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Baviera Nymphenburg Una reggia e il suo splendido parco nel cuore di Monaco. Costruita come residenza estiva dei Wittelsbach nel 1664, fu più volte trasformata fino all’800 TESTO DI LAURA TOMASSETTI - FOTOGRAFIE DI VITTORIO SCIOSIA Nella foto: la facciata del grandioso castello di Nymphenburg si stende per 650 metri.

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Baviera

Nymphenburg

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Una reggia e il suo splendido parco nel cuore di Monaco. Costruita come residenza estiva dei Wittelsbach nel 1664, fu più volte trasformata fino all’800TESTO DI LAURA TOMASSETTI - FOTOGRAFIE DI VITTORIO SCIOSIA

Nella foto: la facciata del grandioso castello

di Nymphenburg si stende per 650 metri.

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riedrich Ludwig von Sckell (1750-1823) a veva appena compiuto cinquant’anni quando, un bel mattino, si ritro-vò a passeggiare col basto-ne in mano nel parco di

Nymphenburg. Aveva già realizza-to l’Englischer Garten di Monaco quando, nel 1799, Maximilian Jo-seph Wittelsbach (1756-1825), fu-turo primo re di Baviera, gli chie-se di sostituire nella sua residenza estiva l’impianto barocco del parco, non più di moda, con un giardino all’inglese. Non era un compito facile, perché negli spazi verdi ba-rocchi la natura è completamente addomesticata dall’uomo. A ogni passo, nei 230 ettari di superficie del parco, Sckell s’imbatteva nel l’a-bile regia prospettica dei suoi pre-

Il parco è una delle maggiori attrazioni di tutto il palazzo

In alto: il retro del castello, visto dal Grosses Parterre (Grande Parterre). A sinistra: la civetta di Minerva in una statua del parco. Pagina accanto: parte della facciata principale.

de cessori, i giardinieri Charles Car-bonet e Dominique Girard, allievi di André Le Nôtre, il creatore di Ver sailles: le vie puntavano dritte e a raggiera verso piazzette ovali, arricchite da complesse broderies. Dappertutto c’erano charmil les, al-te pareti di siepi tosate e cabinets de verdure: un affronto per il giardi-niere Sckell, sensibile all’invito del ritorno alla natura alla Rousseau. Il suo bastone cominciò allora a di-segnare vie a serpentina, laghi dal perimetro irregolare, boschi e valli. Arrivato al parterre centrale, Sckell si trovò davanti la grande cascata

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Il “borgo delle ninfe” è il regalo del principe alla sua sposa

In alto: la Nördliches Salettl (Saletta Settentrionale), col ritratto di Therese Kunigunde, moglie di Max Emanuel. Sopra: il Chinesisches Lackkabinett (Gabinetto delle Lacche cinesi).

sul fondo del parco, centro dei fuochi prospettici e delle conver-genze di assi di tutto il complesso. Sckell cominciò a inseguire punti di fuga chiari solo a lui, che in fu-turo avrebbero trasformato quello spazio verde in uno dei parchi più interessanti d’Europa.

Alle sue spalle sorgeva la dimora estiva dei Wittelsbach, Nymph en-burg, il “borgo delle ninfe”. Questo era il nome dato da Henriette A de-laide di Savoia (1636-76) a un pa-lazzetto rinascimentale costruito nel 1664-76 nella tenuta di Kem-nat, regalatale nel 1662 dal marito, il principe elettore Fer dinand Ma-ria di Baviera per la nascita del l’e-rede, Max II Emanuel (1662-1726). Adelaide non vi abitò mai: mo rì

a 40 anni, quando l’edificio e ra ancora in costruzione. Fu Max E ma nuel ad ampliare il palazzo, op tando decisamente per lo stile francese di Luigi XIV e, nel parco, a mantenere come eredità materna solo il canale d’acqua che indicava in lontananza la chiesa del villag-gio di Pip ping. Vi aggiunse poi la grande cascata e usò il canale come asse di un sistema simmetrico di padiglioni comunicanti, che co me le perle di una collana coronavano il castello principale. Una colla-na lunga 650 metri, in grado di al loggiare più di mille persone di servizio e dare riparo a 500 cavalli nella scuderia. Una collana di edi-fici che, a differenza di altri com-

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Amalienburg, un delicato gioiello del Rococò tedesco

A destra: l’ottagono del Pagodenburg, con dipinti e 2mila piastrelle di Delft, nelle tonalità del bianco e del blu. Sopra: il dettaglio di una figura orientale nella decorazione del Pagodenburg.

A sinistra: il casino di caccia di Amalienburg, fatto costruire nel 1734 da Carl Albrecht per la moglie Maria Amalia. Sotto: il gruppo scultoreo con Diana, incastonato in una nicchia, sormonta l’ingresso di Amalienburg.

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plessi coevi, riuniva le esigenze di rigore del Barocco alla più li bera e leggera capacità espressiva dello sti-le Régence francese. Se i padiglioni s’incastrano creando la classica for-ma a ferro di cavallo, le loro facciate sono più semplici rispetto alle linee canoniche barocche: Max Emanuel avrà amato gareggiare col Re Sole, ma in fatto di estetica optò per so-luzioni più sobrie e razionali.

Nel corpo centrale del castello, la Steinerner Saal (Sala di Pietra) era il fulcro di tutto il complesso: Max Emanuel aveva fatto abbattere una parete per farvi irrompere da entrambi i lati la luce dalle grandi finestre. Dall’imponente edificio si susseguivano poi simmetricamente i padiglioni e le stanze private dei Wittelsbach. Nel parco, seguendo la moda del tempo, Max Emanuel fece costruire da Joseph Effner

(1687-1745) il Pagodenburg (1716-19), a nord, e il Badenburg (1718-22), a sud. In questa singo-lare maison de plaisance il princi-pe aveva la propria piscina priva-ta, unico esempio nell’Europa del tempo. Amava ricordarlo agli ospi-ti e, metro alla mano, sottolineava che la vasca da bagno del Re Sole a Versailles era lunga tre metri, men-tre la sua qui a Nymphenburg era lunga quasi nove e larga più di sei.

In alto: la Steinerner Saal (Sala di Pietra). Sul soffitto, gli affreschi con la scena dell’Olimpo e, verso il parco, della ninfa Flora.

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Ma in questa “villa di campa-gna” la vita si svolgeva soprattutto all’aperto: nel parco che, amplia-to, occupò ben presto la superficie attuale, grazie anche al lavoro di Carbonet e Girard, arrivati appo-sta da Parigi. Concepito per intrat-tenere e divertire la corte, il parco

di Nym phenburg ospitava a nord del Grosses Parterre il campo del Pass spiel, un gioco simile al golf, inventato da Max Emanuel stesso; nel teatro delle siepi si assisteva al-le commedie, mentre nei cabinets à jour del Pagodenburg si svolge-vano le gare dei birilli; impianti

sportivi erano disseminati nella Lö wental, vicino al Badenburg. Nym phenburg divenne così il luogo del savoir vivre, la sceno-grafia ideale per le grandi feste. Il canale e la vasca centrale, alimen-tati dal 1701 dalle acque del fiu-me Würm, si riempivano allora di

Dei e ninfe, tutto l ’Olimpo è riunito nella Sala di Pietra

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sontuose gondole per giocare “al-la veneziana” e i fuochi d’artificio entusiasmavano i nobili di corte dopo le battute di caccia al cervo nei boschi attorno alla tenuta.

Negli ultimi anni di vita, Max E ma nuel fece costruire il Mag-da le nen klause, l’eremo di Santa Mad dalena (1725-28), che, vo-lutamente dimesso e povero, ri-fletteva bene lo stato delle casse della Baviera, ormai gravate solo da debiti. Le finanze non miglio-rarono con il figlio Carl Albrecht (1697-1745), che nel 1742 diven-ne imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Karl VII. Si deve a lui il bastione semicircola-re con i dieci padiglioni del cor-tile d’onore, davanti al palazzo. Nell’ottica del Kaiser, ispirata al castello di Karlsruhe, da questi pa-diglioni disposti a raggiera sarebbe sorta la città di Carlo, la Karlstadt.

Il Castello dei bagni è un trionfo dei piaceri dell ’acqua

In alto: l’altare nella cappella a grotta della Magdalenenklause (1725-28), l’eremo di Santa Maddalena. Sopra: l’esterno del Badenburg (1718-22), il Castello dei bagni. Nella pagina accanto: opera di Giuseppe Volpini, la statua di spalle sulla Grosse Kaskade (Grande Cascata) raffigura la personificazione del fiume Isar.

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Nel cuore del parco, un inno ad Apollo, dio del Sole

A destra: una sosta nel parco con vista sul

Monopteros (1862-65), il tempietto circolare

delimitato da una sola fila di colonne. Questo

edificio dedicato ad Apollo sorge su una penisola del Badenburger See.

Il progetto urbanistico rimase un sogno: anche dopo l’apertura del parco al pubblico nel 1792, furono i campi coltivati e non le ipotizzate case di artigiani a popolare l’area. Carlo VII impose però a corte l’ar-te di François Cuvilliés il Vecchio, che per la consorte dell’impera-tore, Maria Amalia d’Asburgo (1701-56), costruì l’Amalienburg (1734-39), perfetta creazione del Ro cocò tedesco.

Le successive aggiunte lascia-rono invariato nel suo complesso l’impianto della reggia di Nymph-en burg e così la vide Sckell all’alba dell’Ottocento. Conscio di quanto i Wittelsbach amassero la tradizio-ne, offrì loro un parco paesaggisti-

co, è vero, ma perfettamente in ar-monia con l’antecedente barocco: è questo il motivo per cui il parco di Nymphenburg è così importan-te. Sckell lasciò il canale centrale di Adelaide, con i suoi viali alberati, ma non pianse quando fu rimossa la fontana in oro di Flora; conside-rando l’orizzonte troppo limitato dalle infinite scatole prospettiche, le abbatté; dove si trovavano le piazze barocche disegnò valli co-sicché, visto dall’alto, l’antico im-pianto voluto da Max Emanuel è ancora visibile, quasi come il nega-tivo di una foto. Ma il rapporto tra i giardini e gli edifici cambiò: que-sti ultimi persero d’importanza e entrarono a far parte della natura.

Sckell volle la quercia dove si apri-va una veduta, oppure il più ele-gante tiglio per sfumare lo sfondo. Pensò al gioco che i colori naturali avrebbero dispiegato tutto l’anno: romantico e malinconico, vivace e allegro, serio ma festoso.

Oggi il parco di Nymphenburg è un quadro dove si può fare jog-ging, pattinaggio sul ghiaccio e dove quattro milioni di visitatori all’anno passeggiano in tutte le sta-gioni. Sckell lo attraversò per circa vent’anni fino alla morte (1823) e, scrivendo a un amico, ebbe a dire che Nymphenburg era stata la sfida intellettualmente più stimo-lante di tutta la sua vita. ▫

Laura Tomassetti

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