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1 Bere alla fonte 3

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Bere alla fonte 3

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“Hai spezzato le mie catene”

(Salmo 116, 16)

Dalla PAROLA

alle parole

dei profeti

e dei testimoni,

per condividere la vita

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1. La povertà di amore

2. Lo pigliò per mano

3. Lasciar crescere

4. Con cuore libero

5. Confidare solo in Dio

6. La Parola che libera

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+ Preghiera per il Giubileo + Indulgenza Plenaria

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1. La povertà di amore… radice di ogni

problema umano

“L’esempio luminoso di san Girolamo Emiliani, defi-nito dal beato Giovanni Paolo II “laico animatore di laici”, aiuta a prendere a cuore ogni povertà della no-stra gioventù, morale, fisica, esistenziale, e innanzi-tutto la povertà di amore, radice di ogni serio pro-blema umano”. (Benedetto XVI)

Dal Vangelo di Lu-ca (9, 37-43) Il giorno seguente, quando furono disce-si dal monte, una gran folla gli venne incontro. Ad un tratto dalla folla un uomo si mise a gridare: “Mae-stro, ti prego di vol-gere lo sguardo a mio figlio, perché è l’unico che ho. Ecco, uno spirito lo afferra e subito egli grida, lo scuote ed egli dà schiuma e solo a fatica se ne allontana lasciandolo sfinito. Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti”. Ge-sù rispose: “O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conducimi qui tuo figlio”. Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò a terra agitandolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito immondo, risanò il fanciullo e lo consegnò a suo padre. E tutti furono stupiti per la grandezza di Dio.

“Uno spirito lo afferra e subito egli grida, lo scuote ed egli dà schiuma e solo a fatica se ne allontana la-sciandolo sfinito”: questa descrizione dell’evangelista Luca rappresenta la fotografia di buona parte della

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gioventù attuale, disorientata e disincantata, con paura e rabbia nel cuore. Da un blog: “Oggi dispera-zione, le mani della mia presunta madre su di me che picchiavano, le urla di disprezzo nelle orecchie… E poi si fa chiamare madre!” – “Odio i miei genitori, non mi interessa il loro affetto. Odio mia madre. Abbiamo sempre litigato, mi insulta, ha rovinato ogni giorno del-la mia vita e da qualche tempo lo fa anche mio padre anche se non c’è mai per il lavoro. Ho tanta rabbia dentro e in questi momenti desidero solo farmi del ma-le per dimenticarli!”.

Depose gli abiti patrizi per diventare buon samaritano (Anonimo 7 - 8) Quando si sparse la notizia che nella nostra città si trovava da vi-vere meglio che altrove in Italia, innumerevoli schiere di poveri, spinti da questa calamità, abbandonate le loro abitazioni, simili a sepolcri di vivi, si riversarono con mogli e figli a Venezia. Vedendo questo spettacolo, il nostro Miani, spronato da ardente carità, si mise a loro disposizione per offrire ogni possibile assistenza. Con-tinuò per molti giorni nel suo impegno di servizio al prossimo, quando prese la decisione di lasciare nelle mani del nipote ormai adulto il commercio della lana e gli presentò un ottimo rendiconto della sua amministrazione. Si ritirò dagli affari, depose l’abito civile (ossia la lunga veste con maniche a largo gomito e chiuse ai pol-si), indossò un vestito di panno grezzo, color giallastro con man-tellino, calzò scarpe grosse. Scelse alcuni fanciulli incontrati men-tre andavano mendicando e, presa una bottega vicino alla chiesa di San Rocco, vi aprì una scuola così originale che nemmeno So-crate con tutta la sua sapienza fu mai degno di vedere.

Il Samaritano non lasciò il malcapitato sulla strada, per andare in città a denunciare l’accaduto alle forze

dell’Ordine. Non si recò agli sportelli della Polizia per spor-

gere querela contro ignoti. Non andò a protestare contro le

omissioni del Ministero degli Interni. Non lasciò boccheg-giante sul sentiero verso Gerico quell’uomo mezzo morto

per convocare una conferenza-stampa sul degrado etico

della città, o sulle violenze del sistema, o sulla inadem-

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pienza dei poteri costituiti. Forse dopo avrà fatto pure

questo. Anzi, visto il suo zelo, c’è da pensare che in segui-

to, “il giorno seguente”, abbia assolto anche a questo

compito. Ma intanto, il gesto fondamentale che ritenne di compiere fu quello di farsi vicino, e passare dal piano della

denuncia a quello della costruzione diretta. (Don Tonino Bello)

Orientato dalle sue vicende familiari, a motivo delle quali era diventato tutore di tutti i suoi nipoti rimasti orfani, san Girolamo maturò l’idea che la gioventù, soprattutto quella disagiata, non può essere lasciata sola, ma per crescere sana ha bisogno di un requisi-

to essenziale: l’amore. In lui l’amore superava l’ingegno, e poiché era un amore che scaturiva dalla stessa carità di Dio, era pieno di pazienza e di com-prensione: attento, tenero e pronto al sacrificio come quello di una madre. L’attenzione alla gioventù e alla sua educazione umana e cristiana, che contraddi-stingue il carisma dei Somaschi, continua ad essere un impegno della Chiesa, in ogni tempo e luogo. E’ necessario che la crescita delle nuove generazioni venga alimentata non solo da nozioni culturali e tec-niche, ma soprattutto dall’amore, che vince indivi-dualismo ed egoismo e rende attenti alle necessità di ogni fratello e sorella, anche quando non ci può esse-re contraccambio, anzi, specialmente allora. Conti-nuerà a guidarci con il suo sostegno la Vergine Ma-ria, modello insuperabile di fede e di carità. Come sciolse il vincolo delle catene che teneva prigioniero san Girolamo, Ella voglia, con la sua materna bontà, continuare a liberare gli uomini dai lacci del peccato e della prigionia di una vita priva dell’amore per Dio

e per i fratelli, offrendo le chiavi che aprono il cuore di Dio a noi e il cuore nostro a Dio. (Benedetto XVI)

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Preghiera (spontanea)

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2. Lo pigliò per mano

La vita del laico Girolamo Miani, veneziano, venne come “rifondata” nella notte del 27 settembre 1511, quando, dopo un sincero voto di cambiare condotta, fatto alla Madonna Grande di Treviso, per interces-sione della Madre di Dio si trovò liberato dai ceppi della prigionia, poi consegnati da lui stesso all’altare della Vergine. (Benedetto XVI)

Dal Vangelo di Giovanni (2, 1-

11) Tre giorni dopo, ci fu uno sposali-zio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi di-scepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù rispose: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”. La madre dice ai servi: “Fate quello che vi di-rà”. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre ba-rili. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono

fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assag-giato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu in-vece hai conservato fino ad ora il vino buono”. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli cedettero in lui.

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Come un patrizio veneto fu liberato (Dal IV° libro dei miracoli della Madonna Grande di Treviso) Ritrovandosi messer Girolamo Miani, gintilhomo veneto, Provede-dor in Castelnovo de Friulo con 300 fanti, fu circondato da uno grande esercito dell’armata cesarea; non si volendo render, dap-poi dato molte battaglie, fu preso lo castello e tagliati tutti gli homini a pezi, lo provededor fu posto in ceppi in uno fondo de tor-re. Facendo la sua vita in pan ed acqua, essendo tutto afflitto e mesto per la mala compagnia li venia fatta et tormenti dati, aven-do sentito nominar questa Madonna di Treviso, con humil core a lei se ari comanda, promettendo visitar questo suo loco miraculo-so, venendo di scalzo, in camisa, et far dir messe. Statim (subito) li apparve una donna vestita di bianco, avendo in man certe chia-ve et li dixi: “tolle queste chiave, apri li ceppi et torre, et fuge via”. Et bisognando pasar per mezo lo exercito de soi inimici et non sapendo la via di Treviso, si ritrovava molto di mala voglia. Iterum (di nuovo) si ricomandò alla Madonna, et la pregò che gli desse aiuto a insire (uscire) dello esercito con la vita, et gli insegnasse la via di venir qui; et statim la Madonna lo pigliò per mano et lo menò per mezzo gli inimici, che niuno vide niente. Et lo menò alla via di Treviso et come puote veder le mura della terra (città) di-sparve. Et lui proprio contò questo stupendo miraculo.

“Dirupisti vincula mea” (Sal 116,16). Il versetto del salmo esprime l’autentica rivoluzione interiore che avvenne in seguito a quella liberazione, legata alle tormentate vicissitudini politiche dell’epoca. Essa, infatti, rappresentò un rinnovamento integrale della personalità di Girolamo: fu liberato, per intervento divino, dai lacci dell’egoismo, dell’orgoglio, della ri-cerca dell’affermazione personale, cosicché la sua esistenza, prima rivolta prevalentemente alle cose temporali, si orientò unicamente a Dio, amato e ser-vito in modo particolare nella gioventù orfana, mala-ta e abbandonata. (Benedetto XVI)

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Chi, come Girolamo Miani, ha avuto il dono mistico di fare

esperienza di Maria, di vederne il volto immerso nella luce,

di sentirsi preso e condotto per mano, non può non con-

servare nella memoria un’intensa gioia spirituale ed il sen-timento di una amorosa e continua presenza di Maria nel-

la propria vita. Questa apparizione della Vergine impresse

una profonda accelerazione al cammino di santità di Giro-

lamo, che nel corso degli anni passò da una vita varia e

disorientata alla pietà e alla pratica cristiana, alla conver-sione profonda a Cristo Crocifisso e a una severa ascesi,

alle opere di carità fino all’abbandono del suo status so-

ciale per vestirsi dell’abito dei poveri e servire i piccoli, gli abbandonati, gli emarginati. “Fate quello che egli vi di-

rà” è stata la frase mariana profondamente interiorizzata

da Girolamo, che non si stanca di ripetere ai servi dei po-

veri, la Compagnia da lui fondata: fai quello che il Signore ti mostra, quello che Cristo ti ispira; egli ti darà la grazia

di vedere e di operare quello che è necessario che in que-

sto momento tu faccia. (p. Giuseppe Oddone)

Santa Maria, Madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio

sulle strade della vita, ogni volta che contempliamo le grandi cose

che l'Onnipotente ha fatto in te, proviamo una così viva malinco-

nia per le nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino. Asseconda, pertanto, il nostro de-

siderio di prenderti per mano, e accelera le nostre cadenze di

camminatori un po' stanchi. Divenuti anche noi pellegrini nella

fede, non solo cercheremo il volto del Signore, ma, contemplando-

ti quale icona della sollecitudine umana verso coloro che si trova-no nel bisogno, raggiungeremo in fretta "la città" recandole gli

stessi frutti di gioia che tu portasti un giorno a Elisabetta lonta-

na. (Don Tonino Bello)

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Preghiera (spontanea)

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3. Lasciar crescere…

Una delle catene che Girolamo, dopo la sua conver-sione, imparerà a rompere… sarà quella dell’intolleranza. Intolleranza verso se stesso e verso gli altri. Lentamente, e con infinita pazienza, si ac-corge che “solo Dio è buono e che Cristo opera in que-gli strumenti che vogliono lasciarsi guidare dallo Spiri-to Santo”.

Dal Vangelo di

Matteo (13, 24-30) Un’altra parabola espose loro così: “Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo cam-po. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Pa-drone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate an-che il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio”.

La parabola, così lontana dalla nostra logica e dai nostri compor-tamenti, insegna che nel campo del mondo ci sono i buoni e i cattivi e che esistono in tutti i tempi dei servi impazienti che vor-rebbero anticipare il giudizio di Dio. Ma gli uomini non sanno giudicare perché non conoscono né il metro di Dio né il cuore

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dell'uomo. Il bene e il male devono crescere fino alla completa maturazione. Il centro della parabola non sta nella scoperta della zizzania e neppure nel giudizio finale della separazione del gra-no dalla zizzania, ma più propriamente nell'ordine di non stappa-re la zizzania. La meraviglia e lo scandalo dei servi sta proprio in questo atteggiamento paziente e lungimirante di Dio. La Chiesa di tutti i tempi è sempre stata agitata dagli scandali e dai peccati dei cristiani. Per ogni situazione problematica vale il detto di Paolo: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1Cor 4,5). Al tempo di Gesù c'erano i farisei che pretendevano di essere santi e perciò si separavano dalla molti-tudine dei peccatori. C'era il movimento di Qumran con la sua idea di rigida santità che esigeva il rifiuto di tutti gli impuri. C'era Giovanni il Battista che annunciava il messia che avrebbe sepa-rato il grano dalla pula (Mt 3,12). Viene Gesù e si mescola con i peccatori, li accoglie e mangia con loro (Lc 15,2). Addirittura ha un traditore nel gruppo dei dodici che si è scelto. Possiamo dun-que dire che zeloti, farisei e tanti altri pretendevano che il regno di Dio intervenisse in modo netto, chiaro e definitivo. In questo contesto si capisce la forza polemica della parabola di Gesù: la politica del regno di Dio è divina, fatta di tolleranza e di miseri-cordia. L'elemento della sorpresa da parte dei servitori quando scoprono la zizzania fa pensare che la parabola si applichi alla comunità cristiana che scopre nel suo seno imperfezioni e con-trotestimonianze al vangelo. La Chiesa non deve diventare una comunità di puri e di perfetti, estromettendo i deboli e gli ina-dempienti. Buon grano e zizzania devono crescere insieme fino alla mietitura. Anche perché Dio solo sa chi è buon grano e chi è zizzania.

Imparare ad avere pazienza (3 Lettera) Signor Lodovico, carissimo in Cristo. “Con la vostra pazienza salverete le vostre anime”. Mi pare che mi potete comprendere; purtroppo somi-gliamo alla semente, che cade tra le pietre, cioè a quelli che “credono per un certo tempo, ma nell’ora della prova vengono meno”. Deve esse-re nostro impegno sopportare il prossimo, scusarlo dentro di noi, pregare per lui e poi trovare il modo di parlargli, usando parole piene di mansue-tudine e di carità cristiana, pregando il Signore che vi renda degno di suggerire all’interessato tali efficaci parole, da portare luce nella sua co-

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scienza a riguardo dell’errore, proprio mentre gli state parlando con mite pazienza. Infatti il Signore permette tale errore a profitto vostro e dell’errante: voi dovete imparare ad avere pazienza e a sperimentare l’umana fragilità, lui, con il vostro aiuto, deve imparare ad accogliere la luce per ravvedersi e così sia glorificato il Padre celeste nel suo Cristo. Quando ci si offre una di queste occasioni, dobbiamo evitare di compor-tarci in modo contrario a quanto detto, come sarebbe mormorare, deni-grare, corrucciarsi, spazientirsi, dire: - non sono un santo io; sono com-portamenti intollerabili; è gente che non sa controllarsi, e cose simili -; e così perdere il merito della buona azione, scaricando su altri la respon-sabilità, dicendo: -sarebbe bene che il tale gli parlasse, oppure gli scri-vesse e lo ammonisse, certamente farebbe meglio di me; a me non cre-derà; io non sono buono a fare questo…- Ma dobbiamo pensare che so-lo Dio è buono e che Cristo opera in quegli strumenti che vogliono la-sciarsi guidare dallo Spirito Santo. (san Girolamo)

Un uomo, che si sentiva orgoglioso del verde tappeto del suo giardino, un brutto giorno scoprì che il suo bel prato era infestato da una grande quantità di "denti di leone". Cercò con tutti i mezzi di liberarsene, ma non poté impedire che divenissero una vera piaga. Alla fine si decise di scrivere al ministero dell'Agricoltura, riferendo tutti gli sforzi che aveva fatto, e concluse la lettera chiedendo: "Che cosa posso fare?". Giunse la risposta: "Le sug-geriamo d'imparare ad amarli".

Autentica piaga è per una persona non accettare gli avvenimen-

ti, non amare tutto ciò che c'è nel suo giardino. Se non si può averla vinta con tanti "denti di leone" che esistono, è necessario apprendere una nuova tecnica: quella dell'amore. Imparare ad amare non è per nulla facile, poiché bisogna perdere, impiegare molto tempo per ascoltare gli altri. Il vivere assieme, è come es-sere piantato in un giardino. In essa ci sono ogni specie di fiori e piante... Alcuni fioriscono più degli altri; alcuni in un tempo, altri più tardi. Ci sono addirittura piante che non fioriscono mai. Però tutte hanno una funzione, una missione. I primi cristiani erano di "un cuor solo ed un'anima sola, e nessuno riteneva niente come proprio, anzi tutto era di tutti" (Atti 4,32).

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Preghiera (spontanea)

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4. Con cuore libero

Non è stato facile per Girolamo arrivare ad una pro-fonda e radicale libertà di cuore. Dopo l’esperienza della prodigiosa liberazione dal carcere, ha dovuto iniziare un lungo cammino di conversione. Solo alla fine di tale percorso scriverà: “Poiché il nostro fine è Dio, fonte di ogni bene, dobbiamo confidare in lui solo e non in altri”.

Dal Vangelo di Matteo (6, 25-34) Perciò vi dico: per la vostra vita non af-fannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indos-serete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del ve-stito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mie-

tono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il ve-stito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gen-te di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangere-mo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bi-sogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani,

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perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.

* L´esperienza della paternità di Dio rivoluziona la convivenza umana e

genera una vita comunitaria fraterna, seme di una nuova società. Gesù

non invita a vivere senza preoccupazione per la realtà, ma a cambiare

l´oggetto della preoccupazione. Di fatto, se il desiderio umano cercasse

l´autentico regno di Dio, raggiungeremmo semplicemente un autentico

benessere per tutti. Questa esortazione è in relazione con le beatitudini e

con il Padrenostro. Nelle beatitudini i poveri sono detti felici, e qui si

spiega che chi vive senza angustia per i beni di questo mondo è perché

ha messo il regno di Dio al centro della propria vita e aspetta tutto da

Dio. Nel Padrenostro i discepoli sono invitati a chiedere il pane necessa-

rio per oggi, cioè a mettere tutta la fiducia nel Padre del cielo, dal quale

il discepolo riceve tutto. Il Regno chiede una convivenza, dove non ci sia

accumulazione ma condivisione, di modo che tutti abbiano quello che è

necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, nella

quale ogni persona si sente responsabile dell´altro. Questo modo di vede-

re il Regno aiuta a capire le parabole degli uccelli e dei fiori, già che, per

Gesù, la Provvidenza divina passa attraverso l´organizzazione fraterna.

Preoccuparsi per il Regno e la sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi

per accettare Dio come Padre ed essere fratelli e sorelle degli altri. Di

fronte al crescente impoverimento causato dalla globalizzazione econo-

mica, la soluzione concreta, che il vangelo ci presenta, e che i poveri tro-

veranno per la loro sopravvivenza è la solidarietà e l´organizzazione. Sa-

rebbe anti-evangelico dire a un padre di famiglia senza lavoro, povero,

con otto figli e con la moglie ammalata: “Non preoccuparti con quello

che mangerai o berrai!” (Mt 6, 25-28). Questo lo possiamo dire quando,

imitando Dio come lo fa Gesù, ci organizziamo tra di noi per poter con-

dividere, garantendo ai fratelli la sopravvivenza. In bocca del sistema dei

ricchi, le parole di Gesù si possono trasformare in armi mortali contro i

poveri. In bocca del povero, possono essere una via di uscita reale e con-

creta per una convivenza migliore, più giusta e più fraterna.

Il Signore ci provvederà (5° Lettera) Carissimo fratello in Cristo. La pace del Signore sia con voi. Per mezzo del vostro messer Francesco ho ricevuto la vostra lettera e letto quanto mi scrivete. Non è necessario che vi preoccupate tanto per la questua,

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con la quale si è fatto poco raccolto, perché il Signore ci provvederà di queste cose opportunamente; egli infatti ci dice che dobbiamo cercare prima di tutto il regno di Dio. L’invio per la questua in codesto luogo non aveva altro scopo che quello di darvi un’occasione di meritare, per cui, avendo fatto da parte vostra ciò che vi è stato possibile, il Signore reste-rà soddisfatto di voi; infatti presso di lui, che è benignissimo, la buona volontà supplirà alla scarsezza della raccolta. Quanto a fare un altro ten-tativo il prossimo anno, Dio sa quello che sarà allora. (san Girolamo)

Uno straniero, che camminava verso un villaggio si fermò sulla soglia di una povera capanna. Chiese alla donna, che stava se-duta fuori della capanna qualcosa da mangiare. - "Mi dispiace al momento non ho niente". - "Non si preoccupi. Ho nella bisaccia un sasso per minestra: se mi darete il permesso di metterlo in una pentola di acqua bollente, preparerò la zuppa più deliziosa del mondo. Mi occorre una pentola molto grande per favore". La donna era incuriosita, gli diede una pentola e andò a confida-re il segreto del sasso per minestra a una vicina di casa. Quan-do l'acqua cominciò a bollire, c'erano tutti i vicini, accorsi a vede-re lo straniero e il suo sasso. Egli depose il sasso nell'acqua, poi ne assaggiò un cucchiaio ed esclamò con aria beata: - "Ah, che delizia! Mancano solo delle patate". - "Io ho delle patate in cuci-na". Pochi minuti dopo era di ritorno con una grande quantità di patate tagliate a fette, che furono gettate nel pentolone. Allora lo straniero assaggiò di nuovo il brodo. - "Eccellente... Se solo avessimo un po' di carne e un po' di verdura, diventerebbe uno squisito stufato". Un'altra massaia corse a casa a prendere della carne; un'altra portò carote e cipolle. Dopo aver messo anche quelle nella zuppa, lo straniero assaggiò il miscuglio e chiese ancora: - "Manca solo un po' di sale!" - "Eccolo!" - "Scodelle e piatti per tutti". La gente corse a casa a prendere scodelle e piat-ti. Qualcuno portò anche frutta e manioca. Tutti sedettero mentre lo straniero distribuiva grosse porzioni della sua incredibile mi-nestra. Tutti provavano una strana felicità, ridevano, chiacchie-ravano e gustavano il loro pasto in comune. Dopo essere rima-sto un po' con loro, lo straniero, in mezzo all'allegria generale scivolò fuori silenziosamente. Lasciò però il sasso miracoloso af-finché potessero usarlo tutte le volte che volevano per preparare la minestra più buona del mondo.

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Preghiera (spontanea)

5. Confidare solo in Dio

In occasione dell’anno giubilare, nel messaggio alla famiglia somasca, Benedetto XVI scrive: “La testimo-nianza dei santi dice che occorre confidare solo in Dio: le prove infatti, a livello sia personale sia istituzionale, servono per accrescere la fede. Dio ha i suoi piani, an-che quando non riusciamo a comprendere le sue di-sposizioni”.

Dal Vangelo di Matteo (8, 23-27) Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo se-guirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ri-coperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: “Salvaci, Signore, siamo per-duti!”. Ed egli disse loro: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”. Quindi leva-tosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. I presenti furono presi da stupore e dicevano: “Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?”. (7, 24-27)

“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbat-terono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata so-pra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i

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venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua ro-vina fu grande”.

* Per chi si trova su una barca quando viene una tempesta non

ci sono alternative: bisogna affrontare il pericolo, non è possibi-

le fuggire. E soltanto possibile la preghiera; e gli apostoli ricor-

rono alla preghiera. Gesù dormiva. Accostatosi a lui, lo sveglia-

rono dicendo: "Salvaci, Signore, siamo perduti". E Gesù, "leva-

tosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia”.

Però Gesù fa un rimprovero agli apostoli. La loro preghiera non

era animata da una grande fede, ma piuttosto da una grande

paura. Se ci siamo imbarcati con Gesù, non dobbiamo aver

paura: non abbiamo niente da temere. L'importante è pro-

prio essere imbarcati con Gesù, anche se lui sembra dormire,

se è presente siamo sicuri. Questo non vuoi dire che avremo

un’esistenza tranquilla, al riparo da ogni sofferenza, da ogni

prova; ma vuoi dire che siamo sicuri dell'aiuto del Signore e

della vittoria finale. San Paolo, con un tono di sfida, nella sua

lettera ai Romani, dice: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?

Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la

nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo

più che vincitori, per virtù di Colui che ci ha amati". Se siamo

con Cristo, siamo più che vincitori. Ci è chiesto, quindi, di avere

un animo da vincitori; non cedere alla paura, ma ricorrere con

fiducia al Signore nei pericoli, nelle prove, nelle sofferenze.

Chiedere al suo amore di darci il rimedio alla situazione difficile,

perché è sempre nel suo amore che si trova il rimedio. Se sia-

mo preoccupati di rimanere nell'amore di Cristo, possiamo es-

sere sicuri di essere sempre vincitori.

…se starete forti nella fede (2 Lettera) Il terzo motivo è per provarvi come si prova l’oro nel crogiolo: le scorie e le impurità che sono in esso si consumano nel fuoco, mentre l’oro buono si conserva e cresce di valore. Così fa il buon servo di Dio che spera in lui: sta saldo nelle tribolazioni e poi Dio lo conforta e gli dà in questo mondo il cento per uno di ciò che lascia per amor suo, e nell’altro la vita eterna. Si è comportato in questo modo con tutti i santi. Così si comportò con il popolo d’Israele; dopo le numerosi tribolazioni che ebbe in Egitto, non solo lo fece uscire con molti miracoli dall’Egitto e lo nutrì di manna nel deserto, ma gli diede la terra promessa. Voi lo sapete, perché vi è

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stato assicurato da me e da altri, che similmente farà Dio con voi, se starete forti nella fede. E al presente ve lo ripeto e affermo più che mai: se voi state forti nella fede durante le tentazioni, il Signore vi consolerà in questo mondo, vi farà uscire dalla tentazione e vi darà pace e quiete in questo mondo, in questo mondo, dico, temporaneamente e nell’altro per sempre. (san Girolamo)

Le esperienze felici danno allegria alla vita; ma le espe-rienze dolorose le danno profondità e solidità. Ciò non si-

gnifica che dobbiamo cercare la sofferenza o favorire il do-

lore, di questo si incarica la stessa vita quotidiana. E’ im-

portante però, quando si presenta la sofferenza, non ma-

ledire la vita, accettarla con uno sguardo di fede e scoprire la “ricchezza misteriosa” che nasconde. Ogni sofferenza,

prova e dolore… ci mette in contatto con l’Uomo dei dolori: Cristo Gesù. Lui ci ripete: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuo-re, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti

è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11, 28-30).

- Un ateo precipitò da una rupe. Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello, e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento me-tri più sotto, consapevole di non poter resistere a lungo. Allora ebbe un'i-dea. "Dio!", gridò con quanto fiato aveva in gola. Silenzio! Nessuna ri-sposta. "Dio!", gridò di nuovo. "Se esisti, salvami e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere". Ancora silenzio! Subito do-po fu lì lì per mollare la presa dallo spavento, nell'udire una voce pos-sente che rimbombava nel burrone. "Dicono tutti così quando sono nei pasticci". "No, Dio, no!" egli urlò, rincuorato. "Io non sono come gli altri. Non vedi che ho già cominciato a credere, poiché sono riuscito a sentire la tua voce? Ora non devi far altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra". "Va bene", disse la voce. "Ti salverò. Staccati dal ramo". "Staccarmi dal ramo?", strillò l'uomo sconvolto. "Non sono mica matto!".

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Preghiera (spontanea)

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6. La Parola che libera

Travolti e inondati da tante (troppe) parole, slogan, chiacchiere e discorsi, proclami e messaggi, oggi, ri-schiamo di diventare incoscientemente e semplice-mente degli “schiavi”. Abbiamo urgente bisogno della Parola che libera. Girolamo ne ha fatto esperienza.

Dal Vangelo di Luca (8, 5-15) “Il seminatore uscì a seminare la sua se-mente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccel-li del cielo la divorarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cre-sciute insieme con essa, la soffocarono. Un’altra cadde sulla terra buona, germo-gliò e fruttò cento volte tanto”. Detto que-sto esclamò: “Chi ha orecchi per intende-

re, intenda!”. Poi disse ai suoi discepoli: “Il significato della para-bola è questo: Il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ac-colgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascol-tato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e pro-ducono frutto con la loro perseveranza”.

Si direbbe che questa è tra le parabole più importanti, vi-sto che è Gesù stesso a darne la spiegazione. Sembra che

voglia dire: se non si comprende questa non si capiscono

neppure le altre parabole. Ed in effetti essa mostra come

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ascoltare il Vangelo. Il primo elemento che risalta nella

parabola, però, non riguarda l'ascoltatore bensì il semina-

tore, molto generoso nello spargere il seme (la Parola). Egli

lo getta ovunque, anche sulla strada, anche tra le pietre,

sperando che possa trovare qualche lembo di terra ove at-

tecchire e crescere. Per Gesù, primo seminatore, non c'è nessun terreno che non sia idoneo a ricevere il Vangelo. E

il terreno è la vita di ogni uomo e di ogni donna, a qualun-

que cultura ed etnia si appartenga. La parabola, tuttavia,

non intende classificare gli uomini, per cui gli uni sareb-

bero terreno cattivo e gli altri terreno buono. In verità, cia-

scuno di noi rassomiglia a tutti i tipi di terreno, a volte è sassoso, altre volte pieno di spine, altre ancora si lascia

sopraffare dagli affanni e altre volte è terreno buono. La

parabola è un invito pressante ad aprire il proprio cuo-

re per accogliere la Parola di Dio ed averne una perseve-

rante cura. Il Signore, infatti, continuerà ad uscire di buon mattino per seminare il Vangelo nei nostri cuori. E

lo fa ancora oggi. Lo sta facendo con te, ora, nel campo del

tuo cuore. Si concede alla tua aridità, ai tuoi sassi e alle

tue spine, perché Dio è lungimirante: per quanto fallimen-

tari possano sembrare i risultati, c'è un angolo di terra

buona nel cuore di ogni uomo, anche nel tuo, che può da-re frutto. Dunque, è a questo fazzoletto di terra che dob-

biamo guardare ogni qualvolta siamo tentati di gettare la

spugna, con noi stessi e con gli altri. Nessuno è solo pietra

e spine. Ecco perché non dobbiamo sposare il disfattismo dicendo: "Ma chi me lo fa fare? Ne va la pena? Cambiare, si può?". Al contrario, dobbiamo dire con la vita: "Signore, mi fido di Te!".

…il frequente ascolto della parola di Dio… (Anonimo 5) Quando piacque al benignissimo Iddio (che per sua clemenza ama e predestina i suoi figli fin dall’eternità, prima ancora della creazione del mondo) di muovergli perfettamente il cuore e con santa ispirazione di attrarlo a sé dalle occupazioni del mondo, av-venne che il frequente ascolto della parola di Dio lo inducesse a ricordarsi della sua ingratitudine e delle offese fatte al suo Signo-re. Frequentava le chiese, ascoltava le predicazioni e partecipava alle messe. Assorto in santi pensieri, il servo di Dio (Girolamo),

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all’udire spesse volte quel passo del vangelo: “Chi vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi se-gua”, attirato dalla divina grazia, decise di imitare il più perfetta-mente possibile il suo caro maestro Cristo.

Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non ab-biamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. Ho con me la sua Parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la Scrittura, leggo la Parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. (san Giovanni Crisostomo)

- Tre monaci, tutti e tre studiosi della Bibbia, andarono un giorno da un grande uomo di preghiera per chiedergli come pregare la Parola. Il primo raccontò di aver letto la Bibbia da capo a fondo e di averla imparata a memoria. Il secondo disse di averla letta e riletta fino ad avere imparato a cantarla. Il terzo, intimidito dalla sapienza dei primi due, non osava parlare; l'uomo di Dio lo incoraggiò ed egli disse di essere riuscito a leggere una frase soltanto, ma di averla macinata giorno e notte nella mente e nel cuore, senza aver potuto andare più avanti. Il grande uomo di preghiera rispose: "E' questo il modo di pregare la Parola".

Una domenica, verso mezzogiorno, una giovane donna stava lavando l'insalata in cucina, quando le si avvicinò il marito che, per prenderla in giro, le chiese: «Mi sapresti dire che cosa ha detto il parroco nella predica di questa mattina?». «Non lo ricor-do più», confessò la donna. «Perché allora vai in chiesa a sentir prediche, se non le ricordi?». «Vedi, caro: l'acqua lava la mia in-salata e tuttavia non resta nel paniere; eppure la mia insalata è completamente lavata». Non è importante prendere appunti. È importante lasciarsi «lavare» dalla Parola di Dio

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Preghiera (spontanea)

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Preghiera per il Giubileo

O Vergine Maria, che hai spezzato le catene del tuo servo Girolamo, rivolgi a noi i tuoi occhi misericordiosi in questo anno giubilare. Noi ricorriamo a Te, Madre nostra e Madre degli Or-fani, in ogni istante della vita, ma specialmente quando la tristezza, lo sconforto, l’incomprensione e la tentazione af-fievoliscono il desiderio di seguire la via del Figlio tuo Croci-fisso e Risorto. Desiderosi di consacrarci radicalmente alla riforma

del popolo cristiano, apriamo a Te il nostro cuore e ti pre-sentiamo i cuori di tutti i sofferenti, in particolare dei picco-li e dei poveri che ci impegniamo ad accogliere e servire in umiltà e fervore. Fiduciosi nella tua materna intercessione vogliamo fare memoria di quanto hai compiuto in san Girolamo, e di-ventare testimoni della tua potente grazia che hai riversato in lui mettendolo nel numero dei tuoi cari figli e lo hai reso santo. Per ottenere anche noi questa grazia ricorriamo a Te, Madre delle grazie, osando dire le sue stesse parole. O gloriosa Vergine Maria prega il tuo dilettissimo Fi-glio per tutti quanti noi, perché si degni di concederci di es-sere umili e mansueti di cuore, di amare Dio sopra ogni co-sa ed il prossimo come noi stessi, perché estirpi i nostri vizi ed accresca le virtù concedendoci la Sua santa pace. O santa Madre del Redentore, noi sappiamo che il dolcissimo tuo Figlio Gesù è benignissimo verso di noi, pre-ga dunque che ci dia la grazia di comprendere la sua volon-tà e di eseguirla, perché Lui vuole sempre qualcosa di buo-no da noi, ma noi non sempre vogliamo o riusciamo ad

ascoltarlo. Guardando a Te, umile Serva dell’Altissimo, com-prendiamo che il tuo Figlio riempie di carità quanti, come Te, hanno grande fede e speranza. Concedici, dunque, di rimanere forti nella fede e nella speranza in Lui solo, perché Cristo, nostro Maestro, possa operare cose grandi in noi

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esaltando gli umili, e ci impedisca nei momenti della prova di tornare indietro, ma ci renda come Te forti nella fede. O Maria, Vergine Madre di Dio, Madre delle grazie, sorgente di misericordia, nostra fiducia e sostegno degli or-fani, gioia degli afflitti e liberazione degli oppressi, aiutaci a riconoscere ogni giorno: “Domine, dirupisti vincula mea!”. E come già hai fatto con san Girolamo a Castelnuovo di Quero trasforma il nostro CARCERE nel tuo SANTUA-RIO. Amen

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Indulgenza plenaria

La PENITENZIERIA APOSTOLICA, su speciale manda-

to del Sommo Pontefice, e facendo assolutamente volentie-

ri conoscere la paterna benevolenza del medesimo, in ono-

re di S. Girolamo Miani, concede con piacere un Anno

Giubilare con annessa Indulgenza Plenaria, da lucrarsi dai

fedeli davvero pentiti sotto le consuete condizioni (confes-

sione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera se-

condo le intenzioni del Sommo Pontefice), che potranno

anche applicare per modo di suffragio alle anime dei fedeli

che dimorano in Purgatorio.

A. - in tutte le Case religiose e Chiese affidate alla cura pastorale dei

Somaschi: nei giorni in cui si aprirà e si chiuderà solennemente l'anno giubilare

(giorno 27 Settembre 2011 e giorno 27 Settembre 2012), nella solennità del

Fondatore (8 Febbraio 2012), nel giorno anniversario in cui S. Girolamo fu di-

chiarato Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata (14 Marzo

2012), nel giorno del natale dell'Ordine (29 Aprile 2012);

B. - nella casa per esercizi spirituali di Quero, nel Santuario di S. Maria

Maggiore di Treviso, nel Santuario di S. Girolamo Miani di Somasca, nel San-

tuario del Santissimo Crocifisso di Como, nella Basilica detta del Calvario in

Salvador: un giorno qualunque dell'anno giubilare.

(Fortunato S.R.E. Card. Caldelli - Penitenziere Maggiore – 4.03.2011)

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