Bello Ideale e Sublime Armonia - liceofermics.gov.it · con la scultura greca del periodo...

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Tra Neo-classicismo e Romanticismo… Bello Ideale e Sublime Armonia Di: Francesco Fotino IVA

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Tra Neo-classicismo e Romanticismo…

Bello Ideale e Sublime Armonia

Di: Francesco Fotino IVA

Espressione dei concetti di bellezza ideale e di sublime armonia sono:

• gli scritti dello storico Winkelman per quanto riguarda la

realta neoclassica .

•I discorsi del filosofo Kant sul paradosso del bello e dell’arte.

La bellezza non consiste nei contenuti rappresentati, ma nel rapporto tra le parti che deve esprimere un ideale di perfezione formale

"La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata"

Nel Neoclassicismo regola fondamentale dell’arte è il principio d’imitazione . Scopo dell’arte è imitare la natura e/o l’arte antica, in cui il concetto di bello si manifesta più esplicitamente.

Apollo che si incorona

Canova

In entrambi i casi il Sublime produce uno stato ambivalente : immaginazione-angoscia

con l’immaginazione l’uomo prova un senso di angoscia e per la sua piccolezza e per la sua impotenza = senso di annichilimento e ridimensionamento del valore umano

ragione-esaltazione : nel momento in cui diviene consapevole dei suoi limiti come essere naturale, l’uomo diviene anche consapevole della sua natura razionale . In essa egli si riscatta dalla sua impotenza, la dignità umana consiste nella consapevolezza razionale dei suoi limiti

Il sublime in Kant è un sentimento che scaturisce da ciò che ha dimensioni incommensurabili con quelle dell’essere umano: • Sublime matematico : grandezza spaziale smisurata rispetto alla scala umana • Sublime dinamico : potenza e/o energia smisurata rispetto alla scala umana mostrano quanto piccolo e impotente sia l’uomo che per ciò ha paura

Francesco Hayez

Antonio Canova

“Scultore della bellezza in tutta la sua forza delicata.”

Antonio Canova nasce a Possagno, vicino Treviso, il 1° novembre del 1757.

nel 1768 viene mandato a condurre il proprio apprendistato a Venezia, dove frequenta studi di vari scultori oltre alla Pubblica Accademia del Nudo e dove realizza le sue prime opere che gli danno una certa notorietà nell’ambiente artistico locale (Orfeo ed Euridice, 1773; Dedalo e Icaro, 1779)

Nel 1779 si reca a Roma, dove si stabilirà nel 1781 e dove realizzerà le sue opere più belle. Qui studia la scultura antica.

Tra il 1783 ed il 1810 realizza i monumenti funebri di Clemente XIII e Clemente XIV a Roma, di Maria Cristina d'Austria a Vienna, e di Vittorio Alfieri a Firenze.

Dedalo e Icaro

Una resa limpida, libera da ogni retorica, dei

sentimenti che legano padre e figlio: infatti, è

chiaramente avvertibile sia la speranza di Dedalo di

mettere in salvo Icaro sia il timore dello stesso padre

per il fallimento dell'impresa.

Icaro, dal canto suo invece, si affida serenamente

alle attenzioni premurose del padre e per questa

fiducia incondizionata non teme in alcun modo per la

sua incolumità (non è in tal senso presente alcun

presagio della tragedia che avverrà).

Una 'prosasticità' del soggetto, estranea a gran parte dell'arte

contemporanea, evidente in modo particolare nel naturalismo

spinto del vecchio Dedalo (nell'icastica definizione del suo

volto). Infatti "l'autore demitizza il soggetto mitologico per

riportarlo all'inadorna oggettività del fatto, all'ideale funzionalità

della forma" (Argan).

L'artista realizza qui per la

prima volta la "trovata

strabiliante" di negare alla forma

plastica il privilegio della

centralità, soluzione destinata a

riproporsi in alcune tra le opere

della maturità

Il gruppo scultoreo di Canova, conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, è di grande monumentalità ma tuttavia non trasmette un’impressione di grande potenza, come la rappresentazione del gesto di Ercole richiederebbe. Il tutto rimane troppo bloccato in una ricerca di equilibrio delle parti che finisce per stemperare la potenza dell’azione. In questo caso appare evidente come la norma stilistica neoclassica mal si adatta a rappresentare il movimento e l’azione.

Canova rappresenta il momento drammatico della morte, in cui l'eroe sta per scagliare nel mare il giovinetto Lica.

Ercole e Lica

Nell’opera Maria Maddalena il corpo è accasciato in ginocchio su di un masso, il busto è piegato, il capo chinato verso sinistra, con gli occhi attraversati da lacrime che ammirano un crocifisso di bronzo dorato, retto dalle braccia aperte e posate sulle gambe. Un panno legato da una corda le copre malamente il corpo, lasciandole scoperti in parte i fianchi e la schiena, sulla quale scendono dei lunghi capelli. Quest’ultimi insieme alla carnagione sono ricoperti di una patina giallognola per attenuare il biancore del marmo. Lo scultore ha voluto evidenziare il contrasto tra il fascino di un corpo ancora attraente, espressione della vita e della sensualità, e il suo annientamento nella consapevolezza del peccato e dell'invocazione del perdono divino.

Maria

Maddalena

penitente

la Maddalena è un’autentica prova di bravura, che lancia una sfida alla materia trasfigurando di volta in volta il marmo nella ruvidezza della corda, nella tenerezza dei capelli o nell’umido scorrere delle lacrime. Iperbole di uno strano “realismo”, che conferisce alla Maddalena un senso di teatrale, provocante verità, è la croce metallica che la giovane tiene davanti a sé, punto di contatto fra il mondo dell’arte e la realtà che fa di Canova il promotore di un “prelievo” di sconcertante modernità. Ambiguo per definizione, il tema del pentimento e della meditazione della bella Maddalena sulla fugacità dei piaceri terreni viene declinato in un ribaltamento continuo della tenerezza e della malinconia nell’esaltazione palpitante dei sensi.

Amore e Psiche

Linee di forza Soprattutto nella visione frontale della scultura si riconoscono facilmente le due principali linee di forza: la prima passa dal corpo di Psiche, semidisteso e avvitato, all’ala destra di Amore, la seconda dalla gamba di Amore alla sua ala sinistra (ritmo chiastico).

Le braccia di Psiche formano una circonferenza perfetta, nella quale si incrociano le due linee di forza, che incorniciano il punto centrale di tutta l’opera, ovvero i volti dei due giovani colti nell’attimo immediatamente precedente a un bacio.

Ritmo In questa complessa composizione, il ritmo scandito dalla successione continua ed equilibrata di spazi pieni e vuoti, come i pochi centimetri che separano le labbra dei due amanti o la fusione dei corpi nei punti di contatto del loro abbraccio. Spazio In quest’opera i corpi sono messi fortemente in relazione con lo spazio circostante. Si ha quasi l’impressione che dal punto centrale della composizione, ossia dai due volti, si sviluppino a raggiera i loro corpi.

Movimento La composizione coglie l’attimo fugace, ma pregnante, che precede il bacio fra i due amanti e la scelta proprio di questo momento da all’opera un senso di stasi o di languida calma.

Luce Proprio per la struttura molto articolata dell’opera, si formano suggestivi giochi di luce e ombra sui corpi dei due amanti, che accentuano il senso di leggero movimento, molto vicino all'immobilità , in cui i due sono colti.

IL BACIO:

FRANCISCO

HAYEZ

AMORE E PSICHE:

CANOVA

Le tre grazie

Le giovani sorelle sono rappresentate in un cerchio reale di abbracci e di sguardi che coinvolge lo spettatore: nessuna delle tre protagoniste volge le spalle a chi le osserva. Gli incroci di braccia e gambe contribuiscono a creare un senso di movimento leggero e impercettibile. Dal freddo del marmo, lavorato in unico blocco, Canova riesce a tirar fuori la freschezza della gioventù e il candore delle carni: molto spesso l’artista aveva affermato di voler conferire al marmo proprio il calore della “vera carne”.

nella realizzazione di ogni particolare Canova si applica con una tecnica al limite del virtuosismo, modellando il bianco marmo di Carrara con la duttilità con la quale si plasma un modello in cera o in argilla. Questo è particolarmente evidente nelle complesse ed elaborate acconciature delle tre Grazie, nelle quali la gran massa fluente dei capelli è sempre raccolta in ciocche minutamente arricciolate o in morbide code annodate sulla nuca

Analogamente anche le posture e gli accenni di movenze dei levigatissimi corpi nudi sono indagati e rappresentati con uno studiatissimo gioco di mani e di braccia che ora teneramente si cingono abbracciandosi reciprocamente alle spalle

Analogamente, la modellazione anatomica dei corpi assume per Canova un’importanza assolutamente centrale, addirittura superiore a quella della statuaria classica, dove era simbolo di bellezza ideale e non concreto riflesso della natura, che le patinature di cera ulteriormente esaltano

Le prime raffigurazioni delle tre Grazie, dunque, risalgono alla civiltà greca. Purtroppo non ci è giunto molto di quelle opere se non copie romane. In ogni caso tutte le raffigurazioni di età romana (bassorilievi, affreschi, mosaici) riprendono l’iconografia ellenistica nella quale le tre donne, totalmente nude, sono disposte in modo che quella centrale sia vista da dietro e le altre la affiancano con posture simmetriche.

Le tre fanciulle hanno tutte la classica posizione definita “chiasmo” (nata con la scultura greca del periodo classico): il corpo assume un andamento ad S dato dall’inclinazione del bacino dovuta al peso poggiato su una gamba che viene bilanciata da un’opposta inclinazione delle spalle.

Dopo l’arte romana, naturalmente, essendo le tre Grazie un tema profano di origine pagana, occorre aspettare la fine del lungo arco del Medioevo per vedere nuove raffigurazioni di questo soggetto. Ed è con il Rinascimento che le leggiadre fanciulle tornano alla ribalta, in primis con l’indimenticabile interpretazione di Sandro Botticelli.

le tre donne, a differenza della tradizione classica, danzano una carola tenendosi per mano e lasciando svolazzare i leggeri veli che le rivestono. Bellezza, castità e amore si muovono in un girotondo armonioso, dove tutto è idealizzato secondo la filosofia neoplatonica professata dal pittore.

Con il Manierismo, entrando nel pieno del Cinquecento, le posture tornano a liberarsi (come nell’affresco di Correggio o nel disegno di Pontormo). Le figure sono viste di scorcio oppure si allungano sensibilmente. Insomma l’equilibrio classico inizia a vacillare…

Con l’età barocca il tema delle Grazie è di nuovo accantonato. Il Seicento e la Controriforma esigono temi a carattere religioso o comunque capaci di suscitare stupore, meraviglia o anche raccapriccio. Le tre dee non si prestano granché allo scopo. Tra le poche eccezioni è il fiammingo Rubens che raffigura più volte le Grazie come opulenti matrone dalle carni tremolanti.

Le tre Grazie hanno continuato ad essere rappresentate nei più svariati stili. Dal Preraffaellita Edward Burne-Jones all’artista della Secessione Viennese Koloman Moser, all’esponente dell’Art Deco detto Erte. Nel confronto tra queste opere si coglie l’estrema varietà che caratterizzerà tutta l’iconografia del XX secolo.

Con le avanguardie, il trio assumerà le forme e i colori più impensabili: basti guardare la serie realizzata negli anni ’10 da Robert Delaunay Le tre Grazie sono qui frammentate, fuse con lo sfondo, geometrizzate e sfaccettate come nel migliore stile cubista.

Venendo ad anni più recenti è d’obbligo citare i dipinti e le sculture che il siciliano Salvatore Fiume ha dedicato alle tre divinità approfittandone per rendere omaggio ai grandi artisti del passato: nelle sue opere si incontrano le donne di Rubens, i manichini di De Chirico e le figure scomposte di Picasso.

La potenza comunicativa di quest’opera è tale che ancora oggi viene reinterpretata persino nella street art, come in questo stencil di C215

Monumento funerario a

Maria Cristina d’Austria

Il monumento funerario a Maria Cristina d’Austria rappresenta una grossa novità nella tipologia dei monumenti funerari. Il monumento funebre ha sempre avuto come centro compositivo il sarcofago o l’urna in cui materialmente venivano conservare le spoglie del defunto. Al di sopra dell’urna veniva collocata l’effige statuaria del defunto; di sotto o di fianco venivano poste immagini allegoriche sul significato della morte. Nel monumento a Maria Cristina d’Austria l’urna scompare per essere sostituita dalla immagine triangolare di una piramide. L’effigie statuaria viene sostituita da un ritratto di profilo a bassorilievo, inserito in un medaglione di chiara derivazione classica.

Notevole importanza assumono le figure allegoriche che, nella intenzione dell’artista, non sono puri e semplici simboli ma devono commuovere per l’azione in divenire che stanno rappresentando. In questo caso, infatti, le figure compongono un singolare corteo funebre.

Di fianco la porta della piramide, che quindi simboleggia la porta di passaggio dal mondo terreno al mondo dei morti, c’è l’allegoria del Genio della Morte poggiato sul Leone della Fortezza.

In alto, il medaglione con il ritratto di Maria Cristina d’Austria è circondato da un serpente che si morde la coda, simbolo quest’ultimo dell’Eterno Ritorno. Il medaglione è sostenuto dalla allegoria della Felicità, mentre un’altra figura angelica porge alla defunta una palma, simbolo della gloria.

La piramide, come simbolo dell’Oltretomba, è decisamente una immagine neoclassica. Contiene la reminescenza delle antiche piramidi egiziane, i più grandi monumenti funebri mai realizzati dall’uomo, e si presenta con una forma geometrica semplice, il triangolo, ma carico di notevoli significati allegorici. La porta che si apre nella piramide assomiglia invece, per fattura, alle porte delle tombe etrusche delle necropoli di Tarquinia o Cerveteri. Ed anche questo riferimento etrusco, nell’immaginario collettivo, finisce per collegarsi al mondo dell’Oltretomba.

Il senso della morte, qui rappresentato, ha la dignità profonda e nobile della concezione neoclassica. Tuttavia, la commozione che suscita il corteo funebre finisce per prendere un significato quasi tutto romantico. La scelta di anticipare il momento pregnante, non a quello eterno della Morte oramai sopraggiunta, ma al momento precedente in cui la Morte richiama a sé le persone che, a capo chino, non possono sottrarsi al suo invito, carica di profondo dolore la percezione della morte come azione in divenire.