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SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA Riunione Nazionale 2013 Firenze, 21-22 ottobre 2013 ATTI DEL CONVEGNO ISBN 978 88 97843 09 - 2

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SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA

Riunione Nazionale 2013 Firenze, 21-22 ottobre 2013

ATTI DEL CONVEGNO

ISBN 978 – 88 – 97843 – 09 - 2

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 2

Sessione “LARN E PREVENZIONE” LARN e prevenzione cardiovascolare PASQUALE STRAZZULLO, DOMENICO RENDINA, GIUSEPPE MOSSETTI LARN e infiammazione ALESSANDRO CASINI Sessione “LARN E INDIVIDUO” Biomarkers dello stato di nutrizione ALESSANDRO PINTO Principi generali di applicazione dei LARN all’individuo GIULIA CAIRELLA, LUCA SCALFI

Sessione “LARN E ATTIVITÀ FISICA” Sedentarietà e malattia: basi biochimico-metaboliche CRISTINA FATONE E PIERPAOLO DE FEO Sedentarietà in età pediatrica GIULIANA VALERIO Sessione “LARN E RISTORAZIONE COLLETTIVA” Larn e ristorazione collettiva. Cosa succede nelle scuole? RAFFAELE DELL'ACQUA LARN e Ristorazione Collettiva ALESSANDRA FABBRI LARN e Ristorazione Collettiva PAOLO SIMONETTI LARN e Ristorazione Collettiva SALVATORE CIAPPELLANO Sessione “LARN E INTEGRAZIONE” Integrazione nell’anziano LORENZO M DONINI Sessione “LARN E DONNA” Supplementazione in gravidanza IRENE CETIN, FRANCESCA PARISI, MARTINA MAZZOCCO Allattamento e programming nutrizionale. ELVIRA VERDUCI Fabbisogni nutrizionali nella donna in menopausa NICOLETTA PELLEGRINI

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COMUNICAZIONI ORALI

A01. Stato di nutrizione della vitamina D e correlazione con misure antropometriche A. AIELLO, R. ASPRINO, V. DEL BALZO, S. DE CHIARA, E. DI STASIO, L.M. DONINI, R. IENCA, C. LUBRANO, A. PINTO, E. POGGIOGALLE, L. TOSELLI

A02. The acute effect of cigarette smoking on inflammatory markers in young moderate smokers: a potential model for studying the protective properties of food bioactives. C. DEL BO’1, M. PORRINI

1, J. CAMPOLO2, D. KLIMIS-ZACAS

3 AND P. RISO

1

A03. Effetto del consumo di sale sulla escrezione urinaria di albumina: meta-analisi degli studi randomizzati e controllati L. D’ELIA, M. SCHIANO DI COLA, G. ROSSI, I. SAVINO, C. IANNOTTA, F. GALLETTI, P. STRAZZULLO

A04. c9,t11-Conjugated linoleic acid isomer ameliorates steatosis by modulating mitochondrial uncoupling and Nrf2-activated defenses A. DELLA GATTA, G. TRINCHESE,G. CAVALIERE, C. DE FILIPPO, M. GAITA, S. DI SCALA, I. PUNZO, R. SIRICA, S. VERDOLIVA, P. BERGAMO, M.P. MOLLICA A05. Oral supplementation with aminoacids improves insulin sensitivity and reduces fatty liver deposition in nonalcoholic fatty liver disease patients: an intervention study I. GIANGRANDI, F. SOFI, F. CESARI, R. ABBATE, G.F. GENSINI, A. CASINI

A06. Production of melatonin and its isomers by yeasts and effects of tryptophan supplementation I. VIGENTINI, C. GARDANA, R. FOSCHINO, P. SIMONETTI, D. FRACASSETTI, A. TIRELLI, M. IRITI

A07. Anthocyanins from Wild Blueberry (Vaccinium aungustifolium) exert in vitro immunomodulatory effect C. LANTI, V. TAVERNITI, D. FRACASSETTI, C. DEL BO’, P. RISO, M. PORRINI, D. KLIMIS-ZACAS

AND S. GUGLIELMETTI

A08. Obesity development and hepatic lipid metabolism in rats simultaneously exposed to chronic high-fat diet and low doses of persistent organic pollutant R. PUTTI, R. SICA, E. PISCITELLI, C. D’AMBROSIO, V. MIGLIACCIO, L. LIONETTI

A09. Characterization of phenolics in red grape skins recovered from winemaking by-products employable as a food ingredient or as a nutraceutical preparation L. MARINONI, C. GARDANA, P.S.C. SRI HARSHA, V. LAVELLI AND P. SIMONETTI

A10. KAMUT khorasan wheat products and irritable bowel syndrome: a double-blinded dietary intervention study

F. SOFI, A. WHITTAKER, A.M. GORI, F. CESARI, E. SURRENTI, R. ABBATE, G.F. GENSINI, S. BENDETTELLI, A. CASINI

A11. Omocisteina plasmatica, genotipo MTHFR e stato vitaminico in una popolazione pediatrica con ipercolesterolemia familiare eterozigote E.VERDUCI, C. PEDERIVA, M.E. CAPRA, E. SALVATICI, E. RIVA, G. BANDERALI

A12. Effetto dei processi di surgelazione e cottura sulla qualità nutrizionale di alcuni vegetali M. ZAUPA, T. MAZZEO, E. CHIAVARO, V. FOGLIANO, N. PELLEGRINI

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POSTER

P01. Influenza della massa corporea sulla attività fisica C. LUCIANO, R. GRADASCHI, GF ADAMI

P02. La cucina ligure come declinazione locale della dieta mediterranea. R. GRADASCHI, M. BORRIELLO, R. CREMONA, GF. ADAMI

P03. «Enhanced Recovery After Surgery» in Italia: i protocolli nutrizionali per la chirurgia elettiva gastrointestinale I. BACHINI, M.L. MASINI, A.R. SABBATINI, E. ZAGALLO, L. SARTINI, G. BUTI

P04. Livello attività fisica negli adolescenti: due metodologie di valutazione a confronto L. BELLI, G.COLAO, I.ROMANI, G.VICI, D.CIMINI, D. FIACCHINI, F.PETRUIO P05. Weight gain during pregnancy in overweight and obese women related to lifestyle changes. V. BERTARINI, C. CICCHETTI, L. PIGNATTI, E. PETRELLA, A. PIETROBELLI, N.C. BATTISTINI AND M. MALAVOLTI P06. Valutazione dello stato nutrizionale dei pazienti ricoverati presso la Fondazione Don C. Gnocchi B.BIFFI, E.GRAZIANO, E.RAFANELLI, C.F.GHERI, G.PASQUINI, M.L.E.LUISI, G.F.GENSINI

P07. Pivotal assessment of the effects of bioactives on health and wellbeing. From human genoma to industry (PATHWAY-27) A. BORDONI ON BEHALF OF THE PATHWAY-27 CONSORTIUM

P08. DHA, Genisteina e Sulforafano: bioattivi anti-obesità V. VALLI, K. HEILMANN, C. GERHÄUSER, A. BORDONI

P09. Stili di vita e abitudini alimentari delle adolescenti italiane attraverso i dati dell’indagine “Folati mattoni per la vita!” P. BUONOCORE, A. AGUZZI E S. RUGGERI

P10. Bioaccumulation of Resveratrol Metabolites in Myocardial Tissue is Dose-Time Dependent and Related to Cardiac Hemodynamics in Diabetic Rats L. CALANI, L. BRESCIANI, L. BOCCHI, F. DELUCCHI, M. SAVI, S. RAY, F. BRIGHENTI, D. STILLI, D. DEL RIO

P11. Valutazione delle abitudini alimentari in soggetti con anoressia nervosa restrittiva ed in una popolazione di controllo: confronto con le raccomandazioni LARN 2012. C. CHIURAZZI, C. DE CAPRIO, E. DE FILIPPO, S. EUFEMIA, M.L. DI GUGLIELMO, R. SAMMARCO, F. FIERRO, M. MARRA, F. CONTALDO, F. PASANISI

P12. Valutazione delle abitudini alimentari in una popolazione sana: confronto con le raccoman-dazioni LARN 2012. C. CHIURAZZI, C. DE CAPRIO, E. DE FILIPPO, S. EUFEMIA, M.L. DI GUGLIELMO, R. SAMMARCO, F. VITALE, M. MARRA, F. CONTALDO, F. PASANISI P13. Bioaccessibilità di vitamine e composti fenolici di un pane arricchito con aleurone M. DALL’ASTA, F. SCAZZINA, L. CALANI, L. BRESCIANI, C. MELEGARI, D. DEL RIO E F. BRIGHENTI

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P14. Potenziale bioattività di sottoprodotti dell’industria cerealicola per la produzione di nuovi alimenti V. VALLI, F. DANESI, J. ROBERTSON, K. WALDRON, F. FAVA, L. VANNINI, A. BORDONI

P15. Abitudini alimentari di bambini dai sei ai trentasei mesi del Nord e Sud Italia: lo studio trasversale Nutriintake 636 GV. ZUCCOTTI, C. CASSATELLA, A. MORELLI, MC. CUCUGLIATO, G.CATINELLO, V. DEL BALZO, L. GUIDARELLI, C. AGOSTONI, E. TROIANO, G. BEDOGNI

P16. LARN e età evolutiva: come renderne efficace l'applicazione nella Ristorazione Scolastica R. DELL'ACQUA, E. CISERCHIA, E. VENTURINI, A. ALBERTINI, P. DI PIETRO

P17. Valutazione delle proprietà nutrizionali di piadine arricchite in selenio dopo digestione in vitro. M. DI NUNZIO, M. BALDISSARRI, F. MISSIROLI, A. GIANOTTI, A. BORDONI

P18. Validazione della versione italiana del questionario di Laval per la misura della qualità di vita nei soggetti obesi L. DI LAZZARO, C. MAROCCO, E. POGGIOGALLE, G. POLIDORO, L.M. DONINI P19. Dyslipidemia and obesity in Naples female population G. NASTI, T. MASTANTUONO, M. DI MARO, A. RUSSO, R. PALUMBO, R. CHIAPPETTI, F. ARIEMMA, M.R. COPPOLA, A. COLANTUONI

P20. Drop-out in obesity treatment: predictable and preventable? O.COLOMBO, C.FERRARIS, C.TRENTANI, S.VILLANI, A.TAGLIABUE

P21. Relazioni tra introito di nutrienti, obesità, infiammazione e terapia farmacologica dopo trapianto renale R. GERMANÒ, I.D. MARESCA, R. TRIO, A. MEMOLI, M. COCO, M. CATALDI, M.SABBATINI, B. GUIDA

P22. Effetto della somministrazione di probiotici e prebiotici sui livelli plasmatici di p-cresolo nel paziente affetto da insufficienza renale cronica R. GERMANÒ, E. BUONANNO, R. TRIO, M. COCO, M. CATALDI, L. GRUMETTO, B. GUIDA

P23. Le novità sull’aggiornamento del gruppo frutta della banca dati di composizione degli alimenti per studi epidemiologici in Italia P. GNAGNARELLA, A.M. MISOTTI, M. PARPINEL, S. SALVINI, F. SANTAGIULIANA, F. BARBONE, P. MAISONNEUVE P24. Valutazione dello stato nutrizionale degli assistiti dell’Unità Operativa Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) COD.75 ricoverati presso l’IRCCS di Firenze della Fondazione Don Carlo Gnocchi E.GRAZIANO, M.L.E.LUISI, B.BIFFI, E.RAFANELLI, C.F.GHERI, C. MACCHI, G.F.GENSINI

P25. Educazione terapeutica nutrizionale in riabilitazione cardiologica: risultati a un anno E. GRAZIANO, B. BIFFI, L. DA VICO

P26. Indagine sui comportamenti alimentari dei lavoratori dei cantieri di Bologna GUBERTI E , COPPINI C , BIANCO L, PIPITONE E, NAVACCHIA P, NEGOSANTI M , RIZZOLI C , APRILE E

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P27. Alimentazione e attività fisica in un campione di popolazione studentesca siciliana. L. MANASSERI, M. PAPA, N. VACIRCA, G. LA MONICA, D. METRO

P28. Biodisponibilità della curcumina: nuove strategie di potenziamento D. MARCONI, F. PETRELLI, I. GRAPPASONNI

P29. Contributo delle dietoterapia nel trattamento della psoriasi M. MARENZANA, M BURLANDO, N. GRADASCHI, A PARODI, GF ADAMI

P30. TSH levels, nutritional status and body composition in subclinical hypothyroidism T. MASTANTUONO, G. NASTI, A. RUSSO, D. GRUMIRO, M. NAPOLITANO, N. STARITA, A. COLANTUONI

P31. Dietary assessment and mycotoxin exposure in a group of celiac subjects T. MAZZEO, C. DALL’ASTA, L. RONCORONI, C. TOMBA

2, L. ELLI, C. AGOSTONI, G. GALAVERNA, F. BRIGHENTI, N. PELLEGRINI

P32. Educazione Terapeutica (ET): risultati di uno studio pilota condotto su un campione di soggetti obesi MF CALABRIA, G. CASELLA, L.M. DONINI, G. GAVARINI, A. GENCO, AM GIUSTI, L. GNESSI, G. GUIDA, L. GULIZIA, S. MARIANI, G. MEROLA, A. PINTO, G. POLIDORO, E. PROSPERI

P33. La ritenzione idrica nei disastri parietali D. METRO, L. LUCIBELLO, L. MANASSERI, M. PAPA, N. VACIRCA, D. CELI

P34. Major depression disorders and eating habits in obese Naples aging peoples E. MUSCARIELLO, M.L DE BLASIO, D. GRUMIRO, M. NAPOLITANO, M. MONTISANO, C. LEGORANO, G. NASTI, A. COLANTUONI

P35. Increased Resting Energy Expenditure in Hyperglycemic Women E. MUSCARIELLO, G. NASTI, R. PALUMBO, M. MONTISANO, T. PORTOGHESE, A. COLANTUONI

P36. Correlazione tra parametri DXA e laboratoristici in soggetti normopeso, sovrappeso ed obesi F. PONTI, D. PAPADOPOULOS, P. DI PIETRO, V. ARRIGHI, D.DIANO, U. ALBISINNI, G. MARCHESINI, G. BATTISTA, A. BAZZOCCHI

P37. Adeguatezza dell’assunzione iodica con la dieta nel Valdarno fiorentino, zona ad elevata endemia gozzigena E. RAFANELLI, C.F. GHERI, M.L.E. LUISI, G. RICIGNOLO, B. BIFFI, E. GRAZIANO, R.G. GHERI E G.F. GENSINI

P38. Aderenza alla Dieta Mediterranea in un campione di soggetti dell’area fiorentina ricoverati presso l’IRCCS di Firenze della Fondazione Don Carlo Gnocchi E. RAFANELLI, B. BIFFI, M. MENEGHETTI, E. GRAZIANO, C.F. GHERI, M.L.E. LUISI, G.F. GENSINI

P39. Il trattamento dietetico del paziente diabetico: approccio terapeutico individuale e di gruppo S RAVERA, M RATTAZZI, D MAGGI, R GRADASCHI, GF ADAMI

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P40. Una rete di laboratori per migliorare la valutazione della dieta italiana S. SALVINI, M. PARPINEL, P. GNAGNARELLA, A. MISOTTI, F. BARBONE, P. MAISONNEUVE, E. CAMILLI, L. MARLETTA P41. I LARN: strumento fondamentale per il nutrition choach L. SATURNI, A. PANNITTI, F. ROSSI E R. GABBIANELLI

P42. LARN ed assunzione di micronutrienti in pazienti in nutrizione enterale totale domiciliare C. SCANZANO, R. IACONE, L. ALFONSI, E. PASTORE, A. D'ISANTO, G. NEGRO, L. SANTARPIA, F. CONTALDO

P43. Determination of the glycemic index of some commercial gluten free products F. SCAZZINA, M. DALL’ASTA, N. PELLEGRINI, F. BRIGHENTI

P44. Dietary profile of patients with Stargardt’s disease and Retinitis Pigmentosa: is there a role for a nutritional approach? F. SOFI, A. SODI, D. BIAGINI, V. MURRO, A. MIELE, G. ABBRUZZESE, R. ABBATE, G.F. GENSINI, U. MENCHINI, A. CASINI

P45. Studio sulla correlazione dieta e steatosi/steatoepatiti non-alcoliche (NASH/NAFLD). Indagine su una coorte di pazienti italiana (Programma Unione Europea FLIP). S. TONI, M. MALAVOLTI, N.C. BATTISTINI, F. CARUBBI, S. BELLENTANI, F. SCAGLIONI, S. CICCIA, A. PROCACCINI, A. BARCHETTI, G. MAGNANI, M. BUSACCHI, M. PELLEGRINI

P46. Policistosi ovarica, Insulino Resistenza e Obesità: ruolo del regime alimentare controllato nel ripristino di una normale funzionalità ovarica. C.VIGNI, V. DE LEO, G. MORGANTE P47. Sostenibilità ambientale ed economica della Dieta Mediterranea A. GERMANI, V. VITIELLO, F. NIGRO, L. DIOLORDI, V. DEL BALZO

P48. Confronto di banche dati sui consumi alimentari per valutare l’adeguatezza della dieta A. TURRINI, L. D' ADDEZIO, A. PETTINELLI, M. CAPRIOTTI, E. CAMILLI, L. MARLETTA P49. Ricette tipiche Italiane: si possono rispettare le attuali indicazioni dietetiche senza rinunciare a tradizione e gusto? L. MARLETTA, E. CAMILLI, P. GABRIELLI, A. AGUZZI, S. LISCIANI, S. MARCONI, L. GAMBELLI

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Società Italiana di Nutrizione Umana Riunione Nazionale 2013

Firenze, 21-22 ottobre 2013

ATTI DEL CONVEGNO

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LARN e prevenzione cardiovascolare

PASQUALE STRAZZULLO, DOMENICO RENDINA, GIUSEPPE MOSSETTI

Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università di Napoli Federico II

L’alimentazione gioca un ruolo importante nella salute dell’uomo e in particolare nella prevenzione di malattie croniche quali le malattie cardiovascolari. Numerose meta-analisi di studi osservazionali e di studi d’intervento, e i risultati di trial clinici controllati e randomizzati, depongono in favore di un pattern alimentare che è stato definito di tipo mediterraneo o anche “mediterrasian”. Di fatto, l'incidenza di malattie cardiovascolari è mediamente più bassa nell’area mediterranea ed anche in molte parti dell'Asia, ad es. in Giappone. Tradizionalmente. le diete di questi Paesi sono ricche di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, povere in grassi saturi e forniscono elevate quantità di composti bioattivi vegetali tra cui polifenoli e vitamine antiossidanti. Inoltre un maggior consumo di pesce, in particolare pesce azzurro, e di nocciole fornisce quantità significative di acidi grassi omega-3, a loro volta associati a protezione cardiovascolare sia in prevenzione primaria che secondaria. Altre specifiche abitudini di questi Paesi, come il consumo moderato di vino rosso e quello di tè verde, prodotti ricchi di composti con azione antiossidante, sono state associate a minor rischio di eventi cardiovascolari. Viceversa nella maggior parte di questi Paesi il consumo abituale di sale risulta ancora largamente in eccesso rispetto alle effettive necessità e un eccesso di calorie, dovuto tra l’altro all’uso di porzioni eccessive di vari cibi (specie junk food) e all’uso esagerato di bibite zuccherate, insieme alla sedentarietà, contribuisce all’epidemia ingravescente di obesità e, in prospettiva, di diabete mellito. L’evidenza crescente di una diffusa carenza di vit. D in larghi strati di popolazione, anch’essa peraltro associato ad obesità e insulino-resistenza, anche nei Paesi a più basse latitudini, è un altro elemento preoccupante del quadro nutrizionale (e metabolico) quale appare nei nostri anni. La revisione 2012 dei LARN è coerentemente ispirata a questi concetti e tiene conto in tutte le sue articolazioni della forte associazione esistente tra abitudini alimentari, stato nutrizionale e prevenzione delle malattie cardiometaboliche. Bibliografia Sofi F, Abbate R, Gensini GF, Casini A. Accruing evidence on benefits of adherence to the Mediterranean diet on health: an updated systematic review and meta-analysis. Am J Clin Nutr. 2010;92:1189-96. D’Elia L, Strazzullo P. Ruolo del consumo di sale nella progressione della malattia aterosclerotica. Giorn Ital Arterioscl. 2013; 1:3-19 Estruch R, Ros E, Salas-Salvadó J, Covas MI, Corella D, Arós F, et al. Primary prevention of cardiovascular disease with a Mediterranean diet. N Engl J Med. 2013; 368:1279-90. Mathers CD, Loncar D. Projections of global mortality and burden of disease from 2002 to 2030. PLoS Medicine. 2006;3:e442.

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LARN e infiammazione ALESSANDRO CASINI Agenzia Nutrizione - AOU Careggi; Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Scuola di Scienze della Salute Umana, Università di Firenze

L’alimentazione è in grado di modificare profondamente lo stato di salute degli individui e della comunità. Nei Paesi industrializzati l’elemento più importante del fattore nutrizionale è sicuramente la relazione con lo “stato pro-infiammatorio” associato alle malattie metaboliche e le malattie cardiovascolari, la prima causa di morte e disabilità. La possibilità di individuare con certezza, quindi, le relazioni esistenti tra abitudini alimentari e malattie metaboliche con rischio cardiovascolare è un elemento fondamentale nell’attuazione di precise strategie preventive primarie, dirette a tutta la popolazione e/o secondarie, idonee a migliorare lo stato nutrizionale del soggetto già affetto da questo tipo di patologie. Le malattie metaboliche e cardiovascolari, in tutte le sue manifestazioni, sono il risultato della complessa interazione tra fattori genetici ed ambientali a determinare quello che è definito “tratto genetico” complesso o malattia “multifattoriale”. In quest’ambito notevole interesse presenta la cosiddetta “nutrigenomica”, cioè l’interazione tra alimenti e corredo genetico dell’individuo. Attualmente, la stragrande maggioranza degli studi esistenti sulla relazione tra alimentazione e patologia metabolica ha preso in considerazione principalmente e solo le componenti dietetiche, in singolo o in toto come profilo alimentare, in relazione all’insorgenza della patologia. Tuttavia, pochi studi sono disponibili sull’interazione tra componente alimentare nota essere significativamente associata ad una riduzione del rischio di malattia, un caratteristico pattern genetico, e marcatori bioumorali. D’altra parte, però, negli ultimi anni, numerosi studi epidemiologici prospettici hanno evidenziato con chiarezza come l’abituale consumo di carboidrati e di alimenti derivanti dalla famiglia delle graminacee sia fortemente correlato con una ridotta incidenza di malattie cardiovascolari e/o tumorali. Inoltre studi effettuati dal nostro gruppo, e poi confermati da altri e da metanalisi sull’argomento, hanno dimostrato come alcuni nutrienti appartenenti al gruppo degli omega n-3 PUFA siano in grado di ridurre o prevenire le manifestazioni epatiche della Sindrome Metabolica, a cui si associano un netto aumento dei rischi di malattia cardio- e cerebrovascolare.

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Biomarkers dello stato di nutrizione ALESSANDRO PINTO Dip. Medicina Sperimentale - U.R. Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Università “Sapienza” di Roma

Lo stato di nutrizione (SdN) è il risultato dell’introduzione, assorbimento e utilizzazione di energia e nutrienti e coincide con lo stato di salute quando, con il contributo dei composti funzionali e di un sano stile di vita, sono soddisfatti i fisiologici fabbisogni. La valutazione dello SdN si basa sull’analisi della composizione corporea e di parametri fisiologici, attraverso esami strumentali ed ematochimici, di cui i biomarkers (BM) dello SdN fanno parte. Un BM è qualunque sostanza, prodotto metabolico o risposta cellulare, dosabile/misurabile nei liquidi/tessuti biologici, che può essere utilizzata come indice obiettivo degli effetti (fisiologici, patogenetici o farmacologici) prodotti dall’interazione tra sistema biologico - organismo umano - e fattori esogeni (chimici, fisici o biologici), tra cui i nutrienti o altre sostanze di origine alimentare, in grado di incidere sullo stato di salute/rischio di malattia. I BM possono essere indicatori dell’intake, dello stato di nutrizione e/o degli effetti funzionali di un regime alimentare, sia a livello epidemiologico che del singolo individuo. Si distinguono: 1. BM dell’intake/exposure: le tecniche di assessment dietetico (food frequency questionnaire, 24h-recall, ecc.)

presentano diversi limiti, dipendenti da database incompleti di composizione degli alimenti, variabilità della composizione e della biodisponibilità nell’ambito della stessa categoria merceologica, differenze intra- e interindividuali di assorbimento, trasporto e utilizzazione, influenzate sia da polimorfismi genetici (per es. folati/MTHFR, vitamina D/VDR), che dal microbiota intestinale, dallo stile di vita o da abitudini voluttuarie (per es. il fumo e l’alcol per i carotenoidi); esempi sono l’acqua doppiamente marcata per l’apporto energetico, l’azoto e il potassio urinari marker, rispettivamente, dell’intake proteico e di potassio, la concentrazione sierica di minerali, vitamine e lipidi, gli elettroliti urinari;

2. BM dello SdN (correlati all’intake nel breve e lungo termine): la valutazione dello SdN presuppone, in associazione ai BM dell’intake, l’uso di indici delle fisiologiche riserve di nutrienti e del pool disponibile e scambiabile nell’organismo, dei processi di regolazione omeostatica (qualora assorbimento/escrezione gastrointestinale o urinaria siano soggetti a meccanismi di controllo, per es. nel caso del Fe, dello Zn o del Ca), della bioattività (effetto specifico a livello cellulare o corporeo) e della bioefficacia (capacità di produrre un effetto biologico desiderato), in relazione al mantenimento dello stato di salute e/o del rischio di malattia, tenuto conto del polimorfismo genetico; per es. la concentrazione nei fluidi/tessuti corporei di nutrienti o prodotti del loro metabolismo, proteine, enzimi (per es. carotenoidi nel siero, acidi grassi o altri composti liposolubili nel tessuto adiposo o nei globuli rossi, ecc.) o i marcatori di specifiche funzioni (per es. funzione tiroidea per lo I, glutatione perossidasi per il Se, forza muscolare, consumo massimale di ossigeno, le funzioni cognitive, ecc.); i BM dello SdN rappresentano, in un certo senso, l’anello di congiunzione tra intake/exposure e relativo impatto sulla salute;

3. BM del rapporto tra regime alimentare e malattie: endpoint intermedi o surrogate endpoint dello stato di salute/wellbeing o del rischio di ammalare, nell’ambito di trials clinici o studi epidemiologici (dosaggio dei livelli di emoglobina per l’anemia, misura dello spessore della parete vascolare per le malattie cardiovascolari, ecc.).

In quanto indici biochimici, i BM non sono soggetti agli errori sistematici delle metodiche di assessment dietetico a lungo termine, tanto da essere utilizzati per la loro validazione, tuttavia è opportuno precisare che:

un BM affidabile di intake/exposure può non essere un valido marcatore dello SdN e questo, a sua volta, non essere un buon indicatore dell’impatto del regime alimentare sulla salute;

gli alimenti contengono composti bioattivi di natura diversa che possono avere siti d’azione comuni e, per meglio comprendere la relazione tra regime alimentare e stato di salute, è opportuno considerare il regime alimentare nella sua globalità;

un BM dello SdN può essere correlato a nutrienti diversi e/o condizionato dalle loro reciproche interazioni e dal loro metabolismo;

fattori endogeni e/o esogeni, quali polimorfismi genetici, stato infiammatorio, stress ossidativo, condizioni patologiche, possono compromettere la validità di specifici BM e rendere necessario l’uso di fattori correttivi; occorre, quindi, definire il setting in cui ciascun BM può essere utilizzato;

devono essere stabiliti cutt-offs di riferimento univoci, correlati a stati di carenza, normalità o eccesso;

è consigliabile l’uso combinato di BM multipli per una valutazione integrata dello SdN. Un recente approccio per l'identificazione di nuovi BM dello SdN è la metabolomica. Questo metodologia, basata sulla spettrometria di massa o sulla NMR in spettroscopia, fornisce, attraverso un unico esame, informazioni quantitative su

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molteplici metaboliti nei liquidi biologici. Attraverso la metabolomica è possibile identificare nuovi BM dello SdN, definiti biomarker patterns, costituiti da clusters di nutrienti/prodotti del loro metabolismo. Questi BM complessi permetteranno di analizzare gli effetti biologici degli alimenti o dei modelli alimentari nella loro globalità per meglio comprendere la relazione tra alimentazione e salute, anche in relazione al background genetico, potendo risultare un valido strumento per l’assessment dello SdN nel singolo individuo e per l’update sistematico dei Population Reference Intake.

Bibliografia Boeing H. Nutritional epidemiology: New perspectives for understanding the diet-disease relationship? Eur J Clin Nutr. 2013 May;67(5):424-9 Raiten Daniel J, Namaste´ Sorrel, Brabin Bernard, Combs Gerald Jr, L’Abbe Mary R, Wasantwisut Emorn and Darnton-Hill Ian. Executive summary—Biomarkers of Nutrition for Development: Building a Consensus. Am J Clin Nutr 2011;94(suppl):633S–50S. Hedrick VE, Dietrich AM, Estabrooks PA, Savla J, Serrano E, Davy BM. Dietary biomarkers: advances, limitations and future directions. Nutrition Journal 2012, 11: 109

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Principi generali di applicazione dei LARN all’individuo GIULIA CAIRELLA, LUCA SCALFI

1

UOC SIAN , Dipartimento di Prevenzione ASL RMB;

1 Università degli Studi di Napoli “Federico II”

L’acronimo LARN “Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti e energia per la popolazione italiana” identifica l’insieme dei valori di riferimento per la dieta; oltre al valore attribuito al limite biologico che soddisfa il bisogno di nutriente nel 97,5% della popolazione (PRI), si indicano anche il fabbisogno medio di popolazione (Average Requirement, AR) e/o l’assunzione adeguata (Adequate Intake, AI). Per carboidrati, lipidi e proteine si è provveduto anche a definire gli intervalli di riferimento per l’assunzione di macronutrienti (Reference Intake range for macronutrients, RI) che indicano i limiti di riferimento minimo e massimo degli apporti, espressi in percentuale sull’energia. Inoltre, nella gran parte dei casi, sono indicati il limite massimo tollerabile di assunzione (Upper Level of intake, UL) che rappresenta l’apporto più elevato del nutriente non associato ad effetti avversi sulla salute. I LARN possono essere utilizzati con diversi scopi nella ricerca e nella pianificazione nutrizionale, a livello individuale e di gruppo. Il significato dei diversi valori definiti nei LARN richiede quindi una attenta considerazione in riferimento agli scopi ricercati nei loro diversi ambiti di applicazione. Nella stima del rischio di inadeguatezza nella dieta del singolo individuo, valori di introduzione pari o superiori al PRI o all’AI indicano una bassa probabilità di introduzione inadeguata; tuttavia la misura del reale stato di soddisfazione del fabbisogno del singolo individuo mediante l’utilizzo di indicatori biologici del suo stato di nutrizione dovrebbe essere sempre considerato come riferimento da adottare nel caso di valutazione dell’adeguatezza della dieta in dietoterapia o nei soggetti a rischio. Uso pratico dei valori LARN nel singolo individuo

Per i macronutrienti, l’uso dei valori estremi dell’intervallo definito dal RI non dovrebbe essere comunemente impiegato nella prescrizione dietetica individuale o di gruppo, poiché si associa a una maggiore difficoltà nell’assicurare la copertura di tutti i nutrienti. In questo caso, l’uso di un valore centrato sul punto mediano del RI rappresenta una scelta raccomandabile. L’uso dell’UL va inteso come valutazione del rischio di eventi avversi legati ad una eccessiva introduzione del nutriente, e come tale non rappresenta un obiettivo nutrizionale. Va ricordato che il rischio di eventi avversi è direttamente legato alla percentuale di superamento dell’UL con una funzione che dipende dal singolo nutriente e dallo stato fisiologico e dalla sensibilità individuale. In caso di carenze nutrizionali clinicamente manifeste, gli apporti di vitamine e minerali potrebbero eccedere l’UL, ma tali indicazioni terapeutiche sono generalmente di breve durata e con la supervisione medica.

Uso dei LARN a livello Individuale LARN Sorveglianza nutrizionale Planning dietetico

AR

Usare (con informazioni sulla variabilità riguardo a fabbisogno e introduzione) per esaminare la probabilità che l’introduzione usuale sia inadeguata

Non utilizzare l’AR come obiettivo di introduzione. Questo livello si associa al 50% di probabilità di inadeguatezza.

PRI Una introduzione abituale pari o superiore alle PRI si associa ad una bassa probabilità di inadeguatezza

Mirare a questo livello di introduzione per minimizzare la probabilità di inadeguatezza.

AI Una introduzione abituale pari o superiore all’AI si può assumere come adeguata. Nessuna considerazione può essere fatta se l’introduzione è inferiore all’AI

Mirare a questo livello di introduzione per minimizzare la probabilità di inadeguatezza.

UL Una introduzione abituale al di sopra dell’UL aumenta il rischio di effetti avversi legati ad introduzione eccessiva.

Mirare ad una introduzione abituale al di sotto dell’ UL per evitare rischi di effetti avversi.

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Nel caso dell’energia, l’introduzione abituale rispetto al fabbisogno medio calcolato sulla base del peso metabolico e del livello di attività fisica di riferimento per la classe di età considerata può essere utilizzato per stimare l’adeguatezza dell’apporto energetico. Tuttavia, a livello individuale, considerazioni relative allo specifico bilancio energetico in funzione della composizione corporea, stato metabolico e livello di dispendio energetico nelle attività quotidiane devono rappresentare la base per la valutazione dell’adeguatezza nell’introduzione di energia. Nella programmazione dietetica di singoli individui, un basso rischio di inadeguatezza può essere ottenuto fissando un valore che raggiunga i PRI o l’AI dello specifico nutriente, ponendo massima cura a non eccedere l’UL. Va considerato che il PRI rappresenterà un livello di introduzione superiore al reale fabbisogno per la maggior parte degli individui. Per i macronutrienti con un RI, l’introduzione usuale per il singolo individuo dovrebbe essere compresa nel RI, in prossimità dei valori centrali dell’intervallo. Per l’energia, una introduzione basata su sesso, peso, altezza e livello di attività fisica del singolo individuo, tenuto conto di eventuali stati si sovra o sottopeso, può essere un punto di partenza accettabile. Tuttavia, il peso corporeo deve essere tenuto sotto costante monitoraggio e l’introduzione energetica adattata come appropriato in base agli obiettivi dietetici stabiliti. Bibliografia Institute of Medicine, Food and Nutrition Board. Dietary Reference Intakes: Applications in Dietary Assessment. Washington, DC: National Academies Press; 2000. Institute of Medicine, Food and Nutrition Board. Dietary Reference Intakes: Applications in Dietary Planning. Washington, DC: National Academies Press; 2003. Murphy SP, Guenther PM, Kretsch MJ. Using the Dietary Reference Intakes to assess intakes of groups: Pitfalls to avoid. J Am Diet Assoc 2006;106:1550-1553. Barr SI, Murphy SP, Agurs-Collins T, Poos MI. Planning diets for individuals using the Dietary Reference Intakes. Nutr Rev 2003;61:352-360. American Dietetic Association. Practice Paper of the American Dietetic Association: using the Dietary Reference Intake. J Am Diet Assoc 2011; 111: 762 -770. EFSA. Scientific Opinion on principles for deriving and applying Dietary Reference Value. EFSA Journal 2010; 8(3): 1458.

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Sedentarietà e malattia: basi biochimico-metaboliche CRISTINA FATONE E PIERPAOLO DE FEO C.U.R.I.A.Mo. Università degli studi di Perugia

La pratica regolare dell’esercizio fisico è alla base del nostro stato di salute: la spiegazione è nel nostro DNA. Nei secoli passati l’attività fisica era indispensabile per la sopravvivenza dei nostri progenitori ed il patrimonio genetico della specie umana si è selezionato di conseguenza. Ad oggi uno stile di vita sedentario costituisce il principale fattore di rischio per le patologie metaboliche più diffuse, incrementandone significativamente la morbilità e la mortalità. Il muscolo scheletrico rappresenta il principale sito di utilizzo dei substrati glucidici e lipidici nel nostro organismo (costituisce il 90% dei tessuti insulino-sensibili, dato di fisiologia spesso sottovalutato); il controllo della sua omeostasi riveste un ruolo estremamente importante nel controllo del metabolismo dell'intero organismo. Il muscolo scheletrico si distingue per la sua elevata plasticità ed è in grado di adattarsi a diversi stimoli fisiologici; tra questi, l'esercizio fisico risulta essere il più significativo. Un esercizio aerobico prolungato provoca una serie di cambiamenti muscolari, metabolici e morfologici, quali: induzione della biogenesi mitocondriale, trasformazione delle fibre veloci in lente (con conseguente incremento significativo del metabolismo ossidativo della cellula e maggior utilizzo di substrati lipidici), maggior densità capillare del muscolo e aumento della sensibilità all'insulina. Al contrario un esercizio anaerobico di elevata intensità, determina un aumento della forza e induce l'espressione di proteine muscolari coinvolte nell'aumento della massa muscolare. L’esercizio fisico costituisce un importante modulatore delle attività metaboliche dell’organismo, inducendo modificazioni specifiche (strutturali e funzionali) delle cellule dei muscoli scheletr ici coinvolti; oltreché modificazioni biochimiche e molecolari in altri tessuti, determinando adattamenti funzionali a carico dell’intero organismo. La biogenesi mitocondriale, con un significativo incremento del numero e della capacità metabolica dei mitocondri, rappresenta uno degli effetti più significativi dell’esercizio fisico. Essa richiede il coinvolgimento di circa 1000-1500 geni (del DNA nucleare ma anche mitocondriale) e il fine coordinamento dei questo processo è regolato in maniera minuziosa dal coattivatore 1-alfa (PGC-1α). L'esercizio fisico è in grado di stimolare la biogenesi mitocondriale attraverso due meccanismi, responsabili entrambi dell'aumento dell’espressione citoplasmatica del coattivatore trascrizionale PGC-1α. Il primo è caratterizzato dall’incremento della concentrazione intracellulare di calcio; il secondo è l’incremento dell’espressione del gene AMPK-α2 in seguito ad una riduzione del rapporto ATP/ADP e ad un aumento della concentrazione di AMP, espressione della modifica dello stato energetico della cellula. Il coattivatore trascrizionale PGC-1α, oltre a regolare la biogenesi mitocondriale e il metabolismo glucidico e lipidico della cellula muscolare, è importante anche nel determinare il tipo di fibra muscolare, esercitando la regolazione trascrizionale dei geni che codificano per le catene pesanti della miosina. Il PGC-1α è il principale fattore responsabile della conversione delle fibre dal tipo 2 al tipo 1, determinando la coattivazione del fattore di trascrizione MEF-2c e la successiva attivazione del programma trascrizionale e metabolico caratteristico delle fibre di tipo 1. La conseguenza è la conversione del metabolismo della cellula verso una condizione più ossidativa. Attraverso il PGC-1 α l’esercizio fisico è responsabile anche dell’aumento dei trasportatori del glucosio (GLUT4), inducendo un incremento significativo del trascritto e della proteina del trasportatore, sia in soggetti sani che insulinoresistenti. Concludendo, le evidenze scientifiche ad oggi disponibili suggeriscono un’estrema complessità della dinamica dei vari processi metabolici legati all’esercizio, ma resta indiscutibile il forte legame tra una regolare mancanza di esercizio fisico (sedentarietà) e una maggiore incidenza di malattie croniche moderne e una significativa riduzione della qualità vita. Un legame che ritrova le sue basi molecolari nel complesso ruolo svolto dal fattore PGC-1α.

Effetto del PGC1α sulla infiammazione sistemica cronica (da: Christoph Handschin & Bruce M.Spiegelman, Nature, 454, 463-469, 2008)

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Bibliografia Bramble DM, Lieberman DE. Endurance running and the evolution of Homo. Nature 432: 345, 2004. Hood, A.D. Mechanisms of exercise-induced mitochondrial biogenesis in skeletal muscle. Appl.Physiol.Nutr.Metab. 34, 465-472, 2009 De Feo P, Stocchi V. Physical activity for the treatment and prevention of metabolic syndrome. Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases 2007; 17: 327-331. US Department of Health and Human Services: Physical Activity and Health: Report of the Surgeon General Executive Summary 1-14 Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta, GA, 1996. S Summermatter and C Handschin 1PGC-1α and exercise in the control of body weight International Journal of Obesity (2012) 36, 1428–1435; Handschin, C., and Spiegelman, M.B. The role of exercise and PGC1α in inflammation and chronic disease. Nature, 463-469, 2008

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Sedentarietà in età pediatrica GIULIANA VALERIO Dipartimento di Scienze Motorie e del Benessere, Università degli Studi di Napoli Parthenope

La valutazione della sedentarietà e l’analisi dei suoi effetti sulla salute in età pediatrica rappresentano un’area di ricerca relativamente nuova ed in progressiva e rapida espansione. Non vi è unanime accordo sulla definizione di sedentarietà. Studi recenti, rivalutando l’importanza dell’attività fisica anche di lieve intensità sulla salute cardio-metabolica, confermano sempre più fermamente che la sedentarietà è un comportamento a sé stante, che va distinto dalla scarsa partecipazione all’attività fisica. Pertanto la definizione più corretta di sedentarietà è la “presenza di qualsiasi attività di veglia caratterizzata dall’assunzione di una posizione seduta o sdraiata e da un consumo energetico ≤ 1,5 equivalenti metabolici (METs)”. Il progresso nella tecnologia dei sistemi di comunicazione e di informazione ha incrementato i comportamenti sedentari nei bambini, come guardare la televisione, giocare ai videogiochi o usare il computer. Infatti nei paesi industrializzati la maggior parte dei bambini e degli adolescenti non soddisfa le raccomandazioni per uno stile di vita attivo ed è considerata molto sedentaria. I dati forniti dall’Health Behaviour in School-Aged Children Study (HBSC), la più completa indagine di sorveglianza degli stili di vita degli adolescenti tra 11-15 anni, indicano che in Italia il 55% degli adolescenti guarda almeno 2 ore di TV al giorno, il 33% gioca al computer almeno 2 ore al giorno e il 42% usa il computer per chattare, navigare su Internet, scrivere e ricevere e-mail, fare i compiti per almeno 2 ore al giorno. Ben l’84% di loro non segue le raccomandazioni di praticare attività fisica moderata/intensa per almeno 60 minuti al giorno. Diverse fonti indicano che i comportamenti sedentari iniziano fin dai primi anni di vita, in particolare i bambini già sotto i 2 anni sono esposti alla televisione per più di 1 ora a giorno. Poiché non tutte le attività cosiddette sedentarie sono associate a scarso movimento, non si deve considerare scontata la relazione inversa tra sedentarietà e ore trascorse in attività fisica. Ad esempio, è stato dimostrato che ragazzi impegnati in attività sedentarie produttive (fare i compiti, leggere, studiare al computer) tendevano ad essere fisicamente più attivi di coloro che dedicavano il tempo libero in comportamenti sedentari di altro tipo, come la televisione o i videogiochi. Ciò implica che alcuni giovani, pur praticando attività sedentarie, sanno utilizzare meglio il loro tempo impiegandolo in parte anche in attività fisica, rispetto ad altri. La grande quantità di tempo trascorso in alcuni comportamenti sedentari è associata ad una varietà di indicatori negativi di salute, come aumento dell’adiposità e riduzione della forma fisica. A differenza di tutti gli altri comportamenti sedentari, però, le ore di televisione hanno un ruolo peculiare nel mantenimento del sovrappeso, non solo perché comportano una ridotta spesa energetica e si sostituiscono alla pratica di attività fisica, ma anche perché si associano ad un’aumentata assunzione di cibi ipercalorici di scarso valore nutrizionale. Ciò è dovuto anche alla ripetuta esposizione a messaggi pubblicitari che valorizzano alimenti e bevande poco salutari. Attualmente non vi è nessuna evidenza scientifica sui benefici della video-esposizione in epoca precoce, mentre sono riportati rischi non solo sull’adiposità, ma anche sullo sviluppo psicomotorio e sulla salute psico-sociale. Ridurre i comportamenti sedentari rappresenta una modifica comportamentale altrettanto importante quanto l’incremento dell’attività fisica e la promozione di una sana alimentazione. In particolare, ridurre la sedentarietà a meno di 2 al giorno (includendo l’uso di televisori, computer e videogiochi) rientra tra le strategie da adottare nei programmi di prevenzione dell’obesità. E’ necessario sviluppare metodi obiettivi di valutazione della sedentarietà nei giovani ed aumentare studi evidence based sui comportamenti sedentari, per meglio comprenderne l’epidemiologia, le conseguenze sulla salute e per determinare strategie di intervento efficaci. Bibliografia Boulos R, Vikre EK, Oppenheimer S, Chang H, Kanarek RB. ObesiTV: how television is influencing the obesity epidemic. Physiol Behav. 2012;107:146-53. LeBlanc AG, Spence JC, Carson V, Connor Gorber S, Dillman C, Janssen I, Kho ME, Stearns JA, Timmons BW, Tremblay MS. Systematic review of sedentary behaviour and health indicators in the early years (aged 0-4 years). Appl Physiol Nutr Metab. 2012;37:753-72. Rey-López JP, Vicente-Rodríguez G, Biosca M, Moreno LA. Sedentary behaviour and obesity development in children and adolescents. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2008;18:242-51. Tremblay MS, LeBlanc AG, Kho ME, Saunders TJ, Larouche R, Colley RC, Goldfield G, Connor Gorber S. Systematic review of sedentary behaviour and health indicators in school-aged children and youth. Int J Behav Nutr Phys Act 2011 8:98.

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Larn e ristorazione collettiva. Cosa succede nelle scuole? RAFFAELE DELL'ACQUA Sodexo Italia S.p.A.

La gestione informatizzata degli acquisti consente a Sodexo di disporre, mese per mese, di dati analitici delle materie prime utilizzate in ogni punto servizio. Su questa base è nato l’Osservatorio permanente Sodexo dei consumi alimentari, che permette analisi differenziate sia a livello micro (singolo ristorante) o a livello macro (i dati nazionali). I menu delle scuole, sono da sempre elaborati o validati dalle autorità sanitarie e i dati dell'Osservatorio dei consumi alimentari Sodexo confermano il fatto che sono davvero ben equilibrati dal punto di vista nutrizionale. I dati degli acquisti non sono però direttamente interpretabili, per le scuole, come dati di consumo. Per questo Sodexo integra questi dati con quelli provenienti dall’IQP (indagine di qualità percepita) effettuata ogni anno presso i propri piccoli commensali per valutare - tra le altre cose - il gradimento dei piatti proposti. Nell'ambito della tavola rotonda verranno presentati i dati relativi gli ultimi anni scolastici, che riservano qualche sorpresa in relazione ai cibi "difficili" (verdura, frutta e legumi) e possono offrire utili stimoli alla concreta elaborazione dei menu.

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LARN e Ristorazione Collettiva ALESSANDRA FABBRI Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione - Dipartimento di Sanità Pubblica- AUSL RE Quando si affronta il tema della ristorazione collettiva e si entra nel merito delle fasce più sensibili a cui essa si rivolge, si nota come soprattutto nella ristorazione scolastica l’obiettivo sia duplice: educativo e nutrizionale. Non bisogna dimenticare che i bambini consumano il 35% dei pasti principali a scuola e che la pausa mensa , vissuta come momento formativo, deve aiutare le famiglie a comprendere ciò che indirizza le scelte alimentari e a fornire loro gli strumenti necessari per facilitare scelte corrette. Il pranzo consumato a scuola, venendo a sostituire il pasto che per tradizione era il principale momento di incontro della famiglia , assume perciò valenze di socializzazione importantissime. La componente relazionale , unita ad un ambiente di refezione confortevole e ad una adeguata qualità sia nutrizionale che igienica del cibo , permette di vivere il momento del pasto come uno opportunità che valorizza lo stare insieme in modo piacevole, e si arricchisce di implicazioni affettive e cognitive . In questa cornice l’aspetto dietetico fonda i suoi criteri sugli esiti più recenti della ricerca scientifica, ma contemporaneamente deve sapersi confrontare e fondere con le tradizioni tipiche della nostra cultura. La refezione collettiva include un gran numero di problematiche, dagli aspetti organizzativi e gestionali di un sistema pubblico ad elevata complessità, alla gestione di un sistema di sicurezza alimentare con elevati contenuti di rischio, alla accoglienza della molteplicità delle istanze individuali, siano esse di tipo sanitario che filosofiche , etiche o religiose. Gli enti cui spetta l’erogazione, negli anni hanno perfezionato il servizio di ristorazione , cercando di estenderne il più possibile la fruizione, elevandone la qualità e cercando di arricchirlo di valori educativi , ma la recente crisi economica sta obbligando loro a ripensare ai processi e all’organizzazione dei servizi. In questo contesto i SIAN/ASL si trovano a mediare tra la necessità di assicurare pasti qualitativamente -quantitativamente adeguati e tra le capacità economiche di sostenimento della spesa da parte dei Comuni/ famiglie, sapendo bene che solo attraverso i principi di equità e collettività è possibile avere una ricaduta diretta sulla diffusione di una corretta alimentazione , sulle abitudini alimentari e sull’apprendimento di stili di vita. La ricerca evidenzia che la salute non è uno stato, ma un processo, è perciò importante che in questo contesto tutti gli attori del servizio di ristorazione collettiva (nutrizionisti, ASL/SIAN, Comuni, Gestori dei servizi, Commissioni mensa… per citarne alcuni) collaborino nella costruzione di percorsi sinergici che tengano conto delle varie problematiche e necessità.

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LARN e Ristorazione Collettiva

PAOLO SIMONETTI DeFENS - Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente; Divisione di Nutrizione Umana – Università degli Studi di Milano Nella società moderna buona parte delle popolazione si rivolge alla ristorazione collettiva per provvedere ad almeno un pasto nell’arco della giornata. I professionisti di questo settore possono e devono, quindi, svolgere un ruolo importante nel modulare le abitudini alimentari del consumatore. Particolare attenzione deve essere posta nell’organizzare il servizio di ristorazione per le fasce di popolazione che sono più sensibili, come quelle della ristorazione scolastica, ospedaliera e nelle RSA. Gli attori del servizio, Nutrizionisti, ASL/SIAN, Comuni, Gestori del servizio, Commissione mensa, solo per citarne alcuni, devono proporre delle diete nutrizionalmente adeguate, sicure e salutari. Partendo dal concetto di alimentazione sostenibile, devono prevedere interventi di Food Security, miranti ad assicurare alla popolazione una alimentazione adeguata al sostentamento fisiologico, vale a dire, essenzialmente, a fornire adeguate quantità caloriche e di componenti nutrizionali. Ma anche interventi di Food Safety, miranti a minimizzare i rischi per la salute legati alle caratteristiche degli alimenti, massimizzandone le componenti di qualità, quelle cioè capaci di migliorarne l’efficacia nutrizionale. Il tutto strategicamente coniugato con il concetto di sostenibilità, quindi di basso impatto ambientale, con il rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, culturalmente accettabili, accessibili, economicamente eque e convenienti. Ma nella realtà tutto questo avviene ? Prendo ad esempio la ristorazione scolastica, i menù dei Comuni Italiani sono redatti ed elaborati, di norma, nel rispetto dei criteri espressi nei seguenti documenti: - Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la Popolazione Italiana (LARN) - Linee Guida Nazionali per la Ristorazione Scolastica (Ministero della Salute 2010); - Linee Guida per la Ristorazione Scolastica Regionali; - Contratto di Servizio sottoscritto tra l’Azienda di Ristorazione e il Comune. Non sempre però i menu così preparati vengono inviati al SIAN della ASL per una richiesta di parere di conformità nutrizionale. Con che risultato pratico ? Gli errori più frequenti riguardano l’utilizzo dei diversi gruppi alimentari, atti a garantire, nelle corrette proporzioni e abbinamenti, l’adeguatezza nutrizionale. Spesso infatti non sono corrette le variazioni e le frequenze settimanali degli alimenti proteici come pesce, carni bianche e rosse, formaggi, uova e legumi. Non sempre viene rispettata l’alternanza di primi piatti asciutti e minestre con l’aggiunta di orzo, farro e mais e non solo di frumento e riso. A volte, alla frutta, poco apprezzata, vengono preferiti i dessert. Un altro aspetto di discussione fra gli attori della ristorazione riguarda le porzioni. I LARN suggeriscono porzioni per adulti ma poco è specificato per altre fasce di popolazione. Questo aspetto è frequentemente dibattuto specie alla luce dell’incredibilmente elevata quantità di alimenti non consumati ed eliminati alla fine del servizio. Quale è la porzione giusta ? Per evitare sprechi sembrerebbe corretto diminuire ufficialmente le quantità delle porzioni proponendo apporti energetici corrispondenti al limite inferiore del fabbisogno riportato nei LARN, ma questo, visto l’attuale comportamento alimentare (fuori pasto, trash foods, ecc), equivarrebbe ad una resa, lasciando spazio ad una alimentazione incontrollata da parte degli adolescenti, sempre più soggetti a problemi di sovrappeso e obesità. Il dibattito attorno alla tavola rotonda verterà proprio su questi aspetti per i quali ad oggi non si hanno risposte risolutive; l’unica certezza è che lo sforzo deve essere comune, senza pregiudizi, coinvolgendo gli utenti e le loro famiglie, le istituzioni, le aziende ed impiegando gli strumenti più aggiornati.

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LARN e Ristorazione Collettiva

SALVATORE CIAPPELLANO DeFENS - Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente; Divisione di Nutrizione Umana – Università degli Studi di Milano Lo stato di nutrizione adeguato contribuisce significativamente nel mantenere la qualità della vita di ogni persona mentre l’alimentazione non corretta può costituire un fattore di rischio per numerose patologie. Infatti una alimentazione equilibrata, corretta, gradevole, accettabile e variata costituisce il presupposto per il mantenimento di un buono stato di salute. Il menù nella sua preparazione deve seguire i principi di una alimentazione equilibrata dal punto di vista nutrizionale, utilizzando anche alimenti del territorio al fine di mantenere o insegnare le tradizioni alimentari del posto. Nella progettazione del menù occorre soddisfare le esigenze di metabolismo, prevenzione, crescita e raggiungere gli obiettivi della qualità del pasto e della soddisfazione degli utenti. La varietà degli alimenti è fondamentale, in quanto consente l'apporto adeguato di tutti i nutrienti e consente la diffusione/mantenimento di abitudini alimentari corrette. La variabilità del menù per il singolo momento alimentare (pranzo o cena) può essere ottenuto semplicemente con l’utilizzo di prodotti di stagione, con i quali si possono elaborare ricette sempre diverse, in particolare primi piatti e contorni. La valutazione nutrizionale del menù deve essere riferita non solo alla copertura di energia e nutrienti ma anche degli altri principi nutrizionali, compresi i microelementi, secondo quanto indicato nei LARN. Inoltre deve essere calcolata sulla base della settimana lavorativa o scolastica e non deve essere possibile ricorre alla somministrazione di una seconda porzione per evitare un eccessivo apporto calorico. Definire grammature idonee nelle tabelle dietetiche per il pasto rappresenta il punto di partenza per equilibrare l’alimentazione giornaliera e prevenire l’obesità nell’età adulta e ancora di più in età evolutiva. Inoltre alla valutazione nutrizionale dei menù teorica (sulla carta) deve corrispondere un reale uso delle porzioni raccomandate nei punti di distribuzione.

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Integrazione nell’anziano LORENZO M DONINI Sapienza Università di Roma

Perché utilizzare i Supplementi Orali (SO)? La prevalenza di malnutrizione per difetto è particolarmente elevata in età geriatrica, sia tra i soggetti free-living (dove arriva al 10%) sia tra i pazienti ospedalizzati o istituzionalizzati (dove supera abbondantemente il 25%) . La malnutrizione è tra i principali fattori determinanti la fragilità in età geriatrica: questa infatti trova nella sarcopenia e nell’iporessia gli elementi che legano in un circolo vizioso i fisiologici aspetti legati al processo d’invecchiamento con l’accelerazione dei processi di deterioramento cognitivo e funzionale . L’elevata prevalenza della malnutrizione in età geriatrica è da attribuire a diversi fattori: fisiologici (minore efficienza dei sensi del gusto e dell’olfatto o ridotta capacità masticatoria), patologici (malattie ad andamento ipercatabolico o che modificano le funzioni di digestione e assorbimento dei nutrienti), socio-ambientali (povertà, mancanza di un supporto assistenziale), iatrogeni (mancata “cura” degli aspetti alimentari- nutrizionali, ritardo negli interventi nutrizionali, eccessiva ed incongrua prescrizione di farmaci che incidono negativamente su gusto e olfatto, sull’assorbimento dei nutrienti) . I SO possono trovare un ruolo importante nel prevenire l’evoluzione negativa della malnutrizione e nel recuperare un corretto stato di nutrizione. Quando utilizzare i SO? Come qualsiasi intervento in ambito nutrizionale, dalla dietoterapia alla nutrizione artificiale, la prescrizione di SO deve essere preceduta da una valutazione dello stato di nutrizione. In particolare è necessario valutare l’intake alimentare in termini sia qualitativi sia quantitativi (a tale scopo possono essere utili griglie come quella proposta dal Club Farncophone de Gériatrie et Nutrition - http://mapage.noos.fr/cfgn/grille.htm) ed una valutazione del rischio nutrizionale con strumenti validati in ambito geriatrico. Tali strumenti, come ad esempio il Mini Nutritional Assessment , analizzano parametri correlati con la comparsa di malnutrizione quali indici antropometrici (indice di massa corporea, circonferenza del braccio, circonferenza del polpaccio, variazioni ponderali …), parametri clinici (gravità del quadro clinico, comorbosità, recenti eventi acuti, lesioni da decubito, numero di farmaci assunti, sintomo gastroenterici, dolore), indici dietetici (numero di pasti assunti, autonomia nell’alimentazione, apporti di proteine e fibre) e aspetti sociali e psicologici (solitudine/ assistenza, depressione). Laddove il rischio nutrizionale è elevato e l’intake alimentare è insufficiente, è possibile immaginare di proporre la somministrazione di SO. Come somministrare i SO? I SO, tenuto conto anche di quelli che sono i costi e la necessità, quasi sempre, di un impegno del caregiver nella loro somministrazione, vanno prescritti a ragion veduta. Evidentemente, come sempre in Medicina, prima di una qualsiasi prescrizione andrebbe esplorata la possibilità di eliminare il problema “semplicemente” rimuovendo le cause organiche o iatrogene che hanno contribuito all’iporessia del soggetto. La presa in carico dell’anziano iporessico deve quindi passare attraverso una sensibilizzazione del personale d’assistenza e dei familiari, opportunamente formati, per un aiuto al momento del pasto. L’alimentazione, inoltre e a prescindere dall’uso di SO, dovrebbe essere equilibrata (negli apporti di energia, nutrienti e acqua), regolare (con orari fissi, intervalli sufficienti tra i pasti, adeguatamente frazionata nella giornata, prevedendo un digiuno notturno minore di 12 ore e tempi consoni al consumo del pasto), “adattata”, (laddove necessario, alle capacità masticatorie e deglutitorie del soggetto, che privilegi alimenti/ piatti ad elevata densità energetica e proteica), “appetitosa” (e quindi varia, nel rispetto dei gusti del paziente, e curata dal punto di vista gastronomico, presentata in modo gradevole con piatti in coccio e portate servite nell’ordine giusto, in un ambiente adatto - sala da pranzo accogliente, tavola apparecchiata, utensili adeguati), conviviale (evitando quindi di far mangiare l’anziano da solo, facendo però attenzione a selezionare compagnie “gradite”) . La somministrazione di SO si inserisce quindi, nell’ambito dell’intervento nutrizionale, dopo un regime nutrizionale mirato (secondo le specifiche esigenze nutrizionali del paziente e nel rispetto di gusti e tradizioni) e prima del ricorso alla nutrizione artificiale (di supporto o totale).

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Bibliografia Criteri di appropriatezza clinica tecnologica e strutturale nell’assistenza all’anziano – Quaderni Ministero della Salute, n° 6 – Nov-Dic 2010 Bartali B, Frongillo EA, Bandinelli S, Lauretani F, Semba RD, Fried LP, Ferrucci L.: Low nutrient intake is an essential component of frailty in older persons. J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2006 Jun;61(6):589-93 Donini LM, Savina C, Piredda M, Cucinotta D, Fiorito A, Inelmen EM, Sergi G, Dominguez LJ, Barbagallo M, Cannella C: Senile anorexia in acute-ward and rehabilitation settings. J Nutr Health Aging 2008, 12, 8, 511-7 Stratton RJ, Elia M: The skeleton in the closet: malnutrition in the community Encouraging appropriate, evidence-based use of oral nutritional supplements Proceedings of the Nutrition Society (2010), 69, 477–487 Donini LM, Savina C, Cannella C: Nutritional interventions in the anorexia of aging. J Nutr Health Aging 2010, 14, 6, 494-496 Guigoz Y, Vellas B, Garry PJ. Facts, research and intervention in gerontology. In: The Mini Nutritional Assessment: a practical assessment tool for grading the nutritional state of elderly persons. 3rd ed. Paris: Serdi Publishing Company, 1997: 15-60 Lesourd, B. Mathey MF : Comment favoriser la prise alimentaire des sujets ages? Nutr Clin Metabol, 2001, 15, 177-188.

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Supplementazione in gravidanza

IRENE CETIN, FRANCESCA PARISI, MARTINA MAZZOCCO.

Clinica Ostetrica e Ginecologica, Ospedale Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano.

La dieta è riconosciuta come uno dei maggiori fattori ambientali in grado di influenzare sia lo sviluppo fetale sia la salute materna con importanti esiti a lungo termine per il nascituro. E’ fondamentale quindi che venga valutata attentamente durante la gravidanza, sia perché i fabbisogni si modificano che per l’identificazione di situazioni specifiche a rischio di carenze nutrizionale, quali:

Dieta vegetariana: in particolare se vegana, espone al rischio di carenze di ferro, minerali, vitamina B12, vitamina D e calcio, essenziali per lo sviluppo fetale.

Abuso di sostanze

Adolescenza

Gravidanza gemellare

Breve intervallo tra le gravidanze

Patologie con malassorbimento intestinale come la celiachia Intake energetico in gravidanza: In generale, il surplus energetico in gravidanza è necessario per coprire i costi energetici dovuti alla sintesi di nuovi tessuti nella madre e nel feto, all’energia depositata nel tessuto adiposo, all’aumento della spesa energetica per il metabolismo basale e all’incremento del costo energetico dell'attività fisica. Ciononostante, contrariamente a quanto si pensi, l’intake energetico aumenta solo lievemente con il procedere della gravidanza, con un aumento a termine di gravidanza solamente del 10% rispetto allo stato pregravidico. Un eccessivo incremento dell’apporto calorico è quindi da evitarsi in quanto correlato ad un aumentato rischio nel nascituro di macrosomia fetale, sovrappeso nell’infanzia e sindrome metabolica in età adulta. Incremento ponderale in gravidanza: Tra i fattori che maggiormente determinano il buon andamento della gravidanza sono da annoverare lo stato corporeo pregravidico e l’aumento di peso in gravidanza. A questo proposito, corrette abitudini alimentari ed un giusto Indice di Massa Corporea (IMC o Body Mass Index, BMI) pregravidici influenzano la fertilità e riducono inoltre i rischi di malformazioni fetali, disordini ipertensivi, diabete gestazionale, parto pretermine e traumi da parto. E’ pertanto essenziale che la donna raggiunga un adeguato peso corporeo prima che si instauri la gravidanza. L’incremento ponderale raccomandato per donne normopeso è tra i 10 e i 16 kg. Lo IOM (United States Institute of Medicine) ha definito una stratificazione dell’incremento ponderale in relazione al BMI pregravidico tale per cui l’incremento di peso auspicabile delle gestanti ed il loro fabbisogno aggiuntivo di energia devono essere determinati individualmente e differiscono in funzione dello stato nutrizionale pregravidico. Alimentazione in gravidanza: Contrariamente al fabbisogno energetico, il fabbisogno di micronutrienti (vitamine e minerali) è caratterizzato da un drastico incremento durante la gravidanza che può manifestarsi in diverse epoche gestazionali (ad esempio è precoce per l’acido folico). Curando la qualità dell’alimentazione di una gestante, e non modificando sostanzialmente la quantità, è possibile raggiungere l’intake raccomandato per la maggior parte dei micronutrienti, con l’eccezione di acido folico e, in aree carenti, di iodio, per i quali è invece indicata una supplementazione. Una dieta ben bilanciata, in particolare, deve annoverare:

Almeno 1.5 litri di acqua al giorno

Intake moderato di cibi di derivazione animale, preferendo latte scremato, carni magre e pesce, quali fonti di ferro, vitamina B12, vitamina A e folato.

Basso intake di cibi ad alto contenuto di grassi saturi e zuccheri semplici (snack, dolci, salumi…)

Allo scopo di raggiungere l’intake raccomandato di 200 mg/dì di acido docosaesaenoico (DHA) dovrebbero essere consumate 2 porzioni/settimana di pesce ricco di omega 3. In caso di scarso apporto è necessaria la supplementazione a partire dal II trimestre con DHA 200 mg/dì.

Frutta e verdure: 5 porzioni/dì, al fine di garantire un adeguato apporto di folati, vitamina B12, ferro e vitamina C.

Prodotti caseari fino a 2-3 porzioni al dì, preferendo preparati magri, al fine di garantire un adeguato intake di calcio e vitamina D.

Carboidrati: base di ogni pasto e fonte di vitamine e fibre. Garantiscono un adeguato apporto di fosforo, vitamina E e potassio.

Evitare alcolici e ridurre l’intake di bevande contenenti caffeina (accettabili fino a 3 tazzine di caffè/dì).

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Supplementazioni Acido folico: Il fabbisogno di acido folico aumenta di circa il 50% in gravidanza. Donne che stanno pianificando una gravidanza dovrebbero assumere supplementi di acido folico (400-800 mcg/dì), in aggiunta ad una dieta equilibrata, al fine di raggiungere l’intake raccomandato. L’assunzione dovrebbe proseguire sino al termine del I trimestre. Una supplementazione con almeno 400 mcg/dì di acido folico iniziata 2 mesi prima del concepimento riduce significativamente i rischi di difetti del tubo neurale e di altri difetti congeniti (labiopalatoschisi, cardiopatie congenite). Ferro: Il fabbisogno di ferro aumenta esponenzialmente in gravidanza raggiungendo valori sette volte maggiori nel III trimestre rispetto allo stato pregravidico. Ciononostante è consigliabile una supplementazione individualizzata con ferro in realazione ai livelli pregravidici o del I trimestre di ferritina sierica. In particolare:

Ferritina > 70 µg/l: nessuna supplementazione

Ferritina 30-70 µg/l: 30-40 mg/dì di ferro solfato

Ferritina < 30 µg/l: 80-100 mg/dì di ferro solfato E’ auspicabile valutare anche altre tipologie di ferro, come il ferro liposomiale, che garantiscono un migliore assorbimento a fronte di effetti collaterali minori. Calcio: Considerato che poche donne raggiungono un adeguato intake di calcio attraverso la dieta, l’OMS raccomanda che tutte le donne in gravidanza, specialmente se a rischio di preeclampsia (pregressa preeclampsia, ipertensione pregestazionale, obesità, diabete, patologie autoimmuni), dovrebbero ricevere supplementazioni di calcio pari a 1.5-2.0 g/dì al fine di ridurre il rischio di disordini ipertensivi in gravidanza. Vitamina D: Non è attualmente raccomandata una supplementazione routinaria in gravidanza. Donne obese, con scarsa esposizione al sole (i.e. utilizzo del velo) e con fenotipo scuro sono candidate alla supplementazione.

Bibliografia Micronutrients in pregnancy: current knowledge ands unresolved questions. C. Berti, HK Biesalsky, R. Gartner et al. Clin Nutr, 2011; 30(6):689-701. Critical issues in setting micronutrient recommendations for pregnant women: an insight. C. Berti, T. Decsi, F. Dykes et al. Matern Child Nutr, 2010; 6 Suppl 2:5-22.

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Allattamento e programming nutrizionale.

ELVIRA VERDUCI

Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo Università di Milano

L’alimentazione in età pediatrica ha acquisito oggi notevole importanza per le valenze non solo preventive ma anche costitutive del futuro individuo. Una particolare attenzione va oggi ai modelli alimentari delle prime epoche (e ancora più indietro alla vita fetale stessa) in base all’ipotesi del “programming” nutrizionale. Esistono quindi periodi critici dello sviluppo del bambino (dalla gravidanza ai primi 3 anni di vita) in cui l’intervento nutrizionale può condizionare la salute del futuro adulto. I nutrienti possono provocare alterazioni nell’espressione genica ed anche influenzare, in maniera più permanente, l’intero processo di riprogrammazione del genoma, che può essere modificato in assenza di cambiamenti strutturali, ma attraverso modifiche della espressione del genoma, ovvero anche tramite meccanismi epigenetici. L’epigenetica (ovvero quella branca di scienza che studia gli adattamenti ambientali a fronte del background genetico) si sta attivamente occupando degli aspetti di programming nutrizionale. L'allattamento materno riduce il rischio di obesità in età scolare del 16-28% e di diabete tipo 2 del 11-55%, rispetto all'alimentazione con formula, in maniera indipendente dalle variabili confondenti biologiche e sociodemografiche. Alcuni autori suggeriscono che l'effetto protettivo del latte materno sia spiegato, almeno in parte, dall'inferiore pattern di crescita ponderale che potrebbe essere correlato alla diversa composizione di latte materno e formule. La rilevazione degli indici antropometrici conferma che vi è un diverso pattern di crescita in lattanti allattati al seno e alimentati con formula. In particolare l’allattato al seno cresce più rapidamente nei primi 2-3 mesi di vita, per poi a partire dai 6 mesi ai 12 mesi avere un peso, una lunghezza, peso per lunghezza e indice di massa corporea inferiore a quelli del lattante alimentato con formula. Il maggior incremento di crescita ponderale dei bambini alimentati con formula rispetto agli allattati al seno potrebbe essere spiegato dall’assunzione diversa di substrati metabolizzabili, in particolare delle proteine: nei lattanti alimentati con formula l'intake proteico per unità di peso è del 55-80% più elevato rispetto agli allattati al seno. Va infatti ricordato che durante l'allattamento al seno la concentrazione di proteine nel latte materno si riduce passando da 1.6 g/dl a 0.8-0.9 g/dl fornendo, nel primo anno di vita, il 7-8% dell'energia totale giornaliera. Se invece si considerano le formule queste forniscono da 1.2 a 1.9 g/dl sotto forma di proteine. Il contenuto proteico avrebbe un effetto stimolante sulla secrezione di IGF-1 e di insulina, con effetto anabolico e stimolante la crescita e infatti diversi studi hanno mostrato che gli allattati al seno hanno livelli di IGF-1 più bassi degli alimentati con formula. Recentemente due revisioni sistematiche hanno riportato l’associazione tra rapido incremento di crescita ponderale nei primi anni di vita e successivo sviluppo di obesità. Questa sarebbe la plausibilità biologica suggerita per spiegare l'effetto protettivo dell’allattamento al seno nei confronti dell’obesità . Tuttavia associazioni tra livelli di proteine della dieta nel periodo tra 6 e 24 mesi e sviluppo futuro di sovrappeso ed obesità in alcuni soggetti sono ancora discussi. Sebbene alcuni studi suggeriscano che l’allattamento al seno potrebbe agire a lungo termine anche sull’incidenza di diabete mellito di tipo 2, ipercolesterolemia e ipertensione arteriosa, ad oggi non è possibile affermare che esso abbia effetto su mortalità e morbilità cardiovascolari. Attualmente è in corso il progetto EarlyNutrition, progetto multicentrico finanziato dalla Comunità Europea rientrante nell’ambito del 7

th Framework Programme for Research and Technological Development (Progetto EU FP7-KBBE-2011-

289346) che nasce con l’intento di verificare le ipotesi riguardanti l’associazione tra nutrizione nelle fasi precoci dello sviluppo e impatto sullo stato di salute, con particolare attenzione a identificare possibili vie nutrizionali di prevenzione dell’obesità e delle patologie ad essa associate. Gli obiettivi di tale progetto sono molteplici, essendo volto sia a dimostrare l’associazione ipotizzata che a chiarire i meccanismi patogenetici sottostanti e l’entità di un eventuale vantaggio della scelta di determinate abitudini nutrizionali in gravidanza, nella prima infanzia e nel bambino. La prospettiva finale di tale studio non è solo garantire un adeguato sviluppo al singolo, quanto piuttosto determinare un vantaggio per tutta la collettività, orientando l’industria alimentare e favorendo l’affermarsi di una diversa cultura nutrizionale. In particolare, l’EarlyNutrition intende verificare l’associazione tra regime nutrizionale in età precoce ed aumento del rischio dell’obesità tramite tre distinti approcci sperimentali: studi su animali e placenta; studi prospettici di coorte; studi randomizzati in donne gravide e nella prima infanzia. Tra gli studi presenti in tale macroprogetto importante citare lo studio CHOP (Childhood Obesity Project) che ha l’obiettivo primario di indagare gli effetti a breve, medio e lungo termine (epoca adolescenziale) sull’adiposità e i disturbi ad essa correlati di una formula ad apporto proteico controllato; si tratterà in

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altri termini di verificare l'ipotesi dell’accelerata crescita post-natale in un lungo periodo di follow-up attraverso uno studio controllato randomizzato (RCT). In conclusione è’ opportuno quindi programmare interventi nutrizionali precoci, adeguati e continui sin a partire dall’epoca gestazionale, considerando anche i risultati di trials europei in corso riguardo il programming.

Bibliografia Barker DJP. Developmental origins of chronic disease. Public health 2012;126:185-189 Koletzko B et al. Early nutrition programming of long term health. Proceedings of the Nutrition Society 2012; 71:371–378. Tarry-Adkins JL et al Mechanisms of early life programming: current knowledge and future directions. Am J Clin Nutr 2011;94 (suppl):1765S–1771S. Koletzko B et al. Can infant feeding choices modulate later obesity risk? Am J Clin Nutr 2009; 89: 1502S–1508S.

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Fabbisogni nutrizionali nella donna in menopausa

NICOLETTA PELLEGRINI

Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Area di Nutrizione Umana, Università degli Studi di Parma

Secondo l’organizzazione Mondiale della Sanità per menopausa (spontanea) si intende la definitiva cessazione dei cicli mestruali derivante dalla perdita della funzione follicolare ovarica, ed è diagnosticata retrospettivamente dopo 12 mesi consecutivi di amenorrea che non abbia altre cause fisiologiche o patologiche. Attualmente un marker biologico adeguato che descriva l’evento non esiste. L’età della menopausa varia da individuo a individuo con una media mondiale di circa 50 anni. Lo stato di nutrizione della donna in questo periodo è legato ad alcune modificazioni rilevanti della composizione corporea. I pochi dati disponibili dimostrano infatti un aumento della massa grassa e una redistribuzione centrale del grasso corporeo legato alla cessazione della produzione di estrogeni (Wells, 2007). Sul versante del bilancio energetico non c’è evidenza definitiva che la menopausa si associ a modificazione del dispendio energetico basale se non quello intrinsecamente legato all’aumento dell’età (Davis et al, 2012). Tuttavia la scarsità di studi ben condotti non consente di trarre delle conclusioni sulle modificazioni corporee che avvengono durante la menopausa. L’unico modo per mantenere un corretto peso corporeo è ovviamente quello di controllare l’introduzione di energia e di incoraggiare i soggetti ad effettuare attività fisica regolare. La riduzione degli estrogeni non solo determina una redistribuzione del grasso corporeo, ma anche un aumento della pressione sanguigna e dislipidemie che complessivamente determinano un aumento del rischio di malattie cardiovascolari che si equipara a quello maschile. A questo si associa una riduzione della massa ossea che predispone all’osteoporosi, il cui rischio nelle donne e di circa 3 volte rispetto agli uomini. Nel considerare quindi i fabbisogni di questo periodo è necessario porre particolare attenzione a nutrienti che possano influenzare tale rischi. Tra questi, durante la presentazione, particolare enfasi verrà data al fabbisogno di calcio e vitamina D, alla qualità dei grassi e delle proteine, al consumo di sodio. Non ultimo verrà brevemente discusso il possibile e controverso ruolo dei fitoestrogeni nella protezione di queste patologie.

Bibilografia Davis et al, 2012. Understanding weight gain at menopause. Climacteric15:419–429. Wells, 2007. Sexual dimorphism of bnody composition. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 21: 415-430.

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COMUNICAZIONI ORALI

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A01. Stato di nutrizione della vitamina D e correlazione con misure antropometriche

A. AIELLO, R. ASPRINO, V. DEL BALZO, S. DE CHIARA, E. DI STASIO, L.M. DONINI, R. IENCA, C. LUBRANO, A. PINTO, E. POGGIOGALLE, L. TOSELLI Dipartimento di Medicina Sperimentale – “Sapienza” Università di Roma Premessa Numerosi studi documentano uno stato di carenza di micronutrienti in soggetti obesi; la restrizione calorica può aggravare tale stato di malnutrizione, mentre la lipolisi rende disponibili i composti liposolubili accumulati nel tessuto adiposo. Tale problema è di particolare rilievo nei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica, in cui è descritto un aumento transitorio dei valori sierici di vit.D nel 1° mese pos-tintervento. Scopo dello studio Valutare lo stato di nutrizione della vit.D e analizzare la correlazione tra concentrazione sierica, BMI, circonferenza vita (CV) e massa adiposa (BF). Materiali e metodi In un campione di 1031 soggetti, reclutati nel periodo 2004-2013 presso il DH di Medicina Interna del DMS, sono stati misurati: statura, peso, BMI, CV, BF (DEXA), livelli sierici di vit.D e PTH. Risultati Il campione è costituito da: M22,2%, età 44,9±14,24 anni; F75,8%, età 46,2±13,5 anni; BMI<18,5kg/m2: F1,2%; 18,5-25kg/m2: M14,9%-F10,6%; 25-30kg/m2: M16,5%-F14,5%; 30-35kg/m2: M24,9%-F25,4%; 35-40kg/m2: M17,3%-F21,0%; >40kg/m

2: M26,5%-F26,3%. È stata analizzata la correlazione tra BMI-vit.D (M: r=-0,235 p=0,05; F: r=-

0,207 p=0,000), CV-vit.D (M: r=-0,306 p=0,05; F: r=-0,254 p=0,05), BF%-vit.D (M: r=-0,118; p=0,103 F: r=-0,13; p=0,01); BMI-PTH (M: r=-0,158 p=0,22; F: r=-0,224 p=0,000), CV-PTH (M: r=-0,295 p=0,000; F: r=-0,231; p=0,000), BF%-PTH (M: r=-0,154 p=0,51; F: r=-0,219; p=0,000); vit.D-PTH (M: r=-0,276 p=0,000; F: r=-0,292; p=0,000); vit.D/età (M: r=-0,059 p=0,351; F: r=-0,089; p=0,012). Conclusioni Nelle donne le concentrazioni sieriche di vit.D e PTH risultano correlate con BMI, CV e BF%, mentre negli uomini la vit.D è correlata solo con BMI e CV e il PTH con la CV. Nei soggetti con ipovitaminosi D la frequenza di ipertPTH risulta: M 11,8% - F 14,2%. La correlazione vit.D e PTH con l’età risulta significativa solo nelle donne. Questi risultati: confermano l’alta frequenza di ipovitaminosi D associata a iperPTH nei soggetti obesi; fanno ipotizzare un ruolo determinante dell’assetto ormonale nelle donne e della distribuzione del grasso negli uomini; possono fornire indicazioni per la supplementazione, in particolare durante il rapido decremento ponderale post-chirurgia bariatrica. È auspicabile l’identificazione di biomarkers per la valutazione dello stato di nutrizione della vit.D, che tengano conto dell’accumulo nel tessuto adiposo; tale considerazione potrebbe essere estesa anche alle altre vitamine liposolubili.

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A02. The acute effect of cigarette smoking on inflammatory markers in young moderate smokers: a potential model for studying the protective properties of food bioactives. C. DEL BO’1, M. PORRINI

1, J. CAMPOLO2, D. KLIMIS-ZACAS

3 AND P. RISO

1

1Department of Food, Environmental and Nutritional Sciences (DeFENS), Division of Human Nutrition, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy; 2CNR Institute of Clinical Physiology, CardioThoracic and Vascular Department, Niguarda Ca' Granda Hospital, Milan, Italy; 3Department of Food Science and Human Nutrition, University of Maine, Orono, ME, USA.

Background: We recently documented that acute cigarette smoking is able to impair peripheral arterial function (reactive hyperemia index, RHI) in young healthy smokers. The intake of a single portion of blueberry counteracts this deleterious effect. The causes of this transient endothelial dysfunction may be related to an increase of oxidative stress and inflammation. Aim: This study aims to investigate whether the temporary impairment of vascular function evaluated through the acute experimental design may be correlated with the modulation of some markers of endothelial function and inflammation such as intercellular adhesion molecule-1 (ICAM-1), vascular cell adhesion molecule-1 (VCAM-1), vascular endothelial growth factor (VEGF) and interleukin-8 (IL-8). Methods: Sixteen young healthy volunteers participated in a crossover study. Three types of treatments were studied; 1) smoking (1 cigarette); 2) blueberry treatment (300 g of whole blueberries + smoking; 3) control treatment (300 mL of water and 27g of sugars; the same amount present in blueberry + smoking). Each condition was separated by a one week of wash-out period. Cigarette was smoked 1 h 45 min after blueberry or control drink consumption. RHI was measured by Endo-PAT2000 at the baseline and 20 min after. Blood samples were collected at baseline and after 20 min, 1 h, 1.30 h, 2 h and 24 h from smoking. Markers of inflammation and endothelial function were measured in serum by Bio-plex Pro TM Array. Results: Blueberry consumption, but not the control drink, counteracted the impairment of RHI (-4.4±0.8% blueberry treatment vs -22.0±1.1% smoking treatment, p<0.01). Preliminary results on a subgroup of 6 subjects showed an apparent increase in serum circulating levels of VEGF, ICAM-1, VCAM-1, 20 min from cigarette smoking, while a decrease occurred for IL-8 levels. Conclusions: In conclusion, blueberry consumption reverses the peripheral arterial dysfunction following acute cigarette smoking. The selected biomarkers modulated after smoking suggest their direct or indirect involvement in the transient process of endothelial dysfunction. The feasibility of the repeated measurements of such markers in the short term and the role of blueberry in their modulation will be discussed.

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A03. Effetto del consumo di sale sulla escrezione urinaria di albumina: meta-analisi degli studi randomizzati e controllati

L. D’ELIA, M. SCHIANO DI COLA, G. ROSSI, I. SAVINO, C. IANNOTTA, F. GALLETTI, P. STRAZZULLO Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Premesse. Diversi studi hanno valutato l’effetto del consumo di sale sull’escrezione urinaria di albumina (EUA) in aggiunta a quello sulla pressione arteriosa (PA), con risultati controversi. Obiettivi. Scopo del lavoro è stato quello di stimare l’effetto della riduzione del consumo di sodio sull’EUA attraverso la realizzazione di una meta-analisi degli studi di intervento disponibili. Metodi. Sono stati inclusi gli studi randomizzati e controllati, condotti su popolazioni adulte, che riportassero i valori di EUA basali e finali e che esprimessero i risultati come differenza tra due regimi a diverso contenuto sodico. Per ogni studio, la differenza tra le medie (DM) e i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC95%) sono stati estratti ed inclusi in un modello ad effetto random. Inoltre, sono stati valutati l’eterogeneità ed il bias di pubblicazione ed effettuate le analisi per sottogruppi e la meta-regressione. Risultati. L’analisi finale ha incluso 11 studi (23 coorti, 514 partecipanti, periodo di intervento 1-6 settimane). La combinazione dei risultati delle singole coorti ha mostrato che un minore consumo di sale con la dieta era associato ad una significativa riduzione di EUA pari a -26.3% (IC95% -39.1,-13.4), con una significativa eterogeneità tra gli studi, ma nessuna evidenza di bias di pubblicazione. L’analisi per sottogruppi ha evidenziato, nelle 10 coorti disponibili di pazienti ipertesi, un decremento di EUA significativamente maggiore (-21.3%;-38.2,-4.4) con un più basso consumo di sale. Inoltre, l’effetto di un basso introito di sale era maggiore nelle coorti di pazienti in terapia concomitante con un RAAS-inibitore (-37.5%;-55.8,-19.2) ed in generale in quelle con una durata dell’intervento di 2 settimane o più (-32.4%;-46.9,-17.9). L’analisi di meta-regressione ha mostrato che le variazioni di PA durante l’intervento costituivano una significativa fonte di eterogeneità,in quanto ad 1 mm Hg di variazione di PA sistolica o diastolica corrispondeva una variazione in EUA del 5.8 e del 6.0%,rispettivamente. Conclusioni. Questa meta-analisi suggerisce che una riduzione del consumo di sale con la dieta riduce marcatamente l’EUA, che l’effetto è maggiore con la maggior durata dell’intervento, in associazione a terapia bloccante il RAAS e nei pazienti ipertesi. Questo effetto favorevole appare almeno in parte dipendente dalle concomitanti variazioni di PA.

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A04. c9,t11-Conjugated linoleic acid isomer ameliorates steatosis by modulating mitochondrial uncoupling and Nrf2-activated defenses

A. DELLA GATTA1*, G. TRINCHESE

1*,G. CAVALIERE1, C. DE FILIPPO

1, M. GAITA1, S. DI SCALA

1, I. PUNZO1, R. SIRICA

1, S. VERDOLIVA

1, P. BERGAMO2, M.P. MOLLICA

1 1Department of Biology, “Federico II” University, Naples, Italy; 2Institute of Food Sciences, CNR, Avellino, Italy; *These authors contributed equally to this work Introduction: High-fat feeding is known to induce development of non-alcoholic fatty liver disease (NAFLD). Several studies have clearly indicate that mitochondrial functioning and nuclear factor E2-related factor-2 (Nrf2) have been indeed recognized to play a key role in NAFLD pathogenesis. In particular, defects in mitochondrial performance could contribute to the development of liver disease and mitochondrial oxidative capacity has been considered a good predictor of liver disease. Conjugated Linoleic Acid (CLA) mixture of cis9,trans11 (9,11-CLA) and trans10,cis12 (10,12-CLA) isomers enhanced antioxidant/detoxifying mechanism via the activation of nuclear factor-E2-related factor-2 (Nrf2) and preserved mitochondria function but less is known about the actions of specific isomers. Aim: The aim of the study was to evaluate the differential ability of individual CLA isomers to modulate hepatic mitochondrial functioning, redox and inflammatory status and activation of Nrf2 pathway in rats fed for 4 weeks with control diet (CD) or lard-based high fat diet (L). Methods: Wistar rats were divided into 2 groups and individually caged in a temperature controlled room at 24 °C. The first group fed with a standard rodent diet (CD) (15,88 kJ/g), the second received high fat diet (L) (20kJ/g). Within each dietary treatment, two sub-groups were daily administered with 9,11- or 10,12-CLA (30 mg/day). At the end of the treatment proinflammatory cytokines levels were measured in blood serum. At hepatic level, histological parameters, redox status, antioxidant/detoxifying enzymes, mitochondrial fatty acid oxidation, energy efficiency, oxidative stress and Nrf2 pathway activation were evaluated. Results: 9,11-CLA, but not 10,12 supplementation to CD-rats, improved liver redox status, mitochondrial uncoupling and both antioxidant/detoxifying and metabolic pathways associated to Nrf2 activation. Histological examination revealed reduced steatosis in L-fed rats supplemented with both CLA isomers but 9,11-CLA down-regulated plasma concentrations of pro-inflammatory markers, alanine amino transferase activity, mitochondrial dysfunction (reduced proton leak and oxidative stress markers) in liver more efficiently than 10,12-CLA treatment. Conclusions: These results demonstrate the higher protective effect of 9,11-CLA against diet-induced pro-oxidant and pro-inflammatory signs and suggest that these effects are determined, at least in part, by its ability to improve the mitochondrial functioning and to activate the Nrf2 pathway.

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A05. Oral supplementation with aminoacids improves insulin sensitivity and reduces fatty liver deposition in nonalcoholic fatty liver disease patients: an intervention study

I. GIANGRANDI*, F. SOFI*°^, F. CESARI°, R. ABBATE*, G.F. GENSINI*°, A. CASINI* *Agency of Nutrition, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; °Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence; ^Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS IRCCS, Florence, Italy Aim: Nonalcoholic fatty liver disease (NAFLD) is a worldwide diffuse medical condition. Several therapeutic approaches for NAFLD have been proposed but disappointing and conflicting data have been obtained. The aim of our study was to evaluate the effectiveness of a dietary supplementation with aminoacids in patients with NAFLD. Methods: We conducted a randomized, double-blind crossover trial with 2 intervention phases in 26 NAFLD patients (15 F, 11 M; median age 43.5 years). The trial participants were planned for oral administration of either dietary aminoacids (Aminotrofic, ErreKappa) or placebo for 6 months in a random order. Blood analyses and ultrasonography were performed at the beginning and at the end of each phase of intervention. Results: Oral administration of dietary aminoacids determined a significant improvement of liver echotexture and of Doppler Perfusion Index (DPI) (Post: 0.20 ± 0.02 vs. pre: 0.17 ± 0.01; p<0.05), with some cases of normalized liver ultrasonography, whereas no significant changes were seen at the end of follow-up for placebo. Moreover, during the intervention phase with aminoacids patients showed a significant amelioration of triglycerides (Post: 136.1 ± 61.8 vs. Pre: 164.7 ± 91.2 mg/dL, p=0.04), and LDL-cholesterol (Post: 117.2 ± 34.2 vs. Pre: 128.5 ± 40.1 mg/dL, p=0.04), at a general linear model adjusted for age and gender. Interestingly, patients who underwent a treatment with aminoacids reported to have a significant decrease of insulin levels (Post: 22.1 ± 13.5 vs. Pre: 37.5 ± 15.5 µg/mL, p=0.03) while no significant differences with placebo have been observed. Conclusion: The results of the present intervention study suggest a beneficial effect of dietary supplementation with aminoacids in patients with NAFLD, as seen by a significant improvement of liver echotexture and some parameters related to the disease.

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A06. Production of melatonin and its isomers by yeasts and effects of tryptophan supplementa-tion

I. VIGENTINIA, C. GARDANA

A, R. FOSCHINOA, P. SIMONETTI

A, D. FRACASSETTIA, A. TIRELLI

A, M. IRITIB*

aDEFENS and bDISAA, Milan State University, Background. It has been suggested that melatonin may represent a bioactive component in Mediterranean diet, because of its occurrence in some traditional plant foods and beverages. In particular, after the first discovery in grapes, this indoleamine and its isomers have been recently detected in many grapevine products (red, white and sweet wines, grape juice and vinegar). Aims. In order to ascertain a possible role of yeasts as melatonin-producers during winemaking, different species and strains were investigated in laboratory conditions. Methods. Saccharomyces cerevisiae EC1118, IOC18-2007 and UMY255, Torulaspora delbrueckii CBS1146, UMY196 and UMY336, and Zygosaccharomyces bailii ATCC36947 were inoculated in YNB medium (at approximately 105 Colony Forming Units/mL) supplemented with 2% (w/v) glucose and grown at 25°C. To promote melatonin production, parallel growth tests were carried out increasing the final concentration of its precursor, tryptophan, to 100 mg/L. Melatonin and its isomers were monitored every 24h till yeast cells reached the stationary phase of growth. Both supernatant and cellular content were submitted to the UPLC-MS/MS analysis. Results. All the assayed yeasts did not produce melatonin when tryptophan was not added. After supplementation with the precursor, only Z. bailii and T. delbrueckii CBS1146 produced significant amounts of melatonin (37 and 30 ng/109CFU, respectively) after 48 h, and, to a lesser extent, S cerevisiae UMY255 24 h after inoculation (14 ng/109CFU). Five melatonin isomers were detected with different retention times (RT 1.91, 2.10, 2.61, 3.2, 3.41 min). Only T. delbrueckii CBS1146 produced significant levels of all five isomers. In all the samples, the isomer RT 2.61 was the most abundant and, in general, its concentration generally increased in tryptophan-enriched medium, reaching the highest levels in Z. bailii and T. delbrueckii CBS1146, 48 h after inoculation (439 and 1127 ng/109CFU, respectively), and S cerevisiae UMY255 after 24 h (557 ng/109CFU). Conclusions. The yeasts-mediated synthesis of melatonin after tryptophan supplementation seems to be a strain-specific character rather than a phenomenon related to the species. Further studies will investigate the contribute of indoleamines from microbial origin to the final levels of these metabolites in wine, as well as their biological role(s) and nutritional significance.

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A07. Anthocyanins from Wild Blueberry (Vaccinium aungustifolium) exert in vitro immunomodulatory effect

C. LANTI1, V. TAVERNITI

2, D. FRACASSETTI1, C. DEL BO’ 1, P. RISO

1, M. PORRINI1, D. KLIMIS-ZACAS

3 AND S.

GUGLIELMETTI2

Department of Food, Environmental and Nutritional Sciences (DeFENS), 1Division of Human Nutrition, 2Division of Food Microbiology and Bioprocessing, Università degli Studi di Milano, Italy. 3Department of Food Science and Human Nutrition, University of Maine, Orono, ME, USA Background: Research on berries is increasing considering their significant content in bioactive compounds such as polyphenols, especially anthocyanins (ACNs). These compounds have been demonstrated to possess antioxidant, anti-inflammatory and immunomodulatory effects. Aim: The present study aimed to investigate the effect of three different fractions (ACN, phenolic and water soluble fractions) obtained from a wild blueberry (WB) powder on immune responses in intestinal epithelial Caco-2 cells and U937 human macrophages, in presence of pro-inflammatory molecules.

Methods: Caco-2 cells were transfected with the plasmid pNiFty2-Luc containing a promoter with five NF-B-binding sites followed by the firefly luciferase reporter gene luc. The effect of WB fractions was evaluated in the presence of

IL-1, a pro-inflammatory cytokine. Caco-Immunomodulatory activity for each

fraction was monitored in real time by quantification of bioluminescence with a luminometer. Human U937 macrophages were supplemented with three different concentration of the ACN fraction (1, 10 and 25 ) in

presence of LPS to evaluate the modulation of the pro-inflammatory cytokine TNF- expression by means of q-PCR.

Results: The ACN fraction reduced the activation of NF-κB induced by IL-1 in Caco-2 cells in a dose-dependent bioluminescence by 68.9% and 85.2%

respectively (p≤0.05). Neither the phenolic nor the water soluble fractions showed a modulation in the activation of NF-κB. In U937 macrophages only the highest concentration of ACN fraction had a significant effect in reducing the

LPS-dependent induction of TNF-. Conclusion: Only the ACN fraction displayed anti-inflammatory properties by decreasing the activation of NF-κB in

presence of IL-1 in Caco-2 cells and exerting a dampening effect towards LPS-induced TNF-α production in immune cells. Further experiments will be focused on the identification of single compounds and metabolites possibly involved in the anti-inflammatory effect (s) of WB.

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A08. Obesity development and hepatic lipid metabolism in rats simultaneously exposed to chronic high-fat diet and low doses of persistent organic pollutant

R. PUTTI, R. SICA, E. PISCITELLI, C. D’AMBROSIO, V. MIGLIACCIO, L. LIONETTI Dipartimento delle Scienze Biologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II Background: It has been recently suggested that the exposure to environmental chemicals may play a role into the etiopathogenesis of obesity and metabolic comorbidities. The physiological impact associated with chronic simultaneous exposure to both high-fat diet and low doses of persistent organic pollutants, such as p,p´-diphenyldichloroethene (DDE), (DDT’s major metabolite with the highest persistence), is poorly understood. Aim: Given that liver is one of the main organ involved in response to both toxic injury and high-fat feeding, the aim of the present work was to investigate the effect of chronic simultaneous exposure to low dose of DDE and high-fat feeding on obesity development and hepatic lipid metabolism in rats. Methods: Four groups of 8 rats were so treated for 4 weeks: 1) standard diet (10% fat J/J) (N rats); 2) standard diet plus DDE (10 mg/kg b.w. by gavage) (N+DDE rats); 3) high-fat diet (45% fat J/J) (D rats); 4) high-fat diet plus DDE (D+DDE rats). Body weight gain, energy intake, liver weight and lipid content were determined. Hepatic fatty acids oxidation was determined polarographically. Results: N+DDE rats exhibited the same energy intake, body weight gain and hepatic lipid content, but a higher liver weight compared to N rats. In addition, they exhibited a higher mitochondrial fatty acids oxidation. D and D+DDE rats showed the same higher body weight gain and lipid energy intake compared to both N groups. However, D+DDE rats showed a higher liver weight and mitochondrial fatty acids oxidation, as well as a lower hepatic lipid content compared to D rats. Conclusion: The results showed that, in contrast with literature data, the physiological responses to chronic low dose of DDE did not induce obesity development in standard fed rats, neither a further increase in body weight gain in high-fat fed rats. However, DDE exposure induced hepatomegaly not associated with an increased lipid accumulation due to an increase in fatty acid oxidation. This increase of substrate oxidation may be useful to cope with increased energetic demand associated with hepatic detoxification mechanism. Therefore, the duration and the dose of our DDE treatment induced physiological adaptation without obesity development.

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A09. Characterization of phenolics in red grape skins recovered from winemaking by-products employable as a food ingredient or as a nutraceutical preparation

L. MARINONI, C. GARDANA, P.S.C. SRI HARSHA, V. LAVELLI AND P. SIMONETTI DeFENS, Department of Food, Environmental and Nutritional Sciences, Università degli Studi di Milano, Milano, Italy The grape transformation by wine industry generates a large volume of by-products, such as grape pomace, which still contains polyphenols and other beneficial compounds for the human health. Thus, the recovery of the active compounds for the production of ingredients for food and nutraceuticals might be of interest. The purpose of our research was to define the qualitative and quantitative composition of the polyphenols in products to be used later for the formulation of foods high in added value. Red grape skins samples of Barbera, Croatina, Freisa, Dolcetto, Grignolino, Neretto, Nebbiolo and Pinot Nero were recovered from winemaking by-products, within the Valorvitis project (AGER 2010-2222). Samples were analyzed for total phenolics (Folin Ciocalteu assay), proanthocyanidins (Porter assay), and individual polyphenols by UPLC coupled to diode array and mass spectrometry detector. A wide variability was observed in the contents of total phenolics (12-54 mg gallic acid Eq/kg), proanthocyanidins (0.7-5%), total anthocyanins (0.2-1.4%) and flavonols (0.3-2.5%). Glucoside of malvidin, delphinidin, peonidin, petunidin and cyanidin were the main anthocyanins, respectively. Additionally, lower amount of these compounds was found esterified with acetic, p-coumaric and caffeic acid. The main flavonols were the aglycones quercetin and kaempferol, respectively, but also lower amount of their derivatives such as glucuronides and glucosides were found. Regarding proanthocyanidins, the found amount were comparable with those reported in literature and the chromatographic analysis showed that catechin, epicatechin and epigallocatechin-gallate monomers were the main constituents of the polymers. Among the samples considered, the cultivar Barbera, which is largely cultivated, was found to be one of the most promising sources of phenolics. Thus, this well characterized winemaking by-product could be used as food ingredient or in nutraceutical preparations.

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A10. KAMUT khorasan wheat products and irritable bowel syndrome: a double-blinded dietary intervention study

F. SOFI1-3, A. WHITTAKER

4, A.M. GORI2, F. CESARI

2, E. SURRENTI5, R. ABBATE

2, G.F. GENSINI2,3, S. BENDETTELLI

4, A. CASINI

1,2

1Agency of Nutrition, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; 2Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence;

3Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS IRCCS, Florence, Italy;

4Department of

Agrifood Production and Environmental Sciences, University of Florence, Italy; 5Digestive Pathophysiology and Motility

Unit, Careggi University Hospital, Florence, Italy

Aim: Aim of this study was to examine the effect of a replacement diet with organic, semi-wholegrain KAMUT khorasan wheat products on irritable bowel syndrome (IBS) symptoms and inflammatory/biochemical parameters. Methods: A double-blinded randomized crossover trial was undertaken using 20 participants (13 female, 7 male, aged 18-59), classified with moderate IBS. Participants received products (bread, pasta, biscuits, crackers) made either from

ancient KAMUT or modern control wheat for 6 weeks in a random order. Symptoms were evaluated using global assessment of improvement scale and visual analogue scale questionnaires, which were compiled both before and on a weekly basis during the intervention phase.

Results: During the intervention phase with KAMUT products patients experienced significant improvements in IBS symptoms, such as abdominal pain (p<0.0001), bloating (p=0.004), satisfaction with stool consistency (p<0.001), and tiredness (p<0.0001) using a general linear model for repeated measurements adjusted for age and gender. No difference was observed after the intervention phase with control products. Similarly, patients reported a significant

amelioration in the severity of gastrointestinal symptoms only after the KAMUT intervention phase, as measured by intensity of pain (p=0.001), frequency of pain (p<0.0001), bloating (p<0.0001), abdominal distension (p<0.001) and quality of life (p<0.0001). Interestingly, the inflammatory pattern showed a significant reduction in circulatory pro-inflammatory cytokine levels, including IL-6, IL-17, INF-gamma, MCP-1 and VEGF after the intervention phase with

KAMUT products, but not after the control phase. Conclusions: Significant improvements in both IBS symptoms and the inflammatory profile were reported after the

ingestion of KAMUT products. This work was supported in part by a grant from the Kamut Enterprise of Europe (KEE), Oudenaarde, Belgium

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A11. Omocisteina plasmatica, genotipo MTHFR e stato vitaminico in una popolazione pediatrica con ipercolesterolemia familiare eterozigote

E.VERDUCI, C. PEDERIVA, M.E. CAPRA, E. SALVATICI, E. RIVA, G. BANDERALI Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano Premessa: Livelli aumentati di omocisteina plasmatica (tHcy) sono un fattore di rischio indipendente per patologia cardiovascolare (CVD) in età adulta. Obiettivo: Valutazione dei livelli di tHcy e correlazione con il genotipo della metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) in una popolazione di bambini con ipercolesterolemia familiare eterozigote (eFH) al primo accesso presso il nostro Centro di Dislipidemie Pediatriche. Metodi: 137 bambini eFH (diagnosi genetica), età 2-17 anni (mediana 8.4), 66 maschi e 61 femmine, non in trattamento dietetico, farmacologico o vitaminico, sono stati valutati per: storia familiare per CVD (linee guida AAP 2008), parametri antropometrici, stadio puberale (Tanner=1 vs >1), prelievo ematico per profilo lipidico, tHcy (FPIC, IMxAbbot), genotipo MTHFR (mutazione C677T) (HRM), vitamina B12 e acido folico (chemiluminescenza). Statistica: analisi della varianza con tHcy variabile dipendente e stadio puberale e genotipo MTHFR come fattori. Risultati: I valori di tHcy (media µmol/l ± deviazione standard) sono risultati 5.9±2. Il genotipo MTHFR è risultato omozigote per la variante termostabile (CC) in 35 bambini, eterozigote in 78 (CT) ed omozigote per la variante termolabile (TT) in 24. I valori di tHcy sono risultati più elevati nei puberi (Tanner>1, 48/137) rispetto ai prepuberi (Tanner=1, 97/137), rispettivamente 7.0±2.3 vs 5.4±1.8, p<0.0001. L'analisi della varianza ha evidenziato una associazione significativa di tHcy con stadio puberale (p<0.001) con effetto differente nei diversi gruppi MTHFR (p=0.048). In particolare, CC (prepuberi vs puberi): 5.5±1.6 vs 6.3±2.0, p=0.428; CT 5.5±1.9 vs 6.4±2.0, p=0.072; TT 5.3±1.7 vs 8.4±2.7, p=0.004. Il profilo lipidico non è risultato differente per sesso, età, stadio puberale né storia familiare per CVD. I valori di tHcy non risultano correlati con la storia familiare per CVD. I valori plasmatici di vitamina B12 e acido folico sono risultati nella norma. Conclusioni: In bambini eFH abbiamo riscontrato livelli di tHcy sempre nella norma, ma ai limiti superiori durante la fase puberale, in particolare nei soggetti TT. L’analisi genetica consente dunque di individuare precocemente quei soggetti che, in assenza di supplementazione vitaminica specifica (vitamina B12 e acido folico), svilupperanno iperomocisteinemia moderata in età adulta

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A12. Effetto dei processi di surgelazione e cottura sulla qualità nutrizionale di alcuni vegetali

M. ZAUPA1, T. MAZZEO

1, E. CHIAVARO1, V. FOGLIANO

2, N. PELLEGRINI1

1Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Parma;

2 Food Quality and Design group, University of

Wageningen Premesse: Il consumo di vegetali è stato associato ad un ridotto rischio di malattie cardiovascolari e cancro

1. Questo

effetto protettivo è stato attribuito alla presenza in questi alimenti di composti antiossidanti, fibra e sostanze bioattive2. Poiché il consumo di vegetali risulta condizionato dalla loro stagionalità, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento del consumo di prodotti surgelati. La surgelazione permette di preservare la qualità sensoriale e nutrizionale dei prodotti per lunghi periodi di tempo3. Tuttavia i vegetali surgelati necessitano di un processo di cottura prima di essere consumati. Se molti sono gli studi che hanno valutato l’effetto della cottura sulle proprietà nutrizionali delle verdure fresche evidenziando, in taluni casi, anche un effetto positivo dei trattamenti termici su alcuni parametri nutrizionali4,5, al contrario, è ancora poco studiato l’effetto su parametri nutrizionali di vegetali trattati con condizioni che mimino un reale processo industriale di surgelazione. Obiettivi: In questo studio, si sono valutati, ai vari steps di un processo industriale di surgelazione e successiva cottura mediante bollitura, alcuni parametri nutrizionali -capacità antiossidante totale (TAC) e composti fenolici- di tre vegetali (asparagi, fagiolini e zucchine). E’ stato inoltre effettuato un confronto con la cottura effettuata mediante bollitura sul prodotto fresco non trattato. Metodi: Previe opportune estrazioni, la TAC è stata determinata tramite metodi TEAC

6 e FRAP

7 e i singoli composti

fenolici sono stati quantificati mediante HPLC8. Risultati: In generale, la cottura, sia del prodotto fresco sia surgelato, ha influenzato il contenuto dei composti fenolici negativamente in asparagi e positivamente in fagiolini e zucchine, mentre con i trattamenti di blanching e surgelazione si è osservato un aumento di questi composti nei tre vegetali analizzati. Diversamente, nelle verdure fresche la capacità antiossidante totale è aumentata con la bollitura, mentre la cottura dei prodotti surgelati ha causato un decremento significativo (p≤0,05) della TAC. Questo effetto è probabilmente dovuto alla lisciviazione di alcuni dei composti antiossidanti, facilitata dalle modifiche che avvengono a carico della struttura in seguito al processo di surgelazione. Conclusioni: I risultati ottenuti hanno evidenziato che la bollitura di prodotti surgelati causa una parziale perdita di composti antiossidanti delle verdure. Bibliografia McInerney J.K. Innovat. Food Sci. Emerg. Technol. 2007, 8: 543-548. Hu F.B. Am. J. Clin. Nutr. 2003, 78: 544-551. Rawson A. .J Food Eng. 2012, 108: 563-569. Miglio C. J. Agric. Food Chem. 2008, 56: 139-147. Turkmen N. Food Chem. 2005, 93: 713-718. Pellegrini N. J. Agric. Food Chem., 2003, 51: 260-264. Benzie I.F.F. Methods Enzymology 1999, 299: 15-27. Crozier A. J. Agric. Food Chem. 1997, 45: 590–595.

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POSTER

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P01. Influenza della massa corporea sulla attività fisica C. LUCIANO, R. GRADASCHI, GF ADAMI Corso di Studio in Dietistica, Università degli Studi di Genova La sedentarietà è un aspetto frequente dello stile di vita del grande obeso: lo studio valuta se la limitazione meccanica al movimento può di per sé indurla. Sono stati esaminati 17 obesi (OB) candidati a chirurgia bariatrica, 24 operati di diversione biliopancreatica (BPD) con peso ridotto da più di un anno, 24 individui confrontabili per età e BMI a quelli BPD (CO) e non in programmi di riduzione ponderale, e 11 soggetti sani normopeso (NP). Il consumo energetico di base (REE) e totale (TEE) é stato misurato con SenseWear Pro2 Armband® (SWA). Sono stati calcolati i valori di equivalente metabolico (MET, energia/REE/minuto). I soggetti sono stati considerati sedentari se i valori di MET erano inferiori a 1,5 per più dell’80 % del tempo di registrazione, e fisicamente attivi se superiori a 3 per più del 10 %. Il consumo abituale di cibo è stato valutato con intervista e ’ausilio di atlante alimentare.

BMI kg/m

2

introito di cibo kcal/24h

TEE kcal/24h

REE kcal/24h

MET 24h

sedentari #

fisicamente attivi #

OB 44,81 2987 2846 2614 1,08 13/17 0/17 BPD 31,42 3362 2558 2269 1,31 1/24 14/24 CO 32,10 2599 2661 2223 1,31 0/24 14/24 NP 22,16 2289 2318 1575 1,81 1/11 5/11

I valori MET sono risultati negativamente correlati con BMI (r=-0,694, p<0,001). Ad eccezione che nei soggetti BPD con malassorbimento intestinale, i valori misurati di TEE erano simili a quelli della intervista alimentare, confermando l’accuratezza dei dati SWA. Negli individui BPD i dati REE sono sovrapponibili a quelli CO, dimostrando negli operati una normale composizione corporea. In BPD e CO sono stato osservati valori di MET molto simili, mentre in OB sono risultati inferiori (p<0,001) e in NP superiori (p<0,001). Il numero di soggetti con stile di vita sedentario era superiore in OB (p<0,01), mentre negli altri gruppi il numero di persone con stile di vita normale o attivo era analogo. I dati suggeriscono che la sedentarietà nel grande obeso sia principalmente dovuta alle limitazioni meccaniche che conseguono all’eccessiva massa corporea, e che alla perdita di peso da BPD corrisponde di per sé un incremento della attività fisica.

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P02. La cucina ligure come declinazione locale della dieta mediterranea.

R. GRADASCHI1, M. BORRIELLO

2, R. CREMONA2, GF. ADAMI

1 Università di Genova

1 e Istituto Marco Polo

2 , Genova.

In una serie di preparazioni tradizionali della cucina ligure di consumo usuale sul nostro territorio sono stati calcolati il contenuto in energia, fibre e macronutrienti, e la relativa tipologia dei grassi presenti. La composizione di questi piatti è stata rapportata ai livelli di assunzione raccomandata per un uomo sano (altezza 170 cm, peso 64 kg) secondo i LARN 2012. Sono stati individuati dieci diversi menu giornalieri che riflettessero il più accuratamente possibile lo stile alimentare più comune in Liguria. Tali menu sono composti da un primo e un secondo piatto per il pasto principale e da un piatto unico, tralasciando la colazione mattutina e il consumo di pane, frutta e verdura. Nella tabella sono indicate, per ogni menu, le percentuali in rapporto ai LARN per la persona standard delle diverse componenti.

menu #

kcal proteine lipidi totali

CHD totali

oligo saccaridi

fibra SA MUFA PUFA Ω6/Ω3

1 49 73 73 34 14 56 42 15 35 7,4 2 42 70 73 22 11 32 58 19 50 3,5 3 51 73 86 31 38 32 73 71 36 10,9 4 39 62 45 32 38 28 34 34 21 9,6 5 43 72 65 28 13 34 69 69 20 8,4 6 52 85 81 32 8 20 88 22 29 6,9 7 40 68 71 24 15 22 83 28 24 2,1 8 41 76 63 24 20 23 45 45 24 3,2 9 40 74 71 12 19 55 44 44 32 12,2

10 53 71 70 47 23 4 32 42 31 3,6

Con i piatti della cucina tradizionale ligure è possibile comporre menu giornalieri con alto rapporto Ω6/Ω3 e elevato contenuto percentuale di fibre e di MUFA a fronte di un relativamente basso livello percentuale di oligosaccaridi, di lipidi e di SA. Il completamento dei menu con una prima colazione tipica e un consumo standard di frutta e verdura con olio d’oliva determina un comprensibile aumento dell’introito di fibre e MUFA con ulteriore incremento di Ω6/Ω3. La cucina ligure fornisce un tipo di alimentazione che interpreta perfettamente tutte le indicazioni qualitative e quantitative della dieta mediterranea.

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P03. «Enhanced Recovery After Surgery» in Italia: i protocolli nutrizionali per la chirurgia elettiva

gastrointestinale

I. BACHINI

1, M.L. MASINI2, A.R. SABBATINI

3, E. ZAGALLO3 , L. SARTINI

2, G. BUTI2

1 Libera professione; 2 Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi (AOUC) - Firenze; 3 Istituto Europeo di Oncologia - IRCCS (IEO) - Milano Premessa: I programmi di Enhanced Recovery After Surgery (ERAS) hanno rivoluzionato le tradizionali pratiche di gestione e riabilitazione del paziente candidato a chirurgia elettiva, compresi gli aspetti correlati alla nutrizione. Le strategie nutrizionali adottate comprendono: in fase preoperatoria, la valutazione del rischio nutrizionale, l’immunonutrizione, la riduzione del digiuno e il carbohydrate loading e, in fase postoperatoria la ripresa precoce della nutrizione. Nel nostro paese il “Progetto ERAS-ITALY” è stato promosso nel giugno 2011; vi collaborano oltre 40 teams chirurgici che hanno sistematizzato protocolli clinici di gestione e riabilitazione perioperatoria per le diverse specialità. Nell’ambito di tale progetto il gruppo di lavoro, costituito da dietisti appartenenti all’AOUC di Firenze e all’IEO di Milano, ha elaborato protocolli nutrizionali specifici per le diverse tipologie di intervento. Obiettivi: Favorire buone pratiche di gestione e riabilitazione nutrizionale nel paziente chirurgico e definire, in particolare, gli aspetti della fase di rialimentazione postoperatoria nelle diverse specialità chirurgiche, tenendo conto dei diversi contesti organizzativi e della necessità di fornire indicazioni per i servizi di ristorazione. Metodi: I protocolli nutrizionali sono stati elaborati sulla base delle raccomandazioni di carattere nutrizionale definite nei protocolli clinici, tenendo conto delle alterazioni dei processi digestivi e assorbitivi causati dagli interventi chirurgici e della necessità di prevenire/gestire le diverse sintomatologie che possono insorgere nel primo periodo postoperatorio. L’elaborazione dei protocolli ha previsto una ricerca bibliografica di studi clinici e linee guida specifici ed il confronto delle esperienze professionali. Risultati: Sono stati elaborati sette protocolli nutrizionali relativi agli interventi di chirurgia esofago-gastrica, pancreatica e colo-rettale. Per ogni protocollo sono stati definiti gli aspetti dietetico-nutrizionali della fase preoperatoria ed i piani di rialimentazione postoperatoria. Ogni protocollo prevede: gli obiettivi e le strategie del trattamento dietetico, la definizione della composizione bromatologica della dieta, le raccomandazioni relative alla più appropriata distribuzione dei pasti nella giornata e le indicazioni per la continuità assistenziale. Conclusioni: La implementazione dei protocolli nutrizionali nei diversi centri, renderà possibile l’individuazione degli interventi che assicurano la migliore qualità dell’assistenza attraverso la valutazione di outcomes quali: gestione appropriata del rischio di malnutrizione, riduzione delle complicanze postoperatorie correlate alla situazione metabolica e allo stato nutrizionale, e ripresa precoce delle capacità funzionali del paziente. Bibliografia Gustafsson UO, Scott MJ, Schwenk W, Demartines N, Roulin D, Francis N, McNaught CE, MacFie J, Liberman AS, Soop M, Hill A, Kennedy RH, Lobo DN, Fearon K, Ljungqvist O. Guidelines for Perioperative Care in Elective Colonic Surgery: Enhanced Recovery After Surgery (ERAS) Society Recommendations. World J Surg 2012. Lassen K, Marielle M, Coolsen E, Slim K, Carli F, Aguilar-Nascimento JE, Scha¨fer M, Parks RW, Fearon KCH, Lobo DN, Demarti N, Braga M, Ljungqvist O, Dejong CHC. Guidelines for Perioperative Care for Pancreaticoduodenectomy: Enhanced Recovery After Surgery (ERAS) Society Recommendations. World J Surg 2012. Nygren J, Thacker J, Carli F, Fearon KCH, Norderval S, Lobo DN, Ljungqvist O, Soop M, Ramirez J. Guidelines for Perioperative Care in Elective Rectal/Pelvic Surgery: Enhanced Recovery After Surgery (ERAS) Society Recommendations. World J Surg 2012. Varadhan KK, Neal KR, Deyong CHC, Fearon KCH. The Enhanced recovery after surgery (ERAS) pathway for patients undergoing major elective open colorectal surgery: a meta-analysis of randomized controlled trials. Clin Nutr 2010; 29:434-440. Spanjersberg WR, Reurings J, Keus F, van Laarhoven CJHM. Fast track surgery versus conventional recovery strategies for colorectal surgery.Cochrane Database,SystRev 2011; CD007635.

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P04. Livello attività fisica negli adolescenti: due metodologie di valutazione a confronto

L. BELLI 1, 2

, G.COLAO 2, I.ROMANI

2, G.VICI 1, D.CIMINI

3,D. FIACCHINI 3, F.PETRUIO

3

1Master in Nutrizione, Nutraceutica e Dietetica Applicata - Scuola di Bioscienze e Biotecnologie - Università di

Camerino; 2

Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione - Asur Marche Area Vasta 2 distretto Fabriano; 3 Servizio Igiene e

Sanità Pubblica - Asur Marche Area Vasta 2 distretto Fabriano Premesse: I benefici per la salute derivanti dalla regolare pratica di attività fisica ad intensità moderata sono ampiamente dimostrati in letteratura. Obiettivo: Indagare il livello di attività fisica di ragazzi attraverso l’utilizzo di due metodi di valutazione con successivo confronto e studio dei risultati ottenuti. Metodi: Lo studio è stato condotto su un campione di 109 ragazzi tra i 15-19 anni. Per indagare l’attività fisica è stato utilizzato l’International Physical Activity Questionnaire (IPAQ), in cui vengono richieste frequenze settimanali e durata media dell’attività fisica vigorosa e moderata e del camminare. Per valutare il grado di attività fisica svolta l’IPAQ utilizza i METs che hanno un valore diverso a seconda dello sforzo praticato e permettono di sommare assieme attività di diversa intensità. E’ stato inoltre valutato il numero di passi giornaliero, attraverso l’utilizzo di un contapassi, per 3 giorni. I risultati ottenuti sono stati confrontati con i valori raccomandati dall’OMS ed utilizzati per elaborare un metodo di valutazione specifico. Risultati: Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli adolescenti dovrebbero fare almeno 60 minuti al giorno di attività fisica. Considerando circa 40 minuti al giorno di attività moderata e 20 minuti di attività vigorosa, si ottiene un totale di 2240 MET. Confrontando questo dato con i dati raccolti dall’indagine si osserva che il 45% dei ragazzi intervistati mostra un valore MET maggiore di 2240 MET. L’OMS raccomanda inoltre 10000 passi al giorno per migliorare la salute. Confrontando questo dato con i dati raccolti con il contapassi si osserva che solo il 17% dei ragazzi intervistati supera questo limite. Si nota inoltre che il numero di passi medi giornalieri è maggiore nei maschi (8981) rispetto alle femmine (4980) p < 0,05 Conclusione: I dati evidenziano bassi livelli di attività fisica tra gli adolescenti e i risultati confermano quanto evidenziato a livello nazionale dai sistemi di sorveglianza (HBSC, PASSI…). La differenza di esito ed informazioni tra i due metodi utilizzati sottolinea che per una corretta valutazione generale del movimento giornaliero di un soggetto è importante integrare metodi diretti e indiretti di valutazione insieme alla percezione di ogni ragazzo riguardo il proprio grado di attività fisica.

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P05. Weight gain during pregnancy in overweight and obese women related to lifestyle changes.

V. BERTARINI1, C. CICCHETTI

1, L. PIGNATTI3, E. PETRELLA

3, A. PIETROBELLI2, N.C. BATTISTINI

1 AND M. MALAVOLTI

1

1Applied Dietary Sciences Chair, Departments of Diagnostic, Clinical Medicine and Public Health of Modena and Reggio

Emilia University; 2Pediatric Unit, Verona University Medical School, Verona;

3Ginecology and Obstetrics Unit,

Department of Maternal and Child, Modena and Reggio Emilia University BACKGROUND AND AIM: The health consequences of over-weights and obesity have resulted in an increased interest in maternal weight gain during pregnancy. Aims of this study were: 1) to evaluate the changes in maternal body composition during pregnancy in women with Body Mass Index (BMI) > 25 kg/m2 submitted to healthy diet and regular physical activity using bioimpedance analysis (BIA, TANITA, BC418 Tokyo, Japan) and 2) to assess reliability and validity of Sensewear Armband (SWA) in overweight/obese women during pregnancy SUBJECTS AND METHODS: 35 pregnant women with BMI > 25 kg/m2 were supplied for a healthy diet and lifestyle, Therapeutic Lifestyle Changes (TLC). TLC includes: Food Frequency Questionnaire (FFQ), a diet of 1700 kcal/day for patients who are overweight or 1800 kcal/day for those obese, both associated with physical activity (30 minutes a day, 3 times a week) as measured by SWA. The patients were visited by the dietitian every month to monitor body composition changes and estimating fat free mass (FFM), fat mass (FM) and water using BIA and checking using SWA the regular physical activity achieving and daily activies. RESULTS: Body weight and body distribution (FM and FFM) have changed significantly from the 12th throughout the 36th weeks of gestational age (Table1). Using SWA we reported regular physical activity during all pregnancy without any statistic difference in the time spent practicing physical activity and also regarding the intensity they use to practice sports measuring by METS and by steps numbers counting (Table1). Using SWA we evaluated the time spent sleeping and we did not find any difference between beginning and end of pregnancy, while the time spent lying was greater at the beginning than at the end of pregnancy (p<0.05).

At 12th week At 36th week P value

BW (kg) 89.2 ± 15.8 95.8 ± 13.2 = 0.0001* FM (kg) 37.6 ± 10.2 41 ± 9 = 0.0019* FFM (kg) 52 ± 5.3 55 ± 4.2 = 0.0002* Total body Water (kg) 38±4 40.3±3 = 0.0001* TEE by SWA (Kcal) 2317 ± 466 2428 ± 358 = 0.69 NS TEE by BIA (Kcal) 1624±174 1715±144 = 0.0001* Time Lying (minutes) 573.4 ± 130 507.5 ± 162 = 0.06* Sleep time (minutes) 435.7 ± 84 390 ± 139 = 0.17 NS Physical Activity Time (minutes) 47.5 ± 33.3 39.6 ± 34 = 0.2 NS Steps Counting 7509 ± 3684 6384±3523 = 0.07* METs (kcal/BW-kg/hours) 1.14 ± 0.21 1.12 ± 0.2 = 0.46 NS

Table 1: BW= Body weight; FM=fat mass; FFM=fat free mass; TEE= total energy expenditure measured by SWA; TEE= total energy expenditure measured by BIA. Time Lying, Sleep time, Physical Activity Time, Step Counting and METS measured by SWA.

Item 1st FFQ 2nd FFQ p

Tea spoons of sugar or honey 2 (1-2)* 1 (0-2) 0.003

Spoons of oil 2 (1-3) 2 (1-3) NS

Vegetables/week 5 (3-7) 7 (5.5-8) 0.002

Fresh fruit/week 6 (3-7) 7 (5.5-8) 0.016

Cold cuts 2 (1-2.75) 1 (1-2) NS

Red meat 2 (2-2) 2 (2-2) NS

Candy 0 (0-1) 0 (0-0.50) 0.046

Table 2: Frequencies of selected food consumption according to Food Frequency Questionnaire

CONCLUSIONS: This study demonstrates that by giving, early in pregnancy, an healthy diet and sports support provided by knowledgeable and experienced doctors and dietitians team, women with pre-pregnancy BMI> 25 kg/m2 could more easily achieve the American Institute of Medicine (IOM) recommendations for weight gain avoiding all the complications of a “high-risk pregnancy”. This is very important because it demonstrates that pregnant women have not been sedentary during pregnancy indeed they practice physical activity recommended throughout pregnancy and following the dietary recommendations of the dietitian, increasing their consumption of fruits and vegetables and decreasing the amount of sugar (Table 2).

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P06. Valutazione dello stato nutrizionale dei pazienti ricoverati presso la Fondazione Don C. Gnocchi

B.BIFFI, E.GRAZIANO, E.RAFANELLI, C.F.GHERI, G.PASQUINI, M.L.E.LUISI, G.F.GENSINI Fondazione Don Carlo Gnocchi Italia Premesse: La malnutrizione ospedaliera è una condizione morbosa che, dalla letteratura internazionale, risulta avere una prevalenza del 40%. È dimostrato che la malnutrizione riduca la risposta immunitaria aumentando la probabilità di insorgenza di infezioni ospedaliere, ritardi la cicatrizzazione delle ulcere da decubito, comprometta la funzione di organi ed apparati, riduca massa e forza muscolare, induca depressione e scarso interesse per il cibo. Tutto ciò comporta una maggiore richiesta di cure e una più prolungata degenza con conseguente aumento dei costi. Obiettivi: Valutazione dello stato nutrizionale dei pazienti ricoverati presso l’IRCCS di Firenze della Fondazione Don Gnocchi. Metodi: La valutazione dello stato nutrizionale, al ricovero e alla dimissione, è stata eseguita tramite il MUST (Malnutrition Universal Screening Tool), in circa il 40% dei pazienti ricoverati nelle UO: cardiologica, pneumologica, neurologica, ortopedica, delle algie vertebrali e delle gravi cerebro lesioni acquisite. Dal 2012 ad oggi hanno dato il consenso solo 347 pazienti (165M e 182F; età media 73 + 11,7 anni) che sono oggetto di questo studio. Risultati: Al ricovero il 26% (n=89) dei pazienti era malnutrito (MUST >2), il 22% (n=79) a rischio di malnutrizione (MUST =1) ed il 52% (n=179) risulta non aver nessun rischio (MUST =0). Alla dimissione la percentuale di pazienti malnutriti e a rischio di malnutrizione era complessivamente del 46% (MUST >1). Conclusioni: La prevalenza di malnutrizione e di rischio di malnutrizione nella nostra struttura risulta in linea con la letteratura e alla dimissione permane ancora un tasso di malnutrizione troppo elevato. Da questi dati si evince che l’adozione sistematica di uno screening nutrizionale, con la supervisione e il supporto di operatori sanitari competenti in materia potrebbe consentire l’adozione tempestiva di interventi preventivi e terapeutici mirati al miglioramento dello stato nutrizionale dei pazienti, anche con un vantaggio per l’azienda in termini economici. Si ringrazia l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze per il contributo concesso per la realizzazione di questo progetto.

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P07. Pivotal assessment of the effects of bioactives on health and wellbeing. From human genoma to industry (PATHWAY-27)

A. BORDONI* ON BEHALF OF THE PATHWAY-27 CONSORTIUM *Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari – Università di Bologna (IT) Premessa: PATHWAY -27 è un progetto finanziato dalla EU nell’ambito del 7FP. Il Consorzio di PATHWAY-27 è coordinato dall’Università di Bologna (IT) e comprende 25 partner EU ed un paese candidato (Turchia). Sono presenti diversi tipi di organizzazioni: università, centri di ricerca, piccole-medie imprese. Obiettivi: L’ obiettivo generale di PATHWAY-27 è l’utilizzo di composti bioattivi come ingredienti di alimenti che, all’interno della dieta comune, possano avere un effetto positivo sulla salute ed il benessere. PATHWAY-27 usa tre composti modello (acido docosaesaenoico - DHA, beta-glucani - BG, e antocianine - AC) e tre matrici alimentari modello (prodotti da forno, lattiero-caseari e a base di uova) per arrivare a conclusioni che potranno essere applicate anche ad altri bioattivi ed altre matrici. L’ obiettivo scientifico di PATHWAY-27 è la maggiore comprensione dei potenziali benefici e del meccanismo di azione dei componenti bioattivi selezionati, considerati come ingredienti di alimenti arricchiti (bioactive enriched food, BEF), nella prevenzione della sindrome metabolica (MS). L’ obiettivo tecnologico di PATHWAY-27 è lo sviluppo ed il miglioramento di formulazioni per la produzione di alimenti arricchiti il cui effetto sia scientificamente dimostrato. Metodi: Le attività sono divise in 8 pacchi di lavoro (WP). WP1: Management e coordinamento; WP2: Formulazione e produzione dei BEF; WP3: Comprensione del meccanismo di azione dei tre bioattivi attraverso studi in vitro; WP4: Estrazione e purificazione da fonti alimentari dei bioattivi selezionati, e loro uso per la produzione di BEF; WP5: Svolgimento degli studi pilota e del successivo studio di intervento; WP6: Identificazione, grazie all’utilizzo di tecniche “omiche”, dei meccanismi alla base dell’effetto in vivo, e selezione di nuovi marker biologici; WP7: Preparazione, pubblicazione ed implementazione di linee guida; WP8: Disseminazione e trasferimento tecnologico. Risultati attesi:

Aumento delle conoscenze sulla biodisponibilità, bioattività, sinergismo e meccanismo di azione dei componenti bioattivi quando consumati come parte integrante di alimenti.

Linee guida e best practice per disegnare e svolgere studi di intervento.

Miglioramento della formulazione di alimenti arricchiti aventi effetti positivi scientificamente dimostrati.

Incremento del potenziale innovativo e della competitività delle piccole e medie industrie.

Supporto all’implementazione della legislazione europea inerente i claim nutrizionali e salutistici.

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P08. DHA, Genisteina e Sulforafano: bioattivi anti-obesità

V. VALLI1, K. HEILMANN

2, C. GERHÄUSER2, A. BORDONI

1 1Departimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari, Università di Bologna, Italy;

2German Cancer Research Center

(DKFZ), Division Epigenomics and Cancer Risk Factors, Heidelberg, Germany Premesse: L’obesità, causata da un cronico bilancio energetico positivo legato ad un introito calorico eccessivo rispetto al dispendio, rappresenta un importante problema sanitario nella maggior parte dei paesi industrializzati poiché è fattore di rischio di numerose patologie croniche tra cui malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. Nell’obesità si osserva una disfunzione del tessuto adiposo, con ipertrofia, iperplasia, ed alterata funzionalità degli adipociti [1]. Evidenziare fattori dietetici in grado di intervenire nella generazione di nuove cellule lipidiche mature potrebbe rappresentare una nuova strategia nutrizionale per prevenire l’obesità. Obiettivi: L’obiettivo di questo studio è valutare l’attività anti-adipogenica di alcuni composti bioattivi degli alimenti quali acido docosaesaenoico (DHA), genisteina (GEN) e sulforafano (SFN). Metodi: Cellule della linea 3T3-L1 sono state supplementate, durante il differenziamento, con DHA, GEN e SFN a tre diverse concentrazioni (10, 25, 50 µM). Per valutare l'efficacia inibitoria dei diversi bioattivi, sono stati valutati il contenuto lipidico e l’espressione di alcuni fattori di trascrizione (PPARγ, C/EBPα) e geni (GLUT4), di solito altamente espressi in adipociti maturi. Risultati: Tutti i composti selezionati hanno determinato una riduzione dose-dipendente del contenuto lipidico e, GEN e SFN in particolare, una diminuzione nell’espressione di PPARγ, C/EBPα e GLUT4. Conclusioni: I nostri risultati, in accordo con quelli di Kim et al. [2], Zhang et al. [3] e Choi et al. [4] mostrano chiaramente come questi composti possano giocare un ruolo chiave nel controllo dell’adipogenesi agendo sull’espressione di determinati geni e fattori di trascrizione. Nonostante questi dati siano da considerarsi preliminari poiché non paragonabili agli effetti in vivo sull’uomo, che dipendono anche da biodisponibilità e metabolismo, rappresentano il primo passo per la ricerca di composti dietetici naturali che prevengano l’obesità. Questo studio è stato in parte finanziato da Optima srl (Rimini – IT).

Bibliografia Ntambi e Kim J. Nutr. 2000, 130:3122S-3126S Kim et al. J. Nutr. 2006, 136:2965-2969 Zhang et al. Phytother. Res. 2009, 23:713 -718 Choi et al. Obesity 2012, 20:1365-1371

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 51

P09. Stili di vita e abitudini alimentari delle adolescenti italiane attraverso i dati dell’indagine “Folati mattoni per la vita!”.

P. BUONOCORE, A. AGUZZI E S. RUGGERI Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (CRA-NUT), Roma. Premesse: “Folati: mattoni per la vita!” è un programma di educazione nutrizionale promosso dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS), dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) e dalla Rete integrata dei SIAN (SIANET) rivolto agli studenti delle scuole superiori italiane. Al progetto, iniziato nel 2007, hanno aderito 1265 ragazzi di fascia di età tra 14-19 anni. Obiettivi: L’obiettivo di questo lavoro è valutare gli stili di vita e le abitudini alimentari delle adolescenti italiane, focalizzando l’attenzione sui livelli di assunzione dei folati, al fine di poter pianificare interventi di educazione nutrizionale mirati per questo gruppo di popolazione. Metodi: L’indagine ha previsto la somministrazione di questionari di valutazione degli stili di vita e dei consumi alimentari. Nell’ambito del programma sono stati organizzati: lezioni con esperti, gruppi di studio per l’approfondimento dei temi riguardanti corrette abitudini alimentari, stili di vita, importanza dei folati e acido folico. L’aumento delle conoscenze sulle tematiche trattate è stato valutato attraverso la somministrazione di questionari pre e post test. Risultati: Il 51% delle 636 adolescenti (età media 17 anni; BMI 21,2) non pratica nessuna attività fisica e l’11% la pratica una sola volta a settimana, al di sotto delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Circa il 24% ha dichiarato di essere fumatrice. Dall’analisi dei dati nutrizionali risulta che il numero giornaliero di porzioni medie consumate di frutta è di 1,1 mentre di ortaggi e verdura di 0,7, poco rispetto alle raccomandazioni che indicano almeno 5 porzioni al giorno. Scarso il consumo di legumi, appena 0,3 porzioni al giorno, solo il 13% consuma almeno 3 porzioni a settimana come raccomandato. L’assunzione giornaliera di folati proveniente dagli alimenti maggiormente consumati tra frutta, verdura, legumi e cereali è pari a 213 microgrammi. Conclusioni: Da questa analisi emerge che è necessario promuovere corrette abitudini alimentari e sani stili di vita tra le adolescenti italiane. Il gruppo esaminato pratica poca attività fisica, fuma e consuma poche porzioni di alimenti “nutrient dense” come frutta, verdura e legumi. Il progetto sarà riproposto in nuova veste di contenuti e grafica e utilizzando come strumento di raccolta dati i Social Network Sites.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 52

P10. Bioaccumulation of Resveratrol Metabolites in Myocardial Tissue is Dose-Time Dependent and Related to Cardiac Hemodynamics in Diabetic Rats L. CALANI

1,4,§, L. BRESCIANI 1,4,§, L. BOCCHI

2,§, F. DELUCCHI 2, M. SAVI

2, S. RAY 3, F. BRIGHENTI

1, D. STILLI 2, D.

DEL RIO1,4

1 The φ

2 Laboratory of Phytochemicals in Physiology, Human Nutrition Unit, Department of Food Science, University of

Parma, Parma, Italy; 2 Department of Life Sciences, University of Parma, Parma, Italy;

3 Cambridge University Hospitals

and School of Clinical Medicine, Cambridge, UK; 4 LS9 Bioactives and Health, Interlab Group, Department of Food Science, University of Parma, Parma, Italy. § These authors equally contributed to this work.

Background: Trans-Resveratrol (RSV) is a natural compound occurring in different food plants, which in vivo is rapidly conjugated with glucuronic acid and sulfate. Despite its demonstrated cardioprotective activity, the bioaccumulation of RSV or its metabolites in cardiac tissue is still unknown. Aim: In the present study we evaluated for the first time the distribution of RSV and its active metabolites in myocardial tissue after short and medium-term treatments at different low doses, in type-1 diabetic rats. Dose-time dependent effects of RSV administration on glycaemia and hemodynamic parameters have also been assessed. Methods: Diabetes was induced in 65 rats by a single intra-peritoneal injection of STZ (60 mg/kg), while 8 control rats (C group) were injected with vehicle (0.9% NaCl). Diabetic rodents were either untreated (n=24, D group) or treated with two different low doses of RSV: 1 mg/kg/day and 5 mg/kg/day for 1 week (D1_R1 group, n=7, and D1_R5 n=6), 3 weeks (D3_R1 group, n=7, and D3_R5 n=7), or 6 weeks (D6_R1, n=7; D6_R5, n=7). Results: A dose and time-dependent accumulation was observed, with no detectable levels of RSV metabolites found in heart tissues after 1 week and significant concentrations of RSV-3-sulfate and RSV-3-glucuronide after 6 weeks of treatment (0.05 nmol/g of tissue and 0.01 nmol/g of tissue, respectively). Tissue accumulation of RSV metabolites was accompanied by an improvement of cardiac function in long-term diabetes, when myocardial morpho-functional damage is more evident, with an almost complete recovery of all hemodynamic functions, at the highest RSV dose. Conclusion: The current investigation provides data on myocardial tissue concentrations of RSV metabolites, after short/medium term RSV treatment. This knowledge constitutes a basic requirement for future studies aimed at reliably defining the molecular pathways underlying RSV-mediated cardioprotective effects and opens up new perspectives for research focused on testing phenolic compounds as adjuvants in heart diseases. It must be also pointed out that, even if a higher concentration of RSV in tissues cannot be ruled out after constant oral administration, an accumulation coherent with what is usually evaluated in cell based mechanistic studies is largely unattainable, and the RSV unconjugated form would not be present in this paradigm.

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P11. Valutazione delle abitudini alimentari in soggetti con anoressia nervosa restrittiva ed in una popolazione di controllo: confronto con le raccomandazioni LARN 2012.

C. CHIURAZZI, C. DE CAPRIO, E. DE FILIPPO, S. EUFEMIA, M.L. DI GUGLIELMO, R. SAMMARCO, F. FIERRO, M. MARRA, F. CONTALDO, F. PASANISI CISRO, Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Premesse: L’anoressia nervosa restrittiva (ANr) è una forma primaria di malnutrizione proteico-energetica secondaria ad un’eccessiva restrizione dell’introito calorico giornaliero. Obiettivo: Valutare le abitudini alimentari in un gruppo di pazienti con ANr, in un gruppo di controllo e confrontarle con le raccomandazioni LARN 2012.

Metodi: Sono state reclutate 37 donne (19 ANr e 18 controlli) di età 17-27 anni con peso 38.3 3.1 e 55.05.4 kg e

IMC di 151.1 e 21.72.6 kg/m2 rispettivamente. Le abitudini alimentari sono state valutate tramite Diario alimentare di 7 giorni. Risultati: Dal confronto, tra ANr e controlli, risulta che le ANr hanno un introito minore di: glucidi totali (127±40 vs 220±23 g) e solubili (48.5±18.8 vs 67±12.3 g), proteine (50.5±15 vs 68.2±10.2g), lipidi (24.5±11.3 vs 61.9±13.8 g), grassi saturi (5.7 ±3.3 vs , 17.4±4.9g), monoinsaturi (9.7±6.1 vs 31.5±7.6g) e polinsaturi (2.6± 1.3 vs 6.7±1.4g), ferro (7.5±2.7 vs 9.8±2.4 mg), calcio (403± 160 vs 52± 179.5 mg), sodio (686 ±347 vs 1591 ±306 mg), potassio (1738±681 vs 2309 ± 418 mg), fosforo (709 ±207 vs 995±190 mg), zinco (4.9± 2.7 vs 7.9±1.5 mg), acido folico (89±68 vs 286 ± 86.7 mcg), niacina (9.4±3.5 vs 15.4 ±6.1mg), tiamina (0.6±0.2 vs 0.9±0.1 mg), piridossina (0.5±0.4 vs 1.7±0.7 mg), vitD (0.8 ±1.0 vs 2.2± 1.1mcg) e vitE (3.4±2.7 vs 11.4±4.2mg). L’introito di iodio è invece minore nei controlli (123±94.2 vs 68.6±3.7 mcg). Dal confronto con i LARN, il gruppo ANr risulta avere un’assunzione minore di: glucidi, lipidi, vitamina E, vitamina D, acido folico, niacina, tiamina e piridossina; solo fosforo e rame e iodio rientrano nei range raccomandati. L’intake di fibre e di ferro è più basso delle raccomandazioni in entrambe i gruppi. L’apporto proteico supera le raccomandazioni in entrambe i gruppi. Il gruppo dei controlli risulta avere un’assunzione di lipidi totali più alta e vitamina D, calcio, potassio e iodio non raggiungono i livelli raccomandati. Conclusioni: Lo studio evidenzia che le pazienti affette da ANr seguono una dieta ipolipidica e iperproteica con deficit di alcuni sali minerali e vitamine, mentre il gruppo di controllo segue una dieta iperlipidica e iperproteica con deficit principalmente di sali minerali.

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P12. Valutazione delle abitudini alimentari in una popolazione sana: confronto con le

raccomandazioni LARN 2012.

C. CHIURAZZI, C. DE CAPRIO, E. DE FILIPPO, S. EUFEMIA, M.L. DI GUGLIELMO, R. SAMMARCO, F. VITALE, M. MARRA, F. CONTALDO, F. PASANISI CISRO. Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Premesse: Nella società odierna gran parte della popolazione, per diversi motivi (attività lavorative, scolastiche etc..) ha sempre meno tempo a disposizione per i pasti e molto spesso ha necessità di dover pranzare fuori casa. Obiettivo: Obiettivo dello studio è quello di confrontare le abitudini alimentari di un campione di studentesse universitarie con le raccomandazioni LARN 2012 al fine di verificare se vengono raggiunti i quantitativi adeguati di macro e micronutrienti.

Metodi: Sono state reclutate 18 donne di età compresa tra i 18 e i 25 anni con Peso 555.4 kg e IMC pari a 21.7 2.6 kg/m². Le abitudini alimentari delle partecipanti sono state valutate tramite Diario alimentare di 7 giorni. I valori dei LARN sono riferiti a soggetti con caratteristiche uguali alla popolazione in esame ed è stato preso il valore medio di rifermimento (AR) che copre i fabbisogni del 50% della popolazione. Risultati: Dal confronto fatto tra la composizione della dieta dei soggetti in esame con i LARN 2012, risulta che la popolazione esaminata ha un’alimentazione leggermente ipocalorica ma non significativamente diversa rispetto ai

fabbisogni, ricca di glucidi solubili (67 12.3 vs 49.7 g) e iperproteica (pt/kg: 1.2 0.1 vs 0.71 g/kg; pt: 68.2 ± 10.2 vs

40.10 g); risulta invece carente in polinsaturi (6.7 1.4 vs 11.30 g) e in fibra (18.3 4 vs 30 g). Per quanto riguarda i

micronutrienti, si riscontra carenza nell’assunzione di calcio (521.7 179.5 vs 800 mg), potassio (2309.8 ± 418.5 vs

3900 mg), vitamina D (2.2 1 vs 10 mcg) e iodio (68.6 33.7 vs 150 mcg). Conclusioni: Questo studio ha evidenziato che i soggetti con un adeguato peso corporeo hanno in realtà un’alimentazione che eccede molto spesso i quantitativi raccomandati di macronutrienti e risulta invece carente per alcuni micronutrienti. Ciò deve indurci a riflettere sul fatto che la gran parte della popolazione non è abbastanza educata a corrette scelte alimentari.

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P13. Bioaccessibilità di vitamine e composti fenolici di un pane arricchito con aleurone

M. DALL’ASTA1, F. SCAZZINA

1, L. CALANI1, L. BRESCIANI

1, C. MELEGARI2, D. DEL RIO

1 E F. BRIGHENTI

1

1Unità di Nutrizione Umana, Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Parma;

2 Barilla G. e R. F.lli

Premesse: L’aleurone della cariosside del frumento è uno strato monocellulare, localizzato esternamente all’endosperma, che viene rimosso durante il processo di raffinazione perché strettamente legato alle frazioni cruscali. La sua funzione biologica è di riserva di macro, micronutrienti e fitocomposti e per questo, dal punto di vista nutrizionale, rappresenta una ricca fonte, oltre che di proteine, lipidi e fibra, anche di minerali, vitamine e composti fenolici. Il pane è uno degli alimenti principali della dieta e l’aggiunta di frazioni contenenti lo strato aleuronico, in alternativa alla crusca, può rappresentare una buona strategia per arricchirlo nutrizionalmente, pur mantenendo le caratteristiche organolettiche e strutturali di un pane bianco. Obiettivi: Lo scopo dello studio è stato quello di valutare la bioaccessibilità in vitro di tiamina, acido nicotinico e acidi fenolici di un pane ottenuto da farina di grano tenero arricchita con frazione aleuronica da grano duro. Il controllo utilizzato è stato un pane integrale simile al pane sperimentale per caratteristiche, forma, composizione e tecnologia produttiva. Metodi: La digestione in vitro dei campioni è stata realizzata mediante modulazioni di pH e attacchi enzimatici specifici per ogni tratto digestivo (saliva umana per la fase orale, pepsina suina per la fase gastrica e pancreatina da pancreas suino per la fase intestinale). L’analisi qualitativa e quantitativa degli acidi fenolici e delle vitamine è stata effettuata mediante UHPLC-MS. Risultati: Il pane integrale (controllo) è risultato, inizialmente, più ricco sia in acidi fenolici che vitamine. Dai dati ottenuti in seguito a digestione in vitro, invece, le vitamine e i composti fenolici del pane arricchito con aleurone sono risultati maggiormente bioaccessibili rispetto al controllo. Questo dato può dipendere dalla differente struttura dall’aleurone rispetto alle frazioni cruscali e, in particolare, dalla maggior presenza di proteine e dalle differenti tipologie di fibra presenti, che rendono questi composti maggiormente accessibili all’idrolisi enzimatica. Conclusioni: In conclusione, è possibile ipotizzare che, il consumo in vivo del pane arricchito con aleurone analizzato in questo studio possa contribuire positivamente all’apporto di vitamine e composti fenolici. Studi più approfonditi saranno necessari per chiarire se il processo fermentativo della microflora del colon possa ulteriormente incrementare la bioaccessibilità di questi composti.

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P14. Potenziale bioattività di sottoprodotti dell’industria cerealicola per la produzione di nuovi alimenti

V. VALLI1, F. DANESI

1, J. ROBERTSON2, K. WALDRON

2, F. FAVA3, L. VANNINI

1, A. BORDONI1

1Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna (Italy); 2Institute of Food Research (IFR), Norwich (UK); 3Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna (Italy) Premesse: I sottoprodotti della molitura dei cereali, tradizionalmente avviati all’uso zootecnico, sono fonti potenziali di componenti salutistici come fitochimici e antiossidanti, considerati responsabili dei benefici associati al consumo di cereali integrali [1]. Tuttavia sono matrici che possono avere limiti di applicabilità nella formulazione di nuovi alimenti e solo recentemente diversi studi hanno dimostrato la possibilità di utilizzare scarti e sottoprodotti dell’industria frutticola e cerealicola in preparazioni alimentari [2, 3]. Obiettivo: Lo scopo dello studio è stato valutare e confrontare le caratteristiche funzionali di prodotti ottenuti a varie fasi del processo di macinazione di grano duro e grano tenero. Metodi: I campioni sono stati caratterizzati in termini di contenuto e composizione in fibra e poi sottoposti a trattamento enzimatico mediante l’enzima xilanase al fine di rompere gli arabinoxilani e rilasciare componenti bioattivi quali i feruloil arabino xilo-oligosaccaridi. La capacità antiossidante totale (TAC) di estratti acquosi ed etanolici derivati sia dai campioni tal quali sia dalle frazioni oligosaccaridiche è stata valutata mediante il saggio dell’ABTS. Risultati: Il contenuto totale di fibra è risultato variabile e dipendente dalla proporzione di amido presente nei campioni. I polisaccaridi non amidacei (NSP) sono stati individuati come principali componenti della fibra, mentre arabinoxilani e cellulosa sono risultati essere i maggiori costituenti degli NSP. La TAC è risultata diversa nei vari sottoprodotti di macinazione. In generale la frazione acquosa contribuisce maggiormente nella determinazione della TAC rispetto all’estratto etanolico. Conclusione: I componenti antiossidanti della crusca sono principalmente idrosolubili; le frazioni ottenute nelle varie fasi del processo di macinazione mostrano attività differenti. I sottoprodotti ottenuti dalla molitura di grano duro e tenero possono entrambi essere utilizzati per produrre ingredienti con attività antiossidante ed essere quindi impiegati nella formulazione di nuovi alimenti con proprietà salutistiche. Questa ricerca è stata finanziata nell’ambito del 7° Programma Quadro della Comunità Europea (FP7/2007-2013), progetto NAMASTE, grant agreement n. 227118.

Bibliografia Minn B et al. J. Agric. Food Chem. 2011, 76:C117-C126 Sidhu JS et al. Food Chem. 1999, 67:365-371. Ajila CM et al. J. Cereal Sci. 2008, 48:319-326.

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P15. Abitudini alimentari di bambini dai sei ai trentasei mesi del Nord e Sud Italia: lo studio trasversale Nutriintake 636 GV. ZUCCOTTI

1, C. CASSATELLA,2 A. MORELLI3, MC. CUCUGLIATO

4, G.CATINELLO4, V. DEL BALZO5, L. GUIDARELLI

6, C. AGOSTONI

1, E. TROIANO7, G. BEDOGNI

8 1. Dip. Pediatria, Università di Milano; 2. ASL Milano; 3. Ospedale San Carlo, Paderno Dugnano (MI); 4 ANDID Catania; 5. Dip. Medicina Sperimentale Sapienza Università di Roma; 6. Dip. Di Nutrizione, Ministero della Salute; 7. ANDID Roma; 8. International Center for the assessment of Nutritional Status, Università di Milano Nutrintake 636(NI636) è uno studio trasversale condotto sulle abitudini alimentari di bambini dai 6 ai 36 mesi, con lo scopo di valutare l’intake di energia, macronutrienti, fibra, Na e Fe dal momento dello svezzamento. E’ stato selezionato un campione di convenienza (generato dalla simulazione Monte Carlo) di oltre 400 bambini , presso i pediatri di base di Milano e Catania, di età, 6,9,12,24,36 mesi. L’unico criterio di inclusione è stata una buona conoscenza della lingua italiana mentre il criterio di esclusione è stata la presenza di patologie in fase acuta e di malattie capaci di compromettere la normale alimentazione. Le misure antropometriche rilevate sono il peso e la lunghezza, per i bambini ≥24 mesi l’altezza. Il consumo di alimenti è stato rilevato facendo compilare alle mamme un diario alimentare per 7 giorni sia qualitativo che quantitativo. Per la valutazione nutrizionale è stato utilizzato il database dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), “Database di Composizione degli alimenti per gli studi epidemiologici italiani” ed un data base allestito allo scopo, contenente tutti i baby foods presenti sul mercato. L’analisi statistica comprende un modello di regressione multivariabile per valutare differenze di comportamento per città, sesso ed età. L’analisi statistica è stata condotta utilizzando STATA MP 13.0. L’indagine è stata condotta da settembre 2012 a febbraio 2013 e sono stati arruolati 391 dei 400 pianificati,189 a Milano e 201 a Catania, ugualmente distribuiti per fascia di età e sesso. Dai risultati si evince che fino a 12 mesi il 50% dei bambini assume il doppio di proteine rispetto al fabbisogno raccomandato (LARN, 2012) mentre, nelle altre fasce di età l’apporto diventa di ben 3 volte superiore. L’apporto di Fe è al di sotto del fabbisogno soprattutto per i bambini di Milano che al contrario di quelli di Catania hanno un apporto maggiore di fibra. Eccessivo risulta sia l’apporto di carboidrati semplici che di Na. Non si osservano differenze significative nell’antropometria e nell’apporto di energia tra Nord e Sud Italia. Lo studio NI636, evidenziando gli squilibri nutrizionali nella prima infanzia, può consentire interventi di prevenzione nel bambino e nel futuro adulto per un corretto stile di vita.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 58

P16. LARN e età evolutiva: come renderne efficace l'applicazione nella Ristorazione Scolastica

RAFFAELE DELL'ACQUA, ELISABETTA CISERCHIA, EDOARDO VENTURINI, AUGUSTA ALBERTINI, PAOLA DI PIETRO Sodexo Italia S.p.A., - Comitato Scientifico Sodexo La gestione informatizzata degli acquisti consente a Sodexo di disporre di dati analitici per tutte le tipologie di alimenti utilizzati. L’Osservatorio Sodexo dei consumi alimentari, permette analisi differenziate sia a livello micro (singolo ristorante) che a livello macro (i dati nazionali). I menu delle scuole, sono da sempre elaborati o validati dalle autorità sanitarie e i dati dell'Osservatorio Sodexo dei consumi alimentari confermano il fatto che sono davvero ben equilibrati dal punto di vista nutrizionale. I dati di acquisto non sono però direttamente interpretabili, per le scuole, come dati di consumo. Per questo Sodexo integra questi dati con quelli provenienti dall’IQP (indagine di qualità percepita) effettuata ogni anno presso i propri piccoli commensali per valutare - tra le altre cose - il gradimento dei piatti proposti. I risultati relativi agli ultimi anni scolastici, confermano la “conflittualità alimentare” tra Piacere e Salute, in relazione ad alcuni cibi "difficili" (verdura, frutta e legumi) ma evidenziano qualche sorpresa in relazione alle fasce d’età e offrono utili e concreti suggerimenti per l’elaborazione dei menu. La scuola è un luogo speciale dove la promozione della salute è molto più che educazione e la mensa un laboratorio dove si sviluppano competenze per fare buone scelte e si acquisisce empowerment su comportamenti protettivi. In particolare nelle Scuole dell’Infanzia e nelle Scuole Primarie, il nostro progetto di Educazione Alimentare propone delle attività che vanno ad integrarsi nella routine didattica, offrendo strumenti e stimoli a tutti i soggetti che interagiscono nel processo educativo. Si evidenzia come i bambini, accompagnati nella conoscenza diretta e ludica di gusti nuovi, apprezzano e consumano cibi poco graditi spesso anche in famiglia.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 59

P17. Valutazione delle proprietà nutrizionali di piadine arricchite in selenio dopo digestione in vitro.

M. DI NUNZIO1, M. BALDISSARRI

2, F. MISSIROLI2, A. GIANOTTI

1, A. BORDONI1,2

1Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Agroalimentare, Università di Bologna; 2 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna Premessa: Il selenio (Se) è un elemento traccia essenziale per la nutrizione umana in quanto è componente di enzimi coinvolti nella protezione dal danno ossidativo. La biodisponibilità del Se, e quindi la sua attività biologica, è dipendente dalla forma chimica in cui è introdotto con gli alimenti, ed è maggiore per la forma organica rispetto all'inorganica. Il PRI per il Se nella popolazione italiana è stimato pari a 55-70 μg/giorno (LARN 2012), ma in varie regioni del mondo il contenuto nella dieta è insufficiente. Per tale motivo sono stati posti sul mercato alimenti arricchiti in Se. Obiettivo: valutare il possibile ruolo dell’interazione tra matrice alimentare e biodisponibilità del Se. Allo scopo è stata determinata l’efficacia di un pane non lievitato tipico della costa dell’Emilia-Romagna (piadina) come vettore di Se biodisponibile. Metodi: Le differenti piadine sono state ottenute utilizzando delle farine controllo oppure arricchite con sodio selenito. In alcuni tipi di preparazioni l’impasto, ottenuto con o senza l’arricchimento di Se, è stato fermentato utilizzando una madre acida (sourdough) costituita da batteri lattici, che è ipotizzato possano favorire l’organicazione del Se. Le piadine sono state digerite tramite un sistema in vitro, ed il digerito è stato ultrafiltrato per separare le molecole con massa molare inferiore a 3kDa, teoricamente disponibili all’assorbimento. I campioni ottenuti sono stati supplementati a una linea di cellule epatiche in coltura, di cui è stata quindi valutata la risposta ad uno stress ossidativo esogeno. Risultati: L’attivazione dei seleno-enzimi antiossidanti e la protezione dallo stress ossidativo è apparsa correlata alla concentrazione di Se nel digerito, e quindi dall’arricchimento delle piadine. La fermentazione acida è invece apparsa ininfluente. Conclusioni: Anche se i risultati ottenuti nelle colture cellulari non possono essere confrontati nell’uomo, i nostri risultati dovrebbero essere presi in considerazione nella formulazione di alimenti arricchiti in Se, che potrebbero rappresentare una promettente strategia dietetica contro le patologie relazionate alla deficienza di questo minerale. Questo studio è parte del progetto spinner Selenium Biotec 2 del dr. Mattia Baldissarri e dott.ssa Fabiana Missiroli, supervisionato dal dott. Andrea Gianotti e dalla dott.ssa Alessandra Bordoni.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 60

P18. Validazione della versione italiana del questionario di Laval per la misura della qualità di vita nei soggetti obesi

L. DI LAZZARO, C. MAROCCO, E. POGGIOGALLE, G. POLIDORO, L.M. DONINI Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione ed Endocrinologia Premesse: L’obesità è una condizione clinica associata ad un eccesso di tessuto adiposo, rappresenta un importante problema di salute pubblica ed è connessa a un aumento della comorbosità e della mortalità. Inoltre, l’obesità si associa ad una riduzione del benessere psicologico e della qualità di vita (QdV). Obiettivo: Il presente studio si pone lo scopo di validare la versione italiana del questionario di Laval

sulla QdV nei

soggetti obesi. Metodi: Il questionario di Laval (Therrien F et al: Health Quat Life Outcomes, 2011) è costituito da 44 item suddivisi in 7 domini (sintomi, attività/mobilità, igiene personale/abbigliamento, emozioni, interazioni sociali, vita sessuale). Le traduzioni, dalla versione originale in lingua francese all’italiano e viversa, sono state effettuate da un medico bilingue del nostro Dipartimento. Allo studio hanno partecipato 126 soggetti (IMC > 29.9 Kg/m2) a cui sono stati somministrati la versione italiana del questionario di Laval e l’O.R.Well-97 (Mannucci E et al: Addictive Behavior, 1999). Per verificare la validità della versione italiana del questionario di Laval, sono state calcolate le correlazioni statistiche tra quest’ultimo e l’O.R.Well-97 (già validato nella popolazione italiana per la valutazione della QdV di soggetti obesi) ed è stata valutata in tutti i soggetti l’affidabilità del test (procedura test-retest). Risultati: gli score ottenuti al Questionario di Laval e all’O.R.Well-97 hanno presentato una correlazione altamente significativa sia per quanto riguarda i punteggi totali (r di Pearson = -0.71; p < 0.01) sia nel confronto tra i diversi domini dei due test (p < 0.01). La versione italiana del Questionario di Laval ha dimostrato la sua affidabilià al test-retest confermando i risultati ottenuti alla prima somministrazione, sia per il punteggio totale sia per ogni singolo dominio. Conclusioni: Il questionario di Laval si è dimostrato un test valido e affidabile, anche nella versione italiana, per stimare la QdV correlata allo stato di salute nei pazienti obesi.

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P19. Dyslipidemia and obesity in Naples female population

G. NASTI, T. MASTANTUONO, M. DI MARO, A. RUSSO, R. PALUMBO, R. CHIAPPETTI, F. ARIEMMA, M.R. COPPOLA, A. COLANTUONI Department of Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy. Aim: Dyslipidemia is associated with an increased risk of cardio-cerebrovascular events in obese people. Phyto-substances have been suggested to decrease cholesterol and triglyceride serum levels. This study was aimed to evaluate the effects of dietary phyto-substance supplement on dyslipidemia in obese females. Methods: 40 females, affected by dyslipidemia, were recruited from Outpatient Clinics and divided in two groups: the first group (n= 20) was treated with hypolipidic diet, while the second group (n= 20) was treated with hypolipidic diet plus phyto-substance supplement containing omega-3, policosanols, resveratrol, L-carnitine, monascus purpureus, coenzyme Q10, B6 and B12 vitamins. The treatment lasted 3 months. Anthropometric parameters were evaluated before and after treatment: body mass index (BMI), waist circumference (WC), hip circumference (HC), triceps skinfold (TS). Bioimpedance analysis was performed. Moreover, total and low-density lipoprotein (LDL) cholesterol and triglycerides (TG) were measured. Results: The first group showed a significant reduction in all anthropometric parameters [BMI (33,64±1,66 vs 35,76±1,81 kg/m

2 baseline), WC (100,24±3,12 vs 103,57±3,04 cm), HC (110,20±2,83 vs 112,76±2,80 cm), TS

(26,40±1,34 vs 28,61±1,33 mm)] and in Fat Mass (32,38±2,44 vs 35,90±2,64 kg and 41,06±1,62 vs 42,95±1,49 %). Similarly, the second group showed a significant reduction in BMI (31,90±1,68 vs 33,20±1,92 kg/m2), WC (95,43±3,70 vs 99,07±3,96 cm), HC (107,30±3,23 vs 109,73±3,18 cm), TS (24,80±2,05 vs 27,20±2,01 mm) and Fat Mass (29,93±3,23 vs 32,07±3,39 kg and 38,81±1,94 vs 40,13±1,75 %). Moreover, in the second group there was a significant increase in percentage Fat Free Mass (61,19±1,94 vs 59,87±1,75 %). After 3 months the first group showed a significant reduction in total (227,10±3,8 vs 243,55±4,68 mg/dl) and LDL cholesterol (142,00±4,31 vs 158,00±3,92 mg/dl). The second group revealed a major reduction in both total (208,07±6,27 vs 253,73±6,29 mg/dl) and LDL cholesterol (129,53±5,18 vs 166,49±4,79 mg/dl) compared with the previous group, plus a significant reduction in TG (125,33±16,74 vs 156,53±18,47 mg/dl). Conclusion: Hypolipidic diet and phyto-substance supplement are able to ameliorate dyslipidemia improving nutritional status and reducing cardio-cerebrovascular risk.

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P20. Drop-out in obesity treatment: predictable and preventable?

O. COLOMBO, C. FERRARIS, C. TRENTANI, S. VILLANI, A.TAGLIABUE Department of Public Health, Neuroscience, Experimental and Forensic Medicine, Pavia, Italy Introduction: Attrition is an important yet understudied issue in the failure of obesity treatment. To date the majority of studies reporting attrition rates and/or its predictors simply examine pre-treatment data routinely collected for other purposes (describing sample characteristics or evaluating weight loss outcomes). Aim: The aim of our study was to identify predictors of drop-out focusing on theoretically (e.g. psychopathological symptoms and dieting behavior) or empirically (e.g. poor early weight loss) grounded features. Methods: Pre-treatment (socio-demographic, nutritional, psychopathological) and treatment-related (weight loss at 1 month) variables were retrospectively selected and/or calculated from clinical chart of 98 obese (BMI ≥30 kg/m2) adult (36 males, 62 females) subjects who underwent a 6-months dietetic-behavioral weight loss treatment at the Human Nutrition Research Centre – University of Pavia, Italy; those variables were tested as potential predictors of dropout. Results: Drop-out rate was 21% at 1-month and 57% at 6-months. Subjects who abandoned treatment before its completion significantly differed from completers for: age at first dieting attempt (24.0±10.7 vs. 31.3±11.2 years, p=0.005), diastolic blood pressure (87.8±9.7 vs. 92.7±11.4 mmHg, p=0.022), body fat percentage (%BF) at skinfold thickness (38.5±6.4 vs. 41.2±4.4 %, p=0.015), referral (34.1% vs. 53.3% sent by a physician, p=0.036), SCL90-Anger-Hostility subscale (0.83±0.72 vs. 0.53±0.51, p=0.022) and early weight loss (-1.8±1.8% vs. -3.1±2.1%, p=0.035). Multivariate regression analysis found that %BF at skinfold thickness and SCL90-Anger-Hostility subscale were significantly related to increased odds of attrition (p=0.030 and p=0.021, respectively) in the “pre-treatment” model; in the “pre-treatment + treatment-related” model age at first dieting attempt and early weight loss were significantly related (p=0.016 and p=0.029, respectively). Conclusion: Our data confirm psychopathological tracts and early dieting attempts, as well as a poor initial treatment response, as significant predictors of drop-out.

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P21. Relazioni tra introito di nutrienti, obesità, infiammazione e terapia farmacologica dopo trapianto renale

R. GERMANÒ, I.D. MARESCA*, R. TRIO, A. MEMOLI*, M. COCO, M. CATALDI°, M.SABBATINI*, B. GUIDA Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Unità di Fisiologia e Nutrizione, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, *Dipartimento di Nefrologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, °Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Napoli “Federico II” Premesse: i soggetti sottoposti a trapianto renale rappresentano una popolazione ad alto rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari e nefropatia cronica del trapianto. Tra i fattori di rischio bisogna considerare il pattern infiammatorio sistemico caratteristico dello stato post trapianto e l’incremento ponderale favorito dalla terapia steroidea e dalla liberalizzazione della dieta. Risulta, quindi, fondamentale il ruolo di una corretta alimentazione dopo trapianto. Obiettivi: valutare l’introito calorico-proteico, lo stato nutrizionale e quello infiammatorio in una popolazione di pazienti dopo trapianto renale. Metodi: sono stati reclutati 96 pazienti sottoposti a trapianto renale e classificati in normopeso (NP), sovrappeso (SP) ed obesi (OB) in base al BMI. Per ogni paziente sono stati rilevati e valutati i dati antropometrici e bioumorali, è stato praticato esame bioimpedenziometrico (BIA) per la valutazione della composizione corporea ed è stata eseguita l’indagine alimentare per la stima degli introiti di nutrienti. Risultati: la popolazione esaminata risultava rappresentata da 52 pazienti NP (52%), 28 SP (29%) e 18 OB (19%). L’introito calorico era significativamente più elevato nei pazienti OB rispetto ai SP e NP. All’esame BIA i pazienti OB mostravano valori significativamente più elevati di massa grassa e massa magra e massa cellulare rispetto ai SP e NP, mentre non sono state riscontrate differenze significative dell’ ECW e del rapporto TBW/FFM. La popolazione OB presentava valori di hs-PCR e IL-6 significativamente maggiori rispetto ai SP e NP, e una più elevata prevalenza di pazienti OB risultava assumere terapia antidiabetica e ipolipemizzante Nella popolazione esaminata l’introito calorico-proteico, di grassi saturi e di sale risultava maggiore, mentre l’introito di fibra e di acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6 risultava minore rispetto ai livelli di assunzione raccomandati dalle linee guida. Conclusioni: La prevalenza di obesità risulta elevata dopo trapianto renale. L’introito di nutrienti si discosta da quanto raccomandato dalle linee guida per un più elevato introito di proteine, sodio e grassi saturi, e un ridotto introito di fibra e acidi grassi polinsaturi omega 3 e omega 6. Tale discrepanza dalle linee guida è associata con l’obesità, una condizione di infiammazione sistemica e l’assunzione di una polifarmacoterapia.

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P22. Effetto della somministrazione di probiotici e prebiotici sui livelli plasmatici di p-cresolo nel paziente affetto da insufficienza renale cronica

R.GERMANÒ, E. BUONANNO*, R. TRIO, M. COCO, M. CATALDI**, L. GRUMETTO°, B.GUIDA Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Unità di Fisiologia e Nutrizione, *Dipartimento di Nefrologia, , **Dipartimento di Neuroscienze, °Dipartimento di Chimica farmaceutica e tossicologica; Università degli Studi di Napoli “Federico II” Premesse: la digestione proteica a carico del microbiota intestinale determina produzione di acidi grassi a catena corta, indolo, fenolo, cresolo, H2S e NH3. Tali sostanze passando la barriera intestinale si accumulano nel plasma dei soggetti affetti da insufficienza renale cronica (IRC) contribuendo all’insorgenza della disfunzione endoteliale, morbilità e mortalità cardiovascolare. Obiettivi: ristabilire la fisiologica funzionalità intestinale e favorire un corretto sviluppo del microbiota intestinale mediante la somministrazione di simbiotici (combinazione di prebiotici e probiotici) per ridurre la produzione intestinale del p-cresolo. Metodi: sono stati arruolati 30 pazienti (17 maschi e 13 femmine) affetti da IRC (GFR 40-60 mL/min) e divisi in due gruppi: S (simbiotico) e P (placebo). Entrambi i gruppi erano a dieta libera. Al gruppo S è stata somministrata una bustina (5 g) di Probinul neutro® CadiGroup (Lactobacillus Plantarum 5mld, L. Gasseri 2 mld, L. Casei sub. Rhamnosus 2 mld, L. Salivarius 1 mld, L. Acidophilus 1 mld, L. Sporogenes 1 mld, Bifidobacterium Infantis 1 mld, B. Longum 1 mld, Streptococcus Termophilus 5 mld, FOS ed inulina 2,2 g, amido resistente 1,3 g) 3 volte/die per 30 giorni, al gruppo P una bustina (5 g) di placebo 3 volte/die per 30 giorni. In basale, dopo 15 e 30 giorni sono stati valutati i parametri bioumorali di routine, le concentrazioni plasmatiche di p-cresolo ed è stata eseguita la valutazione dello stato nutrizionale mediante anamnesi alimentare e valutazione antropometrica e della composizione corporea. Ogni paziente ha compilato ad ogni incontro la Bristol stool chart per la valutazione della funzione intestinale. Risultati: rispetto al basale i pazienti del gruppo S mostravano una significativa riduzione dei livelli plasmatici di p-cresolo dopo 15 e 30 giorni ed un significativo miglioramento della sintomatologia gastrointestinale intesa come riduzione dell’insorgenza di flatulenza e dolore addominale e come miglioramento della forma delle feci. Nessun cambiamento dei valori di p-cresolo è stato osservato nel gruppo P. Conclusioni: la somministrazione di simbiotici sembra essere un valido approccio per migliorare alcuni parametri della funzionalità intestinale e ridurre le concentrazioni plasmatiche di p-cresolo. Studi successivi potranno dimostrare l’importanza dell’utilizzo del simbiotico nel ridurre il rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare nell’IRC.

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P23. Le novità sull’aggiornamento del gruppo frutta della banca dati di composizione degli alimenti per studi epidemiologici in Italia

P. GNAGNARELLA1, A.M. MISOTTI

1, M. PARPINEL2, S. SALVINI

3, F. SANTAGIULIANA4, F. BARBONE

2, P. MAISONNEUVE

1 1 Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano;

2 Dipartimento di Scienze Mediche e

Biologiche, Università degli Studi di Udine; 3 Dietista, Libera Professionista, Fiesole (FI);

4 Dipartimento di Sanità

Pubblica U.O Promozione della salute, AUSL di Bologna, già Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica - ISPO, Firenze Premesse: La frutta è una fonte preziosa di vitamine e sali minerali ed un elemento importante di una dieta salutare.

La “Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia” (BDA - www.ieo.it/bda) presenta la categoria “Frutta” suddivisa in 5 gruppi: frutta fresca; cotta e conservata; secca e in guscio; farine; succhi e spremute. Obiettivi: Presentare la metodologia di aggiornamento della BDA e i dati descrittivi preliminari per questa categoria. Metodi: Per migliorare la produzione e la qualità dei dati, il processo di compilazione e gestione della BDA è stato recentemente revisionato secondo la metodologia indicata da EuroFIR (European Food Information Resource Network - www.eurofir.org). Il processo di aggiornamento è stato avviato a partire dai 94 alimenti pubblicati nel 1998, che sono stati controllati e poi completati con alcuni componenti inclusi nell’edizione 2008 (+ 7 minerali, +4 vitamine, +6 glucidi solubili, +18 aminoacidi e +14 acidi grassi), per un totale di 86 componenti (non includendo la parte edibile e l’Energia). L’aggiornamento prevede la possibilità di ampliare la lista degli alimenti per includere quelli più consumati in Italia. La principale fonte dei dati è il database ex-INRAN (CRA, Roma), a seguire altre fonti straniere. Per consultare ed utilizzare i dati provenienti da fonti straniere, viene utilizza l’applicazione eSearch di EuroFIR. Risultati: La categoria merceologica della frutta include ora 132 alimenti. Rispetto all’edizione 1998 sono state aggiunte 38 nuove voci (+29%): 18 nel gruppo “frutta fresca”, 4 nel gruppo “frutta cotta”, 14 nel gruppo “frutta secca” e 2 nel gruppo “succhi e spremute”. Sono state inoltre aggiunte 8 voci non specificate (NS) quale ad esempio la “Frutta esotica”. I dati provengono principalmente da fonti italiane, mentre tra le fonti straniere usate le principali sono le tabelle inglesi e americane. Conclusioni: Per un corretto monitoraggio dei consumi alimentari e la stima degli introiti nutrizionali sono necessari database di composizione degli alimenti aggiornati. La nuova metodologia di compilazione dei dati applicata alla BDA consente una migliore tracciabilità del lavoro, una diminuzione degli errori e delle inconsistenze e permette quindi di mantenere un elevato standard qualitativo dei dati pubblicati.

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P24. Valutazione dello stato nutrizionale degli assistiti dell’Unità Operativa Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA) COD.75 ricoverati presso l’IRCCS di Firenze della Fondazione Don Carlo Gnocchi

E.GRAZIANO, M.L.E.LUISI, B.BIFFI, E.RAFANELLI, C.F.GHERI, C. MACCHI, G.F.GENSINI Fondazione Don Carlo Gnocchi Italia Premesse:La malnutrizione è associata ad incremento di morbidità, mortalità, prolungamento dei tempi di degenza e di riabilitazione, aumento dei costi sanitari ed effetti negativi sulla qualità della vita; concorre inoltre a ridurre l’efficacia del trattamento fisioterapico ed è positivamente correlata con la severità e l’incidenza delle ulcere da pressione (UDP), problematica rilevante nei pazienti con GCA in quanto spesso allettati per lunghi periodi. Numerosi studi clinici dimostrano che l’intervento nutrizionale è efficace nel migliorare o prevenire la malnutrizione, a maggior ragione diventa necessaria una procedura per l’identificazione e il monitoraggio del rischio nutrizionale dei pazienti ricoverati per GCA al fine di attuare un trattamento nutrizionale adeguato. Obiettivi: Lo studio si propone di identificare il rischio nutrizionale e di valutare lo stato nutrizionale di un gruppo di pazienti affetti da GCA, per poter attuare un trattamento nutrizionale appropriato con il fine ultimo di correggere le alterazioni metaboliche, prevenire o migliorare le UDP e permettere lo svolgimento di un appropriato programma riabilitativo. Metodi: A 28 pazienti, 22M/6F, età media 61±18 anni ricoverati presso l’UO GCA COD75 è stato calcolato l’IMC; valutati linfociti, proteine totali, albumina e valutato il rischio nutrizionale utilizzando il Malnutrition Universal Screening Tool (MUST), sia all’ingresso che alla dimissione. Risultati: All’ingresso, la quasi totalità del campione, il 96% presentava un MUST >2 risultando ad alto rischio nutrizionale o francamente malnutrito. Alla dimissione il 30% dei pazienti aveva MUST=0 e i soggetti a rischio di malnutrizione (MUST ≥1) sono passati dal 96 % dell’ingresso al 68 % della dimissione. Il miglioramento del punteggio del MUST alla dimissione è dovuto sia al recupero del calo ponderale che al recupero dell’alimentazione per os: 11% all’ingresso, 68% alla dimissione. Conclusioni: Benchè il campione sia ristretto, dai dati analizzati emerge la presenza di un’alta percentuale di malnutrizione nei pazienti affetti da GCA all’ingresso di una struttura riabilitativa; questa condizione può essere trattata mediante un intervento nutrizionale appropriato solo se adeguatamente e precocemente riconosciuta tramite una procedura di screening del rischio nutrizionale. Si ringrazia tutto lo staff di reparto per l’attenzione rivolta alla problematica sanitaria relativa alla malnutrizione e per l’impegno rivolto a correggerla.

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P25. Educazione terapeutica nutrizionale in riabilitazione cardiologica: risultati a un anno

E. GRAZIANO1, B. BIFFI

1, L. DA VICO2

Dietista Fondazione Don Carlo Gnocchi Italia

1; Dietista Servizio Tecnico Sanitario, S.O.D. Riabilitazione Cardiologica

Dipartimento di Area Critica Medico Chirurgica Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi Firenze, Italia2.

Premesse: L’Educazione terapeutica è una componente essenziale di un programma di riabilitazione cardiologica e gioca un ruolo importante nel trattamento di obesità, dislipidemia, ipertensione e diabete mellito. Obiettivi: Lo studio si propone di valutare gli effetti dell’educazione terapeutica nutrizionale da parte di un dietista sugli outcomes correlati alla nutrizione: abitudini alimentari, dati antropometrici e parametri metabolici. Metodi: Una serie consecutiva di 46 pazienti, 42M e 4F di età media 60+11 anni, ha effettuato un programma di Riabilitazione Cardiologica (RC) di 4 settimane dopo sindrome coronarica acuta. Il percorso di assistenza nutrizionale prevede: • valutazione dietetica iniziale: rilevazione dati antropometrici, clinici, conoscenze e abitudini alimentari con Indagine

Alimentare validata, definizione obiettivi terapeutici, proposta self-monitoring alimentare con diario;

• incontro di gruppo insieme ai familiari per affrontare, condividere, discutere i problemi rilevati dai pazienti, promuoverne la partecipazione attiva, motivarli al cambiamento, rinforzare il processo di adozione di abitudini di vita più salutari;

• 4 ulteriori valutazioni: durante la RC, alla dimissione e un follow up a 3 e 12 mesi. Risultati: Ai follow up sono stati rilevati i dati antropometrici, valutate le conoscenze e le abitudini alimentari e i parametri metabolici, in presenza di un familiare.

Base 3 mesi 12 mesi p for trend <

BMI (kg/m2) 27,3+2,8 26,8+2,8 27+2,8 0.0001

Circonferenza vita (cm) 96,2+8,1 93,7+7,8 93,8 +8,8 0.0001

Kcal/die 2655 2032 2056 0.0001

Proteine (g) 98,5 77,4 76,3 0.0001

Glucidi (g) 329,7 279,7g 283,8 0.001

Lipidi (g) 93,4 65,3 64,4 0.0001

Acidi grassi saturi (g) 28,3 16 16,1 0.0001

Colesterolo (mg) 253,8 174,2 174,1 0.0001

Fibra (g) 24 26,6 26,6 0,04

Sodio (mg) 2862,2 2180,3 2229 0.001

Colesterolo HDL(mg/dL) 38,1 46,3 47,6 0.0001

Colesterolo LDL (mg/dL) 90,8 80,2 88,8 0.02

Trigliceridi (mg/dL) 146,2 117,7 108,7 0.001

HbA1c (%) 7,26 6,11 6,17 0.002

Conclusioni: Il programma in studio consente a 3 e a 12 mesi, di ottenere: miglioramento delle conoscenze e delle abitudini alimentari; riduzione BMI e circonferenza vita; miglioramento livelli ematici di colesterolo HDL, LDL, trigliceridi, HbA1c.

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P26. Indagine sui comportamenti alimentari dei lavoratori dei cantieri di Bologna

GUBERTI E , COPPINI C , BIANCO L, PIPITONE E, NAVACCHIA P *, NEGOSANTI M, RIZZOLI C *, APRILE E* *Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) - Dipartimento Sanità Pubblica – Azienda USL Bologna Premessa: L’ambito lavorativo è un contesto importante per promuovere stili alimentari protettivi per la salute. Obiettivi: Lo studio ha inteso verificare le abitudini alimentari e dati antropometrici in lavoratori edili in previsione di interventi di promozione della salute. Metodi: L’indagine è stata condotta a Bologna nel 2012 su 200 lavoratori (190 M e 10 F, età media 38,10 ± 10,67 anni), in 7 cantieri,tramite questionario strutturato somministrato dalle dietiste del Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN). Attraverso la frequenza di consumo degli alimenti si è calcolato un punteggio ispirato al “Mediterranean Diet Score” (MDS) che misura l'aderenza a una dieta di tipo mediterraneo. Si è inoltre calcolato il Body Mass Index sulla base di dati riferiti. Risultati: Il BMI non risulta associato al MDS né al titolo di studio ma risulta statisticamente associato ad età e maggiore sforzo fisico (p<0,05). Oltre il 50 % ha un punteggio medio-alto del MDS che risulta positivamente associato all’adeguatezza del pranzo. Il MDS non risulta associato al BMI, ma il 58% con BMI > 25 segue una dieta più scorretta. La cena, diversamente dagli italiani, risulta inadeguata fra i lavoratori stranieri. Conclusioni: L’indagine ha confermato l’utilità di interventi educativi e di contesto per gli edili. Sono previsti momenti formativi da parte del SIAN presso l’Istituto Professionale Lavoratori Edili in collaborazione col quale si avvierà nell’autunno 2013 una campagna informativa tramite spazi informativi tradizionalmente dedicati all’edilizia in televisioni locali e regionali .

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P27. Alimentazione e attività fisica in un campione di popolazione studentesca siciliana.

L. MANASSERI, M. PAPA, N. VACIRCA, G. LA MONICA*, D. METRO Dipartimenti di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali e di Scienze Pediatriche, Ginecologiche e Microbiologiche* – Azienda Ospedaliera Universitaria – Messina Introduzione: Una corretta alimentazione ed una abituale attività fisica sono fondamentali per ottenere un armonioso sviluppo corporeo e un buon equilibrio psicologico nei ragazzi e negli adolescenti. In precedenti indagini effettuate su una popolazione studentesca siciliana abbiamo messo in evidenza, nei soggetti sovrappeso/obesi rispetto ai normopeso: 1) una minore aderenza alla dieta mediterranea (MD). Studi osservazionali ed esperienze cliniche hanno messo in evidenza che l’aderenza alla MD è inversamente associata con l’obesità. 2) Un minor consumo della prima colazione (numerose osservazioni epidemiologiche confermano che favorevoli effetti metabolici sono associati al consumo regolare della prima colazione). 3) un maggior consumo di snacks e fuori-pasto. Nel presente studio, nella stessa popolazione studentesca esaminata, abbiamo valutato l’attività fisica in termini di ore di pratica di attività sportive extrascolastiche e di altre attività comunque praticate nel corso della giornata. Metodologia: L’indagine è stata effettuata in scuole elementari e medie di Messina e Ragusa. Sono stati coinvolti 246 soggetti, nei quali sono stati valutati i normali dati antropometrici (peso, altezza, BMI): 76 appartenenti alla V elementare, 170 alle medie, di età compresa tra 9 e 15 anni, suddivisi in normopeso e sovrappeso/obesi: 36 bambini normopeso (BMI medio17.4) e 40 bambini sovrappeso/obesi (BMI medio 22.9) delle V elementari; 96 ragazzi normopeso (BMI medio18.9) e 74 sovrappeso/obesi (BMI medio 25.1) delle medie. Il rilevamento dell’attività fisica è stato effettuato mediante la somministrazione di un apposito questionario costituito da domande relative a: 1) attività sedentarie, 2) attività fisica moderata; 3) attività sportiva organizzata. Risultati e Conclusioni: Nell’analisi dei livelli di attività fisica è stata riscontrata: a) una maggiore sedentarietà nei soggetti sovrappeso/obesi rispetto ai normopeso. Il 48% dei soggetti obesi dichiara di passare più di 6 ore seduti, rispetto al 24% dei ragazzi normopeso. b) più del 50% dei soggetti dedica meno di 4 ore la settimana ad attività motorie leggere. Il 25% dei soggetti sovrappeso/obesi non svolge tale attività, rispetto al 7% dei normopeso. c) Il tempo dedicato ad attività sportive organizzate risulta essere meno di 2 ore la settimana, per il 27% dei soggetti obesi e per il 39% dei normopeso. d) Non pratica nessun tipo di sport il 46% degli obesi ed il 29% dei normopeso. I dati di questo studio mettono in evidenza che, nel campione esaminato, sia l’alimentazione che l’attività fisica contribuiscono allo sviluppo dell’obesità.

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P28. Biodisponibilità della curcumina: nuove strategie di potenziamento

D. MARCONI, F. PETRELLI, I. GRAPPASONNI Università degli Studi di Camerino, Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute – Camerino Premesse: la curcumina è il principale costituente attivo del rizoma della pianta della Curcuma longa, polifenolo utilizzato da millenni come spezia medicamentosa nei paesi Orientali. Il suo utilizzo nella medicina popolare è stato come antiossidante e antinfiammatorio e i suoi molteplici effetti sono stati oggi confermati dalla moderna ricerca scientifica. Seppur la molecola a livello di stomaco e intestino rimanga stabile, essa viene poi metabolizzata rapidamente con un’escrezione almeno del 40% rispetto alla quantità assunta oralmente. Obiettivi: sulla base delle caratteristiche chimico fisiche della curcumina si intende fornire indicazioni sulle sue potenzialità suggerendo le possibili strategie per aumentarne la biodisponibilità. Metodi: è stata fatta una revisione della letteratura scientifica internazionale, relativa a tecniche innovative per migliorare l’efficacia di assorbimento. Risultati: Uno studio in vivo ha utilizzato il complesso curcumina-fosfolipide che ha mostrato un’aumentata emivita oltre ad un incremento della concentrazione ematica del complesso curcumina-fosfolipide rispetto alla curcumina. Altri studi in vivo e trials clinici a confronto hanno mostrano l’efficacia della piperina, contenuta nel pepe nero: dalla somministrazione di curcumina e piperina in ratti e in volontari sani si è osservata una biodisponibilità più accentuata nell’uomo che nel ratto. Alcune ricerche stanno invece valutando la possibilità di sfruttare le nanotecnologie quale nuova strategia: in uno studio in vitro che ha utilizzato nanoparticelle di curcumina si è osservata una maggiore biodisponibilità, in particolare una maggiore capacità di indurre apoptosi in cellule tumorali umane. Esistono alcune nuove formulazioni (liposomi, micelle, e complessi fosfolipidi) che sembrano consentire meglio la diffusione, la permeabilità e la resistenza ai processi metabolici della curcumina una volta messa in circolo. Conclusioni: numerose strategie sono state messe in atto per rendere maggiormente biodisponibile la curcumina. Nel mercato, ad oggi, sono state introdotte formulazioni a base di curcumina coniugata a fitosoma e piperina, ma le prospettive dell’utilizzo delle nanoparticelle, seppur con risultati molto promettenti, necessitano di ulteriori studi in quanto il composto ottenuto ha delle caratteristiche totalmente differenti rispetto all’originario ed è anche da accertarne la sicurezza. Sono necessari ulteriori studi clinici per far sì che possa essere creata una formulazione della curcumina sempre più sicura e ad alta biodisponibilità.

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P29. Contributo delle dietoterapia nel trattamento della psoriasi

M. MARENZANA, M BURLANDO, N. GRADASCHI, A PARODI, GF ADAMI Corso di Studio in Dietetica, Università di Genova e UO di Dermatologia, Azienda Ospedale-Università San Martino, Genova La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica invalidante per i risvolti sociali che comporta, che colpisce la pelle e le articolazioni, e deve essere considerata un fattore di rischio non trascurabile per malattie metaboliche e cardiovascolari. Nelle forme moderate e gravi di psoriasi, si impone quindi una terapia specifica sia per ottenere un miglioramento della qualità di vita sia per prevenire le complicazioni. Ai farmaci topici e sistemici tradizionali, si sono di recente aggiunti nuovi agenti ad azione biologica che contrastano l’infiammazione a basso grado e che hanno profondamente modificato l’approccio terapeutico complessivo. In un’ottica dietoterapia, è stato dimostrato che un calo ponderale di almeno 5 kg, influisce positivamente sulla malattia, sia perché in caso di terapia sistemica somministrata in base al peso una diminuzione ponderale rende la terapia più efficace, sia perché una diminuzione delle dimensioni del grasso intra-addominale conduce a una ridotta sintesi di citochine infiammatorie tra le quali il TNFα, agente ritenuto il maggiore responsabile della comparsa stessa della psoriasi. Esistono inoltre sostanze esogene in grado di aumentare la concentrazione ematica di TNFα e pertanto peggiorare il quadro clinico: queste sostanze sono contenute nel fumo di sigarette e in molti alimenti vegetali appartenenti alla famiglia delle Solanacee, quali il pomodoro, i peperoni, le melanzane, le patate. In questo studio sono stati considerati 60 pazienti affetti da psoriasi moderata-grave: accanto alla terapia tradizionale, in 20 pazienti è stata prescritta una dieta priva di solanacee e in 10 pazienti una dieta ipocalorica standard. Trenta pazienti affetti da psoriasi e sottoposti semplicemente a terapia tradizionale sono stati usati come controllo. Le misure antropometriche, i parametri metabolici, le abitudini alimentari e le condizioni cliniche sono state valutati all’inizio dello studio e a distanza di sei mesi. I dati preliminari indicano che nel corso dei sei mesi considerati, a differenza che nei pazienti di controllo, negli individui sottoposti a dietoterapia si è verificato un sensibile miglioramento delle condizioni metaboliche e dei dati antropometrici, mentre lo stato clinico è risultato superiore rispetto a quello dei controlli unicamente in coloro che mantenevano una dieta priva di solanacee.

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P30. TSH levels, nutritional status and body composition in subclinical hypothyroidism

T. MASTANTUONO, G. NASTI, A. RUSSO, D. GRUMIRO, M. NAPOLITANO, N. STARITA, A. COLANTUONI Department of Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University Medical School, Naples, Italy. Aim: A moderate increase in TSH levels without changes in serum thyroid hormone levels, defined as subclinical hypothyroidism (SH), is frequently found in obese people. Moreover, thyroid diseases are prevalent in females. This study was aimed to evaluate the relationship among increased TSH levels, nutritional status and body composition in obese women with SH. Methods: 181 adult females, 20-55 years old, and 200 elderly females, > 65 years old, were recruited from Outpatient Clinics. Nutritional status was evaluated by anthropometric measurements: body mass index (BMI), waist circumference (WC), hip circumference (HP). Fat Mass (FM), Fat Free Mass (FFM) and Muscle Mass (MM) were assessed by bioimpedance analysis. Moreover, TSH and free thyroid hormone (FT3 and FT4) levels were evaluated. Results: All patients were divided in four groups according to TSH levels, using a cut-off TSH value of 3.5 mU/ml: A group (91 euthyroid adult), SH-A group (90 adult with SH), E group (96 euthyroid elderly) and SH-E group (104 elderly with SH). TSH levels were 1.95±0.07, 4.68±0.14, 1.98±0.08 and 5.31±0.22 in A, SH-A, E and SH-E groups, respectively. There were significant differences in nutritional status and body composition between females belonging to SH-A and A groups: BMI was higher in SH-A group than A group (34.62±0.82 vs 32.08±0.78 kg/m2), as well as WC (102.37±1.48 vs 95.10±1.83 cm) and HP (115.33±1.75 vs 112.00±1.48 cm). Moreover, FM was higher in SH-A group than A group (37.20±1.67 vs 31.68±1.42 Kg and 39.74±1.07 vs 37.07±0.88%), while percentage FFM was lower in SH-A group compared with A group (60.26±1.07 vs 62.93±0.88%) as well as percentage MM (41.87±0.80 vs 45.53±0.71%). FT3 levels were not different in two groups, but FT4 was significantly lower in SH-A group than A group (2.56 ± 0.39 vs 5.47 ± 0.61 mU/ml). Conversely, no significant differences in anthropometric parameters, body composition and thyroid hormones were observed between SH-E and E groups. Conclusion: Borderline elevated TSH levels are able to affect nutritional status and body composition in adult obese women contributing to the changes in body composition associated with thyroid disease, but no effects were detected in elderly obese women.

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P31. Dietary assessment and mycotoxin exposure in a group of celiac subjects

T. MAZZEO1, C. DALL’ASTA

1, L. RONCORONI2, C. TOMBA

2, L. ELLI2, C. AGOSTONI

3, G. GALAVERNA1, F. BRIGHENTI

1, N. PELLEGRINI

1

1Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università di Parma; 2Centro per la Prevenzione e Diagnosi della Malattia Celiaca, Fondazione IRCCS – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; 3Fondazione IRCCS - Ospedale Maggiore Policlinico, Università di Milano Background: Celiac disease is an immune-mediated systemic disorder occurring in genetically susceptible individuals, which is elicited by gluten and characterized by the presence of a variable combination of gluten-dependent clinical manifestations

1. Currently, the gluten free (GF) diet is the only therapy for celiac patients

2. However, because gluten-

rich products are an important source of nutrients3, their exclusion from the diet could have a negative effect on the nutritional status of celiac patients whether such foods are not replaced with appropriate alternatives. Another concern related to the GF diet could be the high exposure at mycotoxins because maize, which is extensively used in the GF production, is strongly affected by mycotoxin contamination4. Objective: The objective of this study was to estimate the nutrient intake and the dietary exposure of all the mycotoxins in a group of celiac patients and to compare results to those of non-celiac subjects. Methods: The dietary habits were recorded using a 7-day weighed food record. The nutrient intake was calculated using a Microsoft Access application linked to the food database of the European Institute of Oncology integrated with the nutrient composition of 60 commercial GF foods5. The 24-h urines were collected at the end of the registration period and analysed for mycotoxin biomarkers6. Results: The preliminary results on the dietary habits demonstrated that the celiac diet differed from that of the control group only in terms of the intake of specific micronutrients. Celiac subjects consumed more vitamin C, vitamin E, β carotene and sodium than controls. Concerning urinary fumonisin B1 and deoxynivalenol excretion preliminary results suggest a similar exposure to these mycotoxins in both controls and celiac patients. Conclusions: The preliminary results from a small group of celiac patients do not seem to confirm our previous work7concerning nutritional intake and mycotoxins exposure. However, these preliminary findings have to be confirmed. Bibliografia Husby S et al. (2012). J Pediatr Gastroenterol Nutr 54(1):136-160. Ferrara P et al. (2009). Acta Gastroenterol Belg 72:296-300. Fasano A et al. (2008). J Pediatric Gastroenterol. Nutr 47:214-219. Shephard G et al. (2007). Food Addit Contam 24:1196-1201. Mazzeo T et al. (2012). Atti del XXXV Congresso Nazionale SINU, Bologna, 22-23 ottobre 2012. Ediage EN et al. (2012). Anal Chim Acta 741:58-69. Dall’Asta C et al. (2012) Mol. Nutr. Food Res 56:632–640.

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P32. Educazione Terapeutica (ET): risultati di uno studio pilota condotto su un campione di soggetti obesi

MF CALABRIA, G. CASELLA, L.M. DONINI, G. GAVARINI, A. GENCO, AM GIUSTI, L. GNESSI, G. GUIDA, L. GULIZIA, S. MARIANI, G. MEROLA, A. PINTO, G. POLIDORO, E. PROSPERI Centro di Alta Specializzazione per la Cura dell’Obesità (C.A.S.C.O.) - Dip. Medicina Sperimentale e Dip Scienze Chirurgiche dell’Azienda Policlinico “Umberto I” - “Sapienza” Università di Roma. Introduzione e Obiettivi: L’obesità è una patologica cronica complessa. Il trattamento multidisciplinare (restrizione calorica, esercizio fisico e modifica dello stile di vita), pur adeguato nel breve termine, si rivela inefficace dopo un anno nell’80% dei casi. Analogamente alle altre patologie croniche, i risultati migliori si ottengono nei soggetti informati, in grado di gestire le oscillazioni del tono dell’umore e le fluttuazioni di ansia e stress. In tal senso, ET rappresenta un consolidato paradigma di cura nel diabete. Attraverso uno studio pilota è stata valutata l’efficacia dell’ET in un campione di soggetti obesi. Materiali e Metodi: È stato testato un percorso educativo, basato su metodologie di apprendimento mindful, con orientamento Cognitivo-Comportamentale di terza generazione, articolato in 8 incontri di gruppo, quindicinali, durante i quali sono state affrontate le seguenti aree tematiche: corpo, alimentazione, attività fisica, sensi, mente,

emozioni. Presso il C.A.S.C.O. sono stati reclutati 22 pazienti (8M e 14F, età 49,313 anni) e rilevati: parametri antropometrici (statura, peso, circonferenza vita-CV), ematochimici (colesterolo totale-CT, C-HDL, C-LDL, trigliceridi-TG, glicemia-G) e psicologici (test SCL90, SF36, BES). Le valutazioni sono stato effettuate al T0 e ripetute alla fine del percorso (T8). I risultati a T1 e T8 sono stati confrontati mediante T-test (significatività p<0,05).

Risultati: T1:peso 12228,7kg, BMI 438kg/m2 e CV 12415,3cm; CT 200,845,8mg/dl, C-HDL 54,219,4, C-LDL

126,549,4, TG 12356,1 mg/dl e G 106,546,5; score SCL90 0,990,7, SF36 56,319,2, BES 14,47,5. Variazioni

significative osservate al T8 (p<0,05): peso -4,76,9kg; BMI -1,62,3kg/m2; CV 4,16,9cm; CT-8,215,2mg/dl; BES -

6,65,3; SCL90Globale -0,20,3; SCL90Ansia -0,262,27; SCL90Depressione -0,330,33 p; SF36 -1111,5. Conclusioni: Dai risultati emerge un significativo miglioramento dei parametri antropometrici, ematochimici e dei test psicometrici, che corrisponde ad una significativa riduzione della percentuale di soggetti classificati come patologici o dubbi al T1 al BES ed all’SCL90. La percentuale di soggetti con uno score indicativo di bassa qualità di vita (SF36) si è ridotta (38,9% vs 11,1%) al T8 sebbene in misura non significativa (test χ2, p=0,06). Questo studio pilota costituisce, quindi, un’incoraggiante premessa per un successivo studio caso-controllo, finalizzato a verificare l’efficacia dell’ET nell’ambito del trattamento multidisciplinare dell’obesità.

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P33. La ritenzione idrica nei disastri parietali

D. METRO, L. LUCIBELLO*, L. MANASSERI, M. PAPA, N. VACIRCA, D. CELI* Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali, – Azienda Ospedaliera Universitaria, Messina. Dipartimento di Chirurgia, A.O.O.R. Papardo-Piemonte*, Messina L’ernia inguinale rappresenta la più frequente manifestazione clinica della patologia erniaria. Ha una incidenza intorno al 4-5% nella popolazione maschile (il rapporto maschio/femmina è di circa 8:1) che aumenta progressivamente con l’età. La riparazione di un’ernia inguinale rappresenta senz’altro l’intervento chirurgico più frequentemente eseguito nelle sale operatorie di tutto il mondo. Quando le dimensioni dell’ernia superano determinate volumetrie si parla di ernie permagne, giganti o, meglio ancora, di disastri parietali, fonti di gravissime alterazioni anatomo-funzionali. Il contenuto erniario, in questi casi, è rappresentato da gran parte dei visceri della cavità addominale che pertanto perdono il loro naturale domicilio: colon, ileo, omento, vescica, etc. I visceri erniati formano spesso un sacco assai ampio e deformano profondamente la regione, allocandosi nello scroto, dove trovano ottime possibilità di alloggiamento, ed estendersi a volte persino fin sotto alle ginocchia. Notevoli le problematiche psicologiche, urinarie e sessuali. Un aspetto interessante dello studio che presentiamo e che non ha precedenti in letteratura è quello di aver analizzato mediante rilievi antropometrici ed esami bioimpedenziometrici come un’ernia inguinoscrotale gigante di 37 Kg modifichi la composizione corporea dell’individuo prevalentemente a carico della componente liquida. L'acqua corporea totale (TBW) rappresenta il 60-62 % del peso, nell'uomo di riferimento, e il 56-58% nella donna di riferimento. Essa è la componente principale della FFM. In condizioni fisiologiche la percentuale sulla FFM può oscillare dal 67.4% al 77.5% in funzione dell'età e dello stato nutrizionale. In condizioni patologiche, i valori percentuale possono oscillare al di fuori del range sopra indicato, segnalando disidratazione (stress fisico-ambientale) o all'opposto sovra-idratazione (edema, malattie infettive e malnutrizione calorico-proteica, ad esempio) Un'espansione dello spazio extracellulare, ad esempio, viene usualmente associata a edema. Il caso clinico riportato nel presente lavoro, fino ad oggi non superato per dimensioni da nessun Centro italiano o straniero, da Guinness, maschio, di razza bianca, di anni 64, è stato trattato chirurgicamente dal Dipartimento di Chirurgia dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Papardo-Piemonte di Messina e dal punto di vista nutrizionale dal Servizio di Dietologia dell’A.O.U. di Messina. L’atto operatorio, considerata la difficoltà del caso, è stato dilazionato in tre tempi (gennaio, marzo e maggio 2013) con il riposizionamento dei visceri in cavità addominale, la ricostruzione parietale, la resezione delle enormi tuniche vaginali e dello scroto esuberante. Al momento del ricovero il paziente presenta un BMI 40.03, FM = 30.7% (33.1 kg), FFM = 69.3% (74,6 kg), TBW = 61.5 l di cui il 57.1% del peso corporeo e l’82.4% della massa magra. Dopo la ricostruzione parietale presenta un BMI 25,76, FM = 34.3% (23.8 kg), FFM = 65.7% (45,5 kg), TBW = 34.7 litri di cui il 50.1% del peso corporeo e il 76.2% della massa magra. Il brusco calo del BMI dal periodo preoperatorio (40,03) a quello seguente la completa risoluzione della patologia erniaria gigante (25,76) è da ascrivere quindi all’eliminazione chirurgica di tessuti riccamente imbibiti di liquidi (pachivaginalite con edema, liquidi liberi, etc.).

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P34. Major depression disorders and eating habits in obese Naples aging peoples

E. MUSCARIELLO, M.L DE BLASIO, D. GRUMIRO, M. NAPOLITANO, M. MONTISANO, C. LEGORANO, G. NASTI, A. COLANTUONI Department Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University Medical School, 80131 Naples, Italy Aim: Previous data indicate that major depression disorders influence eating habits in elderly. This study was aimed to evaluate the prevalence of depression in obese aging people and the effects of weight loss on nutritional and metabolic status. Methods: 97 patients (63 female), 65-71 years old, were recruited from our Outpatient Clinics. Nutritional status was evaluated by anthropometric measurements: body mass index (BMI), waist circumference (WC), hip circumference (HC). Bio-impedance analysis and geriatric depression scale (GDS) were carried out before and after six month diet treatment. According to GDS (higher than 5) we differentiated depressed males and females (DM;DF) or not depressed males and females (NDM;NDF). Results: The prevalence of depression was 17,6% in males and 31,7% in females. At the first observation DM showed significant higher values of BMI (41,6±9,0 Kg/mq) and WC (129,8±15,6 cm) than NDM: BMI (32,6±3,3 Kg/mq) and WC (112,6±8,7 cm). Glycemia and total cholesterol resulted higher in DM but not significant. On the other hand, DF and NDF did not show significant difference in anthropometric measures and metabolic parameters at the first observation. After 6 months of diet treatment DM showed significant reductions in BMI (41,6±9,0 vs 36,5±9,0 kg/mq baseline), WC (129,8±15,6 vs 117,5±22,8 cm), HC (119,4±8,7 vs 108,2±13,6 cm)), GDS (7.5±1.6 vs 6.0±4.2). NDM showed significant reductions in BMI (32,6±3,3 vs 30,4±2,6 Kg/mq), WC (112,6±8,7 vs 105,9±8,3 cm), HC (107,4±5,0 vs 104,0±5,3 cm). FD showed significant reductions in BMI (35,2±7,4 vs 33,0±6,0 kg/mq), WC (113,5±13,9 vs 110,1±12,2 cm), HC (104,6±14,6 vs 99,0±13,1 cm), GDS (8,6±1,9 vs 5,7±2,6). FND showed significant reductions in BMI (34,4±7,0 vs 31,8±6,4 kg/mq), WC (113,1±11,9 vs 108,0±11,7 cm), HC (107,2±18,2 vs 98,8±12,9 cm). Conclusions: Higher prevalence of major depression disorders were observed in aging obese females; however, these disorders did not interfere with nutritional status.Depressed males presented significant differences in visceral obesity and insulin resistance compared to non depressed males, according to waist circumference, serum glucose and baseline insulin. Hypocaloric diet was able to improve nutritional status and depression disorders in males and females.

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P35. Increased Resting Energy Expenditure in Hyperglycemic Women

E. MUSCARIELLO, G. NASTI, R. PALUMBO, M. MONTISANO, T. PORTOGHESE, A. COLANTUONI Department of Clinical Medicine and Surgery, “Federico II” University of Naples, Italy Aim: Several studies indicate that obese individuals affected by type 2 Diabetes present higher Resting Energy Expenditure (REE) values than healthy obese individuals. The aim of our study was to evaluate REE in hyperglycemic and non hyperglycemic women. Methods: 10 hyperglycemic women and 11 non hyperglycemic women (54,3 ± 5,2 years old), attending the Outpatient Clinics of Clinical Medicine and Surgery Department, were studied. Anthropometric measurements (Waist Circumference: WC, Hip Circumference: HC, Body Mass Index: BMI) and Bioimpedence Analysis were performed. In all patients REE was estimated by Indirect Calorimetry and glucose serum levels were evaluated. Results: In our sample, hyperglycemic and non hyperglycemic women were matched for weight (87,8 ± 3,7 vs 84,5 ± 12,9 Kg), BMI (39,6 ± 3,5 vs 35,9 ± 4,5 Kg/m2), WC (112,8 ± 5,6 vs 104,2 ± 15,6 cm), HC (117,0 ± 10,5 vs 113,9 ± 10,4 cm), total body water (37,6 ± 2,6 vs 35,7 ± 4,2 Lt), fat mass (39,7 ± 7,6 vs 37,1 ± 9,9 Kg) and fat free mass (50,4 ± 2,8 vs 47,4 ± 6,3 Kg). Hyperglycemic women presented higher values of glycemia (131,8 ± 22,9 vs 92,2 ± 9,1 mg/dL, p<0,001). REE was significantly higher in hyperglycemic women compared to non hyperglycemic ones (1553,4 ± 136,73 vs 1367,38 ± 114,3 Kcal/die, p=0,022). Conclusions: In our study, women showing increased serum levels of glucose presented higher values of REE than non hyperglycemic women. However, further studies are required to increase the sample size to confirm these results.

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P36. Correlazione tra parametri DXA e laboratoristici in soggetti normopeso, sovrappeso ed obesi

F. PONTI1, D. PAPADOPOULOS

1, P. DI PIETRO1, V. ARRIGHI

1, D.DIANO1, U. ALBISINNI

2, G. MARCHESINI3, G.

BATTISTA1, A. BAZZOCCHI

1,2 1Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università di Bologna, Policlinico Sant'Orsola−Malpighi, Bologna, Italia; 2 Radiologia Diagnostica ed Interventistica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italia; 3Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica, Università di Bologna, Policlinico Sant'Orsola−Malpighi, Bologna, Italia Premesse: La densitometria a raggi X (DXA) consente di valutare la composizione corporea individuale distinguendo fra massa grassa (FM), massa magra (LM) e contenuto minerale osseo, sia a livello del corpo intero che regionale. Recentemente è stato introdotto un nuovo software per l'analisi del tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo (VAT e SAT, rispettivamente) a livello della regione androide. In letteratura è stata riportata un'associazione fra l'accumulo di tessuto adiposo, in particolare quello viscerale, e lo sviluppo di patologie cardiometaboliche (e. g. sindrome metabolica e diabete di tipo II). Obiettivo: Studiare l'esistenza ed il tipo di correlazione fra le misure densitometriche di composizione corporea ed alcuni parametri laboratoristici connessi al rischio cardiometabolico. Metodi: Sono stati analizzati retrospettivamente 316 soggetti provenienti da alcuni percorsi di ricerca nel nostro istituto al fine di ottenere una popolazione omogenea in termini di BMI (182 F, 45.8±13.4 anni, BMI 31.5±11.0 Kg/m2 ‒ Gruppo F; 134 M, 45.4±13.6 anni, BMI 27.6±7.8 Kg/m2 ‒ Gruppo M). Tutti gli individui sono stati sottoposti a scansione densitometrica whole-body (Lunar iDXA, GE Healthcare, WI, USA) e ad analisi laboratoristica (glicemia a digiuno, colesterolemia totale, colesterolemia HDL, trigliceridemia). Sono stati analizzati i parametri densitometrici di FM a livello total-body e regionale (arti superiori, arti inferiori, regione ginoide, VAT e SAT nella regione androide) e di LM nel corpo intero. I risultati sono stati analizzati mediante regressione lineare e stepwise (significatività per P<0.05). Risultati: In entrambi i sessi si è osservata una correlazione diretta del BMI e dei vari parametri densitometrici con la glicemia e la trigliceridemia (P<0.05) ed una correlazione inversa con la colesterolemia HDL (P<0.05), mentre non è stata rilevata alcuna significativa correlazione con la colesterolemia totale. L'unico parametro densitometrico incluso nel modello finale di correlazione stepwise, indipendentemente da età e BMI, è stato il VAT per la glicemia (Gruppo F: R=0.658, P<0.0001; Gruppo M: R=0.608, P<0.0001) e la trigliceridemia (Gruppo F: R=0.509, P<0.0001; Gruppo M: R=0.464, P<0.0001) Conclusione: Il VAT valutato mediante DXA, essendo strettamente correlato agli indici laboratoristici già utilizzati per la valutazione del rischio cardiometabolico, quali la glicemia e la trigliceridemia, potrebbe risultare un utile parametro nell'inquadramento clinico-laboratoristico dei pazienti a rischio.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 79

P37. Adeguatezza dell’assunzione iodica con la dieta nel Valdarno fiorentino, zona ad elevata endemia gozzigena

E. RAFANELLI, C.F. GHERI, M.L.E. LUISI, G. RICIGNOLO, B. BIFFI, E. GRAZIANO, R.G. GHERI* E G.F. GENSINI Fondazione Don Carlo Gnocchi Italia; *Centro Oncologico Fiorentino Premesse: lo iodio è indispensabile per la sintesi degli ormoni tiroidei e per il mantenimento della salute. In natura il maggior quantitativo si trova nel terreno, nelle acque salate e in minor quantità nelle acque dolci. Un metodo efficace per valutarne l’assunzione con la dieta è rappresentato dalla ioduria. Il fabbisogno giornaliero indicato sia dall’OMS che dai LARN 2012 è di 150 μg nell’adulto e nel bambino e di 200 μg nella donna in gravidanza per l’OMS e di 220 μg per i LARN. Se non viene assunto in quantità adeguate la conseguenza principale è l’insorgenza del gozzo (ingrandimento della tiroide), indipendentemente dal suo stato funzionale. L’OMS indica la carenza di iodio come un problema di sanità pubblica. La presenza di gozzo in più del 5% dei bambini esaminati mediante ispezione e palpazione del collo, definisce il gozzo endemico. Infatti le dimensioni della tiroide nel bambino in età scolare rappresentano un indicatore del grado di carenza iodica nella popolazione. Obiettivi: valutazione di adeguata assunzione di iodio con la dieta e di endemia gozzigena nel Valdarno fiorentino. Metodi: sono stati sottoposti ad esame clinico del collo e ad ecografia tiroidea 607 bambini (range 11-12 anni); l’assunzione iodica è stata valutata mediante la ioduria e alle loro famiglie è stato somministrato un questionario alimentare rivolto alle abitudini dietetiche iodio-correlate. Risultati: nel 24,9% dei bambini (F30%; M22%) è stata riscontrata una tiroide palpabile; all’esame ecografico aumento di volume di modesta entità nella maggioranza dei casi. La valutazione della ioduria ha evidenziato una ridotta assunzione di iodio: mediana 102 μg/l (48% dei casi: ioduria <100 μg/l); valori ottimali di ioduria: 100-199 μg/l corrispondenti ad introito di 150-299 μg/die. Il questionario sulle abitudini alimentari ha mostrato che il sale iodato è consumato da non più del 54% delle famiglie e solo il 5% delle famiglie consuma spesso pesce di mare fresco/surgelato e il 2% conservato. Conclusioni: nonostante l’aumento di volume della tiroide nella maggior parte dei casi sia di modesta entità ed anche il deficit di iodio sia modesto il Valdarno fiorentino continua ad essere un’area ad elevata incidenza di gozzo endemico.

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P38. Aderenza alla Dieta Mediterranea in un campione di soggetti dell’area fiorentina ricoverati presso l’IRCCS di Firenze della Fondazione Don Carlo Gnocchi

E. RAFANELLI, B. BIFFI, M. MENEGHETTI, E. GRAZIANO, C.F. GHERI, M.L.E. LUISI, G.F. GENSINI Fondazione Don Carlo Gnocchi Italia Premesse: La dieta mediterranea (DM), è ormai sinonimo di alimentazione sana, capace di prevenire gran parte delle patologie croniche e si riferisce a un modello alimentare tipico delle regioni che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Questo modello dopo gli anni’60 a causa del boom economico è stato sostituito da uno stile alimentare più ricco in calorie e grassi saturi. Obiettivi: Valutazione dell’aderenza alla DM in una popolazione di soggetti anziani dell’area fiorentina afferenti ad un Centro di Riabilitazione Polifunzionale. Metodi: E’stato somministrato un questionario sulle abitudini alimentari e valutata l’aderenza alla DM - tramite score (Martinez-Gonzalez et Al. 2004): 9= massima aderenza, 0= non aderenza - e rilevati i dati antropometrici a 438 soggetti. Risultati:

Olio

>1c/die Frut>1/die Verd>1/die F&V>1/die Leg>2/sett Pesce>3/sett Vino>1b/die Carne<1/die Paneb<1/die,

Riso<1/sett

% % % % % % % % % Campione tot 96.57 78 64,8 60 32,7 14,7 40,8 72,7 18,8

Score 7-9 98,9 100 100 100 78,7 38,3 75,5 95,7 41,5

Score 4-6 97,7 92,4 80,2 75,2 28,6 12,6 41,6 80,5 16,4

Score 0-3 90,2 50 12,2 0 11 3,6 21,9 59,7 9,7

Conclusioni I risultati mostrano che i soggetti esaminati sono mediamente, ma non strettamente, aderenti alla DM. In particolare l’olio d’oliva, viene utilizzato dalla quasi totalità della popolazione e il consumo di pane bianco, verosimilmente per l’abitudine al consumo di pane toscano, e riso, è alto mentre il consumo di carne, tipico della nostra regione, sembra essere diminuito a <1/ giorno. Anche la frutta e la verdura vengono consumate giornalmente, ma il consumo di entrambe diminuisce e passa dal 100 allo 0% tra i tre gruppi. Il pesce è raramente consumato anche tra gli strettamente aderenti alla DM i quali, a dispetto della tradizione toscana, sono gli unici a consumare abitualmente i legumi e il vino ai pasti principali. Progetto realizzato grazie al contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze

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% sesso età media

BMI medio

score medio

Campione tot M42% F58% 73+8,7 28,1 5,15

Alta aderenza 7-9 21,5 M55%;F45% 72+9,1 26,8 7,3

Media aderenza 4-6 59,8 M41%;F59% 74+8,2 28,9 5,23

Non aderenza 0-3 18,7 M32%;F68% 73+9,5 27,1 2,49

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P39. Il trattamento dietetico del paziente diabetico: approccio terapeutico individuale e di gruppo

S RAVERA, M RATTAZZI, D MAGGI, R GRADASCHI, GF ADAMI Corso di Studio in Dietetica, Università di Genova e UO di Diabetologia e Malattie del Metabolismo, Azienda Ospedale-Università San Martino, Genova L' approccio al paziente diabetico si basa su dieta, esercizio fisico e trattamento farmacologico con diverse priorità a seconda del tipo di patologia. L’approccio nutrizionale è fondamentale in quanto circa un terzo dei pazienti può essere compensato unicamente con la dieta mentre nei pazienti in trattamento farmacologico, il calo ponderale e una dieta adeguata permettono un compenso metabolico soddisfacente anche con dosi molto basse di farmaci antidiabetici. Tuttavia spesso i pazienti non riescono a modificare adeguatamente le loro abitudini di vita; in questi casi il fabbisogno di farmaci aumenta e le condizioni metaboliche tendono progressivamente ad aggravarsi. In questo studio sono stati esaminati 130 pazienti con diabete di tipo 2, l’approccio dietologico è stato individuale in 100 casi e di gruppo in 30 casi. L’approccio individuale ha previsto una prima visita con la prescrizione della terapia antidiabetica e e l’indicazione di un piano dietetico personalizzato, e successivamente ha comportato un controllo mensile per sei mesi. Per l’approccio di gruppo, dopo la prima visita e la prescrizione dei farmaci, sono stati organizzati quattro incontri di due ore a cadenza quindicinale, durante i quali il dietista, attraverso brevi lezioni e tavole rotonde, ha descritto le basi di una sana e corretta alimentazione e di un adeguato stile di vita. In seguito, i pazienti sono stati rivisti mensilmente sino a sei mesi. Il follow-up è stato completo in tutti i casi Sono state considerate le misure antropometriche, la valutazione metabolica e l’ intervista alimentare all’inizio del percorso e a distanza di sei mesi. Sia l’approccio di gruppo sia quello individuale si sono rivelati molto efficaci per aiutare il paziente a gestire in maniera ottimale la propria alimentazione, contribuendo quindi a un buon controllo metabolico. Nell’approccio individuale è stata osservata una perdita di peso di 5-10% mantenuta nel tempo, mentre l’approccio di gruppo ha determinato un adattamento alle condizioni patologiche più soddisfacente e apparentemente un miglioramento della qualità della vita. La nostra esperienza ha dimostrato che per una adeguate assistenza dietologica alla persona diabetica è necessario tenere conto sia delle condizioni metaboliche sia delle caratteristiche e delle esigenze individuali e di rapporto.

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P40. Una rete di laboratori per migliorare la valutazione della dieta italiana

S. SALVINI1, M. PARPINEL

1, P. GNAGNARELLA2, A. MISOTTI

2, F. BARBONE1, P. MAISONNEUVE

2, E. CAMILLI3, L.

MARLETTA3

1Dipartimento di Scienze Mediche e Biologiche, Università degli Studi di Udine; 2Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano; 3Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura– Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (CRA-NUT) - Roma Premesse: I dati di composizione degli alimenti sono indispensabili per valutare l'adeguatezza della dieta, ma non sempre sono rappresentativi degli alimenti consumati in Italia. Nell’ambito del progetto di ricerca QUALIFU-SIAGRO, coordinato dall'ex-INRAN, è stato avviato il "Progetto di una rete italiana di raccolta di dati bibliografici e analitici" (WP4), allo scopo di ottenere dati sperimentali dai laboratori italiani che si occupano di analisi degli alimenti. Obiettivi: Valutare la provenienza dei dati della Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici (BDA, versione 2008), per i quali sono noti i fabbisogni per la popolazione italiana (LARN, 2012) e stimolare l'adesione dei laboratori italiani al WP4 di QUALIFU-SIAGRO. Metodi: Sono state analizzate le fonti dei dati presenti nella BDA, un database che origina dalle Tabelle di Composizione degli Alimenti ex-INRAN, completato utilizzando fonti bibliografiche estere. Laboratori di analisi degli alimenti sono stati contattati dal 2010 ad oggi, per richiedere la condivisione di dati di composizione, affinchè convergano in un unico database, utilizzabile per l'aggiornamento delle Tabelle ex-INRAN. Risultati: La BDA non include i dati per: molibdeno, cromo, fluoro, vitamina K e acidi grassi TRANS. Dei restanti 35 nutrienti presenti nei LARN, il 41% dei dati proviene dalle tabelle italiane (principalmente ex-INRAN), il 35% dalle tabelle McCance&Widdowson's (UK), il 15% dal database dello USDA (USA), il 7% da stime e calcoli, il 2% da altre fonti. I gruppi alimentari più carenti di dati italiani (<40%) sono bevande, dolci, grassi, oli, zuccheri, dolciumi, pane, cereali. Macronutrienti, ferro e calcio sono per il 61-69% di fonte italiana. Vitamina B2, C e PP, fosforo, sodio e vitamina A sono di fonte italiana per il 53-59%. Zinco, acidi grassi, magnesio, rame, fibra, alcol, selenio sono per il 34-46% italiani. La vitamina E è italiana per il 7%. Ad oggi sono stati contattati 144 laboratori e 13 hanno già aderito al progetto inviando dati recenti (successivi al 2005) che includono nutrienti il cui fabbisogno è riportato nei LARN Conclusioni: Una maggiore ricchezza di dati, convergenti in un unico database utilizzabile per l'aggiornamento delle Tabelle ex-INRAN, renderà possibile la valutazione dell'adeguatezza della dieta degli italiani.

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P41. I LARN: strumento fondamentale per il nutrition choach

L. SATURNI1, A. PANNITTI

2, F. ROSSI2 E R. GABBIANELLI

3 1Master in Dietetica e Nutrizione - FUNIBER- Fundación Universitaria Iberoamericana;

2INCOACHING

® Scuola di

Formazione; 3Scuola di Scienze del Farmaco e dei Prodotti della Salute - Università di Camerino

Il nutrition coach è un professionista vigile e attento alle novità scientifiche, innovativo, originale, creativo ma soprattutto efficace per il raggiungimento dell’obiettivo, cioè la salute, intesa come una condizione di continuo adattamento e perfezionante equilibrio tra organismo (corpo e psiche) e l’ambiente (naturale e sociale), fino al raggiungimento del completo benessere fisico, psichico, spirituale ed ecologico. Datata e ben nota è la stretta relazione DIETA-SALUTE quanto variegato ed eterogeneo è l’insieme delle figure medico-sanitarie che a vario titolo operano in tale ambito. Da qualche anno si assiste ad un crescente aumento delle campagne d’informazione e di educazione promosse da Istituzioni Pubbliche e Private. Inoltre gli strumenti imprescindibili per una corretta informazione ed educazione alimentare quali ad esempio i LARN e/o le Linee Guida per una Sana Alimentazione, sono costantemente revisionati alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche. Di contro recenti dati epidemiologici mostrano che l’incidenza delle patologie cronico-degenerative quali le patologie cardio- e/o neuro-vascolari, lo stroke, le neoplasie e le malattie dismetaboliche, è in costante aumento. Ben documentata da studi di meta-analisi e review è anche la scarsa compliance alla Dieta Mediterranea declinata in versione Green-Blue DIET. Tale modello con chiaro riferimento alla Dieta Mediterranea include anche il rispetto delle risorse green (suolo) e blue (acqua) del Pianeta e rappresenta un valido approccio alla prevenzione sia primaria che secondaria riscuote scarsa compliance. In tale contesto il nutrition-coach, un professionista che basa il suo Know-How sulle discipline fondanti la salute umana, sul metodo del Coaching e su peculiari documenti/strumenti quali i LARN, le Linee Guida ed altro ancora, si pone su un piano privilegiato. Cosciente che il paziente non è un mero esecutore di copioni preordinati quanto piuttosto un agente attivo (agentività umana), con professionalità, autorevolezza, in modo empatico-consapevole e senza giudizio forma/informa il paziente, lo allena e lo accompagna all’obiettivo, cioè attuare una dieta che permette di mantenere/preservare lo stato di salute. Bibliografia G. Astarita et al., An Emerging Role for Metabolomics in Nutrition Science. J Nutrigenet Nutrigenomics, 2013 – 6(4): 179-198. A. Pannitti e F. Rossi. L’essenza del Coaching – Granco Angeleri, 2012 A. Trichopoulou et al., Anatomy of health effects of Mediterranean diet: Greek EPIC prospective cohort study. BMJ 2009; 338. doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.b2337

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P42. LARN ed assunzione di micronutrienti in pazienti in nutrizione enterale totale domiciliare

C. SCANZANO, R. IACONE, L. ALFONSI, E. PASTORE, A. D'ISANTO, G. NEGRO, L. SANTARPIA, F. CONTALDO Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia – Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II”, Napoli – Italia Premesse: ll contenuto in micronutrienti nelle miscele per nutrizione enterale (NE) disponibili in commercio deve rispettare le dosi giornaliere raccomandate (RDA) quando volumi adeguati sono prescritti. Obiettivi: Questo studio retrospettivo confronta l’assunzione di micronutrienti in un gruppo di pazienti in NE totale (NET), con i nuovi valori di riferimento della dieta (DVRs) per la popolazione italiana (LARN, livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana). Metodi: Tra i 70 pazienti in NE domiciliare assistiti nel 2011 presso l’Unità di Nutrizione Artificiale Domiciliare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, sono stati valutati retrospettivamente 44 pazienti in NET a lungo termine (20 maschi, 24 femmine, di età compresa tra i 20-88 anni). Per ogni paziente è stata calcolata l’assunzione giornaliera di micronutrienti fornita con la miscela enterale considerando i valori riportati sull’etichetta nutrizionale di ogni prodotto moltiplicati per la dose prescritta. Risultati: I pazienti hanno ricevuto in media 1616 kcal/die (I.C. 95%: 1534-1698) per una mediana di 76 giorni di terapia (range 36-358). L’assunzione giornaliera di fluoruro e vitamina K è risultata inferiore rispetto ai LARN in quasi tutti i pazienti (rispettivamente 43/44 e 42/44), mentre quella degli altri micronutrienti è risultata superiore ai valori LARN per tutti i 44 pazienti (figura 1). Conclusioni: I pazienti che ricevono la NET a lungo termine sono a rischio di sviluppare un deficit di vitamina K e di fluoruro e un’eccessiva assunzione di Fe, Zn, Cu, Se, vitamine (A, E, B1, B2, B6, B12, acido pantotenico, biotina), cromo e molibdeno. Sebbene l’assunzione di micronutrienti nei pazienti in NET non ha mai superato i limiti di tossicità stabiliti dai LARN, gli effetti a lungo termine dell’eccessiva assunzione di questi micronutrienti non sono noti. Inoltre, per le vitamine C, B1, B2, B12, K, acido pantotenico, biotina e per i minerali Fe, Mn e Cr, non sono finora noti i livelli massimi tollerati. I nostri dati preliminari indicano la necessità di ulteriori studi sul fabbisogno giornaliero di micronutrienti nei pazienti in NET a lungo termine ed una eventuale revisione del contenuto dei micronutrienti delle miscele per NE.

Figura 1: Assunzione di vitamine e di oligoelementi in 44 pazienti in nutrizione enterale totale a lungo termine espressi in percentuale rispetto ai LARN 2012. Le barre indicano la media percentuale dell’assunzione giornaliera di micronutrienti con le miscele enterali confrontate con i nuovi LARN (fissati al 100% come linea continua orizzontale) rilasciati nel 2012 dalla Società Italiana di Nutrizione Umana.

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0 100 200 300 400 500 600 700 800

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100% LARN

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P43. Determination of the glycemic index of some commercial gluten free products

F. SCAZZINA, M. DALL’ASTA, N. PELLEGRINI, F. BRIGHENTI Unità di Nutrizione, Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Parma Background: The demand for gluten-free products (GF) for celiac disease is continuously increasing and many researches are conducted to produce them with textural and nutritive characteristics similar to the traditional ones. Based on previous studies the glycemic response of carbohydrate-rich foods may be increased by the removal of gluten; however, the different formulation of these products could affect the carbohydrate availability and cause a different glycemic response. Aim:The aim of this study was to evaluate the GI of several commercial GF bakery and pasta products sold in Italy. Methods: A total of six GF bakery products (sliced white sourdough bread, sliced white bread, multigrain crispbread, white roll breads, cakes prepared with yogurt, biscuits) and four GF pasta products (penne, fusilli, tagliatelle, tortellini) were tested. These products are representative of the most common carbohydrate-based-products consumed in a Western diet. The method used was in accordance with the “Determination of the glycemic index (GI) and recommendation for food classification recommendations” (ISO 26642:2010(E)). Results: The tested bakery products had a low (≤ 54) (sliced white sourdough bread, cakes prepared with yogurt, biscuits) or a medium (55 to 69) (sliced white bread, multigrain crispbread, white roll breads) GI value. The tested pasta products resulted with low (≤ 54) (penne, fusilli) or medium (55 to 69) (tagliatelle, tortellini) GI. Summarizing, the GI of GF products are comparable to their gluten replete counterparts, however the variety of ingredients and formulations, used for their production, make difficult the comparison. Moreover, probably, besides nutritional and ingredient composition, the new researches in GF product technology have increased the quality of these products, affecting also their nutrient profile. Conclusion: In conclusion, GF products resulted to have low or medium GI. The present results do not support the observation made in previous studies testing GF products which showed that GF products induced a significantly greater blood glucose rise than the gluten counterparts. However, the low GI often could be due to added ingredients that increase lipid and protein content reducing carbohydrates. Reducing GI of cereal based products by replacing carbohydrates with lipids or proteins is not a successful strategy, considering that carbohydrates must be the main energy source in a balanced diet and that bread and pasta are the main carbohydrate contributors in the Italian diet.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 86

P44. Dietary profile of patients with Stargardt’s disease and Retinitis Pigmentosa: is there a role for a nutritional approach?

F. SOFI1-3, A. SODI

4, D. BIAGINI1, V. MURRO

4, A. MIELE4, G. ABBRUZZESE

4, R. ABBATE2, G.F. GENSINI

2,3, U. MENCHINI

4, A. CASINI1,2

1Agency of Nutrition, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Florence; 2Department of Experimental and Clinical Medicine, University of Florence; 3Don Carlo Gnocchi Foundation, ONLUS IRCCS, Florence, Italy; 4 Department of Surgery an Translational Medicine, Eye Clinic, University of Florence, Italy Background: Stargardt’s disease (STGD) and Retinitis Pigmentosa (RP) are inherited retinal degenerations that may be affected, in opposite way, by diet. Aim of this study was to evaluate dietary profile in a sample of patients with STGD and of RP. Methods: Dietary profile was assessed in 24 patients with STGD [12 M, 12 F; median age: 34 years (range: 13-64)], and in 56 patients with RP [23 M, 33 F; median age: 45 years (range: 14-85)] Results: According to the recommended daily intake guidelines for the Italian population, we documented in only 6

out of 24 (25%) STGD patients a daily intake of vitamin A within the recommended range [600-700 g retinol activity

equivalent (RAE)/day] while 14/24 (58.3%) reported a high daily intake (>700 g RAE/day) and 4/24 (16.7%) showed a

low daily intake (<600 g RAE/day). With regard to RP, 4/56 (7.1%) reported to be within the recommended range, 37/56 (66.1%) reported high daily intake and 15/56 (26.8%) showed low daily intake of vitamin A. Interestingly, STGD

patients with low vitamin A intake (<600 g RAE/day) showed significantly better visual acuity with respect to those

introducing higher intake of vitamin A (>600 g RAE/day) (right eye: 6.8 ± 3.4; left eye: 7.0 ± 3.8 vs. 3.2 ± 2.8 and 3.2 ± 2.7; p=0.04). Conclusions: The present study demonstrates inadequate nutrient intakes among patients with STGD and RP, especially for daily intake of vitamin A. The results may be used to suggest tailored nutritional interventions in these patients.

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"Comprendere ed applicare i LARN", Firenze, 21-22 ottobre 2013 87

P45. Studio sulla correlazione dieta e steatosi/steatoepatiti non-alcoliche (NASH/NAFLD). Indagine su una coorte di pazienti italiana (Programma Unione Europea FLIP).

S. TONI A, M. MALAVOLTI

A, N.C. BATTISTINI A, F. CARUBBI

A, S. BELLENTANI B, F. SCAGLIONI

B, S. CICCIA B, A.

PROCACCINI B, A. BARCHETTI

B, G. MAGNANI B, M. BUSACCHI

B, M. PELLEGRINI A

aDipartimento di Medicina Diagnostica, Clinica e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; bCentro Studi Fegato, Azienda USL Modena, Gastroenterologia Ospedale “Ramazzini” di Carpi Premesse: La dieta occidentale è caratterizzata da un elevato introito energetico, di grassi saturi e zuccheri raffinati. L’eccesso di calorie, unitamente alla riduzione dell’attività fisica, comporta un incremento dei fattori di rischio per obesità, diabete mellito tipo 2, malattie cardiovascolari e di NAFLD/NASH. Il contributo della dieta nella NAFLD è controverso e diversi studi hanno prodotto risultati contradditori. Abbiamo partecipato al progetto europeo FLIP per contribuire ad una maggior conoscenza della patogenesi e della terapia di queste epatopatie. Obiettivi: Studiare eventuali correlazioni tra alimentazione e NAFLD/NASH in un’ampia coorte di pazienti provenienti da tre diversi Centri di arruolamento italiani (Modena, Bologna, Torino). Metodi: Per lo studio sull’alimentazione abbiamo utilizzato il questionario EPIC, validato per indagare in modo retrospettivo l’introito alimentare ed energetico, l’apporto di macro e micronutrienti. Parallelamente abbiamo analizzato le variabili cliniche, strumentali e anatomopatologiche dei pazienti con NAFLD/NASH: misure antropometriche, esami ematochimici (test di funzionalità epatica e renale, assetto lipidico ed endocrino), valutazione della glicemia e dell’insulinemia a digiuno, test sulla sensibilità insulinica post-carico orale di glucosio, ecografia addome e Doppler Power Index (DPI) per stimare la steatosi epatica, misurazione dell’elastometria epatica con Fibroscan per valutare il grado di fibrosi epatica, biopsia epatica per diagnosi anatomopatologica. Risultati: Dall’analisi delle molteplici variabili prese in considerazione in 163 soggetti partecipanti allo studio abbiamo evidenziato come in questa popolazione di pazienti con NASH/NAFLD risulti elevato l’apporto di zuccheri semplici (>15% En), aumentato l’apporto di grassi saturi (>10% En), aumentato l’apporto di colesterolo, ridotta l’assunzione di fibra ed elevato l’apporto di sodio. Tra i parametri antropometrici considerati abbiamo evidenziato correlazioni significative tra BMI e circonferenza vita con i parametri clinico-strumentali del grado di epatopatia. Conclusioni: Il questionario EPIC ha permesso di evidenziare elevati consumi di zuccheri semplici e grassi saturi nelle coorti di pazienti NAFLD/NASH prese in esame. Questi dati evidenziano come le abitudini alimentari considerate si discostino dalle indicazioni riportate dai LARN 2012 per la popolazione italiana. La correlazione evidenziata tra parametri nutrizionali e antropometrici con i parametri clinici, strumentali e anatomopatologici utilizzati contribuirà a chiarire meglio le cause della NAFLD/NASH e a migliorarne la diagnosi e la terapia.

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P46. Policistosi ovarica, Insulino Resistenza e Obesità: ruolo del regime alimentare controllato nel ripristino di una normale funzionalità ovarica.

C.VIGNI*, V. DE LEO**, G. MORGANTE** *Biologa – Nutrizionista, PhD. Università degli Studi di Siena; **Clinica Ostetrica e Ginecologica, Dipartimento di Medicina Molecolare e Sviluppo, Università degli Studi di Siena. Introduzione: La Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) è la più frequente endocrinopatia del sesso femminile in età riproduttiva e la più comune causa di infertilità anovulatoria. Scopo: Lo scopo dello studio è stato quello di valutare in pazienti affette da sindrome dell’ovaio policistico, i valori di insulino – resistenza, l’eventuale presenza di obesità di tipo addominale e i disordini legati all’irregolarità mestruale. Metodi: Sono state arruolate 20 donne di età compresa tra i 18 e 32 anni con PCOS con BMI >25. Le pazienti sono state divise in due gruppi (A e B) in modo randomizzato, di n= 10 ciascuno. Al gruppo A è stata prescritta una dieta a basso Indice Glicemico (IG), con eliminazione totale di ogni tipo di zucchero semplice a parte un frutto/die (mela) mentre al gruppo B è stato lo stesso indicato un regime dietetico controllato ma più orientato su uno stile alimentare di tipo mediterraneo. Risultati: Dal punto di vista nutrizionale, alla prima visita di controllo è stata rilevata una differenza fra i due gruppi: il gruppo A ha avuto difficoltà nella prima settimana a mantenere il regime prescritto, sostenuto poi con estrema facilità dopo i primi 7 giorni e senza alcun “cedimento”. Nel gruppo B si sono avuti dei momentanei “cedimenti” con assunzione di dosi di cibo extra, a più riprese. Il gruppo A, a minimo contenuto di carboidrati, ha avuto una significativa riduzione dell’insulina e quindi minori situazioni di ipoglicemia con relativo attacco di fame. Il gruppo B, a maggiore % di carboidrati, ha mantenuto valori insulinemici più alti, con momenti di ipoglicemia che hanno portato più facilmente a “cedimenti” nel regime dietetico. In entrambi i gruppi, per la fascia di BMI da 25 a 29,9 si è notato un ripristino della ciclicità mestruale alla diminuzione dell’ ± 8% di peso corporeo. I soggetti con BMI >30 hanno avuto il ripristino della ciclicità mestruale solo con un calo dell’11% del peso corporeo. In termini di risultati positivi si sono ottenute 3 gravidanze, 2 nel gruppo A e 1 nel gruppo B. I soggetti del gruppo A sono rimaste incinte dopo circa 2 mesi di dieta ipoglicidica e soprattutto per aver perso peso corporeo. Conclusioni: Il presente studio, pur nell’esiguità del campione, sottolinea i potenziali benefici dell’intervento sullo stile di vita per la gestione della PCOS, oltre ad un giovamento nell’umore, nella qualità della vita e della salute anche cardiovascolare per le pazienti che riscontrano livelli di peso corporeo piuttosto elevati, spesso associati a ipercolesterolemia.

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P47. Sostenibilità ambientale ed economica della Dieta Mediterranea

A. GERMANI, V. VITIELLO, F. NIGRO, L. DIOLORDI, V. DEL BALZO Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione. Sapienza Università di Roma L’aderenza alla Dieta Mediterranea (DM) sta diminuendo a favore di diete iperproteiche. La produzione di alimenti di origine animale contribuisce maggiormente al riscaldamento Globale del Pianeta rispetto alla produzione di cereali, frutta e verdura. L’obiettivo è stato valutare impatto ambientale e costo della DM rispetto ad una iperproteica e ai consumi della popolazione (INRAN-SCAI 2005-2006). L’impatto ambientale, per il solo ciclo produttivo, è stato calcolato secondo tre indicatori: Carbon Footprint (kg CO2 equ/Kg prodotto), Water Footprint (litri/Kg prodotto), Ecological Footprint (m2/Kg prodotto) (Barilla Center for Food & Nutrition). È stato calcolato il costo (€) settimanale/persona della DM e dell’iperproteica. La spesa mensile per una famiglia di 4 persone (ISTAT 2013) è stata confrontata con quella che si sosterrebbe seguendo la DM. Per ogni gruppo di alimenti è stata calcolata la percentuale rispetto alla spesa totale. La DM porta alla produzione di 17,04 kg CO2 equ e al consumo di 13781 litri di acqua e 129 m2 di suolo. L’ iperproteica di 30,55 kg CO2 equ, 19767 litri di acqua e 201 m2 mentre i consumi reali di 24,09 kg CO2 equ, 16745 litri di acqua e 170 m

2.

Il costo settimanale/persona è 37,30 € per la DM e 58,13 € per l’ iperproteica. La spesa mensile di una famiglia (ISTAT 2013) è 586 €: 24,03% è speso per la carne, 16,36% per patate, frutta e ortaggi e 14,06% per latte, formaggi e uova. La spesa che si sosterrebbe con la DM sarebbe 596 €: 16% dovrebbe essere speso per la carne, 34% per patate, frutta e ortaggi e 20% per latte, formaggi e uova. La DM ha un impatto ambientale minore rispetto all’iperproteica e ai consumi della popolazione. Inoltre, consumare prodotti locali e stagionali promossi dalla DM, ridurrebbe notevolmente l’impatto. Seguire la DM comporta una spesa settimanale/persona minore rispetto all’iperproteica. Invece, tra la spesa mensile che una famiglia sosterrebbe seguendo la DM e quella realmente sostenuta non emerge una notevole differenza ma diversa è la ripartizione della spesa per i diversi gruppi alimentari. In conclusione, la DM è la più sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico.

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P48. Confronto di banche dati sui consumi alimentari per valutare l’adeguatezza della dieta

A. TURRINI, L. D' ADDEZIO, A. PETTINELLI, M. CAPRIOTTI, E. CAMILLI, L. MARLETTA Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (C.R.A-NUT), Roma, Italia Premesse: I dati sul consumo alimentare rappresentano il nucleo informativo per valutare l'adeguatezza e la sicurezza alimentare della dieta negli studi di popolazione, in associazione con i dati di composizione degli alimenti e le banche dati contenenti le concentrazioni di contaminanti. Obiettivi: Identificare gli effetti dell’utilizzo di fonti e tipologie di dati diversi sulla gestione dei dati ai fini del monitoraggio dei consumi alimentari e dei profili di dieta nella popolazione. Metodi: Confronto delle strutture dei dati (metadati) dei bilanci alimentari (FBS), delle indagini sui bilanci familiari (HBS) e delle indagini alimentari individuali (IDS); analisi delle liste di alimenti in base a diverse esigenze conoscitive. Risultati: La definizione del livello di dati (alimento non trasformato, trasformazione primaria, semi-preparato, pronto all’uso) consente di: 1) valutare i diversi aspetti della dieta alimentare (cibo come consumato) e l'esposizione ai contaminanti; 2) allineare le diverse banche dati in modo da sfruttare la loro potenza specifica informativa (confronto tempo e spazio); 3) creazione di database di ricette; 4) individuazione di nuovi descrittori delle voci alimentari o dei nuovi impieghi di quelli già esistenti. È possibile adottare nuovi punti di vista nella messa a punto dei metodi per l’osservazione dell’universo degli alimenti in un’ottica di filiera e di multidisciplinarietà. Conclusioni: Conoscere la struttura che qualifica la natura dei dati raccolti consente la progettazione di sistemi informativi integrati che permettono l’utilizzazione a diversi utenti e di stimare l’adeguatezza della dieta nei vari gruppi della popolazione italiana. Lavoro sviluppato in parte nel progetto PALINGENIO (banche dati consumi alimentari) e in parte nel progetto SIAGRO (monitoraggio del mercato degli alimenti) finanziati dal Ministero Italiano delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

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P49. Ricette tipiche Italiane: si possono rispettare le attuali indicazioni dietetiche senza rinunciare a tradizione e gusto? L. MARLETTA, E. CAMILLI, P. GABRIELLI, A. AGUZZI, S. LISCIANI, S. MARCONI, L. GAMBELLI Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (CRA-NUT) – Roma, Italia Premesse Qualità e genuinità del cibo in Italia vanno di pari passo con la tradizione e con un forte apprezzamento per il mangiar bene; la ricchezza e la varietà dei piatti consumati giornalmente dagli italiani viene confermata da quanto registrato nelle ultime indagini sui consumi (INRAN-SCAI, 2005–06) e contemporaneamente si riscontra una attenzione crescente verso una alimentazione sana che possa mantenere la salute e prevenire l’insorgenza di patologie. Obiettivi Analizzare le principali caratteristiche chimiche di alcune ricette tipiche italiane per valutare la ripartizione energetica di una porzione e la copertura dei fabbisogni medi per alcuni nutrienti. Metodi Sono state selezionate 8 preparazioni alimentari (primi, piatti unici, contorni, dolci) tra le più consumate e conosciute e per ognuna è stata individuata la ricetta tipica; una volta realizzata e cotta nella cucina sperimentale del CRA-NUT, è stata analizzata per il contenuto in proteine, lipidi, carboidrati (fibra, amido, zuccheri); è stata valutata inoltre la ripartizione energetica di ogni preparazione. In accordo con la tradizione alimentare e tenendo conto delle aspettative del consumatore è stata definita una porzione standard per ogni ricetta e la sua composizione di base è stata confrontata con i fabbisogni medi dell’uomo adulto sano (30-59 anni) (LARN, 2012). Risultati Per i primi piatti, che sono stati realizzati con uguali quantità di pasta cruda (80g/persona), si evidenzia quanto la tipologia di condimento condizioni sia la grammatura della porzione finale sia le calorie; l’apporto energetico maggiore (615 kcal) lo mostra una porzione (270g) di pasta alla amatriciana, quello inferiore (333 kcal) una porzione (300g) di pasta e fagioli. La ripartizione energetica che più si avvicina alle indicazioni di riferimento per la popolazione italiana (LARN, 2012) sono mostrate dal Pan di Spagna e dalla Pasta alla carbonara. Conclusioni Conoscere le caratteristiche nutrizionali dei principali piatti che consumiamo ci permette di programmare un regime dietetico giornaliero corretto; la valutazione nutrizionale di ogni singola ricetta studiata non soddisfa da sola i fabbisogni necessari ma può contribuire a stabilire un giusto regime alimentare permettendo di effettuare le necessarie compensazioni per una alimentazione più equilibrata. La qualità e la tradizione possono essere preservate bilanciando con le quantità e le varietà del cibo assunto.

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SOCIETÀ ITALIANA DI NUTRIZIONE UMANA Riunione Nazionale 2013

Firenze, 21-22 ottobre 2013

SEGRETERIA OPERATIVA SINU PLS Educational

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