interrotta nel braccio di base da un masso di modeste dimensioni che si supera tramite
uno stretto passaggio con gradino. Nel braccio superiore vi è un secondo masso, anch' esso contornabile
con passaggio a gradino, sul quale ne è stato deposto un terzo, a forma piatta con incavo al centro,
puntellato con ciottoli per regolarizzarne l'inclinazione. Si tratta quindi di un insieme situato su tre piani,
separati da massi e raccordati da gradini. Nell'angolo superiore destro del braccio verticale, una scaletta
di pietre piatte sale all'esterno e pare costituire il collegamento con F. L'ultima "costruzione", I , è una
complessa area terrazzata a due ripiani. Quattro mucchi di ciottoli probabilmente a forma di
parallelepipedo alti circa 50 cm. occupano il centro del piano sommitale insieme a cavità a fondo piatto
con lati di oltre 2 m. e profondità massima di 40 cm. All'interno della muratura a secco che delimita il lato
destro dell'area è compreso un masso erratico inciso ai piedi del quale una vasca in ciottoli proteggeva
una sorgente ora inattiva. Infine un piano inclinato sale dalla base del terrazzamento fino ad una
piattaforma che si allunga verso sinistra per oltre 50 m.
Insediamento H: lung.totale 26 m.- larg.max. 4,5 m. - altezza muri 1,10/1,60 m.
Struttura terrazzata I: lung.max.25 m.- larg.max.17 m.- altezza muri 0,70/1,10 m.
Situata a valle della fraz. Vermogno del comune di Zubiena, la struttura L , è interamente costruita in
ciottoli e composta da tre terrazzamenti. Quello inferiore è accessibile tramite gradini, il medio ed il
superiore, sembrano raccordati da piani inclinati (in cattivo stato di conservazione).
Struttura terrazzata L: lung.max.22 m.- larg.max.10 m.- altezza muri 0,40/1,00 m.
Nessuna supposizione si può fare per la destinazione iniziale dei due "ramificati" F e G. Come ipotesi di
lavoro si potrebbe pensare che l'insediamento H fosse un luogo di contatto tra individui di due diverse
categorie, una a monte del masso con tavola, l'altra a valle, con il primo masso che agiva da filtro. Le
strutture terrazzate I e L, hanno caratteristiche simili alla "piramide" E ed è possibile che il masso inciso
di I sia una presenza non casuale.
All' unicità tipologica di queste strutture va aggiunto il fatto che, ad eccezione di L , sono concentrate in
due aree molto ristrette del Terrazzo sup. su una superficie di 7,5 ha a Roletti e di 4 ha a Caporale e non
essendo riconducibili allo stile degli "insediamenti" della miniera romana costituiscono una interessante
e promettente anomalia nel complesso omogeneo di costruzioni della Bessa. Si deve infine rilevare che la
quasi totalità di Terrazzamenti, Recinti e Piattaforme occupa una superficie che coincide con quella dei
Massi incisi, è limitata quindi al territorio a valle della morena Bornasco-Vermogno; a differenza dei resti
sicuramente attribuibili alla miniera romana che sono uniformemente sparsi su tutto il Terrazzo della
Bessa.
(schizzi - P.Argentero, A. Vaudagna - E, F, G da rilievi di M. e P. Scarzella)
Strade e sentieri
Un fittissimo tessuto di strade e sentieri percorre la Bessa sostenuto da assi di attraversamento costituiti
da carrarecce con fondo in ciottoli e sabbia che, partendo dalle colline moreniche sulle quali sono situati
gli attuali insediamenti, scendono in direzione dell’Elvo. Da questi assi si diramano, prevalentemente nel
Terrazzo superiore, strade secondarie, sentieri e tracce la cui lunghezza totale è stimabile in oltre 30 km.
Anche se certamente dovuta ad una stratificazione di più fasi, in cui é difficile distinguere ciò che é
pertinente ai lavori attinenti la miniera d'oro da successive aggiunte e rimaneggiamenti (canali di
alimentazione dei lavaggi riutilizzati come sentieri), appare evidente che buona parte di una così estesa
rete (attualmente fortemente sovradimensionata per le necessità di transito in un terreno quasi totalmente
sterile), sia da attribuire al periodo di sfruttamento del giacimento. Doveva quindi essere parte dell'
indispensabile tessuto connettivo tra insediamenti, zone di estrazione e lavaggio e tra le diverse
concessioni. Infatti, la maggior parte delle deviazioni che percorrono cumuli di ciottoli e dorsali
moreniche, in zone lontane da terreni coltivabili, appaiono collegate a gruppi di "fondi di capanna" ed a
canali. Il recente abbandono del territorio della Bessa da parte dell’uomo ha provocato un repentino
aumento delle zone vegetate: campi, aree prative ed umidi avvallamenti tra i cumuli di ciottoli si sono
rapidamente ricoperti di boschi a robinia e rovi, di conseguenza anche l’antica viabilità è stata
compromessa.
Le principali vie di attraversamento del Terrazzo ed i sentieri segnalati dal Parco sono normalmente
percorribili in ogni stagione; le strade secondarie, spesso senza uscita, che si inoltrano tra i cumuli, sono
generalmente agibili solo in inverno ed inizio primavera; nei restanti periodi la vegetazione ne rende
difficile l’accesso. I sentieri o tracce di sentiero, sono invece di incerta localizzazione e percorribilità in
inverno e primavera ed inaccessibili nelle restanti stagioni.
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Testi e Immagini :
Alberto Vaudagna
docBi centro studi biellesi
Societé Valdotaine de Préhistoire et
d'Archéologie
Strada Cantone Bonino 11
13900 Biella -Vandorno (Italia)
tel. (0039) 0152531630
email : [email protected]
Alberto Vaudagna svolge attività di ricerca sul territorio Biellese dal 1969 e dal 1996 è socio attivo del
Docbi Centro Studi Biellesi, nel quale svolge il compito di Coordinatore della Ricerca Archeologica, e della
Societé Valdotaine de Préhistoire et d’Archéologie.
L'attività, in collaborazione con l'Ente parco e con la Soprintendenza ai Beni Archeologici del Piemonte, è
concretizzata nel Progetto Bessa del DocBi che ha portato al censimento delle incisioni rupestri, delle
sorgenti, all’individuazione delle strutture riferibili all’impianto della miniera romana e alla
predisposizione di una Carta Archeologica su supporto cartaceo e digitale georeferenziato con inserite
schede di censimento. Ha collaborato all’allestimento della sala archeologica del Museo del Territorio
della città di Biella (immagini e Carta Archeologica della Bessa). Sempre per quanto riguarda le ricerche in
Bessa partecipa dal 2004 alle missioni di studio del Gruppo di Ricerca del Consiglio Superiore della Ricerca
Scientifica Spagnolo guidate dal prof. Javier Sanchez Palencia nell'ambito del progetto “La mineria de oro
en Italia: La Bessa como precedente repubblicano de la mineria aurifera en Hispania”. Nel 2007 ha
realizzato con ricerche, tracciatura, testi per i cartelli esplicativi e immagini l’itinerario denominato “delle
incisioni rupestri” nella Riserva Naturale Speciale della Bessa. Ancora nella Bessa, ha partecipato, con la
dott.ssa Antonella Gabutti, all’indagine archeologica di una struttura muraria terrazzata collegata ad un
masso inciso e al rilievo grafico di 4 massi incisi realizzato dai prof. Andrea Arcà e Angelo Fossati
dell’Università Cattolica di Milano. In ultimo è autore della guida monografica “Bessa” (2002) e del sito
web www.bessa.it
Ha diretto Il progetto denominato "Alte Valli ricerche archeologiche nelle Alpi Biellesi" che è parte di un
progetto di ricerca dell'Università del Piemonte Orientale (Vercelli) diretto dal prof. Saverio Lomartire. In
questo ambito ha realizzato una Carta Archeologica delle Alpi Biellesi in formato digitale georeferenziato
con, inserito in Arcview, il censimento in schede Acces delle evidenze rilevate sul terreno.
Partecipa a convegni di studio e testi di suoi interventi sono agli atti dei congressi tenuti tra ricercatori ed
archeologi di: Verbania 2001 (patrocinato dal Museo della città), Pinerolo 2004 (patrocinato dal Museo
della città), Saviore 2005 (patrocinato dal Centro Camuno di Studi Preistorici e Roma 2008 (organizzato
dalla Scuola Spagnola di Archeologia).
Le relazioni di ricerca sono state pubblicate sui bollettini del Docbi, sul Bulletin d'études Préhistoriques et
Archéologiques alpines e presso il CSIC (Consejo Superior de Investigaciones Cientificas) di Madrid.
1999 - Censimento dei massi incisi nella Riserva Naturale Speciale della Bessa
2001 - Note sulle strutture murarie ed alla rete di distribuzione delle acque di lavaggio nella miniera
d’oro romana della Bessa
2005 - Ricerche archeologiche nelle Alpi Biellesi (2002-2004)
2006 - Progetto Alte Valli (Archeologia delle Alpi Biellesi, valli Elvo e Oropa)
2008 - Progetto Alte Valli (Archeologia delle Alpi Biellesi, alta Vallecervo)
2009 – Con F. J. Sanchez-Palencia - La mineria de oro en Italia: La Bessa como precedente
repubblicano de la mineria aurifera en Hispania