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LABORATORIO INTERCULTURALE Casa dei Diritti Sociali - FOCUS “Consumatore informato, consumatore salvato” Programma Regione Lazio Convenzione Reg. Cron. 8563 del 7 giugno 2007 Benessere, territorio e reti della solidarietà Analisi dei Piani Sociali di Zona attivati nel Lazio

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Il viaggio chiude in sé emozioni diverse, aspettative, sogni - tra un desiderio di esplorazione e un opposto desiderio di protezione, tra il desiderio del viaggio e il bisogno della sicurezza del ritorno e della casa.La parola viaggio, ad ascoltarla, dà subito una duplice sensazione che genera due aspetti contrastanti del tema stesso, uno di curiosità, fasci-no, ricerca, l’altro di timore, ansietà, paura dell’ignoto. Queste due, sovente inconsce, sensazioni si ritrovano anche nelle parole, nei vocaboli che al viaggio si riferiscono e che appunto lo presentano come evento che insieme unisce desiderio, curiosità, attesa dell’ignoto, fascino del nuovo, timore, sacrificio, rinuncia, impegno ed ineluttabile fatalità.

Questa pubblicazione raccoglie alcuni temi che bambini stranieri residenti nel territorio tiburtino hanno composto durante l’intervento di mediazio-ne culturale di Casa dei Diritti Sociali - FOCUS nell’ambito del Progetto “Hait”, in convenzione con il Comune, in alcune scuole di Tivoli. Si è deciso di farne una pubblicazione perché, come sempre, i bambini sono spontanei e ci dicono, senza mediazione alcuna, quali sono i loro sentimenti, le ansie, le preoccupazioni, le paure ma anche come vedono il loro futuro nel Paese che li ha accolti. Vivono già di nostalgia per i posti che hanno lasciato, per i loro nonni, per i loro parenti... anziani prevalentemente. Sono i futuri tibur-tini di origine rumena, o polacca, o albanese o sudamericana. Alcuni sono felici di stare qui, altri lo sono meno... altri ancora vorrebbero tornare.

Alcuni hanno scritto in italiano e nella loro lingua d’origine, altri si sono fatti aiutare a tradurre dall’italiano dai loro genitori, altri ancora non l’han-no tradotta perché non la parlano, la lingua dei loro genitori. La loro lingua madre, che non conoscono. Integrazione non vuol dire omologazione e annullamento. L’immigrazione deve essere vissuta come risorsa, non come problema. La loro integrazione è un arricchimento socio-culturale anche per chi accoglie, salvaguardando le radici e l’identità culturale di ognuno. Per un mondo più giusto e solidale.

Casa dei Diritti Sociali - FOCUS

“Consumatore informato, consumatore salvato” Programma Regione Lazio Convenzione Reg. Cron. 8563 del 7 giugno 2007

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Benessere, territorioe reti della solidarietà

Analisi dei Piani Sociali di Zona attivati nel Lazio

Il lavoro qui presentato ha l’obiettivo di favorire la crescita di un tes-suto delle Organizzazioni di Volontariato e del Terzo settore che sappia assumere un profilo attivo e responsabile nei diversi contesti territoriali locali, con l’augurio che nei prossimi anni i sistemi locali dei servizi sociali, siano in grado di superare sia a una logica di solo mercato sia a una logica di sola gestione amministrativa. E’ infatti tempo di avviare un discorso pubblico, capace di integrare ed attivare, nel Paese e nella comunità in cui si opera, solidarietà, sviluppo e, in ultima analisi, quella “fraternità” (solidarietà) che assieme a libertà e uguaglianza, costituisce la base laica della nostra convivenza e l’orizzonte dei valori che qualifi-cano l’azione solidale delle Organizzazioni di Volontariato.

Territorio, benessere e reti della solidarietà è il rapporto di monito-raggio dei piani di zona del Lazio, previsto dal progetto “Consumatore informato, consumatore salvato” realizzato da ACU, ADUC, FOCUS. in attua-zione del “Programma delle iniziative a vantaggio dei consumatori” del Ministero dello Sviluppo (alla data Ministero delle Attività Produttive) con Decreto del 23 novembre 2004 ed approvato con Delibera di Giunta Regionale 707 del 24 ottobre 2006.

FOCUS - Casa dei Diritti Sociali nasce nel 1985. Nel corso di questi anni sono state realizzate attività solidali, interculturali, di sensibilizzazione, di servizio, di sostegno e di inserimento con persone in stato di bisogno, sia immigrate che italiane. La Casa dei Diritti Sociali è una federazione con sedi su tutto il territorio italiano.Partecipa al Forum del Terzo Settore, Conferenza Regionale del Volontaria-to, Consulta Socio-Sanitaria di Roma, reti tematiche e territoriali.È, inoltre, promotore e gestore del Centro Servizi per il Volontariato della Regione Lazio.

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Benessere, territorioe reti della solidarietà

Analisi dei Piani Sociali di Zona attivati nel Lazio

Casa dei Diritti Sociali - FOCUS

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Nella collana interculturale sono stati pubblicati: Esquilino “dove il mondo incontra Roma, dove Roma incontra Roma” (1997); Poesia dell’asilo (1998); Le cimici e il pirata (2000); Faccio solo l’attivo (2003); Linee guida per una corretta alimentazione (2005); Prostituzione minorile romena a Roma (2005); Uno sguardo sulla città (2006); Il viaggio (2006); Villoresi in viaggio (2008).

© 2009 Casa dei Diritti Sociali - FOCUS, Roma

Redazione e impaginazione: www.fralerighe.it

La foto di copertina proviene dal laboratorio fotografico romanè chavè condotto nell’anno scolastico 2008/2009 da Fulvio Pellegrini e Giorgio De Acutis con minori rom

Finito di stampare nel mese di maggio 2009 dalla tipografia Kataconsulting srl, Roma

L’utilizzo delle informazioni contenute nel presente volume è consentito purché vengano citate le fonti.

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Sommario

INTRODUZIONE 5

Evoluzione del quadro normativo e delle politiche sociali1. Dalla legge 328/2000 alle leggi regionali 112. La normativa regionale nella regione lazio 143. Le competenze istituzionali 204. La programmazione 255. La morfologia territoriale 276. I livelli di assistenza, l’ufficio di piano e la ripartizione delle risorse 28

I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio1. Obiettivi e metodologia dell’analisi dei piani sociali di zona 412. Le geo–comunità 453. La governance 584. Mutamento della composizione sociale e nuove problematiche sociali 665. Organizzazioni di volontariato, territorio e sussidiarietà orizzontale 74

Conclusioni: che fare 83

Mappe territoriali 97Mappa 1 - Distribuzione intradistrettuale del reddito imponibile 102Mappa 2 - Distribuzione intradistrettuale della dinamica del reddito imponibile 103Mappa 3 - Strutture e personale per distretto socio-sanitario 104Mappa 4 - Distribuzione della popolazione fino a 15 anni ed oltre 64 anni di età e indice di dipendenza 105Mappa 5 - Dinamica della popolazione residente per Distretto socio-sanitario 106Mappa 6 - Utenti dei servizi socio-assistenziali per Distretto socio-sanitario 107Mappa 7- Minori che usufruiscono dei servizi socio-assistenziali per distretto socio-sanitario 108Mappa 8 - Adulti con disabilità che usufruiscono dei servizi socio-assistenziali per distretto socio-sanitario 109

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Mappa 9 - Anziani che usufruiscono dei servizi socio-assistenziali per distretto socio-sanitario 110Mappa 10 - Caratteri di offerta e domanda di servizi socio-assistenziali per distretto 111Mappa 11 - Strutture socio-assistenziali che hanno sottoscritto accordi di collaborazione con altri soggetti per distretto socio-sanitario 112Mappa 12 - Piani Sociali di Zona annualità 2004.Distribuzione dei fondi 113Mappa 13 - Piani Sociali di Zona annualità 2008. Distribuzione dei fondi 114Mappa 14 - Movimento migratorio della popolazione residente per distretto socio-sanitario 115Mappa 15 - Popolazione residente per Distretto socio-sanitario e incidenza degli stranieri 116Mappa 16 - Distribuzione del numero delle Organizzazioni di Volontariato nel 1998 117Mappa 17 - Distribuzione delle Organizzazioni di Volontariato nel 2008 118

Allegato 1 - Piani Sociali di Zona – Annualità 2008 e 2004 119Allegato 2 - Dimensione urbana e povertà nel Lazio per il CENSIS (2002) 122Allegato 3 - Il profilo di comunità 126

Bibliografia 127

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Introduzione

Come tutti i processi di riforma e riorganizzazione del sistema-paese, anche le novità strutturali introdotte dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) in materia di welfare e servizi sociali, hanno attraversato - e ancora stanno attraversando - un periodo di transizione “lunga”.

La legge 328/2000 ha fissato i principi fondamentali in materia di politiche sociali e di organizzazione di un welfare assistenziale universalistico1 e ha rappre-sentato un importante tentativo di modificare alcune tipiche connotazioni del sistema di welfare italiano, sostanzialmente centrato su un impianto settoriale, categoriale, riparatorio e lavoristico, imperniato sulla prevalenza delle prestazioni monetarie e dei contributi economici temporanei alle famiglie (sussidi, bonus, voucher e social card), a scapito della fornitura di servizi (mense scolastiche, ser-vizi domiciliari, inserimenti socio-lavorativi e occupazionali, etc.). Di fatto, le discontinuità, sperimentate prima ed introdotte poi, dal dispositivo legislativo, relative ad una diversa modellizzazione organizzativa, funzionale e di erogazione dei servizi sociali sul territorio, sono state solo in minima parte attuate.

A dieci anni dall’approvazione della 328/2000, dunque, la riforma dei servizi sociali si dimostra lenta e caratterizzata da applicazioni parziali, come è accaduto alla riforma dei Servizi Pubblici Locali (trasporti, rifiuti, energia, gas, acqua), alla legge Galli (36/94), ridotta a grimaldello per la sola privatizzazione delle reti distributive dei servizi idrici, e all’istituto dell’azione risarcitoria col-lettiva (class action) prevista dal Codice del Consumo del 2005 e poi del 2007, che vede riduzioni, sospensioni e rinvii sino all’ultimo spostamento al gennaio 2010. Eppure, a conferma del sistema delle autonomie locali, dal 2001 è anche intervenuta la modifica del Titolo V della Costituzione che ha conferito piena potestà legislativa alle Regioni in materia di politiche sociali.

1 Cfr. Gori C., a cura di, La riforma dei servizi sociali in Italia, l’attuazione della legge 328 e le sfide future, Carocci, Roma, 2004. È importante sottolineare che l’ultimo articolo della legge 328/2000 dispone la completa e definitiva abrogazione della precedente disciplina dell’assistenza sociale, cioè la legge n. 6972 del 17 luglio 1890, meglio conosciuta come “legge Crispi”.

Introduzione

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Il Libro Bianco sul futuro del modello sociale - La vita buona nella società attiva del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (2009) offre un quadro sintetico di alcune delle principali criticità che caratterizzano il percorso di riforma dei servizi sociali sul territorio nazionale (pp. 17-18):

Se nelle aree più effi cienti si è realizzata una adeguata integrazione tra servizi sociali, sanitari e assistenziali, nel Centro-Sud essa è gestita pre-valentemente dagli Enti locali. Secondo dati ISTAT, si va dai 146 euro per abitante del Nord-Est ai 40 euro del Sud, spesso con scarsa capacità di monitoraggio dei risultati da parte degli organi amministrativi e politici. Le azioni in questo campo sono frammentate territorialmente. Manca una integrazione con le politiche sanitarie. Sovrapposizioni e ineffi cienze delle istituzioni condizionano la qualità del servizio e non favoriscono lo svilup-po di sinergie con gli attori sociali e il volontariato. Non mancano modelli di successo fondati sulla appropriatezza delle pre-stazioni, con particolare riferimento alla loro erogazione nel luogo e con le modalità più idonee.

Pertanto, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, l’applicazione dalla 328/2000 ha per il momento prodotto un sistema nazionale di servizi sociali territorialmente differenziato sulla base della disponibilità di risorse (regiona-li), delle strutture, del personale e delle competenze professionali degli enti locali, del ruolo istituzionale del sistema volontariato e del grado di articola-zione della cosiddetta “economia sociale di mercato”.

L’attuazione dei principi e delle pratiche di intervento sociale si sta realiz-zando sul territorio nazionale a velocità diverse e oggi, come è stato oppor-tunamente segnalato,

la sfi da consiste nel ricercare a trovare il diffi cile equilibrio tra il bisogno dell’eguaglianza e la spinta all’innovazione quando questa serve a far cresce-re, partendo dal basso, i livelli delle prestazioni e il tasso di attività che poi torneranno utili a tutti. Ciò sta a signifi care che la non uniformità di tratta-mento di situazioni tra loro eguali può essere tollerabile in quanto essa costi-tuisca il passaggio necessario verso livelli di trattamenti eguali più elevati2.

2 Balboni E., Livelli esenziali: il nuovo nome dell’eguaglianza?, in Bianchi P., a cura di, La garanzia dei diritti sociali nel dialogo tra legislatori e Corte Costituzionale, Plus, Pisa, 2006: 230.

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Introduzione

Purtroppo, sul territorio si incontrano grandi difficoltà nell’attivare inter-venti che richiedono responsabilità interistituzionali, che si tratti della speri-mentazione dei Comitati Locali per l’Educazione degli Adulti (EDA) o degli interventi per la scolarizzazione dei minori rom. Questo sembra essere uno dei connotati problematici del nostro sistema-paese e non a caso il Rapporto 2007 del Dipartimento per lo Sviluppo del Ministero dello Sviluppo Econo-mico individua nei ritardi delle capacità di governance multilivello fondata su un metodo aperto di partecipazione le principali criticità di utilizzo della spesa pubblica allargata per la modernizzazione del paese.

Ciò che dovrebbe mutare, e strutturalmente, rispetto alla “storia” delle politiche sociali nazionali sono – per una organizzazione di volontariato impegnata in interventi sociali in diversi territori in 8 regioni e con maggiore articolazione nella regione Lazio – due grandi questioni che attraversano il sistema-paese e che hanno a che vedere con il territorio, da un lato, e con la nuova composizione sociale, dall’altro.

Intorno a queste due aree tematiche si gioca la prospettiva – e la capacità delle realtà locali – di costruire un welfare di comunità che risulti non solo più aderente alle necessità (vecchie e nuove) dei cittadini, ma che sia soprattutto promozionale, cioè in grado di innescare circuiti di cittadinanza “attiva” che permettono alla persona di arricchire e tutelare la propria autonomia e di partecipare alla vita della comunità in cui è inserita, arrivando così ad incre-mentare il livello di coesione sociale e di consapevolezza territoriale e cioè di una parte di quei beni immateriali che alimentano lo sviluppo territoriale e l’identità locale.

Anche perché, buona parte dei beni immateriali che hanno favorito e sostenuto il poderoso processo di crescita e di sviluppo socio-economico dal dopoguerra ad oggi – realizzato attraverso sistemi territoriali di piccola e media impresa – sono stati consumati dal/nel processo stesso. Così che oggi le comunità locali manifestano una sempre più evidente necessità di ripensarsi, di rifondarsi, di rimodulare il patto di cittadinanza, facendo inclusione di quella serie di nuovi fenomeni e soggetti che appaiono sul palcoscenico della tarda modernità. Come è noto, l’appeal di un’area non può essere definita esclusivamente dalla capacità del suo tessuto economico di attrarre nuove opportunità imprenditoriali e le relative risorse umane e professionali. Più realisticamente, bassi o declinanti livelli di qualità sociale hanno a che fare col

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venir meno di quel rapporto tra crescita economica ed integrazione sociale che storicamente è alla base del successo di molti territori locali. A lungo andare, la crisi di questo rapporto finisce per avere inevitabili riflessi anche sullo stesso tessuto economico che si riteneva al riparo da rischi proprio in considerazione del suo dinamismo. Risulta evidente, quindi, la necessità di salvaguardare quel profondo intreccio tra livelli di benessere e socialità, tra sviluppo economico e valori civici, che costituisce il capitale sociale3 e un patrimonio indivisibile, un “bene pubblico”, che non appartiene a qualcuno in particolare, ma in generale a tutti coloro che vivono in un territorio.

Occorre anche uscire da quell’ambito ristretto in cui le politiche sociali sono state finora confinate, poiché, erroneamente, si continua a considerare le politiche sociali quell’insieme di servizi e interventi rivolti a uno strato “marginale” della popolazione, alla sola area dell’esclusione e del disagio, e pertanto qualificate meramente come voce di spesa (alla quale si preferisce anteporre politiche di risanamento economico o di investimenti produttivi e in infrastrutture), più che di investimento. Le politiche sociali sono, invece, investimenti per lo sviluppo e la competitività, in quanto creano, al pari della ricerca scientifica o delle politiche educative e formative, i presupposti al pro-gresso sociale e civile di un paese. Investire sulla persona, sulle sue capacità, sulla sua autonomia, sulla capacità di autorganizzarsi, significa produrre ric-chezza economica e sociale indispensabile allo sviluppo (le “dimensioni sociali della competitività”)4. Non solo lo sviluppo del paese, ma anche il necessario rinnovamento del rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini e lo stretto legame di solidarietà, sicurezza e legalità, si realizzano con l’affermazione dei diritti fondamentali e, quindi, di politiche orientate alla riduzione delle disuguaglianze, garantisca diritti e tutele e incrementi la qualità sociale, la capacità cooperativa e il grado di coesione.

La 328/2000 afferma, in tema di politiche sociali, il passaggio da un approccio di tipo riparativo, strettamente assistenziale, alla creazione di una

3 Il capitale sociale può essere inteso come l’insieme delle risorse per l’azione che derivano dal tessuto di relazioni in cui una persona è inserita o anche come il potenziale di azione cooperativa che l’organizzazione sociale mette a disposizione. Cfr. Coleman, J., “Social Capital in the Creation of Human Capital”, American Journal of Sociology (1988) 94:95-120.

4 Cfr. Saraceno C., Indicatori sociali per la competitività o per la qualità sociale?, www.istat.it/istat/eventi/ conferenze/ottavaconf/misurare_competitivita/saraceno.pdf

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Introduzione

sistema di protezione sociale attivo, che cerca di promuovere il benessere del territorio locale e delle persone che lo abitano. Pertanto, mobilità territoriale e immigrazione, nuove povertà e precarietà nel mercato del lavoro, consumi e disintegrazione dei legami primari, flexicurity e livello di qualità della vita: questi sono alcuni dei temi che abitano - o che dovrebbero abitare - nelle nuove politiche sociali.

Ed è proprio perché in Italia siamo un sistema-paese, un paese-laboratorio che conta, ad esempio, più di 200 distretti (industriali, turistici, agricoli, culturali….) e 9 aree metropolitane (dove risiede ormai il 55% della popola-zione complessiva), che l’assumere la dimensione locale per sviluppare poli-tiche sociali significa operare sul livello di consapevolezza e di responsabilità sociale delle comunità. Nei prossimi anni, anche a seguito della progressiva implementazione del federalismo fiscale, i differenziali territoriali, la dotazio-ne quantitativa e qualitativa di cultura dello sviluppo locale, le expertise che favoriscono la governance dei processi socio-economici, contano e conteranno sempre più nel definire il livello di qualità della vita e di competitività-attrat-tività di un determinato contesto territoriale.

All’art. 19 della legge 328/2000, il Piano Sociale di Zona è definito come “lo strumento fondamentale attraverso il quale i Comuni, associati negli ambiti territoriali con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione, possono disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali con riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare”. La sua forza performativa è data dal perseguire obiettivi di integrazione:• creando condizioni istituzionali di coordinamento fra diversi attori;• aprendo arene di negoziazione e deliberazione per la costruzione proces-

suale del consenso;• investendo su luoghi di “pilotaggio” e “regia”, che permettano azioni di

“sistema”, per dare coerenza e continuità a interventi e servizi.Pertanto, il monitoraggio dei Piani Sociali di Zona del Lazio, avviato a

partire dal 2004 da Casa dei Diritti Sociali-Focus (e strutturato grazie al progetto “Consumatore informato, consumatore salvato” in questi ultimi due anni), consente di: • analizzare la qualità delle relazioni tra i vari attori della filiera istituzionale

regionale (Regione, Province e Comuni);

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• confrontare il sistema Regione Lazio (il “modello sociale laziale”) con quelli delle altre regioni (ad esempio, con i confinanti “modello Toscana” e “modello Campania”) ed europee;

• verificare la fondatezza delle insoddisfazioni e delle esclusioni dalla concer-tazione/programmazione delle politiche e degli interventi puntualmente messe in luce da organizzazioni di volontariato e dai cittadini.Il lavoro che viene presentato nelle pagine seguenti ha l’obiettivo di favo-

rire la crescita di un tessuto delle Organizzazioni di Volontariato e del Terzo settore che sappia assumere un profilo attivo e responsabile nei diversi con-testi territoriali locali, con l’augurio che nei prossimi anni i sistemi locali dei servizi sociali, sfuggendo sia a una logica di solo mercato sia a una logica di sola gestione amministrativa amministrativa, (statale), ma integrandole, siano in grado di attivare, nella comunità in cui operano, solidarietà, sviluppo e, in ultima analisi, quella “fraternità” (solidarietà) che assieme a libertà e ugua-glianza, costituisce la base laica della nostra convivenza e l’orizzonte dei valori che qualificano l’azione solidale delle Organizzazioni di Volontariato.

* * *

Il presente rapporto è stato realizzato nell’ambito delle attività previste dal progetto “Consumatore informato, consumatore salvato”, frutto del partenaria-to tra la Casa dei Diritti Sociali-FOCUS, l’Associazione Consumatori Utenti-ACU e l’Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori-ADUC. Il progetto è stato finanziato dal Ministero delle Attività Produttive e dalla Regione Lazio nell’ambito della Legge n. 388/2000, articolo 148, comma 1 – Iniziative delle Regioni o Province Autonome a Vantaggio dei Consuma-tori – Anno 2005. Il gruppo di ricerca e di monitoraggio dei Piani Sociali di Zona è stato coordinato da Giulio Russo e ne hanno fatto parte Mollin Di Chiara, Caterina Ciampa, Alessia Di Carlo e Chiara Castri. Riccardo Volpe ha raccolto i dati sulle organizzazioni di volontariato, mentre gli operatori delle Case del Volontariato di CESV e SPES hanno raccolto i contributi pre-sentati dalle Organizzazioni di Volontariato locali in anni di generosi tentativi di partecipazione alla pianificazione territoriale. Infine, la stesura del rapporto è stata curata da Alessandro Scassellati e Gianmario Folini, mentre le mappe territoriali sono state elaborate da Stefano Grimaldi.

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Evoluzione del quadro normativo e delle politiche sociali

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1. Dalla legge 328/2000 alle leggi regionali

La Legge 328/2000 ha posto le politiche e il sistema di interventi sociali al centro del disegno di sviluppo e di crescita delle comunità locali. E lo ha fatto spingendo verso un modello di welfare comunitario integrato, multi-dimensionale, ma soprattutto “attivo” e cioè come mezzo di investimento per lo sviluppo e l’innovazione. Il concetto chiave è quello dello sviluppo locale come fattore di costruzione di un modello di welfare territoriale fondato su un approccio integrato e modulato su una organizzazione a rete del lavoro sociale. Un modello, quindi, che ha come cardine un approccio di lavoro interistituzionale e che deve vedere anche la partecipazione attiva del parte-nariato sociale, delle Organizzazioni di Volontariato e del “Terzo Settore” del territorio (vedi box). A partire dalle Organizzazioni di Volontariato, deve essere capace di coinvolgere tutte le espressioni organizzate di partecipazio-ne civile e di solidarietà sociale, di auto-aiuto e di reciprocità, nonché di risposte autonome, gratuite e “pubbliche” della comunità ai propri bisogni. La l. 328/2000, infatti, ha indicato il framework per la riorganizzazione isti-tuzionale dei servizi e delle politiche sociali facendo leva su un principio di sussidiarietà “orizzontale” (di cui all’articolo 118 della Costituzione5), inteso

5 “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei citta-dini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Con l’affermazione di questo principio viene definitivamente superata una visione interamente pubblicistica in materia di benessere sociale e si afferma l’idea che pubblico e privato vi concorrono con reciprocità e sinergia d’intenti.

Evoluzionedel quadro normativo

e delle politiche sociali

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come criterio guida per responsabilizzare le Regioni, le Province, i Comuni e gli attori sociali territoriali nella programmazione e nel coordinamento delle politiche sociali integrate a livello locale. Il cardine di questo principio di responsabilizzazione è costituito dall’aggregazione dei Comuni su ambiti territoriali (distretti sociali e socio-sanitari) in media di 81.000 abitanti6. In questa direzione le Regioni hanno la responsabilità che i Comuni si associno, e debbano promuovere questo processo, mentre i Comuni dovrebbero trovare nella loro aggregazione la scala sufficiente al governo dei processi di integra-zione fra i servizi (innanzitutto dei servizi dei diversi Comuni di uno stesso distretto territoriale) e fra questi e gli interventi attivati dai diversi attori della società civile del territorio.

A partire dal 1997, a fronte di un rilancio del decentramento amministra-tivo, e di una ulteriore puntualizzazione del ruolo dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali in senso federale e sussidiario, si è avviata una stagione di riforme istituzionali, che hanno anch’esse da una parte inciso profondamente sull’assetto istituzionale, e dall’altra hanno anticipato quanto con la legge n. 328/2000 si è venuto a determinare nel settore dell’assistenza (si pensi ad esempio, all’esperienza anticipatrice della legge 285/97 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”). È stato il periodo in cui è intervenuto un rilevante processo di decentramento ammi-nistrativo promosso dal d.lgs n. 112/98 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali in attuazione della legge n. 59/97” che attribuisce alle Regioni, in accordo con le autonomie locali, l’individuazione dei livelli ottimali per lo svolgimento delle funzioni comu-nali al fine di favorire nel caso di minori dimensioni demografiche, l’esercizio delle funzioni sociali in forma associata. Tali disposizioni sono state con-fermate nel D.lgs. 267/2000 recante “Testo unico sulle autonomie locali”. In particolare, proprio la legge 328/2000 all’art. 8 ha demandato alle Regioni la determinazione degli ambiti territoriali per l’esercizio associato delle funzioni sociali, prevedendo anch’essa incentivi regionali tali da favorire le associazioni intercomunali. Tale processo si è quindi concluso con la legge costituzionale

6 Attualmente, comunque, c’è una forte variabilità tra Regione e Regione: si va dalle 29.200 persone in media per ambito sociale in Molise alle 113.500 in Campania , mentre all’interno del Lazio si va dalle 26 mila persone del distretto di Fara Sabina alle oltre 200 mila di alcuni distretti della città di Roma.

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3/2001, recante “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione” (GU/59 del 12.3.01), che ha confermato in sostanza quanto già disposto dalla legge 59/97 e ha inoltre conferito piena potestà legislativa alle Regioni in materia di assistenza sociale e socio-sanitaria7.

Diverse ricerche sono state realizzate e conosciamo le difficoltà che gli attori locali hanno incontrato in questi anni8: sappiamo così che l’implementazione della 328/2000 si è realizzata a macchia di leopardo, in maniera “multiforme e adattiva”, con esiti molto differenti in termini di coinvolgimento e partecipa-zione e spesso attraverso Piani Sociali di Zona (predisposti a livello di ciascun distretto sociale e socio-sanitario) che hanno maturato una gestione associata esclusivamente delle risorse aggiuntive provenienti dal Fondo nazionale per

7 Ad oggi, sono 13 le Regioni che hanno approvato delle leggi di riordino del comparto sociale: Basi-licata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana e Valle D’Aosta. Le prime Regioni che, dopo l’avvento del nuovo Titolo V della Costituzione hanno disciplinato i servizi sociali, hanno mantenuto lo standard della legge quadro sul sistema integrato relativamente ai diritti ed alla loro esigibilità. Soltanto nelle leggi cronologicamente più recenti si denota una più intensa valorizzazione dei diritti degli utenti ed una specifica considerazione del potere di scelta del destinatario dei servizi in un sistema sempre più esternalizzato. Tuttavia, il complesso delle normative non è esente da critiche. Infatti, pur riser-vando ampi spazi al riconoscimento dei diritti ed ai livelli essenziali delle prestazioni si omette di disciplinare, nel dettaglio, aspetti che renderebbero effettivo il relativo riconoscimento ed esercizio. In pochi casi si arriva a fissare parametri specifici di diffusione dei servizi in termini di professionalità richieste, numero d’interventi rispetto alla cittadinanza o a specifici gruppi di utenti di riferimento (popolazione anziana, famiglie con minori, non-autosufficienza, etc.). La proclamazione dei diritti non implica una loro effettiva realizzazione, occorre individuare esattamente il loro contenuto, svin-colarli dalla nota subordinazione alle risorse e disciplinare concretamente le modalità attraverso cui le istituzioni garantiranno le posizioni soggettive degli utenti (Cfr. Costa G., a cura di, La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto, Bruno Mondadori, Milano, 2009).

La Regione Lazio, pur avendo in qualche modo anticipato i contenuti della riforma con l’appro-vazione della Legge regionale n. 38 del 1996 “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio-assistenziali nel Lazio”, non ha però ancora recepito la riforma nel suo complesso e questo rende indubbiamente più incerto e fragile l’assetto della rete dei servizi e non del tutto e dappertutto garantite le prestazioni e i livelli essenziali di assistenza sociale previsti dalla normativa nazionale.

8 Cfr. Isfol-Upi, Il monitoraggio Isfol-Upi dei piani di zona. Rapporto 2007, in “Le Province”, 2008, n. 3; Scialdone A., Sulla dimensione territoriale degli interventi di assistenza e di lotta alla povertà, in Caritas Italiana-Fondazione E. Zancan, a cura di, Ripartire dai poveri. Rapporto 2008 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, Bologna, 2008: 185-209; Bifulco L. e Centemeri L., La partecipazione nei Piani sociali di zona: geometrie variabili di governance locale, in “Stato e mercato”, 2007, n. 80:222-244.

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le politiche sociali9, trasferite dallo Stato alle Regioni e da queste a loro volta ripartite ai Comuni associati, non programmando perciò l’insieme di risorse destinate dai Comuni dell’ambito ai servizi e agli interventi sociali, tanto meno i servizi finanziati con fondi privati o europei. Inoltre, in questi anni le amministrazioni locali si sono frequentate solo in occasione delle scadenze dei Piani Sociali di Zona e hanno pianificato e gestito in forme associate solo i servizi, mentre scarsa è stata la loro capacità di co-programmare i processi di sviluppo delle loro comunità, privilegiando spesso le competizioni di tipo municipalistico.

La legge 328/2000 ha attivato un processo di redistribuzione delle respon-sabilità e del potere decisionale e di indirizzo, che pone il Comune al centro della funzione programmatoria e vi include (prevedendo azioni sussidiarie nell’interesse esclusivo dei diritti dei cittadini) una platea di soggetti diversi, non necessariamente pubblici e istituzionali. Questo livello di coinvolgi-mento agisce sui modi della relazione cittadini-istituzioni su due principali versanti. In primo luogo, mirando a favorire la partecipazione dei primi ad alcune funzioni istituzionali di elaborazione/progettazione e governo delle politiche, in modo da costruire un sistema a garanzia della loro effettiva e trasparente implementazione. Ad esempio, nei sistemi informativi, nella programmazione e progettazione degli interventi, nelle funzioni di controllo, monitoraggio e valutazione. In secondo luogo, intervenendo sulla definizio-ne dei modi di erogazione di interventi e servizi e, quindi, sulla relazione fra destinatari e strutture di servizio.

2. La normativa regionale nella Regione Lazio

L’indirizzo delle politiche socio-assistenziali della Regione Lazio è stato stabilito nella seconda metà degli anni ’90, con la L.R. n. 38 del 9 Settem-bre 199610, precedendo quindi la legge quadro 328/2000. La L.R. 38/96 ha dettato norme per il riordino, la riqualificazione, la programmazione e la

9 A tale proposito, ricordiamo che con l’ultima manovra finanziaria il Fondo nazionale per le politi-che sociali è stato ridotto del 50% rispetto al 2007 nella quota destinata a Regioni e Comuni, per cui sono state ridotte le voci di spesa sociale gestite localmente attraverso i Piani Sociali di Zona.

10 “Riordino, programmazione e gestione degli interventi e dei servizi socio assistenziali”.

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gestione dei servizi e degli interventi socio-assistenziali nell’ambito territo-riale regionale. Con la successiva L.R. 6 agosto 1999 n. 14,11 in attuazione DLgs 112/98, sono state precisate le ripartizioni delle competenze istituzio-nali e completato il quadro della riforma per il decentramento amministra-tivo. La Regione ha poi approvato il primo Piano Socio-Assistenziale per il triennio 1999-2001 con DCR n. 591 del 1° dicembre 1999 (BURL n. 4 del 10/12/2000 - supplemento ordinario n. 1),12 avviando così il processo programmatorio di sua competenza e delineando nel territorio regionale un sistema di interventi e servizi sociali coerente con le indicazioni della legge di riforma. La DGR 860/2001 “Determinazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione del fondo per l’attuazione del primo piano socio- assistenziale 2001” contiene in allegato le “Linee guida ai Comuni per l’esercizio delle funzioni di servizio sociale”: in questi documenti si anticipano i contenuti della successiva legge quadro nazionale sulla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (Legge 328/2000), indicando ruolo e funzioni degli enti locali, obiettivi e priorità di intervento, modalità di integrazione socio-sanitaria, livelli essenziali delle prestazioni, strumenti di programmazione e individuan-do nei distretti socio-sanitari il locus della programmazione e gestione dei servizi sociali, sulla base del principio dell’integrazione istituzionale, gestio-

11 “Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento ammi-nistrativo”.

12 Al primo Piano Socio-Assistenziale per il triennio 1999-2001, ha fatto seguito solo il Piano Regio-nale socio-assistenziale 2002-2004 (approvato con D.G.R. n. 1408 del 25 ottobre 2002) che ha concluso la fase di sperimentazione. Il Piano contiene un allegato, dove sono raccolte informazioni statistico-demografiche utili per conoscere il territorio e programmare gli interventi (in particolare, c’è la “ricerca sulla povertà” realizzata dal Censis). Gli orientamenti strategici della programmazione regionale vengono individuati in:

• politica per la famiglia e con la famiglia;• lotta alla povertà;• contrasto all’emarginazione, realizzato a vari livelli in funzione dei diversi destinatari (minori, disa-

bili fisici, sensoriali e psichici, tossicodipendenti e alcolizzati, anziani, detenuti, immigrati e rom, emigrati);

• welfare integrato nella comunità locale;• qualità sociale. La Deliberazione della Giunta Regionale del 25 Luglio 2008, n. 560 aveva annunciato che era

in corso di predisposizione il nuovo Piano socio-assistenziale regionale che questo sarebbe stato sottoposto, entro dicembre 2008, all’esame del Consiglio Regionale, ma ad oggi di tale Piano si è persa traccia.

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Il principio di sussidiarietà viene espressamente richiamato nell’articolo 1 della legge 328 che definisce i principi generali e le finalità della legge stessa. Si stabilisce che la pluralità dei soggetti compresi nella definizione corrente di Terzo Settore sono coinvolti nella realizzazione concertata degli interventi, mentre sul piano più generale si afferma che la legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini. Si tratta del riconoscimento formale del ruolo della cittadinanza attiva e delle sue espressioni organizzate nei processi decisionali e nelle azioni dirette a realizzare livelli più elevati di welfare. Di seguito, riportiamo i principali commi di tale arti-colo, nei quali il principio di sussidiarietà viene declinato sia a livello “verticale” che “orizzontale”:

1. La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di inter-venti e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione.

[…]3. La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi

sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazio-ne, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali.

4. Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

5. Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli inter-venti, organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organiz-zazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di

L’articolazione degli attori della sussidiarietà

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patronato e altri soggetti privati. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata.

6. La presente legge promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali di cui al comma 1.

[…]

Per Terzo Settore comunemente si intende quel variegato insieme di organizzazio-ni non profit espressione della società civile e di autorganizzazione:

• Organizzazioni di Volontariato, di cui alla legge 266/91 (Legge quadro sul volon-tariato) e alla legge regionale 28 giugno 1993, n. 29 (Disciplina dell’attività di volontariato nella Regione Lazio) e successive modifiche;

• Associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 383/2001 (Legge quadro sull’associazionismo) e alla legge regionale 1 settembre 1999, n. 22 (Promozione e sviluppo dell’associazionismo nella Regione Lazio) e successive modifiche;

• ONG di cooperazione e solidarietà internazionale, di cui alla legge 49/1987;• cooperative sociali, di cui alla legge 381/92 e alla legge regionale 27 giugno

1996, n. 24 (Disciplina delle cooperative sociali) e successive modifiche;• imprese sociali, di cui alla D.lgs. 118/2005 e successive modifiche;• altra economia, botteghe del commercio equosolidale, gruppi di acquisto soli-

dale, microcredito;• fondazioni culturali e sociali;• enti di patronato, di cui alla legge 152/2001 e successive modifiche;• enti ausiliari, di cui all’articolo 2 della legge regionale 22 settembre 1982, n. 44

(Disciplina delle attività di prevenzione e riabilitazione degli alcoolisti e tossico-dipendenti svolte dagli enti ausiliari di cui all’ art. 94 della legge 22 dicembre 1975, n. 685) e successive modifiche;

• enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese;

• altri soggetti privati senza scopo di lucro.

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nale e professionale, attraverso l’adozione di un modello di servizi a rete13. Lo spirito della Legge regionale sul riordino dei servizi socio-assistenziali e del primo Piano socio-assistenziale, offre un quadro di riforma e gestione dei servizi che mira a:• garantire livelli minimi di assistenza;• implementare soluzioni innovative di dimensione locale;• condividere la programmazione e la gestione degli interventi socio-assi-

stenziali non solo tra gli organismi pubblici, ma anche con gli organismi di terzo settore e con i cittadini, incoraggiando e costruendo una “logica di politica di comunità”.Con l’entrata in vigore della Legge 328/2000, la Regione Lazio ha prose-

guito questo percorso attraverso l’approvazione di specifiche leggi di settore e la predisposizione di atti di programmazione e linee guida relativi alle politi-che sociali e socio-sanitarie14.

Relativamente ai servizi di accesso al sistema integrato, le strutture presenti nella Regione sono15:• il segretariato sociale16, che fornisce informazioni ed orientamento ai cit-

tadini in merito alle risorse sociali disponibili sul territorio, ai diritti, alle prestazioni, alle modalità di accesso ai servizi. Oltre alle informazioni relative al sistema dell’offerta pubblica, gli sportelli di segretariato sociale informano i cittadini anche sui servizi a pagamento erogati da soggetti privati, sulle tariffe praticate e sulle caratteristiche dei servizi erogati;

• il servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personale e famigliare17. Questo servizio è teso ad assicurare prestazioni tempestiva-mente, nell’arco delle 24 ore, e per un periodo non superiore alle 48 ore, a

13 In questa ottica venne anche avviata la sperimentazione su 7 distretti del Lazio - Municipio IV, Municipio V, Municipio VIII, Municipio XI, Municipio XIII, Municipio XVI, Distretto Latina Nord (individuati con D.G.R. 6879/98) -, con l’obiettivo strategico di individuare un modello di riferimento regionale.

14 Tali atti amministrativi determinano i criteri e le modalità di ripartizione delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e dal Fondo Regionale e contengono le Linee Guida per i Comuni.

15 Da notare l’assenza di riferimenti alle reti dei Centri Anziani e dei Consultori familiari.16 Art. 22 comma 4 lettera A L. 328/2000.17 Art. 22 comma 4 lettera B, L. 328/2000; D.G.R. 1304 paragrafo I.B.3.

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persone che, per improvvise ed imprevedibili situazioni contingenti, perso-nali o familiari, si trovino in condizioni di incapacità o non siano in grado di trovare autonomamente una soluzione alle criticità accorse in quanto privi di mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni primari di vita. Il servizio assicura la fase di primo intervento, predisponendo in seguito le azioni necessarie all’attivazione delle risorse di competenza da parte dei servizi territoriali attraverso una centrale telefonica e la partecipazione di unità mobili su strada per l’intercettamento e la presa in carico di situazio-ni di disagio estremo;

• il servizio sociale professionale18, finalizzato alla lettura e codificazione della domanda, alla presa in carico della persona, della famiglia e/o del gruppo sociale, all’attivazione ed integrazione dei servizi e delle risorse in rete, all’accompagnamento e all’aiuto nel processo di promozione ed emanci-pazione;

• lo sportello famiglia19, che offre attività di supporto ai nuclei familiari, sia per agevolare la conoscenza delle norme e dei provvedimenti nazionali, regionali e locali in materia di politiche familiari, sia per favorire l’accesso ai servizi.

L’erogazione dei servizi è demandata generalmente ai Comuni. In parti-colare, presso i Comuni è attivo lo Sportello del Segretariato Sociale, ossia il punto “fisico” ove il cittadino può rivolgersi per esporre i propri bisogni ed orientarsi nel panorama dei servizi sociali a cui può accedere. Il Segretariato Sociale svolge attività finalizzate a garantire unitarietà di accesso, capacità di ascolto, funzione di orientamento, capacità di accompagnamento, funzione di filtro, e in prospettiva funzioni di osservatorio e monitoraggio dei bisogni e delle risorse. Presso i Comuni è inoltre istituito il Servizio sociale professio-nale che ha il ruolo di “presa in carico” delle situazioni di disagio. Il servizio sociale svolge attività di prevenzione ed interventi orientati al sostegno ed al recupero di persone, famiglie e gruppi in situazione di bisogno e di disagio.

18 Art. 22 comma 4 lettera A L. 328/2000.19 Art. 9 L.R. 32/2001.

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3. Le competenze istituzionali

Con l’approvazione annuale delle Linee Guida inviate ai Comuni, la Regione Lazio provvede a consolidare un sistema di welfare cosiddetto “a responsabilità condivise” che si basa sui principi della “centralità del territorio” e della “sussidiarietà” prefigurando un modello nel quale la Regione affida ai Comuni un’ampia autonomia programmatoria e gestionale. Riconoscendo, infatti, l’impossibilità di pervenire ad un sistema omogeneo di welfare regio-nale, data l’estrema differenziazione territoriale, l’obiettivo della Regione Lazio è quello di chiarire il più possibile i ruoli e le funzioni assegnate ai Comuni, stabilire gli strumenti e i soggetti della programmazione, definire i livelli essenziali delle prestazioni, nonché le modalità di integrazione con le Asl e con le organizzazioni sociali presenti sul territorio, esercitando esclu-sivamente funzioni di indirizzo. I Comuni hanno, tra gli altri, i seguenti compiti:• realizzare una rete locale di servizi sociali;• erogare i servizi;• autorizzare, accreditare e vigilare i servizi e le strutture pubbliche e private

convenzionate che erogano servizi residenziali e semi-residenziali.

I Comuni sono raggruppati in ambiti territoriali, indicati con il nome di Distretti Sociali, di norma coincidenti con i Distretti Sanitari. Ciascun distretto sociale ha come riferimento un Comune capofila, indicato dal Comitato dei Sindaci che ha anche il compito di individuare i bisogni e le domande del territorio, gli obiettivi strategici e le priorità di intervento.

Le Province, quali organi istituzionali che concorrono alla pianificazione sociale, sono impegnate nel favorire l’integrazione delle politiche sociali con le altre politiche di settore (politiche del lavoro, della formazione professio-nale, dell’istruzione, etc.). In particolare, esse:• promuovono la realizzazione di forme associative a livello distrettuale;• svolgono una funzione di coordinamento e di sostegno ai Comuni ubicati

nei rispettivi territori;• promuovono la partecipazione degli organismi del terzo settore e delle

organizzazioni sindacali alla programmazione;

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• partecipano alla fase di progettazione e formulazione dei Piani Sociali di Zona, assicurando il necessario supporto informativo e tecnico, anche avvalendosi di osservatori provinciali sulle politiche sociali;

• convocano tavoli tecnici sulle singole tematiche sociali del territorio ai fini di una programmazione condivisa;

• svolgono una funzione di monitoraggio dei Piani Sociali di Zona e dei servizi e degli interventi nel sistema integrato sociale, anche ai fini della costruzione del sistema di qualità;

• rilevano le esigenze di servizi sovradistrettuali ed i relativi ambiti territoriali e individuano, anche in collaborazione con le ASL, i servizi di dimensione sovradistrettuale;

• coordinano la rilevazione dei dati sui servizi e sugli interventi, nonché sui bisogni e sulle risorse disponibili in ambito provinciale, anche al fine di realizzare il sistema informativo sociale regionale;

• promuovono, d’intesa con i Comuni, iniziative di formazione, con parti-colare riguardo alla formazione professionale di base e all’aggiornamento;

• predispongono piani provinciali annuali in materia di immigrazione, riguardanti i servizi e gli interventi a valenza sovradistrettuale;

• svolgono un ruolo di interlocutore nei confronti dei Comuni e delle ASL sul tema dell’integrazione dei servizi socio-sanitari;

• svolgono un ruolo di interlocutore nei confronti del terzo settore e delle organizzazioni sindacali.

La Regione, infine, ha il compito di svolgere funzioni di programmazione, coordinamento ed indirizzo degli interventi sociali e provvede a:• definire politiche integrate in materia di interventi sociali;• promuovere metodi e strumenti per il controllo di gestione, atti a valutare

l’efficacia e l’efficienza dei servizi;• definire i criteri di autorizzazione, accreditamento e vigilanza.

I dispositivi e gli strumenti programmatori preposti sono:• il Piano Regionale socio-assistenziale, che programma e dà l’indirizzo sulle

politiche d’intervento generale;• il Piano Sociale di Zona, che pianifica e organizza gli interventi.

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I due strumenti corrispondono ai due livelli gerarchici della Regione e del Distretto e oggi una priorità è certamente l’instaurazione di una relazione virtuosa tra questi due livelli e strumenti, riconoscendo, ampliando e qua-lificando tutte le competenze professionali degli attori coinvolti, ma anche investendo in maniera decisiva sulla Conferenza regionale del Volontariato e sul Comitato Regionale Utenti e Consumatori che già operano e sono orientati in tal senso dalla stessa legislazione regionale (vedi box).

I Distretti socio-sanitari, a partire dalle Linee Guida che la Regione detta annualmente, e in considerazione dei criteri per la ripartizione del Fondo Regionale per le politiche sociali, procedono a:• analizzare e “mappare” i bisogni sociali del proprio territorio;• definire le modalità e gli spazi di collaborazione con le Asl e gli organismi

di terzo settore.20

Il Piano Sociale di Zona è lo strumento operativo per la costruzione e la programmazione dell’offerta integrata di interventi e servizi sociali. Ogni anno, attraverso il Piano di Zona il territorio distrettuale codifica gli obiet-tivi strategici, gli assetti organizzativi, gli interventi operativi e le modalità gestionali del comparto degli interventi sociali. Esso pertanto dà attuazione alle linee guida indicate nel Piano Socio-assistenziale adattandole e persona-lizzandole alle specifiche esigenze dell’utenza nel territorio di riferimento. Il Piano di Zona integra, a livello di distretto, le attività dei singoli Comuni in un contesto omogeneo di iniziative. L’offerta dei servizi socio-assistenziali deve essere messa in relazione alla possibilità di realizzazione di un sistema omogeneo e uniforme dei servizi stessi, all’interno del territorio dei Comuni del distretto. L’omogeneità e l’uniformità devono essere riferiti ai LIVEAS garantiti, alla qualità degli stessi e al livello organizzativo da perseguire, grazie al lavoro di coordinamento ed interconnessione tra i Comuni del distretto e gli altri servizi socio-sanitari operanti nel territorio.

20 Come indicato nella DGR n. 860 del 28 giugno 2001 e nella DGR n. 1042 del 17 luglio 2001 obiettivo prioritario della programmazione regionale è l’integrazione socio-sanitaria, da realizzare attraverso l’attivazione ai vari livelli istituzionali – Regione, A.S.L. e EE.LL. – di strategie, program-mi nonché modelli organizzativi coerenti e funzionali.

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La Conferenza regionale del volontariato è stata istituita dall’art. 7 della Legge regionale n. 29 del 1993 quale strumento di partecipazione consultiva delle orga-nizzazioni di volontariato alla formazione delle scelte della Regione nei settori di diretto intervento delle organizzazioni stesse.

La conferenza ha il compito di:a) formulare proposte e valutazioni sugli indirizzi generali delle politiche regionali

relative al conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale defi-nite dall’articolo 1, comma 2 della legge1, e sui rapporti tra le organizzazioni di volontariato e le istituzioni pubbliche

b) esprimere parere sulla programmazione degli interventi nei settori in cui opera-no le organizzazioni di volontariato;

c) fare osservazioni in merito all’attività svolta dall’Osservatorio regionale del volon-tariato (di cui all’art. 8 della legge) nell’anno precedente;

d) eleggere i rappresentanti delle organizzazioni di volontariato in seno all’Osserva-torio regionale, tenuto conto dei settori d’intervento più rappresentativi e della territorialità provinciale.Alla conferenza intervengono, con diritto di voto, i legali rappresentanti, o loro

delegati, delle organizzazioni iscritte nel registro regionale (di cui all’articolo 3 della legge).

Da tre anni la Conferenza regionale del Lazio, con la collaborazione dei Centri di Servizio per il Volontariato CESV e SPES, è preceduta da riunioni tra le associa-zioni sul territorio (nei Municipi di Roma e provincia, a Latina, Frosinone, Rieti e Viterbo), per analizzare la realtà operativa del volontariato, focalizzare i temi di interesse comune e confrontarli con i bisogni. Non solo, quindi, riunioni prepa-ratorie all’appuntamento regionale, ma un riscontro permanente delle esigenze territoriali e della strutturazione del tessuto delle Organizzazioni di Volontariato sul territorio regionale.

1 Ai fini della legge si considerano finalità di carattere sociale, civile e culturale del volontariato quelle attinenti a:

a) la tutela del diritto alla salute; b) il superamento dell’emarginazione attraverso la prevenzione e la rimozione di situazioni di biso-

gno; c) il miglioramento della qualità della vita; d) la promozione dei diritti della persona; e) la protezione e la valorizzccccazione dell’ambiente, del paesaggio e della natura; f ) la tutela e la valorizzazione della cultura e del patrimonio storico ed artistico, nonché la promo-

zione e lo sviluppo delle attività connesse.

La Conferenza regionale del volontariato e il Comitato regionale degli utenti e dei consumatori

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Riconoscendo come fondamentale il ruolo economico e sociale del cittadini, la Regione Lazio ha istituito il Comitato regionale degli utenti e dei consumato-ri (CRUC) con la Legge regionale n. 44 del 10-11-1992 “Norme per la Tutela dell’Utente e del Consumatore”, al fine di assicurare “la tutela dei diritti del consu-matore e dell’utente dei beni e servizi e qualificare ed orientare i consumi”. L’intento è quello di promuovere l’associazionismo tra i consumatori per proteggerne gli interessi economici e giuridici e garantire loro un’efficace protezione contro i rischi per la salute e la sicurezza.

A sensi dell’articolo 3, il CRUC è costituito:a) da un rappresentante per ciascuna delle associazioni degli utenti e consumato-

ri, costituite senza fini di lucro, aventi carattere od interesse regionale o essere emanazione regionale di organizzazioni nazionali, e nei cui statuti sono priori-tariamente previsti: i diritti all’ informazione, all’educazione, alla formazione, alla rappresentanza e alla salvaguardia economico giuridica dei cittadini utenti e consumatori; la promozione e la difesa della salute e degli interessi sociali collegati allo sviluppo economico e alla tutela dell’ ambiente;

b) da cinque membri esperti designati dal Presidente della Giunta regionale, senti-ta la commissione consiliare permanente competente.L’articolo 4, stabilisce che il Comitato regionale degli utenti e dei consumatori

svolge i seguenti compiti: a) propone alla Giunta regionale la effettuazione di indagini, studi e ricerche utili

alla diffusione e al consolidamento delle associazioni per la tutela del consuma-tore, dell’ utente e dell’ ambiente;

b) esprime proposte per il coordinamento degli interventi dei vari organismi regionali competenti in materia di difesa del consumatore utente e dell’ ambiente al fine di realizzare un sempre più adeguato utilizzo delle risorse;

c) esprime il suo parere sui piani e programmi della Regione in relazione a quanto previsto dalla presente legge;

d) esprime il suo parere sui programmi d’ informazione e formazione predisposti dalla Regione;

e) può avvalersi, per le tematiche oggetto della presente legge, della consulenza delle strutture regionali;

f ) formula studi e proposte su eventuali interventi programmatici e leggi regionali in materia di difesa dell’ utente e del consumatore.Il 14 settembre 2005 è stato sottoscritto un Protocollo d’Intesa tra la Regione

Lazio e le Associazioni Regionali dei Consumatori e degli Utenti con lo scopo di incrementare le attività di sostegno, informazione, difesa e tutela dei consumatori e degli utenti mediante l’elaborazione di un programma pluriennale. Tra le principali attività previste dal protocollo c’è la costituzione di un Osservatorio sulla qualità dei servizi.

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4. La programmazione

Per la programmazione e la gestione dei servizi all’interno dei bacini distret-tuali, gli enti locali devono adottare il metodo della pianificazione di zona. Il Piano Sociale di Zona è lo strumento fondamentale attraverso cui i Comuni del distretto associati tra di loro e di intesa con la ASL, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione (a cominciare dal volontariato e dalle imprese sociali), possono disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali con riferimento agli obiettivi strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare. L’art. 19 della L. 328/00 indica come requisiti preliminari affinché tutti i Comuni, attraverso forme associative, possano predisporre il Piano Sociale di Zona:a) realizzazione delle forme associative a livello distrettuale e di decentramen-

to nel Comune di Roma;b) intesa con le ASL;c) individuazione delle risorse disponibili, di carattere finanziario e umano,

pubbliche e accreditate, del volontariato, dell’associazionismo e delle orga-nizzazioni non profit. I finanziamenti regionali sono sussidiari rispetto alle risorse che ciascun Comune deve rendere disponibili per il funzionamento della rete dei servizi sociali;

d) seguire gli obiettivi e priorità regionali di riferimento che i Piani Sociali di Zona devono riprendere, per localizzarli nel territorio di competenza.

Il Piano Sociale di Zona deve:• favorire la formazione dei sistemi sociali integrati, promuovendo le risorse

di solidarietà e di auto-aiuto;• responsabilizzare i cittadini e le strutture nella programmazione, nella co-

progettazione e nella verifica dei servizi;• qualificare la spesa, con un impiego coerente delle risorse finanziarie e con

l’adozione di procedure efficienti di spesa e di controllo della stessa;• promuovere iniziative di formazione e altre azioni di sistema, per consenti-

re la crescita delle competenze professionali delle risorse umane impegnate nella promozione e nell’attuazione del Piano Sociale di Zona, ma anche per supportare la costituzione di una struttura organizzativa, coerente con

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il complesso di azioni da realizzare, ivi compreso l’avvio del sistema infor-mativo sociale.

Il Comune di Roma rappresenta, in ambito regionale una specificità, in quanto gli ambiti territoriali ottimali si realizzano attraverso la suddivisione del territorio comunale; tuttavia in coerenza con quanto stabilito per tutto il territorio regionale, gli ambiti territoriali ottimali sono individuati nei distretti sanitari, che coincidono con i Municipi. Anche nel caso del Comune di Roma, la Regione assegna un budget ad ogni distretto secondo criteri già individuati. Ciascun distretto predispone il proprio Piano Sociale di Zona e, nell’ambito e nei limiti della quota preventivamente assegnata, i relativi pro-getti operativi. Il Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Sociali e alla Promozione della Salute - invia alla Regione il Piano. La Regione esamina il Piano Sociale comunale ed i singoli Piani distrettuali, valuta i singoli progetti operativi in relazione al Piano Sociale di Zona, verificandone la conformità alla programmazione regionale e alle presenti Linee guida e adotta i provve-dimenti per l’erogazione del contributo totale o parziale in relazione all’am-missibilità dei singoli progetti operativi.

Infine, le “Linee Guida ai Comuni per l’Utilizzazione delle Risorse per il Sistema Integrato Regionale di Interventi e Servizi Sociali - Triennio 2008-2010” stabiliscono che nel processo programmatorio regionale e ancor più rispetto alle sue implementazioni locali, occorre prevedere il coinvolgimento dei diversi soggetti del Terzo Settore – Organizzazioni di Volontariato, Asso-ciazioni di Promozione Sociale, cooperative sociali e consorzi di cooperative sociali – quali soggetti attivi nella rete dei servizi.

Anche le organizzazioni sindacali, quali soggetti della rappresentanza socia-le, dovranno svolgere un ruolo peculiare nella programmazione dei servizi e degli interventi attraverso la concertazione. Dovrà quindi essere riconosciuto alle organizzazioni sindacali uno specifico ruolo negoziale e concertativo come titolarità propria, sia a livello confederale, sia a livello categoriale (in primo luogo per i pensionati, portatori di specifici e particolari interessi, e per i dipendenti dei soggetti erogatori di servizi).

A tal proposito, si sottolinea che i Piani Sociali di Zona dovranno dare esplicitamente atto del coinvolgimento programmatico dei soggetti del Terzo settore, nonché dell’avvenuta concertazione con le organizzazioni sindacali, e

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ciò vale anche per gli aggiornamenti previsti per gli anni 2009 e 2010, pena l’esclusione dal finanziamento.

In questo modo, come già affermato dalla legge 328/2000, si ribadisce che il Piano Sociale di Zona ha le caratteristiche di un accordo di programma che è la risultante di un atto amministrativo complesso, alla cui predisposizione partecipano i soggetti interessati attraverso delle procedure (indicate dal Testo Unico sull’ordinamento degli Enti locali) che siano in grado di garantire una effettiva concertazione a livello territoriale. Questo richiede che da parte sia delle istituzioni che delle Organizzazioni di Volontariato e dell’impresa sociale (sempre più chiamati ad essere agenti di politiche e responsabilità pubbliche e non solo fornitori di servizi privati o erogatori di servizi) ci sia una adeguata preparazione tecnico-politica e una forte cultura della partecipazione.

5. La morfologia territoriale

La regione Lazio comprende 378 Comuni, tra cui il Comune di Roma, che a sua volta comprende 19 municipi. Garantendo il rispetto delle linee di indirizzo configurate dalla legge nazionale 328 del 2000, la Regione Lazio provvede, di concerto con gli enti locali, a ripartire il proprio territorio in «ambiti territoriali» o «zone sociali», di norma coincidenti con i Distretti socio-sanitari, entro i quali un gruppo di comuni esercita, in modo associa-to, le funzioni sociali e sanitarie. Tale scelta, dettata anche dalla necessità di sostenere i piccoli e i piccolissimi comuni nell’erogazione dei servizi socio-assistenziali,21 ha prodotto la realizzazione di 55 distretti, di cui 19 sono costituiti dai Municipi del Comune di Roma, che rappresentano una sorta di livello istituzionale aggiuntivo interposto tra Regione e Comune.

Tali ambiti territoriali, che rappresentano di fatto un insieme aggregato di territori e di soggetti uniti da un senso di vicinanza e di prossimità, non avendo poteri amministrativi, detengono le funzioni di programmazione e di

21 Di recente la Regione Lazio ha approvato la L.R. n. 62/2004 (e successiva D.G.R. n. 360/2007) che destina specifici interventi di finanziamento ai Comuni con popolazione inferiore ai 2000 abitanti. Tali risorse devono essere utilizzate dai Comuni interessati per far fronte a situazioni di particolare emergenza tali per cui si rende necessario un intervento straordinario della Regione.

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coordinamento delle azioni e degli interventi che rimangono una prerogativa del singolo Comune.

Le realtà locali sono variegate a causa delle diversità e dei bisogni speci-fici del territorio, per cui si assiste spesso ad una diversità di impostazione dei modelli organizzativi relativamente a caratteristiche, finalità, contenuti e destinatari dei servizi, nonché ai profili degli operatori. Nelle realtà più “semplici”, ad esempio, Sportello del Segretariato Sociale e Servizio Sociale possono essere accorpati in un unico ufficio, oppure più Comuni possono condividere un unico Sportello per dei servizi, come nel caso di servizi for-niti dal Comune capofila, a livello di distretto, mentre in realtà più grandi il Servizio Sociale stesso può essere dotato di figure professionali che erogano direttamente alcuni servizi (avendo a disposizione personale specializzato quali psicologi o assistenti sociali).

6. I livelli di assistenza, l’ufficio di piano e la ripartizione delle risorse

L’art. 22 della legge 328/2000 prevede che il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantisca al cittadino, negli ambiti territoriali ottimali, l’ero-gazione di alcune prestazioni essenziali, che rappresentano, i Livelli Essenziali delle Prestazioni di Assistenza Sociale (LIVEAS).22 I LIVEAS garantiscono un sistema di prestazioni e servizi sociali idonei a garantire cittadinanza sociale e qualità di vita alle persone e alle famiglie, nonché pari opportunità e tutela ai soggetti più deboli. Si indicano, di seguito, servizi, interventi e prestazioni che devono comunque essere assicurati in ciascun ambito sociale:a) segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei

familiari;b) servizio sociale professionale;c) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza perso-

nale e familiare;d) assistenza domiciliare;

22 Le note sui Liveas sono tratte da http://cedoc.sirio.regione.lazio.it/DOCUMENTI /RL_LG_fon-dosoc.doc e da “Piano di riparto delle risorse del Fondo Nazionale per le politiche sociali relativo all’anno 2005 in favore del Comune di Roma e dei Distretti Socio Sanitari del Lazio”.

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e) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;f ) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.

L’art. 22 della legge 328/2000 stabilisce anche che l’ufficio di piano indi-vidua azioni, promuove iniziative ed elabora proposte progettuali per il con-seguimento degli obiettivi indicati. L’ufficio di piano deve essere istituito in ogni distretto socio-sanitario e costituisce la struttura tecnico-amministrativa dove, attraverso opportune forme di coordinamento, si realizza l’integrazione tra i Comuni, tra i Comuni e la ASL, tra pubblico e privato sociale. L’azione strategica dell’ufficio di piano si realizza essenzialmente attraverso la circola-zione delle informazioni, l’attivazione di tavoli di lavoro tematici e di ordine generale, momenti di verifica e valutazione dei risultati raggiunti; le attività devono coinvolgere i Comuni, il distretto, i cittadini singoli o associati, il terzo settore e le organizzazioni sindacali, in un’ottica che considera i vari soggetti protagonisti dell’intero processo programmatorio.

L’atto istitutivo dell’ufficio di piano deve individuare la struttura orga-nizzativa, le finalità, la sede operativa, le risorse economiche ed il personale necessario al suo funzionamento. L’ufficio di piano è costituito da un coordi-natore, uno staff tecnico-progettuale ed una struttura amministrativa. Il coor-dinatore è coadiuvato dai tecnici dei Comuni e dai responsabili del distretto. I Comuni del distretto individuano, pertanto, i propri rappresentanti tecnici ed amministrativi presso l’ufficio di piano. Nella definizione dell’assetto orga-nizzativo dell’ufficio di piano, le amministrazioni interessate sono tenute ad individuare in modo puntuale l’apporto stabile e continuativo in termini di risorse umane per il funzionamento dell’ufficio stesso, ovvero le risorse eco-nomiche proprie necessarie per acquisire dall’esterno risorse umane, nei limiti previsti dalla normativa vigente. Ad oggi, tutto questo non è stato ancora pos-sibile realizzarlo, per cui gran parte degli uffici di piano sono prevalentemente uffici a responsabilità amministrativa con figure professionali con contratti a termine e precari.

L’ufficio di piano, per la corretta funzionalità ed operatività, si può avva-lere della consulenza e della collaborazione dei segretari dei Comuni del distretto e del responsabile dell’ufficio di ragioneria del Comune capofila. Il Comune capofila deve garantire il regolare funzionamento dell’ufficio di piano. Compito prioritario dell’ufficio è la definizione della pianificazione

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dei servizi e degli interventi da attivare a livello locale; a tal fine cura la reda-zione del Piano Sociale di Zona e individua il budget di distretto. Compete inoltre al predetto ufficio l’attuazione del Piano Sociale di Zona, con partico-lare riferimento ai progetti operativi inseriti nel piano stesso.

Spettano alla struttura anche le seguenti funzioni specifiche:• curare i rapporti con i competenti uffici dell’Assessorato alle Politiche

Sociali, provvedendo alla trasmissione degli atti fondamentali del distretto, secondo le direttive ricevute dalla Regione;

• curare i rapporti con i soggetti, pubblici e privati, interessati all’attività di pianificazione sul tema dei servizi sociali, attraverso lo sviluppo di “una cultura sociale” che integri e valorizzi i modelli di intervento;

• gestire il budget di distretto e curare la rendicontazione da inviare all’As-sessorato alle Politiche Sociali;

• coordinare la predisposizione dei principali atti destinati alla concreta attuazione del Piano Sociale di Zona e dei progetti operativi;

• registrare ed aggiornare tutti i dati indispensabili alla pianificazione distret-tuale e, a tal fine, organizzare la sistematica raccolta e l’analisi dei dati ed informazioni relativi al distretto; in particolare l’ufficio individua i servizi e le risorse presenti sul territorio ed i bisogni sociali emergenti;

• monitorare l’attuazione del Piano Sociale di Zona e dei progetti operativi.

La sistematica raccolta di dati a livello distrettuale costituisce la base per l’attuazione del sistema informativo dei servizi sociali a livello regionale, in un’ottica di programmazione circolare e di scambio coordinato di informa-zioni, per facilitare lo sviluppo del servizio sociale di rete.

A ciascun distretto, la Regione attribuisce una quota dei finanziamenti provenienti dal Fondo Nazionale per le politiche sociali, dalla legge 162/98, dalla legge 285/97 e dal Fondo regionale per le politiche sociali,23 quantifica-ta secondo due direttrici: • per macro aree di intervento;• sulla base di parametri demografici e di indicatori di disagio sociale.

23 I primi tre fondi sono costituiti da risorse trasferite dallo Stato alla Regione, mentre l’ultimo è frutto del bilancio regionale (lettera C). I Comuni beneficiano di fondi (di cui alla lettera A) che ancora oggi non vengono messi nella programmazione comune, ma sono gestiti autonomamente dai Comuni stessi. La Regione sta cercando di modificare le modalità di utilizzo di questi fondi.

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Ai fini del riparto delle somme disponibili, le Linee Guida ai Comuni per il 2001-2002 (fase di sperimentazione) hanno definito come prioritarie le seguenti macro aree di intervento:24

1. responsabilità familiari;2. diritti dei minori;3. persone anziane;4. contrasto della povertà;5. disabili;6. avvio della riforma.

I criteri per la ripartizione del Fondo Nazionale sono stati i seguenti:

Aree di intervento Indicatori PercentualiResponsabilità familiari Popolazione residente 15%

Diritti dei minoriPopolazione <18 anni 5%

Popolazione <4 anni 5%

Persone anzianePopolazione <65 anni 30%

Popolazione <75 anni 30%

Contrasto povertà Disagio socioeconomico (Rapporto Censis 2002) 7%

Disabili Numero delle pensioni di invalidità 7%

Avvio della riforma Popolazione residente 1%

Le successive Linee Guida ai Comuni del 2003 (D.G.R. n. 704/2003) mantengono inalterati i criteri per il riparto del Fondo Regionale per l’im-plementazione del Piano socio-assistenziale. Per quanto riguarda invece le modalità di ripartizione del Fondo Nazionale per le politiche sociali (anno 2003), le Linee Guida anticipano, in attesa che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali effettui il trasferimento alle Regioni, i criteri di riparto, da fissare con successivo atto regionale (D.G.R. n. 977/2003). Le risorse nazio-nali indistinte vengono di nuovo indirizzate alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali a livello distrettuale. Al momento della loro assegnazione i distretti hanno il dovere di aggiornare i rispettivi Piani di Zona ed i relativi progetti operativi (entro il 31.12.2003).

24 Le Linee Guida sono state elaborate in tre successive D.G.R.: la n. 860 del 28 giugno 2001, la n. 471 del 19 aprile 2002 e la n. 807 del 21 giugno 2002.

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Le Linee Guida ai Comuni del 9 luglio 2004 (D.G.R. n. 610/2004) modificano in parte, rispetto al 2003, i criteri per il riparto del Fondo per l’attuazione del Piano socio-assistenziale regionale:• una quota pari al 60% viene assegnata ai Comuni, in proporzione alla

popolazione residente (93%) e alla superficie territoriale (7%);• una quota pari al 15% è finalizzata al finanziamento di specifici progetti

comunali di interesse regionale e/o di rilevante interesse sociale, relativi:• al proseguimento delle seguenti attività:

– gestione di strutture residenziali per minori;– gestione di strutture residenziali comunali per anziani;– servizi di mensa sociale e/o accoglienza notturna;– interventi di assistenza domiciliare autogestita;– interventi per la realizzazione di spazi per minori nei condomini;– interventi finalizzati alla risocializzazione di detenuti ed ex dete-

nuti;– interventi di inserimento lavorativo di adulti in grave stato di

bisogno; • ad interventi non rientranti nei Piani di Zona distrettuali relativi a

situazioni di emergenza comunali e a specifiche esigenze per le isole;• al finanziamento di servizi locali, già finanziati negli anni precedenti

con risorse finalizzate ai servizi intercomunali, che per la loro valenza sovracomunale vengono inseriti per la prima volta nei Piani di Zona distrettuali;

• una quota del 25% è destinata all’organizzazione e gestione associata dei servizi e degli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari attivati in ambi-to distrettuale, già inseriti nei Piani Sociali di Zona, al fine di garantirne la continuità. I finanziamenti sono assegnati a livello di singolo distretto sulla base dell’intensità del disagio socio-economico ponderato con la popolazione (dati ricerca Censis, 2002). I progetti da finanziare devono essere inseriti nel Piano di Zona25.

Per quanto riguarda invece il Fondo Nazionale per le politiche sociali, la delibera stabilisce di destinare, nell’ambito delle risorse complessivamente

25 I Piani di Zona dovevano pervenire all’Assessorato alle Politiche per la Famiglia e Servizi sociali entro il 15 ottobre 2004 (data successivamente prorogata al 15 novembre 2004).

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assegnate alla Regione Lazio, la somma di 40 milioni di euro all’organizzazio-ne e gestione associata dei servizi e interventi socio-assistenziali e socio-sanitari attivati a livello distrettuale e individua i seguenti criteri per la ripartizione:• una quota pari a 32.800.000 euro viene suddivisa in funzione delle aree di

intervento e delle aree territoriali, secondo il seguente schema:

Aree di intervento Indicatori Percentuali

Responsabilità familiari Popolazione residente 16%

Diritti dei minori Popolazione <18 anni 5%Popolazione <4 anni 5%

Persone anziane Popolazione <65 anni 30%Popolazione <75 anni 30%

Contrasto povertà Disagio socioeconomico (Rapporto Censis, 2002) 7%

Disabili Numero delle pensioni di invalidità 7%

• una quota pari a 2.600.000 euro, a cui vanno a sommarsi a titolo di cofinanziamento regionale la cifra di 516.457 euro, viene assegnata per il perseguimento delle finalità della legge n. 104/1992 (Legge quadro per l’as-sistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) in favore dei disabili gravi, sulla base dei seguenti criteri:26

• 70% in relazione al numero di invalidi civili con indennità di accom-pagnamento;

• 30% in funzione del disagio socio-economico ponderato con la popolazione (dati Rapporto Censis, 2002);

• una quota pari a 4.600.000 euro viene destinata al perseguimento delle finalità della Legge n. 285/1997 in favore dell’infanzia e dell’adolescenza,27 nella seguente misura:

• 50% in base alla popolazione 0-4 anni;• 50% in base alla popolazione 0-18 anni.

Le somme assegnate ai singoli distretti socio-sanitari devono essere indiriz-zate al finanziamento dei progetti inseriti nei Piani di Zona, tenendo conto che è da destinarsi:

26 A ciascun distretto non dovrà comunque essere garantita una somma non inferiore a 20 mila euro.

27 Fanno eccezione i distretti del Comune di Roma, essendo il Comune stesso destinatario diretto dei finanziamenti ex L. 285/97.

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• una quota non inferiore al 20% agli interventi per gli anziani non autosuf-ficienti;

• una quota non inferiore al 6,5% agli interventi per i disabili gravi (L. 104/92);

• una quota non inferiore al 11,5% agli interventi per l’infanzia e l’adole-scenza (L. 285/97).

La D.G.R. n. 1134/2004 Piano di utilizzazione degli stanziamenti prove-nienti dal fondo nazionale per le politiche sociali per l’anno 2004 del 29 novem-bre 2004 definisce il piano di utilizzazione degli stanziamenti provenienti dal Fondo Nazionale per le politiche sociali. Le risorse assegnate alla Regione Lazio per l’anno 2004 ammontano complessivamente a 86.004.238,00 euro e vengono ripartite secondo i seguenti criteri:a) una quota pari a 40 milioni di euro è destinata all’organizzazione e alla

gestione associata dei servizi e degli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari attivati a livello distrettuale, con riferimento a quelli inseriti nei Piani di Zona (vedi D.G.R. n. 610/04);

b) una quota pari a 46.004.238 euro è indirizzata agli interventi previsti da leggi vigenti dello Stato e posti a carico del Fondo Nazionale.28

28 Nello specifico, la ripartizione è stata la seguente:• 6.800.000 euro per gli interventi in favore degli immigrati, a cui si devono aggiungere a titolo di

cofinanziamento regionale 1.372.968 euro;• 600 mila euro per gli interventi in favore dell’integrazione sociale e lavorativa dei ciechi plurimi-

norati;• 4.154.264 euro per gli interventi finalizzati a contrastare le dipendenze da droghe,, alcool e farma-

ci;• 873.600 euro per la prosecuzione e/o ampliamento dei seguenti interventi già in precedenza finan-

ziati dalla Regione:• servizio informativo per persone disabili “Presidio Lazio” – 398.600 euro;• progetto sperimentale contro la dispersione e l’abbandono scolastico – 190.000 euro;• progetto sperimentale per la diffusione di un modello di abitazione accessibile- 25.000 euro;• progetto sperimentale di reinserimento sociale delle persone disabili “Ippocampo” – 100.000

euro;• i restanti 33.576.374 euro vengono destinati, secondo modifiche apportate dalla successiva

D.G.R. n. 461/2005 Piano di utilizzazione degli stanziamenti provenienti dal fondo nazionale per le politiche sociali per l’anno 2004. Modifiche alla D.G.R n. 1134/2004 del 1 aprile 2005, alle seguenti finalità:• la costruzione degli asili nido e dei micro-asili nei luoghi di lavoro – 17 milioni di euro;

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Per la pianificazione dell’annualità 2005,29 la Giunta regionale ha adottato il 4 agosto 2005 la D.G.R. n. 720/2005 che individua criteri e modalità di riparto del Fondo regionale per l’attuazione del Piano socio-assistenziale. Per quanto riguarda, invece, le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali assegnate alla Regione Lazio, pari ad 44.550.195 euro, la D.G.R. n. 81 del 14 febbraio 2006 stabilisce30 che la quota che la Regione destina all’organizza-zione ed alla gestione associata dei servizi e degli interventi socio-assistenziali è pari ad 42.232.195 euro (il 97,04% delle risorse complessive).31 La riparti-zione di tali risorse è effettuata nel seguente modo:

• le politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione e le famiglie in situazioni di disagio economico-sociale – 1.500.000 euro;

• progetti inerenti interventi domiciliari a carattere sanitario e socio-sanitario a favore della per-sone non autosufficiente – 3 milioni di euro;

• progetti volti al superamento e all’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici e nei luoghi aperti al pubblico e l’acquisto di ausili e attrezzature volti a favorire l’accesso e al mobilità interna – 2.500.000 euro;

• progetti relativi al miglioramento della qualità dei servizi resi dai centri anziani comunali esi-stenti sul territorio regionale – 6 milioni di euro;

• progetti relativi all’integrazione scolastica degli alunni disabili – 3.426.374 euro;• la prosecuzione del progetto già finanziato dalla Regione relativo all’istituzione di un servizio

di ponte telefonico per l’abbattimento delle barriere della comunicazione per sordomuti. 29 I Piani Sociali di Zona dovevano pervenire entro il 15 maggio 2006 all’Assessorato alle Politiche

sociali, Direzione regionale Servizi sociali.30 Nonostante il taglio del 50% circa effettuato dallo Stato nel trasferimento delle risorse dell’anno

2005 (rispetto al 2004), con la D.G.R. n. 81/2006 comunque la Regione ha destinato all’organiz-zazione ed alla gestione associata dei servizi e degli interventi socio-assistenziali previsti nei Piani di Zona, una cifra sia pure in piccola percentuale superiore a quella dell’anno precedente. Inoltre, per la prima volta, è stato adottato l’indicatore della superficie territoriale per l’area di intervento “responsabilità familiari” al fine di erogare una parte aggiuntiva di risorse ai distretti dei Comuni montani che presentano difficoltà per l’organizzazione dei servizi a causa della elevata dispersione territoriale.

31 Il resto delle risorse è stato ripartito nel modo seguente:• la somma di 280.000,00 euro è finalizzata alla prosecuzione del progetto sperimentale relativo al

servizio informativo rivolto alle famiglie denominato “S.O.S. Famiglia” già “Pronto Famiglia”; • la somma di 398.000,00 euro è finalizzata alla prosecuzione del progetto sperimentale relativo al

servizio informativo per persone con disabilità, denominato “Presidio Lazio”; • la somma di 640.000,00 euro è finalizzata per attività connesse allo sviluppo del sistema informa-

tivo socio-assistenziale, come da D.G.R. n. 1025 del 22 novembre 2005,; • la somma di 1.000.000,00 euro è stata utilizzata secondo modalità e criteri indicati in un successivo

provvedimento.

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a) 34.630.400 euro ripartiti per le seguenti macro-aree di intervento:

Aree di intervento Indicatori Percentuali Somme

Responsabilità familiariPopolazione residente 11% 3.809.344,00

Territorio 5% 1.731.520,00

Diritti dei minoriPopolazione <18 anni 10% 3.463.040,00

Popolazione <4 anni 10% 3.463.040,00

Persone anzianePopolazione <65 anni 25% 8.657.600,00

Popolazione <75 anni 25% 8.657.600,00

Contrasto povertà Disagio socioeconomico (Rapporto Censis, 2002) 7% 2.424.128,00

Disabili Numero delle pensioni di invalidità 7% 2.424.128,00

b) una quota pari a 2.745.092,68 euro cui si aggiungono a titolo di cofinan-ziamento regionale ulteriori 516.457 euro per un totale complessivo di risorse trasferite di 3.261.549,68 euro finalizzata al perseguimento delle finalità di cui alla legge n. 104/1992, così come modificata dalla legge n. 162/1998 viene ripartita tra il Comune di Roma e i restanti distretti del Lazio sulla base dei seguenti criteri:32

• il 70% sulla base del numero di invalidi civili con indennità d’accompa-gnamento;

• il 30% sulla base del disagio socio-economico ponderato con la popolazio-ne (dati Rapporto Censis, 2002).

c) una quota pari a 4.856.702,43 euro relativa al perseguimento delle finalità di cui alla legge n. 285/1997, che viene ripartita tra tutti i distretti socio-sanitari del Lazio ad eccezione di quelli del Comune di Roma in quanto destinatario diretto dei finanziamenti ex legge n. 285/1997, sulla base dei seguenti criteri:

• il 50% in base alla popolazione inferiore a 4 anni; • il 50% in base alla popolazione inferiore a 18 anni.

Per la pianificazione delle annualità 2006-2007, caratterizzata dalla man-cata introduzione delle annunciate carte dei servizi e dalla non presentazione

32 A ciascun distretto dovrà comunque essere assicurata una somma non inferiore ad euro 20.000, riducendo, eventualmente, in misura proporzionale le quote spettanti di entità superiore a detta somma.

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Evoluzione del quadro normativo e delle politiche sociali

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dei Piani di Zona dei Municipi romani,33 la D.G.R. n. 500 del 3 agosto 2006 stabilisce che in ciascuno degli esercizi finanziari 2006 e 2007 vengono fina-lizzate le seguenti risorse finanziarie, pari complessivamente a 108.800.000 euro: • 57.800.000 euro provenienti dal fondo regionale per l’attuazione del

piano socio-assistenziale regionale (capitolo di spesa n. H41504);• 43 milioni di euro - di cui 20.000.000 euro provenienti dal capitolo di

spesa n. H41135 denominato “Integrazione regionale dell’assegnazione dello Stato delle risorse indistinte per l’attuazione della legge n. 328/2000” e 23.000.000 euro provenienti dal fondo nazionale per le politiche sociali (capitolo di spesa n. H41106) - per l’organizzazione e la gestione associata dei servizi ed interventi socio-assistenziali e sociosanitari attivati a livello distrettuale (per la ripartizione viene confermato lo schema utilizzato nel 2005);

• 8.000.000 euro provenienti dal fondo socio-sanitario regionale per la non autosufficienza (capitolo di spesa n. H41550).Nel 2008, infine, la Giunta Regionale ha approvato (D.G.R. n. 560 del 25

luglio 2008) il documento concernente “Linee guida ai Comuni per l’utilizza-zione delle risorse per il sistema integrato regionale di interventi e servizi sociali - Triennio 2008-2010”, con l’obiettivo di ampliare i tempi della programma-zione per dare continuità e perfezionare i processi di pianificazione e gestione del sistema territoriale dei servizi e degli interventi socio-assistenziali.

In questa prospettiva, il provvedimento reca:• un piano triennale (2008-2010) di utilizzazione delle risorse nel quale ven-

gono quantificate le risorse regionali e statali finalizzate alla organizzazione e alla gestione associata dei servizi degli interventi socio-sanitari attivati a livello distrettuale;

• i criteri di distribuzione ed assegnazione delle risorse tra gli enti locali;• le indicazioni operative agli enti locali per l’accesso ai finanziamenti, non-

ché per l’utilizzazione delle somme assegnate.

33 La D.G.R. n. 500/06 stabiliva che i Comuni e gli Enti capofila di distretto dovevano predisporre il Piano di Zona distrettuale di durata biennale entro il 31 dicembre 2006, relativamente alle risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali dell’anno 2006, mentre per le risorse dell’anno 2007, occorreva trasmettere un aggiornamento del predetto piano biennale entro il 31 dicembre 2007.

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Per il triennio 2008-2010, la programmazione regionale si è posta i seguenti obiettivi generali:• riordinare progressivamente la rete territoriale dei servizi sociali in un’otti-

ca d’integrazione tra gli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari;• completare la distrettualizzazione della rete dei servizi, con particolare

riferimento alle esigenze dei piccoli comuni;• realizzare un Sistema di qualità sociale, inteso come insieme di regole,

procedure, incentivi atti ad assicurare che gli interventi ed i servizi sociali siano adeguati ai bisogni;

• ricondurre in un unico sistema la pianificazione settoriale e le relative risorse privilegiando la dimensione distrettuale.Sinteticamente, i Piani di Zona Distrettuali Triennali 2008-2010 saranno

finanziati dalla Regione Lazio con risorse provenienti da specifici fondi, come di seguito indicato:34

Fondo Capitolo di spesa

Risorse economiche regionali. Importi totali

(importi destinati ai PDZ)

Fondo regionale per l’attuazione del Piano Socio-assistenziale Regionale H41504

2008 58.000.000(14.206.500)

2009 57.800.000(14.146.500)

2010 57.800.000(14.206.500)

Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (F.N.P.S.) H41106

2008 48.000.000(44.500.000)

2009 50.000.000(46.500.000

2010 52.000.000(48.500.000)

Fondo relativo all’assegnazione dello stato per l’at-tuazione della Legge n. 285/1997 H41107

2008 2.339.678,392009 n.d.2010 n.d.

Fondo regionale concernente il cofinanziamento per gli interventi di cui all’art. 39 della Legge n. 104/1992 come modificata dalla Legge n. 162/1998

H411102008 516.457,002009 516.457,002010 516.457,00

n.d.=dato non disponibile

34 È da evidenziare che, a differenza di quanto avvenuto per il Piano di Zona 2006-2007, la Regione Lazio non ha rifinanziato il Capitolo di spesa H41135 denominato “Integrazione regionale dell’asse-gnazione dello stato delle risorse indistinte per l’attuazione della Legge 328/2000” (v. L.r. n. 27/2007 concernente il “Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2008”).

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Evoluzione del quadro normativo e delle politiche sociali

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Capitolo di spesa Risorse PdZ 2008 (mln euro)

Risorse PdZ 2008 (mln euro)

Risorse PdZ 2008 (mln euro)

Risorse PdZ 2008-2010 (mln euro)

H41504 14.206.500,00 14.146.500,00 14.206.500,00 42.559.500,00

H41106 44.500.000,00 46.500.000,00 48.500.000,00 139.500.000,00

H41107 2.339.678,39 - -

H41110 516.457,00 516.457,00 516.457,00 1.549.371,00

Totali 61.562.635,39 61.162.957,00 63.222.957,00 186.948.549,39

Annualità Risorse regionali complessive provenienti dallo Stato

2007 64.073.157,00

2008 61.562.635,39

2009 61.162.957,00

2010 63.222.957,00

Nel particolare, poi, si evidenzia che l’82% delle risorse statali (con par-ticolare riferimento alla voce “Fondo Nazionale per le Politiche Sociali”) disponibili nel triennio viene ripartita per le seguenti aree d’intervento, sulla base di specifici criteri – indicatori e percentuali di ripartizione – così come indicati nella tabella seguente:

Aree di intervento Indicatori Percentuali

Responsabilità familiariPopolazione residente 11%

Territorio 5%

Diritti dei minoriPopolazione <18 anni 10%

Popolazione <4 anni 10%

Persone anzianePopolazione <65 anni 25%

Popolazione <75 anni 25%

Contrasto povertà Disagio socioeconomico (Rapporto Censis 2002) 7%

Disabili Numero delle pensioni di invalidità 7%

Pertanto, gran parte delle risorse finanziarie dovranno essere dedicate anche nel triennio 2008-2010 alle necessità della popolazione anziana e, in partico-lare, di quella non autosufficiente nella misura del 20% del totale. Trattasi di interventi di assistenza socio-sanitaria integrata, dimissioni ospedaliere protet-te, servizi di sostegno alla persona anziana nelle ore di assenza dei familiari, piani individualizzati d’intervento, interventi economici per concorrere ai costi della de-istituzionalizzazione, erogazione di contributi finalizzati al pagamento

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

degli oneri previdenziali per gli operatori domestici, assistenza domiciliare per i casi gravi soprattutto nei giorni festivi e prefestivi.

Il restante 18% delle risorse statali sarà così ripartito:• un 6,5% per annualità, pari a 3.044.579,10 euro nel 2008, 3.022.500

euro nel 2009 e 3.152.500 euro nel 2010 si aggiungono ai 516.457,00 (per ciascun anno) previsti per i disabili gravi;

• l’11,5% per annualità, pari a 5.386,563,01 euro (di cui 2.339.678,39 indicati nella tabella riepilogativa) nel 2008, 5.347.500 euro nel 2009, 5.577.500 euro nel 2010 saranno da destinarsi agli interventi in favore dell’infanzia e dell’adolescenza di cui alla Legge n. 285/1997 nella misura del 50% per la popolazione inferiore ai 4 anni e di un altrettanto 50% per la popolazione inferiore ai 18 anni e maggiore o uguale a 4 anni. Tra questi interventi sarebbero contemplabili quelli per l’informazione e la formazione finalizzata all’affidamento familiare dei minori, mentre non sono finanziabili i servizi che configurano la realizzazione di veri e propri asili nido.

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

1. Obiettivi e metodologia dell’analisi dei Piani Sociali di Zona

I dati qui raccolti e sistematizzati sono originati da un lavoro di lettura e classificazione dei Piani Sociali di Zona - Triennalità 2008-2010/anno finan-ziario 2008 - di 48 dei 55 Distretti Socio-sanitari della Regione Lazio. I 48 Piani Sociali di Zona catalogati sono stati raccolti entro il 15 marzo 2009 e cioè entro il quinto mese successivo alla scadenza regionale di presentazione dei Piani Sociali di Zona alla Regione Lazio. Con sette piani non pubblicati e 14 privi di indicazioni sulle risorse finanziarie impiegate e sulle rispettive destinazioni, si viene a definire una situazione che certamente è segnata anche da ritardi, da sistemi e procedure di controllo-gestione dei processi che si dilatano all’infinito, dalla non aderenza tra pratiche e comportamenti richiesti ai soggetti titolari degli interventi sociali e assunzione di profili in termini di responsabilità, professionalità e cultura manageriale prefigurati dal dispositivo legislativo stesso.

D’altra parte, l’azione di rilevazione ha l’obiettivo di ri-costruire un qua-dro di massima delle attività e degli interventi di natura locale in materia di politiche sociali, associandoli ad una serie di indicatori “a bassa soglia” così da cogliere una serie di fenomenologie e tipicità che contraddistinguono una parte importante – e forse decisiva – nella costruzione del sistema regionale di welfare locale. Di conseguenza, l’attenzione di chi ha sfogliato uno ad uno i Piani Sociali di Zona, non si è riversata tanto sul “pilastro” dell’analisi economico-finanziaria dei progetti e degli interventi messi in campo, ma

I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

sulla loro capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini e del territorio anche attraverso un coinvolgimento attivo di quell’insieme di soggetti sociali che devono (o dovrebbero) concorrere alla definizione dello strumento di pro-grammazione stesso.

È una metodologia di approccio al tema del monitoraggio delle politi-che sociali regionali e dei Piani Sociali di Zona, che incontra ancora diversi punti di criticità. Ci si riferisce, come si diceva prima, alle difficoltà pratiche nel reperire i Piani stessi (che pure dovrebbero essere di pubblico dominio nel rispetto dello spirito e della lettera della legge), alla disomogeneità della documentazione disponibile, alle evidenti difformità formali.35 Va tuttavia segnalato che, per quanto riguarda i 17 Piani Sociali di Zona della Provincia di Roma (esclusi i Municipi di Roma) l’impostazione metodologica risulta certamente più omogenea e indica uno sforzo condiviso tra i Piani stessi e l’Assessorato provinciale di giungere ad una sostanziale omogeneizzazione degli standard di processo e di rendicontazione. Tuttavia, uno sguardo allar-gato all’intera situazione regionale rende complicato il confronto tra Piani soprattutto sul versante del raffronto tra valori economico-finanziari dei progetti e dei servizi. Ad esempio, il supporto da parte delle ASL nella strut-turazione di interventi “integrati” si manifesta, con frequenza, nella presenza di personale e nel monitoraggio dei servizi stessi, e nel definire il “progetto integrato” concorrono una serie di attività “routinarie” che poco hanno a che vedere con l’elaborazione degli interventi e dei servizi in materia di politiche sociali.

35 Ricordiamo che il Piano di Zona consiste in un documento, frutto di incontri e confronti tra i diversi attori territoriali, che è vincolante per l’amministrazione pubblica e che dovrebbe contenere in modo puntuale:

• gli obiettivi delle politiche e delle azioni sociali e gli strumenti per realizzarli;• le modalità organizzative dei servizi, le risorse finanziarie, strutturali e professionali e i requisiti di

qualità;• i dati informativi relativi a bisogni e risorse;• le modalità per garantire l’integrazione tra servizi e prestazioni;• le modalità di collegamento in rete tra servizi delle amministrazioni pubbliche locali e queli degli

organi periferici delle amministrazioni centrali;• le modalità di collaborazione fra enti locali e le diverse componenti del Terzo settore;• forme di concertazione con le ASL e con i diversi soggetti del Terzo settore;• le risorse umane e finanziarie necessarie, da mobilitare e formare per realizzare gli obiettivi; la

ripartizione delle spese tra i diversi soggetti firmatari, l’ammontare specifico e l’eventuale vincolo di destinazione.

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

L’impianto che la 328/2000 ha voluto dare al nostro sistema di servizi alla persona può essere visto come una sorta di arena in cui poteri confliggenti trovano composizione per offrire agli italiani un sistema integrato che, da un lato, garantisca a tutti un livello essenziale comune e uniforme di prestazioni (LIVEAS), inteso come diritto, e, dall’altro, consenta sia la libertà di scelta da parte dell’utente/cittadino sia la libertà di offerta da parte dell’impresa, soprattutto sociale. Il “territorio“ è il luogo dello scontro/ negoziazione/inte-sa. Gli enti locali, all’interno di indirizzi nazionali e soprattutto regionali, ne sono i registi e i promotori, mentre il Piano Sociale di Zona è l’atto program-matorio che indica gli obiettivi strategici e le priorità di intervento, mezzi e modalità di realizzazione di servizi e progetti. Si tratta di un atto amministra-tivo complesso frutto del patto (accordo di programma) tra i soggetti della comunità locale: i Comuni associati, le Comunità Montane, le Province, ASL, le imprese sociali, le imprese for profit, il volontariato, le rappresentanze della popolazione, dei sindacati, degli utenti e di tutte le diverse componenti del Terzo settore. A tutti questi attori, inoltre, possono aggiungersi anche gli istituti scientifici e di ricerca, le Ipab, i parchi, le fattorie sociali, le università agrarie e le altre istituzioni comunitarie che hanno in cura i beni comuni del territorio. Una coralità di attori pubblici e privati territoriali che possono cogliere il Piano Sociale di Zona come una occasione per un discorso pub-blico sullo sviluppo sociale, orientando e indirizzando la pianificazione degli interventi e dei servizi sociali.

Pertanto, i Piani Sociali di Zona costituiscono (o dovrebbero costituire) un interessante osservatorio di mappatura delle politiche sociali in relazione alle specificità territoriali, agli assetti socio-economici locali, ai profili di comunità emergenti, alla dotazione di capitale sociale e, più in generale, alla qualità della cultura dello sviluppo locale. In questo senso, la prospettiva con cui Casa dei Diritti Sociali-FOCUS guarda ai Piani Sociali di Zona ha più a che vedere con:• una mappatura degli attori dello sviluppo sociale e territoriale, che si occu-

pano di politiche sociali; • l’individuazione e il riconoscimento di quei i contesti territoriali, dove si

sviluppano progetti ed interventi innovativi in materia di politiche e servizi sociali;

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

• la mappatura delle modalità, dei contenuti e delle risorse con cui il volon-tariato, il Terzo settore e le imprese sociali accompagnano prima la pro-grammazione delle attività e, successivamente, la realizzazione stessa degli interventi sul territorio.

In questa prospettiva, e considerando anche le “specificità” più direttamen-te connesse al ruolo della Casa dei Diritti Sociali-FOCUS in quanto parte del mondo delle organizzazioni di volontariato, il lavoro di lettura/analisi dei Piani Sociali di Zona della regione Lazio, presentato nelle pagine seguenti, affronta l’ambito delle politiche sociali sul territorio da tre punti di vista.

Il primo è riferito alla dimensione geo-comunitaria e cioè al quadro socio-economico e di sviluppo territoriale che contraddistingue ciascun Piano in rapporto agli altri. È una prospettiva che consente di cogliere alcune partico-larità distintive in termini, ad esempio, di articolazione del tessuto economico e d’impresa, di caratteristiche locali del mercato del lavoro, di problematiche socio-culturali emergenti in rapporto al tema dello sviluppo locale. Elementi distintivi che vengono proiettati nella dimensione operativa del Piano Sociale di Zona così da verificarne la coerenza in termini di rapporto tra la domanda sociale presente/espressa a livello territoriale e l’offerta di servizi sociali.

Il secondo ambito di osservazione è riferito ai temi della governance, che qui sono declinati in rapporto allo strumento utilizzato - il Piano Sociale di Zona - in termini di risorse e di sistemi per lo sviluppo del welfare locale. Una metodologia di analisi che vuole:• favorire una conoscenza specifica e mirata di ogni singola realtà distrettuale

in rapporto alla domanda di servizi sociali;• evidenziare le specificità dei servizi sociali erogati e cioè ricostruire un

quadro dell’offerta di ogni singolo contesto territoriale; • promuovere una cultura professionale ed uno stile di lavoro attento ai

tanti segnali deboli provenienti dal nuovo insieme di marginalità sociali e dalla vasta area delle precarietà (sociale, professionale, culturale, relaziona-le,…);

• supportare gli attori coinvolti nei processi di integrazione socio-sanitaria nella progettazione di risposte più adeguate alla domanda espressa dai sin-

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goli territori nella prospettiva di una gestione complessa degli interventi e dei servizi;

• individuare aree e contesti territoriali dove la situazione socio-sanitaria si presenta “più difficile” che altrove.

Il terzo spazio di osservazione fa riferimento al tema del mutamento della composizione sociale e della capacità del welfare locale di fornire risposte alle nuove problematiche sociali. In particolare, rispetto allo scenario della welfare community si è deciso di approfondire, nei modi e nelle forme che i Piani Sociali di Zona consentono, il tema dell’accoglienza e dell’integrazione della popolazione immigrata di origine straniera che è ormai presente in tutte comunità locali del Lazio.

2. Le geo-comunità

In termini generali, com’è ampiamente noto, il Lazio presenta dei dif-ferenziali territoriali piuttosto marcati tra l’area metropolitana romana e il territorio diffuso del resto della regione (aree svantaggiate, montane, piccoli Comuni, etc.). Asimmetrie che si manifestano anche nell’ambito delle poli-tiche sociali: sia per quanto attiene al contesto urbanistico-demografico, sia per la dotazione economico-finanziaria, sia per quanto riguarda la dotazione di patrimonio strutturale, ma anche rispetto alla dotazione di capitale sociale, alla presenza di soggetti privati che operano all’interno del “mercato sociale”, alla capacità del volontariato e del Terzo settore di essere soggettualità pro-attive. Questi insiemi di situazioni differenziate precipitano dentro il “territo-rio”, generando un quadro “a geometria variabile”, dove si succedono - senza nessuna linea di continuità - sia dei punti di condensa che generano politiche sociali attive, sia contesti territoriali segnati da una situazione di resistenza ai processi di modernizzazione e di innovazione e coerentemente contraddistinti da una lenta, ma progressiva perdita di vitalità-identità.

In particolare, per quanto riguarda l’aspetto geo-comunitario, i dati consen-tono di cogliere diversi profili territoriali e di Piano di distretto. Ad esempio, la rilevante ampiezza territoriale di alcuni distretti – anche per quelli inseriti in un contesto metropolitano – rimanda alle tematiche relative:

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

• alla dispersione degli interventi;• ad una maggior difficoltà nell’assicurare servizi di prossimità al bisogno;• alle difficoltà, anche per l’associazionismo e per il Terzo settore, di assu-

mere profili operativi coerenti per sostenere, accompagnare e “animare” gli interventi di politica sociale.

Assumendo alcuni dati e profili strutturali del territorio è stato possibile giungere ad un sistema di rappresentazione cartografico che genera come prima e riassuntiva immagine del sistema di politiche sociali della Regione Lazio, un “sistema di comete” con code direzionate verso la capitale e con una serie di spazi “vuoti” rappresentati dalla presenza di sistemi territoriali auto centrati. In generale, i cluster individuati, fanno riferimento alla presenza di condizioni e di opportunità di vita molto differenziate a secondo del contesto territoriale di riferimento. Le Mappe 1 e 2 – Distribuzione intradistrettuale del reddito imponibile e sua dinamica evolutiva – consentono di visualizzare le principali direttrici territoriali dello sviluppo locale e, per contro, le comu-nità che si vengono a trovare in uno stato di relativa sofferenza quantomeno dal punto di vista della capacità di produrre ricchezza. Per il Censis la presen-za di povertà stratifica il sistema territoriale regionale secondo 11 aggregati territoriali (vedi allegato 2) che vanno, ad esempio, dai comuni del reatino di piccolissime dimensioni e collocati in montagna, ai centri con popolazione prevalentemente anziana, ai comuni in “emergenza occupazionale”, ai centri ad elevato dinamismo ed accentuata sperequazione nella distribuzione dei redditi.

L’assetto geo-comunitario si traduce anche in differenziali riferiti alla dotazione di strutture e di infrastrutture socio-assistenziali, ai profili socio-professionali dei bacini di utenza, all’accessibilità e alla praticabilità di servizi in riferimento alla caratterizzazione geo-morfologica e spaziale del territorio. Sul tema della dotazione di strutture e personale per distretto socio-sanitario – Mappa 3 – partendo dai dati contenuti nel “Primo rapporto sui servizi socia-li del Lazio” (2009) il sistema cartografico consente di visualizzare l’ampio aggregato territoriale di distretti socio-sanitari con un capitale infrastrutturale molto ridotto correlato da un livello organizzativo delle strutture dove è pre-valente la micro dimensione.

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

Le Mappe 4 e 5 – Distribuzione della popolazione fino a 15 anni e oltre 64 e Dinamica popolazione residente per distretto socio-sanitario – foto-grafano una situazione di asimmetrie demografiche contrassegnate sia dalla presenza di fenomeni di spopolamento e progressivo invecchiamento delle aree interne, delle aree montane e di quelle rurali che della funzione/capacità attrattiva di una serie di nuovi centri collocati a ridosso dall’area metropoli-tana romana.

Si è detto che le correlazioni tra questi elementi evidenziano nella loro sintesi la presenza di un articolato sistema di Piani Sociali di Zona distribuiti secondo il sistema “a cometa”. Una caratterizzazione che emerge anche in rife-rimento agli assetti politico-amministrativi dei distretti. Vi sono ambiti terri-toriali socio-sanitari che si esauriscono all’interno del perimetro comunale – è il caso dei Municipi della città di Roma e di Fiumicino – e realtà costituite da aggregazioni composte da quasi trenta comuni – è il caso di Distretti in provincia di Rieti, Roma e Frosinone. Vi sono poi gerarchie e ranghi interni che differenziano i comuni capofila dalla rete di piccole e piccolissime realtà municipali.

Questo a dire che pur essendo il territorio il principale asset nella costru-zione di un sistema comunitario di inclusione e di ri-distribuzione sociale di opportunità e risorse, i Piani Sociali di Zona hanno finora - e nella generalità delle situazioni - riprodotto, sviluppato e potenziato un insieme di interventi di cittadinanza di tipo “orizzontale” con questo intendendo, com’è noto, un welfare di base principalmente orientato verso la costruzione e la distri-buzione di servizi verso figure sociali dai profili noti, quali sono gli anziani e i minori/genitori. In quest’ambito di osservazione collochiamo il “Primo Rapporto sui servizi sociali del Lazio” del marzo 2009 sviluppato dal Censis e dalla Regione Lazio. In particolare,

due sono i dati che emergono con grande evidenza dal Rapporto: da una parte, un signifi cativo incremento dell’off erta negli ultimi anni; dall’altra, la grande diff ormità dei servizi sul territorio regionale. Questa situazione nasconde, evidentemente, un dato politico molto rilevante: possiamo dire infatti che, a fronte del positivo incremento dell’off erta, fi nora c’è stata una certa casualità nell’erogazione dei servizi (Pietro Marrazzo, Presidente Re-gione Lazio, intervento al Convegno “I servizi sociali del Lazio. Conoscere per programmare”, Roma 17 marzo 2009).

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

In questa cornice, e dal nostro punto di vista, resta del tutto aperta la questione di come, in che modo, in che forme, con quali obiettivi, con che risorse e così via, concorrere alla costruzione di un welfare di comunità che valorizzi le territorialità distintive e i nuovi profili di comunità che via, via emergono.

Un tema, quello delle particolarità e delle identità locali, che oggi assume ancora più significato se collocato nel processo di riconfigurazione selettiva delle economie territoriali e delle “nuove” prospettive di sviluppo locale con-nesse ai temi della sostenibilità e della green economy. Le vocazioni territoriali, i necessari ammodernamenti (e la messa in sicurezza antisismica) delle strut-ture pubbliche e private, la sperimentazione di gruppi di acquisto solidali e di fattorie sociali, già indicano percorsi inediti per interventi sociali che possono contribuire ad uscire dall’attuale crisi.

I nodi di offerta di servizi sociali presenti sul territorio del Lazio secondo l’ana-grafica aggiornata al 31 maggio 2008, si suddividono in:

• 519 asili nido;• 171 ludoteche per i minori;• 584 tra centri anziani e centri diurni per anziani;• 211 case di riposo;• 187 comunità alloggio per gli anziani;• oltre 180 strutture e servizi per adulti con disabilità;• 41 strutture/servizi per persone con problematiche psico-sociali (come senza

fissa dimora, ex alcolisti, etc.);• 48 strutture/servizi per donne in difficoltà;• 20 strutture/servizi per immigrati;• 4 strutture/servizi per persone affette da patologie cronico degenerative, in par-

ticolare Alzheimer.I dati relativi alle strutture e ai servizi sul territorio evidenziano che, sul totale di

2.462 strutture e servizi, oltre 2 mila sono dedicati a minori o anziani, una premi-nenza che si ripropone in ciascuna delle sei aree territoriali analizzate.

I dati di sintesi sul sistema dei servizi sociali nel LazioFonte: Fondazione Censis e Regione Lazio, 2009

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

Gli utenti che beneficiano dei servizi sono circa 330mila e 26mila gli operatori. Il 75% degli occupati nel settore risultano essere donne.

Il 40% di queste strutture è stato attivato a partire dal 2001, quasi il 21% nel triennio 2004-2006. In particolare, dal 2001 è stata attivata la gran parte delle strutture per le persone affette da patologie invalidanti (come i centri diurni Alzheimer) e dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (oltre l’81%), più del 71% delle case famiglia per anziani, oltre il 64% delle ludoteche, oltre il 57% dei centri diurni per le persone con problemi psico-sociali, più del 51% delle case famiglia per minori.

Un’altra specificità del sistema regionale di offerta è di tipo territoriale dal momento che si registra una notevole concentrazione, in termini assoluti di strut-ture e servizi nel comune di Roma, ben 963 su 2.462 (pari ad oltre il 39%). In particolare, sono ubicati nel territorio della capitale oltre la metà degli asili nido, delle case famiglia e dei gruppi appartamento per minori, quote ancora più alte dell’offerta per donne in difficoltà, immigrati e per persone affette da patologie invalidanti e quote inferiori, ma comunque significative, dell’offerta per gli anziani (oltre il 26% del totale). La polarità romana, soprattutto del territorio comunale, rispetto al totale del sistema di offerta, trova conferma anche nelle stime sulla ricet-tività, visto che nella capitale è presente oltre il 53% del totale dei posti esistenti nelle strutture e nei servizi regionali.

A caratterizzare il sistema socio-assistenziale regionale contribuisce anche il “pluralismo soggettuale” di chi, a diverso titolo, vi opera. Focalizzando l’attenzione sui soggetti gestori emerge che il 47,4% delle strutture e dei servizi è gestito dal Comune, il 14,5% da un’impresa privata, oltre l’8% da una associazione, quasi l’8% da una cooperativa sociale e oltre il 9% da un ente religioso. Pubblico, privato e non profit con quote molto diversificate definiscono un sistema di servizi sociali dove la quota di gestori de–pubblicizzati rappresenta circa il 40% del totale.

Le unità di offerta di strutture socio-assistenziale nel Lazio, quindi, sono rivolte in modo preponderante a due tipologie di soggetti: le persone fino a 17 anni e quelle che hanno superato i 60–65 anni di età.

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D’altra parte, la prospettiva di definire in modo dinamico un quadro strutturato, organizzato e concertato di politiche sociali su base locale (regio-nale) si fa sempre più evidente – sia in riferimento all’impatto sociale indotto dal rallentamento dell’economia globale su ciascun specifico territorio – che rispetto al processo di riconfigurazione in senso federalista delle funzioni e delle risorse statuali trasferite a livello locale. Una situazione di transizione che può trasformarsi in una rilevante opportunità se al processo di consoli-damento e di qualificazione incrementale dei servizi esistenti verrà affiancata una sperimentazione concreta e sul campo di quel modello di welfare comu-nitario, multi-dimensionale, multi-livello e “pro-attivo” che viene prefigurato dalla Legge 328/2000.

Dal punto di vista dell’articolazione dei servizi che vengono erogati sul ter-ritorio, la griglia dei Piani Sociali di Zona fornisce un punto di osservazione privilegiato dal quale emerge – utilizzando una coppia concettuale voluta-mente provocatoria - che le politiche sociali a livello locale si occupano larga-mente di manutenzione e contestualmente vi è scarsità di innovazione. Certo, le gerarchie territoriali definiscono in buona misura la qualità e l’intensità dei servizi di politica sociale erogati in ogni specifica comunità locale; così come i gradienti territoriali certamente funzionano da catalizzatori o inibitori della capacità e della forza progettuale, economica e di competenze che originano i Piani Sociali di Zona stessi. In particolare, il sistema di rappresentazione cartografica dei dati riferiti agli utenti dei servizi socio-assistenziali (Mappe da 6 a 9 “utenti, minori, disabili adulti e anziani”) evidenzia delle significati-ve correlazioni tra il sistema di offerta e le caratteristiche demografiche della popolazione.

Partendo dai dati del “Primo Rapporto sui servizi sociali del Lazio” del Cen-sis (2009), è stato possibile elaborare la Mappa 10 - Caratteristiche dell’of-ferta e della domanda di servizi socio assistenziali - che individua otto (8) tipologie di distretti socio-sanitari. Il tematismo proposto mette in relazione la provenienza prevalente degli utenti, il rapporto tra personale delle strutture socio-assistenziali ed utenti e la media degli utenti per struttura. Per questa via d’analisi emerge che:

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• in 15 dei 55 distretti socio-sanitari si può dire che sia stata raggiunto un equilibrio tra domanda ed offerta di strutture/servizi. Il loro disporsi in maniera omogenea all’interno del territorio regionale informa che il rag-giungimento di alcuni obiettivi prestazionali dipendono più dalla capacità di fare governance territoriale che dalle risorse finanziarie messe a dispo-sizione e dall’articolazione funzionale dei servizi. D’altra parte, il miglior matching tra domanda ed offerta è anche il risultato di un sistema territo-riale di servizi largamente autocentrato e chiuso che si basa principalmente su una condizione caratteristica dell’utenza e cioè che sia largamente di origine locale. Di conseguenza, gli utilizzatori non si vengono quasi mai a trovare nella condizione di competere sull’erogazione di servizi con utenti provenienti da altre zone. D’altra parte, questa condizione di chiusura fa scorgere quantomeno la domanda sulle reali capacità e possibilità degli utenti di comparare i servizi e di certificarne la qualità. Così come, sul versante delle strutture socio-sanitarie, questa condizione certamente non agevola l’innovazione e/o lo sviluppo di nuove proposte sia in termini di servizi che, più in generale, di politiche sociali;

• i Distretti dove si registra una domanda di servizi che finisce per mettere sotto pressione il sistema di offerta, sono collocati nella città di Roma. Per contro, sempre all’interno della capitale, emergono dei distretti dove si nota una relativa sottoutilizzazione delle strutture e del personale socio-sanitario. Infine, sempre rimanendo nell’ambito della città metropolitana, vi sono realtà socio-sanitarie che accolgono una quota rilevante di utenza proveniente da altre regioni. Una situazione differenziata quella che emer-ge all’intero dell’area metropolitana romana che pone un problema di governance delle politiche sociosanitarie e di ri-bilanciamento delle eviden-ti asimmetrie nel campo della disponibilità territoriale di servizi;

• nelle aree più marginali rispetto al “sistema delle comete” è prevalente un sistema di servizi orientato all’utente dal momento che in questi ambiti territoriali è quantitativamente molto soddisfacente il rapporto tra perso-nale delle strutture e numerosità dell’utenza. In questi contesti territoriali, dunque, minori e anziani possono meglio beneficiare degli standard di ero-gazione dei servizi, dal momento che vi è poca pressione della domanda. I problemi che emergono rimandano ai temi della sostenibilità economica

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per una modalità di erogazione di servizi in contesti territoriali segnati dallo spopolamento, dall’invecchiamento e dal declino economico;

• i distretti della provincia di Roma, ed in particolare quelli che insistono sui confini amministrativi dell’area vasta, assumono un profilo integrati-vo o sostitutivo rispetto ai servizi forniti dai distretti sanitari posti nelle province confinanti. Il processo di sottrazione di utenza finisce poi con il collocare i distretti extraprovinciali nel gruppo dove è prevalente una sottoutilizzazione del personale;

• vi sono due distretti - il primo collocato a Roma (A3), il secondo in provin-cia di Frosinone (FRA) – che in riferimento alla disponibilità di personale socio-sanitario si vengono a trovare in una situazione di relativa sofferenza. Qui, più che altrove si esplicita in buona misura quella competitività tra territori sul tema delle risorse pubbliche e private destinate a garantire beni e servizi di natura pubblica, che si traduce in questi casi in una bassa capacità del sistema territoriale nel suo complesso di intercettare risorse e flussi finanziari con la conseguenza di un progressivo abbassamento degli standard di servizio, per poi arrivare ad una loro cancellazione.

Pur in presenza di queste differenziazioni, la strutturazione del sistema di offerta di servizi socio-assitenziali a livello locale risulta per questa via ade-rente ai fabbisogni sociali. Allo stesso tempo, però, la Mappa 11 – Strutture socio-assistenziali che hanno sottoscritto accordi di collaborazione con altri soggetti – sempre ricavata dai dati del “Primo Rapporto sui servizi sociali del Lazio” – evidenzia la relativa scarsità di iniziative trasversali nel campo delle politiche sociali.

In sintesi, e dal nostro punto di vista, gli obiettivi che animano la 328/2000 sono stati in larga parte traguardati per quanto riguarda l’hardware (le strutture) e il software (i servizi) nel campo dei servizi socio-assistenziali. Di altro segno è il verso evolutivo che interessa quell’insieme di progetti e servizi che dovrebbero integrare, in una visione strutturale, le politiche sociali nel processo di crescita e sviluppo delle comunità locali. Ne deriva il convin-cimento che al punto attuale del processo di revisione e riforma del welfare locale accanto a quella serie di servizi sociali standard e indirizzati a specifici gruppi-target (giovani, anziani, soggetti affetti da patologie più o meno cro-niche), andranno potenziati quegli interventi di natura territoriale in grado di

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

“mettere insieme” l’aspetto socio-sanitario con altri driver sociali, quali sono le politiche urbanistiche e abitative, della formazione, del lavoro, dei trasporti, della salute, dell’ambiente, della cultura e così via.

Una trasversalità di interventi che, da quanto si osserva nella maggior parte dei Piani Sociali di Zona del Lazio, va fortemente stimolata su almeno due versanti:• quello metodologico, di pianificazione strategica e di contesto culturale

con riferimento all’obiettivo di far assumere centralità alle politiche sociali nel tracciare i contorni dello sviluppo sociale ed economico di uno speci-fico contesto territoriale;

• quello operativo, cioè di un allargamento delle “coalizioni territoriali” che sostengono e accompagnano la redazione e l’implementazione del Piano Sociale di Zona.

I dati sulla popolazione, le risorse finanziarie a bilancio e, in forma deriva-ta, la dotazione finanziaria pro capite, consentono di qualificare la dotazione di risorse finanziarie a disposizione dei Piani Sociali di Zona. In particolare, l’analisi dei 48 Piani Sociali di Zona evidenzia l’emergere di una “virtuosità” finanziaria delle aree metropolitane e dei centri capoluogo attrattori. Questa tendenza, però, è controbilanciata da una relativa “scarsità” di risorse econo-miche per i Piani Sociali di Zona che insistono sia sulle aree cerniera dell’area metropolitana romana, che nei territori marginali alle grandi direttrici di sviluppo regionale. Un meccanismo di asimmetrie economiche che viene ripro-dotto lungo l’intera filiera territoriale, da qui l’osservazione che generalmente i centri capoluogo hanno una dotazione finanziaria generalmente superiore – e di molto – rispetto alla loro area vasta.

Come evidenziato nella Tabella 1, la dotazione di risorse ricavata dall’ana-lisi di 34 Piani Sociali di Zona – nei restanti 14 casi il dato non è riportato – va dai 65 Euro per abitante della Provincia di Rieti, ai 13 per un cittadino della provincia di Latina.

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Tabella 1. Ripartizione della spesa sociale dei PSZ per ambito territorialeFonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009

Ambito Territoriale Numero abitanti Risorse disponibili in Euro

Quota pro capite in Euro

Area metropolitana romana 2.710.233 140.001.221 51

Prov. di Roma senza area metropolitana 750.400 13.489.649 18

Prov. di Roma - area vasta 3.460.633 153.490.860 44

Prov. di Frosinone - area vasta 210.758 5.103.315 24

Prov. di Rieti - area vasta 119.246 7.759.426 65

Prov. di Latina - area vasta 378.775 5.164.894 13

Prov. di Viterbo - area vasta 214.047 6.533.660 30

Totali riferiti a 34 PSZ 4.383.459 178.052.155 40,61

Ne scaturisce l’evidente (e ovvia) immagine di un sistema di politiche sociali gerarchicamente organizzato su coordinate di rango e di posiziona-mento territoriale che definiscono - in larga misura - la dotazione economica e le successive opportunità di intervento in campo sociale.

L’analisi puntuale rivela coerentemente delle situazioni di spesa/dotazione pro capite molto variabili, con evidenti picchi nell’area metropolitana roma-na, a cui fanno riscontro valori sensibilmente inferiori nei contesti territo-riali localizzati ai margini delle direttrici di sviluppo regionale. La dotazione risulta compresa in un range che va dai 10 Euro spendibili per un abitante del Distretto di Cerveteri-Ladispoli, agli oltre 80 Euro per un residente nel Municipio 3 di Roma o nella città di Rieti.

Nella Tabella 2 sono evidenziati per ciascun ambito territoriale i differen-ziali in termini di quote pro capite in euro.

Vi è quindi una ripartizione della spesa sociale in quantità molto differenti tra i Distretti con distanze tali – fino a otto volte – da determinare una que-stione di equità ri-distributiva e, al contempo, prefigurare la necessità di un potenziamento dell’investimento complessivo in risorse per il sociale a livello regionale.

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Tabella 2. Piani Sociali di Zona dal punto di vista delle risorse pro capite - max e minima

Fonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009Ambito PSZ Quota pro capite in Euro

Roma metropolitanaMunicipio 3 84Municipio 12 20

Provincia di RomaTivoli 29

Cerveteri - Ladispoli 10

Provincia di LatinaFormia - Gaeta 17

Latina 12

Provincia di RietiRieti 80

Posta 37

Provincia di ViterboViterbo 35

Vetralla 21

I dati economico-finanziari riportati nella Tabella 1 sono ricavati (è il caso di ricordarlo per evitare inutili osservazioni di metodo e di merito) dall’analisi dei 34 Piani Sociali di Zona in cui questo dato era disponibile e costituiscono solo una parte della spesa sostenuta dai Comuni per i servizi sociali. Sono esclusi, pertanto, i servizi sociali (ed i relativi costi) erogati da altri soggetti - Comuni, Ausl e IPAB, in prima istanza – oltre all’eventuale apporto di risorse fornito dai destinatari stessi dei servizi. È il caso, ad esempio, dei servizi ria-bilitativi, degli asili nido, etc.

Al fine di giungere ad una lettura più aderente rispetto ai valori economici in campo assumiamo anche quanto evidenziato dall’”Indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli e associati”, presentata dall’ISTAT nel corso nel 2008 e riferita all’annualità 2005.

Come si può osservare dalla Tabella 3, pubblicata qualche riga sotto, il Lazio in rapporto alle altre regioni di rango simile – e cioè Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte – si posiziona all’ultimo posto con una spesa pro capite di 114 Euro per abitante. D’altra parte, il quadro delle poli-tiche sociali ricomposto a livello nazionale evidenzia quella serie di aspetti e anomalie che emergono anche a scala regionale. Ci si riferisce, in particolare,

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all’aspetto di eccessiva concentrazione degli interventi di politica sociale rivol-ti a quei soggetti che si collocano sulle fasce d’età estreme (giovani e anziani) e alla cannibalizzazione di risorse da parte dei principali centri urbani.

Tabella 3. Spesa per interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati per regione e ripartizione geografica

Anno 2005 (valori assoluti, percentuali e spesa pro capite)Fonte: ISTAT

Regione e ripartizione geograficaSpesa (1)

Spesa pro capite (2)Valori assoluti Valori percentuali

Piemonte 554.628.053 9,7 127,9Valle d’Aosta (3) 39.492.664 0,7 320,0Lombardia 982.446.527 17,1 104,1Trentino Alto Adige 222.721.690 3,9 227,3Veneto 566.709.626 9,9 120,1Friuli Venezia Giulia 208.869.119 3,6 173,1Liguria 168.886.135 2,9 105,5Emilia Romagna 619.853.563 10,8 148,7Toscana 434.904.867 7,6 120,5Umbria 70.258.599 1,2 81,4Marche 143.428.240 2,5 94,1Lazio 603.572.789 10,5 114,2Abruzzo 72.652.592 1,3 55,8Molise 13.448.154 0,2 41,8Campania 228.134.034 4,0 39,4Puglia 172.501.731 3,0 42,4Basilicata 24.391.365 0,4 41,0Calabria 54.118.283 0,9 27,0Sicilia 377.856.385 6,6 75,3Sardegna 182.480.545 3,2 110,4Nord-ovest 1.745.453.379 30,4 112,6Nord-est 1.618.153.998 28,2 146,1Centro 1.252.164.495 21,8 111,0Sud 565.246.159 9,8 40,1Isole 560.336.930 9,8 84,0Italia 5.741.354.961 100,0 98,0(1) Per spesa si intendono gli impegni di spesa in conto corrente di competenza relativi al 2005, di comuni e asso-

ciazioni di comuni per l’erogazione dei servizi e degli interventi socio-assistenziali. Sono incluse le spese per il personale, per l’affitto di immobili o attrezzature e per l’acquisto di beni e servizi (spesa gestita direttamente). Nel caso in cui il servizio venga gestito da altre organizzazioni (ad esempio: cooperative sociali) la spesa è data dai costi dell’affidamento a terzi del servizio (spesa gestita indirettamente). La spesa è al netto della comparte-cipazione degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale.

2) Rapporto tra spesa e popolazione residente.

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Il raffronto tra gli investimenti realizzati nel 2004 e nel 2008 (si rimanda alle tabelle 1 e 2 presenti nell’Allegato 1) dai Piani Sociali di Zona del Lazio, evidenzia un vigoroso incremento di risorse finanziarie disponibili a livello locale. A dettaglio nell’anno 2004, 54 dei 55 Piani Sociali di Zona avevano pianificato risorse pari a 95 milioni di Euro; nel 2008 l’ammontare complessi-vo di un numero più ridotto di Piani Sociali di Zona (34 su 55) ha pianificato risorse pari a 178 milioni di Euro. La sovrapposizione degli investimenti 2004 – 2008 per Piano Sociale di Zona (Mappe 11 e 12 – Piani Sociali di Zona annualità 2004 e 2008 distribuzione fondi) consente di evidenziare che queste risorse sono state quasi interamente allocate in specifici contesti territoriali e che coerentemente questo ha significato un potenziamento differenziato dei servizi che costituiscono l’ossatura del welfare socio-sanitario locale. A detta-glio, i maggiori incrementi di risorse interessano l’area metropolitana romana, a cui fa riscontro una sostanziale stabilità di bilancio per quanto si riferisce alle dotazioni delle aree marginali alle direttrici dello sviluppo regionale.

In questo quadro generale, va segnalata la capacità dei Piani Sociali di Zona del reatino e del viterbese di intercettare risorse aggiuntive e sul versante opposto – e cioè di una minore disponibilità di risorse pro capite – dei Piani Sociali di Zona che insistono sui confini amministrativi della provincia di Roma e in provincia di Frosinone.

D’altra parte, sempre riferendoci ai dati ISTAT, il Lazio presenta dei distret-ti dimensionalmente più grandi rispetto alla scelta fatta dalle altre regioni di pari rango. Il Lazio dal punto di vista dell’ampiezza demografica degli ambiti territoriali ha un posizionamento simile a quello della Campania, la regione dove gli ambiti sono mediamente i più grandi. A fronte di una popolazione media per ambito sociale pari a circa 81.00 abitanti, il Lazio conta:• 3 casi “ metropolitani” con popolazione superiore ai 200.000 abitanti;• 18 contesti compresi all’interno della scala che va dai 120mila a 200mila

abitanti;• 6 con una popolazione in linea con il dato nazionale e cioè intorno ai

90.000 abitanti;• 18 con un bacino di utenza compreso tra i 26mila abitanti di Fara Sabina

ed i 79mila abitanti di Civitavecchia.

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3. La governance

Un altro aspetto che la lettura dei 48 Piani Sociali di Zona della regione Lazio consente di approfondire riguarda il tema della governance che nei sistemi di welfare “significa una metodologia negoziale finalizzata ad un processo condiviso di costruzione collettiva delle politiche sociali”. La costruzione di un sistema locale di politiche sociali, così come evidenziato nel dispositivo legi-slativo nazionale (328/2000), rimanda a forme di relazione e di regolazione tra i soggetti-chiave del territorio. In gioco vi è la dotazione e la costruzione di reti fiduciarie – cifra della maturità di uno specifico contesto locale -, i modelli di cooperazione-conflitto tra gli attori, il riconoscimento e la valoriz-zazione di tutta una serie di complementarietà e sinergie che intercorrono – o non intercorrono – fra i diversi attori che contribuiscono alla definizione del Piano stesso.

In questa prospettiva, un’attività di mappatura della filiera delle politiche sociali a livello locale coglie nei diversi contesti territoriali la dotazione di capitale sociale, la densità delle relazioni tra gli attori dello sviluppo, la cultu-ra e i modelli di governance che animano gli interventi in campo sociale.

Nel welfare delle responsabilità, la concertazione locale e la promozione-valorizzazione di una comunità competente costituiscono i due principali pilastri nel passaggio dal governement alla governance delle politiche sociali. Lo stile di governo delle nuove politiche sociali rimanda ad un ruolo attivo degli enti locali – in particolare dei Comuni – non solo sugli aspetti di manage-rialità nella gestione amministrativa e burocratica – ma anche (e soprattutto) rispetto alle funzioni di animazione e coordinamento degli attori sociali, economici e culturali dello sviluppo della comunità locale.

In questa prospettiva, se escludiamo la città di Roma e alcune piccole enclavi territoriali di tipo distrettuale, il Lazio non può contare su una lunga e virtuosa tradizione di sviluppo territoriale, con la conseguenza che la mappa degli attori locali è più semplificata, ma soprattutto è quasi del tutto estranea alla cultura e alle esperienze di sviluppo “dal basso”. Le politiche sociali, di fatto, costituiscono per molte comunità prima ancora che uno strumento di inclusione sociale e di costruzione-distribuzione di servizi socio-sanitari, una sfida a sé stesse e al loro modo di pensarsi e rappresentarsi. La fine dell’assisten-zialismo e del settorialismo, il tema della costruzione di un sistema di prote-

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zione sociale attiva e di riconoscimento dei diritti sociali di cittadinanza hanno anche a che vedere con la qualità e le culture delle classi dirigenti locali.

Ora, se si analizza il processo dinamico che conduce alla redazione del Piano Sociale, vi è una prima e rilevante evidenza nel rapporto tra governance e struttura del Piano e riguarda il ruolo e la composizione del Tavolo Tec-nico e cioè “di quella struttura di supporto professionale e di regia permanente finalizzata alla gestione, al coordinamento multi-progettuale, al monitoraggio processuale, e alla riprogrammazione del Piano”.

La dimensione locale dello sviluppo, posta al centro delle recenti esperienze programmatore, ha fatto emergere alcuni principi di base ai quali sarebbe impor-tante attenersi ogni qual volta si vuole avviare delle attività di programmazione territoriale1:1. la mobilitazione delle forze sociali e delle risorse locali intorno ad un progetto;2. la definizione di criteri procedurali che favoriscono l’ascolto e l’inclusione degli

attori nella programmazione;3. l’attenzione alla dimensione processuale e, più precisamente, incrementale;4. l’opzione per incentivi collettivi che vincolino alla partecipazione;5. la necessità di produrre beni collettivi a disposizione di tutti gli attori di un

territorio;6. le strategie d’integrazione (fra materie, competenze, attori e settori) per ricono-

scere e valorizzare al meglio i potenziali di un territorio;7. l’importanza di tenere sempre conto della dimensione temporale, e quindi la

possibilità di sezionare il processo atteso in fasi distinguibili;8. la rilevanza dei processi di valutazione di ciascuna fase del piano, innanzitutto

come opportunità di apprendimento, ma anche come strumenti di comunica-zione pubblica e costruzione incrementale di legittimità.

1 Cfr. Vitale T., La programmazione sociale: ovvia ma non per questo scontata, in Costa G., a cura di, La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto, Bruno Mondadori, Milano, 2009, pag. 59.

Alcuni principi di base per una programmazione territoriale

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Nei Piani Sociali di Zona in cui è disponibile l’organigramma dei com-ponenti del Tavolo Tecnico, risulta evidente lo sbilanciamento di apporti e di competenze che premiano l’aspetto socio-sanitario. Questo fa sì che le politiche sociali a livello regionale si siano sempre più configurate e qualificate nella prospettiva di dotare ogni singolo Piano di una serie di strutture e di servizi di tipo “socio-sanitario”. Se sono cresciute nella generalità dei casi le risorse economiche messe a disposizione dei Piani Sociali di Zona queste, più che ampliare il “portafoglio” degli interventi, si sono riversate su specifici “setto-ri”, fortificando i “servizi” rivolti ad utenti univocamente identificati su base anagrafica. Se interpretati in questa prospettiva, i dati che emergono dalla lettura dei 48 Piani Sociali di Zona evidenziano un posizionamento delle politiche sociali più intorno ai temi del bisogno e del disagio sociale che a quelli dell’inclusione e della promozione dell’agio.

Un’altra finestra da cui si osserva il processo di governance dei Piani Socia-li di Zona è quella dell’animazione territoriale finalizzata al protagonismo sociale e cioè al livello di coinvolgimento e di partecipazione degli attori territoriali nella definizione del sistema locale dei servizi sociali. Il welfare geo-comunitario prevede: “la promozione di un quadro di cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e i soggetti sociali come condizione necessaria per l’impianto e lo sviluppo di un welfare delle responsabilità”.

Ciò che emerge dalla lettura comparata dei 48 Piani Sociali di Zona è un sistema di relazioni e di dialogo sociale a bassa intensità. Questa valutazione si riferisce sia alle modalità di consultazione e di coinvolgimento di quei soggetti sociali che tradizionalmente – soprattutto nella fase di redazione del Piano – vengono ascoltati, ma soprattutto in riferimento alla mappa degli attori dello sviluppo economico e territoriale che dovrebbero concorrere nella costruzione del nuovo welfare locale. Da parte dei soggetti istituzionali, la partecipazione degli attori sociali è per lo più intesa come informazione e consultazione nel merito di decisioni sostanzialmente già prese, invece che come corresponsabilità ad un processo decisionale (“programmazione parte-cipata”) che parte dalla individuazione dei problemi e dei bisogni, declina le possibili soluzioni, le risorse disponibili, le priorità e le opzioni fino a stabi-lire le modalità di risposta e le azioni coerenti con i bisogni e da valutare nel tempo, una volta messe in campo o realizzate.

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

Dobbiamo accentuare ulteriormente il Piano di Zona come strumento di pianifi cazione e di governo e non semplicemente come elenco annuale di progetti e dei servizi sovra-comunali esistenti sul territorio, fatto ancora non assodato, ancora non sfruttato. Abbiamo situazioni a macchia di leopardo, dove si fanno i tavoli tecnici di progettazione, c’è confronto e coinvolgimen-to del Terzo settore, ci sono i protocolli di intesa con i sindacati, si cerca, pur tra mille diffi coltà, di assumere il metodo della programmazione e il Piano di Zona come strumento di governo, ma c’è pure qualche situazione di soff erenza, dove il piano di zona si fa con un taglia e incolla via e-mail all’ultimo secondo, si montano i progetti, si fa l’elenco, si chiama il sinda-cato e il terzo settore il giorno prima dicendo: “domani scadono i termini in Regione…“, per cui la concertazione diventa una presa d’atto e non una condivisione. (Claudio Cecchini, Assessore alle Politiche Sociali e per la Famiglia della Provincia di Roma, intervento al Convegno “I servizi sociali del Lazio. Conoscere per programmare”, Roma 17 marzo 2009).

Nel modello di welfare prefigurato dalla 328/2000, la predisposizione del Piano Sociale di Zona avviene all’interno di un processo di dialogo sociale e di azioni coalizionali, dove la platea degli attori chiamati a collaborare si allar-ga – e di molto – in relazione alla trasversalità degli interventi e all’obiettivo di rendere le politiche sociali una delle principali leve per lo sviluppo locale. Questo anche per far uscire le politiche sociali da quella situazione di iso-lamento e di debolezza che storicamente avevano contraddistinto il welfare state italiano, andandole a collocare in un contesto di complementarietà e di partecipazione-coinvolgimento-animazione territoriale. Le politiche sociali, detto diversamente, superano la logica riparatoria, passiva e caritatevole, e divengono politiche attive per lo sviluppo sociale ed economico della comu-nità locale. Coerentemente a questo rovesciamento di prospettiva, la costru-zione di un nuovo welfare interagisce con il sistema territoriale e la platea degli attori-chiave dello sviluppo locale.

Di fatto, oltre ai diversi soggetti istituzionali che per statuto, finalità e funzioni sono chiamati alla responsabilità nella gestione del Piano Sociale di Zona, nella sua costruzione dovrebbero, a vario titolo e livello, entrare anche gli attori del tessuto economico e produttivo, del mondo dell’impresa, dei sistema della formazione, dell’istruzione e della cultura, soggetti della finanza e del credito, e così via.

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Ci sono nel Lazio esperienze di Piani Sociali di Zona che si collocano in questa nuova e diversa prospettiva? Dalla lettura dei 48 Piani di Zona emer-gono alcuni ambiti problematici. Il primo è riferito alla platea degli attori coinvolti che risulta – il più delle volte – confinata dentro un’arena di soggetti specializzati “sul sociale” e nel mercato sociale, con la possibilità concreta che il Piano Sociale di Zona parli principalmente a sé stesso e di sé stesso, latera-lizzando il dialogo sociale in senso ampio, e marginalizzando quegli ambiti di disagio e di sofferenza che certamente poco aiutano alla costruzione e al mantenimento di un consenso sociale sul territorio. Ci riferiamo esplicita-mente a tutta quella serie di soggetti e categorie “deboli” (migranti stranieri, rom, persone senza fissa dimora, etc.) che oggi sono quotati più alla “borsa della paura”, piuttosto che nell’ambito delle politiche sociali.

La Tabella 4, anche se riferita alla sola provincia di Roma, dà conto della misura delle opportunità e delle difficoltà che incontrano i Piani Sociali di Zona nello strutturare azioni, progetti e servizi collocabili all’interno del “pilastro” dell’integrazione socio-sanitaria. Quando si assumono come indi-catori la numerosità di progetti integrati, il loro peso finanziario in rapporto alle risorse complessive, il numero di enti coinvolti e di enti gestori (laddove sia possibile rintracciare questi dati) l’immagine che si compone è quella di un’integrazione al più attivata a livello interorganizzativo (tra i servizi) e interprofessionale (tra professioni). Per contro appare ancora del tutto da esplorare l’integrazione interistituzionale (tra politiche) e multi-agente (tra una pluralità di attori locali).

Tabella 4. Piani Sociali di Zona dal punto di vista della governance dei servizi sociali – Roma e Provincia – Anno 2008

Fonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009Distretto

socio-sanitarioComune Capofila /

N° ComuniIntegr. socio-sanitaria

Enti coinvolti Enti GestoriN° servizi-progetti % fondi

A/1 Roma - Mun. 1 14 23,13 44 15A/2 Roma - Mun. 2 6 21,55 34 7A/3 Roma - Mun. 3 10 10,32 14 10A/4 Roma - Mun. 4 18 57,4 30 20B/1 Roma - Mun. 5 4 5,93 0 0B/2 Roma - Mun. 7 6 9,82 30 8

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

B/3 Roma - Mun. 8 12 27,51 0 0B/4 Roma - Mun. 10 23 63,97 0 0C/1 Roma - Mun. 6 5 5 34 17C/2 Roma - Mun. 9 0 0 0 0C/3 Roma - Mun. 11 9 17,25 0 0C/4 Roma - Mun. 12 5 0,79 0 0E/1 Roma - Mun. 17 22 24,9 100 64E/2 Roma - Mun. 18 17 54,98 29 20E/3 Roma - Mun. 19 6 47,07 30 19E/4 Roma - Mun. 20 13 73,49 31 16

RM D/1 Fiumicino 8 79,67 0 0D/2 Roma - Mun. 13 6 5,39 78 12D/3 Roma - Mun. 15 4 52,52 0 0D/4 Roma - Mun. 16 25 79,67 56 18

Totale Roma 213 33,018 510 226

RM F/1 Civitavecchia 1 13,45 27 0

RM F/2 Cerveteri-Ladispoli 5 62,52 30 0

RM F/3 Bracciano 3 20,9 0 2

RM F/4 Campagnano R. 0 0 0 0

RM G/1 Monterotondo 0 0 0 0

RM G/2 Guidonia M. 11 109,38 0 0

RM G/3 Tivoli 8 64,16 0 0

RM G/4 Subiaco 0 0 0 0

RM G/5 San Vito 3 2,81 83 17

RM G/6 Carpineto 4 31,68 0 57

RM H/1 Monte Porzio C. 10 201,31 0 0

RM H/2 Genzano 11 0 0 0

RM H/3 Ciampino 0 0 0 0

RM H/4 Pomezia 9 41,46 10 0

RM H/5 Velletri 0 0 0 0

RM H/6 Nettuno 0 0 0 0

Totale Provincia - Roma 65 34,229 150 78

Totale complessivo Prov. Roma 278 33,556 660 304

Il raffronto con i dati del 2004, si veda Tabella 5, fotografano e conferma-no il processo espansivo delle politiche sociali dentro un sistema di program-mazione locale e territoriale. Crescono in maniera significativa il numero di progetti e di servizi dove si realizza l’integrazione socio-sanitaria. Una sottoli-neatura che in relazione ai dati disponibili può essere riferita solo al contesto della provincia di Roma. Tuttavia, attraverso il raffronto tra la numerosità

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

di enti coinvolti e gestori in progetti di integrazione socio-sanitaria delle due annualità (2004 e 2008) si coglie anche in questo caso una dinamica espansiva riferita all’intero sistema dei Piani Sociali di Zona della regione Lazio. Crescono gli investimenti, si amplia il portafoglio progetti-servizi, si allarga l’arena degli attori locali coinvolti nel processo di programmazione e di gestione degli interventi. Accanto a questo si struttura un mercato social-mente orientato, composto da soggetti che agiscono sia con logiche del profit che del no-profit.

Tabella 5. Piani Sociali di Zona dal punto di vista della governance dei servizi sociali – Anno 2004

Fonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009

Piani Sociali di ZonaIntegrazione socio-sanitaria

Enti Coinvolti Enti Gestori Carta ServiziN° % fondi

A/1 3 100% 22 0 prevista

A/2 1 35% 86 0 NO

A/3 4 54% 8 0 SI

A/4 7 58% 63 5 SI

B/1 35 23 23 NO

B/2 6 88% 0 0 SI

B/3 22 91% 8 8 dal sito

B/4 7 51% 0 0 prevista

C/1 17 73% 1 1 SI

C/2 3 82% 13 1 dal sito

C/3 8 95% 1 1 NO

C/4 0 0% 3 3 NO

E/1 26 100% 51 9 prevista

E/2 0 0% 0 0 NO

E/3 4 29% 74 0 prevista

E/4 55 79% 47 33 prevista

RM D/1 11 28% 25 13 NO

D/2 6 100% 8 0 Guida Servizi

D/3 10 100% 90 0 NO

D/4 4 100% 0 0 NO

RM F/1 7 76% 0 0 NO

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

RM F/2 5 65% 47 0 NO

RM F/3 14 100% 10 7 NO

RM F/4 10 100% 11 2 NO

RM G/1 10 96% 7 3 NO

RM G/2 5 89% 2 2 prevista

RM G/3 8 97% 0 0 NO

RM G/4 7 100% 6 6 NO

RM G/5 12 22% 2 2 NO

RM G/6 7 93% 7 14 SI

RM H/1 14 76% 0 0 NO

RM H/2 13 90% 0 0 NO

RM H/3 10 100% 0 0 SI

RM H/4 2 39% 0 0 NO

RM H/5 10 100% 0 5 NO

RM H/6 6 87% 0 15 prevista

FR/A 9 31% 0 127 NO

FR/B 0 0% 0 1 NO

FR/C 15 100% 1 1 SI

FR/D 19 100% 1 1 NO

APRILIA-CISTERNA 8 85% 0 15 NO

LATINA 10 100% 0 40 NO

FONDI-TERRACINA 17 75% 1 1 NO

FORMIA-GAETA 12 100% 0 32 dal sito

MONTI LEPINI 5 97% 0 3 prevista

RI/1 8 96% 0 10 Reg. Serv.

RI/2 8 100% 2 2 prevista

RI/3 4 100% 0 0 NO

RI/4 7 100% 0 0 NO

RI/5 6 100% 1 1 NO

VT/1 5 74% 4 4 NO

VT/2 8 97% 0 0 NO

VT/3 7 53% 2 10 NO

VT/4 1 0% 0 15 NO

VT/5 6 100% 0 0 prevista

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

4. Mutamento della composizione sociale e nuove problemati-che sociali

Un sistema efficace di welfare, oltre a fondarsi su una visione universalisti-ca che valorizzi principi di “orizzontalità” – una quota per ogni cittadino, dei servizi essenziali per tutti, degli standard di qualità condivisi, e così via – deve necessariamente assumere, coerentemente con l’impianto legislativo della 328/2000, alcune visioni riferite alle specificità sociali, economiche, culturali e professionali delle comunità locali. In particolare, il continuo mutamento dei processi di sviluppo, gli impatti dell’economia dentro la dimensione sociale e culturale, hanno determinato (e stanno determinando) un muta-mento della composizione sociale collegata principalmente alla diffusione di forme di lavoro autonomo e di fare impresa ed ai processi di natura migrato-ria. Di fatto, questo insieme di processi mette sotto tensione e in molti casi dissolve e liquefa una parte dei beni relazionali che producevano convivenza civile e coesione sociale. Ne esce una comunità in formazione che esprime nuovi bisogni sociali e di cittadinanza, più relazionali che prestazionali, mag-giormente orientati a produrre (prima di ogni altra cosa) socialità e processi di inclusione sociale.

In questa prospettiva, i Piani Sociali di Zona possono essere assunti a osser-vatori del mutamento delle comunità originarie in comunità multi-etniche, multi-culturali, multi-professionali. La Mappa 5 - Movimento naturale della popolazione residente per distretto socio-sanitario - identifica una corona di comuni situati a nord-ovest della provincia di Roma che è cresciuta con un tasso medio annuo nel periodo 2001-2008 vicino o superiore al 3%. Corre-lando il dato al movimento migratorio (Mappa 14 – Movimento migratorio della popolazione residente per distretto socio-sanitario), se ne ricava che la crescita demografica è avvenuta più per linee esterne che interne alle comuni-tà. Il saldo positivo di popolazione è frequentemente il risultato congiunto di due aspetti che connotano il fenomeno migratorio. Il primo, di tipo interno, fa riferimento al processo di gentrificazione e di contro-urbanizzazione che interessa l’area metropolitana romana ed al contempo di diffusione di stili di vita metropolitani secondo il sistema “a cometa”. Il secondo, è relativo ai processi migratori esterni e una fetta percentuale rilevante dei nuovi residenti è di origine straniera. La Mappa 15 – Popolazione residente per distretto

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

socio-sanitario e incidenza degli stranieri – identifica e stratifica il territorio regionale dal punto di vista della percentuale di popolazione di origine stra-niera in rapporto a quella di origine italiana.

Certamente nel contesto delle priorità sociali del sistema-paese, il feno-meno dell’immigrazione è, di fatto, uno degli assi su cui si sviluppa – o si dovrebbe sviluppare – un quadro coerente di politiche neo-comunitarie, cioè indirizzate a generare e a rafforzare i legami comunitari che oggi, si è detto, sono sotto tensione. D’altra parte, nella riflessione sul mutamento della com-posizione sociale, l’ambito dell’immigrazione costituisce (o dovrebbe costitui-re) un campo – che meglio di altri – consente di avviare la sperimentazione di un modello di welfare integrato, poiché le necessità sociali della popolazione immigrata riguardano uno spettro ampio di problemi connessi all’accoglienza e all’integrazione sociale: dagli interventi in materia di politiche abitative, alla formazione, al posizionamento nel mercato locale del lavoro, dall’integrazio-ne culturale al supporto che l’immigrazione può fornire nella costruzione di una nuova e diversa comunità locale.

Per comprendere di cosa si sta parlando conviene rifarsi ad alcuni dati strutturali sia a carattere nazionale che riferiti alla specificità regionale. A livello di contesto nazionale, ogni anno si inseriscono nel mondo del lavoro quasi 175 mila immigrati stranieri. Nel 2005 erano 730mila gli stranieri assunti nelle imprese italiane, mentre 131 mila erano i cittadini stranieri tito-lari di impresa impegnati nell’edilizia, nel commercio e nella collaborazione famigliare. Numeri che ci dicono che una prima macrofase migratoria si è retta fondamentalmente sul patto “giuslavorista”, nel quale si sono scambiati diritto di soggiorno con domanda di lavoro pluri-localizzata nelle diverse aree del Paese. I consumi degli immigrati si avvicinano progressivamente a quelli degli autoctoni. Secondo il Dossier Caritas il 91% degli stranieri utilizza un cellulare, l’80% possiede un televisore, il 60% ha un conto corrente, il 55% un’auto e il 22% un pc. Anche nel mercato immobiliare la quota degli stra-nieri che acquistano la casa è pari al 15% del totale. La progressiva stabilizza-zione del fenomeno migratorio, non tanto in termini quantitativi, ma piut-tosto in termini di crescente radicamento dei soggetti e delle famiglie nelle comunità locali, rende oggi insufficiente quel patto, evidenziando piuttosto la necessità di muovere lo sguardo verso i temi della cittadinanza in termini

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

di diritti civili, sociali e politici, così da portare ad una sua riformulazione in termini ben più complessi e moderni.

Le ricerche territoriali ci dicono che i flussi migratori hanno due facce: • una prima stabilizzata composta principalmente da nuclei familiari

(soprattutto di recente ri-congiungimento attraverso il decreto Bossi-Fini) che si stanno strutturando in ceto e che, sempre a livello generale, hanno un percorso lavorativo relativamente stabile e regolare. Quando il percor-so migratorio non deve più affrontare problemi relativi alla residenza, al lavoro, così come alla mancanza dei propri cari, le leve per l’integrazione assumono pesi e misure differenti. I problemi, infatti, si pongono più nelle seconde generazioni, per le quali la scuola, e non il lavoro, rappresenta il canale di integrazione e formazione. L’immigrazione stabilizzata chiede servizi sociali e interventi interculturali: asili nido, accesso alla sanità, inter-cultura nelle scuole, mediazione linguistica, e possibilità di partecipare alla vita politica e amministrativa;

• l’altra è quella dell’emergenza, dell’immigrazione di prima accoglienza, di chi arriva sul territorio italiano e deve soddisfare i propri bisogni di prima necessità: l’apprendimento della lingua italiana, il lavoro, la casa. Molto spesso si tratta di stranieri in posizione di irregolarità che sono attirati dalle opportunità occupazionali e da una conseguente aspettativa di rego-larizzazione attraverso sanatoria. Nella maggioranza dei casi sono stranieri giovani o adulti, in buona salute, apripista di un percorso migratorio finalizzato al ricongiungimento con la propria famiglia, che si adattano ad una domanda di lavoro che non di rado è dequalificata e regolamentata in maniera precaria. La domanda da parte delle imprese, in altri termini, è il moltiplicatore dei flussi migratori, di persone che lasciano il proprio paese e la propria cultura aspirando ad una vita migliore, più libera. In realtà, sono persone dipendenti dalla congiuntura del mercato, non hanno a pieno titolo diritto di cittadinanza, si trovano a interfacciarsi con un sistema burocratico complesso e non sempre comprensibile.

A livello regionale, nel “VI Rapporto sugli Indici di integrazione degli immi-grati in Italia” curato dal CNEL si rileva e confronta il “potenziale” di inte-grazione dei territori italiani, regioni e capoluoghi di provincia, sulla base di

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

due indici, quello sociale e quello occupazionale, riferiti, cioè, alle due condi-zioni strutturali che possono facilitare un positivo inserimento dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie. Il Rapporto “non misura l’integrazione, che è questione complessa nella quale sono determinanti i fattori soggettivi, le aspettati-ve e i vissuti della esperienza immigratoria, lo stesso sentire dei cittadini italiani, la qualità dei rapporti tra questi e gli immigrati. Esso invece indica dove migliori sono le potenzialità di sviluppo dei processi di integrazione – questo è il senso delle graduatorie proposte – sulla base di alcuni indicatori statistici sia sociali (acces-sibilità immobiliare, dispersione scolastica, ricongiungimenti familiari, acqui-sizione della cittadinanza, livelli di devianza) che occupazionali (inserimento lavorativo, livelli professionali, reddito da lavoro, tasso di imprenditorialità).

In termini di rating la Regione Lazio si colloca al 13° posto in base all’indi-ce assoluto - e cioè sulla base dei dati territoriali della popolazione immigrata - e in ultima posizione sulla base del criterio comparativo cioè di confronto tra le posizioni degli immigrati e degli italiani. L’integrazione con riferimento all’ambito provinciale evidenzia sia l’ottimo livello raggiunto dalla provincia di Viterbo - 16° posto assoluto e 14° nel modello comparativo - che, per con-tro, la problematica situazione della provincia di Roma – 73° posto assoluto e 103°posizione (cioè l’ultima) in base al criterio comparativo.

In questa prospettiva i Piani Sociali di Zona della Regione Lazio riflettono la generale poca attenzione nei confronti della moltitudine dei migranti. È sufficiente il dato generale sull’ammontare di risorse economico-finanziario impegnate sul tema dell’immigrazione per scorgere una situazione di estrema debolezza e frammentarietà degli interventi. La situazione colta all’interno dei Piani Sociali di Zona evidenzia che solo 7 dei 48 Piani Sociali di Zona (si veda la Tabella 6 riportata sotto) hanno previsto interventi nel campo delle politiche sociali espressamente rivolti alla domanda espressa da questa porzione di popolazione che, è il caso di ricordarlo, in molto comuni della regione supera il 10-12 % della popolazione residente. Inoltre, in una serie di approfondimenti conoscitivi realizzati in diversi contesti territoriali del sistema-paese è emerso che più de 60% delle famiglie immigrate si trovano in una condizione di povertà relativa che come è noto presenta caratteristiche di multidimensionalità.

Per contro, il dato circa l’ammontare delle risorse impegnate/da impegna-re verso le tematiche dell’integrazione, dell’accoglienza e della stabilizzazione

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

delle famiglie dei nuovi italiani, appare molto modesto. A dettaglio, il totale delle risorse economiche impegnate dai 7 progetti è pari a 297.000 Euro e questo a fronte di un budget complessivo in servizi sociali del Lazio di oltre 178 milioni di Euro.

Nella regione, il progetto-servizio rivolto agli immigrati con la maggiore dote di risorse ha potuto contare su 78.240 Euro a fronte di un bilancio com-plessivo del Piano Sociale di Zona in cui è inserito di quasi 9 milioni di Euro.

Tabella 6. Regione Lazio Piani di Zona annualità 2008Interventi rivolti a minori e stranieri Fonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009

Comune Comune Capofila / N° Comuni Minori Stranieri

A/1 Roma - Mun. 1 1.094.429,78

A/2 Roma - Mun. 2 492.230.88

A/3 Roma - Mun. 3 479.000,00

A/4 Roma - Mun. 4 2.601.300,00

B/1 Roma - Mun. 5 3.790.454,07 78.240,00 sportello x migranti

B/2 Roma - Mun. 7 359.393,58

B/3 Roma - Mun. 8 1.712.91,67

B/4 Roma - Mun. 10 2.267.780,00

C/1 Roma - Mun. 6 1.838.120,00 13.000,00 Inserimento donne straniere

C/2 Roma - Mun. 9 258.915,10

C/3 Roma - Mun. 11 1.329.645,52

C/4 Roma - Mun. 12 689.899,00

E/1 Roma - Mun. 17 738.417.04

E/2 Roma - Mun. 18 1.684.813,00

E/3 Roma - Mun. 19 1.506.788,04 35.000,00 servizi per nomadi e migranti

E/4 Roma - Mun. 20 1.883.248.96

RM D/1 Fiumicino 159.556,00

D/2 Roma - Mun. 13 2.307.531,73

D/3 Roma - Mun. 15 1.559.449,00 48.000,00 prima accoglienza immigrati

D/4 Roma - Mun. 16 1.667.069,82 76.000,00

RM F/1 Civitavecchia 577.515,44

RM F/2 Cerveteri - Ladispoli 231.028,00

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

RM F/3 Bracciano 210.135,24

RM F/4 Campagnano R.

RM G/1 Monterotondo

RM G/2 Guidonia M. 258.096,00

RM G/3 Tivoli 228.331,00

RM G/4 Subiaco

RM G/5 San Vito 315.000,00

RM G/6 Carpineto 321.869,12

RM H/1 Monte Porzio C. 175.934,00

RM H/2 Genzano 477.650,06

RM H/3 Ciampino

RM H/4 Pomezia 260.922,00

RM H/5 Velletri

RM H/6 Nettuno

FR/A Alatri 243.823,07

FR/B Frosinone 1.926.786,00 non specifici, ma con altri

FR/C Fontana Liri capofila Sora

FR/D Cons. Comunale Cassinate 379.371,79

APRILIA-CISTERNA Aprilia 363.073,18

LATINA Latina 421.000,00

FONDI-TERRACINA Fondi 624.489,04

FORMIA-GAETA Formia-Gaeta 235.000,00 47.000,00 programma per stranieri tossicodipendenti

MONTI LEPINI Priverno 118.221,00

RI/1 Rieti 124.953,00

RI/2 Poggio Mirteto 87.201,00

RI/3 Fara Sabina

RI/4 Borgorose 41.376,90

RI/5 Posta 183.667,30 30.765 fondi 2007

VT/1 Montefiascone

VT/2 Tarquinia

VT/3 Viterbo 386.937

VT/4 Vetralla 330.359,00

VT/5 Nepi 374. 677,10

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

I redattori Caritas/Migrantes del Dossier statistico immigrazione 2008 hanno costruito e studiato un campione rappresentativo composto da circa un migliaio di persone (900 persone di 69 nazionalità) che permette di approfondire la fisionomia dell’immigrato “romano”.1 Da questo studio emerge che gli “immigrati romani” risultano essere persone istruite, laboriose, sobrie, poco inclini al consumo, non ricche, ma autosufficienti, aperte alla solidarietà, sempre più attaccate all’Italia: un’immagine lontana dal clichè basato sui toni allarmistici e dell’emergenza, un quadro di sofferta e dignitosa “normalità”.

Roma è un approdo attraente: 9 intervistati su 10 ci sono arrivati direttamente, non passando da altre regioni. La metà ha acquisito il permesso di soggiorno solo a seguito di un provvedimento di regolarizzazione (un 25% fino al 1998 e un 25% nel 2002) e un sesto (18%) è alle prese con le pratiche di rilascio o di rinnovo.

È elevata la percentuale di coloro che hanno un livello di istruzione superiore (80% del campione è diplomato o laureato), come anche degli occupati (80%), anche se il 15% dei lavoratori dipendenti è occupato in nero. Spesso lavorano presso le famiglie (44%), ma anche in diversi altri settori, dall’edilizia al turismo. Le mansioni umili sono più ricorrenti, ma aumentano anche gli inserimenti quali-ficati, come operai specializzati, impiegati, imprenditori, medici, interpreti. Sei su 10 hanno conosciuto periodi di disoccupazione, anche prolungati. Il lavoro non è stato trovato grazie agli uffici pubblici (solo 1 caso su 70), ma autonomamente o attraverso le reti amicali-parentali, perlopiù interne alla collettività d’appartenenza e alle comunità che al suo interno si strutturano (51,3%).

Gli intervistati dichiarano un reddito medio mensile di 916 €. Sei su 10 sono titolari di un conto corrente bancario o postale e inviano, mediamente ogni mese e mezzo, del denaro nel paese d’origine (in un anno in media 2.244 € testa) per sostenere le persone della famiglia lì rimaste (mediamente 3): 3 su 5 provvedono al sostentamento dei genitori, in un terzo dei casi si deve provvedere ai figli, ai fratelli e le sorelle e più raramente al coniuge o ad altri familiari.

Dopo l’arrivo in Italia, metà degli intervistati ha avuto bisogno di farsi aiutare economicamente da familiari in Italia o nel paese d’origine o da amici italiani o con-nazionali (ciascuna delle ipotesi copre più di 4 casi su 10).

1 Centro Studi e Ricerche IDOS, Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell’area romana. Indagine campionaria e approfondimenti tematici, Edizioni IDOS, Roma, 2008.

Alcune caratteristiche della popolazione migrante a Roma

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Possiedono quei beni di consumo ormai diventati indispensabili come il cellu-lare (99%), il televisore (70%) e il computer (40%). L’automobile, a portata solo di un terzo del campione, costituisce il secondo bene più desiderato dopo la casa, ambita da metà degli intervistati. Sette su 10 leggono i giornali italiani.

* * *

Tra gli aspetti più interessanti della presenza degli immigrati richiama sempre maggiore attenzione la loro vocazione imprenditoriale. A Roma ci sono circa 15.500 aziende con titolari immigrati, pari a circa il 10% delle 165 mila esistenti a livello nazionale.2 Le imprese degli immigrati incidono per il 3,8% sul totale delle aziende operanti in provincia (412 mila), ma ci sono notevoli margini di crescita considerando che tra gli italiani vi è un’impresa ogni 9 residenti e tra gli immigrati solo 1 ogni 20. Le collettività con maggior numero di imprenditori sono la Roma-nia (3.249), seguita da Bangladesh (2.204), Cina (1.635) e Marocco (1.441). A superare la quota di 500 imprenditori sono poche altre collettività: Egitto con 890 imprese, Nigeria con 717, Polonia con 556 e Senegal con 533 (l’Abania si ferma a 425 imprese). Poche sono le collettività con 200 imprese (Pakistan, Perù, Tunisia) e un po’ più numerose quelle con 100 (Bulgaria, Bosnia Erzegovina, Ecuador, India, Iran, Serbia, Macedonia, Moldova, Somalia, Ucraina).

I settori prevalenti di intervento sono il commercio (46,4%), le costruzio-ni (26,7%), i servizi professionali (9,3%), l’industria manifatturiera (6,9%)e i trasporti (4,4%). Le varie collettività rivelano spesso tendenze monosettoriali, privilegiando o l’edilizia (Romania 78,8%, Polonia 71,6%, Albania 67,8%) o il commercio (Marocco 86,1%, Bangladesh 71,8%, Nigeria 67,8%, Cina e Senegal 62,5%)

2 Per quanto riguarda la regione Lazio, dal Rapporto Unioncamere 2009 emerge che le imprese indi-viduali con titolare immigrato sono 20.127 con una incidenza percentuale sul totale delle imprese individuali regionali pari al 7,6%. Va inoltre segnalato che l’Unioncamere calcola in 16.816,3 milioni di euro il valore aggiunto derivante dall’attività di occupati stranieri nella regione Lazio, pari all’11,2% sul valore aggiunto regionale.

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

A rafforzare l’analisi fin qui prodotta circa il notevole sottodimensionamen-to delle politiche sociali rivolte alle nuove comunità territoriali concorre anche la relativa capacità dei Piani Sociali di Zona di promuovere, sviluppare e aderire a partnership territoriali più estese e finalizzate ad incrementare le capacità pro-gettuali e realizzative di servizi sociali per il territorio stesso.

Questa affermazione vale sia per quanto riguarda il coinvolgimento delle organizzazioni di volontariato locali che, più in generale, per quella serie di attori-snodo dello sviluppo locale. Poche sono le iniziative tese alla promozione e al riconoscimento delle esperienze di “sussidiarietà orizzontale”, orientate a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimen-to di attività di interesse generale.36 In sostanza nei Piani Sociali di Zona non si produce una “vision” circa le prospettive della comunità locale e dell’identità territoriale.

5. Organizzazioni di volontariato, territorio e sussidiarietà orizzontale

La presenza di organizzazioni di volontariato in un territorio rappresenta senza alcun dubbio una fonte di ricchezza per i cittadini e per le istituzioni. Il volontariato, infatti, spesso supporta gli enti pubblici in molteplici ambiti di

36 Il “Secondo Rapporto su Enti locali e Terzo settore” dell’Auser, presentato a Roma il 12 maggio 2009, evidenzia che tra i Comuni capoluogo di provincia 8 amministrazioni su 10 riconoscono in modo esplicito o argomentato nel loro Statuto la funzione e il valore del volontariato, tuttavia, solo il 45% dei Comuni ha confermato con specifiche linee guida per gli operatori comunali il ruolo e la funzio-ne del volontariato. Per quanto riguarda le regole per la certificazione degli organismi, un Comune su 3 dispone di un albo delle sole organizzazioni di volontariato (lista dei fornitori e dei soggetti con cui essi hanno un rapporto fiduciario e su cui le amministrazioni possono contare per specifici interventi). A tali albi specializzati occorre aggiungere quelli “generalisti”, cioè comprensivi di tutte le organizzazioni non profit che realizzano interventi o gestiscono servizi sociali. In conseguenza, circa il 55% dei Comuni capoluogo ha adottato un registro delle organizzazioni di Terzo settore operanti nel sociale. Un apposito regolamento interviene tuttavia solo per il 40% dei Comuni, al fine di stabilire modalità e procedure di assegnazione di fondi e contributi. Una forma di partecipazione del volonta-riato alla decisionalità pubblica in tema di politiche sociali consiste nell’istituzione della Consulta del volontariato. I Comuni che l’hanno promossa e realizzata, sono ancora una minoranza: circa il 25% dei capoluoghi di provincia. Inoltre, l’organo di consultazione è raramente sostenuto da un regola-mento. In sostanza, a quasi 8 anni di distanza dalla introduzione del nuovo principio costituzionale di “sussidiarietà orizzontale” (legge Costituzionale n. 3/2001), tali disposizioni non vengono ancora adeguatamente promosse e applicate dalla maggior pare delle pubbliche amministrazioni.

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attività di fondamentale importanza e fornisce l’occasione a tanti cittadini di impegnarsi in prima persona in progetti e iniziative di pubblica utilità. Nelle cinque province laziali il mondo del volontariato prende forme diverse - in termini di numero di organizzazioni e di volontari, di settori di attività, di reti interassociative, di rapporti con gli altri attori del Terzo settore, con gli enti locali e con i sistemi locali delle imprese del settore profit -, riflettendo la particolare costellazione delle forze culturali, storiche, politiche, sociali ed economiche che sono al lavoro e che sono in grado di produrre beni relazio-nali, socialità, mutualismo e capitale sociale.37

La Tabella 7 e le Mappe 16 e 17 illustrano la dotazione di capitale sociale a livello provinciale e dell’area metropolitana romana dal punto di vista delle organizzazioni di volontariato iscritte al Registro Regionale del Volontariato. Il settore del volontariato, come emerge dai dati, è un settore con una spiccata dinamica di crescita. Ad oggi, risultano iscritte quasi 1.300 organizzazioni, operanti prevalentemente nei settori dei servizi sociali e dell’ambiente. La revisione del Registro evidenzia un saldo positivo di ben 951 organizzazioni rispetto al 1998, anno in cui risultavano iscritte 333 organizzazioni. Nono-stante questo tasso di crescita, le province del Lazio presentano una densità associativa ancora bassa.

Nell’annuale classifica della qualità della vita delle province italiane de Il Sole 24 Ore (29 dicembre 2008), le province del Lazio figurano molto al disotto della media. L’indice OdV/1.000 abitanti dà una media nazionale di 0,72 organizzazioni di volontariato per 1.000 abitanti, con la Provincia di Gorizia in prima posizione con 1,29. Le province del Lazio sono: al 61° posto Rieti (0,68), all’85° Viterbo (0,47), al 93° Frosinone (0,36), al 94° Latina (0,35), e al 99° Roma (0,29). Va tenuto conto che in questo indice sono ricomprese solo le organizzazioni di volontariato iscritte al Registro Regionale del Volontariato e non è stato preso in considerazione il numero dei volontari attivi.

37 Cfr. Frisanco R., a cura di, Così cresce il volontariato nel Lazio. Rapporto sulle organizzazioni iscritte al Registro regionale, Volontariato CESV-SPES, Roma, 2009; Susi F., a cura di, Il volontariato nel Lazio. Identità, bisogni, caratteristiche, Carocci Faber, Roma, 2007.

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Tabella 7: Regione Lazio - Iscrizioni al Registro Regionale del Volontariato e raffronto iscrizioni 1998-2008

Fonte: elaborazioni CDS-Focus, 2009Provincia ODV

iscritteal RRV

Incre-mento

%

ODV: Servizi Sociali

ODV: Sanità

ODV: Donazione

Sangue

ODV: Cultura

ODV: Ambiente

ODV: Protez. Civile

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dic-08

dic-98

dic-08

dic-98

dic-08

dic-98

dic-08

dic-98

dic-08

dic-98

dic-08

dic-98

dic-08

Totale ROMA CITTÀ

178 614 244,9% 128 358 29 81 0 13 23 90 34 101 23 89

Totale PROVINCIA

di ROMA

58 255 339,7% 26 102 10 30 0 21 2 12 23 76 17 76

Totale FROSINONE

16 146 812,5% 12 52 4 13 0 18 0 7 2 50 2 50

Totale LATINA

37 126 240,5% 15 52 3 6 0 6 4 16 18 45 14 47

Totale RIETI

13 48 269,2% 5 21 4 7 0 1 0 3 4 12 4 14

Totale VITERBO

31 95 206,5% 19 43 6 11 0 6 0 4 8 25 6 34

Totale LAZIO

333 1.284 285,6% 205 628 56 148 0 65 29 132 89 309 66 310

Oggi, l’area di intervento del volontariato si è dilatata fino ad investire tutti gli aspetti problematici della vita sociale, delle famiglie e del territorio e fino a comprendere tematiche fino a poco tempo fa estranee (il turismo e la mobilità, il benessere, il tempo libero e la cultura, la promozione della cultura biologica nelle attività agricole e nei consumi alimentari, etc.). Si allarga la sua capacità di intervento e, superando il limite tradizionale dell’intervento sulle criticità e sulle fasi acute, si appresta a diventare un soggetto facilitatore, un agente sociale capace di rimettere insieme i pezzi di una trama sociale sempre più strappata in più punti, a partire dai bisogni delle famiglie e dei territori. È un’immensa disponibilità di uomini/donne, mezzi, energie che possono, in modo ancora più incisivo di oggi, costituire un polmone fondamentale ed una risorsa per un sistema di protezione sociale, ampiamente inteso, che stenta a passare dal vecchio al nuovo, e che deve sopportare l’ulteriore peso i nuovi fenomeni di incertezza e di precarietà.

I territori locali sono ormai costantemente pressati tra l’esigenza di far quadrare i conti e la necessità di dare risposte adeguate ad una domanda cre-scente di bisogni sociali e sanitari, tra la necessità di garantire continuità ai servizi esistenti e l’urgenza di aprire nuove linee di intervento (immigrazione,

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esclusione sociale, disagio giovanile, grandi anziani, diffusione delle malattie cronico-invelidanti,…). In questa situazione, una parte crescente del mondo del volontariato ha accettato di far parte integrante della filiera dei gestori di servizi territoriali, sulla base di motivazioni di carattere etico-sociale o etico-religioso interpretate in modo non radicale, correndo però il rischio di essere compresso da un processo di “esternalizzazione del welfare” realizzato da un’amministrazione pubblica incapace di rispondere in modo adeguato a diversi problemi e, soprattutto, alla ricerca di uno strumento di outsourcing a basso costo dei servizi socio-sanitari o sociali.

È certo che il lavoro non pagato del volontariato ha anche un valore econo-mico. Ma quel valore economico dovrebbe essere utilizzato per migliorare i servizi, non per diminuire i costi. In una buona programmazione di un comune, di una regione, di una legge fi nanziaria, nello spirito della Costi-tuzione, i servizi alla persona, soprattutto ai soggetti più deboli, dovrebbero avere la priorità nella destinazione delle risorse, soprattutto quando sono scarse. Il volontariato perciò non può essere strumentalizzato per diminuire i costi dei servizi: i volontari non possono e no devono accettare questa strumentalizzazione (Nervo G., Ha un futuro il volontariato?, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 2008:11).

Sussidiarietà orizzontale non può semplicemente significare delega a basso costo su tutto al volontariato da parte delle amministrazioni pubbliche, quan-to la necessità di condividere insieme i processi, di concertare le politiche ter-ritoriali e di co-progettare interventi e servizi. La riorganizzazione dei servizi sociali, sia a livello regionale che distrettuale, richiede la piena e consapevole partecipazione, nella programmazione ed elaborazione delle politiche territo-riali, del mondo del volontariato. Perché il volontariato possa diventare un protagonista della concertazione sociale, per far sì che tale ruolo sia effettivo, è necessaria una serie di riconoscimenti e di impegni reciproci che stimoli e che definisca in un percorso condiviso i rapporti di sussidiarietà. L’articolo 19 della 328/2000, dedicato ai Piani Sociali di Zona, prevede in più punti la partecipazione di soggetti del Terzo settore e del volontariato, assegnando a quest’ultimo un ruolo specifico rispetto agli altri soggetti non profit. Esso consiste nella realizzazione di progetti innovativi e di prima sperimentazione di servizi (soprattutto di “servizi leggeri”, basati essenzialmente sulla relaziona-

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

lità), tali cioè che una volta provata la loro validità vengano affidati ai servizi pubblici o a soggetti che possono svolgerli in modo continuativo e profes-sionale (cooperative o imprese sociali).38 Il volontariato può svolgere una funzione importante anche in sede di monitoraggio e valutazione dell’effica-cia dei servizi realizzati, a tutela degli interessi e dei diritti delle fasce deboli degli utenti e della popolazione su temi e problemi che sono scarsamente considerati dagli altri soggetti non profit e profit (si pensi a beni comuni come l’ambiente, l’acqua, la protezione civile, la cultura e i beni culturali, etc.). È evidente che il volontariato può svolgere meglio questa funzione se non dipende economicamente dalle istituzioni alle quali vuol chiedere la rendicontazione, se non gestisce servizi, evitando così di trovarsi in conflitto di interessi nel valutare l’efficacia dei propri servizi.39

Negli ultimi anni gran parte del dibattito pubblico è stato focalizzato sulla questione della tenuta economica del sistema-paese, del mantenimento della sua capacità competitiva e del suo declino economico, mentre poco o per nulla si è riflettuto sulla capacità di tenuta dell’Italia dal punto di vista sociale. Per anni la coesione sociale è stata garantita dal welfare state e ora,

38 Il volontariato è in grado di rispondere prontamente a bisogni emergenti che non sono ancora presenti nella coscienza pubblica, nella normativa, nella destinazione delle risorse. Si veda, ad esempio, il rapporto a cura dello Studio Come Srl, “Verso una sanità aperta al sociale. Esperienze nella provincia di Roma” (Provincia di Roma - Assessorato alle politiche sociali e per la famiglia e ai rapporti istituzionali, Roma, 15 maggio 2009), che dà conto di alcune esperienze innovative/spe-rimentali messe in campo (in ASL, ospedali, distretti e presidi sanitari) da cittadini, organizzazioni di volontariato, malati e curanti informali attivi nel territorio provinciale, che sono state valorizzate dalla Provincia di Roma tramite il programma “Verso una sanità aperta al sociale”. Queste esperienze testimoniano quali vantaggi possono ottenere sia gli assistiti che il sistema sanitario, quando entra-no in campo le risorse della comunità e, in particolare, le energie che provengono dalle organizza-zioni di volontariato in sanità. “Si tratta di innovazioni molto diverse tra loro, che tuttavia nell’insieme suggeriscono la strada della sanità condivisa: rispondere alla crescente domanda di salute, attivando non solo le risorse professionali interne ai servizi sanitari, ma lavorando con quelle esterne, presenti nella collettività, offerte da volontari, gruppi, associazioni, istituzioni scolastiche, biblioteche e tutti coloro che si mobilitano per obiettivi di salute. […] Dalla ricerca emerge chiaramente che l’innovazione non è a costo zero. Infatti, per lavorare insieme a malati, familiari, associazioni, gruppi sociali e volontari che non hanno una professionalità sanitaria formale, ma - proprio per questo - possono aggiungere valore ai servizi, occorrono nuovi investimenti e soprattutto un uso diverso delle risorse, riconversione del persona-le, cambiamenti di cultura e modelli organizzativi” (pp. 4-5).

39 In realtà, il rischio di un possibile “conflitto di interessi” lo corrono molto di più altri soggetti del mondo del terzo settore (ad esempio, le cooperative e le imprese sociali), interessati alla gestione dei servizi, oltre che alla loro pianificazione.

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I risultati e le evidenze dell’analisi dei Piani Sociali di Zona del Lazio

in presenza della più grave crisi economica mondiale degli ultimi 60 anni, emerge una fragilità/vulnerabilità inedita e ci scopriamo senza copertura di coesione sociale, essendo passati dal borgo alla metropoli, trovandoci a vive-re in società e città “liquide”, caratterizzate da una soggettività esasperata. Alcuni osservatori segnalano come in buona parte del territorio italiano – dal ricco e dinamico Nord Est alle aree deboli del Mezzogiorno - siamo ormai in presenza di una vera e propria emergenza in termini di carenza di capitale sociale. Ci vorrebbero interventi sociali di ricostruzione della solidarietà, del capitale e della coesione sociale. La politica e le istituzioni devono tornare a presidiare il territorio e a saper leggere i problemi sociali, non per esasperarli, ma per ricostruire le forme di convivenza. Servono luoghi pubblici dove poter discutere del “bene comune”, dopo la sparizione delle sezioni dei partiti e la perdita di radicamento del sindacato.

Uno dei luoghi importanti che rimane, forse l’unico, è dato dall’associa-zionismo e dal volontariato, che certamente ha di fronte un periodo difficile, ma anche delle grandi opportunità per poter valorizzare un proprio ruolo nel “fare società” e nel ripensare a costruire il bene comune.

Un sistema politico-sociale (il welfare state fordista) sta arrivando al capoli-nea e bisogna costruirne uno nuovo. Il welfare state, costruito soprattutto nel corso della seconda metà del XX secolo, ha avuto come precursore il mutuo soccorso40 e, in una fase in cui le risorse centrali/nazionali sono destinate a

40 In Italia le società di mutuo soccorso, sotto la spinta propulsiva delle idee socialiste e cattolico-sociali, allargarono notevolmente la loro base associativa, sino a superare in molti casi l’originaria impostazione corporativa e passando dalle circa 400 del 1862 alle 6.500 del 1904. Inoltre, la loro azione si estese (almeno in una prima fase) dalla funzione originaria di tipo assicurativo a funzioni finanziario, ricreative, educative e sindacali. Oltre ad assicurare una protezione minima contro l’invalidità e la malattia attraverso la costituzione di fondi a contribuzione volontaria, esse svilup-parono gradualmente funzioni creditizie (si pensi, ad esempio, allo sviluppo delle casse di rispar-mio) e ricreative (attraverso l’apertura di spazi per il dopolavoro, finalizzata alla socializzazione dei lavoratori). Parallelamente, esse ottengono in molti paesi un pieno riconoscimento istituzionale che ne sancì le due principali caratteristiche: la natura “amichevole” del rapporto tra i soci (da cui discende la denominazione inglese di friendly societies) e la natura volontaria dei contributi econo-mici versati alle casse mutue. In Italia la diffusione delle società di mutuo soccorso è stata ostacolata a causa delle fratture politico-ideologiche esistenti e dell’orientamento spiccatamente politico delle organizzazioni sindacali, più interessate alla rappresentanza politica della classe operaia che alla tutela economica e sociale dei loro aderenti. Anche la politica pubblica nei confronti delle società di mutuo soccorso è stata poco coraggiosa, vedendovi più l’origine di comportamenti antagonistici che l’organizzazione di forme di autoprotezione sociale e assistenziale. Con l’avvento delle assicu-

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ridursi sempre più, è forse il caso di ricominciare a pensare a forme di autor-ganizzazione territoriale e sociale che facciano perno sul tessuto intermedio associativo e siano capaci di adattare, con flessibilità, il servizio ai bisogni degli utenti e di coinvolgere una molteplicità di stakeholders presenti sul territorio.

Bisogna tornare a fare cultura del territorio come soggetto, un territorio che oggi troppo spesso è più piattaforma (logistica, turistica, finanziaria,…) che soggetto, dove non c’è coesione sociale e mancano (o sono deboli) i sog-getti della società civile. I territori devono tornare ad investire su se stessi ed in particolare i giovani devono poter pensare di avere un futuro, di poterlo immaginare, progettare e vivere. Bisogna ricostruire forme di neo-comuni-tarismo democratico e partecipato capaci di rendere accogliente e solidale il territorio locale, anche se da sole queste forme non potranno rappresentare la soluzione a tutti i problemi, dato che ci sono sempre i rapporti con i flussi della società globale da cui non ci si può più isolare (pena l’emarginazione, l’autarchia, la stagnazione e il declino). Si possono anche costruire reti che vanno oltre il locale, che lo collegano in modo positivo al globale, favorendo un’integrazione tra risorse locali e risorse globali (si pensi, ad esempio, a flussi di immigrazione per il ripopolamento dei paesi dell’osso appenninico o ai flussi finanziari europei per realizzare progetti di sviluppo locale).

Il volontariato potrà avere un ruolo molto importante in questo processo, ma deve potenziare la sua capacità di lettura del territorio, dei suoi bisogni e dell’insieme delle sue priorità e migliorare quella di fare alleanze/dialogare in modo costruttivo, efficace ed autorevole con altri soggetti del Terzo settore, delle istituzioni, ma anche del mondo delle imprese, a cominciare da quelle che operano in una ottica di responsabilità sociale. Inoltre, il volontariato deve essere in grado di aumentare la visibilità dei suoi interventi e la sua capacità comunicativa (informazione, sensibilizzazione,…), partecipando più attivamente al dibattito pubblico e suscitando interesse nei cittadini. Per svolgere efficacemente questi ruoli le organizzazioni di volontariato – in gran parte di piccole dimensioni, cronicamente a corto di risorse, seppure con un fortissimo radicamento nei territori locali - devono innanzitutto imparare a coordinarsi, confrontarsi e “fare rete” (tematica e/o territoriale) e “sistema territoriale” in modo da arrivare ad esprimere posizioni e proposte condivise.

razioni nazionali obbligatorie contro la malattia e l ’invalidità, le società di mutuo soccorso hanno perso gran parte della loro funzione economica e protettiva.

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Troppo spesso, infatti, l’immagine che di sé dà il volontariato ai tavoli di pro-gettazione è frammentaria e scoordinata, e questo tipo di approccio non giova ad accrescere il suo ruolo di rappresentatività forte ed autorevole.

Le organizzazioni di volontariato sono chiamate a trovare un difficile equilibrio tra la preservazione della loro identità specifica e la collaborazione con gli altri gruppi volontari, con le altre componenti del Terzo settore, con l’amministrazione pubblica, con le imprese private. Un equilibrio che presup-pone la consapevolezza dell’importanza non solo di quanto si fa, ma anche del ruolo sociale e politico rivestito, nonché dei limiti della propria azione e della necessità di metterla in rete con quella di altri attori. Le organizzazioni di volontariato (e, più in generale, le diverse componenti del Terzo settore) non devono appiattirsi sulla dimensione della gestione per delega dei servizi (accreditamento, professionismo, tecnicalità), altrimenti finiscono (seppure inconsapevolmente) per essere stumentalizzate (facendo da “tappabuchi”) e diventare ammortizzatori delle tensioni sociali provocate dal mercato e stru-menti subalterni di controllo e consenso politico (collateralismo). Il volon-tariato deve rafforzare le sue capacità di elaborazione, advocacy e proposta, cioè di denuncia delle ingiustizie sociali, di battaglia per i diritti sociali e per i valori della solidarietà. Deve stimolare la partecipazione (cittadinanza attiva) e dialogare con le istituzioni e la società, esercitando una funzione di coscienza critica e creativa. Deve promuovere una crescita dell’etica della responsabilità pubblica e privata.

Soprattutto, il volontariato deve impegnarsi per spingere la politica e le istituzioni a rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini imboccando la strada della produzione di coesione sociale, dell’impegno nella promo-zione di politiche sociali, e non quella del controllo securitario e repressivo, cioè, di incoraggiarle a tornare a tessere, a mettere insieme le tante e diverse energie sociali, culturali, economico-finanziarie ed istituzionali per affrontare e risolvere le questioni sociali, presidiando il territorio, attuando i servizi, garantendo il buon funzionamento delle istituzioni e dei servizi, valorizzando ed estendendo le sperimentazioni, le sollecitazioni e le buone pratiche che la società stessa si dà. Questo vuol dire lavorare per ricostruire le relazioni socia-li - nelle piazze, nei quartieri, negli ospedali, nei luoghi di lavoro, nei paesi, nelle città e nei territori -, per costruire una società più giusta e solidale nella quale sia possibile vivere insieme.

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Conclusioni: che fare

Da questa prima analisi osservazione dei Piani Sociali di Zona della regione Lazio, emerge in maniera del tutto evidente che finora la riforma del sistema delle politiche sociali ha riguardato principalmente il tema dei servizi socio-sanitari. Mentre risulta ancora in parte (o del tutto) inesplorata quella parte di servizi sociali dove gli elementi geo-comunitari, di governance e di nuova composizione sociale concorrono a definire le piste di lavoro per un welfare locale sostenibile.

Detto altrimenti, la ricognizione sui Piani Sociali di Zona, per quanto limitata all’analisi di pochi indicatori a bassa soglia, tratteggia il profilo di una riforma che può dirsi avviata - e anche con un certo successo - per quanto attiene agli aspetti dei servizi strutturali a carattere socio-sanitario.

Decisamente più problematica, invece, si presenta la situazione se si cerca di cogliere un sistema di politiche sociali in grado di coniugare crescita econo-mica, coesione sociale, innovazione e sostenibilità e cioè un sistema dedicato alle coordinate del welfare di comunità.

Sono 13 in Italia le regioni e province autonome che hanno emanato una legge di riordino dei servizi sociali a partire dal 2001. I motivi che giustificano la produzione legislativa hanno a che vedere sia con la 328/2000 sia con la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) che attribuisce alle Regioni la competenza in materia di politiche sociali (facendo quindi venir meno il carat-tere vincolante della 328/2000 nei confronti della disciplina regionale).41

41 Con la riforma del Titolo V della parte della Costituzione, la voce “beneficenza pubblica” scompare dall’elenco delle materie di competenza concorrente e i servizi sociali vengono unanimemente

Conclusioni: che fare

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Anche nel Lazio si stanno discutendo i caratteri ed i contenuti di una legge di riordino dei servizi e delle politiche sociali. La Commissione Consi-liare Politiche Sociali della Regione Lazio ha elaborato un testo unificato di proposta di legge regionale per il “Sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali” che dai primi di maggio di quest’anno ha iniziato il suo iter di approvazione.

In attesa dei nuovi riferimenti legislativi, nel 2008 la Regione ha elaborato “Le linee guida ai Comuni per l’utilizzazione delle risorse per il sistema integrato regionale di interventi e servizi sociali”. Le linee di indirizzo sono finalizzate a dare continuità e a perfezionare i processi di pianificazione e gestione dei ser-vizi sociali e assistenziali territoriali. La programmazione regionale promuove azioni volte a:1. riordinare progressivamente la rete territoriale dei servizi sociali in un’otti-

ca di integrazione tra gli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari;2. completare la distrettualizzazione della rete dei servizi, con particolare

riferimento alle esigenze dei piccoli comuni;

considerati una delle poche materie di sicura competenza residuale delle Regioni. Ciò significa che in questo campo le leggi regionali non sono tenute al rispetto dei principi fondamentali dettati dallo Stato e, in particolare, a quel quadro di riferimento tanto atteso che al legge 328/2000 aveva delineato. All’esclusività regionale di dominare la materia dei servizi sociali vi è un’eccezione, rappresentata dai livelli esenziali concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti uniformemente su tutto il territorio nazionale e per la determinazione dei quali lo Stato detiene potestà legislativa esclusiva (art. 117, c 2, lett. m) della Costituzione). A tale proposito, però, è importante sottolineare che ormai a otto anni di distanza dalla riforma costituzionale, non si sia giunti ad alcuna forma di definizione dei livelli essenziali in materia di assistenza sociale che la legge dello Stato, secondo la Costituzione deve garantire “su tutto il territorio nazionale”. Ulteriori ritardi nella definizione dei livelli essenziali da parte del legislatore nazionale rischia di aprire le porte ad una nuova fase di frammentazione del sistema di welfare nazionale. Le Regioni che si sono dotate di proprie leggi sull’assistenza hanno cercato di colmare l’inerzia statale prevedendo all’interno dei singoli testi normativi disposizioni dedicate ai livelli essenziali e cercando di tipizzare le tipologie di prestazioni annoverate al loro interno (Cfr. Gualdani A., Tutela e obblighi delle istituzioni: perché i diritti siano esigibili, in Costa G., a cura di, La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a confronto, Bruno Mondadori, Milano, 2009: 21-47; Pesaresi F., La normativa statale e regionale sui livelli essenziali, in Ranci Ortigosa E., a cura di, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, in “Quid”, supplemento al n. 10/2008 di “Prospettive sociali e sanitarie”; Paris D., Il ruolo delle Regioni nell’organizzazione dei servizi sanitari a sociali a sei anni dalla riforma del Titolo V: ripartizio-ne delle competenze e attuazione del principio di sussidiarietà, in “Le Regioni”, 2007, n. 6: 983-1024; Saraceno C., I livelli essenziali di assistenza nell’assetto federale italiano, in “Reforme”, Federalismo 2006. Il federalismo in Italia: elementi di discussione, 2006: 165-191, www.reforme.it/federalismo/RAPPORTO_2006_ completo.pdf ).

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Conclusioni: che fare

3. realizzare un “Sistema di qualità sociale”, inteso come insieme di regole, procedure, incentivi atti ad assicurare che gli interventi ed i servizi sociali siano adeguati ai bisogni;

4. ricondurre in un unico sistema la pianificazione settoriale e le relative risorse, privilegiando la dimensione distrettuale.Per il futuro, si auspica che la nuova legge regionale possa effettivamente

aprire una nuova stagione per il welfare del Lazio che consenta di:• far perno sulla effettiva partecipazione e attivazione di tutte le risorse

territoriali, declinando in modo nuovo il rapporto tra istituzioni e citta-dini, riconoscendo i diritti dei cittadini nel campo dell’assistenza, della promozione sociale, dell’uguaglianza e valorizzando le professionalità e le responsabilità degli operatori del settore;

• prevedere le garanzie per l’effettivo rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale (di cui all’articolo 118 della Costituzione), attraverso una chiara definizione delle responsabilità, delle funzioni e dei ruoli di tutti i soggetti interessati (stakeholders) - dalle istituzioni, alle organizzazioni della società civile, agli ordini professionali, ai singoli cittadini - nella pro-grammazione e nel coordinamento delle politiche sociali integrate a livello regionale e distrettuale;

• guardare alle politiche sociali come ad una infrastruttura sociale necessaria non solo per garantire, localmente, coesione sociale e benessere alle per-sone, ma anche autentico sviluppo. Come le altre politiche, infatti, quelle sociali sono generatrici di uno sviluppo economico, potenziale di impresa e di incremento della base occupazionale. In particolare, i servizi sociali producono saperi, attivano essi stessi l’economia e l’occupazione, rendono fruibili risorse altrimenti non utilizzabili e sono un contesto e strumento di governance territoriale.Le trasformazioni in atto nella società, il sistema economico-produttivo

mutato, la scomparsa della grande azienda con le produzioni di massa, un mercato del lavoro centrato sulla flessibilità ma ancor più sulla precarietà, i mutamenti significativi della famiglia, la transizione alla vita adulta autonoma spostata in avanti così come l’ingresso nel mercato del lavoro, una maggiore partecipazione delle donne in esso, una ridotta fertilità, l’invecchiamento della popolazione e il rapido aumento delle prime e seconde generazioni di popolazioni straniere immigrate, inducono a pensare che non sia possibile

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mantenere il vecchio sistema di welfare prestazionistico ed assistenziale, basa-to su un sistema socio-economico proprio della società fordista, ma che si imponga la necessità di una sua rifondazione.

In sintesi, si tratta di lavorare per giungere ad una nuova idea di benessere e per sostituire all’idea della riparazione quella della reciproca assicurazione all’interno di una comunità coesa, solidale, responsabile e consapevole.

L’ipotesi è quella di un nuovo welfare che sappia promuovere la partecipa-zione e il protagonismo degli attori sociali del territorio, l’ampliamento dei diritti di cittadinanza, generare nuove risorse, essere agente di cambiamento e di nuova socialità grazie a politiche sociali che devono poter intervenire sul disagio estremo, ma anche sul terreno della vulnerabilità (in cui oggi si trova una larga fascia del lavoro sia autonomo che dipendente) con misure a carat-tere preventivo, di arricchimento e partecipazione attiva dei cittadini, non solo beneficiari, ma quanto più possibile co-protagonisti (in quanto titolari di diritti, soggetti attivi, propositivi e con capacità di autorganizzazione).

Si dovrebbero cioè mettere in campo politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità e alla povertà, lanciando una sfida anche ambiziosa per un rin-novamento e ampliamento del welfare locale, per sperimentare – valorizzan-do, attraverso il principio della sussidiarietà, il ruolo, i saperi e le risorse dei territori, degli attori sociali, degli uffici di piano - nuove innovative misure, quali il micro-credito, l’asset building, il sostegno al consumo critico e respon-sabile, le politiche attive del lavoro, dell’istruzione e dell’educazione degli adulti, della salute e della casa. Interventi che siano in grado di fronteggiare e intervenire sui nuovi bisogni, sulle condizioni di vulnerabilità e fragilità che colpiscono le persone, con un investimento sulla capacità di recuperare il carattere relazionale del nostro sistema di welfare, sull’attività ricostruttiva dei legami sociali per contrastare la solitudine e l’individualismo consumistico, riscoprendo e rilanciando, dentro e a partire dalle comunità locali, una nuova moderna idea di mutualità e reciprocità.

Ma, un nuovo sistema di welfare locale innovativo può solo affermasi con una partecipazione attiva dei cittadini, degli attori sociali, economici e cultu-rali locali, con l’assumere una nuova e rinnovata responsabilità pubblica degli amministratori locali.

Un nuovo welfare locale comunitario può realizzarsi attraverso quel patto locale che viene stretto nella comunità dai suoi vari attori istituzionali e

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sociali per il benessere della comunità tutta, per l’inclusione e integrazione, quale dovrebbe essere il Piano Sociale di Zona. Si tratta di puntare sulla realizzazione di strategie territoriali integrate: piani di azione a medio-lungo termine con cui accostarsi alle questioni sociali, facendo perno sui territori e promuovendo l’integrazione, ovvero selezionando sul territorio le risorse attivabili e le condizioni migliori per l’attuazione degli interventi nel supera-mento delle logiche dell’emergenza e dell’assistenzialismo. Il Libro Bianco sul futuro del modello sociale – La vita buona nella società attiva” del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (2009), la costruzione di un nuovo welfare comunitario (pag. 32)

… comporta necessariamente la scelta del territorio quale ambito più ido-neo a realizzare risposte integrate e quanto più preventive ai bisogni attuali e potenziali della persona, valorizzando i corpi intermedi e gli altri attori della comunità locale. È nel territorio che si integrano le politiche rivolte a garantire la continua occupabilità delle persone prevenendo così l’esclusione dal mercato del lavoro. È nel territorio che si sviluppano i servizi socio-sa-nitari rivolti alla prevenzione, alla diagnostica precoce, alle cure primarie, all’assistenza domiciliare. È nel territorio che si realizzano i servizi di cura per sostenere la natalità, le azioni personalizzate per contrastare la povertà, le politiche per promuovere l’integrazione della immigrazione, a partire dai minori. È sempre nel territorio che vive la famiglia, si esprimono le migliori energie sociali come il volontariato, si realizzano le nuove relazioni indu-striali di tipo cooperativo e i loro organismi bilaterali.

In questa prospettiva, è evidente che il monitoraggio dei Piani Sociali di Zona mette in luce alcune questioni, anche politiche, di diversa natura sui cui sarebbe importante approfondire il dibattito e orientare le nuove politiche di welfare locale:• l’approccio al benessere integrale delle persone, delle famiglie e dei gruppi

in modo da garantire una valutazione multi-dimensionale dei loro bisogni e un sistema (multi-dimensionale) integrato delle risposte e dei processi di inclusione;

• i livelli essenziali delle prestazioni (LIVEAS) e la reale esigibilità dei diritti e dell’accesso ai servizi da parte dei cittadini (da esercitare anche attraverso la via giurisdizionale, gli specifici strumenti di tutela previsti dalla Carta

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dei servizi sociali, i tavoli di conciliazione, etc.) in rapporto alla questione delle risorse economiche disponibili. È possibile garantire un quadro di certezze ai diritti dei cittadini e delle loro famiglie in campo sociale che sia “svincolato” dalle compatibilità finanziarie, che non sia costruito in base al principio dell’”universalismo selettivo”?42 Perché si possa parlare di diritti degli utenti alle prestazioni sociali e di una loro esigibilità, è necessario che sia predisposto e operativo un sistema globale che, oltre a riconoscerli e a prevederli, classifichi la natura delle posizioni soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi) e disciplini nel dettaglio i contenuti delle prestazioni, i compiti e le competenze dei vari soggetti. In tal senso, un ruolo di rilievo può essere certamente svolto da una programmazione “strategica e parte-cipata” (Piano regionale sociale e Piani Sociali di Zona) che sia in grado di definire regole certe per l’offerta dei servizi, cioè dei “protocolli” standard

42 Il principio dell’universalismo selettivo afferma l’idea secondo cui la modernizzazione in senso non categoriale del welfare state italiano non può prescindere dal rispetto degli equilibri finanziari ed è quindi opportuno si realizzi attraverso riforme ispirate a una scelta equilibrata tra universalismo dei diritti, quanto a individuazione della platea dei beneficiari, e selettività in base alla condizione economica, quanto a livelli di erogazione delle prestazioni o grado di compartecipazione alla spesa. Il principio dell’universalismo selettivo, emerso come orientamento di fondo della Commissione Onofri del 1996, ha fatto da bussola alla riforma delle politiche assistenziali avviata alla fine del decennio scorso dai governi di centrosinistra e ha trovato la sua più recente applicazione nell’intro-duzione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), il nuovo metro di valutazione della condizione economica dei beneficiari di prestazioni sociali agevolate. Il nuovo indicatore, che rileva reddito e patrimonio su base familiare, ha innovato profondamente i criteri di selettività pre-esistenti, basati su un metro individuale e reddituale, il reddito complessivo Irpef, e quindi poco in grado di rispecchiare l’effettivo benessere economico, a causa dei problemi di erosione ed evasione della base imponibile dell’imposta personale sul reddito. Il Libro Bianco sul futuro del modello sociale – La vita buona nella società attiva” del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (Roma, 2009) aderisce al principio dell’universalismo selettivo, ma non offre un preciso quadro di interventi e impegni programmatici (Toso S., Pagine bianche nel libro bianco, 19 maggio 2009, www.lavoce.info/articoli/ pagina1001121.html).

La questione della penuria delle risorse economiche interessa da sempre l’area dei servizi sociali e a questa oggi si lega l’imminente attuazione del federalismo fiscale, in base al quale le Regioni e i Comuni saranno costretti a scegliere tra standard qualitativi e quantitativi di prestazioni socio-assi-stenziali e sanitarie e il ricorso a livelli aggiuntivi di pressione fiscale (art. 119 della Costituzione). A ciò si aggiunge che la tendenza dominante negli ultimi anni (a partire dal 2003) è stata quella di diminuire i trasferimenti di risorse dallo Stato alle Regioni e di tagliare la quantità di risorse da destinare al Fondo per le politiche sociali. In questa situazione, e in assenza di una determinazione dei livelli essenziali da parte dello Stato, si corre il rischio reale che le Regioni, nell’ambito della loro autonomia, possano originare welfare assistenziali (selettivi) diversi, non sempre idonei a fornire adeguate risposte ai bisogni sociali.

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Conclusioni: che fare

e/o dei parametri fissi di garanzia a cui poi si dovrebbero attenere i soggetti pubblici e privati erogatori dei servizi;

• se l’obiettivo è il reale superamento del mero approccio socio-sanitario a favore di un approccio intersettoriale dell’intervento sociale, si apre il tema della definizione delle modalità di integrazione delle politiche sociali con quelle sanitarie, educative, per il lavoro, la formazione professionale, la casa, l’ambiente, la sicurezza, i trasporti, lo sport e il tempo libero, etc., nonché con altri interventi finalizzati al benessere della persona e alla pre-venzione del disagio sociale, avendo presente che l’integrazione implica, oltre ad una dimensione istituzionale, con l’integrazione di diversi asses-sorati, anche una dimensione economico-finanziaria, con l’integrazione di differenti fonti di finanziamento, e una dimensione tecnico-professionale, con l’interazione tra le diverse professionalità coinvolte nelle politiche. A tale proposito, sarebbe importante che una comunità locale, così come oggi ha il suo Comune, campanile, caserma dei carabinieri, pronto soc-corso, avesse anche un “nodo” (visibile e riconosciuto) della rete degli interventi e dei servizi per il benessere collettivo;

• gli attori istituzionali, sociali e professionali del sistema, la governance mul-tilivello (fra più livelli della filiera istituzionale) e multiagente (fra agenzie pubbliche e organizzazioni del volontariato, del Terzo settore o private, ma anche fra agenzie pubbliche di pari livello e diverso settore) e la program-mazione congiunta a livello regionale (Piano regionale sociale) e territoriale (Piani Sociali di Zona), con particolare attenzione al tema della partecipa-zione: chi è titolato a partecipare? con quale rappresentanza? a quali fasi del processo partecipativo? con quali poteri? con quali risorse? con quali garanzie di espressione delle proprie istanze? C’è la necessità di indicazioni di metodo e di processo sia per la consultazione sia per la co-progettazione. Il richiamo al principio di “sussidiarietà orizzontale” ha senso solo se è lega-to al coinvolgimento pro-attivo delle diverse articolazioni della società civile non solo (e non tanto) nella fornitura dei servizi, ma anche nella elaborazio-ne dei programmi, cioè nel processo decisionale e di governance del sistema. Occorre arrivare a definire procedure e regole certe di istituzionalizzazione della partecipazione che possano consentire un ampio contributo da parte delle organizzazioni di volontariato nei diversi momenti e tavoli decisionali, anche in termini di partecipazione diretta ai tavoli tematici, individuando

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forme concrete di coinvolgimento, evitando che partecipino solo i soggetti del Terzo settore che gestiscono i servizi. Questa è la strada per aumentare il controllo democratico e la legittimità delle scelte (come opportunità di democratizzazione del policy making) e, allo stesso tempo, rendere i servizi e gli interventi pubblici più rispondenti ai bisogni della cittadinanza e più flessibili ai mutamenti, guadagnando in efficacia. Da questo punto di vista, per la programmazione partecipata regionale e distrettuale si potrebbero anche valorizzare sia la Conferenza Regionale del Volontariato sia il Comitato Regionale degli Utenti e Consumatori. Certamente, molto si giocherà sul piano organizzativo, e dirimenti saranno le modalità con cui il legislatore regionale vincolerà l’agire e il coordinamento degli attori coinvolti nelle relazioni di servizio attraverso la definizione di riferimenti certi sugli oggetti della programmazione e sui diritti garantiti (livelli essenziali di assistenza) e prevedrà modalità, strumenti, criteri e condizioni per promuovere il coin-volgimento e la valorizzazione della pluralità di risorse, anche informali e potenziali presenti sul territorio (anche attraverso il supporto e l’attività di animazione dei Centri di Servizio del Volontariato);

• la definizione delle dotazioni minime necessarie degli uffici di piano e dei servizi sociali distrettuali in termini di competenze e di ruoli professio-nali (definizione delle piante organiche) in rapporto alla popolazione e all’utenza presente sul territorio;

• la definizione di percorsi e opportunità per la formazione, la riqualificazione e l’aggiornamento professionale degli operatori del sociale e degli ammini-stratori (assessori alle politiche sociali e dirigenti degli enti locali) in modo d assicurare uno stretto collegamento tra processi formativi e le attività di intervento nei territori locali e, quindi, sui servizi alla persona. Un operatore competente e motivato deve essere adeguatamente selezionato e preparato, posto in una condizione di lavoro “sana”: ciò significa certezza di applicazio-ne dei contratti collettivi nazionali di lavoro e il rispetto del D.lgs. 626/94 sulla sicurezza dei lavoratori, ma anche garanzia di poter investire sulla qualità del lavoro, che significa stabilità, retribuzione adeguata, carichi di lavoro sostenibili, formazione e soprattutto tempo e strumenti per pensare, confrontarsi, conoscersi e capire i contesti individuali e sociali in cui avviene l’attività dell’operatore e del servizio. Si tratta, quindi, di prevedere anche dei percorsi formativi finalizzati allo sviluppo delle competenze di lettura del

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contesto, di rilevazione dei bisogni e di promozione e sostegno della parteci-pazione, co-programmazione, monitoraggio e valutazione territoriale;

• l’informazione, il sistema informativo, le procedure e i sistemi di monito-raggio e valutazione periodica delle politiche, degli interventi e dei Piani Sociali di Zona (sulla base di indicatori di realizzazione e di risultato), definendo anche le modalità e procedure di partecipazione delle orga-nizzazioni del volontariato, degli utenti e/o dei familiari dei medesimi e dei consumatori al controllo della qualità dei servizi e degli interventi del sistema integrato sociale. Informazione, monitoraggio e valutazione sono strumenti decisivi per il processo di programmazione di un sistema di ser-vizi che si vuole efficiente, efficace e trasparente, cioè in grado di soddisfare i bisogni sociali del territorio e, al tempo stesso, evitare lo sfruttamento e la precarietà dei lavoratori, gli sprechi, le collusioni e i clientelismi.43

Queste questioni dovrebbero essere discusse seriamente nel corso dell’iter di approvazione della nuova legge regionale sul sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali, trovando soluzioni adeguate e condivise.

Se si osserva cosa si sta facendo in altri contesti regionali sul tema delle politiche sociali, emerge l’opportunità di avviare nel Lazio la sperimentazione di un sistema di monitoraggio e valutazione delle politiche sociali con finalità

43 Il “Secondo Rapporto su Enti locali e Terzo settore” dell’Auser, presentato a Roma il 12 maggio 2009, evidenzia che, a fronte dei vincoli introdotti dalle recenti Leggi Finanziarie in materia di personale delle pubbliche amministrazioni, cresce la domanda di assistenza nei Comuni capoluogo di pro-vincia e in quelli con popolazione superiore ai 30 mila abitanti, che in misura sempre più crescente affidano all’esterno (cooperative sociali e altre organizzazioni del Terzo settore), la gestione dei servizi socio-assistenziali e alla persona (nel 2007 il 47,4% della spesa finalizzata all’assistenza, spesso assegnata per affidamento diretto o con selezioni “ristrette”, cioè con procedure discrezio-nali, negoziate e a licitazione privata, ma anche al massimo ribasso. A tale proposito, il Rapporto sottolinea alcune rilevanti criticità di questa crescita nell’esternalizzazione dei servizi:

• disparità nel trattamento del personale (non solo sul piano economico, ma anche su quelli relativi alla sicurezza sul lavoro, all’antinfortunistica, alla tutela del lavoro);

• disparità negli standard di qualità delle prestazioni erogate;• vistose carenze nella programmazione sociale e nei sistemi di controllo delle attività “affidate”

all’esterno. Più in generale, il Rapporto evidenzia che i Comuni, a fronte della complessa articolazione della

rete dei soggetti che gestiscono o si occupano dei servizi alla persona (personale comunale e di organismi sovracomunali, imprese sociali, associazioni, altri soggetti, assistenti familiari, etc.) non sono ancora riusciti a creare un sistema di regole certe e trasparenti in grado di consentire a questi organismi di erogare prestazioni di qualità e di svolgere ruoli importanti nella programmazione sociale oppure nella effettiva applicazione del principio di “sussidiarietà orizzontale”.

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di supporto alla programmazione distrettuale sociale e socio-sanitaria regionale e distrettuale.

In primo luogo, emerge la necessità di ricostruire un quadro complessivo della spesa sociale e socio-sanitaria dei soggetti del territorio. In questa prospettiva, l’azione di monitoraggio promossa dalla Casa dei Diritti Sociali-FOCUS coglie, come si è detto, solo una parte delle risorse destinate a finalità sociali e socio-assistenziali. Da qui, la necessità di implementare un sistema infor-mativo che sia in grado di aggregare le diverse fonti informative e i centri di spesa in modo da pervenire ad un’analisi dei flussi economici per le politiche di promozione delle coesione sociale nei territori corredata dalla ripartizione per ambiti di intervento.

Un secondo asse di lavoro per un sistema di monitoraggio e valutazione delle politiche sociali, va riferito ai temi della geo-comunità ed in particolare indiriz-zato a far emergere le disuguaglianze economiche e sociali presenti all’interno del contesto regionale così da quantificare e qualificare il sistema distributivo delle risorse economiche a disposizione. Si tratta di partire dall’analisi di dati quantitativi e qualitativi, assumendo come riferimento, per quanto possibile, gli “indicatori di coesione e qualità sociale” elaborati in sede di Unione Europea (ad esempio, dalla European Foundation on Social Quality - www.social-quality.nl), che riguardano il benessere (non solo economico), l’integrazione sociale, il grado di apertura di una comunità e società, il grado - e le effettive politiche - di eguaglianza dei punti di partenza, lo sviluppo delle capacità per la “libertà di essere e fare”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di arrivare a costruire i “profili delle comunità” (vedi scheda nell’Allegato 3), identificando le peculiarità strutturali territoriali, i punti rilevanti che la programmazione sociale e socio-sanitaria deve affrontare, i bisogni e le tendenze dello sviluppo demografico, sociale, economico, ambientale, culturale, etc. dei diversi ter-ritori/distretti socio-sanitari. Il “profilo di comunità” aumenta la conoscenza della comunità locale, dei propri bisogni, ma anche delle proprie risorse, in quanto soggetto portatore di bisogni, ma anche di soluzioni. Attraverso una lettura ragionata e partecipata dei bisogni di salute e di benessere della popo-lazione può divenire strumento di supporto nella individuazione delle criti-cità e delle priorità da considerare all’interno della programmazione e delle

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Conclusioni: che fare

politiche territoriali sociali, socio-sanitarie e sanitarie. Una lettura partecipata e “dal basso” nel senso che si fonda sui contributi conoscitivi e relazionali dei diversi attori, pubblici e delle società civile, impegnati sui temi della coesione sociale: istituzioni locali, altre istituzioni pubbliche, associazioni, soggetti della società civile. L’elaborazione del “profilo” può contribuire al concreto “farsi comunità” dei territori (i 55 distretti socio-sanitari del Lazio), pro-muovendo la conoscenza reciproca, la visibilità delle politiche e dei progetti, l’apprendimento comune di categorie concettuali e di linguaggi, lo scambio di esperienze e di “buone pratiche”, la progettualità condivisa.

Il terzo asse è relativo alla costruzione di una mappa delle povertà ovvero alla strutturazione delle basi informative e culturali per stimolare e incentivare nuove politiche di inclusione sociale, culturale e lavorativa delle persone in stato di difficoltà e nuovi percorsi di lotta alla povertà (modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, reddito minimo garantito di cittadinanza o di inserimento, politiche attive per l’inserimento lavorativo, eliminazione della povertà infantile,garanzia di un alloggio dignitoso, etc.). L’esclusione sociale, la fragilità/rottura dei legami sociali, la scarsità di capitale sociale sono le coordinate all’interno delle quali si iscrive la categoria delle “nuove povertà” che evidenzia la presenza nel corpo sociale di un insieme eterogeneo di situazioni di disagio, fragilità e marginalità (malattia mentale, precarie condizioni di salute, mancanza o insalubrità dell’alloggio, tossicodipendenza, fragilità relazionale, emarginazione adulta grave, prostituzione, etc.), le quali si intrecciano (anche se non sempre) con la dura e materiale condizione di deprivazione di risorse economiche (disoccupazione, precarietà occupaziona-le, etc.). L’insicurezza (nella vita, nel lavoro, nella famiglia, nella salute, …) è ciò che accomuna, dal punto di vista soggettivo i “nuovi poveri”:44 si diffonde il rischio di trovarsi in una condizione contraddistinta dalla vulnerabilità, dopo aver conosciuto la stabilità e un insieme di certezze. Nei processi di riduzione del welfare e di mobilità sociale discendente, di fronte ai quali oggi ci troviamo, nessuno può dirsi sicuro del proprio futuro. I servizi socio-assistenziali devono confrontarsi con questo sempre più ampio nuovo pub-

44 Cfr. Bauman Z., Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari, 2001; Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002; Vita liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006; Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari, 2005; Beck U., La società del rischio, Carocci, Roma, 2000.

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blico che rappresenta un’utenza dai confini incerti e porosi, sempre a rischio d’invisibilità (e quindi di non essere intercettata dal welfare pubblico locale), perchè non più definita solo da una mancanza specifica che non le consente la sopravvivenza economica e la riproduzione biologica (povertà assoluta), ma da una multidimensionalità del problema che si dilata dentro gli ambiti relazionali, culturali ed identitari. La mancanza di riferimenti ideali, il venir meno delle forme più secolarizzate di solidarietà, l’erosione delle identità pri-marie fondate “sul sangue e sul suolo”, il senso di solitudine, la competizione sulle risorse relazionali…, sono questi alcuni degli altri aspetti che concorro-no a comporre le nuove forme del disagio e dell’insicurezza, cioè delle nuove povertà. Ne deriva una condizione esistenziale contraddistinta dall’emergere di aspetti ansiogeni-compulsivi che si compensano attraverso la ricerca di risposte individuali in termini di un ampliamento dei consumi (di paura, di produzione del corpo, di status, etc.), di perimetrazione “del proprio spazio” e di ri-elaborazione di identità semplificate agite dentro la metafora “amico/nemico”. La produzione e il mercato di risposte individuali a problemi gene-rali configura una società sempre più anomica, sola e indifferente ai destini degli altri e che è, al contempo, incapace di produrre quei beni relazionali – come la fiducia – che sono alla base non solo della convivenza civile, ma anche dei processi di natura economica ed imprenditoriale. La povertà non è più solo “fuori” o ai “margini”, ma si situa sempre più “dentro” al sistema socio-economico. In questo senso, il profilo dei nuovi utenti dei servizi pub-blici e delle strutture del privato sociale differisce profondamente da quello conosciuto nella fase precedente della storia dell’assistenza, quando si trattava di prendere in carico coloro che erano rimasti ai margini di un ampio svilup-po socio-economico e che costituivano gruppi-target omogenei, definiti da un rischio, da un “bisogno qualificato” o da una mancanza specifica. Di fronte al deficit di cittadinanza dei nuovi poveri e alla multidimensionalità e cumu-latività dei loro problemi,45 la logica categoriale delle politiche settoriali, caratterizzante un modello di welfare locale “classico”, non può che affrontare

45 Per un approccio innovativo che riconosce la multidimensionalità del fenomeno, si veda l’indagine “Povertà e indebitamento delle famiglie nel Lazio”, realizzata nel 2008 dai ricercatori dell’ERG (Eva-luation Research Group) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, nell’am-bito dell’accordo con l’Assessorato alla Tutela dei consumatori e semplificazione amministrativa della Regione Lazio per la realizzazione dell’Osservatorio per la valutazione e la qualità dei servizi regionali.

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Conclusioni: che fare

un problema alla volta, fornendo una risposta parziale a una situazione critica e rinviando la persona da un servizio all’altro. Non a caso, gli stessi servizi, in questi anni, sono stati accusati di rinforzare i processi di marginalizzazione e paradossalmente di produrre nuove situazioni critiche di bisogno (dipenden-za dall’assistenza).

Frammentare i bisogni della persona e le risposte del Welfare a questi bi-sogni appartiene a una logica del passato. Una logica assistenzialistica che alimenta i fattori di disuguaglianza sociale e che, da tempo, non trova più rispondenza rispetto ai nuovi modelli organizzativi della società, della economia e del lavoro. […] L’integrazione socio-sanitario-assistenziale è il principio cardine per garantire il passaggio da un Welfare assistenziale a un Welfare delle responsabilità condivise. Politiche integrate sulla vita agevo-lano il passaggio da una off erta settoriale a una off erta di interventi rivolti alla persona e alla famiglia, sostenendo le fragilità, favorendo lo sviluppo di capacità individuali e la promozione di reti di relazioni.46

C’è l’urgenza, quindi, di pensare a nuove politiche specifiche di inclusione sociale, incentrate sulla bassa soglia, l’ascolto e un approccio olistico e inte-grato al benessere globale delle persone che sia in grado di tutelarne la dignità (evitandone la stigmatizazione) e di promuovere percorsi personalizzati di “capacitazione” e di accompagnamento sociale alla cittadinanza.

Il quarto asse è relativo ad un monitoraggio e una valutazione dei Piani Sociali di Zona, con l’obiettivo di accompagnare, far crescere e valorizzare tutte quelle esperienze di “sussidiarietà orizzontale” capaci di essere delle vere e proprie “coalizioni territoriali per le politiche sociali”, dei sistemi territoriali di governance che si prefiggono di raggiungere più alti livelli di coesione sociale (e di welfare locale) attraverso il sostegno e la promozione di nuove attività per il sociale - progetti innovativi, sperimentazioni e best practices di mutualità, auto-aiuto, reciprocità e solidarietà - che vedano il coinvolgimento attivo (anche riguardo al reperimento di risorse aggiuntive rintracciabili sul territorio o ad altro livello) di attori pubblici e privati dell’area: non solo gli assessorati comunali/

46 Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Libro Bianco sul futuro del modello sociale – La vita buona nella società attiva”, Roma, 2009:31-32; 34, www.lavoro.gov.it

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

provinciali/regionali competenti le Organizzazioni di Volontariato e tutta la variegata galassia che agisce sotto l’etichetta del Terzo settore o no-profit, ma anche le autonomie funzionali (a cominciare dalle Camere di Commercio), le fondazioni di origine bancaria, le rappresentanze degli interessi e gli impren-ditori - più sensibili - operanti in comparti produttivi ed intenzionati ad inve-stire in questo segmento in una logica di responsabilità sociale dell’impresa47.

47 Si consideri, ad esempio, che la legge regionale della Toscana, dopo aver descritto il procedimento per l’approvazione del Piano Sociale di Zona, prevede, all’art. 32, la possibilità di ricorrere alla “contrattazione negoziata” per la costruzione di “patti per la costruzione di reti di solidarietà locale”, coinvolgendo così attori privati tra cui i sindacati, il terzo settore, le categorie economiche, per la “promozione dello sviluppo sociale e della coesione sociale”. D’altra parte l’art. 3 c. 3 della 328/2000 prevede istituti di programmazione negoziata, che consentono ai soggetti istituzionali di ricorrere a forme di concertazione con soggetti privati, come l’accorso di programma quadro e il patto ter-ritoriale.

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Mappe territoriali

Al fine di supportare le attività di analisi e valutazione prodotte per il presente Rapporto, è stata predisposta una serie di mappature relative al territorio regionale. Attraverso i cartogrammi è possibile ottenere un’imme-diata rappresentazione delle diverse caratteristiche socio-economiche, della distribuzione dell’offerta attuale di servizi socio-sanitari e dell’utenza ad essa afferente. I cartogrammi qui presentati, inusuali nella letteratura recente, oltre a facilitare la comprensione del trinomio benessere, territorio e reti della solidarietà, è un necessario (e non tardivo) stimolo a sensibilizzare operatori “territoriali” a leggere il territorio in cui operano. Dagli anni ’90, sull’onda della globalizzazione planetaria ci si è dimenticati della geografia. Le caratteri-stiche, le preesistenze, le risorse, i limiti del territorio riemergono con tutto il loro peso nella crisi in corso. Cultura, tradizioni, usi, beni comuni, istituzioni e diritti non sono ugualmente presenti dappertutto.

Partendo da una base relativa ai comuni laziali, sono state costruiti i poligoni che rappresentano i territori di riferimento per ciascun distretto socio-sanitario. Per i distretti relativi al comune di Roma, invece, sono stati ricostruiti i singoli municipi. A seconda della disponibilità delle diverse varia-bili, le mappe fanno riferimento a:• una partizione per distretto, che riporta i perimetri dei 55 distretti;• una vista di dettaglio per i municipi del comune di Roma;• una partizione per distretto con sottoarticolazione comunale.

Accanto ad esse, inoltre, è stata approntata una base cartografica di tipo puntuale associata alla posizione dei comuni capofila per ciascun distretto (ad eccezione di quelli riconducibili ai municipi di Roma).

In genere, ciascuna cartografia contiene due rappresentazioni rispettiva-mente dedicate ad una variabile espressa in valore assoluto associata ai punti

Mappe territoriali

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

(ad es., la popolazione sopra i 64 anni di età) e ad una variabile espressa in forma relativa associata ai poligoni (per es., l’indice di vecchiaia). Le variabili assolute sono visualizzate attraverso simboli scalari che variano di dimensione in funzione della variabile stessa, mentre quelle relative sono articolate secon-do un tematismo per classi d’intervallo, con toni di colore via via più chiari al diminuire del valore dell’indicatore.

Le tavole, quindi, evidenziano:• una rappresentazione per classi, nella quale è possibile percepire la distri-

buzione territoriale del fenomeno per mezzo dei 5 toni di colore associati al poligono/DSS (o al comune nel caso sia presente il dettaglio);

• una rappresentazione scalare dei dati attraverso la quale le icone posiziona-te sul centroide del comune capofila sono dimensionate proporzionalmen-te alla dimensione della variabile presa in considerazione;

• una rappresentazione mista nella quale i simboli scalari, oltre ad essere dimensionati come nel punto precedente, evidenziano la distribuzione percentuale tra diverse modalità della variabile associata.Le fonti dei dati utilizzate per la costruzione del database georeferenziato

sono le seguenti: a. per la parte demografica e socio-economica le rilevazioni Istat: riguardano

la popolazione residente, gli stranieri, il saldo naturale ed il movimento migratorio gli indicatori sintetici sull’età della popolazione (indice di vec-chiaia – rapporto tra la popolazione con oltre 64 anni e quella fino a 14 anni di età per 100 abitanti, Indice di dipendenza – rapporto tra la somma della popolazione fino a 15 anni con la pop. oltre i 64 al numeratore e popolazione compresa tra 15 e 64 anni al denominatore per 100 abitanti). Per alcuni di essi è presente anche il dettaglio intradistrettuale che evidenzia le diverse caratteristiche a livello comunale all’interno di ciascun distretto. I periodi variano tra il 2001 ed il 2008 per le rappresentazioni dinamiche mentre ove possibile quelle statiche fanno riferimento all’ultimo anno disponibile.

b. altre fonti di dati comunali: INPS per quanto riguarda le pensioni, ACI per i dati sul parco circolante, Ministero dell’Economia per il volume sul reddito imponibile.

c. Dal “Primo rapporto sui servizi sociali del Lazio, Regione Lazio, marzo 2009”: indicatori su minori, adulti con disabilità e anziani utenti delle strutture dei, utenti per tipologia di pagamento, utenti dei servizi socio-assistenziali per provenienza. numero di strutture/servizi, personale che opera stabilmente per struttura/servizio, numero di utenti per struttura/

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Mappe territoriali

servizio, personale per 100 utenti, strutture socio-assistenziali che hanno sottoscritto accordi di collaborazione con altri soggetti, strutture per baci-no di utenza. Per questi indicatori la data di riferimento è al 31.12.2006.

d. dai Piani Social di Zona della Regione Lazio, le quantificazioni dei fondi a disposizione degli stessi Strumenti, sia nel valore complessivo che per quelli pro-capite per gli anni 2004 e 2008.

e.Dettaglio Titolo tavola Definizione dati Anno Fonte

Demograficidistretti/municipi Popolazione residente per Distret-

to socio-sanitario e incidenza degli stranieri

Popolazione Residente (numero abitanti)

2008 Istat

Incidenza popolazione straniera residente (stranieri /popolazione residente)

2008 Istat

distretti/municipiDistribuzione della popolazione anziana e dell’indice di vecchiaia per Distretto socio-sanitario

Popolazione Residente con oltre 64 anni di età 2008 Istat

Indice di vecchiaia (Popolazione con oltre 64 anni/ fino a 14 anni di età per 100 abitanti)

2008 Istat

Comuni Distribuzione intradistrettuale dell’indice di vecchiaia

Indice di vecchiaia (Popolazione con oltre 64 anni/ fino a 14 anni di età per 100 abitanti)

2008 Istat

distretti/municipiDistribuzione della popolazione fino a 15 anni ed oltre 64 anni di età e indice di dipendenza per Distretto socio-sanitario

Pop fino a 15 anni e oltre 64 anni di età 2008 Istat

Indice di dipendenza (somma della popolazione fino a 15 anni con la pop. oltre i 64/ popolazione compre-sa tra 15 e 64 anni per 100 abitanti)

2008 Istat

Comuni Distribuzione intradistrettuale dell’indice di dipendenza

Indice di dipendenza (somma della popolazione fino a 15 anni con la pop. oltre i 64/ popolazione compre-sa tra 15 e 64 anni per 100 abitanti)

2008 Istat

distretti/comune di Roma

Dinamica della popolazione resi-dente per Distretto socio-sanitario

Saldo popolazione residente 2001 - 2008

2001-2008 Istat

Tasso medio annuo di variazione dei residenti 2001 - 2008

2001-2008 Istat

distretti/comune di Roma

Movimento naturale della popo-lazione residente per Distretto socio-sanitario

Saldo naturale (somma Nati - morti nel periodo)

2002-2007 Istat

Saldo naturale medio annuo nel periodo

2002-2007 Istat

distretti/comune di Roma

Movimento migratorio della popolazione residente per Distret-to socio-sanitario

Saldo migratorio (somma iscritti - cancellati nel periodo)

2002-2007 Istat

Saldo migratorio medio annuo (iscrit-ti - cancellati nel periodo per anno)

2002-2007 Istat

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

ComuniDistribuzione intradistrettuale della dinamica della popolazione residente

Tasso medio di variazione dei resi-denti

2001-2007 Istat

Dettaglio Titolo tavola Definizione dati Anno Fonte

Caratteristiche degli utenti dei DSS (domanda)

Comuni Distribuzione intradistrettuale degli importi medi delle pensioni Importo medio delle Pensioni 2007 Inps

Distribuzione intradistrettuale della dinamica degli importi delle pensioni

Tasso annuo medio di variazione dell’importo medio delle pensioni

2004-2007 Inps

Pensioni 2007 vecchiaia 2007pensioni (importo medio) 2007 vecchiaia 2007 Inps

Pensioni 2007 superstiti 2007 Inpspensioni (importo medio) 2007 superstiti 2007 Inps

Pensioni 2007 invalidità 2007 Inpspensioni (importo medio) 2007 invalidità 2007 Inps

Comuni Distribuzione intradistrettuale della densità del parco circolante

Parco circolante per 100 abitanti (dettaglio comunale) 2007 ACI

Comuni Distribuzione intradistrettuale della dinamica del parco circolante

Tasso medio annuo di variazione del Parco circolante (dettaglio comunale)

2001-2007 ACI

Comuni Distribuzione intradistrettuale del reddito imponibile Reddito imponibile Pro-capite 2006

Ministero dell’Eco-nomia

ComuniDistribuzione intradistrettuale della dinamica del reddito impo-nibile

Tasso annuo medio di variazion del Reddito imponibile Pro-capite

2001-2006

Ministero dell’Eco-nomia

distretti/municipiMinori che usufruiscono dei servi-zi socio-assistenziali per Distretto socio-sanitario

Minori utenti per 100.000 abitanti

Primo rapporto sui servizi

sociali del Lazio, Regione Lazio, marzo 2009

distretti/municipiAdulti con disabilità che usufrui-scono dei servizi socio-assistenziali per Distretto socio-sanitario

Adulti con disabilità utenti per 100.000 abitanti

distretti/municipiAnziani che usufruiscono dei ser-vizi socio-assistenziali per Distret-to socio-sanitario

Anziani utenti per 100.000 abitanti

distretti/municipiDistribuzione degli utenti dei ser-vizi socio-assistenziali per tipo di pagamento e per Distretto socio-sanitario

Utenti per tipologia di pagamento 2006

distretti/municipiDistribuzione degli utenti dei servizi socio-assistenziali per provenienza e per Distretto socio-sanitario

utenti dei servizi socio-assistenziali per provenienza 2006

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Mappe territoriali

DETTAGLIO Titolo tavola Definizione DATI Anno Fonte

Caratteristiche dei servizi erogati nei DSS (offerta)

distretti/municipi Strutture e personale per Distretto socio-sanitario Numero di strutture/servizi 2006

Primo rapporto sui servizi

sociali del Lazio, Regione Lazio, marzo 2009

Personale che opera stabilmente per struttura/servizio 2006

distretti/municipi Utenti dei servizi socio-assistenzia-li per Distretto socio-sanitario Numero di utenti al 31/12/2006 2006

Utenti per struttura/servizio al 31/12/06 2006

distretti/municipiPersonale per utenti dei servizi socio-assistenziali per Distretto socio-sanitario

Personale per 100 utenti 2006

distretti/municipiStrutture socio-assistenziali che hanno sottoscritto accordi di col-laborazione con altri soggetti per Distretto socio-sanitario

Strutture socio-assistenziali che hanno sottoscritto accordi di collabo-razione con altri soggetti VA

2006

Strutture socio-assistenziali valori % 2006

distretti/municipiStrutture socio-assistenziali per bacino di utenza e per Distretto socio-sanitario

Strutture per bacino di utenza ( Comunale - Sovracomunale - Distrettuale - Provinciale - Regionale - Sovraregionale)

2006

distretti/municipi Piani Sociali di Zona annualità 2008 – distribuzione dei fondi

Fondi Totali del Piano Soc. di Zona\ annualità 2008 2008

Regione Lazio

Fondo Pro cap. 2008 2008

distretti/municipi Piani Sociali di Zona annualità 2004 – distribuzione dei fondi

Fondi Totali del Piano Soc. di Zona\ annualità 2004 2004

Fondo Pro cap. 2004 2004

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

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Mappe territoriali

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

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117

Mappe territoriali

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118

Benessere, territorio e reti della solidarietà

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119

Allegati

Tavola 1 - Regione Lazio – Piani Sociali di Zona annualità 2008. Ambiti territoriali, Abitanti, Fondi totali, Fondo pro capite

Fonte: CDS-Focus, aprile 2009Comune Comune Capofila/

N° ComuniAbitanti Fondi Totali Fondo Pro cap.

A/1 Roma - Mun. 1 122.611 8.063.190,22 65,76

A/2 Roma - Mun. 2 124.897 5.351.659,29 42,85

A/3 Roma - Mun. 3 54.241 4.589.665 84,62

A/4 Roma - Mun. 4 201.971 10.563.005,52 52,30

B/1 Roma - Mun. 5 178.660 8.956.855,94 50,13

B/2 Roma - Mun. 7 120.958 7.784.493,59 64,36

B/3 Roma - Mun. 8 205.532 13.359.577,04 65,00

B/4 Roma - Mun. 10 179.298 10.112.594,43 56,40

C/1 Roma - Mun. 6 124.846 7.724.606,19 61,87

C/2 Roma - Mun. 9 134.078 non inseriti Non disponibile

C/3 Roma - Mun. 11 137.394 4.873.738,93 35,47

C/4 Roma - Mun. 12 164.761 3.298.630,32 20,02

E/1 Roma - Mun. 17 72.231 5.510.096,41 76,28

E2 Roma - Mun. 18 135.981 6.839.618,00 50,30

E/3 Roma - Mun. 19 182.003 10.798.456,24 59,33

E/4 Roma - Mun. 20 142.616 6.327.428,68 44,37

RM D/1 Fiumicino 68.000 1.175.336,00 17,28

D/2 Roma - Mun. 13 205.300 9.935.744,53 48,40

D/3 Roma - Mun. 15 148.473 6.126.403,50 41,26

D/4 Roma - Mun. 16 140.460 8.610.122,05 61,30

RM F/1 Civitavecchia 79.723 1.226.094,59 15,38

(segue)

Allegato 1.Piani Sociali di Zona

Annualità 2008 e 2004

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120

Benessere, territorio e reti della solidarietà

(seguita) Tavola 1 - Regione Lazio – Piani Sociali di Zona annualità 2008. Ambiti territoriali, Abitanti, Fondi totali, Fondo pro capite

Fonte: CDS-Focus, aprile 2009Comune Comune Capofila/

N° ComuniAbitanti Fondi Totali Fondo Pro cap.

RM F/2 Cerveteri-Ladispoli 72.302 685.789,00 9,49

RM F/3 Bracciano 51.281 966.310,24 18,84

RM F/4 Campagnano R. Non disponibile

RM G/1 Monterotondo Non disponibile

RM G/2 Guidonia M. 120.036 1.981.485,20 16,51

RM G/3 Tivoli 78.199 2.248.198,50 28,75

RM G/4 Subiaco Non disponibile

RM G/5 San Vito 72.141 1.228,656,00 Non disponibile

RM G/6 Carpineto 73.823 1.911.390 25,89

RM H/1 Monte Porzio C. 1.074.990,00 Non disponibile

RM H/2 Genzano 102.981 1.537.325,72 14,93

RM H/3 Ciampino Non disponibile

RM H/4 Pomezia 99.914 1.704.400,00 17,06

RM H/5 Velletri Non disponibile

RM H/6 Nettuno Non disponibile

FR/A Alatri 91.149 2.438.828,69 26,76

FR/B Frosinone 184.646 Non disponibile

FR/C Fontana Liri capofila Sora

104.745 non inseriti totali Non disponibile

FR/D Cons. Comunale Cassinate

119.609 2.664.486,40 22,28

APRILIA-CISTERNA Aprilia 112.828 1.387.122,00 12,29

LATINA Latina 160.047 1.988.135,00 12,42

FONDI-TERRACINA Fondi Non è citata nel pdz 1.631.671,00 Non disponibile

FORMIA-GAETA Formia-Gaeta 105.900 1.789.637,61 16,90

MONTI LEPINI Priverno 56.828 Non disponibile

RI/1 Rieti 75.871 6.113.104,03 80,57

RI/2 Poggio Mirteto 32.842 1.254.168,92 38,19

RI/3 Fara Sabina 26.714 solo fondi comuni 2008

Non disponibile

RI/4 Borgorose Non nel pdz 444.520,99 Non disponibile

RI/5 Posta 10.533 392.154,00 37,23

VT/1 Montefiascone Non disponibile

VT/2 Tarquinia Non disponibile

VT/3 Viterbo 92.822 3.245.699 34,97

VT/4 Vetralla 63.796 1.362.256,74 21,35

VT/5 Nepi 57.429 1.925.704,68 33,53

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Allegati

Tavola 2 - Regione Lazio – Piani Sociali di Zona annualità 2004. Ambiti territoriali, Abitanti, Fondi totali, Fondo pro capite.

Fonte: CDS-Focus, aprile 2009Comune Abitanti Fondi Totali Fondo Procap.

A/1 122.268 425.629,00 3,48A/2 123.764 425.037,79 3,43A/3 56.170 722.711,32 12,87A/4 205.387 1.392.957,75 6,78B/1 186.508 - -B/2 125.191 568.619,26 4,54B/3 196.910 8.783.813,70 44,61B/4 181.742 1.937.419,70 10,66C/1 132.422 824.320,00 6,22C/2 134.078 507.779,48 3,79C/3 139.935 771.422,92 5,51C/4 164.069 770.499,16 4,7E/1 76.715 4.896.851,00 63,83E/2 135.160 7.554.891,22 55,9E/3 179.095 1.148.481,00 6,41E/4 146.318 4.471.102,30 30,56

RM D/1 52.881 1.161.711,98 21,97D/2 195.021 3.518.069,35 18,04D/3 155.513 632.008,24 4,06D/4 145.288 787.000,00 5,42

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FR/A 87.853 1.568.927,26 17,86FR/B 183.259 7.485.628,09 40,85FR/C 104.543 2.617.463,35 25,04FR/D 114.000 3.004.746,59 26,36

APRILIA 105.716 836.204,00 7,91LATINA 152.782 1.698.609,00 11,12

FONDI-TERRACINA 96.000 2.093.402,40 21,8FORMIA-GAETA 101.807 1.277.107,00 12,54MONTI LEPINI 54.567 672.208,00 12,32

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122

Benessere, territorio e reti della solidarietà

Gruppo 1: Piccoli comuni marginali di montagna Il primo gruppo è costituito da 11 comuni con ridottissime dimensioni

e di montagna quasi esclusivamente collocati nel Reatino. I residenti in tale partizione ammontano a poco più di 3.700 unità. Prevalentemente caratte-rizzati da una popolazione anziana, il livello di reddito pro-capite è sopra la media regionale per i discreti livelli dei trattamenti pensionistici. Le dina-miche locali mostrano una perdita di residenti e di unità locali nell’ultimo quinquennio.

Gruppo 2: Comuni con un’elevata incidenza delle classi basse di reddito A questo gruppo fanno riferimento 31 comuni per un totale di residen-

ti pari a poco più di 166mila unità appartenenti alle province di Viterbo, Latina e Frosinone. Si tratta di comuni in genere di taglia piccola o medio-piccola, dove i centri più grandi sono rappresentati da Fondi, Sezze, Priverno e Pontinia tutti collocati in provincia di Latina. Il gruppo appare piuttosto omogeneo al suo interno e caratterizzato da una distribuzione del reddito prevalentemente sbilanciata verso le classi basse e medio-basse.

Gruppo 3: Centri interni con popolazione prevalentemente anzianaI 51 comuni appartenenti a tale gruppo per la maggior parte sono localiz-

zati nelle province di Viterbo e Rieti, mentre il centro più grande è Cori (LT). Ancora prevale la presenza di centri interni. Complessivamente la popolazione residente ammonta a circa 137mila abitanti. Si tratta di un gruppo omogeneo con alcune analogie rispetto a quanto osservato nel primo gruppo: con una

Allegato 2.Dimensione urbana e povertànel Lazio per il Censis (2002)

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123

Allegati

struttura demografica per età meno sbilanciata verso le classi anziani, i livelli pro-capite delle pensioni risultano piuttosto al di sopra della media regionale, tanto da evidenziare una concentrazione nelle classe medio-bassa dei redditi imponibili. Pur con una diminuzione nella numerosità delle unità locali, la caratterizzazione principale del gruppo è costituita da un’incidenza delle per-sone in cerca di occupazione molto al di sotto della media regionale.

Gruppo 4: Centri con bassi livelli di disponibilità economicheAnche il quarto cluster è costituito da 51 comuni per una consistenza di

circa 268mila residenti. La gran parte delle unità territoriali presenti appar-tengono alla provincia di Frosinone, dove sono collocati anche i comuni più rappresentativi in termini di residenti come Alatri, Ceccano, Ferentino e Veroli. Pur con qualche differenziazione al suo interno, il gruppo appare caratterizzato da livelli molto al di sotto della media regionale per diversi indi-catori. Si evidenzia quindi una struttura socio-demografica in cui il peso degli anziani è inferiore alla media, mentre sono notevolmente bassi i livelli di red-dito disponibile e gli indicatori legati alle rendite immobiliari. Ciò determina una distribuzione del reddito in cui le classi più agiate hanno un’incidenza molto inferiore rispetto alla regione nel suo complesso.

Gruppo 5: Comuni in emergenza occupazionaleIl quinto gruppo comprende 26 comuni del Reatino e della provincia di

Roma con una concentrazione rilevante nella Sabina quasi a configurare una direttrice lungo la via Salaria. Con meno di 60mila abitanti, tali centri presen-tano qualche dispersione rispetto al baricentro del cluster in corrispondenza ai comuni più piccoli. Il tratto che distingue maggiormente tale gruppo dagli altri riguarda l’incidenza delle persone in cerca di occupazione che registra il valore più elevato rispetto alla media regionale.

Gruppo 6: Comuni in transizione con dinamiche positive e sperequazioni nella distribuzione dei redditi

È costituito da 47 comuni per un totale di circa 435mila residenti tra i quali si segnalano Civita Castellana e Vetralla - in provincia di Viterbo - Mentana e Palestrina - in provincia di Roma – Aprilia, Cisterna, Formia e Minturno – in quella di Latina – e Anagni nel Frusinate. Con una scarsa

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124

Benessere, territorio e reti della solidarietà

incidenza di popolazione anziana, questo gruppo appare contraddistinto da dinamiche locali superiori alla media regionale sia con riferimento all’incre-mento demografico, sia rispetto alla crescita delle unità locali. Tale dinami-smo probabilmente determina una distribuzione del reddito in cui la classe alta di imponibile è superiore alla media anche se il reddito disponibile pro-capite è ancora poco al di sotto dei livelli regionali.

Gruppo 7: Comuni con redditi sostenuti dalle pensioniCon poco meno di 33mila residenti in 29 comuni di taglia relativamente

ridotta, i caratteri che emergono dagli indicatori consentono di collocare ide-almente questo gruppo tra il primo e il terzo cluster con una composizione quasi esclusivamente di centri delle province di Rieti e Roma. Ancora una volta si è in presenza di una incidenza rilevante di popolazione anziana, con il maggior peso di vedove rispetto alla media regionale, e con un livello di reddito disponibile sostenuto dagli importi pro-capite delle pensioni.

Gruppo 8: Centri a vocazione turistica ed elevate rendite immobiliariL’ottavo gruppo è composto da 15 comuni che contano circa 212mila

residenti. Rispetto alla coesione interna, questo cluster è quello con una mag-giore dispersione delle unità territoriali rispetto al proprio baricentro. I livelli di ricchezza immobiliare pro-capite e la collocazione geografica di tali centri consentono di individuare nella vocazione turistica la principale risorsa a loro disposizione. Proprio la scarsa omogeneità interna richiede un’attenta osser-vazione delle singole unità territoriali che per molti indicatori costituiscono degli out-liers rispetto alla distribuzione regionale. La presenza di Montalto di Castro, Tarquinia, Santa Marinella e Ladispoli a nord di Roma; così come San Felice Circeo, Sabaudia, Terracina e le isole Pontine a sud permettono di identificare nel turismo un tratto comune a tali centri. Qualche riserva invece va a quei comuni interni presenti nel gruppo, dove l’elevato gettito dell’Ici per abitante insieme alle ridottissime dimensioni di tali centri induce ad una certa cautela nella loro definizione.

Gruppo 9: Piccoli comuni con condizioni socio-economiche in regressoIl nono cluster raccoglie 20 comuni di piccole dimensioni per poco più

di 22mila residenti. Ancora una volta le caratteristiche presenti sono simili a

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Allegati

quelle già riscontrate in gruppi precedentemente descritti con connotazioni legate al peso della popolazione anziana e a dinamiche di segno negativo.

Gruppo 10: Comuni in crisi occupazionaleQuesto gruppo è composto da 44 comuni, per la maggior parte della pro-

vincia di Roma e Frosinone, e raccoglie 176mila abitanti. I centri più grandi sono Colleferro e Sora a cui si aggiungono comuni di dimensioni medie. Con livelli di reddito disponibili e di rendite immobiliari al di sotto della media regionale, le unità territoriali di questo cluster presentano delle criticità legate al mercato del lavoro, vista l’elevata incidenza di persone in cerca di occupa-zione anche se il fenomeno appare relativamente meno intenso di quanto già riscontrato nel precedente quinto cluster.

Gruppo 11: Centri ad elevato dinamismo ed accentuata sperequazione nella distribuzione dei redditi

Nell’ultimo gruppo, costituito da 52 comuni, sono presenti la Capitale, tutti i capoluoghi provinciali ed alcuni dei centri più rilevanti della regione. Naturalmente rappresenta anche il cluster con la maggiore concentrazione della popolazione, con oltre tre milioni e mezzo di abitanti. Per la numerosità di unità territoriali presenti, è possibile osservare una certa dispersione attor-no al baricentro del gruppo. Proprio in tale insieme sono registrati i valori massimi e minimi rispetto alla media regionale per numerosi indicatori. In tal senso, accanto ad uno scarso peso della popolazione anziana nella struttura per età, si assiste ad una elevata dinamica locale, con rendite immobiliari pro-capite superiori alla media e la più alta incidenza di contribuenti nelle classi di reddito elevate. In tale quadro va tenuto conto però anche che i trattamenti pensionistici pro-capite risultano i più bassi rispetto alla media regionale.

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Benessere, territorio e reti della solidarietà

Il Profilo di Comunità aumenta la conoscenza della comunità locale, dei propri bisogni, ma anche delle proprie risorse, in quanto soggetto portatore di bisogni, ma anche di soluzioni. Il Profilo di Comunità non contiene scelte di programmazione, ma a partire dall’analisi di dati quantitativi e qualitativi mira ad identificare i punti rilevanti che la programmazione sociale e socio-sanitaria deve affrontare, i bisogni e le tendenze dello sviluppo demografico, sociale, economico, ambientale, ecc. di un dato territorio.

Attraverso una lettura ragionata e partecipata dei bisogni di salute e di benessere della popolazione diviene strumento di supporto nella individua-zione delle criticità e delle priorità da considerare all’interno della program-mazione e delle politiche territoriali sociali, socio-sanitarie e sanitarie.

È da considerare strumento essenziale per mettere in evidenza le peculia-rità del territorio, dal punto di vista sia della “struttura” che tale territorio mostra nel complesso (in riferimento alla struttura demografica, alla salute della popolazione, agli stili di vita, alla condizione socio-economica, all’asset-to del mercato del lavoro e della struttura produttiva, ai rapporti di genere), sia delle problematiche da affrontare e, infine, delle risorse disponibili e/o attivabili. Inoltre, esso deve essere inteso come un “processo” che coinvolge i soggetti operanti ai vari livelli territoriali, e che promuove il valore e le espe-rienze regionali e locali di partecipazione nella raccolta dell’informazione, nella lettura e nell’individuazione dei fattori di bisogno e di criticità.

Per la buona riuscita di questo processo è fondamentale la definizione a livello locale di un adeguato assetto operativo e di un percorso per l’elabora-zione dello strumento, che individui attori, ruoli, fasi, tempi e sedi di incon-tro, così da consentire livelli adeguati di integrazione e partecipazione.

Link: http://www.profilodicomunitamodena.net/

Allegato 3.Il Profi lo di Comunità

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Il viaggio chiude in sé emozioni diverse, aspettative, sogni - tra un desiderio di esplorazione e un opposto desiderio di protezione, tra il desiderio del viaggio e il bisogno della sicurezza del ritorno e della casa.La parola viaggio, ad ascoltarla, dà subito una duplice sensazione che genera due aspetti contrastanti del tema stesso, uno di curiosità, fasci-no, ricerca, l’altro di timore, ansietà, paura dell’ignoto. Queste due, sovente inconsce, sensazioni si ritrovano anche nelle parole, nei vocaboli che al viaggio si riferiscono e che appunto lo presentano come evento che insieme unisce desiderio, curiosità, attesa dell’ignoto, fascino del nuovo, timore, sacrificio, rinuncia, impegno ed ineluttabile fatalità.

Questa pubblicazione raccoglie alcuni temi che bambini stranieri residenti nel territorio tiburtino hanno composto durante l’intervento di mediazio-ne culturale di Casa dei Diritti Sociali - FOCUS nell’ambito del Progetto “Hait”, in convenzione con il Comune, in alcune scuole di Tivoli. Si è deciso di farne una pubblicazione perché, come sempre, i bambini sono spontanei e ci dicono, senza mediazione alcuna, quali sono i loro sentimenti, le ansie, le preoccupazioni, le paure ma anche come vedono il loro futuro nel Paese che li ha accolti. Vivono già di nostalgia per i posti che hanno lasciato, per i loro nonni, per i loro parenti... anziani prevalentemente. Sono i futuri tibur-tini di origine rumena, o polacca, o albanese o sudamericana. Alcuni sono felici di stare qui, altri lo sono meno... altri ancora vorrebbero tornare.

Alcuni hanno scritto in italiano e nella loro lingua d’origine, altri si sono fatti aiutare a tradurre dall’italiano dai loro genitori, altri ancora non l’han-no tradotta perché non la parlano, la lingua dei loro genitori. La loro lingua madre, che non conoscono. Integrazione non vuol dire omologazione e annullamento. L’immigrazione deve essere vissuta come risorsa, non come problema. La loro integrazione è un arricchimento socio-culturale anche per chi accoglie, salvaguardando le radici e l’identità culturale di ognuno. Per un mondo più giusto e solidale.

Casa dei Diritti Sociali - FOCUS

“Consumatore informato, consumatore salvato” Programma Regione Lazio Convenzione Reg. Cron. 8563 del 7 giugno 2007

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Benessere, territorioe reti della solidarietà

Analisi dei Piani Sociali di Zona attivati nel Lazio

Il lavoro qui presentato ha l’obiettivo di favorire la crescita di un tes-suto delle Organizzazioni di Volontariato e del Terzo settore che sappia assumere un profilo attivo e responsabile nei diversi contesti territoriali locali, con l’augurio che nei prossimi anni i sistemi locali dei servizi sociali, siano in grado di superare sia a una logica di solo mercato sia a una logica di sola gestione amministrativa. E’ infatti tempo di avviare un discorso pubblico, capace di integrare ed attivare, nel Paese e nella comunità in cui si opera, solidarietà, sviluppo e, in ultima analisi, quella “fraternità” (solidarietà) che assieme a libertà e uguaglianza, costituisce la base laica della nostra convivenza e l’orizzonte dei valori che qualifi-cano l’azione solidale delle Organizzazioni di Volontariato.

Territorio, benessere e reti della solidarietà è il rapporto di monito-raggio dei piani di zona del Lazio, previsto dal progetto “Consumatore informato, consumatore salvato” realizzato da ACU, ADUC, FOCUS. in attua-zione del “Programma delle iniziative a vantaggio dei consumatori” del Ministero dello Sviluppo (alla data Ministero delle Attività Produttive) con Decreto del 23 novembre 2004 ed approvato con Delibera di Giunta Regionale 707 del 24 ottobre 2006.

FOCUS - Casa dei Diritti Sociali nasce nel 1985. Nel corso di questi anni sono state realizzate attività solidali, interculturali, di sensibilizzazione, di servizio, di sostegno e di inserimento con persone in stato di bisogno, sia immigrate che italiane. La Casa dei Diritti Sociali è una federazione con sedi su tutto il territorio italiano.Partecipa al Forum del Terzo Settore, Conferenza Regionale del Volontaria-to, Consulta Socio-Sanitaria di Roma, reti tematiche e territoriali.È, inoltre, promotore e gestore del Centro Servizi per il Volontariato della Regione Lazio.

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