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BARRIERE Introduzione di Vittorio Sgarbi Foto di Mauro Cozzoli Da un’idea di Senad Saracevic e Mauro Cozzoli G.G.E. Con la collaborazione della Fondazione Don Gnocchi Brochure barriere 16-11-2007 10:53 Pagina 1

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foto di Mauro Cozzoli

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BARRIERE

Introduzione di Vittorio Sgarbi

Foto di Mauro Cozzoli

Da un’idea diSenad Saracevic e Mauro Cozzoli

G.G.E.

Con la collaborazione della Fondazione Don Gnocchi

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Dedico questo libro adue persone che nonsono più con me, masaranno sempre nel miocuore...

Grazie Odilio Lugano

Grazie Mario Rancati

Mauro Cozzoli

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Chi di noi ha mai fatto caso a uno scalino all’entrata di un bar o di un qualsiasi altro localepubblico o privato? Diciamoci la verità…quasi nessuno.Ebbene la realtà è che nessuno di noi ha la necessità di notare uno scalino, un elementotalmente insignificante che basta fare un “passo” per superarlo.Non ci vuole niente a fare un semplice, banale movimento con le gambe! Tuttaviadifficilmente ci viene in mente che per una parte delle persone, benché minima rispetto aimilioni che vivono in questo paese, poter fare anche un solo metro con le proprie gambe nonè altro che un sogno.Ma uno scalino non ha nulla di naturale, è una forzatura creata dall’uomo, detta anchebarriera architettonica perché ideata e creata da un architetto, che fino a prova contraria èun uomo.Abbiamo uno scarso senso civico e sociale, non è cattiveria ma semplicemente incapacità diguardare oltre a noi stessi.È un dato di fatto che il bene proprio venga prima di quello comune, al di là di tante belleparole e frasi più o meno di circostanza. Le barriere architettoniche sono ovunque, ma primadi tutto nelle nostre teste perchè ivi sono concepite.Chi progetta le città in ogni suo aspetto è quindi la prima vittima delle barriere che creaperché la sua mente le partorisce.Bisogna voltare pagina, non è possibile accettare che nel XXI secolo siamo ancora così limitatida essere prigionieri di carceri creati da uomini per altri uomini.Le persone con handicap troppo spesso vivono rinchiuse in casa o comunque in luoghicircoscritti, simili appunto a prigioni, perché gli è impedito di fare tutto ciò che i cosiddetti“normodotati” possono fare, per colpa di inaccettabili ostacoli che l’uomo si inventa da solo.La maggior parte delle case sono inaccessibili a causa delle scale o degli ascensori microscopici.Altri esempi sono quelli di persone su sedia a rotelle che non riescono a prelevare dal bancomat perché èposto troppo in alto, o non possono imbucare la posta o citofonare per lo stesso motivo.Per non parlare delle strade e dei marciapiedi e qui entrano in gioco tutti i cittadini.Quante volte troviamo una macchina posteggiata davanti a uno scivolo per disabili, oppure macchine senzacontrassegno occupare posti riservati a persone con handicap.Gli esempi purtroppo potrebbero andare avanti all’infinito.Lo scopo di questo libro è di sensibilizzare la società, aiutarla a vedere e a capire i problemi che tante personedevono affrontare nella quotidianità.E cosa altro può aprire meglio la mente di immagini che ci “sbattono in faccia” la cruda realtà, dal momentoche le problematiche non le vediamo finché non ci riguardano direttamente.Sarà un utopia, sarà una nostra presunzione, ma si devono abbattere le barriere culturali nelle nostre teste.Certo, questo libro sarà solo un piccolo “passo”, ma per qualcuno questo “passo” può avere un’importanzaimmensa e inimmaginabile.

Vittorio Sgarbi

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Ma...

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««AA ttuuttttii ddiiccoo ddii nnoonn mmoollllaarree mmaaii!!»»

Mi chiamo Senad. Sono un ragazzo bosniaco di 24 anni. Vivo in Italia dal ‘92 e sento questo splendido Paesecome la mia patria d’origine, avendo passato qui più di metà della mia vita. La mia storia è stata, fino all’etàdi nove anni, quella di un qualunque ragazzino della mia età: la scuola, gli amici, il calcio...Poi, improvviso, un fatto ha cambiato radicalmente la mia vita: in meglio o peggio non lo so, però l’hacertamente cambiata. La mattina del 2 agosto ‘92, mentre in Bosnia era in corso da diversi mesi quella guerratanto crudele quanto inutile, sono stato ferito alla schiena da una granata lanciata dalle milizie serbo-bosniache. In quel momento mi sono sentito crollare il mondo addosso. Che ne era del ragazzino vivace eallegro, ora che non potevo più permettermi i sogni e le illusioni dell’età infantile? Da quel giorno ho iniziato a vedere il mondo in modo diverso. Ho scoperto, come direbbe il nostro buonLeopardi, “l’arido vero”: sono insomma iniziate per me le prove più dure che la vita mette di fronte allepersone. Intanto non avrei più potuto camminare: la scheggia mi aveva leso il midollo spinale, rendendomiparaplegico e dando inizio alla mia odissea negli ospedali.

Sono stato prima ricoverato in due ospedali bosniaci, a Tuzla, dove hanno cercato di capire l’accaduto e ditogliermi la scheggia dalla schiena. Non ci sono riusciti e nemmeno disponevano delle cure necessarie. Lasituazione era poi drammatica, con l’arrivo ogni giorno di nuovi feriti bisognosi di interventi urgenti eimmediati. Mio padre decise allora di farmi trasferire in Croazia, dove potevo essere assistito e curato meglio.All’inizio mi ribellai: andare in Croazia voleva dire allontanarmi dai miei genitori e dai miei fratelli e tuttoquesto era per me più straziante che non il fatto stesso di non poter più camminare.

Ora, a distanza di anni, posso dire che sarò sempre grato a mio padre di questa sua decisione, perchè ha fattosolo il mio bene. Arrivai all’ospedale di Fiume, ma nemmeno qui riuscirono a intervenire per estrarre lascheggia dalla schiena. Mi spiegarono che il frammento di granata si era conficcato troppo vicino all’aorta ec’era il rischio che questa si rompesse. A Fiume conobbi però una famiglia italiana che aveva dato vita a uncomitato per portare aiuti umanitari ai profughi di guerra. Furono loro a consigliarmi il viaggio in Italia, nellasperanza che in qualche ospedale potessero fare qualcosa per me. Ma anche al “San Raffaele” di Milano imedici non rischiarono l’intervento. Decidemmo che la soluzione migliore era di lasciare la scheggia dove sitrovava e sperare che questa col tempo si stabilizzasse e non creasse altri guai. E così è stato.

Questa famiglia ha fatto tantissimo per me. Nel mio dramma, posso dire di essere stato fortunato aincontrare persone tanto fantastiche che mi hanno regalato una seconda vita. Per questo e per l’amore chehanno avuto nei miei confronti sarò per sempre loro grato.

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Le mie peripezie di ospedale in ospedale non sono comunque finite lì. Sono passato da un interventochirurgico all’altro, tutti in seguito alle ferite procuratemi da quella bomba. Inutile citarli tutti: sarebbe comeleggere l’elenco della spesa. Basta e avanza ricordare l’intervento subito alla schiena per la gravissima scoliosiche col tempo si era venuta a formare. Mi sono state impiantate delle particolari barre di ferro, che miaiutano a restare dritto, cercando così di evitare più avanti problemi respiratori che la scoliosi avrebbeinevitabilmente comportato.

Infine nel ‘95, all’età di 13 anni, sono arrivato nella grande famiglia della Fondazione Don Calo Gnocchi, doveancora oggi mi trovo.

La Fondazione è l’Opera che don Carlo avviò oltre cinquant’anni fa per assistere i mutilati della secondaguerra mondiale. Qui ho avuto la possibilità di essere seguito nelle cure mediche: i dottori e tutto il personaledel Centro di Milano si sono occupati della mia riabilitazione.E come voleva don Carlo, grazie alla Fondazione ho potuto proseguire gli studi. Ho frequentato il liceoscientifico e quattro anni fa ho superato l’esame di maturità. A Giugno ho conseguito la tesi all’IstitutoEuropeo di Design nel corso di illustratore e animatore multimediale, poiché ho sempre amato il disegno e lapittura.Vivo in una comunità per persone disabili aperta dalla “Don Gnocchi” e da qualche anno ho anche un lavoro.Sì, lavoro anch’io alla Fondazione Don Gnocchi, dove mi occupo di computer e di tecnologie. Guidol’automobile, mi piace divertirmi con gli amici e frequento lo stadio, perché sono un tifoso dell’Inter.La cosa che mi ha aiutato di più in questi anni è l’aver incontrato persone e amici meravigliosi, che con il loroaffetto e il loro sostegno mi hanno dato la forza per superare quegli ostacoli che la vita di tutti i giorni ponedavanti a ciascuno di noi. E ho imparato a pensare che c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi e che habisogno anche del nostro aiuto. Sono, queste, grandi lezioni di vita, che la mia condizione mi ha consentito dicomprendere e fare mie.Per come la penso, la vita ci mette di fronte a molti ostacoli – barriere architettoniche e barriere culturali -che siamo chiamati a superare ogni giorno. Riuscendo in ciò, viviamo momenti di felicità che, per quantobrevi, resteranno eterni e sempre vivi dentro di noi e nelle persone che abbiamo accanto.A tutti voglio solo ricordare che per riuscire in questa nostra grande sfida quotidiana non dobbiamodimenticare mai lo slogan che cantiamo spesso noi tifosi di calcio allo stadio. Vale per la propria squadra delcuore e vale per tutti noi: “Non mollare mai!”.Senad Saracevic

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Ringraziamenti

Maurizio Alini, Emanuele Brambilla, Michela Brenna, Lillo Cannarozzo, Federica Colombo,Stefano Cozzoli, Paolo DeStefani, Giorgio Grasso, Giuseppe Guercio, Paolo Maderna, AmbrogioMoccia, Giovanni Ocera, Ivan Ocera, PierPaolo Pasquali, Andrea Pellizzari, Vittorio Sgarbi,Mariella Terranova, Sandra Torretta e tutte le persone che hanno sostenuto questo progetto.

Particolari ringraziamenti a Amos Nannini, Presidente della Società Umanitaria per gentile concessione degli spazi

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Osservando Barriere di Mauro Cozzoli, fotografo di grandetalento artistico ma soprattutto uomo sensibile e dal forteimpegno sociale, mi sono reso conto di quanto le immaginisiano così eloquenti sotto l’aspetto umano da esserneinevitabilmente rapito.Il progetto dà voce a quel sentimento di rabbia e di indignazioneverso un popolo insensibile che vive accanto a chi soffre… e nonlo vede.Ho sempre pensato che la cosa più dura da sopportare per unuomo sia la mancanza di libertà di movimento, un esperienzaancora più dolorosa di una malattia che ti incolla ad un letto. Madovevo osservare le foto di Mauro per capire che chi nasce o peraltra causa diventa invalido è condannato due volte, la primadalla disgrazia subita, la seconda dalle istituzioni che non loproteggono adeguatamente e non lo sostengono nel suo dirittoalla libertà.Quante barriere architettoniche infatti, il diversamente abiletrova quotidianamente davanti a sé?Mauro Cozzoli con questa preziosa raccolta di foto vi ha datorisposta.Ritengo che le immagini, agiscano verso chi le ammira con laduplice funzione, di avvicinare al problema delle barrierearchitettoniche chi prima non se ne era mai curato, e di renderechi è già informato più partecipe e attento.In tutti gli scatti il protagonista Senad, alle prese coninsormontabili barriere architettoniche, viene costantementeignorato da cose e persone alle quali basterebbe un piccologrande gesto per fargliele superare.Il messaggio è aiutare il disabile a non essere aiutato, creandouna coscienza collettiva sensibile al problema, tanto forte dapoter influenzare Chi ha potere di cambiare le cose, affinché siproceda verso l’eliminazione totale delle barriere cheostacolano il vivere civile dei tanti che non vedono rispettati iloro diritti.Uniamoci al grido di Senad, ammirevole per il coraggiodimostrato nel lanciare un s.o.s. di solidarietà, un grido d’aiutodi tanti altri come lui.

Pierpaolo Pasquali

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