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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 136 (48.460) Città del Vaticano mercoledì 17 giugno 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!z!.!#!_! la buona notizia Il Vangelo della XII Domenica Tempo Ordinario (Mt 10, 26-33) I passeri e i capelli del capo La dichiarazione «Nostra aetate» E il Concilio aprì la via al dialogo con le religioni di ANDREA TORNIELLI L a dichiarazione conciliare No- stra aetate approvata dai pa- dri del Vaticano II e promul- gata da Paolo VI il 28 ottobre 1965 ha segnato una svolta irreversibile nei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo sulla scia dei passi in- trapresi da Giovanni XXIII, e ha cambiato in modo significativo l’approccio del cattolicesimo nei confronti delle religioni non cristia- ne. È ritenuto un testo fondativo per il dialogo con le altre fedi reli- giose, frutto di un lungo lavoro re- dazionale. Relazione unica tra cristianesimo ed ebraismo La parte centrale del documento è quella riguardante l’ebraismo: «Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testa- mento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo... Essendo per- ciò tanto grande il patrimonio spi- rituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra lo- ro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo». Parole che rappresentano il riconoscimento delle radici ebraiche del cristianesi- mo e della relazione unica che esi- ste tra la fede cristiana e l’ebrai- smo, come aveva sottolineato Gio- vanni Paolo II nell’aprile 1986 visi- tando la Sinagoga di Roma. Un te- ma sul quale ha riflettuto da teolo- go anche Joseph Ratzinger, il qua- le, da Vescovo di Roma, visitando la Sinagoga della capitale nel gen- naio 2010, ha ricordato come «la dottrina del Concilio Vaticano II» abbia rappresentato «per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amici- zia». Finisce l’accusa di deicidio rivolta al popolo ebraico Un’altra affermazione decisiva contenuta nel documento riguarda la condanna dell’antisemitismo. Ol- tre a deplorare «gli odi, le persecu- zioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiun- que», la dichiarazione conciliare spiega che la responsabilità per la morte di Gesù non deve essere at- tribuita a tutti gli ebrei. «E se au- torità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato com- messo durante la sua passione, non può essere imputato né indistinta- mente a tutti gli ebrei allora viven- ti, né agli Ebrei del nostro tempo». Il raggio di verità che riflettono le altre religioni Nella parte iniziale di Nostra ae- tate si citano induismo e buddismo e in generale le altre religioni, spie- gando che esse «si sforzano di su- perare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». La stima per i credenti dell’Islam Un paragrafo importante è dedi- cato alla fede musulmana. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, miseri- cordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parla- to agli uomini. Essi cercano di sot- tomettersi con tutto il cuore ai de- creti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si ri- ferisce. Benché essi non riconosca- no Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvol- ta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giu- dizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno». Paolo VI e i “confessori della fede musulmana” Tra i passi significativi compiuti negli anni successivi dai Pontefici nel dialogo con il mondo islamico vanno citate le parole pronunciate nel luglio 1969 da Paolo VI in Uganda, quando il Papa rese omaggio ai primi martiri cristiani africani facendo un paragone che associava anche i credenti musul- mani al martirio subito per opera di sovrani delle tribù locali. «Noi siamo sicuri di essere in comunione con voi», disse rivolgendosi agli esponenti di fede islamica nella nunziatura di Kampala, «quando imploriamo l’Altissimo, di suscitare CONTINUA A PAGINA 8 17 giugno 1970 Italia-Germania 4 a 3 La partita del secolo Rivera e Mazzola raccontano Oltre cento nuovi casi a Pechino mentre uno stato indiano ripristina il lockdown Asia, timori per una seconda ondata del virus PECHINO, 16. Sono oltre 100 i casi confermati per il nuovo focolaio a Pechino, riferisce l’O rganizzazione Mondiale della Sanità. «La scorsa settimana la Cina ha riferito di un focolaio di covid-19 a Pechino, dopo oltre 50 giorni senza casi in città. Sono adesso oltre 100 i casi confer- mati. Si indaga su origine ed entità» ha sottolineato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Ghebreyesus. Il timore è quello di una possibile se- conda ondata del virus in Asia. I casi registrati a Pechino «mo- strano che tutti devono essere prepa- rati a possibili nuovi focolai, che ci preoccupano sempre. Bisogna consi- derare infatti che la maggioranza della popolazione mondiale è ancora oggi suscettibile all’infezione, dun- que bisogna essere pronti» ha detto Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico dell’Oms per il coronavirus, in conferenza stampa a Ginevra. «Pechino — assicura — ha attivato tutte le misure necessarie, come fece- ro anche Singapore, Corea del Sud e Giappone». «Ci aspettiamo un’im- mediata risposta — ha aggiunto Mi- chael Ryan, capo del programma per le emergenze sanitarie dell’O ms — anche se è sempre preoccupante osservare nuovi cluster. Stiamo mo- nitorando la situazione con i nostri esperti basati in Cina e se sarà ne- cessario invieremo altri esperti, sia- mo in contatto con le autorità cinesi e daremo tutto il supporto necessa- rio. In ogni caso — ha concluso — la Cina, così come altri paesi, ha impa- rato molte lezioni negli ultimi 6 me- si e ha costruito una significativa ca- pacità di contenere i contagi, ciò non toglie che continueremo a mo- nitorare». L’allarme viene anche dall’India. Il governo del Tamil Nadu ha an- nunciato di avere imposto nuova- mente il lockdown dal 19 giugno fi- no alla fine del mese per la risalita dei contagi da covid-19. Lo Stato è il terzo più colpito del Paese. La decisione di ripristinare per al- tre due settimane il lockdown nello stato «è stata presa su indicazione di un team di esperti per fermare la curva crescente dei contagi» si legge in una nota. Il lockdown riguarderà in particolare la capitale Chennai (un tempo chiamata Madras), mega- lopoli che da sola conta sedici milio- ni di abitanti, e altri quattro distretti densamente popolati. Lo stato è il secondo più colpito di tutta l’India, dopo il Mahara- sthra, e conta 44.000 casi sul totale di oltre 330.000 del paese. Come nel resto dell’India, le severe restrizioni in vigore dal 25 di marzo erano state progressivamente allentate dall’inizio di giugno. Il governatore di Delhi, Arvind Kejriwal ha invece smentito ieri, in una conferenza stampa, le vo- ci che davano per imminente il ritor- no del lockdown anche nella capita- le, terza area più colpita, con oltre 30.000 casi. I timori di una nuova ondata di contagi pesano anche sulle Borse. Ieri la maggior parte dei listini han- no segnato cali oltre il 2%, per poi recuperare sul finale, limitando le perdite. Francoforte ha segnato un calo dello 0,32%, Parigi dello 0,49%. Milano ha archiviato la seduta con il segno più guadagnando lo 0,43% nonostante uno spread in rialzo a 190 punti base. Ottantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte tra Cuba e la Santa Sede JORGE QUESADA CONCEPCIÓN A PAGINA 3 Il presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association Un pluralismo da garantire PAOLO AFFATATO A PAGINA 7 Francescamente parlando BATOLOMEO E SEAN O’MALLEY A PAGINA 8 ALLINTERNO La piaga dei Janjawid GIULIO ALBANESE A PAGINA 2 Cinquant’anni fa, il 17 giugno 1970, nello stadio Azteca di Città del Messico viene giocata una partita di calcio diventata un marchio, un mito, un luogo fantastico nel- l'immaginario collettivo: Italia–Germania 4 a 3. È la fa- vola sportiva di una squadra che in quel mondiale perse la successiva finale contro lo stratosferico Brasile di Pelé, ma vinse quella che nella storia resterà scolpita come “la partita del secolo”. A ricordarla per «L’Osservatore Ro- mano», in due interviste, Gianni Rivera e Sandro Maz- zola, tra i protagonisti di quell’impresa entrata nella leg- genda. Nei loro racconti rivivono quei 120 minuti che parevano già scritti dal destino e che riassumono l’epica e il fascino del calcio, il gioco più bello del mondo. NELLE PAGINE 4 E 5 Il cardinale arcivescovo di Bologna e i cambiamenti pastorali durante la pandemia Con la mascherina non ci si vede allo specchio Rileggiamo i colloqui svolti con le comunità di mezzo mondo per cer- care di capire come cambia la Chiesa dopo il covid-19. E lo fac- ciamo insieme al cardinale arcive- scovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, un uomo, un prete, che ha la naturale disposizione a saper guardare la linea dell’orizzonte, pur conoscendo ed abitando in profondità la realtà. «Al tempo stesso avverto che anche per noi, per la Chiesa, non sarà come pri- ma, ma se e quali saranno i cam- biamenti profondi nella nostra vita di cristiani forse è ancora presto per dirlo. Per questo penso che piuttosto che avventurarci sul cosa potrà essere, sia meglio intanto ri- flettere su cosa non dovrà essere. Come ha detto Papa Francesco il giorno di Pentecoste, peggio del vi- rus c’è solo lo sprecare le opportu- nità di cambiamento e conversione che pure ci offre. Io vedo intanto tre pericoli, tre tentazioni. Quelle di cadere nel vittimismo, nel narci- sismo, e nel pessimismo. Sono tre tentazioni che hanno in comune la ricerca ostinata di una sicurezza a buon prezzo. E sono tre tentazioni che si nutrono una dell’altra. Il vit- timismo che è espressione di un fa- talismo pagano. Il narcisismo, che suppone l’esclusività della nostra sofferenza. Il pessimismo che ci fa scordare che cinquanta metri sotto la croce c’è una tomba vuota». ROBERTO CETERA A PAGINA 6 Passeggeri nella metropolitana di Pechino (Afp) di FRANCESCO COSENTINO S embra che l’esortazione “non abbiate paura” si trovi nella Bib- bia 365 volte, come dire: ogni giorno dell’anno possiamo al- leggerire il cuore e affrontare le fatiche del vivere ricordando questa Parola di consolazione, fondata sulla certezza che Dio ha cu- ra per ciascuno di noi: qualunque cosa accada, non avere paura, sei nelle Sue mani. È questo il filo rosso del discorso con il quale Gesù manda i suoi apostoli ad annunciare nel mondo il Regno di Dio. Facendosi portatori della Parola, annunciando un Dio Amore, prendendo po- sizione a favore dei più deboli, orientando i cuori alla verità, prati- cando la gratuità e il perdono come Lui, di certo incontreranno molte forze ostili e saranno come pecore in mezzo ai lupi; il mon- do, infatti, preferisce altre logiche, si affida alla potenza, sposa spesso le mezze verità perché alla luce del sole preferisce la pe- nombra. Un Dio che ama e invita all’amore è, ieri come oggi, ele- mento di disturbo. Tuttavia, Gesù vuole rassicurare i suoi apostoli e ciascuno di noi: anche se a volte il male sembra farsi strada in modo invincibile, an- che se il Vangelo a volte non fa rumore e sembra restare nascosto nelle pieghe di una storia ancora segnata dalla notte, anche se quando ti impegni nell’amore, nel perdono, nell’accoglienza sembri essere un perdente e pare che non si smuova nulla, tu non avere paura. Il bene e la verità, anche se silenziosamente, si fanno strada da soli. Pur restando apparentemente nascosta, l’opera di Dio tra- sforma, libera e guarisce, finché sarà gridata sui tetti. E anche se re- stare al Vangelo costa il martirio, fisico o spirituale che sia, in realtà tu non muori e la parola porta il suo frutto. Di una sola cosa biso- gna aver paura, dice Gesù: di ciò che può uccidere la nostra anima, che può spegnerla e farla diventare assuefatta e tiepida. L’apatia, l’accidia, il pessimismo, la rassegnazione, la superficialità, l’egoismo sono i veri nemici dell’anima e della vita. Dentro le vicende della nostra vita, quando il bene resta nascosto e il male talvolta prevalere, Gesù ci svela la cura di Dio per noi at- traverso due immagini: i passeri e i capelli del capo. Neanche un passero cade se il Padre non vuole: non è il richiamo a un Dio ca- priccioso che decide in modo arbitrario, ma, al contrario, è come di- re: anche per la caduta di un passero Dio si coinvolge e davanti a Lui non passa inosservata. Ora — sembra dire Gesù — se è così per i passeri che valgono poco, tanto più questa cura di Dio è rivolta a te: sei un figlio amato e Lui ha contato perfino i capelli del tuo ca- po: anche quando sono tagliati e cadono a terra, nessuno di essi an- drà perduto, perché Dio li ha contati uno per uno: nessuno rimane solo nella notte o a terra per essere caduto: Dio si abbassa per rac- coglierci e ci tiene nelle sue mani, qualunque cosa accada. Se ho un Dio che mi ama così, allora posso camminare con fidu- cia. Allora, anche mentre cammino in una valle oscura, io non ho paura.

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 136 (48.460) Città del Vaticano mercoledì 17 giugno 2020

.

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izia Il Vangelo della XII Domenica Tempo Ordinario (Mt 10, 26-33)

I passeri e i capelli del capo

La dichiarazione «Nostra aetate»

E il Concilio aprì la viaal dialogo con le religionidi ANDREA TORNIELLI

La dichiarazione conciliare No-stra aetate approvata dai pa-dri del Vaticano II e promul-

gata da Paolo VI il 28 ottobre 1965ha segnato una svolta irreversibilenei rapporti tra la Chiesa cattolicae l’ebraismo sulla scia dei passi in-trapresi da Giovanni XXIII, e hacambiato in modo significativol’approccio del cattolicesimo neiconfronti delle religioni non cristia-ne. È ritenuto un testo fondativoper il dialogo con le altre fedi reli-giose, frutto di un lungo lavoro re-dazionale.

Relazione unicatra cristianesimo ed ebraismoLa parte centrale del documento

è quella riguardante l’ebraismo:«Scrutando il mistero della Chiesa,il sacro Concilio ricorda il vincolocon cui il popolo del Nuovo Testa-mento è spiritualmente legato conla stirpe di Abramo... Essendo per-ciò tanto grande il patrimonio spi-rituale comune a cristiani e adebrei, questo sacro Concilio vuolepromuovere e raccomandare tra lo-ro la mutua conoscenza e stima,che si ottengono soprattutto congli studi biblici e teologici e conun fraterno dialogo». Parole cherappresentano il riconoscimentodelle radici ebraiche del cristianesi-mo e della relazione unica che esi-ste tra la fede cristiana e l’ebrai-smo, come aveva sottolineato Gio-vanni Paolo II nell’aprile 1986 visi-tando la Sinagoga di Roma. Un te-ma sul quale ha riflettuto da teolo-go anche Joseph Ratzinger, il qua-le, da Vescovo di Roma, visitandola Sinagoga della capitale nel gen-naio 2010, ha ricordato come «ladottrina del Concilio Vaticano II»abbia rappresentato «per i cattoliciun punto fermo a cui riferirsicostantemente nell’atteggiamento enei rapporti con il popolo ebraico,segnando una nuova e significativatappa. L’evento conciliare ha datoun decisivo impulso all’impegno dipercorrere un cammino irrevocabiledi dialogo, di fraternità e di amici-zia».

Finisce l’accusa di deicidiorivolta al popolo ebraico

Un’altra affermazione decisivacontenuta nel documento riguardala condanna dell’antisemitismo. Ol-tre a deplorare «gli odi, le persecu-zioni e tutte le manifestazionidell’antisemitismo dirette contro gliebrei in ogni tempo e da chiun-que», la dichiarazione conciliarespiega che la responsabilità per lamorte di Gesù non deve essere at-tribuita a tutti gli ebrei. «E se au-torità ebraiche con i propri seguacisi sono adoperate per la morte diCristo, tuttavia quanto è stato com-

messo durante la sua passione, nonpuò essere imputato né indistinta-mente a tutti gli ebrei allora viven-ti, né agli Ebrei del nostro tempo».

Il raggio di veritàche riflettono le altre religioniNella parte iniziale di Nostra ae-

tate si citano induismo e buddismoe in generale le altre religioni, spie-gando che esse «si sforzano di su-perare, in vari modi, l’inquietudinedel cuore umano proponendo dellevie, cioè dottrine, precetti di vita eriti sacri. La Chiesa cattolica nullarigetta di quanto è vero e santo inqueste religioni. Essa considera consincero rispetto quei modi di agiree di vivere, quei precetti e quelledottrine che, quantunque in moltipunti differiscano da quanto essastessa crede e propone, tuttavianon raramente riflettono un raggiodi quella verità che illumina tuttigli uomini».

La stimaper i credenti dell’Islam

Un paragrafo importante è dedi-cato alla fede musulmana. «LaChiesa guarda anche con stima imusulmani che adorano l’unicoDio, vivente e sussistente, miseri-cordioso e onnipotente, creatoredel cielo e della terra, che ha parla-to agli uomini. Essi cercano di sot-tomettersi con tutto il cuore ai de-creti di Dio anche nascosti, comevi si è sottomesso anche Abramo, acui la fede islamica volentieri si ri-ferisce. Benché essi non riconosca-no Gesù come Dio, lo veneranotuttavia come profeta; onorano lasua madre vergine, Maria, e talvol-ta pure la invocano con devozione.Inoltre attendono il giorno del giu-dizio, quando Dio retribuirà tuttigli uomini risuscitati. Così purehanno in stima la vita morale erendono culto a Dio, soprattuttocon la preghiera, le elemosine e ildigiuno».

Paolo VIe i “confessori della fede

musulmana”Tra i passi significativi compiuti

negli anni successivi dai Ponteficinel dialogo con il mondo islamicovanno citate le parole pronunciatenel luglio 1969 da Paolo VI inUganda, quando il Papa reseomaggio ai primi martiri cristianiafricani facendo un paragone cheassociava anche i credenti musul-mani al martirio subito per operadi sovrani delle tribù locali. «Noisiamo sicuri di essere in comunionecon voi», disse rivolgendosi agliesponenti di fede islamica nellanunziatura di Kampala, «quandoimploriamo l’Altissimo, di suscitare

CO N T I N UA A PA G I N A 8

17 giugno 1970 Italia-Germania 4 a 3

La partita del secoloRivera e Mazzola raccontano

Oltre cento nuovi casi a Pechino mentre uno stato indiano ripristina il lockdown

Asia, timori per una secondaondata del virus

PE C H I N O, 16. Sono oltre 100 i casiconfermati per il nuovo focolaio aPechino, riferisce l’O rganizzazioneMondiale della Sanità. «La scorsasettimana la Cina ha riferito di unfocolaio di covid-19 a Pechino, dopooltre 50 giorni senza casi in città.Sono adesso oltre 100 i casi confer-mati. Si indaga su origine ed entità»ha sottolineato il direttore generaledell’Organizzazione mondiale dellasanità (Oms) Tedros Ghebreyesus. Iltimore è quello di una possibile se-conda ondata del virus in Asia.

I casi registrati a Pechino «mo-strano che tutti devono essere prepa-rati a possibili nuovi focolai, che cipreoccupano sempre. Bisogna consi-derare infatti che la maggioranzadella popolazione mondiale è ancoraoggi suscettibile all’infezione, dun-que bisogna essere pronti» ha detto

Maria Van Kerkhove, responsabiletecnico dell’Oms per il coronavirus,in conferenza stampa a Ginevra.«Pechino — assicura — ha attivatotutte le misure necessarie, come fece-ro anche Singapore, Corea del Sud eGiappone». «Ci aspettiamo un’im-mediata risposta — ha aggiunto Mi-chael Ryan, capo del programmaper le emergenze sanitarie dell’O ms— anche se è sempre preoccupanteosservare nuovi cluster. Stiamo mo-nitorando la situazione con i nostriesperti basati in Cina e se sarà ne-cessario invieremo altri esperti, sia-mo in contatto con le autorità cinesie daremo tutto il supporto necessa-rio. In ogni caso — ha concluso — laCina, così come altri paesi, ha impa-rato molte lezioni negli ultimi 6 me-si e ha costruito una significativa ca-pacità di contenere i contagi, ciònon toglie che continueremo a mo-n i t o r a re » .

L’allarme viene anche dall’India.Il governo del Tamil Nadu ha an-nunciato di avere imposto nuova-mente il lockdown dal 19 giugno fi-no alla fine del mese per la risalitadei contagi da covid-19. Lo Stato è ilterzo più colpito del Paese.

La decisione di ripristinare per al-tre due settimane il lockdown nellostato «è stata presa su indicazione diun team di esperti per fermare lacurva crescente dei contagi» si leggein una nota. Il lockdown riguarderàin particolare la capitale Chennai(un tempo chiamata Madras), mega-lopoli che da sola conta sedici milio-

ni di abitanti, e altri quattro distrettidensamente popolati.

Lo stato è il secondo più colpitodi tutta l’India, dopo il Mahara-sthra, e conta 44.000 casi sul totaledi oltre 330.000 del paese. Come nelresto dell’India, le severe restrizioniin vigore dal 25 di marzo erano stateprogressivamente allentate dall’iniziodi giugno. Il governatore di Delhi,Arvind Kejriwal ha invece smentitoieri, in una conferenza stampa, le vo-ci che davano per imminente il ritor-no del lockdown anche nella capita-

le, terza area più colpita, con oltre30.000 casi.

I timori di una nuova ondata dicontagi pesano anche sulle Borse.Ieri la maggior parte dei listini han-no segnato cali oltre il 2%, per poirecuperare sul finale, limitando leperdite. Francoforte ha segnato uncalo dello 0,32%, Parigi dello 0,49%.Milano ha archiviato la seduta con ilsegno più guadagnando lo 0,43%nonostante uno spread in rialzo a190 punti base.

Ottantacinque annidi relazionidiplomaticheininterrotte tra Cubae la Santa Sede

JORGE QUESADA CONCEPCIÓNA PA G I N A 3

Il presidente della PakistanMinorities Teachers’ As s o c i a t i o n

Un pluralismoda garantire

PAOLO AF FATAT O A PA G I N A 7

Fr a n c e s c a m e n t eparlando

BAT O L O M E O E SEAN O’MALLEYA PA G I N A 8

ALL’INTERNO

La piaga dei Janjawid

GIULIO ALBANESE A PA G I N A 2

Cinquant’anni fa, il 17 giugno 1970, nello stadio Aztecadi Città del Messico viene giocata una partita di calciodiventata un marchio, un mito, un luogo fantastico nel-l'immaginario collettivo: Italia–Germania 4 a 3. È la fa-vola sportiva di una squadra che in quel mondiale persela successiva finale contro lo stratosferico Brasile di Pelé,ma vinse quella che nella storia resterà scolpita come “lapartita del secolo”. A ricordarla per «L’Osservatore Ro-mano», in due interviste, Gianni Rivera e Sandro Maz-zola, tra i protagonisti di quell’impresa entrata nella leg-genda. Nei loro racconti rivivono quei 120 minuti cheparevano già scritti dal destino e che riassumono l’epicae il fascino del calcio, il gioco più bello del mondo.

NELLE PA G I N E 4 E 5

Il cardinale arcivescovo di Bolognae i cambiamenti pastorali durante la pandemia

Con la mascherinanon ci si vede allo specchio

Rileggiamo i colloqui svolti con lecomunità di mezzo mondo per cer-care di capire come cambia laChiesa dopo il covid-19. E lo fac-ciamo insieme al cardinale arcive-scovo di Bologna, Matteo MariaZuppi, un uomo, un prete, che hala naturale disposizione a saperguardare la linea dell’orizzonte,pur conoscendo ed abitando inprofondità la realtà. «Al tempostesso avverto che anche per noi,per la Chiesa, non sarà come pri-ma, ma se e quali saranno i cam-biamenti profondi nella nostra vitadi cristiani forse è ancora prestoper dirlo. Per questo penso chepiuttosto che avventurarci sul cosapotrà essere, sia meglio intanto ri-flettere su cosa non dovrà essere.

Come ha detto Papa Francesco ilgiorno di Pentecoste, peggio del vi-rus c’è solo lo sprecare le opportu-nità di cambiamento e conversioneche pure ci offre. Io vedo intantotre pericoli, tre tentazioni. Quelledi cadere nel vittimismo, nel narci-sismo, e nel pessimismo. Sono tretentazioni che hanno in comune laricerca ostinata di una sicurezza abuon prezzo. E sono tre tentazioniche si nutrono una dell’altra. Il vit-timismo che è espressione di un fa-talismo pagano. Il narcisismo, chesuppone l’esclusività della nostrasofferenza. Il pessimismo che ci fascordare che cinquanta metri sottola croce c’è una tomba vuota».

ROBERTO CETERA A PA G I N A 6

Passeggeri nella metropolitana di Pechino (Afp)

di FRANCESCO COSENTINO

Sembra che l’esortazione “non abbiate paura” si trovi nella Bib-bia 365 volte, come dire: ogni giorno dell’anno possiamo al-leggerire il cuore e affrontare le fatiche del vivere ricordando

questa Parola di consolazione, fondata sulla certezza che Dio ha cu-ra per ciascuno di noi: qualunque cosa accada, non avere paura, seinelle Sue mani.

È questo il filo rosso del discorso con il quale Gesù manda isuoi apostoli ad annunciare nel mondo il Regno di Dio. Facendosiportatori della Parola, annunciando un Dio Amore, prendendo po-sizione a favore dei più deboli, orientando i cuori alla verità, prati-cando la gratuità e il perdono come Lui, di certo incontrerannomolte forze ostili e saranno come pecore in mezzo ai lupi; il mon-do, infatti, preferisce altre logiche, si affida alla potenza, sposaspesso le mezze verità perché alla luce del sole preferisce la pe-nombra. Un Dio che ama e invita all’amore è, ieri come oggi, ele-mento di disturbo.

Tuttavia, Gesù vuole rassicurare i suoi apostoli e ciascuno di noi:anche se a volte il male sembra farsi strada in modo invincibile, an-che se il Vangelo a volte non fa rumore e sembra restare nascostonelle pieghe di una storia ancora segnata dalla notte, anche sequando ti impegni nell’amore, nel perdono, nell’accoglienza sembriessere un perdente e pare che non si smuova nulla, tu non averepaura. Il bene e la verità, anche se silenziosamente, si fanno strada

da soli. Pur restando apparentemente nascosta, l’opera di Dio tra-sforma, libera e guarisce, finché sarà gridata sui tetti. E anche se re-stare al Vangelo costa il martirio, fisico o spirituale che sia, in realtàtu non muori e la parola porta il suo frutto. Di una sola cosa biso-gna aver paura, dice Gesù: di ciò che può uccidere la nostra anima,che può spegnerla e farla diventare assuefatta e tiepida. L’apatia,l’accidia, il pessimismo, la rassegnazione, la superficialità, l’egoismosono i veri nemici dell’anima e della vita.

Dentro le vicende della nostra vita, quando il bene resta nascostoe il male talvolta prevalere, Gesù ci svela la cura di Dio per noi at-traverso due immagini: i passeri e i capelli del capo. Neanche unpassero cade se il Padre non vuole: non è il richiamo a un Dio ca-priccioso che decide in modo arbitrario, ma, al contrario, è come di-re: anche per la caduta di un passero Dio si coinvolge e davanti aLui non passa inosservata. Ora — sembra dire Gesù — se è così peri passeri che valgono poco, tanto più questa cura di Dio è rivolta ate: sei un figlio amato e Lui ha contato perfino i capelli del tuo ca-po: anche quando sono tagliati e cadono a terra, nessuno di essi an-drà perduto, perché Dio li ha contati uno per uno: nessuno rimanesolo nella notte o a terra per essere caduto: Dio si abbassa per rac-coglierci e ci tiene nelle sue mani, qualunque cosa accada.

Se ho un Dio che mi ama così, allora posso camminare con fidu-cia. Allora, anche mentre cammino in una valle oscura, io non hopaura.

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Dopo il recente arresto di Ali Kushayb, uno dei leader storici delle famigerate milizie sudanesi

La piaga dei Janjawiduna questione di giustizia

Quasi 1,7 milioni le famiglie italiane in povertà assoluta

Parigi riapredopo tre mesi di lockdown

Trump annunciala riduzione

dei militari Usain Germania

WASHINGTON, 16. Il presidentestatunitense Donald Trump ha an-nunciato ieri che ridurrà il numerodi militari Usa di stanza in Ger-mana. Incontrando i giornalisti al-la Casa Bianca ha accusato laGermania di essere inadempientenei confronti della Nato e perquesto motivo ha deciso di abbas-sare a 25.000 unità il contingentemilitare statunitense nel territoriotedesco. Il numero di soldatischierati permanentemente in Ger-mania era infatti di 34.674 nelmarzo 2020, secondo i dati uffi-ciali del Pentagono. Questa cifra,tuttavia, può salire eccezionalmen-te a 52.000 durante rotazioni oesercitazioni militari. La Germania«è inadempiente da anni. Deve al-la Nato miliardi di dollari e devepagarli. Quindi noi proteggiamola Germania e loro sono inadem-pienti. Non ha senso», le paroledi Trump secondo cui Berlino nondestina il 2 per cento del proprioPil alle spese per la difesa. Il pre-sidente ha poi aggiunto che man-tenere le truppe in Germania rap-presenta ormai «un costo enormeper gli Stati Uniti».

La Germania dal canto suo af-ferma di non essere inadempienteperché tale quota è per le spesemilitari e non necessariamente dadestinare esclusivamente all'Al-leanza Atlantica e in ogni caso ilrispetto dell'obiettivo concordato èper il 2024.

L’Eliseo critica le ingerenze turche nel paese africano

La Francia sostiene il dialogo in Libia

Attacco terroristicocontro le forze armate in Mali

Duro colpoalla mafia e al clan

Casamonica

ROMA, 16. È in corso dall’alba dioggi una maxi operazione dei Ca-rabinieri di Trapani, durante ilquale sono stati eseguiti 13 arrestiper affiliazione al clan del boss la-titante Matteo Messina Denaro,uno dei maggior esponenti di Co-sa nostra. Nel frattempo un nuovoduro colpo è stato inflitto a Romaal clan Casamonica. Le forzedell’ordine hanno arrestato in unblitz 20 persone e sequestrati beniper 20 milioni di euro. «Una vit-toria per la città» ha twittato ilsindaco di Roma Virgina Raggi.

Nelle prossime ore, MassimoCarminati, uno dei principali pro-tagonisti dell’inchiesta Mafia capi-tale, lascerà il carcere di Oristano,dopo più di 5 anni. Scadono oggii termini della custodia cautelare.

TRIPOLI, 16. La Francia si è espres-sa sulla crisi libica, definendo«inaccettabili» le ingerenze dellaTurchia in Libia e ne chiede la ces-sazione. Lo ha affermato ieri il mi-nistero degli Esteri francese, con-dannando il sostegno militare forni-to dalla Turchia al Governo di ac-cordo nazionale (Gna) di Fayez al-Serraj — riconosciuto dall’Onu —nella sua offensiva in corso controle forze di Khalifa Haftar.

«La Francia condanna tutte leingerenze straniere in Libia, senzaeccezioni», sottolinea il Quay d’O r-say. «Oggi — spiega — malgrado idue campi libici abbiano accettatod’impegnarsi nel negoziato di uncessate il fuoco, l’offensiva delleforze favorevoli al Gna proseguecon il sostegno massiccio della Tur-chia in violazione dell’embargo sul-le armi dell’Onu». L’Eliseo denun-cia una «politica sempre più ag-gressiva e assertiva della Turchia,con sette navi turche posizionate allargo della Libia e una violazionedell’embargo sulle armi».

«I turchi strumentalizzando laNato», secondo la presidenza fran-cese. Su questo punto EmmanuelMacron, si è già incontrato con ilpresidente degli Stati Uniti, Do-nald Trump, questa settimana.L’Eliseo ha intanto annunciato che«nelle prossime settimane si terran-no discussioni su questo argomentocon i partner della Nato impegnatinella crisi». «Il ministro per l’E u ro -pa e gli Affari Esteri, Yves LeDrian, si è espresso il 9 giugno, as-

sieme agli omologhi tedesco e ita-liano e l’Alto rappresentantedell’Ue, per esigere una tregua im-mediata e un rapido cessate il fuo-co sotto l’egida dell’Onu», affermail ministero degli Esteri. «La prose-cuzione delle ingerenze straniere,

fra cui l’intensificazione del soste-gno turco, va contro questo obietti-vo», ha ribadito. Nelle ultime setti-mane grazie al sostegno turco, letruppe di al-Serraj sono riuscite ariconquistare importanti centri stra-tegici nelle mani di Haftar.

Non è mai troppo tardi. AliMuhammad Ali Abd-Al-Rahman, comunemente noto

come Ali Kushayb, uno dei leaderstorici delle famigerate milizie suda-nesi Janjawid, è finalmente detenutoall’Aja. Dopo anni di latitanza, conla complicità e le coperture del de-posto presidente Omar HasanAhmad al Bashir, Ali Kushayb era

guardavano il disinteresse del gover-no centrale nei confronti dei proble-mi socio-economici della loro regio-ne. Successivamente il Dla cambiònome in Esercito di Liberazione delSudan (Sla), grazie al sostegno, se-condo fonti indipendenti, dell’Eser-cito di Liberazione Popolare del Su-dan del colonnello John Garang.

Seguì un’indicibile spirale di vio-lenza che causò, secondo la Coali-tion for International Justice, alme-no 400mila morti. In quell’infernodi dolore, gran parte delle stragivennero perpetrate proprio dai Jan-jawid, conosciuti anche come Jinga-weit. Questi miliziani, descritti come“uomini a cavallo armati di carabi-na”, sono stati una milizia filo-go-vernativa sudanese, composta dapredoni appartenenti alla famigliaestesa dei Baggara, insediata nel Su-dan Occidentale e nel Ciad Orienta-le. Il sostantivo Baggara comprendein effetti vari gruppi etnici semi-no-madi quali ad esempio gli Hu-mr/Messiria, i Rizaygat, i Shuwia, iHawazma, i Ta’isha, e i Habbaniya.L’origine della parola Janjawid nonè chiara. È stata tradotta in italianocon l’espressione “diavoli a cavallo”dalle parole arabe jinn (demone) eajāwīd (cavalli). Altre fonti suggeri-scono che la sua origine derivi dallaparola persiana jangavi, che significa“g u e r r i e ro ”.

Da sempre questi gruppi etniciarabo sudanesi hanno ridotto inschiavitù le popolazioni nilotiche,scagliandosi in particolare contro glianimisti e i cristiani che popolano leregioni meridionali del Sudan. Sitratta di un fenomeno che negli anni‘80, e anche successivamente, ha for-temente penalizzato i gruppi etnicidel Sudan meridionale (ad esempiol’etnia Dinka).

La prima denuncia fu lanciata nel1987 da due docenti dell’Universitàdi Khartoum, il professor Suleyman

Ali Baldo e il suo collega UshariAhmed Mahmud. Sfidando la cen-sura del regime sudanese allora alpotere, dichiararono che una vera epropria tratta degli schiavi era già inatto dal 1985. Da quando, in altreparole, lo stato maggiore dell’e s e rc i -to sudanese ritenne opportuno defi-nire alcune strategie per arginarel’attività dell’Esercito di liberazionepopolare del Sudan (Spla) del co-lonnello Garang. Tra queste fu pro-posta e approvata la formazione diuna milizia armata di cavalieri Bag-gara. In sostanza, si trattava di ope-rare dei veri e propri raid in queivillaggi Dinka della vasta regionedel Bahr el Ghazal, in cui eranopresenti presunti sostenitori delloSpla. Gli attacchi, secondo il rap-porto pubblicato dai due docentisudanesi, si susseguirono a tappeto,a cavallo tra il 1985 e il 1987, in unalogica mirante a indebolire il movi-mento di guerriglia.

I civili uccisi furono diverse mi-gliaia e altrettanti i giovani catturatiper essere poi venduti come merce

umana ai mercati. Sebbene le di-chiarazioni di Suleyman e di Ushariavessero al contempo dell’i n c re d i b i l ee del sensazionale, furono successi-vamente confermate da osservatoriinternazionali e addirittura aggior-nate e amplificate con nuovi e terri-bili testimonianze. Nonostante siadifficile definire ancora oggi le vastearee geografiche dove si consumaro-no simili tragedie e, soprattutto,quantificare le cifre che riguardanola tratta, alcune autorevoli organiz-zazioni internazionali come l’Asi(Anti Slavery International) si sonoadoperate in questi anni affinché sifacesse luce sulla verità dei fatti.Tornando ai Janjawid, le testimo-nianze raccolte in questi anni nelDarfur parlano, come già accadutonel Sud Sudan, di indicibili vessa-zioni perpetrate da questi milizianicontro le popolazioni autoctone.Non v’è dubbio che l’etnia che hapagato il più alto tributo in viteumane nel Darfur è stata quella deiFur, prevalentemente di religioneislamica; tutta gente che, prim’anco-ra che scoppiassero le ostilità, prote-stava contro il governo di Khartoumper essersi disinteressato dei proble-mi socio-economici della loro regio-ne.

Durante la guerra civile nel Dar-fur non sembra esservi stata una ve-ra e propria tratta di schiavi comeaccadde invece nel Sudan meridio-nale, anche se nei loro attacchi con-tro i villaggi, i Janjawid hanno co-munque sequestrato, non poche vol-te, centinaia di giovani civili costrin-gendoli a compiere atti di sottomis-sione. È noto, ad esempio, che i Ri-zaygat, conosciuti anche come Rezi-gat, appartenenti alla grande fami-glia Baggara, portino al loro seguitodei servi ridotti in schiavitù per ac-cudire il loro bestiame. Una cosa ècerta.

Ancora oggi nel Darfur la situa-zione è drammatica, sia dal punto divista umanitario, come anche perquanto concerne la sicurezza. Il fat-to stesso che lo scorso 4 giugno ilConsiglio di Sicurezza delle NazioniUnite abbia prolungato di altri seimesi la missione della forza di pea-cekeeping ibrida Unione Africana-Nazioni Unite nel Darfur (Una-mid), la dice lunga.

PARIGI, 16. Tre mesi dopo l’iniziodel lockdown, Parigi ha riaperto.Anche la capitale della Francia —ha annunciato in un discorso ilpresidente, Emmanuel Macron —può «voltare la pagina del primoatto della crisi» provocata dall'epi-demia di coronavirus.

Riaprono, quindi, tutti i ristoran-ti e i bar a Parigi, gli asili e lescuole elementari e medie, che dal22 luglio ritroveranno ritmi e ob-blighi dei tempi della normalità.«Un risultato raggiunto con losforzo di tutti, e di cui andare fie-ri», ha detto l’inquilino dell’Eliseo.«L'estate 2020 — ha aggiunto il ca-po dello Stato — non sarà un'estatecome le altre e bisognerà seguirel'evoluzione dell'epidemia per pre-pararci. La lotta non è ancora fini-ta. Ma sono felice con voi di que-sta prima vittoria contro il virus».

Nel momento della riaperturatotale, Macron ha fatto anche il bi-lancio di quanto avvenuto: rivendi-cando «la scelta di mettere la salu-te davanti all'economia», ammet-tendo «errori», ma rivendicando isuccessi: «Non dobbiamo vergo-gnarci del nostro bilancio — ha pre-cisato —, decine di migliaia di vitesono state salvate grazie alle nostrescelte, alle nostre azioni». «Lo Sta-to ha tenuto, abbiamo reagito me-glio di altri, di fronte a un virusche ci ha colpito con più forza»,ha dichiarato il presidente.

Nei prossimi giorni saranno ria-perte anche le palestre e ci sarà laripresa del calcio. «Il peggiodell’epidemia è alle nostre spalle»,ha annunciato Olivier Véran, il mi-nistro della Salute per tante setti-mane costretto ad annunciare orebuie e sacrifici. Ieri, sono state ria-perte le frontiere interne del Paeseverso i partner dello spazio Schen-gen, molte erano le telecamere chehanno assistito alla partenza delprimo treno diretto dalla Gare duNord a Dortmund, in Germania. Ipasseggeri non avevano più alcunaattestazione o documento giustifi-cativo del loro spostamento, comeera invece obbligatorio fino a ieri.

In Italia, anche oggi gli Stati ge-nerali dell’Economia attirerannol’attenzione del Paese. Gli incontricontinueranno come previsto nellasede istituzionale di Villa Pamphilj,a Roma, e seguiranno un program-

ma ben preciso. Gli Stati generaliodierni seguiranno quelli del finesettimana — ai quali hanno parteci-pato numerose personalità di spic-co internazionale, fra cui Ursulavon der Leyen, Christine Lagarde ealtri — e quelli di ieri, in cui il Go-verno si è confrontato con diversirappresentanti delle parti sociali.

Sono invece quasi 1,7 milioni lefamiglie italiane in condizione dipovertà assoluta con una incidenzapari al 6,4 per cento, per un nume-ro complessivo di quasi 4,6 milionidi individui. Lo rileva oggi l’Istat,nelle sue statistiche del 2019 sullapovertà assoluta, che coinvolgemaggiormente le famiglie numerosee con figli minori, L’Istat rileva in-fatti che nello scorso anno si con-ferma un’incidenza più elevata trale famiglie con un maggior numerodi componenti: 9,6 per cento traquelle con quattro componenti e16,2 per cento tra quelle con cin-que e più componenti.

Soldati dell’esercito nazionale libico leali ad al-Serraj (Ansa)

di GIULIO ALBANESE

ricercato dal 2007 per i crimini com-messi nella tormentata regione suda-nese del Darfur. Da diverso temposi era diffusa la notizia che si fosserifugiato nella Repubblica Centrafri-cana con l’aiuto di un gruppo ribel-le autoctono di matrice islamista.Sta di fatto che la sua decisione diconsegnarsi al tribunale di Birao, ca-poluogo della prefettura di Vakaga,nel settore nordorientale della Re-pubblica Centrafricana, non lontanodal confine sudanese, è stata accoltacon entusiasmo nei circoli della so-cietà civile sudanese, particolarmen-te nel Darfur.

È bene ricordare che il 27 aprile2007 i giudici della Corte penale in-ternazionale (Cpi) avevano formal-mente messo sotto accusa Ali Ku-shayb e l’allora ministro sudaneseper gli affari umanitari ed ex gover-natore dello stato sudanese del Kor-dofan Ahmed Mohammed Haroun.In quella circostanza il brillante epungente procuratore argentino Lo-uis Moreno-Ocampo sciorinò ben51 capi d’accusa, compresi omicidi dimassa, stupri e torture; tutti criminicommessi nel 2003 e nel 2004, du-rante gli attacchi a quattro villaggi,Kodoom, Bindisi, Mukjar and Ara-tala, abitati da civili inermi. Da rile-vare che l’anno successivo, il 14 lu-glio del 2008, lo stesso procuratorepresentò le prove che dimostranoche l’allora presidente sudanese alBashir aveva commesso il crimine digenocidio, crimini contro l’umanitàe crimini di guerra nella stessa re-gione darfuriana, chiedendo allaCorte Preliminare di spiccare unmandato d’arresto nei suoi confrontiai sensi dell’articolo 58 dello Statutodella Cpi.

Nel complesso, oggi, vi sono an-cora quattro personaggi sudanesi ri-cercati dalla Corte dell’Aja. Oltre adHaroun e al Bashir, c’è anche l’exministro alla difesa, Abdel-RahimMohamed Hussein e Abdallah Ban-da, uno dei leader del movimento diribelli Giustizia e Eguaglianza(Jem). Mentre i primi tre sono agliarresti, Banda è ancora a piede libe-ro. La guerra civile darfuriana esplo-se nel febbraio del 2003 in seguitoall’occupazione da parte dell’E s e rc i -to di Liberazione del Darfur (Dla)della zona denominata Jebel Marra,dove venne instaurata un’ammini-strazione indipendente. Le accuseche i ribelli mossero a Khartoum ri-

BA M A KO, 16. Proseguono incessantigli attacchi terroristici in Mali. Unconvoglio dell’esercito di Bamako ècaduto, domenica, in un’imb oscatanella località di Bouka Weré, a sud-est di Diabaly, nel centro del Paese,a un centinaio di chilometri dal con-fine con la Mauritania. Secondo iprimi accertamenti, decine di soldatisono morti e altri risultano dispersi.Lo rendono noto fonti militari. L’at-tacco è stato condotto presumibil-mente da miliziani jihadisti.

Una parte dei veicoli è riuscita asottrarsi all’assalto, ma dei 64 soldatiimpegnati nel pattugliamento solouna ventina ha risposto all’app ello.Sono in corso le ricerche dei disper-si. Meno di 24 ore prima hanno per-

so la vita due caschi blu della mis-sione di peacekeeping dell’O nu(Minusma) in un attacco sferrato daun gruppo armato nel nord, tra Tes-salit e Gao. I due, la cui nazionalitànon è stata resa nota finora, faceva-no parte di un convoglio logistico.In questo contesto di continui atten-tati nel centro e nel nord, il presi-dente del Mali, Ibrahim BoubacarKeita, ha detto di essere pronto a te-nere colloqui con la coalizione diopp osizione.

Intanto, monta la protesta e inmolti chiedono le sue dimissioni.Keita ha perso gradualmente con-senso a causa del dilagare degliscontri etnici e del terrorismo di ma-trice jihadista nel Paese.

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 17 giugno 2020 pagina 3

Dopo l’uccisione di Rayshard Brooks

La rabbia degli afroamericani«Siamo stanchi delle violenze»

Ottantacinque annidi relazioni diplomatiche

i n i n t e r ro t t etra Cuba e la Santa Sede

La Corte supremac o n t ro

le discriminazioniper l’orientamento

sessuale

WASHINGTON, 16. La Corte su-prema degli Stati Uniti ha emes-so ieri una sentenza con la qualevieta le discriminazioni sul luogodi lavoro a causa dell’orientamen-to sessuale.

Nel dettaglio, la sentenza af-ferma che il titolo VII del CivilRights Act del 1964 protegge nonsolo dalla discriminazioni basatesulla razza o la religione, ma an-che da quelle basate sull'orienta-mento sessuale o sull'identità digenere. Questo significa che unapersona non potrà essere licen-ziata o perseguitata sul luogo dilavoro perché omosessuale otransessuale. La decisione dellaCorte si è resa necessaria in se-guito a tre casi di persone omo-sessuali licenziate in Georgia, inMichigan e nello stato di NewYork. Va detto inoltre che in 28stati americani non esistono leggiche vietano esplicitamente discri-minazioni a causa dell’orienta-mento sessuale.

Il presidente Trump, commen-tando con i giornalisti, ha dichia-rato di aver accettato la sentenzae di pensare che si tratti di una«decisione molto forte».

Positiva la reazione democrati-ca. «La decisione di oggi è un al-tro passo nella nostra marcia ver-so l’uguaglianza per tutti. LaCorte suprema ha confermatol’idea semplice ma profondamen-te americana che ogni essereumano deve essere trattato conrispetto. Ma non abbiamo finitoqui» ha detto il principale candi-dato democratico alla Casa Bian-ca Joe Biden, che sfiderà Trumpalle prossime elezioni presiden-ziali, commentando la sentenzadella Corte Suprema.

WASHINGTON, 16. Non si fermal’ondata di proteste negli Stati Unitiin seguito alla uccisione dell’a f ro a -mericano George Floyd da parte diun agente bianco a Minneapolis.Cortei e manifestazioni sono previstianche oggi in diverse città america-ne. Intanto, proseguono le indaginisulla morte di un altro afroamerica-no, Rayshard Brooks, colpito a mor-te da due proiettili alla schiena daparte di un agente bianco.

L’autopsia sul corpo di Brooks èstata resa nota ieri. La causa del de-cesso, secondo il medico legale chebolla il caso come omicidio, sonoappunto i colpi alla schiena. E la fa-miglia, durante la conferenza stam-pa, chiede giustizia per il giovane eper gli altri neri d’America mortiper mano della polizia: «Siamostanchi, siamo stanchi» ha gridato

tra le lacrime la nipote Tiara.«Quante proteste ancora servirannoper assicurare che la prossima vitti-ma non sia vostro cugino, vostrofratello, vostro zio, vostro nipote, oil vostro amico e il vostro compa-gno? Quante proteste ancora perporre fine all’uso eccessivo della for-za da parte della polizia? Siamostanchi».

La vedova di Brooks chiede che idue agenti che hanno partecipato alfermo del marito vengano messi inprigione. Concetto ribadito anchedal legale della famiglia, aggiungen-do che i poliziotti non hanno giusti-ficazione alcuna per quello che han-no fatto, sparando alle spalle a unuomo che non rappresentava alcunaminaccia.

Nel frattempo, è disco verde delConsiglio dell’Onu per i dirittiumani a un dibattito sul razzismo esulla brutalità della polizia. A ri-chiederlo con urgenza sono stati 54Paesi africani in una lettera conse-gnata dall’ambasciatore del BurkinaFaso presso l’Onu a Ginevra nelcontesto della mobilitazione mon-diale seguita alla morte di GeorgeFloyd. La decisione è stata presaall’unanimità dai 47 Paesi membridurante la 43esima sessione delConsiglio che aveva interrotto i suoilavori a metà marzo a causa dellapandemia di coronavirus.

L’allentamento delle misure di distanziamento sociale nelle grandi città potrebbe facilitare i contagi

Covid-19, il Brasileverso il milione di casi

L’annuncio di Medici senza frontiere

Chiuso il reparto di maternitàattaccato in Afghanistan

Non si ferma la protestain Libano

BE I R U T, 16. Nuove proteste anti-go-vernative si sono svolte ieri in di-verse città del Libano. Non ci sononotizie di scontri né di arresti, comeavvenuto nei giorni scorsi. Altremanifestazioni sono state annuncia-te per la prossima settimana in uncontesto di graduale inasprimentodella tensione sociale ed economica,nel quadro di quella che è stata de-finita la peggiore crisi finanziariadel paese negli ultimi 30 anni.

Sit-in di protesta sono proseguitianche ieri sera a Beirut e Tripolidopo giorni scorsi di violenze neidiversi epicentri della mobilitazio-ne, scoppiata l’autunno scorso con-tro il carovita e la corruzione. Ilpremier Hassan Diab ha ribaditonel fine settimana l’intenzione delgoverno di andare avanti con l’an-nunciato piano di riforme economi-che, condizione per proseguire i ne-

goziati formali col Fondo moneta-rio internazionale.

Ieri il premier libanese ha avutoun incontro con le autorità giudi-ziarie per fare il punto sulle misuredi sicurezza messe in atto in tutto ilpaese.

Nel frattempo, sempre ieri, il ca-po dell’intelligence libanese ha con-fermato quanto era circolato in pre-cedenza sui social network del pae-se circa la minaccia di un attentatoterroristico contro l’aeroporto inter-nazionale di Beirut, chiuso dal 15marzo a causa delle misure per ilcoronavirus. In una dichiarazione aimedia, il generale Abbas Ibrahim, acapo della Sicurezza generale, haconfermato che «i responsabili dellasicurezza dell’aeroporto di Beirutavevano riferito di una non meglioprecisata minaccia terroristica cheavrebbe potuto colpire lo scalo ae-reo il 15 giugno».

La Corea del Nord distruggel’ufficio di collegamento con il Sud

Controlli anti-coronavirus a Rio de Janeiro (Reuters)

BRASÍLIA, 16. Il Brasile può raggiun-gere il milione di persone infette daCovid-19 nei prossimi giorni e con-solidarsi come il secondo Paese piùcolpito al mondo. Lo sostiene in unasua proiezione Dalcy Albuquerque,membro della Società brasiliana dimalattie tropicali, il quale ha consi-derato, tra le altre variabili, che lascorsa settimana ci sono stati diversigiorni in cui si sono registrati tra i25 mila e i 30 mila casi, in concomi-tanza con l’allentamento delle regoledi distanziamento sociale in città co-me San Paolo, Rio de Janeiro e Bra-sília. Proprio nello Stato di San Pao-lo, il più colpito dalla pandemia nelPaese, uno studio dell’Universitàdella capitale paulista e della Fonda-zione Getulio Vargas ha inoltre sti-mato che il bilancio delle vittime aSan Paolo potrebbe aumentare del71% nella prima settimana di luglio,con la ripresa delle attività.

Secondo un rapporto del consor-zio nazionale dei media, creato perfornire dati indipendenti sulla pan-demia, il numero di contagiati haraggiunto 891.556 persone e quellodei decessi, con 729 morti nelle ulti-me 24 ore, ha superato quota44.000. Il ministero della Salute bra-siliano, in parallelo, ha pubblicato ilproprio bilancio in cui riportava 627decessi e 20.647 nuovi casi, aggiun-gendo inoltre che ci sono altre 4.070morti in attesa di determinazione.

di JORGE QUESADA CONCEPCIÓN*

La Nunziatura apostolicaall’Avana, che dal 1953 ha lapropria sede nel quartiere Mi-

ramar, è il simbolo degli 85 anni direlazioni diplomatiche mai interrot-te tra Cuba e la Santa Sede.

Proprio il 7 giugno 1935, con ildecreto legge n. 208, l’allora presi-dente ad interim della Repubblicadi Cuba, Carlos Mendieta, decised’istituire una legazione del Paesecaraibico presso la Santa Sede, ac-creditando un inviato straordinarioe ministro plenipotenziario.

Anche se già nel lontano 1898Papa Leone XIII aveva nominatomonsignor Placide-Louis Chapellecome suo primo delegato apostoli-co nell’isola, fu solo il 2 settembre1935 che l’allora segretario di Statodella Santa Sede, il cardinale Euge-nio Pacelli, che anni dopo sarebbediventato Papa Pio XII, firmò il do-cumento per aprire una Nunziaturaapostolica a Cuba, su richiesta diPapa Pio XI, quale gesto di recipro-cità a quello cubano.

Come primo Nunzio apostolico aCuba fu nominato monsignor Gior-gio Giuseppe Caruana, che dal 1925si occupava già delle questioni cu-bane come Delegato apostolico perle Antille e il Messico. Questi pre-sentò le sue lettere credenziali il 6dicembre 1935.

Cuba fu rappresentata presso laSanta Sede fino al 1936 dal suo in-viato diplomatico a Parigi, accredi-tato in occasione della commemo-razione del 10 ottobre, data che se-gna l’inizio delle lotte per l’indi-pendenza di Cuba.

Vari storiografi ritengono la deci-sione del governo cubano di stabili-re relazioni diplomatiche con laSanta Sede un atto coerente con ilmomento politico che si viveva nelPaese, teso a rafforzare il sentimen-to nazionale, partendo da una dero-ga “formale” all’EmendamentoPlatt, un’integrazione alla Costitu-zione cubana del 1902 imposta uni-lateralmente dagli Stati Uniti.

La storia delle relazioni tra laSanta Sede e Cuba è costellata dieventi positivi ed esempi di colla-borazione, così come di protagoni-sti di entrambe le parti che si sonodistinti per il loro impegno nellosviluppare una diplomazia etica eresponsabile che ha permesso di ac-crescere la fiducia reciproca, benchéci siano stati momenti in cui nonc’è stata identità di vedute su alcuniasp etti.

Vanno ricordati uomini comemonsignor Cesare Zacchi, che ebbeil merito di saper interpretare i co-dici del processo politico cubano eche favorì il mantenimento delle re-lazioni tra lo Stato cubano e laChiesa cattolica. In quell’ottica, in-trattenne un’amicizia personale conil leader storico della Rivoluzionecubana, Fidel Castro Ruz.

Da parte cubana, nelle relazionibilaterali si è distinto il giornalista escrittore originario delle Asturie,Luis Amado Blanco, che è statoAmbasciatore di Cuba per oltre undecennio, al punto da diventare ilDecano del Corpo diplomatico ac-creditato presso la Santa Sede.

Significative nella storia di questerelazioni diplomatiche sono state levisite apostoliche a Cuba compiuteda tre Papi: San Giovanni Paolo II,nel gennaio del 1998, BenedettoXVI, nel marzo del 2012, e France-sco, nel settembre del 2015, visiteche hanno fatto di Cuba l’unicoPaese latinoamericano, oltre al Bra-sile, a essere stato visitato dagli ulti-mi tre Pontefici.

In ognuna, sia le autorità sia ilpopolo cubano hanno mostrato laloro gratitudine e il loro rispettoverso i massimi rappresentanti dellaChiesa cattolica, che a loro voltahanno avuto l’opportunità di cono-scere meglio un popolo umile, maal contempo colto e convinto dellapropria identità.

Importanti sono state pure le vi-site ufficiali in Vaticano compiutedai presidenti cubani Fidel CastroRuz nel 1996 e Raúl Castro Ruznel 2015, ricevuti dai Papi Giovan-ni Paolo II e Francesco rispettiva-mente. Inoltre l’allora primo vice-presidente del Consiglio di Stato edei Ministri, Miguel Díaz-CanelBermúdez, ha presieduto la delega-zione cubana che, nel 2013, ha assi-stito alla cerimonia di inizio ponti-ficato di Papa Francesco. Gli incon-tri tenutisi in ognuna di quelle visi-te hanno confermato il clima positi-vo delle relazioni esistenti tra Cubae la Santa Sede.

La decisione di Papa Francescod’incontrarsi all’Avana, nel febbraiodel 2016, con Kirill, Patriarca diMosca e di Tutta la Russia, incon-tro in cui hanno firmato una storicadichiarazione congiunta, ha avutoun grande significato per Cuba, peril rispetto mostrato dal SommoPontefice verso un’isola che ha pre-detto sarebbe divenuta la “capitaledell’unità”. In quell’occasione il Pa-pa ha incontrato nuovamente l’allo-ra presidente cubano Raúl Castro, equell’incontro è diventato un nuovoesempio di continuità nei rapportibilaterali.

Le relazioni diplomatiche tra laSanta Sede e Cuba hanno superatola prova del tempo e tutti gli osta-coli che si sono frapposti al lorosvilupp o.

Negli 85 anni che ricorrono orasi sono man mano sviluppate rela-zioni che, pur non esente da impre-visti, sono attualmente caratterizza-te dal rispetto e dal riconoscimentoreciproci, e dalla volontà da en-trambe le parti di continuare a svi-l u p p a re .

*Ambasciatore di Cubapresso la Santa Sede

PY O N G YA N G , 16. Sempre più tesa lasituazione al confine tra le Coree.

La Corea del Nord ha fattoesplodere stamane la sede dell’uffi-cio di collegamento intercoreano aKaesong, la più meridionale dellecittà nordcoreane al confine con ilSud. L’ufficio è un luogo simbolodegli sforzi di riconciliazione e coo-perazione tra Pyongyang e Seoul.A Kaesong, il 27 aprile del 2018, idue Paesi avevano infatti raggiuntol’intesa per dare il via alla strutturacongiunta permanente, al terminedell’incontro tra il leader nordco-reano, Kim Jong-un, e il presidentesudcoreano, Moon Jae-in.

L’ufficio di collegamento era sta-to poi aperto nel settembre del 2018per facilitare gli scambi e la coope-razione intercoreana favorita dagliincontri al vertice tra Pyongyang eSeoul. Contatti rallentati negli ulti-

mi mesi, anche a causa dell’emer-genza Coronavirus.

Che la situazione al 38° parallelostesse degenerando lo si era intuitodue giorni fa con le dichiarazioni diKim Yo- jong, l’influente sorella delleader nordcoreano. «Ritengo siaarrivato il momento di rompere conle autorità sudcoreane e presto fare-mo delle azioni», aveva detto in ri-sposta al lancio di nuemrosi volan-tini anti-Pyongyang da parte di at-tivisti sudcoreani, al confine tra idue Stati asiatici. E in precedenzaaveva definito «inutile» l’ufficio dicollegamento di Kaesong fattoesplodere stamane. Una mossa cherischia di inasprire ulteriormente itoni del confronto tra due Paesi an-cora formalmente in stato di guerra,nonostante l’armistizio firmato nelluglio del 1953 al termine dellaguerra di Corea.

KABUL, 16. È stato chiuso il repartodi maternità dell'ospedale Dasht-e-Barchi a Kabul, brutalmente attac-cato lo scorso 12 giugno da ungruppo di terroristi armati. Lo hadeciso l'organizzazione medico-umanitaria Medici senza frontiere(Msf), che gestiva il reparto. L’at-tacco all’ospedale della capitaledell’Afghanistan, tra i più affollatidel Paese, ha provocato 24 morti,tra i quali alcuni neonati e neo-mamme. Tra le vittime, ancheun’ostetrica afghana di Msf.

La scelta è stata dettata dallaconsapevolezza che, nonostantenon siano emerse informazioni sugliautori, madri, bambini e personalesanitario sono stati il vero obiettivoe attacchi simili potrebbero ripetersiin futuro. La fine delle attività diMsf ne reparto di maternità del no-socomio Dasht-e-Barchi è una «de-cisione necessaria, ma dolorosa, ca-rica di conseguenze per più di unmilione di persone che vivononell’a re a » .

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pagina 4 mercoledì 17 giugno 2020 L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 17 giugno 2020 pagina 5

Adesso mi tocca andarea fare gol

L’incredibile ottovolantedei supplementari

La lirache incanta le tenebre

17 giugno 1970 Italia-Germania 4 a 3

RIVERA

di MAU R I Z I O FO N TA N A

«C’era una volta unanazionale italianache non vincevaquasi mai. Poi arri-vò una generazione

di giovani tosti che aveva grinta, personalitàe tanta, tanta classe...». Comincia così la fa-vola che Sandro Mazzola — 77 anni, unadelle stelle più luminose nella storia del cal-cio italiano — ha raccontato ai suoi nipoti eracconta ancora oggi a cinquant’anni da unapartita che è diventata un marchio, un mito,un luogo fantastico nell’immaginario collet-tivo: Italia–Germania 4-3. È la favola sporti-va di una squadra che nel 1970, in Messico,perse, è vero, la finale mondiale contro lostratosferico Brasile di Pelé, ma vinse quellache nella storia è rimasta scolpita come “lapartita del secolo”.

Da quel gruppo di “giovani tosti” comin-ciò già due anni prima — con la vittoria alCampionato europeo — il rilancio di una na-zionale che, dopo la tragedia di Superga,aveva attraversato tanti, troppi anni bui, finoall’umiliazione, nei mondiali inglesi, dellasconfitta con la Corea del Nord nel 1966.«Grinta, personalità e classe», ribadisceMazzola: «Da lì cominciò un po’ tutto».

Quale è il ricordo più nitido di quel pomeriggiodel 17 giugno 1970? Quello che quando chiudegli occhi e ritorna nello stadio Azteca riaffioraper primo alla mente?

Soprattutto l’ingresso in campo. Attorno anoi oltre centomila spettatori sugli spalti.Eravamo fermi, vicino all’uscita degli spo-gliatoi, noi da una parte e loro dall’altra. Eli guardavamo negli occhi, sicuri e spavaldi,con la faccia cattiva, come per dire: «Ma co-sa volete? Non siete capaci di giocare comenoi!».

Tedeschi che, però, avevano stravinto il gironeeliminatorio e venivano da una grande vittoriain rimonta contro l’Inghilterra nei quarti di fi-nale. Diciamola tutta: l’Italia, che prima dellavittoria sul Messico aveva disputato un gironepiuttosto anonimo, non partiva certo favorita...

No, di sicuro no. Ricordo bene che neigiorni precedenti, in allenamento, ci con-frontavamo un po’ perplessi perché avevamovisto alla televisione alcune fasi della lorogara con l’Inghilterra. E questo ci aveva un

p o’ spaventati. Uno di noi, ora non ricordochi fosse, a un certo punto disse: «Ma que-sti qui non sanno giocare al calcio. Lorofanno l’atletica. E l’atletica col calcio perdesempre». Lo guardammo poco convinti, mada quel momento abbiamo cominciato a cre-d e rc i .

Forse voi della squadra stavate maturando unacerta convinzione, ma la Federazione sembranon nutrisse grandi speranze...

Avevano già prenotato a nostra insaputa ibiglietti per il ritorno. Noi però avevamo unamico all’agenzia viaggi che ce lo fece sape-re. Fu così che prima di un allenamento,quando eravamo tutti riuniti, guardammo ilgruppo degli allenatori e dicemmo in modoabbastanza duro: «Ci pensiamo noi. Voinon dovete preoccuparvi di niente!».

In questa favola ci sono due personaggi che poi,negli anni, sono rimasti un po’ prigionieri delloro ruolo: Gianni Rivera e Sandro Mazzola.Come nacque nella testa di Valcareggi l’idea diquella staffetta?

Per la verità non l’abbiamo mai capito ve-ramente. In ritiro, nei momenti di pausa, ioe Rivera eravamo spesso assieme, passeggia-vamo, parlavamo. Ma dopo aver letto suigiornali e saputo di quella scelta, comin-

ciammo a guardarci un po’ a distanza,uno stava a destra e l’altro andava a

sinistra con un altro gruppo. Sepa-rati da un’alternativa che ci sem-

brava, effettivamente, una cosaimpossibile. Forse furono anchele condizioni ambientali di Cit-tà del Messico — si giocava aoltre duemila metri di altitu-dine — a determinarla. Ma-gari Valcareggi puntavaper quel ruolo ad avere,con il cambio, un gioca-tore sempre fresco.

Giocare in altura fu ungrande problema?

A tale riguardo io fuifortunato perché due anniprima, con l’Inter eravamostati in tournée proprio daquelle parti, perdendo consquadre molto più scarse dinoi. Il fatto era che noi gio-cavamo “all’italiana”: scam-bio, scatto lungo e via versola porta. Solo che poi ti fer-mavi con la bocca aperta,ansimando in cerca di ossige-no. E mi ricordo che quandoal mondiale giocammo la pri-ma partita amichevole di pre-parazione, dopo che nel pri-mo tempo si stava perdendo,forte della mia esperienza, dis-si al gruppetto di noi che do-veva entrare in campo nella ri-presa: «Ragazzi, guardate chequi non si gioca all’italiana, ma

alla sudamericana — titic, titoc,titic, titoc — tutti uniti, tutti

avanti, tutti indietro. E fu cosìche nel secondo tempo ribaltam-

mo il risultato. Da lì Valcareggi

entrò nell’idea di cambiare impostazione tat-tica.

Ma lei e Rivera, due dei maggiori talentiespressi dal calcio italiano, non potevate giocareassieme?

In realtà, questo fatto della rivalità e dellastaffetta era una cosa che poteva succederesolo in Italia. Ricordo che su un giornale te-desco leggemmo un ironico consiglio: «Da-teceli a noi questi due che li mettiamo noiin formazione, poi dopo vediamo cosa suc-cede...».

In quella partita da favola lei giocò il primotempo e poi seguì dalla panchina il rocambole-sco alternarsi dei risultati. Come lo ha vissuto?

In panca diventavo matto. Mi veniva dapiangere, mi agitavo, mi veniva da alzarmi...Io ero solitamente molto tranquillo, maquella volta no, non ero io.

Fino a quel minuto fatale, quando Rivera pri-ma, con un errore sulla linea di porta, propiziòil pareggio tedesco e poi, subito dopo, siglò ildefinitivo 4-3...

Ma Gianni lo disse prima che avrebbe fat-to gol. Dopo il 3-3, come si tornò a centro-campo, avvisò tutti: «Datemi la palla che cipenso io!». Si voleva subito riscattare. Daqui si vede anche la pasta del campione e lasua personalità. Personalità che, del resto,era caratteristica di molti in quella squadra.

Torniamo in campo, a un secondo dopo il toccocon il quale Rivera depositò la palla alle spalledi Sepp Meier. Cosa accadde mentre in Italiamilioni di italiani rimasti di notte incollati altelevisore si ubriacavano di felicità?

Non sapevamo cosa fare, cosa dire, non cicapivamo più nulla... Ci abbracciammo, incampo, in panchina, tutti. Fu un delirio. Delresto, a quel punto era difficile pensare chece l’avremmo fatta, e invece... Bisogna, però,considerare una cosa: eravamo un gruppoche aveva dentro qualcosa di forte.

Il fantasma della staffetta con Rivera si ripre-sentò in maniera ancora più strana — a sei mi-nuti dal fischio finale — nella finale col Brasile.Ma era vera rivalità fra voi o era imposta dal-la situazione?

Al momento del cambio contro il Brasile,pensavo davvero che sarei uscito io. Difattimi avvicinai alla panchina ma Valcareggi midisse: «No, no, vai dentro, vai dentro! Cosafai qua?». E uscì Boninsegna. Rivalità? Chedire? Quando eravamo convocati in nazio-nale, all’interno del ritiro, Rivera e io parla-vamo di tante cose, di Milano, delle nostresquadre. Ma eravamo uno Milan e unoInter, e quando si usciva per la passeggiatase la gente ci vedeva vicini c’erano gli interi-sti che dicevano: «Sandro, cosa fai con quel-lo lì? Vai sull’altro marciapiede!», e i milani-sti: «Gianni, va’ di là!». Era una cosa incre-dibile. Poi, però, fondammo assieme il sin-dacato dei calciatori e siamo rimasti amicinel tempo.

Torniamo alla fiaba da raccontare ai nipotini.Questi cinquant’anni coincidono anche conun’altra favola sportiva, quella dello scudettodel Cagliari. Il Cagliari di un altro grandeprotagonista di quella nazionale: Gigi Riva.

Gigi era eccezionale: quando decideva cheavrebbe fatto gol, cominciava a chiederti lapalla a metà campo e partiva. Ne dribblavauno, due, se gli facevano fallo resisteva, re-stava in piedi e andava a segnare... era incre-dibile. E oltre a essere stato un grande atle-ta, e grande calciatore, è stato ed è ancheuna grande persona. Ricordo che se uncompagno non giocava bene e veniva fi-schiato, lui era il primo a sostenerlo, a rin-cuorarlo, a incoraggiarlo. Era sempre prontoad aiutarti. E lasciò il timbro anche in quellasemifinale.

I tifosi messicani vollero subito fissare nella sto-ria quella partita così speciale, che al novante-simo sembrava finita e che invece poi salìsull’ottovolante. Fecero affiggere sullo stadio Az-teca una lapide a perenne ricordo del “Partidodel siglo”. Insomma, una favola tutta da rac-contare. E le fiabe, di solito, portano sempre consé un messaggio. Cosa ha da dire quella parti-ta al calcio di oggi?

C’è da fare innanzitutto una valutazionesulle differenze di quel calcio con quello at-tuale. Oggi si punta tanto sull’atletismo esull’agonismo, all’epoca la tecnica venivaprima di tutto. Dribbling e tecnica. S’impa-ravano prima all’oratorio e per strada, dovesolo i più bravi l’avevano vinta, e poi nellesquadre, fin dalle giovanili, dove si lavoravatantissimo con la palla e affinando i fonda-mentali. Un’attenzione che nelle scuole cal-cio oggi si è persa. C’è poi un livello piùemozionale da non sottovalutare: io credoche i calciatori dovrebbero rivedere più voltele immagini di Italia - Germania, e magariascoltare i ricordi di noi che quella partital’abbiamo giocata, per capire davvero checosa ha significato il prima e il dopo di unevento del genere, che emozioni ha suscita-to. Credo proprio che se quei 120 minuti en-trassero nella testa dei giocatori, gli farebbe-ro fare in campo, ogni volta, una figura fan-tastica.

di GA E TA N O VALLINI

Il pallone è in fondo alla rete. Lui èlì, sconsolato, abbracciato al palo. Ilportiere gli dice qualcosa, prima direcuperare la sfera maledetta; sicura-mente non un complimento. Forse

avrebbe potuto fermarla quella palla lentama dalla traiettoria infame; magari con unbraccio, e poi, chissà, un rigore sbagliato,parato… Invece l’ha solo guardata passare,inerte, a un soffio da lui. Era fatta, la finalea un passo e invece ora è tutto da rifare. Ela colpa, lo sente, è anche sua. Ma forse eragià tutto scritto nel grande libro del calcio:quella discesa all’inferno e la repentina, im-mediata, inaspettata risurrezione. E un nomesu tutti, il suo: Gianni Rivera.

«A quel gol ho partecipato anch’io». Og-gi sorride l’allora golden boy del calcio italia-no. Sono passati cinquant’anni da quell’in-credibile Italia–Germania, semifinale mon-diale, “la partita del secolo”, come la defini-rono quasi subito, e come ricorda anche unatarga posta poco tempo dopo all’i n g re s s odello stadio Azteca di Città del Messico, do-ve venne disputata il 17 giugno 1970. Ma Ri-vera allora sentì tutto il peso di quel gol. El’imperativo di dover rimediare.

Presunzione? Follia? Fortuna? Forse lasemplice determinazione che solo i campioniveri sanno tirar fuori nei momenti più critici.Si sa poi com’è andata. Ma anche se l’haivista e rivista mille volte, vuoi mettere se araccontartela è lui, che di quell’incontro epi-co fu il protagonista, nel male e nel bene? Eil racconto parte proprio dal portiere. «Soloin questi giorni leggendo un’intervista adAlbertosi ho capito cosa mi aveva detto. Maallora — ci spiega — non l’ho neanche senti-to, perché ero già arrabbiato per conto mio;però avevo intuito. Mi ricordo che gli hodetto: adesso mi tocca andare a fare gol,sennò non posso tornare in Italia. Ho pen-sato, ora mi faccio dare la palla, dribblo tut-ti i tedeschi e poi vado in porta. In realtà mihanno dato la palla subito, ma ho capito,guardando tutto quel bianco davanti a me,che non ce l’avrei fatta e quindi ho rinuncia-to. Ho seguito l’azione che si stava svilup-pando e mi sono trovato la palla del 4 a 3».

Detta così, sembra niente quel breve com-porsi di geometrie che ha consegnato la par-tita alla leggenda. Sessanta secondi appena,alla ripresa del gioco dopo il gol del 3 a 3segnato da Gerd Müller al 5° minuto del se-condo tempo supplementare. Sei passaggiche racchiudono non solo una partita, mariassumono la storia del calcio fino a quelmomento. Fino a quel tocco magico, scaturi-to dalla mente di un demiurgo, del dio delcalcio sceso per un attimo dall’Olimpo perregalare agli umani amanti del pallone lagiocata perfetta, l’unica possibile. Perché èquesto che accade. Così inatteso che neppu-re lui, il protagonista, si rende bene conto ditutto. «Ero convinto di aver fatto gol di si-nistro — ricorda, infatti — perché volevo tira-re di sinistro nell’angolo opposto da dovearrivava la palla. Poi qualcosa mi ha fattocapire che il portiere si stava tuffando là eallora ho cambiato piede e direzione. Peròdi aver cambiato piede mi sono accorto soloquando ho visto la televisione».

Destro, sinistro: dilemma ininfluente, allo-ra, per una nazione mandata in delirio daquella giocata sublime, epilogo di un incon-tro drammatico ed esaltante che il telecroni-sta Nando Martellini a caldo così commen-tò: «Rivera, rete! Rivera ancora, 4-3, 4-3 goldi Rivera! Che meravigliosa partita ascolta-tori italiani. Non ringrazieremo mai abba-stanza i nostri giocatori per queste emozioniche ci offrono...». Eppure, al contrario deitifosi, i protagonisti non si resero subito diaver compiuto un’impresa epica. «La sensa-zione importante — conferma Rivera —l’avemmo quando cominciammo a telefonareai familiari a casa, che ci dissero che la genteera scesa in piazza per festeggiare unita co-me mai era accaduto prima, senza guardare icolori politici».

Eppure Rivera non sembra particolarmen-te emozionato nel ricordare. «Che effetto mifa oggi tutto questo? Quell’emozione — dice— ormai è sparita, è passata. So che è suc-cesso e in questi giorni mi sono riabituato aparlarne. In campo non mi sono mai emo-zionato, perché per me il campo di giocoera la cosa più importante. Certo non ho di-menticato: è difficile dimenticare una partitacome quella, quei supplementari… Ma nonc’era modo di dimenticarsene: la televisionel’ha fatta rivedere spesso, se non tutta, alme-no i gol».

Di certo non l’hanno dimenticata i tifosiitaliani. Quelli che la vissero in diretta —erano le 16 a Città del Messico, le 23 in Ita-lia — attraverso le immagini un po’ sbiaditedelle televisioni ancora in bianco e nero equelli che, non ancora nati o troppo piccoli,ne hanno sentito parlare dai loro padri ofratelli. «Però non era stata una partita entu-siasmante quella dei tempi regolamentari»,rammenta Rivera, che aggiunge: «Siamo an-dati in vantaggio presto, poi abbiamo subitogli attacchi della Germania, che era unagrande squadra e tentava di pareggiare. Ave-vamo retto fino alla fine, poi all’ultimo mo-mento abbiamo dovuto cedere».

Infatti la beffa arriva a una manciata disecondi dal fischio finale. «Già, era quasi fi-nita quando Schnellinger fa l’unico gol della

sua vita in nazionale. Lui — ricorda l’allorasuo compagno e capitano al Milan — in real-tà era vicino alla nostra porta perché c’eral’ingresso degli spogliatoi: aveva capito chela partita stava terminando e per non incro-ciare gli sguardi dei suoi compagni di squa-dra del Milan voleva filar via subito dopo ilfischio dell’arbitro. Però quando è passatoda quelle parti, ha visto che la palla arrivavalì, si è tuffato col piede piatto e l’ha messain rete, pareggiando. Così ci ha fatto rifaretutto».

Anche questo forse era già scritto. Come isuccessivi gol di Müller, di Burgnich, ancoradi Müller e quello, bellissimo, di Riva, finoall’epilogo. Ma come c’era arrivata l’Italia aquella semifinale? «Partita dopo partita.Avevamo un bell’ambiente — rammenta Ri-vera — e stavamo bene insieme; ci si parlava,si chiacchierava, eravamo sereni e quindiogni volta che disputavamo una partita l’af-frontavamo con la concentrazione giusta. Einfatti siamo arrivati alla semifinale nel mo-do migliore possibile. E anche quella poi èstata vissuta in modo eccezionale da tuttinoi».

Ma allora, la storia della staffetta Mazzo-la-Rivera? «Prima di quel mondiale e dopoquel mondiale — spiega — abbiamo sempregiocato insieme e quindi voleva dire che po-tevamo farlo. Lì non si è capito perché si so-no inventati l’alternanza. Anche i miei com-pagni di squadra non l’hanno capita tanto».Per la verità neanche molti tifosi, tanto cheal rientro in Italia il commissario tecnicoValcareggi venne contestato. Ma per Riverale responsabilità erano anche altre: «La col-pa è stata della politica che ha avuto il so-pravvento sulla parte tecnica durante quelmondiale. Si è interessata anche della forma-zione, di chi andava in campo e chi no. Ilfatto che Mazzola giocasse il primo tempo eio il secondo senza sapere come sarebbe an-data era una scelta politica non una decisio-ne tecnica».

Ma anche la stampa, molto critica neiconfronti di quella nazionale, ci mise delsuo. «Certo. Anche parte della stampa par-tecipava a questa cosa, soprattutto la Gaz-zetta dello Sport. E c’erano alcuni giornaliche stavano dalla mia parte e altri dall’al-tra». E poi c’era Gianni Brera, che le suecronache le scriveva in prosa. «Lui era unfatto a sé — chiosa il nostro —, gli altri gior-nalisti non li considerava del suo livello. Liha sempre snobbati i giornalisti sportivi».Punto. Del resto tra la celebre firma el’“abatino”, nomignolo perfidamente affet-tuoso affibbiatogli proprio da Brera, in veri-tà non c’è mai stata molta simpatia.

Ma torniamo alla staffetta. Che nella fina-le col Brasile neppure si concretizzò. Riveraentrò ad appena sei minuti dalla fine, al po-sto di Boninsegna, quando il risultato eragià compromesso; assistette praticamente aquasi tutta la partita dalla panchina. Si saràarrabbiato per non avere avuto l’opp ortunitàdi provarci, nemmeno per un tempo? «Nonsi cambiano i rapporti. Si eseguono le di-sposizioni dei tecnici. Ti piaccia o no», è larisposta secca, diplomatica dell’i n t e re s s a t o .Insisto: ma nemmeno un po’ di rammarico,umanamente, dico? «Il dispiacere era il nongio care».

Chiusa parentesi, torniamo a Italia–Ger-mania, che allora era solo Ovest. Tutto diquella sfida sembrava destinato a rimanerenella storia: Mexico ’70 era il primo mondia-le con gli stadi tanto in alto da togliere let-teralmente il fiato, il primo con un palloneufficiale, il primo con i cartellini giallo e ros-so per ammonizioni ed espulsioni, il primocon la possibilità di due sostituzioni, il pri-mo a colori in tv (ma non in Italia). Ma erasoprattutto il mondiale che avrebbe assegna-to l’ultima Coppa Rimet, rimpiazzata poidalla Coppa del Mondo Fifa. Coppa chenella finale si aggiudicò il Brasile di Pelècon un severo 4-1, vincendo la sua terzacompetizione iridata.

L’Italia di mondiali ne aveva già vinti duee, dopo Mexico ‘70, se ne aggiudicò altridue, nel 1982 in Spagna e nel 2006 proprioin casa dei tedeschi. Eppure il fascino diquell’Italia–Germania 4-3 non è stato supe-rato. L’hanno raccontata registi, artisti, scrit-tori, giornalisti. Perché rappresenta la mi-gliore celebrazione del calcio, lo sport più

sono rimasti impressi certi allenatori, Lie-dholm, Rocco, Fabbri, quelli che mi hannocolpito di più, e che anche oggi varrebberocome valevano allora». Eccola, finalmente,la nostalgia… Ma è solo un attimo.

L’ultima riflessione è sul campionato in-terrotto dalla pandemia e che riprenderàproprio nel fine settimana. È stata una sceltaponderata? «Questo non lo so — risp ondeRivera —. Bisognerebbe chiederlo alle socie-tà. Certo questo campionato bisogna ripren-derlo per forza, ne va dei soldi di tutti, dellesocietà, dei giocatori, dei tecnici. Del resto èun ambiente in cui prima pensano ai soldi epoi iniziano a giocare. Noi prima volevamogiocare, poi pensavamo ai soldi».

L’intervista finisce. Con una certezza an-cora più rocciosa: non ci sarà mai più un’al-tra partita così. Magari sarà “la partita” diun altro secolo. Se fosse, allora Italia–Ger-mania 4-3 diventerebbe la partita del millen-nio. Almeno per quelli che l’hanno vissuta.Anche per me che allora avevo solo sei annie mezzo, tifavo — e tifo ancora — Milan, chequella notte ancora un po’ la ricordo, siapure sfuocata: il pianto disperato per quelgol traditore del rossonero Schnelliger e l’ir-refrenabile gioia di bambino per quell’ulti-mo gol segnato dal mio idolo. È vero, «nonringrazieremo mai abbastanza i nostri gioca-tori…». Perché per alcuni Italia–Germania4-3 non è mai finita.

MAZZOLA

Ero convinto di aver fatto goldi sinistro perché volevo tirare

nell’angolo opposto da dove arrivavala palla. Poi qualcosa mi ha fatto

capire che il portiere si stava tuffandolà e allora ho cambiato piede e

direzione. Me ne sono accorto alla tv

Attorno a noi oltre centomila spettatorisugli spalti. Eravamo fermi, vicinoall’uscita degli spogliatoi, noi da unaparte e loro dall’altra. E li guardavamonegli occhi, sicuri e spavaldi, con la facciacattiva, come per dire: «Ma cosa volete?Non siete capaci di giocare come noi!».

L’immagine simbolo: l’abbraccio di Gigi Rivaa Gianni Rivera dopo il gol della vittoria

bello del mondo secondo alcuni, anche seoggi quel calcio non esiste più. Eppure Ri-vera, classe 1943 ma ancora pronto a rimet-tersi in gioco, sembra rimpiangerlo quel cal-cio. «Ho fatto il corso — spiega — e oggi so-no allenatore di prima categoria. Se qualcu-no decidesse di prendermi come tecnico, fa-rei giocare le mie squadre nello stesso modoin cui affrontavo il calcio allora. Adesso co-minciano la partita e vanno tutti indietro; seavessimo avuto quella mentalità, il gol del 4a 3 non l’avremmo mai fatto». Quindi nonci si ritroverebbe a giocare in una squadra dioggi? «Beh, se avessi gli anni per giocare,giocherei, poi essendo come sono, cerchereidi cambiare pochino». Pausa. E poi: «Mi

LETTERE DAL DIRETTORE

Il 17 giugno 1970 avevo solo quattroanni. Non ho quindi esperienza direttadella partita del secolo. Il mio è solo un

“re l a t o ” come si dice in spagnolo, unracconto di seconda mano. Ma in famigliaquel racconto mi ha accompagnato per anni,amplificando l’enfasi e anche la retorica,finché non ho avuto modo di vederla(e rivederla) con i miei occhi in televisionequella partita. Epica, è questa la parolagiusta, lo sappiamo. Quei 120 minuti, con igiocatori arrivati allo stremo delle loro forze,tutti gli schemi saltati, i terzini diventatigoleador, con Beckenbauer fasciato albraccio come un antico soldato che ancoracombatte fino all’ultimo minuto, eDomenghini inesauribile su quella fasciadestra... Da ragazzo appassionato di epica edi mitologia greca per me quei ventiduegiocatori avevano il volto degli eroi delleantiche leggende. La faccia di Riva eraquella di un condottiero romano, il suoterzo goal è uno dei capolavori della storiadel calcio, potenza e geometria in quelpiede sinistro di Rombo di Tuono e poil’eleganza di Facchetti e la grinta di TarcisioBurgnich che, già nel nome, era l’emblemadella difesa rocciosa, inespugnabile. E chesoddisfazione quel suo secondo goal,sorprendente (che ci faceva lì davanti allaporta avversaria?) e conquistato conprepotenza. Un’Italia commovente pertenacia e creatività. Per una nottesovvertendo i pronostici e sconfiggendo i

favoriti tedeschi quella squadra ha dato atutti gli italiani la sensazione di essereinvincibile. Eppure qualche giorno doposi è dovuta arrendere di fronte al Brasile,ma quel giorno in campo erano scesi glidei del calcio e gli uomini, pur valorosi,contro gli dei non possono farcela.Anche l’eroico Burgnich, chegenerosamente ci ha provato, ha dovutovedere una spanna sopra di lui, elevarsi evolare il divino Pelè che con un potentecolpo di testa ha messo la palla scagliatada Rivelino oltre il tuffo di Albertosi. Lanostra percezione di quella partita è segnatadal fatto che poi non siamo diventaticampioni del mondo, che alla fine abbiamoperso. Alla fine noi e i tedeschi abbiamoperso entrambi. Se avessimo vinto anche lafinale il ricordo di quella partita sarebbestato diverso. E qui ritorna l’epica, anzi,proprio Omero e Virgilio. Il grande poemadella guerra di Troia è un poema greco macelebra i nemici, inizia con Achille matermina con i funerali di Ettore, canta lasconfitta non la vittoria. Si poteva chiamareAchillea, come l’Odissea e invece si chiama,non a caso Iliade. E tutti poi hanno volutoessere discendenti dei troiani, non degliachei, a partire proprio da quei romani, figlidi Enea, che nella mia immaginazione dibambino avevano tutti il volto forte e viriledi Gigi Riva, Rombo di Tuono.

A.M.

«la partita del secolo» EFFETTI MUSICALI

È morto Giulio Giorello

Appassionato di filosofia. E di fumetti

Il 15 giugno scorso è morto il filosofoGiulio Giorello, a Milano, nella città in cuiera nato il 14 maggio 1945. Come lui stessoaveva spiegato in un articolo sul «Corrieredella Sera», di cui era collaboratore, erastato ricoverato a causa del coronavirus perun paio di mesi al Policlinico. Dimesso unadecina di giorni fa, era tornato a casa fra isuoi adorati libri. Dopo i primi giornipassati serenamente purtroppo però sonoritornati i problemi di salute, ed èrapidamente peggiorato. Tre giorni primadi morire ha sposato la sua compagna,Roberta Pelachin. Laureatosi in filosofia(1968) con Ludovico Geymonat e inmatematica (1971), Giorello ha approfonditole ricerche nel campo dell’epistemologia edella storia della scienza, offrendo uncontributo determinante alla diffusionedella filosofia analitica in Italia, studiandoa lungo i nessi che legano etica, scienza e

politica. Studioso appassionato di fumetti ein particolare di Topolino — a cui hadedicato anche libri e saggi — G i o re l l oaveva spiegato il suo credo laico nel libroDi nessuna chiesa (Raffaello Cortina, 2005).Ha iniziato la carriera accademicainsegnando meccanica razionale alla facoltàdi Ingegneria dell’Università degli studi diPavia, per poi passare alla facoltà diScienze presso l’università di Catania, aquella di Scienze naturali presso l’universitàdell’Insubria e al Politecnico di Milano. Alpensionamento di Geymonat, gli subentrònella cattedra di Filosofia della scienzaall’Università degli Studi di Milano.Giorello è stato presidente della Societàitaliana di logica e filosofia della scienza eha diretto la collana Scienza e idee diRaffaello Cortina Editore. Nel 2012 havinto il Premio Nazionale FrascatiFilosofia.

di CRISTIAN CARRARA

«N on voltarti, se mivuoi viva, non guar-darmi». Potrebberoessere state queste leparole di Euridice,

l’amata di Orfeo, quando i due stavanoquasi per varcare la porta degli inferi pertornare nel regno dei vivi. La vicenda è no-ta. E mette in luce, ancora una volta, tuttala potenza della musica e, in generale, diogni aspetto sonoro. Questo mito archetipi-co, intriso di amore e avventura, è dedicatoal fenomeno sonoro organizzato in arte, ealla sua capacità di trasformare l’uomo finnel profondo. Ma è anche una metaforadell’amore che si rafforza, si consolida e ri-prende vita, grazie all’ascolto.

Euridice, punta da una serpe nell’atto disfuggire agli assalti di Aristeo, cade a terrasenza vita. Improvviso, laddove regnaval’armonia frutto del canto di Orfeo, scendeun silenzio doloroso, insopportabile, che siriempie del suo pianto. È in questo mo-mento che decide di sfidare l’imp ossibile:scendere nel regno dei morti per tentare diriportare in vita la sua amata. Orfeo non haaltre armi da contrapporre ad Ade e Perse-fone, gli dei degli inferi, che la sua lira e ilsuo canto. Sceso laggiù, imbraccia lo stru-mento e canta. Quale potere ha la parolacantata più di quella parlata? Che cosa ag-giunge la melodia alla parola? Che cosa ot-tiene la musica, che la parola da sola nonriesce a sciogliere?

Nel suo cantare, le parole che escono so-no un inno all’amore e una richiesta accora-ta, una supplica, come ci racconta Ovidione Le Metamorfosi: «Per questi luoghi pau-rosi, / per questo immane abisso, per i si-lenzi di questo immenso regno, / vi prego,ritessete il destino anzitempo infranto diEuridice!». E, infine, sempre rivolto a Per-sefone, quasi una sfida: «Se poi per lei talegrazia mi nega il fato, questo è certo: / ionon me ne andrò: della morte d’entrambigodrete!». Mentre Orfeo canta, raccontaancora Ovidio, le anime esangui iniziano apiangere e tutto attorno si desta una com-mozione rara e sconosciuta negli abissi. Laregina delle tenebre cede. Lascerà liberaEuridice alla condizione che lo sguardo diOrfeo non si posi su di lei, finché non sa-ranno entrambi usciti da quel regno.

Se la vicenda del nostro eroe inizia conla straordinaria dote di commuovere chiun-que al suono del suo canto, questa finiscecon un impegno ancor più gravoso: nonposare gli occhi su di lei e condurla fuoridagli inferi con l’esclusivo ausilio del tatto edell’udito. Significa tenere Euridice per lamano e guidarla ascoltandone i passi e i ti-mori. A questa sfida Orfeo non riesce a re-sistere, è ancora Ovidio a raccontarcelo: «Eormai non erano lontani dalla superficie,quando, nel timore che lei riscomparisse, /e bramoso di rivederla, egli pieno d’a m o resi voltò». Euridice ripiomba nel regno deimorti. Orfeo l’ha persa per sempre.

Questa vicenda, che ha ispirato pittori,compositori e drammaturghi di ogni epoca,nasconde molti spunti utili ad entrarenell’universo magico e misterioso di ciò cheè sonoro. E di quanto questo mondo in-fluenzi le nostre vite.

Orfeo suona una lira, uno strumento chesignifica molto per il pensiero greco. Era lostrumento principale, quello attribuito aglidei. La lira era associata ad Apollo, dio delsole e delle arti, e rappresentava, come notail grande etnomusicologo Curt Sachs,quell’«aspetto della vita e dell’anima grecheche si dice solitamente apollineo: una mira-colosa alchimia di saggia moderazione, ar-monioso controllo ed equilibrio della men-te». La lira, uno strumento a corde pizzica-te le cui vibrazioni venivano amplificate dauna cassa armonica tratta da un guscio di

tartaruga. L’atto di pizzicare quelle corde,di metterle in vibrazione con arte, significa-va la capacità di mettere in moto l’universo,accordandosi, in qualche modo, all’armoniacreata dagli dei.

Uno strumento completamente diversodall’Au l ò s , una sorta di oboe dal suono pe-netrante, che invece era associato a Dioniso,dio dell’estasi e dell’ebbrezza, che per esse-re suonato aveva bisogno del “soffio” p ro -veniente dall’interno dell’uomo e, proprioper questo, rappresentava quella musica cheprorompe con prepotenza dall’intimodell’animo umano e che è figura dei suoisensi e delle sue passioni.

La capacità di Orfeo e della sua lira,dunque, era quella di ricordare quell’armo-nia che solo le cose divine portano con sé.Capita, talvolta, che questo accada quandouna musica, in un momento particolare del-la nostra vita, ci fa sentire completamente“a c c o rd a t i ” e pacificati con ciò che ci cir-conda.

È questo dono che rende Orfeo in gradodi sfidare le tenebre, la sua musica porta insé quell’armonia dell’universo alla qualenemmeno gli inferi possono restare indiffe-renti. Essa sfida la morte, e la vince, perchéessa stessa si fa strumento, e ponte, versoqualcosa di più alto. Persefone non puònulla di fronte a ciò, non può che lasciarsicommuovere, scuotere violentemente, anchese vorrebbe opporsi a ciò con tutte le sueforze.

Ancor più interessante dal punto di vistaacustico è la sfida che la regina delle tene-bre pone ad Orfeo. Giocando sul suo stes-so terreno, quello dei suoni, lo costringe anon guardare Euridice fino all’uscita dagliinferi. Come a dire: con l’ascolto mi haicommosso e convinto, solo ascoltando latua amata, senza guardarla, potrai renderlela vita.

Il pittore francese Jean-Baptiste Corot,nel suo Orfeo ed Euridice, li immagina im-mersi nel verde di una foresta, mano nellamano, Orfeo davanti che guarda in lonta-nanza, Euridice dietro, timorosa, che ne se-gue i passi. Il quadro non può dirci, ovvia-mene, le parole che i due si scambiano.Possiamo però immaginare Orfeo attento apercepire il rumore di un piede posato ma-le, a moderare l’andatura non appena Euri-dice mostra un respiro più affannato, adascoltare con cura il suono delle sue parole.Il non poter usare la vista per abbracciarlacon lo sguardo, apre ad una percezione dif-ferente, quella uditiva, che esalta la spaziali-tà, il rapporto a distanza — ascoltare qual-cuno è come essere “toccati da lontano” —.Questo tipo di relazione, certamente menousuale di quella visiva, avvicina ad una co-noscenza diversa, forse non esaustiva, maper certi versi più profonda e meno vincola-ta agli stereotipi. Questo tipo di esperienzaaccade, ad esempio, quando abbiamo mododi conoscere qualcuno ascoltandolo solo altelefono, senza averlo mai visto prima. Èuna conoscenza che si basa sulla qualitàdella conversazione e sul colore della voceche stiamo sentendo. Ma Orfeo aveva nelcuore anche l’immagine di Euridice che inpassato aveva visto, vissuto ed amato. «Neltimore che lei riscomparisse, / e bramoso dirivederla, egli pieno d’amore si voltò».

La voce dell’amata, sentirla di nuovo cosìvicina, aveva mosso in lui il desiderio in-sopportabile di vederne l’immagine. Questoaccade sempre quando ascoltiamo una mu-sica, o un suono che la nostra mente ha as-sociato ad una figura — o avvenimento —particolare, sia esso negativo o positivo.Quel suono particolare fa riaffiorare allamemoria un ricordo. Questo accade anchead Orfeo. Risentire la voce di Euridice ri-porta a galla un mare di emozioni legate alpassato. E quel volto ricompare improvvisonella mente. Impossibile resistervi.

R i v e rae Mazzola

ra f f i g u ra t iin una copertina del

settimanale «Intrepido»che si schierava contro

la tanto dibattuta “staffetta”

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 mercoledì 17 giugno 2020

Viaggio nelle comunità che hanno affrontato la crisi / 4

Il cardinale arcivescovo di Bologna e i cambiamenti pastorali durante la pandemia

Con la mascherinanon ci si vede allo specchio

di ROBERTO CETERA

Rileggiamo i colloqui svolticon le comunità di mezzomondo per cercare di capire

come cambia la Chiesa dopo il co-vid-19. E lo facciamo insieme al car-dinale arcivescovo di Bologna, Mat-teo Maria Zuppi, un uomo, un pre-te, che ha la naturale disposizione asaper guardare la linea dell’orizzon-te, pur conoscendo ed abitando inprofondità la realtà. «Al tempo stes-so avverto che anche per noi, per laChiesa, non sarà come prima, ma see quali saranno i cambiamenti pro-fondi nella nostra vita di cristianiforse è ancora presto per dirlo. Perquesto penso che piuttosto che av-venturarci sul cosa potrà essere, siameglio intanto riflettere su cosa nondovrà essere. Come ha detto PapaFrancesco il giorno di Pentecoste,peggio del virus c’è solo lo sprecarele opportunità di cambiamento econversione che pure ci offre. Io ve-do intanto tre pericoli, tre tentazio-ni. Quelle di cadere nel vittimismo,nel narcisismo, e nel pessimismo.Sono tre tentazioni che hanno in co-mune la ricerca ostinata di una sicu-rezza a buon prezzo. E sono tre ten-tazioni che si nutrono una dell’altra.Il vittimismo che è espressione di unfatalismo pagano. Il narcisismo, chesuppone l’esclusività della nostrasofferenza. Il pessimismo che ci fascordare che cinquanta metri sotto lacroce c’è una tomba vuota».

Tre espressioni intimamente con-nesse tra loro. «Il vittimismo — p ro -segue il porporato — nasce dalla de-bolezza, dal timore di essere incapa-ci a sconfiggere il male, dalla scarsafiducia in se stessi. E paradossalmen-te il narcisismo è esaltazione dellapropria debolezza. Il guaio di que-sto tempo è che le mascherine nonci impediscono solo di vedere gli al-tri, ma anche di guardarci allo spec-chio. Al contrario, la prima e piùgrande opportunità che ci offre que-sto tempo è proprio la possibilità diriconoscerci nella nostra limitatezza,nelle nostre fragilità». La risposta aqueste tentazioni è una sola: l’eventopasquale. «Più ci penso — sottolinea— e più mi sembra straordinario co-me questa tragedia abbia attraversa-to esattamente le dodici settimanedella Quaresima e della Pasqua.Cos’altro sono state queste settimanese non un terribile “duello tra la Vitae la Morte”? E il duello si può af-frontare solo con un forte carico disperanza. La pandemia non è ancorafinita, ma noi non siamo in un per-manente venerdì santo e non siamoneanche nella lunga sospensione delsabato santo: noi abitiamo una tom-ba vuota perché viviamo nella spe-ranza». Cos’altro può caratterizzare,ribadisce il cardinale, dare significa-to, alla vita di un cristiano se non ilsuo vivere nella speranza? «La spe-ranza è l’antidoto a queste tre tenta-zioni. Ma non può essere una spe-ranza ristretta al nostro piccolo spa-zio, individuale o anche della comu-nità cristiana. È una speranza cheper essere efficace deve essere conta-giosa. Come e più del virus. Perchénon siamo soli a soffrire. E questo è

un altro grande segno che ci ha datola pandemia: l’interconnessione deidestini. “Nessuno si salva da solo”,mai come in questa occasione èun’affermazione svincolata dalla re-torica e mostratasi nella sua praticarealtà. Siamo chiamati ad essereospedali da campo, non una clinicaprivata per pochi eletti. Immersi inuna storia che ci chiede di uscire,nella grande prospettiva che ci haindicato Evangelii gaudium. Anchequesta è una di quelle opportunitàche non dobbiamo sprecare. Perchéil virus ci ha costretti — oltre le no-stre lentezze, abitudini e pigrizie —ad andare nelle periferie. Quante pe-riferie esistenziali abbiamo incontra-to in questi mesi e anche noi stessici siamo riconosciuti “p eriferia” nellenostre fragilità. È dalle periferie cheattingiamo, è dalle periferie che pos-siamo ripartire per un viaggio versoil Centro. Che è un centro cristolo-gico».

Tutte le crisi sono state nella sto-ria generatrici e acceleratrici di pro-fondi cambiamenti, continua Zuppi,«e penso che anche questa non sisottrarrà a questo fine. Per esempio

questa storia del digitale, che stacambiando il lavoro, il tempo libero,le relazioni. Cambierà, anzi sta giàcambiando, anche la nostra pastora-le. Come un po’ tutti hanno raccon-tato nella tua inchiesta, i numeri deicontatti on line, di messe o catechesisono stati molto più alti degli abi-tuali frequentatori delle nostre chie-se. Tanta gente nuova, tanti ritorni.Questi mezzi, in sostanza, si sono ri-velati un grande strumento di condi-visione, che ci ha rivelato un mondobisognoso di Parola molto più vastodei nostri confini. Mi viene in mentesan Paolo quando arriva a Corinto edice: “Ho un popolo grande nellacittà”. C’è molto da parlare e da farefuori del circolo. E molti preti se nesono accorti. Stiamo imparando an-che ad usarli questi mezzi, ad usarlie a non esserne usati».

La distanza, l’isolamento hannoravvivato il bisogno di comunità, difraternità, puntualizza Zuppi. «Ab-biamo capito tutti, sacerdoti e laici,quanto sia decisiva la fraternità dellafamiglia di Dio. La “Chiesa comu-nione” è una Chiesa che attraversola comunità produce servizi, ministe-

ri, carismi, riavvicina pastori e laici».Il cardinale si ferma un attimo, cipensa su e afferma: «Forse il verocambiamento che è in atto è questo:che la Chiesa sta scoprendo la vitavera della gente. L’umiliazione checi induce il virus è che ci porta a ca-pire i problemi della vita, e ci co-stringe a dare delle risposte coerenticol Vangelo. Stiamo capendo che ilVangelo risponde alla vita vera. Nonè bella teoria, Noi non viviamo inun altro pianeta. Il Vangelo incontral’umanità e la cambia. Questo è ilsenso vero di un’incarnazione chepermane nel tempo». Per fare que-sto, però, occorre cercare la periferia,rimarca il porporato, «perché lì in-contri la vita vera che è fatta di sof-ferenza e fragilità. Se non vai versola periferia ricadi in una logica tuttainterna, torni indietro, chiudi lacreatività. Guarda cosa è successo inqueste settimane, guarda quantacreatività pastorale, caritatevole, li-turgica, è stata generata dallo Spiri-to. E perché? Perché siamo stati for-zati ad andare verso la periferia.Questo tempo è un vero k a i ro s checi sta insegnando a capire il mondo.

Sta forzando, accelerando, i tempi diun cambiamento che era ed è tantonecessario, che Papa Francesco haprofeticamente indicato ma che noiabbiamo sospinto un p0’ pigramentenelle nostre confortevoli abitudini,nel nostro bisogno di sicurezza. Machi cerca sicurezza non si apre almondo, vi sono profeti di sventurache imbracciano il fucile del rigorenon tanto per malizia quanto perchéhanno disimparato a parlare la lin-gua di tutti. Eppure è una lingua fa-

cile. Durante i giorni più duri dellaquarantena, quando le chiese nonerano accessibili, ho chiesto ai mieiparroci di far arrivare ovunque ilsuono delle campane: una lingua fa-cile, la declamazione della speranza.Avete fatto bene, voi dell’O sservato-re Romano, a ricercare in giro per ilmondo i segni dei tempi nella pan-demia, i segni di una Chiesa checambia. Ma dobbiamo uscire da unalogica del pensatoio, del laboratorio.Il vero laboratorio è la vita».

In milioni durante il lockdown hanno pregato on line rivolgendosi alla Sacra Sindone

Un’esperienza straordinaria

Un Banco alimentare a Livigno per le famiglie diventate povere

Chi ha bisogno prenda, chi può doni

di FEDERICO PIANA

Nei giorni bui della pande-mia, quando la quarantenaaveva inondato il cuore di

disperazione ed angoscia, si è con-sumato un evento straordinario chesolo ora si può cominciare a decifra-re in tutta la sua enorme portata:milioni di persone nel mondo han-no pregato rivolgendosi alla Sindo-ne. Non solo devoti che in ogni an-golo del pianeta hanno continuatole loro orazioni tirando fuori dalproprio portafoglio una fotografiadel sudario, ma anche persone di-stanti dalla fede che nella rete si so-no imbattute in uno degli eventimediatici più imponenti del lock-down: la liturgia di preghiera da-vanti al Sacro Telo nel sabato santodell’arcivescovo di Torino e custodepontificio della Sindone, CesareNosiglia. La contemplazione straor-dinaria in mondovisione su tv e so-cial, quell’11 aprile scorso, era stataletteralmente sollecitata dal basso.Lo scriveva lo stesso Nosiglia an-nunciando il grande evento, forse ilprimo in assoluto di una portata co-municativa così pervasiva: «Migliaiae migliaia sono i messaggi che miarrivano dalla gente, anziani e adul-ti e giovani, sani e malati per chie-dermi che, nel momento di gravedifficoltà che stiamo attraversando,si possa pregare durante questa set-timana santa davanti alla Sindone,per impetrare da Cristo morto e ri-sorto — che il Sacro Telo ci presentain un modo così vero e concreto —la grazia di vincere il male come hafatto lui, confidando nella bontà emisericordia di Dio». Che l’eventofosse molto atteso lo si capisce oradai numeri, colossali: i calcoli degliorganizzatori indicano che su You-tube e Facebook le visualizzazionihanno toccato quota due milioni etrecentomila. Cifre alle quali vannoaggiunte quelle — impossibili dacalcolare con certezza — di numero-si network televisivi di tutto il pia-neta che hanno trasmesso in direttal’ostensione straordinaria. Un’o cca-sione che ha messo in evidenza co-me la Sindone non debba essereconsiderata solo un oggetto di inda-gine scientifica ma anche una realtàche può aiutare a sostenere la pre-ghiera personale. Ne è convintodon Roberto Gottardo, presidentedella Commissione diocesana per laSindone di Torino: «Il tempo dellapandemia ha favorito il rivolgersi alSacro Lino perché in esso vediamoun’analogia tra ciò che ha vissutoGesù e ciò che abbiamo vissuto noi:chiusi, come lui era chiuso in un se-polcro; soli, come lui è stato lasciatosolo. Abbiamo avuto facilità a farnostra l’esperienza che il Signore cimostra con l’immagine sindonica».

La forza del volto e del corpo im-pressi nella tela ricordano l’essenzadella nostra fede. Gottardo spiega:«La fede cristiana è una fede che sivive davanti ad un volto. E la Sin-done ci mostra un volto ed un cor-

po. La nostra fede non è una gene-rica fede in una divinità lontana,sconosciuta, ma è la nostra preghie-ra di fronte ad un volto singolare,quello di Gesù». Con l’arrivo dellafase 2, il pellegrinaggio nella catte-drale di Torino, che da secoli custo-disce la Sacra Sindone, è ripreso aritmi costanti, nonostante le severemisure di sicurezza. Come sta acca-dendo — sempre nel capoluogo pie-montese — nella chiesa del Santissi-mo Sudario che ne contiene una co-pia davanti la quale la preghiera èsempre stata un fiume carsico. Lachiesa, anch’essa riaperta ai fedelidopo la chiusura forzata, è annessaal Museo della Sindone, diretto dalprofessor Nello Balossino. Che sco-va nell’immagine sindonica una for-

za iconica dirompente: «Lì è codifi-cata la sofferenza e la morte ma an-che la speranza e la forza. Ecco per-ché chiunque si trovi davanti ad es-sa è portato a pregare per chiedereaiuto per affrontare disagi, proble-mi, difficoltà». Balossino è convintoche a quell’immagine ci si avvicinianche col cuore: «E il nostro cuoreinterpreta i segni che vedono gli oc-chi in modo particolare, unico, chemi porta a dire che non esiste unaSindone, ma ne esistono tantequante le persone che l’osservano».

La preghiera immensa dei mo-menti tragici della quarantena nonverrà dimenticata quando si torneràalla normalità. Balossino lo confer-ma: «Quando si è stati davanti allaSindone è difficile che l’effetto spa-

risca nel tempo. È un’esp erienzache viene sperimentata intensamenteuna volta e poi ti accompagna persempre». Anche dalla festa dellaSindone del 4 maggio scorso, vissu-ta interamente sui social e in tv, si èpotuto comprendere che la Sindoneha accompagnato l’orazione di mi-lioni di persone. «La celebrazionedella santa messa è stata seguita damoltissima gente anche se in manie-ra minore rispetto all’ostensione delsabato santo. La Sindone, come an-che nel passato, è stata un validoaiuto spirituale» entra nel dettaglioGian Maria Zaccone, direttore delCentro internazionale di sindonolo-gia di Torino. Da storico di vagliaqual è, Zaccone cita un riferimentoantico per spiegare il fenomeno at-tuale dell’anima toccata profonda-mente dalla preghiera guardando laSindone, come raccontano migliaiadi testimonianze provenienti daquasi tutti i Paesi del globo: «Nel1627 il vescovo Agassino Solaro diMoretta scrisse un trattato nel qualeci si interroga sui miracoli della Sin-done. Qualcuno potrebbe chiedere— affermò il presule nel suo scritto— ma la Sindone ha risuscitato deimorti? Rispose: Io non lo so, maciò di cui io sono sicuro è di quanteanime morte sono risorte alla lucedella Sindone».

L’idea della Sindone come unavela alla quale ci si aggrappa in un

mare in tempesta o come la tunicadi Gesù alla quale si aggrappò ladonna malata, sono le due similitu-dini che alla sindonologa EmanuelaMarinelli piace utilizzare per darecorpo al concetto di una umanitàche, straziata dal dolore della pan-demia virulenta ed improvvisa, si ègettata a capofitto nel conforto diquella immagine dell’uomo dei do-lori, straziato anch’esso dai chiodidella croce ma in grado di effonderepace e speranza. «È quello che èsuccesso — dice Marinelli —. Neimesi in cui siamo stati isolati dalmondo abbiamo ricevuto sostegnonel guardare la Sindone durantel’ostensione straordinaria del sabatosanto. È chiaro che la nostra fedenon si basa su di essa ma è ungrande aiuto che ci fa anche riflette-re sulla misericordia di Dio che at-traverso Gesù si fa vedere con gliocchi chiusi, quasi a non voler guar-dare i peccati del mondo. Straordi-nario». Marinelli non ha dubbi sucosa possa dare tanta forza spiritua-le ad un telo di lino: «Semplice: lapotenza nasce dal fatto che noi sap-piamo che lì c’è il vero volto di Ge-sù. È una “fotografia” lasciata im-pressa da Lui stesso». I giovani cheparteciperanno all’incontro dellaComunità di Taizé, previsto neigiorni tra Natale e capodanno pros-simi, avranno il privilegio di potersiaccostare alla Sindone e pregare.Un nuovo evento che sicuramentefarà registrare altri numeri da re-c o rd .

di IGOR TRABONI

Con le sue case, villette, alberghi e residen-ce arrampicati a 1.800 metri sul livellodel mare, Livigno è uno dei comuni più

alti d’Italia, superato solo dal piemontese Se-striere. Ma, in virtù soprattutto del suo statusextradoganale, Livigno è anche uno dei comunipiù ricchi, tanto che fino ad ora non esistevaneppure la Caritas parrocchiale. Adesso, invece,anche in questo paesone di 6.600 abitanti, inprovincia di Sondrio e diocesi di Como, c’è sta-ta la necessità di istituire un Banco alimentareper aiutare le famiglie messe in difficoltà dallacrisi economica derivante dall’emergenza coro-n a v i ru s .

L’iniziativa, insieme al comune, vede in primalinea la parrocchia Santa Maria di Livigno, cheabbraccia anche quella della vicina frazione diTrepalle, dedicata invece a Sant’Anna. E il pun-to di riferimento del Banco alimentare è diven-tato il parroco, don Giuseppe Longhini, che hala cura pastorale della comunità assieme al vica-rio don Stefano Ferrari (il collaboratore parroc-chiale don Stefano Bianchi, 56 anni, è invece ve-nuto a mancare nei giorni scorsi, a causa di unmalore in montagna, e la notizia ha sconvoltonon poco la comunità livignese).

Per la raccolta e la distribuzione dei generialimentari la parrocchia ha messo a disposizioneun locale e il contatto telefonico dello stessodon Giuseppe, pronto ad ogni necessità e cheovviamente risponde anche alla nostra richiestadi saperne qualcosa di più di questa emergenza.

«Il lungo periodo di lockdown ha fatto veni-re meno il turismo e tutte le attività ad esso col-legate, vitali per Livigno — racconta don Lon-ghini al nostro giornale — e quindi molti lavora-tori stagionali non solo si sono trovati senza la-voro e reddito, ma sono dovuti anche rimanerequi, con grosse difficoltà a mettere insieme il so-stentamento quotidiano con le spese per gli af-fitti, che sono abbastanza alti, e le bollette. So-no tante le famiglie in difficoltà, anche con figli,perché in moltissimi casi lavorano come stagio-nali sia il papà che la mamma. Parliamo soprat-tutto di lavoratori dell’Est europeo: Romania,Moldavia, Albania, impossibilitati a tornare inpatria. Ma anche lavoratori italiani, sardi e sici-liani in particolare».

E così ecco che è arrivato il Banco alimentareper dare almeno un sollievo con la spesa di ognigiorno: «Abbiamo subito avvertito questa neces-sità, peraltro crescente, e ci siamo dati da fare,arrivando anche alla distribuzione di 75 pacchialimentari a settimana». A Livigno, come detto,

prima d’ora la Caritas non esisteva: «Non cen’era bisogno — aggiunge il parroco — anche sela parrocchia è sempre stata un punto di riferi-mento per tanti immigrati, soprattutto nell’acco-glienza. Adesso vorremmo stare più vicini a lo-ro, non solo con la spesa, ma è difficile per lerestrizioni perché manca la possibilità di uncontatto diretto, di un dialogo. In questi paesil’incontro personale è molto importante e inveceora non possiamo fare molto di più che racco-gliere e distribuire i beni alimentari».

Insieme a parrocchia e comune (che in unprimo momento per i buoni spesa ha messo adisposizione anche i 30.000 euro arrivati in que-sto angolo dalla Lombardia dallo speciale fondogovernativo) si stanno adoperando alla bisognaanche gli esercenti del paese e molti privati. Loslogan scelto per l’iniziativa, d’altro canto, la di-ce lunga: «Chi ha bisogno prenda, chi può do-ni». Senza inutili lungaggini burocratiche.

Ma in seguito a questa emergenza, e con laripresa che pure da queste parti è lenta, ancheda Livigno e Trepalle viene fuori tutto il bellodella solidarietà: «La risposta della gente di Li-vigno è stata subito molto generosa. Qui la di-mensione della fede — conclude il parroco — èmolto radicata e si traduce anche nella carità.C’è tanta generosità: basta chiedere».

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 17 giugno 2020 pagina 7

Un pluralismo da garantireIl presidente della Pakistan Minorities Teachers’ Association sugli ultimi passi in materia religiosa

di PAOLO AF FATAT O

Rischia di essere “vino nuovoin otri vecchi” la nuova Com-missione nazionale per le mi-

noranze religiose, istituita dal gover-no pakistano. E i cittadini non mu-sulmani, in una nazione al 90 percento di religione islamica, possonoritrovarsi, per l’ennesima volta, conun pugno di mosche in mano.Anjum James Paul, cattolico pakista-no alla guida della Pakistan Minori-ties Teachers’ Association (Pmta),uomo e docente da sempre impegna-to per i diritti e la promozione delleminoranze religiose nel paese, purapprezzando le intenzioni dell’esecu-tivo, individua rischi ben precisi chepotrebbero compromettere l’efficaciadell’operato della commissione, crea-ta un mese fa a Islamabad.

In un colloquio con «L’O sserva-tore Romano», Paul auspica «passiavanti più sostanziosi» per beneficia-re la precaria situazione delle piccolecomunità di fede in Pakistan — so-prattutto indù e cristiani — che datempo aspettavano le mosse del go-

verno guidato dal primo ministroImran Khan. Spiega il docente: «Lacommissione è stata pensata e istitui-ta come un organo governativo,all’interno del ministero degli Affarireligiosi. Questo rappresenta già unascelta di campo perché la pone sottoil diretto controllo dell’esecutivo. Al-tri organismi esistenti, invece, comela Commissione nazionale per i di-ritti umani, la Commissione nazio-nale sulla condizione della donna ola Commissione per i diritti dell’in-fanzia, sono stati istituiti con apposi-ta legge del Parlamento e sono deltutto autonome rispetto al governoin carica. Questa sembra la via piùgiusta ed efficace per raggiungere loscopo prefissato, ovvero tutelare epromuovere realmente i diritti e lacondizione delle minoranze». Conun atto formale del Parlamento, l’or-ganismo avrebbe la necessaria auto-revolezza e indipendenza nel suooperato, notano associazioni dellasocietà civile e i gruppi cristiani inPakistan che condividono questaobiezione.

Va detto che il governo pakistano,istituendo la commissione, ha final-mente recepito un’indicazione dellaCorte suprema, emessa nel 2014, chene imponeva la creazione per salva-guardare e promuovere gli interessidei cittadini delle minoranze, comeprevisto dalla Costituzione. Delnuovo organismo fanno parte tremembri cristiani (tra i quali l’a rc i v e -scovo cattolico di Lahore, SebastianFrancis Shaw), tre indù, due sikh,due kalash e un parsi, ma anche ottomembri musulmani, tra i quali ilpresidente del Consiglio dell’ideolo-gia islamica, e membri ex officio delministero degli Affari religiosi.«Manca tra l’altro un esponente del-la comunità baha’i», rileva AnjumJames Paul, ma la questione fonda-mentale resta quella di garantire allacommissione la necessaria autonomiadi pensiero e azione e, naturalmente,un apposito budget.

Il professor Paul è originario diKhushpur, il villaggio del Punjabpakistano denominato “il Vaticanodel Pakistan” perché quasi intera-mente cristiano. Oggi è per lui l’o c-casione di ricordare il compiantoShahbaz Bhatti, ex ministro per gliAffari delle minoranze, ucciso damano terrorista nel 2011, anch’eglinato a Khushpur: «Negli anni in cuiBhatti era al governo, molto si è fat-to per migliorare le condizioni dellecomunità minoritarie e per sradicareuna mentalità discriminatoria verso icittadini che non sono musulmani,ancora ben presente nella popolazio-ne pakistana». Il suo privilegiatopunto di osservazione è la scuola,dato che Paul insegna scienze socialiin un istituto superiore statale aLahore. Nell’ambito dell’i s t ru z i o n eegli individua uno dei temi determi-nanti per sconfiggere sul nascerequella mentalità che ancora etichettacristiani e indù come “cittadini di se-conda classe”, rendendoli vittime diodio e pregiudizi. «Come associazio-ne di insegnanti — riferisce al nostrogiornale — abbiamo inviato una let-tera a Shafqat Mehmood, ministrofederale dell’Istruzione e della for-mazione professionale, chiedendogli

di assicurare che i libri di testo ap-provati e in adozione nelle scuolepakistane siano liberi da pregiudizireligiosi. Gli studenti delle minoran-ze religiose devono essere messi nel-la condizione di essere fedeli alla lo-ro religione, come è garantito agli al-lievi musulmani. Ma se i libri di te-sto sull’educazione religiosa parlanosolo di islam, questo diritto è nega-to».

La Pmta ha presentato al governoun emendamento in materia di edu-cazione religiosa per gli studenti in-dù, cristiani, sikh, kalash e baha’i,chiedendo che nei testi venganomenzionate e valorizzate quelle fedi,invece del tutto ignorate. Il docente,che ha raccolto numerose lamenteleda insegnanti, studenti e famiglie,chiede «parità nella cittadinanza euguali diritti per le minoranze reli-giose in Pakistan». Per questo l’inte-ro sistema d’istruzione risulta decisi-vo: «I libri di testo a uso nelle scuo-le pubbliche dovrebbero promuoverela convivenza pacifica, l’armonia so-ciale, l’uguaglianza, la dignità uma-na, la diversità culturale e religiosa,la non-violenza e la parità di diritti,presentando il Pakistan come paesemultireligioso e multiculturale», os-serva. A tal fine, bisogna prevedereuna specifica alternativa allo studiodell’islam: «La si chiami educazionereligiosa per studenti cristiani, indù,sikh, baha’i, ma bisogna pensarla intal modo, garantendo il pluralismo».Infatti, prosegue Paul, «come recital’articolo 22 della Costituzione delPakistan, nessuna persona che fre-quenta un istituto di istruzione è te-nuta a ricevere istruzioni religiose, aprendere parte a cerimonie religioseo a seguire un culto religioso diversodal proprio». Quell’articolo, spiega,«mira a garantire la libertà di reli-

gione e credo, che il governo ha ildovere di tutelare in Pakistan, persradicare ogni forma di intolleranza,discriminazione e violenza di carat-tere religioso». Per il presidente del-la Pakistan Minorities Teachers’ As-sociation, «fa male sapere che il can-celliere dell’Università del Punjab,uno dei maggiori atenei statali,nell’aprile scorso ha voluto dichiara-re obbligatorio lo studio del Coranoper tutti gli studenti, ignorandoquelle disposizioni costituzionali».

Il docente stigmatizza poi un’altrapratica ingiusta, che costituisce unostacolo per il percorso di istruzio-ne, già di per sé faticoso, dei giovaniappartenenti a comunità religioseminoritarie: esiste infatti una discri-minazione nell’accesso all’università,soprattutto nelle facoltà di medicinae ingegneria: «Accade spesso chestudenti cristiani o indù, diplomatisialla scuola superiore con punteggimolto alti, non riescano a proseguireperché ai test di accesso vengonoscavalcati dagli Hafiz-e-Quran, ovve-ro i “memorizzatori del Corano”. Aicandidati musulmani, infatti, viene

attribuito per legge il massimo delpunteggio a prescindere dalla lororeale preparazione, e la conoscenzadel libro sacro islamico diventa uncriterio di ammissione agli atenei, ascapito di chi realmente lo merita».

È lungo il cahier de doléances delleminoranze religiose pakistane chenon invocano privilegi ma solo giu-stizia e pari opportunità nella socie-tà, specialmente nell’ambito educati-vo. Nella regione che costituisce ilcuore del Pakistan, il Punjab, si ap-prezza, d’altro canto, anche un passoavanti: il governo della provincia haapprovato una specifica quota del 2per cento riservata agli studenti delleminoranze religiose negli istituti diistruzione superiore. È noto che icristiani pakistani sono una presenzaconsistente in Punjab e verranno be-neficiati da tale misura. «Auspichia-mo che i governi di altre provincepossano prendere esempio, applican-do direttive simili: così potremo con-tribuire a costruire un futuro lumi-noso per la nostra nazione», conclu-de Paul.

Iniziative dei cattolici indonesiani nella lotta al coronavirus

Una goccia nel mare, ma preziosa

Cristiani in prima lineaa difesa dei diritti umani nelle Filippine

MANILA, 16. Continua da diversigiorni senza sosta nelle Filippine,nonostante le tante difficoltà provo-cate dalla pandemia da covid-19, lamobilitazione della comunità cattoli-ca e di una buona parte della societàcivile, contro l’House Bill No. 6875,la nuova legge anti-terrorismo appe-na approvata dal parlamento di Ma-nila, malgrado le proteste. Per entra-re in vigore il provvedimento, cheintroduce un ulteriore giro di vite al-la “Human Security Act” del 2007,attende adesso la firma del presiden-te Rodrigo Roa Duterte. Secondogli oppositori della legge, si tratte-rebbe di una mera formalità datoche il governo ne è stato il promoto-re .

A preoccupare attivisti per i dirittiumani, leader cattolici, avvocati, ac-cademici, sacerdoti e religiosi è inparticolare la definizione vaga edestesa della nozione di terrorismo,che potrebbe essere usata per attac-care il dissenso e per calpestare dirit-ti umani e le libertà civili. La possi-bilità di arrestare cittadini senzamandato giudiziario e di tenerli incarcere, o privarli della libertà, finoa un massimo di 24 giorni su ordinedi un nuovo organismo, il “Consi-glio anti-terrorismo” ( A n t i - Te r ro r i s mCouncil, Atc); l’indebolimento dellaseparazione dei poteri; l’estensionedella sorveglianza dei cittadini el’abolizione dei risarcimenti per chiviene arrestato con accuse false, conl’accresciuto rischio di abusi da partedelle forze di polizia. In questo sen-so si sono espresse, nei giorni scorsi,le Chiese cristiane con una dichiara-zione congiunta sottoscritta, tra glialtri, da monsignor Broderick S. Pa-billo, amministratore apostolico diManila, e dall’Associazione dei su-periori maggiori delle Filippine (As-sociation of Major Religious Supe-riors in the Philippines, Amrsp). Al-le loro voci si è aggiunta anche quel-la dell’Associazione nazionale perl’educazione cattolica (Catholic Edu-cational Association Of The Philip-pines, Ceap). L’organismo, che riu-nisce 1.500 istituti educativi cattolici

del Paese, in una nota diffusa neigiorni scorsi, definisce la legge «pro-blematica», a causa delle numerosenorme «controverse» in essa conte-nute. Tra queste, oltre a quelle giàdenunciate dai leader cristiani e dal-la Amrsp, la norma che prevede lacollaborazione del Dipartimento perl’educazione (DepEd) e della Com-missione per l’educazione superiore(Commission on Higher Education,Ched) con il nuovo Consiglio anti-terrorismo. Quest'ultima disposizio-

A sostegno dell’Associazione na-zionale per l’educazione cattolica so-no scesi in campo anche diversi lea-der cristiani, preoccupati per l’e ro -sione dei diritti umani. I responsabi-li religiosi fanno notare che «la nuo-va legge potrebbe essere abusata daquanti desiderano dominare sul po-polo, cancellando l’opposizione e re-primere anche il dissenso legittimo.Questo disegno di legge — sostengo-no — causerà un ulteriore restringi-mento dello spazio democratico e un

ne — denuncia la Ceap — darebbe aidue organismi statali il potere di ot-tenere informazioni confidenzialidalle scuole e di interferire nelle loroattività accademiche. Essa rappresen-ta quindi una seria minaccia alla li-bertà di insegnamento e di espressio-ne garantite dalla Costituzione.

Di qui, l’appello al capo delloStato a non firmare la legge: «Pre-ghiamo che il presidente presti at-tenzione alla voce del nostro popoloche sta combattendo contro la pan-demia e opponga il veto a questo te-sto. Ascoltare le varie preoccupazio-ni sollevate — prosegue il testo —permetterà di lavorare insieme allastesura di una nuova legge che com-batta efficacemente il terrorismo sen-za calpestare i diritti costituzionali».

indebolimento del dibattito pubblicoche sarà dannoso per la nostra na-zione».

Tra i firmatari della nota, vi sonooltre al vescovo Pabillo, monsignorGerardo A. Alminaza, vescovo diSan Carlos, il segretario generale delConsiglio delle Chiese nelle Filippi-ne e vescovo della Chiesa Unita,Reuel Norman Marigza, e il vescovoRhee Timbang della Chiesa indipen-dente filippina. Per gli estensoridella dichiarazione «le leggi esistentisono già abbastanza efficaci percombattere criminalità e terrorismo.I nostri poveri sono già gravatida povertà e da sofferenze di ognitipo. Hanno bisogno di leggi positi-ve che li aiutino a vivere in dignità epace».

GI A C A R TA , 16. Da sempre in primalinea di fronte alle emergenze in In-donesia, i volontari cattolicinell’isola di Sumatra, anche nel pe-riodo del contagio da coronavirus,hanno offerto il loro contributospendendosi instancabilmente peraiutare la comunità locale. Correttainformazione, sensibilizzazione esupporto concreto ai cittadini, comela distribuzione di oltre cinquanta-mila mascherine, sono stati gli stru-menti adoperati per combattere ladiffusione del covid-19, ha reso no-to la Commissione per la pace e lagiustizia della diocesi di Tanjungka-r a n g.

Un virus che nello stato asiaticoha già mietuto migliaia di vittime,costringendo le autorità a mantene-re le misure di distanziamento so-ciale, con scuole e luoghi di cultochiusi e ogni attività di gruppo so-spesa. «Abbiamo creato un movi-mento che intende essere attivo eprendersi cura della gente nellaprovincia di Lampung», ha affer-mato Yuli Nugrahani, funzionariodella commissione diocesana, concentinaia di persone di buona vo-lontà impegnate sotto moltepliciaspetti. «Diciamo alle persone diiniziare dal proprio piccolo, di ini-ziare da se stessi, rispettando lenorme basilari. Se tutti le osservia-mo, vinceremo questa sfida», hasottolineato Nugrahani.

I volontari distribuiscono anchegeneri alimentari ai più poveri e of-frono semi di ortaggi per piantuma-zione e coltivazione in modo daprovvedere al loro sostentamento.Anche così si traduce in atti concre-ti quanto ha auspicato il vescovo diTanjungkarang, Yohanes HarunYuwono, che, nei mesi della pande-mia, ha scritto e diffuso messaggi«a tutti gli uomini e le donne dibuona volontà», esortando a unacollaborazione incondizionata, sen-za alcuna differenza di fede o cul-tura, per combattere efficacementeil virus.

Altrettanto dannosa è considera-ta, non solo in Indonesia, la cosid-detta “info demia”, ovvero quella«sovrabbondanza di informazioni,alcune precise e altre meno, cherende difficile per le persone trova-re fonti attendibili e una guida affi-dabile nel momento del bisogno»,secondo la definizione che ne hadato l’Organizzazione mondialedella sanità (Oms). Nel paese l’or-ganizzazione CekFakta è nata pro-prio con lo scopo di demistificare

informazioni false sul virus, com-presa la credenza, molto diffusa nelpaese, secondo cui ci si può curarebevendo semplicemente aglio bolli-to in acqua. Il progetto collettivo diverifica e controllo dei fatti è porta-to avanti insieme alla comunità cat-tolica e in sinergia con Associazioneindonesiana dei media informatici,Società indonesiana contro la ca-lunnia e l’Alleanza dei giornalistiindip endenti.

È questo uno dei tanti esempi dicostante cooperazione tra istituzionilocali e cattoliche, rinforzatasi conl’inizio della pandemia: la Chiesaindonesiana, infatti, ha messo a di-sposizione delle autorità le suestrutture e diversi operatori sanitariper fare fronte all’emergenza, inparticolare nella capitale Giacarta,in cui curare anche i malati di den-gue, l’altra grande piaga che afflig-ge la nazione.

E proprio qui è nata la JaringanKatolik Melawan Coronavirus(Jkmc), la Rete cattolica per la lottaal covid-19 che ha avviato una cam-pagna pubblica per fare conoscerela reale portata della malattia, occu-pandosi di dare tutto il sostegnopossibile ai cittadini, morale e ma-teriale, e rendendo accessibili infor-mazioni chiave a decine di ospeda-li, laici e cattolici, per l’acquisto deidispositivi di protezione. Alle ini-ziative dell’organismo ha partecipa-to anche la Buddhist Compassion

Relief Tzu Chi Founda-tion, organizzazione bud-dista internazionale, cheha provveduto a donazio-ni di strumenti medici emascherine.

La Jkmc è sostenuta daprofessionisti e accademi-ci, ha spiegato uno deipromotori dell’iniziativa,inclusi medici e sacerdoti.Essa desidera mostrare al-la nazione la compassionedei cattolici e fornire assi-stenza alle istituzioni piùbisognose nelle questionipiù urgenti, inclusa la ca-renza di mascherine.

Grazie all’operato dellarete, è stato possibile af-frontare e risolvere consuccesso diverse situazio-ni di carenze igieniche esanitarie in alcuni ospe-dali cattolici nell’isola diGiava, come il caso delPanti Rapih Hospital aYogyakarta. Dalla parroc-

Lutto nell’episcopato

Monsignor Anton Schlembach,vescovo emerito di Speyer, inGermania, è morto lunedì pome-riggio, 15 giugno, all’età di 88anni. Il compianto presule eranato a Großwenkheim, in diocesidi Würzburg, il 7 febbraio 1932 eaveva ricevuto l’ordinazione sa-cerdotale il 10 ottobre 1956. Elet-to alla Chiesa residenziale diSpeyer il 25 agosto 1983, avevaricevuto l’ordinazione episcopaleil 16 ottobre successivo. Il 10 feb-braio 2007 aveva rinunciato algoverno pastorale della diocesi.

chia di Santa Maria Madre Imma-colata del Cristo a Wedi ha invecepreso il via un’azione di solidarietàche ha visto protagonisti i giovanidella comunità locale, i quali hannodistribuito oltre a seicento visiereprotettive anche pacchi contenentibeni di prima necessità gratuiti, sianei nosocomi pubblici che nelle cli-niche private della provincia diGiava Centrale: «Una “goccia nelm a re ” — ha affermato un parteci-pante — ma una grande fonte d’aiu-to».

Page 7: Asia, timori per una seconda ondata del virus al dialogo ...€¦ · al dialogo con le religioni di ANDREA TORNIELLI La dichiarazione conciliare No-stra aetateapprovata dai pa-dri

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 mercoledì 17 giugno 2020

Online

UN SITO ALLA SETTIMANAa cura di FABIO BO L Z E T TA

Sant’Antonio di Padova

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Un vocabolario di Papa Francesco

La parola come riflesso del divino

Da “Battesimo”a “Sp eranza”Parte dalla “B” di “Battesimo”e giunge alla “S” di “Sp eranza”l’itinerario attraverso le parolechiave del messaggioe del ministero del Ponteficeproposto nel libro Fra n c e s c a m e n t eparlando. Un vocabolario di PapaFra n c e s c o (Città del Vaticano,Libreria editrice vaticana, 2020,pagine 392, euro 36), curatoda Joshua J. McElwee e CindyWooden. Pubblichiamola prefazione del patriarcaecumenico di Costantinopoli,e l’introduzione del cardinalearcivescovo di Boston.

Gesuita e francescano

Le indagini relative alla compravendita del palazzo londinese

Concessa a Torzi la libertà provvisoria

E il Concilio aprì la via al dialogo con le religioniCO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

L’Ufficio del promotore di Giustizia vaticano, all’esito degli interrogatori ai qualiè stato sottoposto Gianluigi Torzi nell’ambito delle indagini relative alla compra-vendita del palazzo in Sloane Avenue 60, a Londra, gli ha concesso la libertàprovvisoria, con provvedimento in data 15 giugno. Ne ha dato notizia il giornostesso un comunicato della Sala stampa della Santa Sede.

Come si legge nell’ordinanza, a firma del promotore di Giustizia, Gian PieroMilano, e del suo aggiunto, Alessandro Diddi, i magistrati hanno preso atto diquanto dedotto in un’articolata memoria consegnata da Torzi e dei numerosi do-cumenti allegati, giudicati utili ai fini della ricostruzione dei fatti oggetto delleindagini.

di BARTOLOMEO

È con grande gioia che ci uniamoa questa meravigliosa “antolo-gia”, parola greca che indica

un’affascinante selezione di riflessionistimolanti, una raccolta di interessanticontributi inerenti uno dei più eminen-ti capi religiosi.

Il presente volume raccoglie rifles-sioni sulle parole chiave del messaggioe del ministero del nostro amato fratel-lo, Papa Francesco. Le parole, tuttavia,sono molto più di semplici commenti,molto più importanti di frasi comuni.

Le parole sono espressione intrinsecadella vita, il nostro riflesso più intimodella divinità, l’identità stessa di Dio:«In principio era il Verbo, e il Verboera presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv1, 1).

E difatti, dovremo rendere conto diogni parola che esce dalle nostre lab-bra (cfr. Mt 12, 36). Le parole possonosalvare o abbattere (cfr. Prv 12, 6), ri-velarsi produttive o distruttive (cfr. Prv8, 21), generare benevolenza ed edifi-cazione (cfr. Ef 4, 29) oppure amarez-za e maledizione (cfr. Rom 3, 14). So-prattutto, dovremmo essere «prontisempre a rispondere a chiunque vi do-mandi ragione della speranza che è invoi» (1Pt 3, 15).

Durante gli incontri e le riflessionicon il nostro fratello, il Vescovo di Ro-ma, abbiamo sperimentato la profonda

sacralità delle parole. Ricordiamo esiamo consapevoli che le parole sonocapaci di erigere ponti, ma anche mu-ri. Pertanto, insieme, abbiamo cercatodi promulgare un dialogo di amore edi verità, «agendo secondo verità nellacarità» (Ef 4, 15).

Naturalmente, le parole possonoesprimere e descrivere le emozioniumane, ma non potranno mai raccon-tare esaustivamente né definire ade-guatamente il cuore umano. Tuttavia,possono rivelare scorci nel mondo diun altro essere umano, dar voce ai suoiinteressi o alle sue preoccupazioni. Seprestiamo attenzione a quanto fre-quentemente ripetiamo determinateparole o a come le pronunciamo, sco-priremo le tendenze e le passioni chedanno forma alla nostra stessa vita.

Per questo non ci ha sorpreso trop-po scoprire che i termini selezionati inquesto volume sono quelli che con-traddistinguono ed evocano i princìpifondamentali che Papa Francesco haprivilegiato e fatti suoi:

— Il suo ministero è interamente de-voto a Gesù e alla Chiesa come Corpodi Cristo, mentre al contempo conti-nua a mettere in luce gli abusi clericalie incoraggia una maggiore assunzionedi responsabilità;

— Si adopera per mettere in relazio-ne i sacramenti della Chiesa con la vitaconcreta del mondo, dal battesimo allelacrime;

— All’interno della Chiesa come isti-tuzione, desidera meno clericalismo epiù collegialità, pur continuando adammonire contro l’indifferenza e soste-nendo il discernimento;

— Nei rapporti tra la sua Chiesa egli altri, promuove il dialogo e l’ecu-menismo, l’incontro e l’abbraccio:

— Nella comunità globale, svisceral’intricata connessione tra capitalismo ecreazione, persecuzione e rifugiati;

— Si preoccupa per la famiglia, ledonne, i bambini e i nonni.

Ma sopra ogni aspetto, ciò che col-pisce sono le sue virtù specifiche, chedefiniscono il suo messaggio e ne dan-no testimonianza:

— dignità e giustizia,— misericordia e speranza,— ma soprattutto amore e gioia.Questo libro trascende le mere paro-

le. È uno splendido mosaico di ele-menti colorati e coinvolgenti che svela-no l’uomo misericordioso e compassio-nevole che abbiamo conosciuto comePapa Francesco.

Designati i nuovi componentidella Pontificia commissione istituita dal Papa nel 2015

Al serviziodella sanità cattolica

I nuovi componenti della Pon-tificia commissione per le atti-vità del settore sanitario dellepersone giuridiche pubblichedella Chiesa per il trienniogiugno 2020 - giugno 2023 so-no stati designati dal cardinalesegretario di Stato in data 1°giugno, in forza del mandatoconferitogli da Papa Francesco.Ne dà notizia un comunicatodiffuso dalla Sala stampa dellaSanta Sede nella mattina dimartedì 16.

Il Pontefice ha confermatonell’ufficio di presidente dellacommissione monsignor LuigiMistò, presidente del Fondo di

assistenza sanitaria (Fas) dellaSanta Sede.

Sono poi stati nominatimembri: monsignor SegundoTejado Munoz, sotto-segretariodel Dicastero per il serviziodello sviluppo umano integra-le; il professor Renato Balduz-zi, ordinario di Diritto costitu-zionale all’Università cattolicadel Sacro Cuore di Milano;Giovanni Barbara, professoredi Diritto commerciale, avvo-cato; il professor Saverio Ca-polupo, magistrato tributario;il dottor Fabrizio Celani, presi-dente nazionale dell’Asso cia-zione cattolica operatori sanita-ri; il dottor Maurizio Gallo,imprenditore nel settore dellaconsulenza e delle relazioniistituzionali.

Nello stesso tempo, donMarco Belladelli, assistente ec-clesiastico dell’Unione cattolicafarmacisti italiani, è stato no-minato direttore dell’Ufficiodella commissione, con dirittoa partecipare, con voce e voto,alle attività della medesima.

È stata confermata nell’inca-rico di segretaria della commis-sione suor Annunziata Remos-si, 0.M.V.F., officiale della Con-gregazione per gli istituti di vi-ta consacrata e le società di vi-ta apostolica.

La commissione potrà avva-lersi di consulenze occasionalio stabili di tecnici e managerdel settore, con la valorizzazio-ne di esperienze già fatte, dele-gare parte delle proprie funzio-ni a uno o più membri e costi-tuire delle sotto-commissioni.

Le suddette nomine hannodurata triennale.

In occasione del provvedi-mento di nomina, il cardinalesegretario di Stato Pietro Paro-lin ha espresso viva riconoscen-za ai componenti uscenti dellacommissione per il servizio re-so con competenza e generosadisponibilità e, ribadendone lanecessità e la preziosità perl’attuale momento della vitadella Chiesa, si è premurato didelineare indicazioni e suggeri-menti per avviare una nuovafase dell’attività della Pontifi-cia commissione stessa, affin-ché essa si ponga sempre più,con autorevolezza ed efficacia,a servizio del mondo della sa-nità cattolica e realizzi queicompiti che Papa Francesco leha affidato fin dal Rescriptumdi costituzione, compiti che,anche alla luce della emergen-za sanitaria in atto, non hannoperso nulla della loro attualitàe urgenza.

Un sito internet per riscoprire la figura di sant’Antonio di Padova, apochi giorni dalla memoria liturgica con cui, il 13 giugno, la Chiesa ela città di cui è patrono lo hanno celebrato: «Uomo medievale, reli-gioso francescano, predicatore, teologo e santo». Sul portale dei Fratiminori conventuali della basilica di Sant’Antonio di Padova sonopubblicati i testi dei Sermones, l’opera letteraria e teologica del santoscritta come strumento di formazione per la vita cristiana esponendola Scrittura a partire dalle letture della liturgia domenicale e festivadel suo tempo.

Una sezione on line ripercorre le principali tappe della sua vita: iprimi anni a Lisbona, l’ingresso nel convento agostiniano San Vincen-zo e lo spostamento a Coimbra (a quel tempo capitale del Portogallodove viene ordinato sacerdote), la svolta francescana nel 1220, l’esp e-rienza in Africa, poi come predicatore in Italia e Francia, l’incarico diministro provinciale e, dopo la morte nel 1231, il suo testamento spiri-tuale. Quest’anno, in occasione dell’ottavo centenario della “vestizio-ne” francescana, i frati della basilica hanno pubblicato per tredicimartedì altrettante “video meditazioni” raccolte ora in un libro, scari-cabile gratuitamente sul sito internet, Con sant’Antonio in cammino lun-go i sentieri della vita.

w w w. s a n t a n t o n i o . o rg

di SEAN O’MALLEY

Mi è sempre piaciuta la barzel-letta su gesuiti e francescaniche un giorno camminano

per strada, quando improvvisamentevengono avvicinati da un giovane chechiede loro: «Fratelli, potete dirmiquale novena dovrei recitare per acqui-stare una BMW?». Il francescano ri-sponde: «Cos’è una BMW?». E il gesui-ta: «Cos’è una novena?».

Ora abbiamo un Papa che sfugge aqueste categorie, riunendo in un’unicafigura sia il gesuita che il francescano.Credo che Papa Francesco sia il gesui-ta ignaziano per eccellenza. Ha ab-bracciato la vocazione di essere un se-guace di Ignazio che vuole essere unsanto come san Francesco. Il nostroPapa è completamente gesuita, igna-ziano nella sua totalità, e affascinatoda san Francesco. Durante il suo pri-mo anno di pontificato, in un’intervi-sta a «La Civiltà Cattolica», padre An-tonio Spadaro gli ha chiesto perchéfosse diventato gesuita. Il Papa ha ri-sposto che lo avevano attratto tre cosedi quest’ordine: lo spirito missionario,la comunità e la disciplina, incluso ilmodo in cui gestiscono il tempo.

È evidente come Papa Francescopossieda queste caratteristiche in ab-bondanza. Vive la sua vocazione dagesuita con intenso zelo missionario,amore per la comunità — che è comu-nità in missione —, e con disciplina incui nulla è sprecato, specialmente iltempo. Poco prima della sua ordina-zione, il trentaduenne Jorge Bergoglioscrisse un breve credo, e ha reso notoche anche adesso conserva quel docu-mento a portata di mano, come pro-memoria delle sue convinzioni fonda-mentali. Si tratta di un chiaro segnaledella sua abitudine all’introsp ezione,così profondamente radicata nella for-mazione gesuita.

Papa Francesco si dedica all’i n t ro -spezione, centrale nella spiritualitàpropria di quest’ordine. La praticadell’examen da intraprendere indivi-dualmente dovunque e ogni volta chele circostanze lo permettevano, era il

modo che Ignazio proponeva permantenere i gesuiti raccolti in Dio, perconservarne la concentrazione nono-stante lo stile di vita attivo. Il SantoPadre ha commentato questa attenzio-ne spirituale nel suo discorso ai vesco-vi brasiliani durante la Giornata mon-diale della gioventù del 2013, chieden-do: «Se non formeremo ministri capacidi riscaldare il cuore della gente, dicamminare nella notte con loro, di dia-logare con le loro illusioni e delusioni,di ricomporre le loro disintegrazioni,che cosa potremo sperare per il cam-mino presente e futuro?».

Papa Francesco ci ricorda che nelcuore di Dio c’è un posto speciale peri poveri. È infatti molto eloquente nel-la sua difesa verso i più bisognosi, e ciricorda come è nostro dovere aiutarliattraverso programmi di promozione eassistenza, ma anche operando per sra-dicare le cause strutturali della pover-tà. In Evangelii gaudium il Santo Padreavanza uno dei suoi più appassionatiappelli a favore dei poveri, sottolinean-do l’importanza di fornire loro assi-stenza personale: «Desidero affermarecon dolore che la peggior discrimina-zione di cui soffrono i poveri è lamancanza di attenzione spirituale.L’immensa maggioranza dei poveripossiede una speciale apertura alla fe-de; hanno bisogno di Dio e non pos-siamo tralasciare di offrire loro la suaamicizia, la sua benedizione, la sua Pa-rola, la celebrazione dei Sacramenti ela proposta di un cammino di crescitae di maturazione nella fede. L’opzionepreferenziale per i poveri deve tradursiprincipalmente in un’attenzione reli-giosa privilegiata e prioritaria» (Eg200).

Ha anche affermato che il cattolice-simo non è un “elenco di proibizioni”.Ci esorta a essere positivi, a esaltareciò che ci unisce e non ciò che ci divi-de, a privilegiare la connessione tra lepersone e il cammino condiviso, osser-vando che se ci concentriamo sugliaspetti che ci uniscono, sarà più faciledopo superare le differenze. Il SantoPadre suggerisce inoltre che ogni for-ma di catechesi dovrebbe procedere

per la “via della bellezza”, mostrandoagli altri che seguire Cristo non è solobuono e giusto, ma è anche bello,qualcosa in grado di riempire la vitacon nuovo splendore e gioia profonda,anche in mezzo alle difficoltà.

Papa Francesco comprende che leparole che usiamo per parlare del po-polo di Dio e dell’opera della Chiesasono di grande importanza e spessopossono fare la differenza tra essereaperti a un maggiore ascolto e prende-re in considerazione una vita di fede, oallontanarsi sentendosi respinti, rifiuta-ti o emarginati come indegni. Partendodalla riflessione spirituale che tutti inostri doni, talenti e conquiste sonodoni di Dio, il Santo Padre ci ha datoun vocabolario in cui compaiono at-tenzione, sollecitudine, inclusione eservizio. Con l’aiuto di Dio e con ilsostegno reciproco degli uni e degli al-tri possiamo prendere a cuore questiinsegnamenti e proseguire nel cammi-no come discepoli missionari per Cri-sto.

nel cuore di tutti i credenti dell’Africa il deside-rio della riconciliazione, del perdono così spes-so raccomandato nel Vangelo e nel Corano».Aggiunse Papa Montini: «E come non associa-re alla testimonianza di pietà e di fedeltà deimartiri cattolici e protestanti la memoria di queiconfessori della fede musulmana, la cui storia ciricorda che sono stati i primi, nel 1848, a paga-re con la vita il rifiuto di trasgredire le prescri-zioni della loro religione?».

“Discendenti di Abramo”Nel novembre 1979, incontrando ad Ankara

la piccola comunità cattolica, Giovanni Paolo IIaveva ribadito la stima della Chiesa per l’Islame aveva detto che «la fede in Dio, professata incomune dai discendenti di Abramo, cristiani,musulmani ed ebrei, quando è vissuta sincera-mente e portata nella vita, è sicuro fondamentodella dignità, della fratellanza e della libertàdegli uomini e principio di retta condotta mo-rale e di convivenza sociale. E vi è di più: inconseguenza di questa fede in Dio creatore etrascendente, l’uomo sta al vertice della creazio-ne».

Il discorso di CasablancaUna pietra miliare di questo cammino è rap-

presentata da un altro discorso di GiovanniPaolo II, pronunciato nell’agosto 1985 in Ma-rocco, a Casablanca, di fronte ai giovani musul-mani. «Cristiani e musulmani — aveva dettoPapa Wojtyła in quella occasione — abbiamomolte cose in comune, come credenti e comeuomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da

numerosi segni di speranza, ma anche da mol-teplici segni di angoscia. Abramo è per noi unostesso modello di fede in Dio, di sottomissionealla sua volontà e di fiducia nella sua bontà.Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, ilDio vivente, il Dio che crea i mondi e porta lesue creature alla loro perfezione». GiovanniPaolo II aveva ricordato che «il dialogo tra cri-stiani e musulmani oggi è più necessario chemai. Esso deriva dalla nostra fedeltà verso Dioe suppone che sappiamo riconoscere Dio con lafede e testimoniarlo con la parola e con l’azionein un mondo sempre più secolarizzato e, a vol-te, anche ateo».

Ad Assisicon Giovanni Paolo e Benedetto

L’anno successivo, il 27 ottobre 1986, il Pon-tefice aveva convocato ad Assisi i rappresentan-ti delle religioni del mondo per pregare per lapace minacciata, un incontro diventato un sim-bolo per il dialogo e l’impegno comune tra cre-denti di diverse fedi. «Il trovarsi insieme di tan-ti capi religiosi per pregare è di per sé un invitooggi al mondo a diventare consapevole che esi-ste un’altra dimensione della pace e un altromodo di promuoverla, che non è il risultato dinegoziati, di compromessi politici o di mercan-teggiamenti economici. Ma il risultato dellapreghiera, che, pur nella diversità di religioni,esprime una relazione con un potere supremoche sorpassa le nostre capacità umane da sole».Celebrando ad Assisi il 25° anniversario diquell’evento, Benedetto XVI metteva in guardiadalla minaccia rappresentata dall’abuso del no-me di Dio per giustificare odio e violenza, cita-va a questo proposito l’uso della violenza per-

petrato dai cristiani lungo la storia («lo ricono-sciamo, pieni di vergogna»), ma osservava pureche «il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e unaviolenza senza misura, che è stata possibile soloperché l’uomo non riconosceva più alcuna nor-ma e alcun giudice al di sopra di sé, ma pren-deva come norma soltanto se stesso. Gli orroridei campi di concentramento mostrano in tuttachiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio».

Dal Concilioal documento di Abu Dhabi

La dichiarazione conciliare Nostra aetate siconclude con un paragrafo dedicato alla “Fr a -ternità universale”: «Non possiamo invocareDio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiu-tiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tragli uomini che sono creati ad immagine di Dio.L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre equello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fra-telli sono talmente connessi che la Scrittura di-ce: “Chi non ama, non conosce Dio”. Vienedunque tolto il fondamento a ogni teoria oprassi che introduca tra uomo e uomo, tra po-polo e popolo, discriminazioni in ciò che ri-guarda la dignità umana e i diritti che ne pro-manano». A questa tradizione si richiama il do-cumento sulla Fratellanza umana firmato daPapa Francesco e dal Gran Imam di Al-AzharAhmad Al-Tayyeb il 4 febbraio 2019 ad AbuDhabi, scritto «In nome di Dio che ha creatotutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei do-veri e nella dignità, e li ha chiamati a conviverecome fratelli tra di loro, per popolare la terra ediffondere in essa i valori del bene, della caritàe della pace».