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Universit` a degli Studi di Lecce Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica Tesi di Laurea Aspetti Perturbativi della Cromodinamica Quantistica in presenza di Supersimmetria Laureando: Marco Guzzi Relatore: Dr. Claudio Corian` o Anno Accademico 2001-2002

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  • Università degli Studi di LecceFacoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

    Dipartimento di Fisica

    Tesi di Laurea

    Aspetti Perturbativi dellaCromodinamica Quantistica in presenza di

    Supersimmetria

    Laureando: Marco Guzzi

    Relatore: Dr. Claudio Corianò

    Anno Accademico 2001-2002

  • Ringraziamenti

    Un immenso grazie alla mia famiglia che mi ha dato la possibilità di continuare gli

    studi.

    Speciali ringraziamenti vanno al mio relatore Dott. Claudio Corianò per la sua

    pazienza e per i suoi insegnamenti.

    Ringrazio in particolar modo i miei colleghi Alessandro Cafarella, Andrea Ventura,

    Tonio Moro per i loro preziosissimi consigli.

    Infine un grazie spropositato a tutti i “Drughi” della saletta laureandi: Antonio

    “Peto” Vergine, Alessandro “Il Furbastro” Cafarella, Giuseppe “Pagliarone” Pagliara,

    Domenico “l’amico Zac” Zacà, Antonio “Botrugnaccio” Botrugno, Andrea Massafra,

    Piero “il giocatore” De Falco, Giulio Landolfi, Piergiulio Tempesta. Senza di loro e

    senza le loro performance non ce la avrei mai fatta!!!

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  • Contents

    Introduzione al lavoro di tesi 1

    0.1 Perchè supersimmetria e polarizzazione? . . . . . . . . . . . . . . . . 2

    0.2 Parti originali della Tesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

    0.2.1 Un commmento: SQCD (o N=1 QCD) verso la vecchia “QCD

    con dinamica supersimmetrica” . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

    0.3 Sul ruolo degli scalari e sulle asimmetrie di stato iniziale . . . . . . . 5

    0.4 Introduzione a QCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

    Capitolo 1. Teorie di gauge 91.1 Trasformazioni di gauge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

    1.2 Simmetrie non abeliane e teorie di Yang-Mills . . . . . . . . . . . . . 13

    1.3 La cromodinamica quantistica come teoria di Yang-Mills . . . . . . . 16

    1.4 Regole di Feynman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

    Capitolo 2. Modello partonico 212.1 Il modello partonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    2.1.1 Diffusione profondamente anelastica elettrone-nucleone . . . . 22

    2.1.2 Processo di Drell-Yan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

    2.1.3 Formula di fattorizzazione e Running coupling . . . . . . . . . 30

    2.1.4 Risoluzione dell’equazione di Altarelli-Parisi . . . . . . . . . . 34

    2.2 Trasversità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

    2.3 Polarizzazione longitudinale e trasversa . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

    ii

  • Contents iii

    2.3.1 Polarizzazione longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

    2.3.2 Polarizzazione trasversa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

    2.4 Analisi della evoluzione delle trasversità . . . . . . . . . . . . . . . . 46

    2.4.1 Analisi della evoluzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

    2.5 Condizioni iniziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

    2.6 Grafici ottenuti dall’implementazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

    2.7 Appendice A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

    2.8 Appendice B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

    Capitolo 3. Processi elementari 653.1 Processi di interazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

    3.1.1 Processo qq −→ qq . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66

    3.1.2 Processo qg−→qg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

    3.1.3 Il problema del ghost . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

    3.1.4 Processo q q −→ q q . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78

    3.2 Analisi del processo qq−→qqg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

    Capitolo 4. Introduzione alla supersimmetria 874.1 Gruppo di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

    4.2 Il gruppo di Poincarè . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

    4.3 SL(2,C), Algebra spinoriale, formalismo di Van der Warden . . . . . . 94

    4.4 Connessione tra SL(2,C) e il gruppo di Lorentz ristretto . . . . . . . . 96

    4.5 Spinori di Dirac e Majorana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

    4.5.1 Coniugazione di carica, gli spinori di Majorana . . . . . . . . . 103

    4.6 Teoremi di Coleman-Mandula e di Haag-Lopuszanski-Sohnius . . . . 104

    4.7 Grading di un’algebra di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

    4.7.1 Z2 grading di un’algebra di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

    4.8 Estensione supersimmetrica dell’algebra di Poincarè . . . . . . . . . . 110

  • iv Contents

    4.9 Rappresentazioni della super algebra di Poincarè . . . . . . . . . . . . 115

    4.9.1 Classificazione delle rappresentazioni irriducibili, supersimme-

    tria con N=1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117

    4.9.2 Supersimmetria con N>1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

    4.10 Formalismo dei supercampi e superspazi . . . . . . . . . . . . . . . . 122

    4.11 Trasformazioni finite di supersimmetria nel formalismo di Weyl . . . . 125

    4.12 QCD Supersimmetrica: l’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

    4.13 Calcolo di Processi Supersimmetrici: Formalismo Generale . . . . . . 133

    4.14 Processi elementari in presenza di fermioni di Majorana . . . . . . . . 140

    4.15 Esempi di calcolo per N = 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

    4.16 Calcolo del processo q q → q̃ q̃ da principi primi . . . . . . . . . . . . 1494.17 Un nostro suggerimento: Asimmetrie in presenza di supersimmetria . 155

    4.18 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156

  • v

  • Introduzione al lavoro di tesi

    L’obbiettivo di questa tesi è quello di fornire una descrizione degli strumenti essenziali

    che intervengono nello studio dei processi di collisione adronici ad alte energie.

    La teoria che descrive le parti salienti di tali processi di interazione è denominata

    Cromodinamica Quantistica (o Quantum Chromodynamics, QCD). Questa è la teo-

    ria delle interazioni forti e non un modello, essendo stata verificata sperimentalmente

    con grande accuratezza.

    In oltre 30 anni di attivita’ teorica e sperimentale, QCD ha dimostrato di reggere a

    tutti i test possibili e la descrizione delle interazioni forti che ne è conseguita ha rapp-

    resentato una delle pietre miliari del pensiero scientifico. QCD è una teoria di campo

    locale, rinormalizzabile e con simmetria di gauge basata sul gruppo di colore SU(3).

    In questo lavoro di tesi discuteremo due aspetti principali di QCD che serviranno sia

    come illustrazione dell’uso del modello partonico (cioè QCD nel regime perturbativo)

    sia della sua estensione supersimmetrica.

    Il primo aspetto riguarda lo studio di QCD in presenza di fenomeni di polarizzazione

    degli urti adronici, mentre il secondo riguarda lo studio di processi d’urto partonico

    in presenza sia di supersimmetria che di polarizzazione.

    Entrambi gli studi sono originali e verranno discussi nella prima e nella seconda parte

    rispettivamente della tesi. Come verrà illustrato più in dettaglio in seguito, esiste una

    precisa formulazione di come avviene la descrizione di un processo di collisione adron-

    ica ad alte energie. Il nostro obiettivo sarà quello di mostrare, in una applicazione

    originale, quali sono le fasi salienti di questa descrizione, riassunte da una formula di

    fattorizzazione delle sezioni d’urto adroniche sulla quale elaboreremo in dettaglio.

    Abbiamo deciso di focalizzare la nostra descrizione nel contesto degli urti polarizzati,

    intorno ai quali esiste una notevole attivita di ricerca sia teorica che sperimentale.

    In particolare, uno degli interessi scientifici correnti in QCD investe lo studio di una

    speciale funzione di struttura chiamata “trasversità” o, in gergo tecnico h1. Questa

    funzione descrive la distribuzione di spin trasverso dei quark nel nucleone in funzione

    1

  • 2 Introduzione al lavoro di tesi

    di due variabili, la variabile di Bjorken (x) e la scala di fattorizzazione Q2. In parti-

    colare illustreremo come risolvere le equazioni di evoluzione della funzione h1 usando

    un metodo basato su relazioni di ricorrenza che formuleremo e giustificheremo.

    La descrizione teorica di questa prima parte include sia una introduzione al modello

    partonico, alle funzioni di struttura ed alle distribuzioni partoniche, sia uno studio

    delle equazioni di evoluzione formulate con metodi di ricorrenza.

    La nostra analisi è prima formulata all’ordine principale (leading order) in una espan-

    sione in αs, la costante di struttura forte, e poi al second’ordine (next-to leading).

    Determinate le relazioni di ricorrenza, presenteremo i risultati numerici di una im-

    plementazione di queste relazioni che portano ad una predizione molto accurata della

    evoluzione della funzione h1(x,Q2) al variare della scala di fattorizzazione Q. I risul-

    tati numerici sono parte di un articolo in fase di ultimazione.

    Dopo questa prima parte, in cui familiarizzeremo con alcuni dei concetti più avanzati

    del modello partonico, passeremo ad uno studio di processi elementari in presenza sia

    di supersimmetria che di polarizzazione. Gli strumenti formulati nella prima parte

    risulteranno utili per tale analisi, ma vedremo che, in presenza di supersimmetria,

    QCD è una teoria caratterizzata da una notevole complessità di calcolo, dovuta alla

    presenza di nuovi vertici di interazione, alla comparsa di campi scalari ed alla com-

    parsa di fermioni di Majorana. Illustreremo in vari calcoli di ampiezze elementari

    alcuni di questi aspetti. L’esperienza acquisita nella prima parte della tesi, soprat-

    tutto nello studio di processi chirali, ottenuti mediante l’introduzione di proiettori

    di ampiezze chirali, sará cruciale per lo studio dei processi supersimmetrici, essendo

    questi caratterizzati da interazioni chirali. Questo studio è parte di una analisi in

    corso, riguardante l’uso di regolarizzazioni chirali appropriate nello studio delle for-

    mule di fattorizzazione supersimmetriche.

    0.1 Perchè supersimmetria e polarizzazione?

    In questa tesi non affronteremo tutte le questioni riguardanti la supersimmetria nel

    modello partonico, giacchè gli aspetti irrisolti nel campo sono ancora numerosi. Ab-

    biamo preferito soltanto limitarci, nel nostro studio, a mettere assieme un metodo

    d’indagine ed a preparare degli strumenti che speriamo saranno utili nel futuro per

    una indagine accurata della questione. Vediamo brevemente quali ne sono le ragioni.

  • 0.1. Perchè supersimmetria e polarizzazione? 3

    In QCD gli accoppiamenti della teoria sono di tipo vettoriale. Cioè parti destre e

    sinistre dei fermioni di Dirac si accoppiano allo stesso modo ai campi di gauge (in

    questo caso ai gluoni). Supponiamo, però di polarizzare lo stato iniziale in una colli-

    sione adronica. In questo caso dobbiamo cominciare a preoccuparci del modo in cui le

    divergenze della teoria si organizzano a livello perturbativo in presenza di interazioni

    chirali, visto che le ampiezze partoniche si decompongono in basi di elicità. Essendo

    i quarks leggeri senza massa, oltre alle usuali divergenze ultraviolette, la teoria com-

    incia a presentare divergenze infrarosse ( e chirali) che sono difficili da regolarizzare.

    Queste divergenze addizionali appaiono per emissione di radiazione collineare e sof-

    fice. Il modo in cui avvengono le cancellazioni di queste divergenze è non ovvio e la

    prova che il risultato di un certo calcolo perturbativo è finito (a posteriori) rimane,

    ancora oggi, un puzzle. Ad esempio è noto che, in questi tipi di processi, una rego-

    larizzazione chirale soddisfacente è quella di t’Hooft-Veltman. La regolarizzazione,

    in particolare, viola la conservazione dell’elicità in contributi che non sono privi di

    divergenze infrarosse. Proviamo a considerare un processo d’urto supersimmetrico

    che, come vedremo, fa apparire vertici chirali. Assumiamo anche che le energie di

    interazione in gioco siano molto alte, in modo che le masse di tutti gli stati interni

    propaganti siano approssimativamente zero. In questo caso vedremo apparire gli stessi

    tipi di divergenze soffici e collineari che erano presenti in una teoria chirale. Queste

    semplici considerazioni sono sufficienti per stabilire un collegamento tra studi di re-

    golarizzazioni perturbative in QCD polarizzata ed in QCD supersimmetrica. Nella

    nostra analisi intendiamo sempre tenere distinti i contributi degli scalari sinistri e

    destri. La ragione per cui siamo interessati allo studio di processi supersimmetrici in

    questi tipi di regimi è legata al programma di studio degli aspetti astroparticellari

    della radiazione supersimmetrica ed alla sua organizzazione angolare. Per ragioni di

    spazio accenneremo solo brevemente a questo argomento. Gli ultimi capitoli della

    tesi hanno come obbiettivo quello di analizzare il comportamento delle ampiezze par-

    toniche in presenza di interazioni chirali con campi scalari sinistri e destri mantenuti

    distinti. Formuleremo delle regole di calcolo molto semplici ispirate dallo studio di

    diagrammi unitari sulla base di quanto appreso nella prima parte della tesi riguardo

    i processi elementari.

  • 4 Introduzione al lavoro di tesi

    0.2 Parti originali della Tesi

    La parte originale della tesi e’ nello studio delle equazioni di evoluzione usando i

    metodi di ricorsione, metodi che verranno illustrati nei capitoli successivi ed applicate

    a distribuzioni di spin trasverso. Inoltre verra’ discusso un metodo di approssimazione

    degli integrali generati dal metodo di ricorrenza che permette il controllo delle sin-

    golarita’ presenti nel nuclei di evoluzione, che sono definiti in senso distribuzionale.

    Mostreremo grafici delle funzioni di distribuzione di spin trasverso, ottenuti con questo

    metodo, al secondo ordine nella costante di accoppiamento forte αs.

    0.2.1 Un commmento: SQCD (o N=1 QCD) verso la vecchia “QCDcon dinamica supersimmetrica”

    Passeremo poi ad una analisi degli aspetti supersimmetrci della cromodinamica quan-

    tistica. Ricordiamo, a proposito, che aspetti di supersimmetria, specialmente nella

    descrizione partonica, sono stati descritti in precedenza nella letteratura. Comunque,

    facciamo presente, che tali risultati precedenti descrivono solo una versione di QCD in

    cui i quark (di massa nulla) (left e right) vengono assegnati ad una rappresentazione

    aggiunta invece che alla fondamentale, del gruppo di colore. E’ facile capire che tale

    descrizione e’ molto vicina alla descrizione di QCD supersimmetrica di cui noi ci oc-

    cuperemo, ma tale descrizione corrisponde, solo alla descrizione del multipletto di

    gauge di N = 1 QCD o SQCD. In passato, a tale versione di QCD e’ stata data una

    certa attenzione nello studio delle ampiezze di elicita’ di processi multipartonici.

    Nel nostro caso, cioe’ in SQCD, avremo oltre al multipletto di gauge (gluone e

    gluino), anche i quark scalari (left e right), che nella QCD supersimmetrica descritta

    nel passato semplicemente non erano presenti. Il termine corretto per descrivere la

    “vecchia” QCD supersimmetrica e’ “Supersymmetric Gluon dynamics”. Essendo il

    gluino nella raprresentazione aggiunta di SU(3), ed essendo un fermione, si comporta

    come un quark nella aggiunta. Per di piu’, se si lavora con una elicita’ sola (solo

    Left, oppure solo Right), allora i gradi di liberta’ del fermione (L o R) e del gluone,

    si bilanciano, e da qui emerge questa proprieta’ di supersimmetria di cui si parlava in

    passato. Formuleremo delle regole efficienti per il calcolo di processi multipartonici e

    ne forniremo degli esempi. Confrontremo il risultato ottenuto con le regole formali,

  • 0.3. Sul ruolo degli scalari e sulle asimmetrie di stato iniziale 5

    con quello diretto che viene dalle contrazioni di Wick.

    0.3 Sul ruolo degli scalari e sulle asimmetrie di stato iniziale

    L’ultima parte della tesi vertera’ su questo argomento. Faremo una semplice appli-

    cazione e cercheremo di convincere il lettore che asimmetrie di stato iniziale, quali

    quelle misurate a collisori adronici polarizzati, possono essere utili per individuare

    possibili contributi di supersimmetria in cima alle ordinarie asimmetrie di QCD.

  • 6 Introduzione al lavoro di tesi

    0.4 Introduzione a QCD

    Verso la fine degli anni ’50 e negli anni ’60, si pensava che le interazioni forti degli

    adroni non potessero essere descritte in alcun modo con le tecniche perturbative della

    teoria quantistica dei campi. Infatti, l’applicazione del metodo perturbativo con le

    prescrizioni della Q.F.T. alla teoria del mesone e a processi dominati dalle interazioni

    forti, si rivelò non adeguata. Si tentarono quindi nuovi approcci, indipendenti da

    quello perturbativo. Gli studi in questa direzione portarono alla scoperta di nuove

    tecniche, quali i metodi di riduzione per gli elementi di matrice S; relazioni di dis-

    persione basate sulla analiticità delle ampiezze provenienti da scattering adronici; la

    teoria dei poli di Regge ed il metodo della risonanza duale. Questi sviluppi si riv-

    elarono soddisfacenti nel descrivere fenomenologicamente le reazioni adroniche, ma

    non era chiaro come queste potessero dicendere da principi primi. La prima grande

    svolta fù data nel 1973 da G. ’t Hooft, Gross e Politzer, i quali individuarono la pro-

    prietà della libertà asintotica (Asymptotic Freedom) in teorie di campo di gauge non

    abeliane. Secondo questa proprietà, la costante di accoppiamento forte diminuisce

    al crescere dell’energia di interazione e tende asintoticamente a zero in modo logar-

    itmico. La proprietà di libertà asintotica permise una trattazione perturbativa delle

    interazioni forti a piccole distanze. Alla fine degli anni ’60, gli studi sulla classifi-

    cazione degli adroni e sulle loro interazioni suggerirono che questi fossero composti

    da componenti più elementari detti “quarks”.

    Per lo studio della struttura adronica, è necessario disporre di alte energie e di elevati

    momenti trasferiti negli urti per ottenere una accurata risoluzione.

    Nel 1969, Bjorken riusćı a scoprire una importante proprietà delle funzioni di strut-

    tura nello scattering elettrone-nucleone. Nella regione profondamente anelastica le

    funzioni di struttura dipendono solo da q2/ν (dove q2 è il modulo quadro del mo-

    mento trasferito nella collisione e ν è l’energia trasferita) e non da entrambe le vari-

    abili (q2, ν). I fatti sperimentali gli diedero subito ragione. Questa proprietà è nota

    come “Bjorken scaling”. Uno dei modi più semplici ed immediati per comprenderla,

    è assumere che l’elettrone nella fase di interazione con il nucleone, urti con dei suoi

    costituenti puntiformi e “quasi” liberi che chiamiamo partoni. Nello scattering pro-

    fondamente anelastico elettrone-nucleone, il quadrato del momento trasferito è grande

    e la risoluzione spaziale nell’ “osservazione” del bersaglio è quindi elevata.

    Lo scaling di Bjorken implica che i costituenti del nucleone sono puntiformi e quasi

    liberi quando sono “osservati” con elevata risoluzione spaziale.

  • 0.4. Introduzione a QCD 7

    Accettando questa visione, la dinamica che governa il sistema di partoni deve avere

    la proprietà che l’interazione tra essi diventa debole a piccole distanze.

    I partoni sono oggi identificati con i quarks.

    Una teoria quantistica appropriata che contiene le proprietà discusse sopra è una

    teoria di campo di gauge non abeliana. Questa teoria è simile alla Q.E.D. (elettrodi-

    namica quantistica o quantum electrodynamics), ma differisce da questa per il fatto

    che la simmetria di gauge corrispondente è non abeliana (i generatori dell’algebra di

    simmetria non commutano). Essa fu inizialmente introdotta da Yang e Mills, poi

    ’t Hooft, Gross, Wilczek, Politzer ne analizzarono le proprietà tramite il gruppo di

    rinormalizzazione. Da qui si arrivò alla proprietà di libertà asintotica dei partoni.

    In definitiva, la dinamica che governa un sistema di quarks è da cercarsi in teorie di

    gauge non abeliane. Il fatto che queste teorie siano generate da simmetrie descritte

    attraverso algebre non commutative, richiede che un sistema di quarks abbia una

    simmmetria extra. Questo si traduce nell’assegnazione ai quarks di un nuovo numero

    quantico chiamato colore, (si parla quindi di simmetria di colore) in modo da risolvere

    alcuni problemi connessi con il modello a quarks.

    Queste difficoltà possono essere elencate come segue:

    - problemi di costruzione di una corretta funzione d’onda per i barioni,

    - la non osservabilità di quarks isolati,

    - discrepanza tra predizioni e fatti sperimentali sulla sezione d’urto totale del pro-

    cesso: e+e− → adroni e frequenza di decadimento per il processo: π0 → 2γ.Fritzsch e Gell-Mann furono i primi a proporre che la simmetria extra di una teoria

    di campo di gauge non abeliana potesse essre identificata con il colore.

    Attraverso questa identificazione la maggior parte delle difficoltà connesse con il mod-

    ello a quarks furono superate in modo naturale e la teoria della dinamica dei quarks

    venne finalmente stabilita.

    Questa teoria è oggi nota come cromodinamica quantistica QCD.

    Come il fotone, che è un campo di gauge abeliano, media l’interazione elettromag-

    netica tra particelle cariche in QED, i campi di gauge non abeliani mediano le inter-

    azioni di colore tra i quarks in QCD. Essi sono chiamati gluoni e sono responsabili

    dei legami tra i quarks. Mentre i fotoni non posseggono carica elettrica, e quindi non

    possono interagire tra di loro, i gluoni posseggono carica di colore ed interagiscono

    tra loro anche in assenza di quarks. Questa proprietà è un ingrediente essenziale per

    la proprietà di asymptotic freedom. Nel modello a quark con simmetria di colore,

    gli adroni appaiono come stati privi di colore. Si assume quindi che solo stati privi

  • 8 Introduzione al lavoro di tesi

    di colore siano fisicamente realizzabili, dato che quarks isolati non si osservano mai.

    Una possibilità per spiegare questa assunzione è di interpretarla come come un effetto

    dinamico in QCD. Quindi abbiamo libertà asintotica a piccole distanze tra i quarks

    e confinamento a grandi distanze. Per discutere reazioni a piccole distanze, grazie

    all’asymptotic freedom, possiamo usare la teoria perturbativa (QCD perturbativa).

    La tecnica perturbativa fu applicata per la prima volta nello scattering profondamente

    anelastico di elettroni su nucleoni, riottenendo lo scaling di Bjorken, sebbene questo

    fosse violato logaritmicamente da correzioni di QCD.

  • Capitolo 1

    Teorie di gauge

    Il concetto di simmetria in teoria dei campi riveste un ruolo fondamentale, in quanto

    sappiamo dal teorema di Noether che ad ogni simmetria esibita da un sistema fisico

    corrisponde una legge di conservazione. Le simmetrie cui noi faremo riferimento

    sono le simmetrie di gauge, che sono basate su particolari trasformazioni indotte da

    particolari gruppi di simmetria (U(1), SU(2), SU(3)) sui campi. L’aspetto innovativo

    delle teorie di gauge sta nel fatto che le interazioni vengono interpretate attraverso

    lo scambio di particelle dette appunto di gauge. In particolare vedremo che la teoria

    delle interazioni forti può essere descritta in modo accurato da una teoria di campo

    di gauge del gruppo SU(3).

    1.1 Trasformazioni di gauge

    Una simmetria di gauge è basata sul concetto di trasformazione di gauge. Queste

    sono delle trasformazioni che lasciano invariate le coordinate quadrimensionali (t, ~x)

    ma cambiano la forma funzionale dei campi. Ad esempio su un fermione (spinore di

    Dirac), assumono la forma

    ψ′(x) = e−igθψ(x) , (1.1)

    oppure in forma infinitesima θ ≪ 1:

    ψ′(x) = (1 − igθ)ψ(x) , (1.2)

    dove g è una costante di accoppiamento e θ un parametro reale che descrive la trasfor-

    mazione. Se θ è l’unico parametro in gioco, questa trasformazione appartiene al

    9

  • 10 Capitolo 1. Teorie di gauge

    gruppo di simmetria U(1), (gruppo unitario unimodulare) il cui generico elemento è

    della forma e−igθ. Possiamo avere due tipi di trasformazioni

    θ =costante −→ globaliθ = θ(x) −→ locali

    (1.3)

    Le trasformazioni locali dipendono dal punto dello spazio tempo in cui sono effettuate,

    mentre le globali no. Sui campi avremo dunque

    ψ′(x) = e−igθ(x)ψ(x)

    ψ′(x) = eigθ(x)ψ(x) . (1.4)

    ψ(x) = ψ†γ0 è il campo coniugato di carica del campo ψ(x)

    È facile vedere che il gruppo U(1) è un gruppo abeliano, ed è un esempio importante

    di teoria di gauge abeliana, ovvero l’elettrodinamica quantistica. Consideriamo la

    lagrangiana descrivente un elettrone libero di Dirac

    L0 = ψ(x) (i∂/ −m)ψ(x) . (1.5)

    È evidente che L0 possiede invarianza sotto trasformazioni globali del gruppo U(1),infatti

    L′0 = ψ′(x) (i∂/ −m)ψ′(x) = L0 . (1.6)

    Per il teorema di Noether la corrente sarà data da

    Jµ = −ig

    ∂L0

    ∂ (∂µψ)ψ(x) + ψ(x)

    ∂L0∂(

    ∂µψ)

    = g(

    ψγµψ)

    ,

    (1.7)

    e sarà conservata

    ∂µJµ = 0 . (1.8)

    La conservazione della carica è quindi una conseguenza della proprietà di invarianza.

    Consideriamo ora trasformazioni di gauge locali. Sostituendo nella L0 la nuova formafunzionale ψ′, compare un termine che rompe l’invarianza e si ha

    L′0 = L0 + Jµ∂µθ . (1.9)

  • 1.1. Trasformazioni di gauge 11

    Questo accade perchè il termine contenente la derivata ha una legge di trasformazione

    più complicata. Per ristabilire l’invarianza introduciamo in L0 un campo Aµ(x) inmodo opportuno

    L̃0 = L0 −e

    gJµAµ . (1.10)

    Applicando la trasformazione su L̃0 ed imponendo che la variazione soddisfi δL̃0 = 0si ottiene

    L̃′0 = L′0 −e

    gJ ′µA′µ = L0 + Jµ∂µθ −

    e

    gJ ′µA′µ = L0 −

    e

    gJµAµ . (1.11)

    Poichè J ′µ = Jµ si ha che la legge di trasformazione per il campo Aµ(x) è la seguente

    A′µ = Aµ +g

    e∂µθ(x) . (1.12)

    Un modo più elegante di ottenere l’invarianza è quello di introdurre la derivata co-

    variante, ossia un operatore che trasformi sotto il gruppo U(1) nel seguente modo

    Dµψ(x) −→ [Dµψ(x)]′ = e−igθ(x)Dµψ(x) , (1.13)

    in maniera tale che ψ(x)γµDµψ(x) sia invariante. L’azione della derivata covariante

    sul campo ψ non cambia le proprietà di trasformazione di questo. La costruzione di

    Dµ avviene includendo il campo di gauge Aµ(x) nell’azione della derivata ordinaria

    Dµψ(x) = (∂µ + ieAµ)ψ(x) , (1.14)

    dove e è un parametro libero identificabile con la carica elettrica. La legge di trasfor-

    mazione della derivata covariante risulta quindi soddisfatta se Aµ trasforma come

    abbiamo visto sopra

    Aµ(x) −→ A′µ(x) = Aµ(x) +1

    e∂µθ(x) , (1.15)

    dove per semplicità abbiamo posto g = 1. Riscrivendo la densità di lagrangiana in

    termini della nuova derivata otteniamo

    L′0 = ψ(x)iγµ (∂µ + ieAµ) −mψ(x)ψ(x) . (1.16)

    Per dare un significato di variabile dinamica al campo di gauge Aµ(x) includiamo

    nella lagrangiana il termine

    L̃A = −1

    4FµνF

    µν , (1.17)

  • 12 Capitolo 1. Teorie di gauge

    dove Fµν = ∂µAν − ∂νAµ, ed è il più semplice che si possa costruire rispettando irequisiti di invarianza per trasformazioni tipo Aµ −→ A′µ e richiedendo altres̀ı che lalagrangiana sia uno scalare di Lorentz. Il tensore di rango due antisimmetrico Fµν è

    costruito tramite la derivata covariante nel seguente modo

    (DµDν −DνDµ)ψ = ieFµνψ . (1.18)

    La legge di trasformazione per Fµν è quindi data da

    [(DµDν −DνDµ)ψ]′ = e−igθ(x) [(DµDν −DνDµ)ψ] , (1.19)

    da cui si vede che

    F ′µνψ′ = (Fµνψ) e

    −igθ(x)

    F ′µν = Fµν . (1.20)

    Quindi Fµν è invariante. La lagrangiana di QED è quindi determinata completamente

    dalla simmetria dinamica imposta

    LQED = ψ(x)iD/ψ(x) −mψ(x)ψ(x) −1

    4FµνF

    µν . (1.21)

    È importante fare a tal punto le seguenti considerazioni:

    1) il fotone ha necessariamente massa nulla in quanto lo scalare AµAµ non è gauge in-

    variante e pertanto un termine di massa m2AµAµ romperebbe la simmetria di gauge.

    2) L’accoppiamento minimo del fotone all’elettrone è contenuto nella derivata co-

    variante che è costruita dalle proprietà di trasformazione del campo dell’elettrone.

    L’accoppiamento del fotone ad ogni campo di materia è determinato dalle proprietà

    di trasformazione del gruppo di simmetria.

    3) La lagrangiana di QED non ha termini di autoaccoppiamento perchè il fotone non

    ha carica elettrica, o meglio numero quantico del gruppo U(1).

    I primi due punti valgono ancora per teorie di gauge non abeliane, ma il terzo punto

    non vale più. La presenza di autoaccoppiamenti rende le teorie di gauge non abeliane

    altamente non lineari con proprietà fondamentalmente caratterizzanti, tra le quali

    quella di libertà asintotica.

  • 1.2. Simmetrie non abeliane e teorie di Yang-Mills 13

    1.2 Simmetrie non abeliane e teorie di Yang-Mills

    Vogliamo estendere il principio di gauge a gruppi di simmetria non abeliani in parti-

    colare al gruppo SU(N). Il gruppo SU(N) è il gruppo delle matrici n × n unitarieU (U †U = UU † = I) con determinante detU = 1. Un generico elemento di questo

    gruppo può essere scritto

    U = eiH . (1.22)

    dove H è una matrice hermitiana n × n. In base alla proprietà det eA = eTr[A] siha che Tr[H ] = 0. Poichè abbiamo n2 − 1 matrici hermitiane n × n a traccia nulla,scriviamo che

    U = exp

    n2−1∑

    i

    θiλi

    , (1.23)

    con λi matrici hermitiane a traccia nulla e θi parametri del gruppo. Le matrici λi

    sono dette generatori del gruppo e formano una base dell’algebra di Lie del gruppo.

    Esse soddisfano la seguente relazione di commutazione[

    λi2,λj2

    ]

    = ifijkλk2, (1.24)

    che dà una realizzazione dell’algebra. Il simbolo totalmente antisimmetrico fijk rap-

    presenta le costanti di struttura dell’algebra. Nel caso del gruppo SU(2) le matrici

    λi coincidono con le matrici 2 × 2 di Pauli σi, mentre per il gruppo SU(3) sono le8 matrici di Gell-Mann. Supponiamo di considerare un campo fermionico ψ(x) che

    abbia l gradi di libertà interni (ad esempio il colore). La densità di lagrangiana sarà

    allora data da

    L =∑

    l

    ψl (iγµ∂µ −m)ψl . (1.25)

    Se definiamo

    ψ(x) =

    ψr

    ψb

    ψg

    , (1.26)

    dove con b, r, g sono identificati i gradi di libertà corrispondenti al numero quantico

    di colore, possiamo compattare la scrittura e riavere la solita espressione

    L = ψ (iγµ∂µ −m)ψ . (1.27)

  • 14 Capitolo 1. Teorie di gauge

    Imponendo per il campo ψ(x) una trasformazione del tipo

    ψ′(x) = Uψ(x) , (1.28)

    la simmetria in questione sarà quella di SU(3) dove U è una matrice 3×3 appartenenteal gruppo SU(3) di colore

    U(θ) = e−ig2

    λiθi(x) , (1.29)

    dove le θi(x) sono i parametri di trasformazione del gruppo e λi sono i generatori.

    Come abbiamo visto in precedenza per il caso abeliano della QED, è evidente che la

    lagrangiana risulti invariante per trasformazioni di gauge globali, mentre per trasfor-

    mazioni locali la simmetria è rotta a causa del termine contenente la derivata. Esso

    ha infatti una legge di trasformazione più complicata

    ψ(x)γµ∂µψ(x) −→ ψ′(x)γµ∂µψ′(x) = ψ(x)γµ∂µψ(x) + ψ(x)γµ[

    U †∂µU]

    ψ . (1.30)

    Per costruire una lagrangiana invariante si esegue la stessa procedura del caso abeliano.

    Introduciamo tanti campi di gauge per quanti sono i generatori del gruppo di simme-

    tria (nel caso di SU(3) sono otto), e costruiamo la derivata covariante che contiene

    l’accoppiamento come segue

    Dµψ(x) =(

    ∂µ −igs2λaAaµ

    )

    ψ , (1.31)

    dove gs è la costante di accoppiamento e gli Aaµ con a = 1, ..., 8 sono i campi di

    gauge. Per la trasformazione della derivata richiediamo che sia soddisfatta la solita

    prescrizione

    Dµψ(x) −→ [Dµψ(x)]′ = U(θ(x))Dµψ(x) . (1.32)

    Questo implica che

    (

    ∂µ −igs2λaA

    ′aµ

    )

    Uψ = U(

    ∂µ −igs2λaAaµ

    )

    ψ , (1.33)

    cioè[

    ∂µU −igs2λaA

    ′aµ U

    ]

    ψ =[

    −igs2UλaAaµ

    ]

    ψ , (1.34)

    da cui si ottiene

    λaA′aµ

    2= U

    (

    λaAaµ2

    )

    U † − igs

    (∂µU)U† . (1.35)

  • 1.2. Simmetrie non abeliane e teorie di Yang-Mills 15

    Per una trasformazione infinitesima con θ(x) ≪ 1 si ha

    U(θ(x)) ∼= 1 − i

    ~λ · ~θ(x)2

    , (1.36)

    e si ha

    ~λ · ~A′µ(x)2

    =~λ · ~Aµ(x)

    2− iθaAbµ

    [

    λa

    2,λb

    2

    ]

    − 1g

    2· ∂µ~θ

    =

    ~λ · ~Aµ(x)2

    +1

    2fabcλaθbAcµ −

    1

    g

    2· ∂µ~θ

    . (1.37)

    Sfruttando la lineare indipendenza delle λa abbiamo la legge di trasformazione

    A′aµ = A

    aµ − fabcθbAcµ −

    1

    g∂µθ

    a . (1.38)

    I campi Aaµ al contrario del caso abeliano, hanno un indice a che indica la legge di

    trasformazione, e si dice che quindi che portano “carica” (di colore). Rimane ora da

    costruire il tensore di rango due antisimmetrico dei campi di gauge per completare la

    costruzione della lagrangiana gauge invariante e dare significato dinamico alle variabili

    Aaµ. Seguendo la strategia adottata in precedenza studiamo la consueta combinazione

    di derivate covarianti ed osserviamo che

    (DµDν −DνDµ)ψ ≡ ig(

    λa

    2F aµν

    )

    ψ , (1.39)

    da cui scaturisce che

    ~λ · ~Fµν2

    = ∂µ~λ · ~Aν

    2− ∂ν

    ~λ · ~Aµ2

    − ig

    ~λ · ~Aµ2

    ,~λ · ~Aν

    2

    . (1.40)

    Scritta in forma più esplicita ci dà

    F aµν = ∂µAaν − ∂νAaµ + gfabcAbµAcν . (1.41)

    Poichè Dµψ ha la stessa legge di trasformazione di ψ non è difficile vedere che

    [(DµDν −DνDµ)ψ]′ = U(θ(x)) [(DµDν −DνDµ)ψ] , (1.42)

    quindi la legge di trasformazione per ~λ · ~Fµν sarà infine

    ~λ · ~F ′µν = U(θ(x))~λ · ~FµνU †(θ(x)) . (1.43)

  • 16 Capitolo 1. Teorie di gauge

    La quantità gauge invariante che comparirà nella lagrangiana finale sarà

    Tr{(

    ~λ · ~Fµν) (

    ~λ · ~F µν)}

    ∝ F aµνF aµν . (1.44)

    La lagrangiana gauge invariante è pertanto

    L = −14F aµνF

    aµν + ψiD/ψ −mψψ . (1.45)

    Una lagrangiana di questo tipo è detta di Yang-Mills ed i campi di gauge Aaµ sono i

    campi di Yang-Mills. Questa lagrangiana gauge invariante ben descrive l’interazione

    tra i campi vettoriali Aaµ ed il tripletto di campi ψi(x) di SU(3). Ma questa non è

    la fine della storia. Espandendo il termine di Yang-Mills puro F aµνFaµν , si nota la

    presenza di termini che sono trilineari e quadrilineari in Aaµ che hanno forma del tipo

    −gfabc∂µAaνAbµAcν −g2

    4fabcfadeAbµA

    cνA

    dµAeν . (1.46)

    Essi corrispondono ad auto accoppiamenti dei campi di gauge non abeliani che quindi

    interagiscono tra di loro in quanto carichi. Questo discende dal fatto che la legge

    di trasformazione degli Aaµ non è elementare, infatti l’indice a = 1, ..., 8 corre sulla

    rappresentazione aggiunta di SU(3). I campi di gauge, come in QED, sono privi di

    massa ed il loro accoppiamento ai campi di materia è tutto contenuto nella derivata

    covariante. È doveroso a tale punto fare una considerazione sulla costante di accop-

    piamento. Nel caso di teorie abeliane non vi sono restrizioni riguardo l’intensità della

    costante di accoppiamento. In linea di principio si possono descrivere elettroni con

    carica e o con carica ke. In teorie non abeliane come ad esempio SU(3) la situazione

    è più restrittiva. Per esempio accoppiando i campi di gauge a particelle con carica kg,

    la relazione di commutazione tra i generatori opera una restrizione su k e implica che

    k2 = k ossia k = 1. Quindi in teorie non abeliane la normalizzazione dei generatori è

    fissata dalle relazioni di commutazione.

    1.3 La cromodinamica quantistica come teoria di Yang-Mills

    Il successo del modello partonico a quarks nel descrivere lo scaling di Bjorken sug-

    gerisce che la teoria delle interazioni forti deve esibire la proprietà di libertà asintotica

    e studiando le equazioni del gruppo di rinormalizzazione si è visto che le teorie di

  • 1.4. Regole di Feynman 17

    Yang-Mills possiedono tale proprietà a grandi momenti trasferiti. Inoltre per sop-

    perire alle difficoltà connesse con la costruzione di una funzione d’onda esibente una

    corretta simmetria, in modo da rispettare il principio di esclusione, si è postulato che

    i quarks devono avere un numero quantico aggiuntivo, detto colore, che può assumere

    tre valori (blue, red, green). L’esistenza di questo nuovo numero quantico assegnato

    allo spinore di Dirac che descrive il quark aggiunge un grado di libertà interno ad

    esso, e la simmetria che regola la trasformazione è di tipo SU(3) detta simmetria di

    colore. Essa è una simmetria esatta e lo si verifica sperimentalmente. Nel settore

    elettrodebole invece la simmetria di gauge SU(2)×U(1)iper−carica viene rotta ad unasimmetria U(1) elettromagnetica. L’assunzione che tutte le particelle osservate si

    presentino come prive di colore (o per meglio dire singoletti di colore), suggerisce che

    le forze che intervengono tra i quarks, che hanno carica di colore, sono dipendenti dal

    colore. Tutte queste proprietà sono descritte da una teoria di Yang-Mills di SU(3),

    nota appunto come “cromodinamica quantistica” (o più brevemente QCD), la cui la-

    grangiana è quella ricavata pocánzi in cui però si è tenuto conto del fatto che i quarks

    posseggono anche un’altra simmetria, quella di SU(3) di sapore, che a differenza della

    precedente non è una simmetria esatta. Tale simmetria è presente nella lagrangiana

    solo se la somma dei quarks è presa uguale per tutti i sapori.

    LQCD = −1

    4F aµνF

    aµν +nf∑

    k=1

    ψk (iD/ −m)ψk . (1.47)

    Ricordiamo infine che in QCD le masse dei quarks sono dei parametri della teoria.

    L’origine delle masse dei quarks è da ricercarsi nel settore elettrodebole delle inter-

    azioni fondamentali e nella presenza di un valore di aspettazione non nullo del campo

    di Higgs.

    1.4 Regole di Feynman

    La maggior parte delle regole di Feynman per una teoria di gauge non abeliana pos-

    sono essere dedotte direttamente dalla lagrangiana di Yang-Mills seguendo il metodo

    dell’integrale funzionale. L’integrale funzionale su un campo di gauge deve essere

    definito molto accuratamente; nella nostra trattazione utilizzeremo solo i risultati più

    importanti che ci permetteranno di affrontare subito i calcoli. Cominciamo con il

    definire i propagatori della teoria. Si dimostra che il propagatore fermionico ha una

  • 18 Capitolo 1. Teorie di gauge

    espressione del tipo

    〈ψiα(x)ψjβ(y)〉 =∫

    d4k

    (2π)4

    (

    i

    k/ −m

    )

    αβ

    δije−ik·(x−y) , (1.48)

    dove α e β sono indici di Dirac, mentre i e j sono gli indici del gruppo di simmetria.

    Il propagatore per il campo vettoriale di gauge è definito invece come segue

    〈Aaµ(x)Abν(y)〉 =∫

    d4k

    (2π)4

    (−igµνk2

    )

    δabe−ik·(x−y) . (1.49)

    Per scrivere la struttura dei vertici espandiamo la lagrangiana ed osserviamo la forma

    dei termini non lineari come segue

    LQCD = L0 + gAaνψγνT aψ − gfabc∂µAaνAbµAcν −g2

    4fabcfadeAbµA

    cνA

    dµAeν , (1.50)

    dove con L0 abbiamo indicato la lagrangiana di campo libero, mentre T a = λa/2. Ilprimo dei termini non lineari, che rappresenta l’interazione tra il campo vettoriale di

    gauge Aν e il campo fermionico, dà origine al vertice

    igγνTa . (1.51)

    Esso è una matrice che agisce sugli indici di Dirac e di gauge dei fermioni. Il secondo

    termine nonlineare origina il vertice a tre gluoni. Per scrivere esplicitamente la forma

    di questo vertice fissiamo una convenzione per il verso momenti che fluiscono in esso

    e per gli indici di gauge e di Lorentz. Consideriamo prima la contrazione tra la

    particella di gauge esterna con momento k al primo fattore di Aaµ, la paerticella di

    gauge con momento p con il secondo e la particella di gauge con momento q al terzo.

    La derivata contribuisce con un fattore −ikµ se il momento punta verso il diagramma.Il cotributo sarà infine

    −igfabc(−iKν)gµρ . (1.52)

    Ci sono in tutto tre possibili contrazioni che hanno segni alterni in accordo con il

    simbolo totalmente antisimmetrico fabc. Procedendo con una strategia analoga pos-

    siamo ricavare la struttura del vertice a quattro gluoni che deriva dall’ultimo termine

    nonlineare. Il contributo di una delle quattro possibili contrazioni è

    −ig2fabcfadegµρgνσ . (1.53)

    Possiamo schematizzare le regole di Feynman graficamente come segue

  • 1.4. Regole di Feynman 19

    = igγµT a

    = gfabc [gµν (k − p)ρ

    +gνρ (p− q)µ + gρµ (q − k)ν ]

    = −ig2[

    fabef cde (gµρgνσ − gµσgνρ)

    +facef bde (gµνgρσ − gµσgνρ)

    +fadef bce (gµνgρσ − gµρgνσ)]

    (1.54)

    a,µ

    b,ν

    a,µ

    c,ρ

    q p

    k

    σd,

    a,µ

    c,ρ

    b,ν

    Per quanto riguarda i propagatori si ha

    =

    (

    i

    p/ −m

    )

    αβ

    =−igµνp2

    δab (1.55)

    α βp

    pb,νa, µ

  • 20 Capitolo 1. Teorie di gauge

    Nei capitoli successivi presenteremo delle implementazioni di queste regole per

    illustrarne il loro valore pratico. Nel contempo, passeremo allo studio di semplici

    processi multipartonici per i quali introdurremo un set di variabili che risulteranno

    utili per l’identificazione delle singolarita’ delle emissioni reali allorquando si deve

    integrare (parte che comunque non analizzeremo) sullo stato finale. Nei capitoli finali

    passeremo ad estendere queste regole al caso di QCD supersimmetrica.

  • Capitolo 2

    Modello partonico

    2.1 Il modello partonico

    Ad energie e momenti trasferiti molto alti, QCD è descritta da una formulazione per-

    turbativa. A tale formulazione si dà il nome di “modello partonico”, essendo questo

    modello dovuto a Feynman, antecedente a QCD. L’intuizione fisica che é alla base

    del modello si puó riassumere in modo molto semplice.

    Ad alte energie, un osservatore in quiete nel centro di massa di una collisione adronica

    (ad esempio protone-fotone), vede gli adroni come dei dischi piatti, cioé contratti (per

    contrazione di Lorentz relativistica) e stabilisce due scale nel processo:

    1) l’intervallo di tempo (piccolo) della interazione tra fotone-virtuale e quark nel nu-

    cleone;

    2) l’intervallo di tempo (lungo) dell’interazione tra i quark all’interno del nucleone.

    Il termine “scala” proviene dall’uso di unità naturali (c = h̄ = 1) nella descrizione di

    questi processi. In tali unità, una scala di tempo (t) è inversamente proporzionale ad

    una corrispondente scala di energie (Q). Quindi, per momenti trasferiti (Q) molto alti,

    i tempi di interazione tra fotone e quark sino dell’ordine t ≈ 1/Q. L’interazione deiquark nello stato legato nucleonico, sono caratterizzati da una seconda scala energet-

    ica (e di tempo) che è quella tipica del confinamento (ΛQCD). Tale scala è dell’ordine

    di circa 200− 400 MeV. Vedremo che tale scala appare in modo naturale nell’ambitodell’analisi perturbativa come componente essenziale dell’evoluzione della costante di

    accoppiamento forte αs. In unità di energia (ad esempio in GeV), le due scale sono

    notevolmente separate.

    Avendo identificato le due scale caratterizzanti i due fenomeni fisici essenziali che ap-

    paiono nella collisione fotone-virtuale nucleone, e cioè la scala dell’urto duro e quella

    21

  • 22 Capitolo 2. Modello partonico

    del confinamento, quest’ultima descrivente lo stato legato dei quark e dei gluoni nel

    nucleone, uno dei risultati principali del modello partonico può essere riassunto in

    una formula di fattorizzazione delle collisioni adroniche che cercheremo di giustificare

    in modo euristico.

    Un importante processo i cui tests di QCD sono possibili è il processo inclusivo

    e− N −→ e− X, dove N denota un nucleone ed X denota uno stato finale arbitrarionon osservabile. Ad alte energie e grandi momenti trasferiti, la collisione leptone-

    nucleone esibisce l’importante fenomeno noto come “scaling di Bjorken”. Questa

    correlazione tra energia e distribuzione angolare dei leptoni diffusi in questo processo

    profondamente anelastico, può essere descritta in modo semplice attraverso il modello

    partonico di Feynman, secondo il quale a piccole distanze gli adroni possono essere

    visti come costituiti da particelle puntiformi di spin 1/2 “quasi libere” dette partoni.

    I partoni sono oggi identificati con i quarks.

    2.1.1 Diffusione profondamente anelastica elettrone-nucleone

    Consideriamo il processo e− p −→ e− X, dove e− è un elettrone che collide con unnucleone a riposo nel sistema di riferimento del laboratorio. Il diagramma di Feynman

    corrispondente è riportato in Fig. (??), dove l’interazione puramente elettromagnet-

    ica, avviene in prima approssima zione tramite lo scambio di un fotone virtuale.

    Figure 2.1: Diffusione profondamente anelastica elettrone-protone

    Abbiamo tre variabili cinematiche indipendenti che identifichiamo con:

    s = (P + k)2; q2 = (k − k′)2; W 2 = (P + q)2. (2.1)

  • 2.1. Il modello partonico 23

    La variabile s corrisponde al quadrato della energia totale disponibile nel centro di

    massa del sistema e− p; q2 è il quadrato del momento trasferito; W 2 corrisponde alla

    massa invariante del sistema. Nel sistema del laboratorio possiamo scrivere:

    k = (E,~k); k = (E ′, ~k′);

    P = (M,~0); q = (E − E ′, ~k − ~k′) = (ν, ~q) . (2.2)

    Trascurando la massa a riposo dell’elettrone otteniamo per q2 la seguente espressione:

    q2 = (k − k′)2 = −2kk′ = −2[

    EE ′ − ~k · ~k′]

    =

    −2EE ′ (1 − cos θ) = −4EE ′sin2 θ2. (2.3)

    Per lavorare con quantità definite positive denotiamo:

    −q2 = Q2 (2.4)

    Quindi esplicitando W 2 si ha:

    W 2 = M2 + 2M (E −E ′) + q2 = M2 + 2Mν −Q2, ν = E − E ′ . (2.5)

    A questo punto definiamo la variabile adimensionale di Bjorken come segue:

    x =Q2

    2Mν. (2.6)

    Non è difficile notare che questa variabile ci dà una misura della anelasticità del

    processo, infatti se x = 1 il processo è completamente anelastico (W 2 = M2); se

    x < 1 abbiamo un urto anelastico (W 2 > M2).

    La sezione d’urto non polarizzata per la distribuzione angolare e di energia degli

    elettroni diffusi con adroni nello stato finale non osservati, è data da:

    dΩdE ′=σM2M

    {

    W2(Q2, ν) + 2W1(Q

    2, ν) tan2θ

    2

    }

    , (2.7)

    dove abbiamo denotato con sigma la sez. d’urto differenziale di Mott, mentre W1

    e W2 sono funzioni relativisticamente invarianti dette funzioni di struttura. Esse

    contengono tutte le informazioni riguardanti la struttura del protone nello scattering

    e−-p. Studiamo più in dettaglio queste funzioni, analizzando la sez. d’urto del nostro

    processo. L’ampiezza del processo è data dalla seguente espressione:

    Tn = e2ū(k′, λ′)γµu(k, λ)

    1

    q2〈n|Jemµ (0)|p, σ〉 . (2.8)

  • 24 Capitolo 2. Modello partonico

    In questa espressione abbiamo denotato con Jemµ (0) la corrente elettromagnetica

    adronica, con λ lo spin dell’elettrone, con |p, σ〉 lo stato di momento p e spin σin cui si trova il nucleone nello stato iniziale, e con |n〉 uno stato adronico finale in X.La sez. d’urto non polarizzata è data dalla formula di Fermi:

    dσn =1

    |~v|1

    2M

    1

    2E

    d3k′

    (2π)32k′0

    n∏

    i=1

    [

    d3pi(2π)32pi0

    ]

    × 14

    σλλ′| Tn|2(2π)4δ(p+ k − k′ + pn) ,

    (2.9)

    dove pn =∑n

    i pi. Sommando su tutti i possibili stati adronici finali (che non sono

    osservati) otteniamo la sez. d’urto inclusiva:

    d2σ

    dΩdE ′=e4

    q4lµνWµν

    E ′

    E. . (2.10)

    Il tensore leptonico corrisponde a:

    lµν =1

    2Tr [k′/γµk/γν ] = 2

    (

    kµk′ν + k

    ′µkν +

    q2

    2gµν

    )

    . (2.11)

    Il tensore adronico è dato da:

    Wµν =1

    4M

    σ

    n

    ∫ n∏

    i=1

    [

    d3pi(2π)32pi0

    ]

    ×

    〈p, σ|Jemµ (0)|n〉〈n|Jemν (0)|p, σ〉(2π)3δ4(pn − p+ q) . (2.12)

    Scrivendo in forma più compatta abbiamo che:

    Wµν =1

    4M

    σ

    ∫ d4x

    2πeiq·x〈p, σ|Jemµ (x)Jemν (0)|p, σ〉 . (2.13)

    È conveniente scrivere questa espressiopne in funzione del commutatore tra le due

    correnti:

    ∫ d4x

    2πeiq·x〈p, σ|Jemµ (x)Jemν (0)|p, σ〉 =

    n

    ∫d4x

    2πei(pn−p+q)·x〈p, σ|Jemν (0)|n〉〈n|Jemµ (0)|p, σ〉 =

    n

    (2π)3δ4(pn − p+ q)〈p, σ|Jemν (0)Jemµ (0)|p, σ〉 . (2.14)

  • 2.1. Il modello partonico 25

    Osserviamo ora che nel sistema di riferimento del laboratorio q0 = ν > 0 non c’è

    alcun stato intermedio con energia En = M − ν ≤M che possa contribuire, quindi iltermine di sopra si annulla. Di conseguenza scriviamo:

    Wµν =1

    4M

    σ

    ∫d4x

    2πeiq·x〈p, σ|

    [

    Jemµ (x), Jemν (0)

    ]

    |p, σ〉 . (2.15)

    Dalla conservazione ∂µJemµ = 0 della corrente segue che:

    qµ〈p, σ|Jemµ |n〉 = 0

    qµWµν = qνWµν = 0 . (2.16)

    Da queste relazioni e dal fatto che W è un tensore di rango 2 dipendente da qν e pµ,

    si può dedurre la seguente decomposizione covariante:

    Wµν(p, q) =

    [

    −W1(

    gµν −qµqνq2

    )

    +W2M2

    (

    pµ −p · qq2

    )(

    pν −p · qq2

    )]

    . (2.17)

    Abbiamo quindi dato una giustificazione alla formula di Rosenbluth. Passiamo ora

    al calcolo delle funzioni di struttura nell’ambito del modello partonico di Feynman

    e Bjorken. L’urto inclusivo è visto come uno scattering elastico incoerente da cos-

    tituenti puntiformi quasi liberi (partoni) contenuti nel nucleone. I partoni nello stato

    finale si ricombinano poi in uno stato adronico. Le assunzioni fisiche del modello

    sono:

    1) si ignora, durante l’interazione fotone partone, l’interzaione tra tra i partoni stessi

    2) le interazioni nello stato finale (necessarie ai partoni per frammentare in adroni)

    avvengono su una scala di tempo relativamente lunga e possono dunque essere igno-

    rate nel alcolo della sez. d’urto inclusiva.

    Specificatamente ogni partone di spin 1/2 si ipotizza trasporti una frazione del mo-

    mento del nucleone ξp con 0 ≤ ξ ≤ 1 (consideriamo solo la componente longitudinaledei partoni e trascuriamo quelle trasverse). Il contributo al tensore adronico dato da

    un partone di spin 1/2 si può subito scrivere come segue:

    Kµν(ξ) =1

    4ξM

    spin

    d3p′

    (2π)32p′0×

    〈ξp, σ|Jemµ (0)|p′, σ′〉〈p′, σ′|Jemν (0)|ξp, σ〉(2π)3δ(p′ − ξp− q) =1

    4ξM

    spin

    ū(ξp)γµu(p′)ū(p′)γνu(ξp)δ(p

    ′0 − ξp0 − q0)/2p′0 . (2.18)

  • 26 Capitolo 2. Modello partonico

    La funzione delta di Dirac può essere riscritta come:

    δ(p′0 − ξp0 − q0)/2p′0 = θ(p′0)δ[

    p′20 − (ξp0 + q0)2

    ]

    =

    θ(p′0)δ[

    p′2 − (ξp+ q)2

    ]

    = θ(ξp0 + q0)δ(2Mνξ + q2) =

    θ(ξp0 + q0)δ(ξ − x)

    2Mν. (2.19)

    Se ora sommiamo sullo spin otteniamo:

    1

    2

    spin

    ū(ξp)γµu(ξp+ q)ū(ξp+ q)γνu(ξp) =

    ξ

    2Tr [p/γµ(ξp/ + q/)γν ] =

    2ξ [pµ(ξp+ q)ν + (ξp+ q)µpν − p · (ξp+ q)gµν ] =

    4M2ξ2(pµpν/M2) − 2Mνξgµν + .... (2.20)

    dove abbiamo trascurato le masse dei partoni. Il tensore Kµν sarà dunque:

    kµν(ξ) = δ(ξ − x)(

    ξ

    ν

    pµpνM2

    − 12M

    gµν + ...

    )

    . (2.21)

    Sia ora f(ξ)dξ il numero di partoni con momento compreso tra ξ e ξ + dξ. Possiamo

    quindi calcolare il tensore adronico in termini di un integrale su Kµν(ξ):

    Wµν =∫ 1

    0f(ξ)Kµν(ξ)dξ =

    xf(x)

    ν

    pµpνM2

    − f(x)2M

    gµν + ... (2.22)

    In questo modo la funzione delta fa in modo che la funzione di struttura dipenda solo

    da x = −q2/2Mν:

    MW1 −→ F1(x) =1

    2f(x)

    νW2 −→ F2(x) = xf(x) (2.23)

    Si può evincere da queste due ultime relazioni l’equazione di Callan-Gross:

    2xF1(x) = F2(x) (2.24)

    Per grandi valori di momento trasferito la loro dipendenza da Q2 è molto lieve,

    mentre per piccoli valori di Q2 la sez. d’urto esibisce delle risonanze pronunciate. Ma

  • 2.1. Il modello partonico 27

    appena Q2 cresce le risonanze si attenuano drasticamente e rimane una parte continua

    e persistente della sez. d’urto. Questo contributo continuo è apprezzabile solo per Q2

    molto alti, e questo suggerisce l’esistenza di oggetti puntiformi nel protone.

    Figure 2.2: andamento sez.d’urto

    Osserviamo che se il protone fosse puntiforme, esibirebbe per il processo che ab-

    biamo considerato una sez. d’urto di tipo Rosenbluth:

    dΩ= σM

    [

    1 +Q2

    2M2tan2

    θ

    2

    ]

    E ′

    E, (2.25)

    in cui i fattori di forma GM e GE sono entrambi coincidenti con l’unità.

    Questa eq. può essere riscritta come segue:

    dΩdE ′= σM

    [

    1 +Q2

    2M2tan2

    θ

    2

    ]

    δ

    (

    ν − Q2

    2M

    )

    . (2.26)

    In questo modo le funzioni di struttura corrispondenti sarebbero:

    W1(ν,Q2) =

    Q2

    2Mδ

    (

    ν − Q2

    2M

    )

    W2(ν,Q2) = 2Mδ

    (

    ν − Q2

    2M

    )

    . (2.27)

  • 28 Capitolo 2. Modello partonico

    Posto ξ = Q2/2Mν, si ha che:

    W1(ν,Q2) = ξδ(1 − ξ)

    νW2(ν,Q2) = 2Mδ(1 − ξ) (2.28)

    Nella regione continua della sez. d’urto per le funzioni di struttura si osservò che

    νW2(ν,Q2) ≃ 2MF2(ξ) (proprietà di scaling). Quindi le ultime due eq.ni ci dicono

    che lo scaling di Bjorken è correlato alla presenza di costituenti puntiformi nel pro-

    tone. Assumiamo ora che questi siano liberi. Nel limite di scattering profondamente

    anelastico dove Q2 e ν sono grandi al punto tale da trascurare la massa del partone

    ed il suo momento trasverso, l’i-mo partone porta con se una frazione ξi del momento

    P del protone:

    pi = ξiP . (2.29)

    Dato che νi = pi · q/mi ≡ ν dove mi = ξiM ; la funzione di struttura dell’i-mo partonesarà:

    W(i)1 (νi, Q

    2) =e2iQ2

    2miδ

    (

    νi −Q2

    2mi

    )

    = e2i δ(ξi − ξ) , (2.30)

    dove ei è la carica del partone in unità di carica del protone. Per W2 si ha un risultato

    simile:

    W(i)2 (νi, Q

    2) = 2e2imiδ(ξi − ξ) . (2.31)

    Assumendo ora che l’urto tra l’elettrone ed il partone sia incoerente, otteniamo per

    la funzione di struttura del protone:

    W1(ν,Q2) =

    N

    P (N)N∑

    i=1

    ∫ 1

    0dξifN (ξi)W

    (i)1 (νi, Q

    2) , (2.32)

    dove P (N) è la probabilità che un protone sia costituito da N partoni ed fN(ξi) è la

    probabilità che un partone trasportila frazione di momento ξi nella configurazione ad

    N partoni. Quindi integrando:

    W1(ν,Q2) =

    N

    P (N)N∑

    i=1

    e2i fN(ξi) = F1(ξ)

    ν

    2MW2(ν,Q

    2) =∑

    N

    P (N)N∑

    i=1

    e2i fN (ξi) = F2(ξ) . (2.33)

  • 2.1. Il modello partonico 29

    È facile evincere che:

    2ξF1(ξ) = F2(ξ) , (2.34)

    nota come relazione di Callan-Gross. Essa è verificata sperimentalmente, e mette in

    relazione la parte elettrica e la parte magnetica dell’interazione.

    La nostra assunzione che il protone sia costituito da partoni puntiformi indipendenti

    di spin 1/2 è dunque corretta.

    2.1.2 Processo di Drell-Yan

    Tra i processi che avvengono ad elevati momenti trasferiti, possiamo considerare colli-

    sioni tra due adroni. Questo tipo di processi rappresentano una estensione del modello

    partonico. Il processo di Drell-Yan consiste nell’urto di due nucleoni con la produzione

    nello stato finale di una coppia leptone-antileptone (in genere muoni) e di uno stato

    adronico X non osservato. La cinematica è mostrata nella figura seguente.

    Figure 2.3: Cinematica del processo di Drell-Yan

    La sez. d’urto totale all’ordine più basso è data da:

    σ =1

    2√

    s(s− 4M2)1

    4

    pol

    ∫ d3k

    (2π)32k0

    d3k′

    (2π)32k′0×

    X

    (2π)4δ4(k + k′ + pX − p− p′) | 〈l+l−X|T |NN〉|2 , (2.35)

    dove s = (p + p′)2, M è la massa del nucleone, la prima sommatoria corre su tutti i

    possibili stati di polarizzazione dei leptoni nello stato finale, mentre la seconda corre

  • 30 Capitolo 2. Modello partonico

    su quelli dei nucleoni nello stato iniziale. L’ampiezza per il processo è:

    | 〈l+l−X|T |NN〉| = ū(k)eγµv(k′)gµν

    (k + k′)2〈X|eJν(0)|NN〉 . (2.36)

    Anche in questo caso nella sez. d’urto compariranno i tensori adronico W e leptonico

    L.

    σ =1

    2√

    s(s− 4M2)1

    4

    pol

    ∫d3k

    (2π)32k0

    d3k′

    (2π)32k′0

    LµνWµν(k + k′)4

    (2.37)

    Il tensore adronico è qùı definito nel seguente modo:

    Wµν =∑

    X

    (2π)4δ4(k + k′ + pX − p− p′)1

    4

    pol

    〈NN |Jµ(0)|X〉〈X|Jν(0)|NN〉

    =∫

    d4xe−i(k+k′)x〈pp′ | Jµ(x)Jν(0)|pp′〉 , (2.38)

    dove la somma sulle polarizzazioni è eseguita solo sugli stati di polarizzazione dei

    nucleoni. Questo tensore adronico differisce dal precedente in quanto il prodotto tra

    le due correnti è preso tra stati non di singolo nucleone, ma tra stati di due nucleoni.

    2.1.3 Formula di fattorizzazione e Running coupling

    Giunti a questo punto si può dimostrare (ma non rientra nei nostri obbiettivi farlo)

    tramite teoremi di fattorizzazione di QCD, che la sez. d’urto per questo tipo di

    processi può essere decomposta in fattori nel modo seguente:

    σT =∑

    f

    ∫ 1

    0dx1

    ∫ 1

    0dx2fh1→f(x1, Q

    2)fh2→f(x2, Q2)σ̂(x1, x2, ŝ, t̂) , (2.39)

    dove con h1 e h2 indichiamo gli adroni che prendono parte alla collisione, mentre f

    può essere un quark un anti-quark o un gluone. Le funzioni f(x,Q2) sono le funzioni

    di distribuzione partoniche, che dipendono dalla variabile di Bjorken x, e in generale

    dal fattore di scala Q2. Esse contengono informazioni sulla struttura interna del

    nucleone e rappresentano la probabilità che un nucleone prepari per l’interazione con

    il fotone, un partone di momento frazionario xP . In un certo senso le funzioni di

    distribuzione partoniche mostrano come si “prepara” lo stato nucleonico per l’urto

    e tengono conto dell’aspetto non perturbativo legato alla scala di tempo (lungo),

    delle interazioni nel nucleone. Il termine σ̂ è detto termine di “hard scattering”, e

  • 2.1. Il modello partonico 31

    si determina dal diagramma di Feynman del processo in quanto è correlato con il

    modulo quadro dell’elemento di matrice. Esso contiene la dipendenza dalle variabili

    di Bjorken x1, x2 e dalle variabili di Mandelstam ŝ, t̂. Le variabili di Mandelstam

    sono dei particolari invarianti cinematici tramite i quali descriviamo la dinamica del

    processo. In generale, per un processo in cui ho due particelle nello stato iniziale e

    due particelle nello stato finale, esse sono definite come segue:

    ŝ = (P + P ′)2

    t̂ = (P −K)2

    û = (P − k′)2 (2.40)

    Queste tre variabili sono legate dalla relazione:

    ŝ+ t̂+ û = P 2 + P ′2+K2 +K ′

    2(2.41)

    P

    P’

    k

    k’

    Figure 2.4: Processo 2 −→ 2

    Il termine σ̂ contiene a differenza dellefunzioni f , tutto l’aspetto perturbativo del

    processo correlato alla scala di tempo (piccolo) dell’interazione tra fotone virtuale e

    partone. Le formule di fattorizzazione in ultima analisi legano le due scale di tempo e

    di energia che caratterizzano il processo. Si domostra che le funzioni di distribuzione

    partoniche sono suscettibili di uno sviluppo in serie ed il loro andamento è determinato

    da un set di equazioni differenziali dette di Altarelli-Parisi. Incrementando Q2 di una

    quantità infinitesima dQ2:

    Q2 −→ Q2 + dQ2 , (2.42)

  • 32 Capitolo 2. Modello partonico

    vale formalmente la seguente eq. di evoluzione per f:

    f(x,Q2 + dQ2) = f(x,Q2) + PA,P ⊗ f(x,Q2)d ln(Q2) (2.43)

    Le funzioni P sono dette nuclei di Altarelli Parisi, mentre ⊗ rappresenta un prodottodi convoluzione espresso analiticamente nell’equazione di evoluzione di Altarelli-Parisi

    per la funzione f come segue:

    df(x,Q2)

    d ln(Q2)= P ⊗ f(x,Q2) =

    ∫ 1

    xP (y)f

    (

    x

    y

    )

    dy

    y. (2.44)

    Per la funzione f vale in generale il seguente sviluppo all’ordine principale:

    f(x,Q2) =∞∑

    n=0

    An(x)

    n!

    [

    ln

    (

    α(Q2)

    α(Q20)

    )]n

    , (2.45)

    dove gli An sono coefficienti che dipendono solo dalla variabile di Bjorken. I fenomeni

    che avvengono per scale di tempo più piccole di 1/Q2 sono tenuti in considerazione

    dalla “costante” di accoppiamento forte αs(Q2). Le fluttuazioni illustrate in Fig. (??)

    possono essere riassorbite in questa costante, che descrive la probabilità che un quark

    emetta un gluone.

    Figure 2.5: Brevissime fluttuazioni nella propagazione del campo gluonico vengono

    riassorbite nella costante d’accoppiamento forte

    La dipendenza di αs(Q2) da Q2 è data da una particolare equazione differenziale

    detta “equazione del gruppo di rinormalizzazione”:

    dαs(Q2)

    d(logQ2)

    1

    π= β(αs(Q

    2)) = −β0(

    αs(Q2)

    π

    )2

    − β1(

    αs(Q2)

    π

    )3

    + .... . (2.46)

    La funzione β(αs(Q2)) è detta β-function di Politzer, ’t Hooft e Wilczek. La dipen-

    denza della costante di accoppiamento da Q2 è tipica di teorie in cui le correzioni

    logaritmiche ai vertici dell’interazione possono essere riassorbite consistentemente me-

    diante una ridefinizione di questa che diventa quindi funzione del momento quadro.

  • 2.1. Il modello partonico 33

    Calcolando perturbativamente in QCD la funzione β(αs) si ottiene per il primo coef-

    ficiente:

    β0 = (33 − 2Nf)/12 , (2.47)

    dove Nf è il numero di sapore dei quarks. L’equazione del gruppo di rinormalizzazione

    “somma” gli effetti di fluttuazione in tempi piccoli, nel senso che se consideriamo la

    soluzione dell’equazione con tutte le βi poste a zero tranne la β0, notiamo un fatto

    cruciale:

    αs(Q2) ≈ αs(Q

    20)

    1 + β04παs(Q20) ln

    (Q2

    Q20

    ) . (2.48)

    che è all’ordine più basso e quindi detta a “Leading order”. Esiste un’altra soluzione

    di questo tipo in cui compare la ΛQCD ed ha la seguente espressione:

    αs(Q2) =

    β0 ln(

    Q2

    Λ2

    ) ×{

    1 − β1β0

    ln(ln (Q2/Λ2))

    ln (Q2/Λ2)+ ...

    }

    , (2.49)

    in cui abbiamo incluso dei termini di ordine superiore. Il fenomeno cruciale è che

    αs(Q2) decresce all’aumentare di Q2 e questo dà origine alla proprietà nota come

    libertà asintotica. Il parametro ΛQCD è quel particolare valore di Λ per cui:

    d lnQ2= 0 , (2.50)

    dove Λ ha la seguente espressione:

    Λ = Qe− 2π

    β0αs(Q2) (2.51)

    Anche le funzioni P dette “nuclei” sono suscettibili di uno sviluppo in serie e si prova

    che:

    Pqq±(x) = Pqq(x)(0) +

    α(Q2)

    2πP

    (1)qq±(x) , (2.52)

    ± indica che P è una distribuzione. Per un particolare nucleo ad esempio abbiamouna forma del tipo:

    Pqq±(x) = CF

    {

    2x

    (1 − x)++

    3

    2δ(1 − x)

    }

    (2.53)

    dove per definizione si ha :

    (1

    1 − x

    )

    +=θ(x < 1)

    (1 − x) − δ(1 − x)∫ 1−ε

    0

    dz

    (1 − z) . (2.54)

  • 34 Capitolo 2. Modello partonico

    Studiamo ora delle semplici proprietà di cui gode la “plus distribution” scritta sopra

    che ci serviranno per il futuro. Applicando una funzione f(x) ed integrando si ha

    subito:∫ 1

    0

    f(x)

    (1 − x)+dx =

    ∫ 1

    0

    f(x) − f(1)(1 − x) dx . (2.55)

    Date due generiche funzioni reali di variabile reale f(x) e g(x) e convolvendole secondo

    la definizione data prima si prova che:

    f ⊗ g =∫ 1

    x

    dy

    yf

    (

    x

    y

    )

    g(y) =∫ 1

    x

    dy

    yf(y)g

    (

    x

    y

    )

    . (2.56)

    Eseguiamo la seguente convoluzione:

    1

    (1 − z)+⊗ f =

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    1

    (1 − x/y)+f(y) =

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    1

    (1 − y)+f(x/y) =

    ∫ 1

    x

    dy

    yf(x/y)

    1

    1 − y − f(x)∫ 1−ε

    0

    dz

    1 − z =∫ 1

    x

    dy

    y

    1

    (1 − x/y)f(y) − f(x)∫ x

    0

    dz

    1 − z − f(x)∫ 1−ε

    x

    dy

    1 − y . (2.57)

    Abbiamo aggirato la singolarità infatti la somma del primo e del terzo integrale è non

    singolare:∫ 1

    x

    dy

    y

    f(y)

    (1 − x/y) + f(x) ln(1 − x) −∫ 1

    x

    dy

    y

    yf(x)

    (1 − y) , (2.58)

    sfruttando le proprietà della convoluzione, mando z in x/y ed ottengo:

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    f(y)

    (1 − x/y) −∫ 1

    x

    dy

    y

    (x/y)f(x)

    (1 − x/y) − f(x) ln(1 − x) =

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    f(y) − f(x)(x/y)(1 − x/y) + f(x) ln(1 − x) . (2.59)

    In definitiva si ha che:

    1

    (1 − z)+⊗ f =

    ∫ 1

    x

    yf(y)− xf(x)(y − x)y dy + f(x) ln(1 − x) . (2.60)

    2.1.4 Risoluzione dell’equazione di Altarelli-Parisi

    In questa sezione ci occuperemo della risoluzione numerica dell’equazione di Altarelli-

    Parisi mediante un metodo di espansione in elementi finiti. Il nostro punto di partenza

  • 2.1. Il modello partonico 35

    è lo sviluppo:

    f(x,Q2) =∞∑

    n=0

    An(x)

    n!

    [

    ln(α

    α0

    )]n

    . (2.61)

    Per ragioni di stabilità numerica è preferibile considerare la funzione f(x) definita

    come segue:

    f(x) = xf(x) =∞∑

    n=0

    xAn(x)

    n!

    [

    ln(α

    α0

    )]n

    . (2.62)

    Osserviamo dunque che con questa nuova ansatz l’equazione diventa:

    df(x,Q2)

    d(logQ2)=dxf(x,Q2)

    d(logQ2)=∫ 1

    xxdy

    yP

    (

    x

    y

    )

    yf(y) =

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    yf(y) = P ⊗ f = x(P ⊗ f) = (xP ) ⊗ f (2.63)

    Definiamo quindi:

    f =∑

    n

    Ann!

    [

    ln(α

    α0

    )]n

    . (2.64)

    Per determinare i coefficienti An utilizziamo delle formule di ricorrenza:

    A0 = f(x,Q20)

    An+1 =

    (

    − 2β0

    )

    P ⊗An . (2.65)

    Il nostro obbiettivo è quello di risolvere la seguente equazione:

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    A(y) = P ⊗ A . (2.66)

    Utilizziamo il metodo di espansione in elementi finiti e suddividiamo l’intervallo (x, 1)

    in tanti piccoli intervallini in modo tale che:

    x0 = x xn+1 = 1

    x < xi < 1 , (2.67)

    di conseguenza il precedente integrale si può riscrivere come una sommatoria:

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    A(y) =n∑

    i=0

    ∫ xi+1

    xi

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    A(y) . (2.68)

  • 36 Capitolo 2. Modello partonico

    Effettuando una interpolazione lineare come segue:

    A(y) −A(xi)A(xi+1) − A(xi)

    =y − xixi+1 − xi

    A(y) =

    [

    1 − y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi) +

    [

    y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi+1) . (2.69)

    L’integrale diverrà quindi:

    n∑

    i=0

    ∫ xi+1

    xi

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    ){[

    1 − y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi) +

    [

    y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi+1)

    }

    (2.70)

    Fissato un indice i lavoriamo sulla i-ma combinazione. Teniamo conto dei seguenti

    fatti:

    ∫ 1

    x

    dy

    yP

    (

    x

    y

    )

    f(y) =∫ 1

    x

    dy

    yP (y)f

    (

    x

    y

    )

    . (2.71)

    Eseguendo il cambio di variabile x/y = y′ abbiamo:

    y = x −→ y′ = 1y = 1 −→ y′ = x

    (2.72)

    da cui è facile evincere che:

    −∫ x

    1

    dy′

    y′P (y′)f

    (

    x

    y′

    )

    =∫ 1

    x

    dy

    yP (y)f

    (

    x

    y

    )

    . (2.73)

    Quando eseguiamo l’integrazione sull’intervallino di estremi (xi, xi+1) abbiamo che:

    ∫ xi+1

    xi

    dy

    yf(y)P

    (

    x

    y

    )

    = −∫ dy′

    y′P (y′)f

    (

    x

    y′

    )

    . (2.74)

    Per valutare gli estremi del secondo integrale osserviamo come prima che:

    y = xi −→ y′ = xxi = siy = xi+1 −→ y′ = xxi+1 = si+1

    (2.75)

    Di conseguenza si ha subito:

    x

    x0= 1 = s0

    x

    xn+1= x = sn+1 , (2.76)

  • 2.1. Il modello partonico 37

    da cui:∫ xi+1

    xi

    dy

    yf(y)P

    (

    x

    y

    )

    = −∫ si

    si+1

    dy′

    y′P (y′)f

    (

    x

    y′

    )

    . (2.77)

    Con queste osservazioni, possiamo agevolmente scrivere∫ xi+1

    xi

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    A(y) =

    ∫ xi+1

    xi

    dy

    y

    x

    yP (x

    y)

    [

    xi+1 − yxi+1 − xi

    ]

    A(xi) +∫ si

    si+1

    dy

    yyP (y)

    [

    x/y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi+1) =

    ∫ si

    si+1

    dy

    yyP (y)

    [

    xi+1 − x/yxi+1 − xi

    ]

    A(xi) +∫ si

    si+1

    dy

    yyP (y)

    [

    x/y − xixi+1 − xi

    ]

    A(xi+1) =

    A(xi)∫ si

    si+1

    dy

    yyP (y)x

    [

    xi+1/x− 1/yxi+1 − xi

    ]

    + A(xi+1)∫ si

    si+1

    dy

    yyP (y)

    1

    y

    [

    1 − y/si1/si+1 − 1/si

    ]

    =

    (2.78)

    con semplici elaborazioni degli integrandi si perviene a

    = A(xi)si

    si − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    yP (y)(y − si+1) − A(xi+1)

    si+1si − si+1

    dy

    yP (y)(y − si) .

    (2.79)

    Sommando su tutti gli indici i si ottiene in definitiva che:∫ 1

    x

    dy

    y

    x

    yP

    (

    x

    y

    )

    A(y) =

    n∑

    i=0

    A(xi)si

    si − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    yP (y)(y − si+1) −

    n+1∑

    i=1

    A(xi)si

    si−1 − si

    ∫ si−1

    si

    dy

    yP (y)(y − si−1) (2.80)

    Poniamo ora per brevità:

    s0s0 − s1

    ∫ si

    si+1

    dy

    yP (y)(y − s1) = I(x0)

    sisi − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    yP (y)(y − si+1) = Jn(x)

    sisi−1 − si

    ∫ si−1

    si

    dy

    yP (y)(y − si−1) = Jn+1(x) .

    (2.81)

  • 38 Capitolo 2. Modello partonico

    Torniamo ora a considerare la distribuzione:

    P+(y) =(

    1

    1 − x

    )

    +

    Avevamo trovato che:

    x(P+ ⊗An) = x∫ 1

    x

    dy

    y

    yAn(y) − xAn(x)(y − x) + xAn(x) ln(1 − x) . (2.82)

    Sfruttando il risultato precedentemente trovato:∫ 1

    x

    dy

    y

    yAn(y) − xAn(x)(y − x) = −An(x0) ln(1 − x0) + An(x0)I(x0) +

    n∑

    i=1

    xixAn(xi)Jn(xi) −

    n+1∑

    i=1

    xixAn(xi)Jn+1(xi) .

    ∫ 1

    x

    dy

    y

    yAn(y) − xAn(x)(y − x) + An(x) ln(1 − x) =

    An(x)I(x) +n∑

    i=1

    An(xi)Jn(xi)

    si−

    n∑

    i=1

    An(xi)Jn+1(xi)

    si. (2.83)

    Poichè da evidenze sperimentali si osserva che An(xn+1) = An(1) è circa zero si è

    assunto ragionevolmente che An(1) = 0. Ci serve dunque calcolare:

    Jn(xi)

    si=

    1

    si − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    y

    (

    1

    1 − y

    )

    +

    (y − si+1) a)

    Jn+1(xi)

    si=

    1

    si−1 − si

    ∫ si−1

    si

    dy

    y

    (

    1

    1 − y

    )

    +

    (y − si−1) aa) (2.84)

    Risolvendo la a) per i = 0 si trova:

    1

    1 − s1

    ∫ 1

    s1

    dy

    y

    (y − s1)(1 − y)+

    =

    1

    1 − s1

    ∫ 1

    s1

    dy

    y

    (

    y + 1 − 1 − s11 − y

    )

    −∫ s1

    0

    dy

    1 − y −∫ 1

    s1

    ydy

    y(1 − y) =

    ln(s1)(

    1

    1 − s1

    )

    − ln(s1) + ln(1 − s1) (2.85)

    Risolvendo per i 6= 0:

    Jn(xi) =si

    si − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    y

    (y − si+1)(1 − y)+

    =

    sisi − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    y

    {

    1

    1 − y − δ(1 − y)∫ 1

    0

    dz

    1 − z

    }

    (y − si+1) , (2.86)

  • 2.1. Il modello partonico 39

    ma δ(1 − y) = 0 poichè y 6= 1∀y ∈ [si+1, si] perciò:

    Jn(xi) =si

    si − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    y

    (y − si+1)(1 − y)+

    =

    sisi − si+1

    ∫ si

    si+1

    dy

    y

    (y − 1 + 1 − si+1)(1 − y) =

    sisi − si+1

    {

    si+1 ln(si+1si

    )

    + (1 − si+1) ln(si+1si

    )}

    . (2.87)

    Risolviamo adesso la aa) per i 6= 0:

    Jn+1(xi) =si

    si−1 − si

    ∫ si−1

    si

    dy

    y

    (y − si−1)(1 − y)+

    =

    sisi−1 − si

    ∫ si−1

    si

    dy

    y

    (y − 1 + 1 − si+1)(1 − y) =

    sisi−1 − si

    {

    si−1 ln

    (

    sisi−1

    )

    + (1 − si−1) ln(

    1 − si−11 − si

    )}

    . (2.88)

    Per i = 1 abbiamo:

    Jn+1(x1) =s1

    1 − s1

    ∫ 1

    s1

    dy

    y

    (y − 1)(1 − y)+

    =s1

    1 − s1ln(s1). (2.89)

    Per riassumere: abbiamo visto che e’ possibile analizzare le equazioni di evoluzione

    direttamente nello spazio della variabile di Bjorken x, senza avere la necessita’ di

    operare nello spazio dei momenti, ad esempio dei momenti di Mellin, come fatto in

    genere negli studi fatti in precedenza. Come vedremo nella implementazione numerica

    di queste formule, si raggiunge un buon grado di precisione ed in modo molto veloce.

    Ricordiamo infatti che l’uso di altre tecniche comporta sempre l’implementazione

    numerica di trasformate inverse, con la determinazione di percorsi nel piano complesso

    (steepest descent) di massima discesa che non sono di facile implementazione. Il

    vantaggio del metodo qui illustrato si fonda sulla validita’ di una espansione asintotica

    della soluzione che e’ stata provata in precedenza da Rossi ([?]). Gli integrali, come

    abbiamo visto, vengono espansi utilizzando il metodo degli elementi finiti, ponendo

    pero’ massima attenzione alla presenza di singolarita’ nelle distribuzioni (+) in modo

    da non generare instabilita’ numeriche. Ricordiamo che i risultati dell’evoluzione sono

    funzioni finite, giacche’ i nuclei sono definiti in senso distribuzionale e l’equazione e’

    una equazione integro-differenziale.

  • 40 Capitolo 2. Modello partonico

    2.2 Trasversità

    A livello di leading-twist la struttura a quark degli adroni è descritta in generale da

    tre tipi di funzioni di distribuzione partoniche che indichiamo come segue:

    -)distribuzioni non polarizzate f(x),

    -)distribuzioni di elicità o longitudinalmente polarizzate ∆f(x),

    -)le trasversità o polarizzazioni trasverse ∆Tf(x) .

    Le prime due sono quantità ben note: f(x) è la probabilità di trovare un quark con

    una frazione x del momento longitudinale dell’ adrone; mentre ∆f(x) misura l’elicità

    netta di un quark polarizzato longitudinalmente e rappresenta la densità in numero

    di quarks che hanno frazione del momento x e spin parallelo a quello dell’adrone

    meno la densità in numero di quarks con la stessa frazione di momento ma con spin

    antiparallelo.

    Se denotiamo con f±(x) le densità in numero di quarks con elicità ±1, allora abbiamoche:

    f(x) = f+(x) + f−(x)

    ∆f(x) = f+(x) − f−(x) . (2.90)

    La terza funzione di distribuzione è meno nota ma ha un significato semplice. In

    un adrone trasversalmente polarizzato ∆T f(x) è la densità in numero di quarks con

    frazione di momento x e polarizzazione parallela a quella dell’adrone meno la densità

    in numero di quarks con la stessa frazione di momento e polarizzazione antiparallela:

    ∆Tf(x) = f↑(x) − f↓(x) (2.91)

    In virtù della rinormalizzabilità della QCD le f(x), ∆f(x), ∆T f(x), assumono una

    dipendenza da Q2. ∆Tf(x) è una quantità detta a leading-twist. Per bassi valori

    di Q2 la modellistica ci dice che ∆Tf(x) ≤ ∆f(x), mentre l’evoluzione in QCD di∆T f(x) e ∆f(x) è molto diversa e per bassi x ∆T f(x) sembra essere soppressa.

    Inoltre ∆T f(x) nella sua evoluzione non ha cotroparte gluonica ed evolve come una

    quantità di non singoletto. Essa non appare in processi pienamente inclusivi come

    la diffusione profondamente anelastica (DIS) e questo fatto si giustifica con delle

    considerazioni sulla chiralità. Si ricorre quindi allo studio di processi di collisione

    adrone-adrone, come il processo di Drell-Yan. Preparando ad esempio un protone per

    l’urto, polarizzandolo trasversalmente, un quark al suo interno conserverà il “ricordo”

  • 2.2. Trasversità 41

    di questa polarizzazione trasversa. h1 che è una differenza di probabilità tiene conto

    di questo effetto. Nella sezione che segue cercheremo di illustrare in modo dettagliato

    il concetto di polarizzazione. Introduciamo a questo scopo le variabili di cono-luce che

    risultano di notevole utilità. Definiamo due 4-vettori detti di cono-luce come segue:

    n̂+ =1√2(1, 0⊥,+1)

    n̂− =1√2(1, 0⊥,−1) (2.92)

    Si può vedere facilmente che: n̂2+ = n̂2− = 0 e n̂+ · n̂− = 1. Ogni 4-vettore può quindi

    essere riscritto come in termini di variabili di cono-luce nel modo seguente:

    pµ = p+n̂+ + p−n̂− + p⊥ , (2.93)

    dove:

    p+ =1√2

    (

    p0 + p3)

    p− =1√2

    (

    p0 − p3)

    p⊥ = (0, ~p⊥, 0) , (2.94)

    da cui:

    pµ =(

    p0, ~p⊥, p3)

    (2.95)

    Fatte queste premesse, guardiamo ora alla utilità del formalismo. Supponiamo di

    avere un protone ad altissima energia. La condizione on-shell impone per il modulo

    quadro del suo 4-momento:

    pµpµ = p+p−n+n− + n−n+p−p+ + p2⊥ =

    p+p−n+n− + n−n+p−p+ − ~p2⊥ = m2 , (2.96)

    dove abbiamo denotato con m la massa del protone. Osserviamo ora che se supponi-

    amo ragionevolmente che la parte trasversa p2⊥ sia sufficientemente piccola da essere

    trascurata ad energie nell’ordine dei Tev, abbiamo che:

    p− =m2

    2p+≈ 0 (2.97)

  • 42 Capitolo 2. Modello partonico

    Ad alte energie e grandi momenti trasferiti si pone m2 = 0. Quindi in una collisione

    frontale tra due protoni ad alte energie e grandi momenti trasferiti possiamo consid-

    erare il primo protone avente componente di momento P+ = Qn+ con componente

    P− trascurabile; mentre il secondo protone che viaggia in direzione opposta, avente

    componente P− = Qn− con componente P+ trascurabile. Il coefficiente Q è chiamato

    parametro di boosts da non confondere con il momento. Un quark preparato dal

    protone nell’urto può però avere di per sè una componente trasversa del momento,

    dovuta al suo moto all’interno del nucleone. Tale componente è detta di higher-twist

    e nella nostra trattazione sarà trascurata. La funzione h1 non è correlata a questo

    momento trasverso, ma si riferisce ad una trasversità dello spin. La differenza tra

    questi due concetti è molto sottile ma netta, e nel corso degli anni ha generato molte

    ambiguità.

    Nella collisione quindi, il momento del fotone virtuale poichè soddisfa la condizione

    −q2 6= 0, può essere riscritto in componenti di cono-luce

    2.3 Polarizzazione longitudinale e trasversa

    Le rappresentazioni del gruppo di Poincaré sono identificate attraverso gli autovalori

    dei due operatori di Casimir, P 2 and W 2. P µ è l’operatore energia momento, W µ è

    l’operatore di Pauli-Lubanski, costruito da P µ e dall’operatore di momento angolare

    Jµν :

    W µ = −12εµνρσJνρPσ . (2.98)

    Gli autovalori di P 2 e W 2 sono m2 e −m2 s(s+1) rispettivamente, dove m è la massadella particella e s il suo spin. Gli stati di una particella di Dirac (s = 1/2) sono

    autovettori di P µ e dell’operatore di polarizzazione Π ≡ −W ·s/m

    P µ |p, s〉 = pµ |p, s〉 , (2.99)

    −W ·sm

    |p, s〉 = ±12|p, s〉 , (2.100)

    dove sµ è lo spin o vettore di polarizzazione della particella, che soddisfa le seguenti

    proprietà:

    s2 = −1, s·p = 0 . (2.101)

  • 2.3. Polarizzazione longitudinale e trasversa 43

    In generale, si dimostra che sµ può essere scritto nel seguente modo:

    sµ =

    (

    ~p·~nm, ~n+

    (~p·~n) ~pm(m+ p0)

    )

    , (2.102)

    dove ~n è un vettore unitario che identifica una direzione generica nello spazio. L’operatore

    di polarizzazione Π si può quindi esprimere come:

    Π =1

    2mγ5 S/ p/ . (2.103)

    e se scriviamo le soluzioni in onde piane della eq. di Dirac nella forma:

    ψ(x) =

    ǫ−ip·x u(p) (energia positiva),

    ǫ+ip·x v(p) (energia negativa),(2.104)

    con la condizione p0 > 0, Π diventa:

    Π = +1

    2γ5 s/ (stati a energia positiva), (2.105)

    quando agisce su stati ad energia positiva, (p/ −m) u(p) = 0, e

    Π = −12γ5 s/ (stati ad energia negativa), (2.106)

    quando agisce su stati ad energia negativa, (p/+m) v(p) = 0. In tal modo le equazioni

    agli autovalori per l’operatore di polarizzazione dove(α = 1, 2)saranno:

    Π u(α) = +1

    2γ5 s/ u(α) = ±

    1

    2u(α) (energia positiva),

    Π v(α) = −1

    2γ5 s/ v(α) = ±

    1

    2v(α) (energia negativa). (2.107)

    Consideriamo ora delle particelle a riposo in un dato sistema di riferimento. Lo spin

    sµ sarà (con ~p = 0 nella eq. di sopra):

    sµ = (0, ~n) , (2.108)

    e nella rappr. di Dirac abbiamo l’operatore:

    1

    2γ5 s/ =

    ~σ·~n 00 −~σ·~n

    , (2.109)

    agente su

    u(α) =

    ϕ(α)

    0

    , v(α) =

    0

    χ(α)

    . (2.110)

    Di conseguenza gli spinori u(1) e v(1) rappresentano particelle con spin12~σ·~n = +1

    2

    nel loro sistema di riferimento a riposo, mentre gli spinori u(2) e v(2) rappresentano

    particelle con spin 12~σ·~n = −1

    2nel loro riferimento a riposo. Notiamo che l’operatore

    Π, è ben definito anche per particelle non massive.

  • 44 Capitolo 2. Modello partonico

    2.3.1 Polarizzazione longitudinale