Associazione culturale “Parma...

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1 Associazione culturale “Parma Nostra” Lo statuto Lo statuto dell’associazione recita: “Parma Nostra è una Associazione apolitica e aconfessionale a carattere culturale, che si pone l’obiettivo del recupero e della salvaguardia di tutto quanto si può catalogare come “civiltà parmigiana” quindi, in particolare, con interventi nel campo del dialetto, della storia, dell’arte, della letteratura e delle tradizioni…”. Pertanto è in coerenza con lo statuto, che l’associazione promuove il progetto Lingua e cultura di Parma. (il presidente Renzo Oddi) “Lingua e cultura di Parma” - diciamolo in dialetto - E’ Un progetto che si spera possa essere il primo di una serie che, secondo l’idea proposta dal prof. Giovanni Mori, si prefigge di dimostrare che parlare in dialetto è bello e non può più essere considerato un segno di ignoranza e di volgarità, tant’è che anche persone di elevata cultura non si vergognano di parlarlo. L’evento, lungi dal contrapporsi agli spettacoli di compagnie dialettali, che certamente sono comunque utili alla causa del dialetto, vuole mostrare come la nostra importante seconda lingua possa e debba essere usata anche fuori dal palcoscenico perché ancora viva e soprattutto bella. Chi desidera meglio approfondire questi concetti può consultar e l’articolo di Giovanni Mori, Motodialetto, a pagina 9, già pubblicato sulla rivista della Famija Pramzàna, al “Pont äd Méz”. (Dispensa a cura di Giuseppe Mezzadri)

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Associazione culturale

“Parma Nostra”

Lo statuto Lo statuto dell’associazione recita: “Parma Nostra è una Associazione apolitica e

aconfessionale a carattere culturale, che si pone l’obiettivo del recupero e della

salvaguardia di tutto quanto si può catalogare come “civiltà parmigiana” quindi, in

particolare, con interventi nel campo del dialetto, della storia, dell’arte, della

letteratura e delle tradizioni…”. Pertanto è in coerenza con lo statuto, che

l’associazione promuove il progetto Lingua e cultura di Parma.

(il presidente Renzo Oddi)

“Lingua e cultura di Parma” - diciamolo in dialetto -

E’ Un progetto che si spera possa essere il primo di una serie che, secondo l’idea

proposta dal prof. Giovanni Mori, si prefigge di dimostrare che parlare in

dialetto è bello e non può più essere considerato un segno di ignoranza e di

volgarità, tant’è che anche persone di elevata cultura non si vergognano di

parlarlo. L’evento, lungi dal contrapporsi agli spettacoli di compagnie dialettali,

che certamente sono comunque utili alla causa del dialetto, vuole mostrare come

la nostra importante seconda lingua possa e debba essere usata anche fuori dal

palcoscenico perché ancora viva e soprattutto bella.

Chi desidera meglio approfondire questi concetti può consultare l’articolo di

Giovanni Mori, Motodialetto, a pagina 9, già pubblicato sulla rivista della Famija

Pramzàna, al “Pont äd Méz”.

(Dispensa a cura di Giuseppe Mezzadri)

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ORIGINE DEL DIALETTO PARMIGIANO

Nel 183 a.C. i Romani, dopo avere tracciato la Via Emilia, sottomisero i Galli [li avevano

sconfitti nel 191!] e imposero la lingua latina. Il latino volgare, cioè parlato da soldati e

coloni importati, impiantandosi sulle locali parlate celtiche (che pertanto hanno funzionato

da sostrato al superstrato latino).

Lo dimostra anche il fatto che nel nostro dialetto sussistono parole derivanti da varie lingue.

• Parole derivanti dal sostrato celtico: Car (carro con quattro ruote); Galón (coscia);

Lidga (fango, dall’irlandese «ledega»); Brèssca (favo asciutto, da «brisca»). Si usa

ancora nel modo di dire: “sutt cme ‘na brèssca”.

• Parole e numerose espressioni sono derivate dalla bassa latinità: butér (burro) da

butyrum - sój (bigoncio) da solium – misóra (falcetto) da falx messoria- caldarén

(pentolino) da caldarinus - rezdór (capo famiglia) da rector.

• Parole derivanti dai popoli germanici: Bórogh (borgo (da «burgh» = città);

Guindol (arcolaio) da Gerwinder; Magón (stomaco) da magen; Brovär (scottare i

cibi). Sarùcch (scappellotto con le nocche della dita – dal tedesco zurük).

• Dallo spagnolo: Soghètt (corda) da soga) al m'à inlochì (dall'aggettivo loco =

pazzo).

• Parole di origine araba; mafón (occhi, e non soltanto, ammaccati) - mamalucch

(stolto).

• Parole derivanti dal francese: nel 1749 al seguito del duca Filippo di Borbone,

giunsero dalla Francia migliaia di persone: architetti, artisti, uomini di cultura,

artigiani, cuochi, camerieri ecc. E’ questa la ragione che spiega perché molti termini

francesi sono stati dialettizzati. Solo per citarne alcuni fra i tanti: lorgnètti, occhialini

da “lorgnettes”; babalàn, che parla a vanvera, da “babiller”; ombrìggol, ombelico,

da “nombril”, bufé, credenza, da buffet; cabarè, vassoio, da cabaret; comò,

cassettone, da commode…e si potrebbe continuare a lungo.

L’ODIERNA FUNZIONE DEL DIALETTO

(stralcio dagli appunti del prof. Guido Michelini)

Il dialetto parmigiano e l’italiano (o, meglio, il toscano) sono il risultato di sviluppi

diversi del latino parlato dalla gente comune, avvenuti nel periodo successivo alla

caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d. C.), quando il latino scritto perse il

suo ruolo di lingua ufficiale e sopravvisse perché era la lingua della chiesa, usata dai

religiosi delle diocesi e dei conventi.

In Italia si svilupparono dal latino parlato alcuni gruppi dialettali differenti, ciascuno

dei quali è caratterizzato da peculiarità proprie: gallo-italico in Piemonte, Lombardia,

Emilia-Romagna e Liguria, […] Intorno al 1000 sia i dialetti gallo-italici sia quelli

toscani non avevano tradizioni scritte: venivano parlati dalla gente comune, mentre la

sola lingua con tradizioni scritte era il latino, che pochi privilegiati sapevano.

Successivamente il dialetto toscano di Firenze iniziò ad essere usato come lingua

scritta ed acquisì poco alla volta una posizione preminente rispetto agli altri dialetti

italiani […] Diversamente dal fiorentino, il dialetto parmigiano non “fece carriera” e

continuò a rimanere una lingua con sole tradizioni orali, parlato dalla gente comune.

Con il progressivo affermarsi della lingua nazionale, i dialettofoni che non erano in

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grado di esprimersi in italiano diventarono inevitabilmente persone di seconda

categoria, bollate come ignoranti perché avevano conoscenze linguistiche da

analfabeti e mancavano di strumenti per una riflessione grammaticale.

Oggi i tempi sono cambiati. Chi parla in dialetto lo fa per scelta, non per necessità,

visto che più spesso sa benissimo l’italiano: non può essere considerato un ignorante,

ma è piuttosto una persona con una marcia in più rispetto a coloro che non conoscono

nessun dialetto, essendo in grado di comunicare a suo piacimento in due codici

diversi, anziché in uno solo….

LA PARLATA PARMIGIANA: LINGUA O DIALETTO?

Dialetti fratelli dell’italiano, non figli

sul piano strettamente linguistico, non esistono sostanziali differenze. I dialetti sono dunque

fratelli dell’italiano perché come l’italiano sono figli del latino.

Valore letterario

La sua importanza letteraria è inferiore a quella dell’italiano. Queste considerazioni ci

portano insomma a collocare senz’altro il dialetto su di un piano di inferiorità rispetto alla

lingua.

Il valore affettivo

Le cose però cambiano radicalmente se si considera che l dialetto ha per noi ha un valore

affettivo di gran lunga superiore all’italiano.

Ragioni identitarie

Se è vero che l’anzianità fa grado, il dialetto è di grado più elevato della lingua. Di questo si

era accorto in qualche modo Dante Alighieri che nel “De vulgari eloquentia” giudicava

senz’altro “nobilior” (più nobile) il volgare, cioè la parlata nativa (oggi diremmo il dialetto),

rispetto alla “gramatica”, come lui definiva la lingua latina.

‘ È’ LA NOSTRA LINGUA

Credo che la nostra parlata si possa definire sia lingua che dialetto. Siccome però il termine “dialetto” ha ancora “incrostazioni“ negative, preferisco dire che la nostra parlata è una lingua. Ma non una lingua qualsiasi: è la nostra lingua.

Una lingua completa E’una lingua che viene da lontano, che ha una sua letteratura, dei testi teatrali e un ricco patrimonio di modi di dire e di proverbi. È la lingua che permetteva alle persone di esprimersi e capire il prossimo perché, come scriveva Renzo Pezzani il nostro maggior poeta, il dialetto parmigiano: è bello, armonioso e bastevole a tutte le necessità e contingenze della vita e dello spirito”.

Scriveva ancora Pezzani a proposito del dialetto:

Colore e sale

Il vernacolo (dialetto) non è soltanto linguaggio rusticale di una contrada ne è il colore e il

carattere, l’immagine e il sale.

Eredità materna

Ed è soprattutto una ricchezza che è stolto respingere da noi perché è della vita

un’amorosa eredità materna. (Il dialetto veniva trasmesso dai genitori).

Tessera di identità

Diresti che col dialetto la natura ha voluto darti una tessera di identità, una classificazione

nell’ordine distributivo delle residenze umane.

(Dal dialetto riusciamo a capire la zona di provenienza delle persone).

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BREVE E SEMPLICE GLOSSARIO

NUMERI NUMMOR

GIORNI DELLA

SETTIMANA

GIORON ‘DLA

STAMANA

GIORNATA

E STAGIONI

GIORNÄDA E

STAGIÓN

1 von lunedì Lundì mezzogiorno mezdì

2 du martedì martedì pomeriggio dopmezdì

3 tri mercoledì marcordì tramonto tramónt

4 cuator giovedì Giovedì mezzanotte mezanota

5 sinch venerdi Venardì anno an

6 séz sabato sabot secondo secónd

7 sètt domenica Doménica ora óra

8 ot

minuto minud

9 nóv MESI DELL’ANNO MÉZ ÄD L’AN’ secolo secónd

10 déz gennaio Znär estate istè

11 vundoz febbraio farvär autunno avtón

12 doddoz marzo Märs inverno inveron

13 treddoz aprile Avril sempre sémpor

14 cuatordos maggio Mag’ mai mäi

15 cuindoz giugno Zuggn spesso spèss

luglio Lujj subito subitt, subitta

16 sèddoz agosto Agosst tempo fa témp fa

17 darsètt settembre Setémbor per poco tempo par poch témp

18 dezdòtt ottobre otobbor presto prést

19 deznóv novembre Nevémbor tardi tärdi

20 vint dicembre Dzémbor che ore sono ? che ór’è

LA GRAFIA

1944 - Con il suo volumetto “Il dialetto vivo di Parma e la sua letteratura” l’avv. Jacopo

Bocchialini ha cercato di mettere un po’ di ordine nelle norme grammaticali del nostro

dialetto.

1992 -Il professor Guglielmo Capacchi, autore del prezioso dizionario Italiano-dialetto, per

quanto attiene la grafia, ha aggiornato, codificato e in parte modificato le proposte di Jacopo

Bocchialini.

2016 - Il prof. Guido Michelini, professore ordinario di glottologia e linguistica nonché

titolare del corso di dialettologia presso il nostro Ateneo e autore del libro “Il dialetto

di Parma – Il sistema linguistico”, uscito di recente, ha proposto un diverso sistema di

grafia del dialetto declinato in due diverse modalità. Una prima modalità che cerca di

cogliere tutte le sfumature della fonetica e una seconda che possiamo definire semplificata e

che è quella più interessante per i non specialisti e della quale, di seguito, è inserito un

esempio. Si tratta di un testo di Giampiero Caffarra, amico non più tra noi, che invitava a

non esagerare con la nostalgia dei tempi passati perché non era sempre tutto più bello e, in

particolare, era scarsa la sensibilità verso le persone con difetti fisici.

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Testo originario scritto nella grafia

tradizionale1(Capacchi)

Lo stesso testo scritto secondo i principi

grafici proposti da Michelini

Giampiero Caffarra al dzäva che al

rimpjànt par la nostra gioventù e i nostor

témp l’à miga da fär scordär i difét ’dla

mentalitè ’d dachindrè. Gh’ éra poca

sensibilitè, p’r ezémpi, par la génta ch’ a

gh’ äva di difét fisich o dil menomasjón.

Tanta génta la ne s’ réndäva gnanca cónt

dal tutt dal mäl che, anca sénsa vrér, i

procurävon in-t-al mètt’r in rizält i difét.

Se, p’r ezémpi, vón l’ éra sop, facilmént j

al ciamävon “gambalissa” o “gamba ‘d

lèggn”. A chi gh’ mancäva ‘na man o un

bras facilmént i ghe dzävon “mónch” o

“mochén”. Quand invéci vón al gh’äva j

ociäj al dvintäva “quattroc’”.

Chi gh’äva al näz gros al dvintäva

“canapja” e par torl in gir sensa der int

l’oc i ghe dzevon “canapja mei da

piovor.

E chi gh’ äva la tésta grosa “testón

botol”. Al botol l’è al girén

Giampiero Caffarra al dzeeva che al

rimpjànt par la noostra gioventù e i

noostor témp l’à miiga da feer scordeer i

difét dla mentalitè ’d da’chì’ndrè.

Gh’eera pooca sensibilitè, pr’ezempi, par

la genta ch’a gh’eeva di difeet fisic o dil

menomasjón. Tanta genta la ne’s

rendeeva gnanca cónt ed tùt al meel che,

anca sensa vreer, i procureevon int al

metr’ in rizèlt i difeet. Se, pr’ezempi, vón

l’eera soop, facilmént j al ciameevon

“ganbalisa” o “ganba ’d lègn”. A chì

gh’ mancheeva na màn o un braas,

facilmént i ghe dzeevon “mónc” o

“monchén”. Cuànd inveeci vón al

gh’eeva j oceej, al dvinteeva

“cuattrooć”. Chì gh’eeva al neez groos,

al dvinteeva “canapja” e par toor’l in

giir sénsa deer int l’ooć i’gh dzeevon

Canapja meej da pjoovor. E chì

gh’eeva la teesta groosa “testón bootol”.

Al bootol l’é al girén.

POETI PARMIGIANI La nostra città ha dato vita a molti validi poeti. Ne segnaliamo alcuni perché si può cogliere l’identità dei parmigiani, far emergere le connotazioni culturali, i grandi temi, del popolo parmense attraverso la lettura delle poesie dei suoi poeti, come Alfredo Zerbini e Renzo Pezzani, ritenuti i più qualificati poeti dialettali del ‘900 parmense. Sono i due poeti che hanno rappresentato le due anime di Parma, quella popolare dell’Oltretorrente in Zerbini e quella un po’ borghese della Parma ducale in Pezzani. Come pure vale per i bravissimi Luigi Vicini e Fausto Bertozzi.

FAUSTO BERTOZZI Fausto Bertozzi, ingegnere e dirigente d’azienda, ha l’hobby della poesia e, in particolare, di

quella dialettale. Nel 1989 ha pubblicato un libro di poesie, dal titolo "Scarfulli" (Palatina

editrice). “Scarfulli” sono le prime piccole falde di neve, avvisaglie di una nevicata

imminente; similmente le sue poesie non sarebbero vere poesie ma un inizio. Guglielmo

Capacchi, fin da subito, ha assicurato invece che non erano affatto "Scarfulli" ma "falùppi",

(falde) vere e proprie. Nella premessa del libro scriveva Bertozzi:

“Le cose che ho raccolto in questo libro sono il frutto di momenti particolari durante i

quali, vinta la ritrosìa ad affrontare un foglio bianco, ho sentito più forte il desiderio di

esprimere quelle sensazioni che si avvertono nella vita. E proprio il dialetto è stato lo

strumento più efficace. Io penso, gioisco, m’addoloro e impreco ancora in dialetto”.

1 Pubblicato in: 35 anni: il meglio del Lunario parmigiano 1982-2016 (a cura di G. Mezzadri e R. Oddi), Parma, Parma

Nostra 2016, p. 57.

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Il campani äd Pärma

Da ‘na fnéstra äd la me ca

sént rivär tanti matén’ni

äd campani un din-don-dan,

a comincia il capusén’ni

“Coza crèddot, veh, putén’na?”

A gh’ rispónda la ‘Nonsiäda,

“Miga fär la zgalzarén’na,

che anca mi són bélle alväda!”

“Sarò vécia il me ragasi,

mo ‘n’ gh’ò l’äzma ne l’afàn.

Dedchì su mo si pran basi!”

Sälta su còlla ‘d san Zvan.

“Al so zà!”, fà Santa Cróza,

“però incó mi són in fésta:

‘na ragasa la se spóza,

l’é za chi cój fiór in tésta”.

“Su putén’ni andì d’acordi

cónta (al siv?) sól ésor bón!

Campanär zò tutti il cordi!”

Sälta fora al Campanón.

Sèmma tutti dil campani

parlèmm tutti al stés djalètt,

sèmmia o no tutti pramzani?

E a s’ piäz sól parlär bél s’cètt.

Da una finestra della mia casa

sento arrivare tante mattine

di campane un din-don-dan.

Cominciano le Cappuccine

Cosa credi, veh bambina?

Le risponde l’Annunziata,

“Non fare la spiritosa,

che anch’io sono già alzata!”

Sarò vecchia ragazze mie

ma non ho né l’asma né l’affanno.

Da star qui su come siete basse!”

Salta su quella di San Giovanni.

“Lo so già, fa Santa Croce,

però oggi io sono in festa:

una ragazza si sposa,

è già qui con i fiori in testa.

“Su bambine andate d’accordo

conta (lo sapete?) solo esser buoni!

Campanaro, giù tutte le corde!”

Salta fuori il Campanone.

Siamo tutte delle campane

parliamo tutte lo stesso dialetto,

siamo o no tutte parmigiane?

E ci piace solo parlare bel schietto.

ALFREDO ZERBINI (1895 -1955)

Alfredo Zerbini (1895-1955) autore di numerose bellissime poesie era un autodidatta.

Molte delle sue conoscenze le aveva ricavate andando a scavare con pazienza e

passione negli archivi della Biblioteca Palatina presso la quale era impiegato. La

passione per la poesia e per il dialetto lo assorbiva completamente. Egli però non si

limitava a scrivere le sue poesie ma si dava da fare per organizzare serate culturali sia

in città che in provincia, durante le quali, esse venivano lette.

Per questa dispensa ho scelto due poesie una molto buffa e un’altra di contenuto

profondo per dimostrare che il dialetto non è soltanto una lingua che serve a far ridere

ma è una lingua veramente completa che permette di esprime pensieri e sentimenti di

ogni genere.

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Al ni

J àn fat un ni ch’al par un guss ad noza,

un ni picén cme lor, da scalzarén;

j én tant content ch’an gh’basta pu la voza

par dir coi so gorghègg ch’i s’volen ben.

Mo un cassador ... Ah! Sgnor, che brutta cosa!

Mo co’ gh’è saltè in menta, a cl’asassén?

Con na s’cioptäda, vunna, mo rabiosa,

l’à butè p’r aria al ni, masse j ozlén!

I n’vreven che cantar la primavera,

l’amor, la päza, al sol, la libartè ...

E adessa, insangonent, j én lì par tera!

Anca j anvel j én mort! ... Ah! Che pietè!

La guera, dapartutt, semper la guera!

Mo an gh’sarà mai, un fil d’umanitè?

L’astronomia

Re Gisto, che stasira l’è in bolètta,

l’à pensè ben, par fär economia,

ad sedres lì par sträda int na banchètta

a insgnär a chi ragass l’astronomia.

La scöla l’è al complet: a gh’è Trombón,

Sbrägh-d’oc, Colomi, Sbrizli e Beli-sissi,

Gajoffa, Scana-grill, Giùli-bombón,

Bo-d’or, Sajètta, Mòrbia e Magna-bissi.

Comincia! — a fa Varisto Bargnoclón,

ch’al gh’era an’ lu, sedù int al marciapiè.

S’a ne t’si miga un stronom dal tramlón,

dì su parche int il steli as vedda apiè. —

O bela! ... - a fa Re Gisto. - Al so ’d sicur:

sicome insìmma al steli a gh’è dla genta,

sta genta cosa fàla, quand l’è scur?

La pìa al lum si no la n’gh’vedda gnenta.

I pijen di candlot ch’j én un pés l’ón!

E d’ogni tant i bruzen di melgass;

acsì, col fumm, as forma chi nuvlón

ch’i srèn po colli ch’manda zo di squass. —

Gostén, ch’al sta lì söra al second piàn,

con tutt col ciciarär, al s’è desdè;

tó su al bocäl e sòra a chi gabiàn

l’à vudè zo, va ben ... coll ch’l’à vudè!

E st’aqua, chi la forma? — a fa Varisto.

La gh’à ’n odor, ragass, ch’la m’a

instomghè!

As vedda che int il steli — a gh'à ditt Gisto

sta sira a gh’è un qualcdón ch’a s’è purghè!

Re Gisto

Re Gisto, era un simpatico ladruncolo vissuto nell’Oltretorrente nel periodo tra le due guerre.

Era un ladro vero (di quelli però che oggi farebbero tenerezza) e si fece anche, uno o due per volta,

parecchi anni di galera. Risultava simpatico perché spesso le sue imprese non avevano scopo di

guadagno ma soltanto le faceva per il gusto di fare degli scherzi alcuni dei quali, il poeta Zerbini, ha

immortalato con simpatiche rime come quella sopra riportata.

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RENZO PEZZANI (1898 -1951) Singolare figura d’artista, anima mite e candida, uomo aperto, leale e sincero, poeta

di vena feconda e gentile, insegnante elementare. Creatore del «Dolce stil novo

parmigiano». Renzo Pezzani nato a Parma il 4 giugno 1898, da una modesta famiglia

di stimati artigiani, aveva conseguito il diploma di maestro elementare nel 1921 e

aveva subito vinto il concorso per l'insegnamento nelle scuole cittadine. La poesia

che segue, una delle tante che scritto sia in dialetto che in lingua, è tratta dal libro

BORNISI –Luigi Battei – Parma 1978

Fa la nana Angilen con glj äli dori

e du ocett nigor cmè il mori,

fa dormir al me puten,

met’gh al col un campanen,

un insonni in-t-al cussen,

met’gh un lumm dent’r in-t-al cör

che m’al tena guardè ’l Sgnör.

Mi t’al lass. Tenol pär man,

portmel pur anca lontan,

mo dmaten’na ataca ’l let,

angilen, guarda ch’al spet.

Al spet chi pär där’gh un bäz:

stagh atent ch’al ne se squata,

ch’al ne ciapa dl’aria mata;

tenmol cäld, quatè cme un bräz.

Angioletto dalle ali d’oro

con due occhietti neri come le more,

fa dormire il mio bambino,

mettigli al collo un campanellino,

un sogno sul cuscino,

mettigli un lume dentro al cuore

che me lo tenga guardato il Signore

Io te lo lascio, tienilo per mano,

portamelo pure anche lontano,

ma domattina accanto al letto,

agioletto guarda ch lo aspetto.

Lo aspetto qui per dargli un bacio:

stagli attento che non si scopra,

che non prenda aria matta;

tienimelo caldo come un brace.

VITTORIO CAMPANINI Questo parmigiano un po’ arioso, classe 1938, nato a S. Polo di Tortile, ha speso la sua vita

lavorativa per 36 anni in una grande azienda commerciale nel cuore della nostra città.

Nato in una famiglia contadina, non ha mai dimenticato le sue origini e la saggezza che la

sua terra gli ha insegnato. E’ poeta dialettale di notevole fecondità e sono almeno cinque i

libri pubblicati con un vasta raccolta di versi, rime e di cantate. A lui si deve l’iniziativa

in corso volta alla diffusione e alla conoscenza del dialetto nelle scuole elementari e

medie.

Questa che segue è una delle poesie che gli alunni delle scuole apprezzano maggiormente

L’amicissja

La gh’à da nasor spontaneamént,

cme un fjór ch’à semnè al vént.

L ’amicissja la gh’é da regalär:

l’é miga da véndor o da comprar.

Però l’amicissja, la gh’à un gran valór:

la s ’ vèdda miga! La sénta sól al cór.

Quand cuél äd brùtt o bél pól capitär n ’n

amigh a te t ’ pól confidar.

Chi gh’à un amigh onést e sincér,

pu che i tant sold al pól valér.

Cól témp, tanti cozi a s ’ pól scordär:

l’amicissja la s ’ pól miga cancelär. (Vittorio Campanini)

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PROVERBI EDUCATIVI MOLTO UTILIZZATI UN TEMPO Le mamme, un tempo, utilizzavano spesso anche la saggezza dei proverbi per

educare i figli "a l'ónor dal mónd".

Per educare al rispetto del cibo e a non sprecare dicevano:

"Al Sgnór l'é zmontè da cavàl par tór su 'na briza äd pan".

(Il Signore è sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane).

Per inculcarci la generosità anche verso gli altri dicevno:

"Tutti il bòcchi j én soréli, meno che còlla dal fóron". (Tutte le bocche sono sorelle,

meno quella del forno).

"Chi maledissa al Sgnór, al gh' n'à äd bizòggna". (Chi maledice il Signore ne ha

bisogno).

"Chi condana al pól sbaljär, chi pardon'na al ne sbalja mäi." (Chi condanna può

sbagliare. chi perdona non sbaglia mai).

"La coresjón la pól fär bombén, mo l'incoragiament al fa äd pu".

(La correzione può fare molto ma l’incoraggiamento fa di più).

“E’ mej un cativ d’acordi che ‘na bón’na senténsa”.

(É meglio un cattivo accordo di una buona sentenza, cioè che andare in giudizio).

"Un putén al ne s’ arcordrà mäi se la ca' l'era lustra mo se at ghe contäv dil foli."

(Non ricorderà la casa lucida ma le favole).

"Al riddor l'é ‘na lénngua chi capison in tutt al mónd." (Ridere è lingua

universale).

"Fa pu chi vól che chi pól." (Fa più chi vuole che chi può).

"I ver guaj äd la vìtta i comincion quand in ca' an gh' manca pu njent."’

"L'é mej un aiut che sent consìlli." (Meglio un aiuto di 100 consigli).

“Al pan ‘d j ätor al gh’à sètt grossti”. (Il pane altrui ha 7 croste. E’ l’equivalente del

dantesco “come’è duro calle…).

“Pansa pien’na l’an crèdda miga ala vóda”. (Pancia piena non crede alla vuota).

Non mancavano i proverbi “dissacranti” Sono parecchi i detti che esorcizzano con l'ironia la vecchiaia e

i suoi inconvenienti "amorosi".

"Pu crèssa j ani, pu cala 'l morbén". (La voglia).

"Quand la vitta l'è frussta, la tésta la s' giusta".

"L'avocät ch'à pers la cavsa al conosäva tutti il légi,

l'avocät ch'à véns al conosäva i giuddic".

"La légia e la parzón l'è fata pri cojón".

"S’a t’ rob 'na galén’na it metton a la cadén’na, s’a t’ rob di

milión at fa njenta nisón".

NOTA IMPORTANTE

i seguito ho inserito l’articolo: “Motodialetto”, già pubblicato sulla rivista della

Famija Pramzàna “Al pont äd Méz”, che propone una istruttiva e interessante similitudine tra l’evoluzione del mercato delle moto e l’evoluzione nell’utilizzo del dialetto.

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