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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
BREVI NOTE SULLA
EUROPARECHTSFREUNDLICHKEIT DEL
TRIBUNALE COSTITUZIONALE TEDESCO E LA
DOTTRINA DEI CONTROLIMITI DELLA CORTE
COSTITUZIONALE CECA NELLA SENTENZA SULLE
PENSIONI SLOVACCHE
L’EUROPA DELLE CORTI... TRA KARLSRUHE E
BRNO
Massimo Angelo Asero Dottore di ricerca in Diritto pubblico nell’Università di Roma “Tor Vergata” e avvocato del
Foro di Catania
PAROLE CHIAVE: Europarechtsfreundlichkeit, Corte costituzionale Repubblica ceca, Pensioni
slovacche, Landtova
1. Premessa
Con la celebre sentenza sul Trattato di Lisbona1 e la successiva sentenza Honeywell2, la
Corte costituzionale tedesca è tornata ad esprimere, prima, e specificare poi, la propria
posizione in ordine ai rapporti tra giurisdizione costituzionale nazionale ed europea3.
1 2 BvE 2/08; 2 BvE 5/08 2 BvR 1010/08; 2 BvR 1022/08; 2 BvR 1259/08; 2 BvR 182/09. Il testo integrale della
sentenza è disponibile sul sito della Corte costituzionale tedesca nelle versioni in tedesco, all’indirizzo
www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/es20090630_2bve000208.html, ed inglese, all’indirizzo
www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/es20090630_2bve000208en.html; la traduzione italiana,
curata da J. LUTHER, è a sua volta consultabile nel sito della Corte costituzionale italiana all’indirizzo
http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/Traduzione_sentenza.pdf. 2 2 BvR 2661/06. Il testo integrale della sentenza è disponibile sul sito della Corte costituzionale tedesca nelle versioni in
tedesco, all’indirizzo http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/rs20100706_2bvr266106.html ed inglese,
all’indirizzo http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/rs20100706_2bvr266106en.html. 3 Mettendo autorevolmente, per tale via, una parola a suo modo conclusiva a quel crescendo di posizioni variamente
critiche, se non dichiaratamente euroscettiche, che avevano preso sempre più corpo in dottrina e nel dibattito
pubblico tedesco, sino a trovare eclatante espressione nell’invito formulato da HERZOG, GERKEN, Stoppt den
Europäischen Gerichtshof, in Frankfurter Allgemeine Zeitung del 8.9.2008, p. 8, a fermare la Corte di Giustizia.
Come ho avuto già a suo tempo modo di rilevare in sede di commento alla sentenza della Corte costituzionale
tedesca sul Trattato di Lisbona e sulle leggi collegate, peraltro, quello appena citato era un articolo la cui lettura si
rendeva opportuno associare proprio a quella sentenza siccome capace di rendere efficacemente il clima ed il livello
di problematicità dei rapporti tra le Corti, sino ad allora protagoniste di un accordo tra gentiluomini posto a garanzia
del processo di integrazione europea, ma che il processo di allargamento, e le corrispondenti dinamiche di
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A distanza di qualche centinaia di chilometri e poco meno di tre anni dalla prima, e due
dalla seconda, a Brno, la cosiddetta questione delle pensioni slovacche sembra avere rimesso
ancora una volta radicalmente in discussione il senso di quel gentlemen agreement tra Corte di
Giustizia e Corti europee, improntato a un principio di responsabilità i cui tratti essenziali
sono il principio di leale collaborazione e – quali espressioni nelle quali esso è chiamato a
manifestarsi concretamente – il rispetto delle identità giuridiche nazionali4, da un lato, e la
primazia del diritto dell’Unione, dall’altro. Come ho già avuto modo di segnalare in altra sede
al riguardo5, sembra sempre più evidente che in questo senso il fallimento del Trattato
costituzionale, e la stessa logica anti-costituzione che pure sembra avere pervaso il testo del
trattato di Lisbona, non hanno attenuato la portata e l’insistenza della domanda sulla natura
originaria o derivata dell’ordinamento europeo, sulla localizzazione della sovranità tra
ordinamenti degli stati membri ed ordinamento dell’Unione così come sulla identità europea
tout court6. E ancora sui conseguenti rapporti tra ordinamenti all’interno degli orizzonti
alternativi disegnati dalle teorie dualista e monista e tra il diritto dell’Unione e quello degli
allentamento dell’integrazione, sembravano avere scosso sino alle radici; sicché proprio di questo nuovo stato di cose
la sentenza tedesca sembrava essere un compiuto frutto. Tanto che c’è pure stato chi ha sostenuto che il Tribunale
costituzionale tedesco abbia in realtà formulato un implicito invito a rivedere i termini del leale dialogo ed accordo
tra gentiluomini nell’Unione allargata a ventisette e una rivendicazione della propria centralità di interprete e custode
della Legge fondamentale, e con essa non solo della forma di governo ma anche della stessa forma dello Stato, anche
allo scopo di rispondere a quell’appello che aveva così profondamente segnato il dibattito giuspubblicistico tedesco. 4 Si veda a tale riguardi la particolareggiata analisi di PARISI, Considerazioni sulla natura giuridica dell’Unione
europea alla luce dei rapporti fra Stati membri e fra questi e l’Organizzazione, in DRAETTA- SANTINI (a cura di),
L’Unione europea in cerca di identità. Problemi e prospettive dopo il fallimento della “Costituzione”, Milano 2008,
pp. 1-55. 5 ASERO, Alcune note sull’identità europea a proposito della sentenza del BVG sulla ratifica del Trattato di Lisbona da
parte della Germania. L’Unione di Lisbona alla “Corte” della Germania: ancora una notte per la tela di Penelope
europea?, in I Quaderni europei, Luglio 2010, n. 21, in http://www.lex.unict.it/cde/quadernieuropei, pp. 56-60. 6 Tanto da rimanere di estrema attualità le suggestive parole di HAZARD, La crisi della coscienza europea,
Torino, 1946, pp. 481-487, le quali segnalano la natura problematica e, per così dire, senza fine del processo
identitario dell’Europa e insieme la complessità della sua storia e del suo percorso di autocomprensione e
suggeriscono al lettore contemporaneo l’idea che alla vicenda che si descrive in queste pagine e che mette
nuovamente in discussione la costruzione dell’Europa attraverso una leale collaborazione sussidiaria delle Sue
Corti si accompagni l’avvio di una nuova fase nella quale alla predominanza della tessitura di un ordito che
unisce le maglie dell’appartenenza e dell’integrazione si sostituisca il predominio di rivendicazioni sovrane
nazionali fatalmente destinate a produrre (magari in forma di asimmetrie) una rinnovata alternanza di dinamiche
integrative e dis-integrative che appartiene in fondo al DNA dei processi identitari europei: “Che cos’è l’Europa?
Un pensiero sempre insoddisfatto. Senza pietà per se medesima, essa non cessa mai di cercare la felicità e, cosa
ancor più indispensabile e preziosa, la verità. Appena trovi una condizione che sembra soddisfi a tale duplice
esigenza, essa si accorge, sa di tenere pur sempre, e in maniera incerta, soltanto il provvisorio, il relativo; e
riprende la ricerca che costituisce la sua gloria e il suo tormento. [...] in Europa si disfa durante la notte la tela
che il giorno ha tessuta; si provano altri fili, si ordiscono altre trame, e ogni mattino risuona lo strepito degli
opifici che fabbricano, trepidando, qualcosa di nuovo.”
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stati membri, che trovano una problematica codificazione nella formula del primato del diritto
europeo7 – nel suo rapporto con la teoria dei controlimiti, significativamente formulata, in
risposta a quella del primato, in una certa continuità dalla Corte costituzionale tedesca8 e da
quella italiana9 quasi come una (contra)apposizione di confini...
Il risultato è che, come autorevolmente rilevato in giurisprudenza, questa delimitazione
porterebbe a distinguere tra primazia del diritto dell’Unione e supremazia delle Costituzioni
nazionali10, in quel “dialogo” tra Corti11 la cui difficoltà e potenziale conflittualità è da ritenere
strutturale e per ciò stesso in gran parte inevitabile nell’attuale configurazione del processo di
7 Il principio della preminenza significativamente incluso nel Trattato costituzionale è ora espresso nella
dichiarazione 17 allegata al trattato, nella quale si sottolinea: «per giurisprudenza costante della Corte di giustizia
dell’Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli
Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza». Inoltre, la conferenza ha deciso di
allegare all’atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato del 22 giugno 2007, riportato nel
documento 11197/07 (JUR 260): «Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del
diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è
insito nella natura specifica della Comunità europea. All’epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza
consolidata [Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/641: “(...) discende che, scaturito da una fonte
autonoma, il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite
in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso
il fondamento giuridico della stessa comunità”] non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La
situazione è a tutt’oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato
non altera in alcun modo l’esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia». 8 Si vedano particolarmente le sentenze 29 maggio 1974, “Solange I”, e 22 ottobre 1986, “Solange II”, nonché,
ovviamente, la sentenza Maastricht, nella quale particolarmente si legge che il Tribunale costituzionale federale
assicura, nell’esercizio delle sue competenze, che una protezione effettiva dei diritti fondamentali per gli abitanti
della Germania «sia garantita generalmente anche nei confronti del potere sovrano delle Comunità e che tale
protezione sia sostanzialmente eguale (im wesentlichen gleich) a quella prescritta come inderogabile dalla Legge
fondamentale, e che quindi sia tutelato almeno il contenuto essenziale dei diritti medesimi. Il Tribunale costituzionale
federale garantisce questo contenuto essenziale anche nei confronti del potere sovrano della Comunità». Ma poi si
veda anche la pronuncia 7 giugno 2000 sull’organizzazione europea del mercato delle banane. 9 A cominciare dalla sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 1984, n. 170, Granital, in Giurisprudenza
costituzionale, 1984, p. 1098 ss.. Sulla dottrina dei controlimiti, ex multis e per una originale prospettiva di tipo
positivo e non negativo, si veda RINOLDI, L’ordine pubblico europeo, Napoli 2005, capitolo conclusivo;
CELOTTO, Le “modalità di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme interne: spunti ricostruttivi, in
RIDPC, 1999, p. 1473 ss.. 10 Secondo quanto propone il Tribunale costituzionale spagnolo nella dichiarazione n. 1/2004 del 13 dicembre
2004, relativa alla costituzionalità del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa. 11 Nella sentenza Maastricht, dopo avere affermato che sarebbe stato garantito il contenuto essenziale dei diritti
fondamentali in conformità alla Legge fondamentale anche nei confronti del potere sovrano della Comunità, la
Corte precisa d’altra parte che il «Tribunale esercita tuttavia la sua giurisdizione sull’applicabilità in Germania del
diritto comunitario derivato nel quadro di un «rapporto di cooperazione» con la Corte di giustizia europea: in virtù
di tale rapporto questa Corte garantisce la tutela dei diritti fondamentali in ogni caso concreto per l’intero territorio
delle Comunità europee, mentre il Tribunale costituzionale federale può limitarsi ad assicurare una generale
garanzia degli standards inderogabili dei diritti fondamentali (cfr. BverfGE 73, 339 (387)», in ANZON, LUTHER, Il
Trattato di Maastricht e l’ordinamento tedesco nella sentenza 12 ottobre 1993 del Tribunale costituzionale federale,
trad. it. della sentenza e note esplicative, in GCost, 1994, p. 677 ss., particolarmente p. 683.
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integrazione giuridica degli ordinamenti nazionali nell’ordinamento europeo12. In questo senso,
per quanto sia l’ordinamento europeo che gli ordinamenti nazionali, e le rispettive Corti, siano
chiamati a garantire la diversità da cui trae origine il processo di integrazione, garantendone
attraverso percorsi improntati a sussidiarietà l’Unità, il modus operandi della Corte di giustizia
risulta infatti essenzialmente diverso rispetto a quello delle Corti nazionali13.
12 Non si può dunque che concordare con quanto osserva a tale riguardo PARISI, Considerazioni sulla natura
giuridica dell’Unione europea alla luce dei rapporti fra Stati membri e fra questi e l’Organizzazione, op. cit., p.
27: «La questione è assai delicata, essendo questo l’unico importante punto di dissidio fra Corte di giustizia e
Corti costituzionali nazionali. Appare, infatti, evidente che per la prima il limite che incontra l’effettività del
diritto dell’Unione e della Comunità entro gli ordinamenti interni è un limite tutto interno all’ordinamento
europeo, voluto sì dalla norma convenzionale che garantisce l’intangibilità dell’identità di ciascuno Stato
membro, ma ricavabile tramite la lettura che di essi dà la Corte di giustizia stessa (corsivo nostro). La prassi
insegna che la Corte si fa carico di proteggere i principi propri dell’ordinamento costituzionale di ciascuno Stato
membro; ma, nell’ispirarsi ai principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri per trarre da essi l’esistenza di
un principio generale del proprio ordinamento, essa lavora con grande libertà soprattutto in relazione
all’individuazione degli ordinamenti nazionali che rilevano nel caso di specie, nonché alla scelta di quali
elementi dei principi comuni agli Stati membri valorizzare: la Corte, infatti, rielabora tali principi alla luce delle
esigenze dell’ordinamento dell’Unione. Viceversa le Corti nazionali “leggono” i controlimiti come riempiti da
valori tutti interni al proprio ordinamento, senza far giocare, insieme ai propri principi fondamentali, anche quelli
degli ordinamenti di altri Stati membri. Le due prospettive, come si comprende, sono radicalmente insanabili». 13 In tal senso, la pronuncia sul caso Mangold è un esempio paradigmatico che nell’Europa delle Corti la prima è
logicamente chiamata ad operare un’astrazione creativa pronta al sacrificio dell’unità (quasi) monolitica di ogni
singola identità nazionale, nella valorizzazione, che è strumentale alla creazione di un principio generale del
proprio ordinamento, di un minimo multiplo che può non appartenere a ciascuno degli ordinamenti nazionali, e
che talvolta è solo di quelli (magari pochissimi) cui essa ha volto lo sguardo proprio in funzione della possibilità
di rinvenirvi (rectius: attribuire) un fondamento “comune” al principio che intende affermare e codificare
nell’ordinamento europeo. A richiamare esemplificativamente la teoria matematica degli insiemi, possiamo
allora dire che in tale modo la Corte di giustizia si giova di una applicazione (la più estensiva possibile) del
mutuo riconoscimento che deve essere di ogni ordinamento per gli altri onde valorizzare la ricerca di un valore
ulteriore della propria identità europea rispetto a quello della (mera) Unità degli insiemi intesa e rappresentata
(anche graficamente) come (solo) insieme di intersezione degli stessi singoli insiemi nazionali – e dunque degli
ordinamenti politici e dei principi e valori giuridico-costituzionali che li compongono. Le Corti costituzionali
nazionali, invece, operano di volta in volta con il prevalente obiettivo di tradurre l’identità irrinunciabile
dell’ordinamento giuridico, del quale sono garanti, in dei (contro)limiti, senza avere alcun riguardo agli altri
ordinamenti, che pure riconoscono nella comune appartenenza alla Unione europea, e ai loro diversi principi.
Tale atteggiamento risponde d’altronde ad un criterio logico, dal momento che ciascuna Corte costituzionale
nazionale muove appunto, e al contrario, da una istanza di difesa del particolare, dall’esigenza di pretendere che
gli elementi essenziali del proprio insieme non siano disconosciuti o altrimenti interpretati e comunque
sacrificati in funzione della individuazione (per via giurisprudenziale) del nucleo identitario politico e giuridico-
costituzionale materiale dell’Europa; e quindi tendenzialmente pretendendo ad un tempo che per parte sua la
Corte di giustizia si limiti a formare l’insieme dei suoi principi generali con una operazione essenzialmente di
“ratifica” e astrazione notarile del solo massimo comune denominatore in relazione all’insieme degli ordinamenti
nazionali. Non si può dunque che concordare con quanto osserva a tale riguardo PARISI, Considerazioni sulla
natura giuridica dell’Unione europea alla luce dei rapporti fra Stati membri e fra questi e l’Organizzazione, cit.,
p. 27: «La questione è assai delicata, essendo questo l’unico importante punto di dissidio fra Corte di giustizia e
Corti costituzionali nazionali. Appare, infatti, evidente che per la prima il limite che incontra l’effettività del
diritto dell’Unione e della Comunità entro gli ordinamenti interni è un limite tutto interno all’ordinamento
europeo, voluto sì dalla norma convenzionale che garantisce l’intangibilità dell’identità di ciascuno Stato
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Nel caso della sentenza della Corte costituzionale ceca sul caso Holubec, però, a differenza
di quanto avvenuto (per tutti e da ultimo) a Karlsruhe nel caso Mangold14, il dubbio sulla
persistenza e comunque efficacia di quell’accordo nasce da una vicenda che vede in primo piano
il comportamento (se non altro...) almeno formalmente irrituale posto in essere da una Corte
costituzionale nazionale (appunto quella ceca) ad onta di ogni tradizionale self restraint e
nonostante che il comportamento medesimo preludesse addirittura alla adozione della sanzione
più grave “teorizzata” dal Tribunale costituzionale tedesco avverso le pronunce della Corte di
Giustizia15, vale a dire la dichiarazione della natura ultra vires di una sua pronuncia – nella
specie quella sul caso Landtovà16. Il comportamento della Corte di Brno, pur da inquadrare a
membro, ma ricavabile tramite la lettura che di essi dà la Corte di giustizia stessa (corsivo nostro). La prassi
insegna che la Corte si fa carico di proteggere i principi propri dell’ordinamento costituzionale di ciascuno Stato
membro; ma, nell’ispirarsi ai principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri per trarre da essi l’esistenza di
un principio generale del proprio ordinamento, essa lavora con grande libertà soprattutto in relazione
all’individuazione degli ordinamenti nazionali che rilevano nel caso di specie, nonché alla scelta di quali
elementi dei principi comuni agli Stati membri valorizzare: la Corte, infatti, rielabora tali principi alla luce delle
esigenze dell’ordinamento dell’Unione. Viceversa le Corti nazionali “leggono” i controlimiti come riempiti da
valori tutti interni al proprio ordinamento, senza far giocare, insieme ai propri principi fondamentali, anche quelli
degli ordinamenti di altri Stati membri. Le due prospettive, come si comprende, sono radicalmente insanabili.». 14 L’appello già richiamato supra (alla nota 3) sottolineava come la Corte di Giustizia giustificasse la decisione
con un ragionamento piuttosto avventuroso fondato sulla individuazione di un “principio generale di diritto
comunitario”, che tuttavia era rinvenibile solo in due degli (allora 25) Stati membri, vale a dire negli ordinamenti
della Finlandia e del Portogallo. Senza addentrarci che in forma assolutamente sintetica nella questione, si può
ricordare che il Supremo organo di giustizia europeo aveva rilevato che nelle “tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri” e in diversi “trattati internazionali” esiste un divieto di discriminazione legato all’età sicché
l’ordinamento tedesco si poneva in conflitto con questo “principio generale del diritto comunitario” e non con la
direttiva anti-discriminazione (fra l’altro non ancora attuata) – cioè con una norma dell’ordinamento
comunitario. Ora, il principale oggetto di contestazione della dottrina richiamata è proprio il ragionamento
deduttivo che la Corte implicitamente compie per individuare gli ordinamenti nazionali rilevanti nel caso di
specie ed estrarre un “principio generale di diritto comunitario”, dal momento che un tale principio… «è
inesistente. Infatti solo in due dei 25 Stati membri – Finlandia e Portogallo – esiste un divieto costituzionale di
discriminazione a causa dell’età». E ne deduce – rilevando che manca altresì alcun trattato di diritto
internazionale che faccia riferimento ad un tale divieto, al contrario di quanto afferma la Corte – che «con questa
costruzione tirata dal cilindro, la Corte europea di Giustizia, non ha agito come espressione di potere giudiziario
ma piuttosto come potere legislativo, ossia come un autentico legislatore». 15 Non a caso a commento della decisione della Corte costituzionale ceca, Robert ZBÍRAL scrive: «The
annulment of an EU act by a Member State’s constitutional court because of ultra vires conduct of EU
institutions might be compared to the yeti. Everybody has spoken of it, numerous respectable experts have
exchanged their views on its form and classification, but so far no relevant authority has confirmed its
existence», individuando contestualmente una delle più probabili ragioni nella particolare relazione esistente tra
la Corte di Giustizia e le Corti costituzionali nazionali, quale definita icasticamente dalla famosa analogia di
WEILER, The Constitution of Europe: “Do the new clothes have an emperor?” and other essays on European
integration, il quale la compara alla dottrina della mutua distruzione applicata nel periodo della Guerra fredda, in
ZBÍRAL, A legal revolution or negligible episode? Court of Justice decision proclaimed ultra vires, in CMLR,
2012, 49, p. 1. 16 La sentenza della Corte costituzionale ceca in questione, 2012/01/31 – PL ÚS 5/12, che nella versione
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onor del vero, e per intenderne i reali e diretti obbiettivi, all’interno di una saga infinita che la
vede contrapporsi sul tema delle cosiddette pensioni slovacche alla Corte amministrativa
suprema e alle stesse istituzioni governative, appare infatti privo di ogni sostanziale ispirazione a
leale collaborazione e rispetto del ruolo della Corte di Giustizia17. Sicché ad essere rimessa in
discussione in definitiva è forse la stessa possibilità di riconoscere indistintamente la qualità di
gentlemen a tutti gli attori (Corti nazionali costituzionali e non) partecipanti a quell’accordo
nell’Unione allargata a 27. E d’altra parte, proprio a seguito della lettura che la Corte
costituzionale ceca ritiene di dare della propria giurisprudenza pregressa in tema di relazione tra
giurisdizione costituzionale nazionale ed europea nella sentenza sulle pensioni slovacche del 31
gennaio scorso, e soprattutto dell’idea che vi si rinviene di una continuità delle proprie decisioni
con quelle della giurisprudenza costituzionale tedesca, sembra opportuno compiere un
accostamento del nuovo istituto della Europarechtsfreundlichkeit, che quest’ultima ha creato
quale più alto e autentico punto d’equilibrio della pronuncia Lissabon, e specificato nella
successiva pronuncia sul caso Honeywell18, alla nuova lettura del principio di Euro-conformità...
attenuata che ispira la pronuncia della Corte di Brno. Per verificare se la capacità dell’attitudine
amichevole della Germania verso il diritto europeo (Europarechtsfreundlichkeit) di irrorare e
giustificare ogni controllo sugli atti europei (identity review e ultra vires review), sancita tra
l’altro concretamente nella subordinazione alle condizioni alle quali è sottoposto l’operare degli
stessi alla luce del principio di leale collaborazione e in nome di una permanente convivenza
dialettica tra primato del diritto europeo e primazia delle diverse identità costituzionali nazionali,
non risulti distorta del tutto dalle lenti che il Custode della costituzione ceca inforca per
controllare a sua volta se la pronuncia della Corte di giustizia sia in linea con il principio di
attribuzione dei poteri o invece sia atto ultra vires. E se perciò la miopia che ha condizionato il
integrale in lingua inglese può essere letta all’indirizzo http://www.concourt.cz/tisk/6415, pronuncia sulle
medesime questioni ma trae spunto dal ricorso di un altro cittadino ceco, il sig. Karel Holubec, finendo per
dichiarare la natura ultra vires della sentenza della Corte di Giustizia sul caso C-399/09, Landtovà, 22 giugno
2011, quest’ultima reperibile nella versione in italiano all’indirizzo web http://eur-
lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0399:IT:HTML e in quella inglese all’indirizzo
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0399:EN:HTML. 17 Né, peraltro, a rigor di logica, a quella guerra letteralmente senza confini può a tutt’oggi essere messa
definitivamente la parola fine. Intorno alla metà dello scorso mese di maggio, infatti, la Corte amministrativa
suprema della Repubblica ceca ha rivolto una nuova questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia in
riferimento ad un nuovo caso relativo alle pensioni slovacche: Ads 18/2012, Supreme Administrative Court, 9
May 2012. 18 Oltre ogni ragionevole dubbio che la lettura della sentenza Lisbona aveva potuto generare in dottrina.
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visus della Corte di Brno nell’avvistamento di nuovi confini per i controlimiti, dei quali essa è
custode, non indebolisca ad un tempo, nell’illusoria speranza di avere ri-affermato la propria
competenza di organo al vertice dell’ordinamento giuridico (costituzionale) e insieme una certa
idea di sovranità nazionale19, le rinnovate fondamenta teorico-pratiche con le quali il grande
sforzo del Tribunale di Karlsruhe era sembrato riuscire a consolidare l’identità del Vecchio
continente come “Europa delle Corti”. E per questa via rivitalizzi l’idea che magari proprio dalle
nuove frontiere allargate dell’Unione si possa aprire la breccia per un nuovo paradigma
costituzionale fondato sull’idea dell’asimmetria e capace di stravolgere l’idea del primato
dell’Unione sino a mettere in pericolo l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione 20.
2. Il sì Europarechtsfreundlichkeit della Corte tedesca nelle sentenze
Lisbona e Honeywell
Nella direzione da ultimo prospettata, ogni ipotesi più o meno implicita di revisione
dell’accordo tra gentiluomini fra Corte di giustizia e Corti europee passa dunque attraverso
nuove forme di rivendicazione di controllo da parte degli organi supremi custodi delle
costituzioni nazionali sull’esercizio delle competenze attribuite alla prima. È come noto ciò che
il Tribunale di Karlsruhe era sembrato fare proprio nella sentenza Lisbona, avocando a sé quel
19 Si veda KRASNER, Sovereignty: organised hypocrity, Princeton 1999, il quale prevede quattro accezioni della
sovranità statale, che individuano altrettante dimensioni del potere sovrano unitario dello stato: sovranità
internazionale legale, caratterizzata dal mutuo riconoscimento di indipendenza degli stati; sovranità di Westfalia,
contraddistinta dall’esclusione dell’influenza di attori esterni negli affari interni di uno stato; sovranità
domestica, consistente nella organizzazione dell’autorità politica all’interno del territorio; sovranità
interdipendente, quale capacità di regolare tutti i flussi transfrontalieri. Emerge chiaramente un dato
fondamentale: il modello di sovranità esclusiva, quale si sostanzia nella compresenza di queste varianti della
sovranità, è di assai problematica individuazione nella storia. La sovranità secondo Westfalia e la sovranità
internazionale legale in particolare hanno subito violazioni tanto crude (invasioni) che più sottili (per esempio
proprio l’imposizione del rispetto di certi standards, come avviene per il regime dei diritti umani, per il
riconoscimento della propria statualità nella comunità internazionale); ragione per cui di sovranità deve parlarsi,
come denuncia lo stesso sottotitolo del lavoro di Krasner, come di una ipocrisia organizzata. 20 Come già nel commentare l’Europa disegnata dalla sentenza del Tribunale di Karlsruhe sul Trattato di Lisbona
alcune letture in dottrina avevano ipotizzato essere accaduto. Sul tema dell’asimmetria: CANTARO, Il
costituzionalismo asimmetrico dell’Unione, Torino 2010; LÒPEZ PINA- MICCÙ, La cooperazione rafforzata come
forma europea di governo. Verso un diritto costituzionale asimmetrico?, in Dir. e cult., 2003, pp. 1-2, 403-417;
KOWALSKY, Comment on Daniel Thym – United in diversity or diversified in the Union?, in DANN- RYNKOWSKI,
The unity of european Constitution, Berlino, 2006, pp. 377-381; THYM, “United in Diversity” – The integration
of enhanced cooperation into the european constitutional order, in DANN- RYNKOWSKI, op. cit., pp. 357-375 e
ROLLA, Lo sviluppo del regionalismo asimmetrico e il principio di autonomia nei nuovi sistemi costituzionali: un
approccio di diritto comparato, in Quaderni reg., 2007, pp. 387-399.
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controllo sugli atti ultra vires21 insieme al controllo sull’identità onde garantire il permanente
equilibrio tra primazia del diritto dell’Unione e supremazia delle Costituzioni nazionali22.
In uno scritto introduttivo della vicenda processuale del giudizio del Tribunale
costituzionale federale sulla ratifica tedesca del Trattato di Lisbona23 e più compiutamente in
altro scritto sull’identità europea a proposito della medesima pronuncia24, avevo segnalato che
la gran parte delle letture della sentenza Lisbona proposte dalla dottrina italiana avevano al
riguardo evidenziato quasi esclusivamente l’affermazione che all’interno della giurisdizione
tedesca la responsabilità per l’integrazione nell’esercizio delle competenze dell’Unione europea
e la garanzia dell’identità costituzionale della Legge fondamentale nell’ambito di un controllo di
identità doveva essere giustiziabile. Nessun rilievo venne invece generalmente dato ad alcuni
elementi (assunti tuttavia a loro giustificazione e presupposto e che caratterizzano
sostanzialmente quei poteri)25 che avevo ritenuto invece in grado di rappresentare la principale
chiave di lettura per “ricalibrare” e comprendere compiutamente l’intera sentenza26. Lungi dal
21 In ordine al controllo ultra vires, peraltro, la posizione del Tribunale costituzionale federale tedesco era già
stata espressa nella sentenza Maastricht, laddove esso aveva affermato che qualora «le istituzioni o gli organi
europei applicassero o sviluppassero la normativa pattizia in modo non più conforme al Trattato oggetto della
legge tedesca di autorizzazione, i relativi atti non sarebbero vincolanti nella sfera di sovranità tedesca. Agli
organi dello Stato tedesco sarebbe costituzionalmente precluso di dare attuazione a tali atti in Germania»
deducendone conclusivamente un obbligo a proprio carico nel senso che la Corte costituzionale tedesca
«controlla perciò se gli atti delle istituzioni e degli organi europei rispettino o superino i limiti dei poteri sovrani
a questi devoluti», in ANZON, LUTHER, Il Trattato di Maastricht e l’ordinamento tedesco nella sentenza 12
ottobre 1993 del Tribunale costituzionale federale, op. cit., p. 693. 22 In questo senso, anzi, c’è chi ha sostenuto che il Tribunale costituzionale tedesco ha qui formulato un implicito
invito a rivedere i termini del leale dialogo ed accordo tra gentiluomini nell’Unione allargata a ventisette e una
rivendicazione della propria centralità di interprete e custode della Legge fondamentale, e con essa non solo della
forma di governo ma anche della stessa forma dello Stato, anche allo scopo di rispondere all’appello di fermare
la Corte di giustizia lanciato all’interno del dibattito giuspubblicistico tedesco. 23 ASERO, A proposito della sentenza Lisbona del Tribunale federale tedesco: introduzione alla vicenda
processuale, in I Quaderni europei, Luglio 2010, n. 21, in http://www.lex.unict.it/cde/quadernieuropei, p. 10 ss.. 24 ASERO, Alcune note sull’identità europea a proposito della sentenza del BVG sulla ratifica del Trattato di
Lisbona da parte della Germania. L’Unione di Lisbona alla “Corte” della Germania: ancora una notte per la
tela di Penelope europea?, in I Quaderni europei, op. loc. ult. cit., p. 49 ss.. 25 Si veda il p.to 240 della motivazione, rispetto alla cui interpretazione mi consta facesse eccezione solo A. ANZON,
Principio democratico e controllo di costituzionalità sull’integrazione europea nella “sentenza Lissabon” del
Tribunale costituzionale federale tedesco, in Giur. cost., 2009, pp. 5213-5250, la quale, in particolare osservava
come il controllo rivendicato dal Bundesverfassungsgericht anche in ultima istanza non costituisse un’assoluta
novità rispetto alle sentenze Solange II e Maastricht e si presentasse meno dirompente di quanto paventassero i suoi
critici, oltre che meno facilmente azionabile di quanto sembrassero ritenere i suoi propugnatori. 26 In questo senso, mi sia consentito rinviare a ASERO, A proposito della sentenza Lisbona, cit., p. 24, dove in
particolare affermavo che all’interno della ordinaria dialettica tra ordinamento tedesco ed ordinamento europeo,
invece, la regola era icasticamente descritta con l’espressione della Europarechtsfreundlichkeit, formula che la
Corte sceglieva a sintetizzare il valore della scelta costituzionale tedesca di costruire il destino comune
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servire esclusivamente più sottili logiche politiche di rivendicazioni di ruolo e di poteri27
dell’organo tedesco di controllo della costituzionalità, l’identity review e l’ultra vires review
avrebbero potuto avere corso solo quale manifestazione di conformità al principio del favore per
il diritto europeo (individuato attraverso l’introduzione del corrispondente e assai pregnante
neologismo di Europarechtsfreundlichkeit) e in tale direzione solo alle due condizioni che si
fossero riscontrati evidenti sconfinamenti e che non fosse stata conseguibile una tutela
giurisdizionale a livello dell’Unione, evidentemente, presumevo, anzitutto ai sensi dell’art. 263
TUE. Sicché, il Bundesverfassungsgericht avrebbe controllato se gli atti degli organi e delle
istituzioni europee si mantenessero nei limiti dei diritti di supremazia conferiti tramite
attribuzione specifica limitata, rispettando il principio di sussidiarietà del diritto della Comunità
e dell’Unione, solo quando avesse avuto la certezza di trovarsi nella impossibilità di ricevere
quella tutela. Esso avrebbe verificato inoltre se fosse salvaguardato il nucleo sostanziale
intangibile dell’identità costituzionale, competenza che la Corte si affrettava a radicare essa
stessa nel diritto costituzionale ma il cui esercizio era obbligato nella medesima direzione del
principio del favore per il diritto europeo – e per ciò stesso non si sarebbe posta in contrasto con
il principio della leale collaborazione (art. 4, n. 3, TUE-Lisbona)28, quale inteso in un
ordinamento federale come quello tedesco, all’interno del quale è già ben consolidato il principio
dell’Europa che vincola i poteri e organi costituiti e che rappresentava probabilmente una delle direttrici sinora
meno indagate della sentenza Lisbona. 27 Secondo tesi che evidentemente riscrivevano interamente il senso e gli orizzonti del processo di integrazione
politica e giuridica dell’Europa e per le quali si veda VECCHIO, Competenza e gerarchia nella sentenza Lisbona
del Tribunale federale tedesco: verso un diritto costituzionale asimmetrico?, ed ivi la ampia bibliografia citata, in
I Quaderni europei, Luglio 2010, n. 21, p. 93 ss.. 28 In questo senso, la stessa Corte considerava assai significativamente al punto 340 della motivazione della
sentenza Lisbona, e in relazione al discorso sull’inserimento della Germania in quella comunità giuridica di Stati
liberi e pacifici che è l’Unione, che esistono connessioni tra ordini politici che non si articolano in forme
rigidamente gerarchiche, almeno, sottolineava prudentemente il Tribunale di Karlsruhe, se si intenda farne un
uso costruttivo. Sicché il fatto che essa volesse mantenere l’ultima parola della Costituzione tedesca, che è diritto
di un popolo di decidere in modo costitutivo sulle questioni fondamentali della propria identità, e dunque la
stessa possibilità che il legislatore non osservi norme di Trattati internazionali (assumendosi le rispettive
conseguenze nelle relazioni internazionali) non contrasta con l’obiettivo del favore per il diritto internazionale se
solo così si pone rimedio ad una violazione dei principi fondamentali della Costituzione. Solo che si deve
trattare di casi eccezionali e condizioni particolari e strette, come nel caso Kadi, richiamato a testimonianza del
fatto che la stessa Corte di giustizia europea vi ha argomentato analogamente. Una eventuale pronuncia del
Tribunale di Karlsruhe di inapplicabilità in Germania di norme di diritto dell’Unione a queste condizioni non
presenta allora alcuna contraddizione con l’obbiettivo del favore per il diritto europeo, vale a dire con la
partecipazione della Germania alla realizzazione dell’Europa unità, secondo le prescrizioni del Preambolo e
dell’art. 23, n. 1, comma 1, della Legge fondamentale.
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costituzionale della Bundestreue29 o, per l’appunto, di lealtà federale e leale collaborazione
(positivizzato nell’ordinamento europeo nella disposizione dell’art. 4, n. 3, TUE).
Era insomma già allora una Corte che non manifestava affatto l’intenzione di andare oltre
la forma e la sostanza della lettera dei Trattati30. Tanto che sembrava ancora una volta, al di là
dell’imprevedibilità delle dinamiche politiche degli sviluppi futuri del processo di integrazione
europea, e a richiamare un proverbiale detto in cui si manifesta la saggezza popolare, che can
che abbaiava non intendesse mordere ...31 E si pensi infine, per concludere sul punto, che la
29 Principio la cui prima formulazione risale a SMEND, Unterschriebenes Verfassungsrecht in monarchischen, in ID.,
Staatrechtliche Abhandlungen, Berlino 1968, p. 39 ss., saggio dedicato al diritto costituzionale non scritto nello
Stato federale monarchico. In analoga direzione, LUTHER, Il trattato di Lisbona trattato a Karlsruhe: just law in the
books?, in AA.VV., Relazioni ed interventi al seminario di Astrid su “La sentenza del Bundesverfassungsgericht
sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione europea”, Roma 21
settembre 2009, disponibile sul sito http://www.astrid-online.it/Riforma-de/Documenti/Corte-cost/La-
sentenz/Relazioni_Seminario-BVG_21_09_09.pdf, p. 111, il quale osserva dapprima che «a qualcuno diffidente
potrebbe suonare nell’orecchio come “amici come prima” e a qualcun altro cinico come “freundlich, aber
unverbindlich”, “amichevole, ma senza vincolo”», ma poi prosegue osservando altresì che «per evitare le diffidenze
e i cinismi, meglio intendere l’amicizia come un dovere non meramente etico, ma, in senso giuridico, come dovere
di essere favorevoli allo sviluppo dell’integrazione nei limiti, solo eccezionali, che pone a tutti il nostro dovere di
garantire l’identità costituzionale, di essere civilmente e costituzionalmente insieme europei e tedeschi, italiani,
francesi ecc. ... »; e infine conclude: «Non so se questa sia l’intenzione del giudice costituzionale, ma non vi è
dubbio che il concetto di Europarechtsfreundlichkeit può essere più costruttivo della conservazione terminologica
di quello di Staatenverbund messo in prima vista nella vetrina delle massime», invitando altresì a non dimenticare
«la lezione di Smend secondo cui esiste anche una Bundesfreundlichkeit nel diritto costituzionale tedesco, qualcosa
di sostanziale e non falsamente formale, di costituzionalmente più elaborato rispetto all’antica lealtà federale». Lo
stesso A., osserva che «Il nuovo termine Europarechtsfreundlichkeit è un neologismo che sembra derivato dalla
terminologia giusinternazionalista della “Völkerrechtsfreundlichkeit” (cfr. BLECKMANN, Der Grundsatz der
Völkerrechtsfreundlichkeit in der deutschen Rechtsordnung, in DÖV, 1996, p. 137 ss.) nella quale riecheggia
l’elemento della “gentilezza”. Potrebbe avere radici anche nel principio giuspubblicistico della
“Bundesfreundlichkeit”, rielaborazione smendiana del concetto della “Bundestreue” (cfr. BAUER, Die Bundestreue,
Tübingen, 1992, p. 139) a cui si ricollega il principio della “leale collaborazione”. Viene tradotto nella traduzione
semiufficiale inglese come “openness”, cioè “apertura”, verso il diritto comunitario. “Apertura” tuttavia è
ritraducibile con “Offenheit” e termine utilizzato nella produzione scientifica del giudice relatore Di Fabio. Essendo
la versione più letterale “amichevolezza/amicabilità” riferibile invece a persone e ritraducibile piuttosto come
“Freundschaftlichkeit”, si preferisce il termine più generico di “favore” inteso come preferenza applicativa», in ID.,
Traduzione della sentenza del Bundesverfassungsgericht, secondo senato, del 30 giugno 2009, sul Trattato di
Lisbona, in www.associazionedeicostituzionalisti.it/giurisprudenza/cortistraniere1/tedesca/KarlsruheLisbona.pdf. 30 In direzione analoga, ANZON, Principio democratico, cit., pp. 5213-5250, la quale rileva che: «in questo
quadro, la rivendicazione del Bundesverfassungsgericht si può leggere piuttosto che come espressione di
propositi bellicosi, come manifestazione dell’intenzione dello stesso Tribunale di assumere un ruolo meno
passivo ed estraneo rispetto al processo di integrazione, un implicito invito agli organi e istituzioni dell’Unione a
prestare maggiore attenzione ai confini delle proprie competenze e – al pari che per la tutela dei diritti
fondamentali – un tacito appello alla Corte di Giustizia ad esercitare una maggiore riflessione e ponderatezza in
tema di rapporti tra diritto europeo e diritti nazionali e all’esercizio del self-restraint necessario a rispettare e far
rispettare il quadro delle competenze ragionevolmente riconducibili al Trattato secondo i criteri di
interpretazione comuni nella tradizione costituzionale degli Stati membri». 31 Osserva ANZON, Principio democratico e controllo di costituzionalità, op. ult. cit., che un ridimensionamento
della portata del problema può trarsi dalla considerazione della giurisprudenza del Tribunale che evidenzia un
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interrelazione tra ultra vires review e identity review ulteriormente sottolineava la necessità di
un continuo dialogo tra Corti, quale evidenziato dal fatto che un atto che leda l’identità
costituzionale della Legge fondamentale tedesca, e con essa lo stesso art. 4, n. 2, TUE, non può
non essere insieme un evidente sconfinamento nell’esercizio delle competenze europee (come il
minore nel maggiore), che in quanto tale può trovare tutela giurisdizionale a livello dell’Unione.
Vale a dire proprio presso la Corte di giustizia, la tutela giurisdizionale della quale esclude,
secondo quanto affermato dallo stesso Tribunale costituzionale tedesco, la possibilità-necessità
di un analogo giudizio del Bundesverfassungsgericht32.
Due soli ordini di problemi mi erano sembrati rimanere aperti nella sentenza Lisbona33: la
soglia dell’evidenza degli sconfinamenti oltre la quale in concreto si doveva ritenere azionabile
la competenza della Corte costituzionale di accertare l’inapplicabilità degli atti di istituzioni ed
organi europei nell’ordinamento tedesco e il presupposto dell’impossibilità di ricevere tutela
giurisdizionale da parte dell’Unione – presupposto in ordine al quale avevo ritenuto peraltro
atteggiamento di prudenza dello stesso rispetto al diritto europeo e ai dicta della Corte, come attestano «innanzi
tutto la ricordata sospensione del (o rinuncia condizionata al) proprio controllo sugli atti comunitari per il
rispetto dei diritti fondamentali a favore della stessa Corte, proclamata con la sentenza “Solange II” del 1986 e
sempre confermata. Un segnale nella stessa direzione proviene poi da alcune importanti decisioni adottate dopo
la prima (e già per alcuni allarmante) rivendicazione di un controllo sugli atti ultra vires da parte della “sentenza
Maastricht”, le quali rassicurano sulla prudenza e sulla volontà del Bundesverfassungsgericht di evitare contrasti
con il Giudice europeo: mi riferisco in partic. alle pronunzie sull’organizzazione europea del mercato delle
banane e sul mandato d’arresto europeo. Insomma, si può plausibilmente ritenere che il Tribunale costituzionale
tedesco non abbia in programma di fare uso quotidiano del suo controllo, e che, eventualmente, lo riserverebbe a
casi estremi, o addirittura di scuola». Da una prospettiva diversa muove il c.d. Appello dei trenta giuristi (tra i
quali spiccano autori come PERNICE e MAYER, difensori della costituzionalità del trattato davanti alla Corte), in
www.whi-berlin.de, nel quale si chiede di introdurre con legge costituzionale l’obbligo di rinviare
pregiudizialmente alla Corte di giustizia l’atto europeo contestato e attenersi nell’ordinamento tedesco
all’interpretazione che questa ne dia. È evidente infatti trattarsi di una posizione che ritiene di indicare in tale
modo una via d’uscita a quell’impasse in cui si troverebbe il dibattito tedesco sul tema dell’opportunità di
contrastare la recente progressione della giurisprudenza europea della Corte di giustizia, il cui punto critico più
alto è nel già citato invito contenuto nell’articolo di HERZOG e GERKEN, nella direzione di una renovatio del
dialogo tra le due Corti, secondo gli auspici già formulati a Maastricht e poi nella giurisprudenza Solange I e II e
della pronuncia sull’organizzazione del mercato delle banane. 32 Confermando l’intrecciarsi continuo di ambiti funzionali e competenze reciproche in nome di una Unità che
non riduce (né potrebbe farlo nella attuale permanente signoria dei Trattati degli Stati membri) ma al contrario
valorizza la diversità della molteplicità di identità politiche e costituzionali nazionali quali espresse per ciascuna
nella unitarietà degli ordinamenti giuridici rispettivi. Senza, mi sembra, per ciò porre dunque, almeno sul piano
teorico, univoche premesse per una deriva del diritto europeo nella direzione di un nuovo paradigma
costituzionale a cui fondamento si ponga l’idea dell’asimmetria – quale può trovare supporto in una certa lettura
dei centomila volti della sussidiarietà che sia strumentale all’affermazione del livello di governo statuale tanto in
ordine ai rapporti con l’Unione che con gli enti esponenziali delle comunità politiche infra statuali (e dunque in
chiave funzionale, una volta in senso ascendente e l’altra in senso discendente). 33 ASERO, Alcune note, cit., pp. 78-79.
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verosimile che una prossima giurisprudenza costituzionale della Corte tedesca avrebbe potuto
dare chiarezza interpretativa34, magari proprio con l’attesa sentenza sul caso Honeywell.
Riprendendo il filo di quanto già affermato nella pronuncia Lisbona, con la pronuncia
sul caso Honeywell la Corte tedesca ha segnalato anzitutto che la vigenza del principio di
attribuzione comporta sia il riconoscimento del primato del diritto europeo, ormai previsto
nella stessa Dichiarazione n. 17 allegata al TUE; sia la competenza della Corte costituzionale
a sindacare gli atti di istituzioni ed organi europei per verificare se essi eccedano in modo
evidente le competenze attribuite o le esercitino in modo da ledere l’ambito intrasferibile
dell’identità costituzionale. Le novità della sentenza Honeywell cominciano invece con la
chiara esplicitazione della continuità e del coordinamento tra le supreme istanze
giurisdizionali dell’ordinamento europeo e dell’ordinamento nazionale (tedesco): il dovere
della Corte costituzionale federale di pronunciarsi sui motivi di ricorso inerenti il compimento
di atti ultra vires deve essere esercitato in modo coordinato con il compito convenzionalmente
rimesso alla Corte di giustizia di interpretare e applicare i Trattati, garantendo così
l’uniformità e la coerenza del diritto dell’Unione35. In altre parole, poiché la stessa Corte di
giustizia nasce dall’accordo degli Stati sulla struttura da dare all’ordinamento europeo; e
poiché le sue funzioni comportano una consapevole assunzione di responsabilità degli Stati
membri, che ne garantiscono la possibilità di esercizio rinunciando alla corrispondente
porzione di sovranità necessaria, ne consegue che ogni Stato membro non può arrogarsi il
diritto di pronunciarsi attraverso le proprie istanze giurisdizionali sulla validità degli atti
dell’Unione giacché così potrebbe praticamente vanificare il primato del diritto dell’Unione e
mettere in pericolo l’uniforme applicazione dello stesso. D’altra parte, neppure gli Stati
membri possono rinunciare al sindacato sugli atti ultra vires senza altrimenti rimettere il
controllo sul fondamento convenzionale del diritto dell’Unione agli organi della stessa
lasciando campo libero anche ad eventuali interpretazioni che conducessero ad una
sostanziale modifica dei Trattati o ad un’estensione delle competenze.
Quanto ai casi di evidente sconfinamento delle competenze, che la Corte sottolinea
34 Particolarmente in ordine all’interrogativo se la Corte costituzionale tedesca fosse obbligata ad effettuare il
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ovvero potesse giudicare a prescindere dall’avere proceduto ad
effettuare essa stessa un tale rinvio. 35 Così il punto 56 della motivazione.
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rappresentare casi limite oltretutto qualificati anche dalla rarità, si tratta della conseguenza
dell’assunto fondamentale della sentenza Lisbona: la soglia dello Stato federale non è stata
superata e gli Stati membri sono rimasti i padroni dei Trattati. Per tali eventualità in cui non c’è
una piena armonizzazione della prospettiva del diritto costituzionale e di quella del diritto
dell’Unione, la Corte prescrive però assai significativamente che le tensioni debbano essere
risolte con lo spirito di collaborazione che contraddistingue l’idea di integrazione europea e
disinnescate mediante un atteggiamento di reciproca attenzione36. Questo importa, per quanto
riguarda la Corte tedesca e a conferma di quanto già affermato nella sentenza Lisbona, che il
controllo sugli atti ultra vires può essere esercitato solo in modo (dunque è costituzionalmente
legittimo solo se esercitato in modo) amichevole nei confronti del diritto dell’Unione37. Qui la
Corte sceglie di chiarire ulteriormente la propria posizione in ordine all’orizzonte di significato
entro cui avrebbe dovuto collocarsi un esercizio Europarechtsfreundlichkeit della propria
competenza di controllo, chiarimento che si giustifica ed è stato per così dire indirettamente
sollecitato ulteriormente proprio dalla limitata comprensione del pur non oscuro disegno
abbozzato con la sentenza Lisbona. Dopo avere premesso che l’ordinamento della Repubblica
Federale di Germania riconosce e garantisce il primato di applicazione del diritto dell’Unione e
che pertanto l’esercizio del sindacato della Corte sugli atti ultra vires e sull’intangibile nucleo di
contenuto dell’identità costituzionale deve essere moderato ed amichevole nei confronti del
diritto dell’Unione38, nel paragrafo successivo essa precisa cosa ciò praticamente implichi, vale
a dire cosa voglia dire un esercizio moderato ed amichevole nei confronti del diritto dell’Unione
di tali propri poteri – solo così costituzionalmente legittimi. Ebbene: la Corte costituzionale ha il
dovere in linea di principio di considerare le decisioni della Corte di giustizia come
interpretazione vincolante del diritto dell’Unione. Per questa ragione, e superando così dicendo
un altro degli interrogativi che avevo ritenuto emergere dalla lettura del testo della sentenza sul
Trattato di Lisbona, si deve dare alla Corte di giustizia la possibilità di pronunciarsi
sull’interpretazione dei Trattati nonché (in attuazione del già richiamato presupposto circa la
impossibilità di conseguire una tutela giurisdizionale a livello dell’Unione, previsto nella
sentenza Lisbona per l’operare del controllo della Corte tedesca) sulla validità e
36 In questo senso il punto 57 della motivazione. 37 Secondo le affermazioni contenute nel punto 58 della sentenza. 38 Così il punto 59.
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sull’interpretazione dell’atto in questione prima di accertare il compimento di un atto ultra vires
da parte di istituzioni ed organi europei. In assenza di tali presupposti, precisa categoricamente
la Corte, essa stessa non potrà accertare l’inapplicabilità del diritto dell’Unione per la Germania.
L’altro interrogativo che avevo avuto modo di sollevare in ordine alla pronuncia
Lisbona atteneva la soglia dell’evidenza, che sola avrebbe potuto consentire alla Corte di
azionare la propria competenza di controllo. Ebbene, la sentenza Honeywell è stata
l’occasione per la Corte per specificare anche in questa direzione la propria actio finium
regundorum tra le Corti … La violazione del principio delle competenze attribuite è evidente
soltanto quando istituzioni e organi europei oltrepassino i confini delle proprie competenze in
un modo specificamente lesivo del principio delle competenze attribuite (ai sensi dell’art. 23,
n. 1, della Costituzione tedesca) o, in altre parole, quando l’infrazione delle competenze sia
sufficientemente qualificata (qui la Corte richiama la propria giurisprudenza sull’espressione
“sufficientemente qualificata” come elemento costitutivo del diritto dell’Unione in materia di
garanzia39). In definitiva, dunque, la violazione delle competenze deve essere evidente e l’atto
che la pone deve rivestire una notevole importanza sotto il profilo della ripartizione delle
competenze tra Stati ed Unione40, in considerazione del principio delle competenze attribuite
39 Sentenza 10 luglio 2003, in causa C-472/00 P, Fresh Marine, in Raccolta, p. I-7541, punto 26 s. Diversamente
argomenta il giudice Landau nella dissenting opinion riportata in calce alla decisione del Tribunale costituzionale
federale, in particolare al punto 95: «La maggioranza della sezione esagera i requisiti per l’accertamento di atti
ultra vires compiuti dagli organi comunitari e dell’Unione da parte della Corte costituzionale, distaccandosi così
senza validi motivi dalla sentenza della sezione in merito al Trattato di Lisbona». 40 Quanto alla decisione del ricorso promosso dalla società Honeywell, la Corte costituzionale tedesca
ricostruisce preliminarmente il quadro normativo e processuale nel quale si inserisce lo stesso. Essa ricorda in
particolare (punto 33) come la Corte federale tedesca del lavoro avesse stabilito con la sentenza del 26 aprile
2006 che la disposizione dell’art. 14, n. 3, comma 4 della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti a
tempo determinato fosse incompatibile con il diritto comunitario e pertanto non potesse essere applicata dai
tribunali nazionali. Tale conclusione era dedotta dalla decisione della Corte di giustizia sul caso Mangold, la
quale, nell’interpretare il diritto comunitario a seguito di rinvio pregiudiziale, l’aveva doppiamente motivata
riconoscendo nella disposizione ad essa sottoposta una violazione dell’obiettivo della direttiva 2000/78/CE e una
violazione del divieto di discriminazione in ragione dell’età fondato su principi generali del diritto comunitario.
Ora, il Tribunale di Karlsruhe osserva nella motivazione che non è possibile riconoscere una lesione
sufficientemente qualificata del principio delle competenze attribuite ad opera della Corte di giustizia (p.to 71).
Né l’ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE a casi che dovrebbero tendere al
riassorbimento di disoccupati di lungo periodo, né l’anticipazione degli effetti della direttiva 2000/78/CE, ancora
non recepita in Germania, che la Corte di giustizia ha inteso riconoscere, né la derivazione di un principio
generale di divieto di discriminazione in base all’età hanno condotto ad una modifica significativa delle
competenze a danno degli Stati membri. E questo, in partic., anche se può essere contestato alla Corte di
giustizia l’avere derivato il divieto di discriminazione in ragione dell’età dalle tradizioni costituzionali comuni
agli Stati membri (mancandone la citazione in un numero significativo di esse), dal momento che non sarebbe
comunque da una integrazione del diritto per via giurisprudenziale che non istituisca un nuovo ambito di
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e del principio di legalità che caratterizza lo stato di diritto41.
Infine, il Tribunale costituzionale federale passa a definire i confini di una legittima
attività interpretativa della Corte di giustizia, definizione che è propedeutica a quanto detto sul
presupposto (di una pronuncia della stessa tanto in ordine alla interpretazione dei Trattati che
alla validità ed interpretazione dell’atto del quale si intende questionare) necessario a che la
Corte costituzionale possa azionare il proprio potere di controllo. Il compito assegnato alla
Corte di giustizia, di salvaguardare il diritto nell’interpretazione e applicazione dei Trattati,
non comporta una preclusione rispetto all’esercizio di un’attività di integrazione del diritto
tramite una giurisprudenza metodicamente vincolata. La Corte costituzionale tedesca
sottolinea anzi come essa abbia costantemente riconosciuto tale facoltà e come la stessa non
confligga con il principio delle competenze attribuite né con la struttura di associazione di
Stati che caratterizza l’Unione, ed anzi si pone a servizio delle stesse potendo contribuire a
una limitazione delle competenze relative ai poteri regolamentari del legislatore europeo in
sintonia con la responsabilità fondamentale conferita agli Stati membri dai Trattati42.
D’altra parte, però, il diritto di natura giurisprudenziale non rappresenta una legislazione
che gode di margini di libertà politici; essa si deve invece conformare alle disposizioni della legge
o dei Trattati internazionali, nei quali trova i propri fondamenti e insieme i propri limiti. Pertanto,
l’integrazione del diritto per via giurisprudenziale deve essenzialmente derivare dalla necessità di
adempiere programmi, colmare lacune, risolvere divergenze di valutazione o prendere in
considerazione particolari circostanze; viceversa, essa eccede tali limiti se crea nuove norme senza
sufficienti collegamenti con disposizioni giuridiche e soprattutto finisce per costituire un
fenomeno inaccettabile quando, al di là del singolo caso, tocca decisioni politiche fondamentali o
determina una modifica strutturale nel quadro costituzionale di distribuzione dei poteri. Non basta
questo a definire il campo d’azione dell’attività di controllo (degli atti ultra vires e del nucleo di
contenuto intangibile dell’identità costituzionale) della Corte costituzionale tedesca. Limite
competenza dell’Unione a danno degli Stati membri né allarghi un ambito di competenza già esistente in modo
tale da configurare un nuovo ambito di competenza. 41 Sul punto, la Corte richiama tra gli altri: ISENSEE, Vorrang des Europarechts und deutsche
Verfassungsvorbehalte – offener Dissens, in BURMEISTER (a cura di), Verfassungsstaatlichkeit. Festschrift für
Klaus Stern, Beck, München, 1997, p. 1239 ss.: «“in caso di estreme ed evidenti infrazioni delle competenze”»;
I. PERNICE, Art. 23, in DREIER, Kommentar zum Grundgesetz, vol. II, Mohr Siebeck, Tübingen, 2006, p. 359 ss.:
«“importante, evidente e generale”». 42 Si veda sul punto il punto 62 della motivazione.
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fondamentale è il principio di attribuzione quale tratto di una struttura organizzativa fortemente
federalistica e cooperativa e che sotto molti versi è analoga ad uno Stato ma tuttavia non ha (ad
oggi) le caratteristiche di uno Stato federale. Ne consegue che le autorizzazioni generali e la
facoltà di attribuirsi ulteriori competenze, determinando di fatto il passaggio della competenza
sulla competenza all’ordinamento europeo, minerebbero la responsabilità per l’integrazione che la
Costituzione conferisce agli Stati membri. Qui, la Corte compie un ultimo passaggio del proprio
ragionamento, che segnala e approfondisce ulteriormente il proprio atteggiamento amichevole nei
confronti del diritto europeo. Anzitutto, essa afferma che per quanto il conflitto con il principio
delle competenze attribuite e con esso la lacerazione del principio della responsabilità per
l’integrazione è particolarmente grave in caso di estensioni arbitrarie delle competenze che
interessano campi specifici afferenti all’identità costituzionale degli Stati membri o che dipendono
in modo sostanziale da processi democratici interni agli Stati membri, tali esempi non esauriscono
la casistica43. Subito dopo, precisa che se non è danneggiato il principio dell’integrazione
sopranazionale, il controllo sugli atti ultra vires deve essere esercitato con moderazione,
specificando che in ogni caso devono essere salvaguardati i compiti e la posizione della
giurisprudenza indipendente sovranazionale dal momento che una censura finisce per giudicare
anche un’interpretazione del diritto da parte della Corte di giustizia.
Che vuole dire la Corte parlando, a proposito della definizione del proprio self restraint,
di un tale dovere di salvaguardia?
Anche in tal senso la Corte è esplicita: in primo luogo, ciò vuol dire che devono essere
rispettati i metodi di accertamento del diritto propri dell’Unione, ai quali la Corte di giustizia
si ritiene vincolata e che tengono in considerazione le “peculiarità” dei Trattati e dei loro
compiti specifici.
In secondo luogo, ed anche questa è una novità di grande rilievo, essa intende sostenere
che la Corte di giustizia ha diritto ad una tolleranza degli errori. Per questa ragione, la Corte
costituzionale tedesca non è chiamata a sostituire la propria interpretazione a quella della
Corte di giustizia nelle questioni di interpretazione del diritto dell’Unione che danno vita a
divergenze all’interno di un metodico ragionamento giuridico. Al contrario, essa deve
accertare tutte quelle interpretazioni dei Trattati che non importino una modifica (che
43 Per tali considerazioni, si veda il punto 65.
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comunque deve essere qualificata, come si è già segnalato, dal carattere della significatività)
della distribuzione delle competenze e restino confinati a casi singoli e non comportino effetti
negativi su diritti fondamentali oppure non si oppongono a una compensazione a livello
nazionale di tali effetti. Pure non volendo dimenticare le diverse argomentazioni del giudice
Landau nella dissenting opinion riportata in calce alla decisione del Tribunale costituzionale
federale, nelle quali si sottolinea che la maggioranza della sezione esagera i requisiti per
l’accertamento di atti ultra vires compiuti dagli organi comunitari e dell’Unione da parte della
Corte costituzionale e per tale via finisce per distaccarsi senza validi motivi dalla sentenza
Lisbona44, la proposta di orizzonti di partecipazione costituente del popolo tedesco a
legittimare democraticamente nuove forme dell’integrazione tra diversità nazionali che diano
vita ad una superiore unità politica e giuridica europea, testimoniavano al meglio l’autentica
(contestuale) prospettiva di Europarechtsfreundlichkeit, già presente nella pronuncia sul
Trattato di Lisbona a tracciare il nuovo equilibrio tra primazia del diritto dell’Unione e
supremazia delle Costituzioni nazionali e (tra identity review e ultra vires review) ad attestare,
nel più alto punto di equilibrio della pronuncia Lisbona, la disponibilità a riconoscere alla fine
di quel processo perfino un’eventuale supremazia alla Corte di giustizia europea45 . E già a
Karlsruhe altri significativi passi sono stati compiuti46...
44 In partic. al p.to 95. 45 ASERO, Alcune note sull’identità europea a proposito della sentenza del BVG, cit., pag. 83: La posizione di
leale collaborazione del Tribunale costituzionale federale, la sua Europarechtsfreundlichkeit, è infatti
inequivocabilmente attestata proprio dal suo promuovere un uso del potere costituente (pure nella particolare e
problematica declinazione che di esso fa propria l’ordinamento costituzionale tedesco) atto a risolvere l’impasse
del processo di integrazione europea e indirizzare la Repubblica federale tedesca verso i nuovi orditi di uno stato
federale europeo e di un regime parlamentare con competenze democratiche positive per il Parlamento europeo
che contenga una piena autonomia costituzionale e la stessa competenza sulla competenza. Da un lato,
riprendendo la posizione della dottrina tedesca dominante, ciò costituisce il campo di applicazione più
significativo e rilevante dell’art. 146 Grundgesetz; dall’altro, è significativo di uno spirito di sacrificio dello
stesso organo di giustizia costituzionale tedesco, nella consapevolezza che in tale modo si percorre la via del
complessivo trasferimento dei diritti di sovranità (dei quali solo si conferma la indisponibilità da parte del
legislatore di revisione costituzionale tedesco) e della rinuncia alla possibilità di denuncia dei trattati, oltre che
del venire meno dello stesso valore delle pronunce (e del ruolo) del Bundesverfasungsgericht. 46 Assai significativo appare in questo senso anche il ragionamento che la Corte sviluppa nella sentenza del
secondo Senato della Corte costituzionale tedesca (composto dai Giudici: Voßkuhle, Lübbe-Wolff, Huber, Di
Fabio, Gerhardt, Mellinghoff, Landau, Hermanns) sulla costituzionalità della disciplina tedesca in materia di
carcerazione preventiva, pubblicata il 4 maggio 2011. Vale la pena richiamarne qui anzitutto il ragionamento
argomentativo che la Corte compie al p.to 89 della sentenza, secondo il quale, dinanzi all’efficacia quanto
meno fattuale di precedente delle decisioni delle Corti internazionali, il Grundgesetz vuole evitare, per
quanto è possibile, conflitti tra gli obblighi internazionali della Repubblica Federale Tedesca e il diritto
nazionale. Il principio del favor nei confronti del diritto internazionale (Völkerrechtsfreundlichkeit) è così
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3. Da Karlsruhe a Brno: la faida di potere delle Corti ceche nel caso
Landtovà e la rilettura dei controlimiti della Corte costituzionale ceca nella
sentenza Holubec
Se per anni la cosiddetta questione delle pensioni slovacche era rimasta del tutto
sconosciuta al resto d’Europa47, i suoi più recenti sviluppi hanno ormai conferito alla stessa
una piena notorietà per la posizione ed il significato che la stessa ha assunto all’interno del
dibattito sullo stato dell’Unione europea, e con esso delle dinamiche integrative (e dis-
integrative) politiche e più prettamente giuridiche interne agli ordinamenti nazionali e tra
questi e l’ordinamento europeo. D’altra parte, nonostante il diffuso interesse che essa ha
suscitato nella dottrina continentale a partire dall’inizio di quest’anno, sembra qui opportuno
richiamare i momenti principali della stessa onde favorire una piena comprensione della
vicenda anche da parte del lettore meno esperto.
A seguito della dissoluzione della Repubblica federale Ceca e Slovacca, avvenuta il 31
dicembre 1992, la successiva nascita dei due distinti stati della Repubblica ceca e della
Repubblica slovacca ha prodotto l’esigenza di regolare, tra l’altro, la materia della previdenza
sociale, coordinando una serie di aspetti inerenti le prestazioni previdenziali per le persone che
avessero un legame con entrambi gli Stati48. Con un Trattato bilaterale49, si è perciò concordato
espressione di una concezione della sovranità, che non solo non si contrappone all’inserimento in contesti
inter- e sovranazionali, nonché all’ulteriore sviluppo di questi ultimi , bensì li presuppone e li richiede. Sotto
questo profilo, anche «l’ultima parola» della Costituzione tedesca non si frappone ad un dialogo
internazionale ed europeo delle Corti, bensì ne costituisce il suo fondamento normativo. In particolare, come
chiaramente è evidenziato nel press release, il numero 31 del 2011, la decisione è basata su una
interpretazione della Legge fondamentale aperta al diritto internazionale: è vero, dunque, che «at national
level, the European Convention on Human Rights ranks below the Basic Law. However, the provisions of
the Basic Law are to be interpreted in a manner that is open to International law (völkerrechtsfreundlich).»
sicché tanto il testo della Convenzione che i case-law della Corte europea per i diritti umani servono come
ausilio nell’interpretazione dei contenuti e dello scopo dei diritti fondamentali e dei principi dello Stato di
diritto inscritti nella Legge fondamentale. La conclusione che la Corte ne deriva è che «An interpretation
that is open to International law does not require the Basic Law’s statements to be schematically aligned
with those of the European Convention on Human Rights but requires its valuations to be taken on to the
extent that this is methodically justifiable and compatible with the Basic Law’s standards». 47 In questo senso, ZBÍRAL, A legal revolution or negligible episode? Court of Justice decision proclaimed ultra
vires, op. cit., p. 1, scrive a proposito della pronuncia della Corte costituzionale ceca che ha dichiarato la natura
ultra vires della pronuncia della Corte di giustizia sul caso Landtovà, che: «Even more astonishing is the fact that
the decision was triggered by an issue which was until now completely unknown in the rest of Europe». 48 La competenza in materia di pensioni era infatti affidata dall’ordinamento cecoslovacco alla Federazione, e
questo, come ricorda ZBÍRAL, A legal revolution or negligible episode? Court of Justice decision proclaimed
ultra vires, cit., p. 2, si fondava su «a pay-as-you-go pension system, [sicché] there were no funds to be
divided, the only issue was who will cover the pensions of existing and future pensioners».
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che il criterio di collegamento per la determinazione dello Stato e l’autorità responsabile della
copertura dell’intero o della porzione di pensione maturata nel periodo cecoslovacco (dunque
fino al 31 dicembre 1992)50 fosse quello della residenza del datore di lavoro51. La conseguenza
immediata determinata da tale accordo è stata che i cittadini cechi i quali lavorassero all’epoca
per datori di lavoro residenti nel territorio dell’attuale Repubblica slovacca sono stati sottoposti
al regime slovacco piuttosto che essere assoggettati alla normativa ed alla competenza degli enti
di previdenza sociale previste dall’ordinamento ceco52. Successivamente, però, a causa del
diverso tasso di sviluppo economico nei due Paesi negli anni che sono seguiti alla dissoluzione
della Repubblica federale Ceca e Slovacca, e della conseguente forbice nei livelli di benefici
sociali riconosciuti dai rispettivi sistemi previdenziali, quella disciplina giuridica pattizia ha
prodotto l’insorgere di svariate controversie dal momento che, a parità di retribuzione salariale,
notevoli svantaggi derivavano a livello di trattamento pensionistico esclusivamente in ragione
del luogo di residenza nominale del datore di lavoro a carico di cittadini cechi che magari
avevano lavorato per tutta la vita su suolo ceco. Da tale consistente contenzioso ha preso origine
una giurisprudenza della Corte costituzionale che affonda le radici abbastanza lontano nel
tempo, anzitutto in una pronuncia che risale ad epoca precedente l’adesione della Repubblica
ceca all’Unione europea53, e si è progressivamente consolidata fino a costituire il punto di
49 Smlouva mezi C¡eskou republikou a Slovenskou republikou o sociálním zabezpec¡ení [Agreement between
the Czech Republic and Slovak Republic on social security], firmato il 29 Ottobre 1992. Il testo è disponibile
all’indirizzo http://www.mpsv.cz/files/clanky/1542/smlouva_slovensko.pdf. 50 I periodi successivi a quella data sono regolati ai fini pensionistici dalle rispettive legislazioni dei due Stati ai
sensi dell’art. 11, comma 1, del Trattato. 51 In questo senso, l’art. 20 della Convenzione prevede: «i periodi di assicurazione acquisiti prima della data di
dissoluzione della Repubblica federale ceca e slovacca (…) sono considerati periodi di assicurazione nello Stato
contraente nel cui territorio, alla data della scissione della Repubblica federale ceca e slovacca o da ultimo prima
di tale data, aveva sede il datore di lavoro». 52 Il dato normativo di riferimento è contenuto nell’art. 30 della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali della
Repubblica ceca, il quale stabilisce che «i cittadini hanno diritto ad un’adeguata sicurezza materiale in vecchiaia
e in caso di incapacità lavorativa, nonché in caso di decesso del capo famiglia» e nell’art. 28 della legge n.
155/1995 sulle pensioni, che a sua volta recita: «l’assicurato ha diritto ad una pensione di vecchiaia, qualora
abbia maturato il necessario periodo di assicurazione e abbia raggiunto l’età prescritta, o eventualmente soddisfi
gli ulteriori requisiti previsti da questa legge». 53 In particolare, sentenza 3 giugno 2003, n. II. ÚS 405/02, come segnala nelle conclusioni presentate il 3 marzo
2011 per la Causa C-399/09 l’Avvocato generale Pedro Cruz Villalón, in
http://www.lex.unict.it/eurolabor/documentazione/altridoc/conclusioni/c399-09.pdf , pag. 15 (nota 4) – la stessa
Corte costituzionale nella sentenza Pl. ÚS 5/12 del 31 gennaio 2012 ricorda come allo stesso filone appartenga
anche la sentenza ÚS 4/06, che il ricorrente sig. Karel Holubec aveva richiamato nel suo ricorso amministrativo.
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riferimento54 per la posizione della Corte nella sentenza Pl. ÚS 5/12 del 31 gennaio 2012 sul
caso Holubec che, pronunciando sul XVII caso sulle pensioni slovacche portato innanzi al
Giudice della costituzionalità ceco, è giunta a confermare l’esistenza dello yeti, per riprendere le
parole di una dottrina già citata55, dichiarando (tra l’altro) la natura ultra vires della pronuncia
della Corte di giustizia sul caso Landtovà56.
3.1
Come ampiamente noto, con la pronuncia nella causa C-399/09 del 22 giugno 2011 la Corte
di giustizia ha risolto la questione pregiudiziale propostale dal Nejvyšší správní soud (Corte
amministrativa suprema della Repubblica ceca) e con essa il dubbio sulla correttezza
54 Nella sentenza n. III. ÚS 252/04 del 25 gennaio 2005, la Corte costituzionale ceca ha affermato che l’art. 20, n.
1, della Convenzione dovesse essere interpretato ed applicato nel senso che: «laddove un cittadino della
Repubblica ceca soddisfi i requisiti di legge per avere diritto ad una prestazione e, in base alla legislazione
nazionale (ceca) l’importo di quanto dovuto sarebbe più elevato dell’importo spettante in base al diritto derivante
dalla Convenzione [cecoslovacca], spetta [all’istituto previdenziale ceco] garantire l’erogazione di un trattamento
pensionistico avente un importo corrispondente all’importo più elevato dovuto in base alle disposizioni
nazionali, ossia decidere di integrare la pensione erogata dall’altra parte, tenendo presente l’importo della
pensione percepita a norma della Convenzione [cecoslovacca] dall’altra parte del trattato, affinché non si giunga
alla duplice erogazione di due pensioni dello stesso tipo, accordate da due [enti previdenziali] diversi». 55 Vedi supra alla nota 15. 56 Caso anch’esso del tutto ignoto a tutto il resto d’Europa come la stessa questione sulle cosiddette pensioni
slovacche sino al momento della decisione della Corte costituzionale ceca sul ricorso di Karel Holubec. In breve:
la sig.ra Marie Landtovà, cittadina ceca, ha lavorato nel territorio dell’ex Repubblica federale ceca e slovacca tra
il 1964 e il 31 dicembre 1992, data della dissoluzione e successiva scissione della Cecoslovacchia;
successivamente, ella è stata occupata nel territorio della Repubblica slovacca fino al 31 agosto 1993 e infine si è
trasferita nella Repubblica ceca fino alla data del pensionamento. Nel 2002 l’istituto previdenziale slovacco ha
accordato alla signora una pensione di invalidità parziale in considerazione dei periodi contributivi tra il 1964 ed
il 31 agosto 1993, sulla base del Trattato bilaterale sulla previdenza sociale. Nel 2006, infine, la Czech Social
Security Administration (Istituto di previdenza sociale della Repubblica ceca) ha concesso una pensione di
vecchiaia alla signora Landtovà sulla base del periodo di assicurazione iniziato il 31 agosto 1993 (data del
trasferimento della residenza dell’attrice in territorio ceco), rifiutando espressamente al contempo la concessione
della prestazione integrativa garantita ai cittadini cechi residenti nel territorio nazionale dalla giurisprudenza
della Corte costituzionale. A seguito di impugnazione innanzi al Městský soud v Praze (Tribunale di Praga)
questo ha annullato la decisione dell’istituto di previdenza sociale della Repubblica ceca ordinando alla stessa di
rispettare la giurisprudenza della Corte costituzionale e garantire alla signora Landtovà, in quanto cittadina ceca
residente nel territorio ceco, una prestazione integrativa pari alla differenza tra l’importo della prestazione
slovacca che le spettava e quella cui avrebbe avuto diritto se le fosse stato applicato il regime previdenziale ceco.
Contro tale sentenza, l’Istituto di previdenza sociale ceca ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al Nejvyšší
správní soud (Corte amministrativa suprema della Repubblica ceca), sulla base del Regolamento CEE n. 1408/71
e del principio di non discriminazione, nei termini generali in cui viene sancito nei Trattati costitutivi. La Corte
amministrativa suprema ha accolto il ricorso e rinviato al Giudice di primo grado che, a sua volta, ha confermato
la sua prima decisione. L’Istituto di previdenza sociale ha nuovamente impugnato dinanzi alla Corte
amministrativa suprema che ha deciso a quel punto di proporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
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dell’interpretazione della normativa ceca, e in particolare dell’accordo bilaterale in materia di
previdenza sociale conclusa tra i due stati membri prima di aderire all’Unione, alla luce degli
artt. 3, n.157; 7, n. 2, lett. c)58; 1059 e 46, nonché della parte A, punto 9, dell’allegato III60 del
Regolamento CEE del Consiglio n. 1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza
sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano
all’interno della Comunità61, che pone in atto le misure dell’art. 42 CE (ora art. 48 TFUE)62 e
degli articoli 12 CE (ora art. 18 TFUE)63 e 39 CE64. Nel bypassare la portata del dettato
costituzionale, che assegna alla Corte di Brno il ruolo di vertice dell’ordinamento giudiziario
57 L’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1408/71 dispone in particolare che «[l]e persone che risiedono nel territorio di
uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le disposizioni del presente regolamento, sono soggette agli
obblighi e sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei
cittadini di tale Stato, fatte salve le disposizioni particolari del presente regolamento» 58 L’art. 7, n. 2, lett. c) dispone che «Nonostante quanto disposto nell’articolo 6, rimangono applicabili:
(...)
c) talune disposizioni delle convenzioni di sicurezza sociale concluse dagli Stati membri prima della data di
applicazione del presente regolamento, a condizione che siano più favorevoli per i beneficiari o se connesse a
circostanze storiche specifiche e con un effetto limitato nel tempo, e purché siano menzionate nell’allegato III».
A sua volta, il richiamato art. 6 prevede che «Nel quadro del campo di applicazione quanto alle persone e del
campo di applicazione quanto alle materie del presente regolamento, quest’ultimo si sostituisce, fatte salve le
disposizioni degli articoli 7, 8 e 46, paragrafo 4, qualsiasi convenzione di sicurezza sociale che vincola:
a) (...) esclusivamente due o più Stati membri». 59 A tenore del quale: «Salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni per (...)
vecchiaia acquisit[e] in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né
modifica, né sospensione, né soppressione (...) per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato
membro diverso da quello nel quale si trova l’istituzione debitrice». 60 L’allegato III del citato regolamento, intitolato «Disposizioni di convenzioni di sicurezza che rimangono
applicabili nonostante l’articolo 6 del regolamento – Disposizioni di convenzioni di sicurezza sociale il cui
beneficio non è esteso a tutte le persone cui si applica il regolamento», nella parte A, punto 9, intitolato
«Repubblica ceca – Slovacchia», mantiene in vigore, gli artt. 12, 20 e 33 della convenzione bilaterale fra la
Repubblica ceca e la Repubblica slovacca, firmata il 29 ottobre 1992, recante misure dirette a definire la
situazione dopo la scissione, il 31 dicembre 1992, della Repubblica federale ceca e slovacca. 61 Nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento CE del Consiglio 2 dicembre 1996, n. 118/97,
quale modificato dal regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, n. 1408/71. 62 A norma del quale «Il Parlamento europeo e il Consiglio adottano … in materia di sicurezza sociale le misure
necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che
consenta di assicurare ai lavoratori migranti dipendenti e autonomi e ai loro aventi diritto:
a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la
conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste;
b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri». 63 A tenore del quale «nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni
particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità». 64 Articolo che già disponeva espressamente il divieto di discriminazione per quanto riguarda i lavoratori,
stabilendo:
«1. La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è assicurata.
2. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati
membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro».
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ceco e custode della Costituzione, la Corte suprema amministrativa porta il conflitto a
Lussemburgo “giocando” la carta della possibile violazione del diritto europeo da parte di chi
è deputato al più alto livello nell’ordinamento giuridico ceco a vivificare la leale cooperazione
tra ordinamenti e tradurre, per l’appunto anche attraverso il dialogo tra le Corti chiamate a
preservare la diversità dei rispettivi ordinamenti costituzionali, il valore dell’Unità europea
(rectius: dell’ordinamento europeo). In tale direzione, la “strategia” della Corte
amministrativa suprema65 si concretizza anzitutto nel chiedere se la concessione di
un’integrazione della pensione al beneficiario non sia il risultato di un doppio computo di uno
stesso periodo di contribuzione previdenziale, in violazione dell’art. 46, n. 2, del regolamento
n. 1408/71; e, successivamente, per il caso di una risposta negativa al primo quesito, se quella
giurisprudenza costituzionale, limitando la concessione del beneficio dell’integrazione
previdenziale alle persone aventi la cittadinanza ceca e la residenza nel territorio della
Repubblica ceca, non si ponga in contrasto con il principio di non discriminazione escludendo
tutti gli altri cittadini dell’Unione66. Nella pronuncia del giugno dell’anno scorso, la Corte di
giustizia risponde ai due quesiti sottolineando anzitutto che l’integrazione della prestazione
non rimette in discussione il regime applicabile né la competenza delle autorità designate ai
sensi dell’art. 20 della convenzione bilaterale; secondariamente, rilevando d’altra parte che la
65 Strategia che certo muove dalla considerazione diffusa nei media cechi e nel dibattito da essi suscitato che il
costo della concessione del supplemento integrativo a norma della giurisprudenza costituzionale sarebbe stato di
decine di miliardi di corone ceche per anno. 66 «1) Se l’allegato III, parte A, punto 9, in relazione all’art. 7, n. 2, lett. c), del regolamento (CEE) del Consiglio n.
1408/71, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si
spostano all’interno della Comunità, che mantiene applicabile il criterio da utilizzare per determinare lo Stato
successore competente a prendere in considerazione i periodi contributivi per l’assicurazione maturati dai lavoratori
dipendenti fino al 31 dicembre 1992 nel regime della previdenza sociale dell’ex Repubblica federale ceca e
slovacca, debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una disposizione nazionale in forza della
quale l’istituto ceco per la previdenza sociale deve prendere integralmente in considerazione, ai fini del diritto alla
prestazione e della fissazione dell’importo di quest’ultima, il periodo di contribuzione assicurativa assolto nel
territorio dell’ex Repubblica federale ceca e slovacca fino al 31 dicembre 1992, benché, in base al predetto criterio,
sarebbe competente a tenerne conto l’istituto per la previdenza sociale della Repubblica slovacca.
2) In caso di soluzione negativa del primo quesito, se l’art. 12 del Trattato che istituisce la Comunità europea, in
combinato disposto con gli artt. 3, n. 1, 10 e 46, del regolamento (CEE) del Consiglio n. 1408/71, relativo
all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano
all’interno della Comunità, debba essere interpretato nel senso che osta a che il periodo di contribuzione
assicurativa assolto sotto il regime previdenziale dell’ex Repubblica federale ceca e slovacca fino al 31 dicembre
1992, di cui si sia già tenuto conto nella stessa misura ai fini delle prestazioni nel regime previdenziale della
Repubblica slovacca, sia, in forza della menzionata disposizione nazionale, preso integralmente in
considerazione, ai fini del diritto alla prestazione di vecchiaia e della fissazione dell’importo di quest’ultima,
solo nei confronti dei cittadini cechi residenti nel territorio della Repubblica ceca».
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decisione n. III. ÚS 252/04 del 25 gennaio 2005 della Corte costituzionale ceca opera una
discriminazione basata su nazionalità e residenza fra cittadini nazionali e cittadini degli altri
stati membri67.
3.2
A volere da subito scoperchiare il vaso di Pandora della guerra senza confini tra Poteri,
e all’interno del potere giurisdizionale ceco in particolare, nella quale deve essere inscritta e
solo si può comprendere la “congiura” ordita dalla Corte Suprema amministrativa ceca
(congiura che ha condotto la Corte costituzionale ceca per così dire a “pugnalare alla schiena”
a sua volta la Corte di giustizia, dimenticando ogni lealtà e ogni auspicabile attitudine
amichevole della Repubblica ceca verso il diritto europeo) è opportuno segnalare sin d’ora
una serie di elementi di fatto e di diritto – alcuni dei quali per lo più inevitabilmente sfuggiti
alle prime ricostruzioni critiche della vicenda. E così, basti dire che lo scontro è stato tanto
aspro che esso sembra avere per così dire metaforicamente, avere sollevato una enorme
cortina fumogena tale da rendere ognuno degli attori cieco all’intelligenza degli avvenimenti e
così messo in discussione anzitutto l’unità e coerenza dell’ordinamento giuridico
costituzionale ceco68, e in particolare l’azione giuridico-politica dei suoi Poteri. Basti
sottolineare ciò che pure una sinora solitaria dottrina ha già segnalato: la Corte costituzionale
muove dal ricorso costituzionale di un cittadino ceco che alla data del ricorso riceveva una
pensione tanto dall’autorità slovacca (per il periodo fino al 1992) che da quella ceca (per il
periodo successivo al 1993) senza minimamente rendersi conto (o altrimenti, e peggio ancora,
trascurando il dato...) che la somma complessiva delle due pensioni è superiore a quella che
riceverebbe se la pensione fosse calcolata sulla base della fictio che entrambi i periodi
67 La Corte si spinge inoltre a determinare le conseguenze pratiche della discriminazione che la norma derivata
dalla decisione della Corte costituzionale ceca determina rispetto alle persone svantaggiate dalla sua applicazione
e rispetto a quelle che, come la ricorrente signora Landtovà, ne hanno tratto beneficio. Essa conclude che nel
rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione «Il diritto dell’Unione non osta … a provvedimenti che
ripristino la parità di trattamento mediante una riduzione dei vantaggi delle persone in precedenza privilegiate (v.
sentenza 28 settembre 1994, causa C-200/91, Coloroll Pension Trustees, Racc. pag. I-4389, punto 33). Tuttavia,
prima dell’adozione di siffatti provvedimenti, nulla nel diritto dell’Unione impone di privare dell’integrazione
della tutela previdenziale, come nella situazione discussa nella causa principale, la categoria delle persone che
già ne beneficiano». 68 Di «contesto istituzionale tanto conflittuale quanto delicato» parla già l’Avvocato generale Pedro Cruz Villalón
al punto 5 delle conclusioni presentate il 3 giugno 2011 innanzi alla Corte di giustizia nel caso Landtovà, cit..
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andrebbero computati secondo il sistema previdenziale ceco69. È questa tuttavia l’occasione
che (probabilmente) la Corte attendeva per pronunciare i suoi strali contro Governo, Corte
amministrativa suprema, Legislatore ceco e (per quei fini meramente... domestici...) contro la
stessa Corte di giustizia. E insomma (magari proprio per non perdere l’occasione...) la Corte
costituzionale argomenta allo scopo di difendere i diritti sociali e decidere il caso del ricorso
di un cittadino che non avrebbe alcun vantaggio... ed anzi per assurdo riceverebbe
eventualmente una pensione più bassa!
D’altra parte, a confermare il reale quadro di riferimento prevalentemente (se non
addirittura esclusivamente...) politico della vicenda, si deve anche aggiungere che il dato
segnalato è stato fornito per la prima volta da un (purtroppo tardivamente più attento...)
giudice della Corte amministrativa suprema nel quadro di una discussione in un blog ceco di
diritto70 e che tuttavia la Corte amministrativa suprema non si era accorta (o aveva preferito
“strategicamente” fingere di non accorgersi...) del carattere assolutamente ipotetico della
questione nel decidere sullo stesso caso...71.
Sembra insomma suffragato dalla realtà dei fatti che la vicenda delle pensioni slovacche
ha di fatto dato vita ad un articolato conflitto politico-istituzionale nella Repubblica ceca e che
la dinamica di questo abbia in sostanza condotto ad un isolamento della Corte costituzionale,
che infine ha reagito oltre misura e per così dire a sua volta... ultra vires all’accerchiamento72.
A ben guardare, infatti, conducono ad una tale ricostruzione, dandone ragione, anche ulteriori
elementi tutti chiaramente presenti e variamente sottolineati nel giudizio della Corte
costituzionale ceca del gennaio scorso:
1. in primo luogo, la posizione espressa dal governo ceco nella questione preliminare
pendente di fronte alla Corte di giustizia per il caso Landtovà, secondo la quale la
giurisprudenza della Corte costituzionale, nello stabilire la previsione dell’integrazione della
69 ZBÍRAL, A legal revolution or negligible episode? Court of Justice decision proclaimed ultra vires, cit., p. 14. 70 KOMÁREK, V-jostove-vybuchla-atomova-bomba, (Nuclear bomb exploded in Joštova street), 15 Feb. 2012. La
discussione è disponibile all’indirizzo web: jinepravo.blogspot.com/2012/02/v-jostove-vybuchla-atomova-
bomba.html. 71 6 Ads 52/2009-88, Supreme Administrative Court, 31 Aug. 2011. 72 Dando in questo senso piena ragione a chi sembra ironicamente ritenere che la pronuncia della Corte di Brno
sia il frutto di un errore: quello di avere con la sentenza Solange i fiammiferi in mano ai bambini lasciandoveli
giocare... In tale direzione, J. Komarek, Playing with matches: the Czech Constittutional Court’s ultra vires
revolution, in http://ukconstitutionallaw.org/2012/02/22/jan-komarek-playing-with-matches-the-czech-
constitutional-courts-ultra-vires-revolution/ .
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pensione alla duplice condizione della cittadinanza ceca e della residenza nel territorio
nazionale73, viola il principio di non discriminazione dell’Unione ponendosi in conflitto con
gli articoli 3 e 10 del regolamento n. 1408/7174. Nel richiamare tale posizione nella sentenza
Pl. ÚS 5/12 del 31 gennaio 2012, la Corte di Brno denuncia di fatto la crisi istituzionale che
attanaglia l’ordinamento ceco e che mette in discussione lo stesso ruolo di custode della
costituzione di chi peraltro è parte di quel conflitto, da un lato ricordando per l’appunto che il
Governo ceco “had no hesitation to appear at all as a party to the proceeding on a preliminary
question before the ECJ against its own Constitutional Court”; e dall’altro, affermando con
estrema decisione il proprio ruolo nell’ordinamento interno e la violazione dell’ordine
costituzionale messa in atto dal governo medesimo con una posizione che “is inconsistent
with art. 89 par. 2 of the Constitution of the Czech Republic, under which the enforceable
decisions of the Constitutional Court are binding for all bodies and persons, i.e. including the
government of the Czech Republic and its agent”...75.
2. Nel decidere sul caso Landtovà, la Corte amministrativa suprema assume che la Corte
di giustizia, rispondendo alle questioni da essa stessa poste con rinvio pregiudiziale, abbia in
definitiva provato che la Corte costituzionale ceca era in errore e in questo senso afferma che
«la Corte costituzionale ha preso una decisione in una questione al di fuori della sua
competenza». Per tale via, la Corte amministrativa suprema ceca deduce conclusivamente che
alla giurisprudenza della Corte costituzionale sul caso non dovesse essere riconosciuto valore
73 In effetti, peraltro, gli strali della Corte di Brno sul governo ceco si estendono sino a contestare che la propria
giurisprudenza preveda anche il requisito della residenza affermando poco oltre che “In addition to the
foregoing, the statement [of the “Advocate General, ndr.] also declares that the government’s position contains
data that are inconsistent with reality. In the Constitutional Court’s case law, provision of a supplementary
benefit was tied only to the applicant’s being a Czech citizen, not to the condition of permanent residence in the
Czech Republic as well, as reference order of the Supreme Administrative Court confusingly and incorrectly
states in point 8 i.f. and in point 18, and as the Czech government also claims (the foregoing is adopted in the
Advocate General’s statement – see points 18, 39, 43, 48-52). In the judgment cited there, file no. III. ÚS 252/04
the Constitutional Court merely stated that “[i]nsofar as Act no. 155/1995 Coll., as amended by later regulations,
permits exercising claims arising from it regardless of nationality, i.e. in connection to permanent residence, in
terms of constitutional protection the Constitutional Court considers inequality to be unjustified only in
connection with distinguishing citizens of the Czech Republic in their entitlements arising from social security,
but not in relation to other categories of persons”. 74 Così il punto 42 delle conclusioni dell’Avvocato generale Pedro Cruz Villalón, cit.. 75 A tale riguardo, e per sottolineare la profondità del solco che divide le istituzioni ceche coinvolte va pure
segnalata la circostanza che la Commissione per gli Affari europei del Senato ceco ha adottato una risoluzione
chiedendo al governo ceco di ritirare il suo contributo scritto e ricevendo una risposta negativa con la
giustificazione che questo non fosse possibile... È un fatto, ad ogni modo, che il comportamento del governo
ceco in argomento non sia per niente mutato al riguardo nel corso delle audizioni.
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vincolante e conseguentemente rifiuta il supplemento alla signora Landtovà76.
Andando oltre, e fomentando lo scontro tra Corte costituzionale ceca e Corte di giustizia
sul terreno del diritto europeo77, la Corte suprema amministrativa da un lato provoca la Corte
costituzionale, invitandola a rivedere la questione alla luce della propria dottrina sul rapporto tra
diritto dell’Unione e diritto costituzionale ceco e suggerendo di ricorrere al limite e ultima ratio
a invalidare l’atto europeo; e dall’altro lato le prospetta lo scenario che una tale scelta avrebbe
comportato, sia nel senso dei costi abnormi che la Repubblica ceca avrebbe dovuto
conseguentemente sostenere sia in quello della possibile apertura di un procedimento di
infrazione dell’Unione e di innumerevoli azioni di fronte alla Corte europea dei diritti umani78.
3. All’indomani della pronuncia della Corte di giustizia sul caso Landtovà, che aveva
comunque un suono minaccioso79 anche alle sue orecchie, infine, il Parlamento ceco concorda
assai velocemente e per così dire... al ribasso – conformemente a quanto prospettato in via
ipotetica dalla Corte di giustizia anche sulla base di una propria giurisprudenza pregressa – su
una legge che proibiva per il futuro ogni riconoscimento di supplementi da parte del sistema
pensionistico ceco a persone i cui periodi contributivi erano considerati slovacchi ai sensi
della Convenzione, facendo non a caso espresso riferimento alla sentenza sul caso Landtovà80.
76 3 Ads 130/2008, Supreme Administrative Court, del 25 agosto 2011, particolarmente punti 70–71, 78. 77 Terreno nel quale solo era per così dire possibile indebolire la posizione di custode dell’ordinamento
costituzionale riconosciuta alla prima nell’ordinamento nazionale ceco (al quale essa stessa apparteneva) nel
sovrapporsi e confondersi in quel dialogo tra Corti di primazia del diritto dell’Unione e supremazia delle
Costituzioni nazionali. 78 Ibidem, punti 76-77. 79 Nella parte in cui afferma che «allo stato del diritto nazionale l’autorità competente a concedere la pensione
non può legittimamente rifiutare il beneficio dell’integrazione alle persone sfavorite [dalla decisione ÚS 252/04
della Corte costituzionale], nulla osta[ndo però] a che essa mantenga tale diritto a vantaggio della categoria di
persone che già ne godono in applicazione della norma nazionale.
Il diritto dell’Unione non osta, purché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione, a provvedimenti
che ripristinino la parità di trattamento mediante una riduzione dei vantaggi delle persone in precedenza privilegiate
(v. sentenza 28 settembre 1994, causa C-200-91, Coloroll Pension Trustees, Racc. pag. I-4389, punto 33)». 80 Come risulta nel resoconto (in ceco) della sessione del 30 agosto 2011 del disegno di legge n. 428/2011, e
viene sottolineato dalla Corte costituzionale ceca nella sentenza del 31 gennaio scorso sul caso Holubec, le
previsioni degli articoli XII e XIII sono frutto di una proposta in seconda lettura alla della Camera dei Deputati
della deputata Gabriela Pecková, che reagendo al giudizio della Corte di giustizia sul caso Landtovà suggerisce
così all’Assemblea: «Provision of a supplementary benefit is based on the previous case law of the
Constitutional Court of the Czech Republic. The Court of Justice of the European Union decided that adjusting
Slovak pensions through a supplementary benefit cannot be limited by the condition of Czech citizenship and
residence in the Czech Republic, because such a limitation is discrimination contrary to European Union law. In
connection with this judgment, I propose adopting legislation that would generally rule out supplements to
Slovak pensions.», in http://www.psp.cz/eknih/2010ps/stenprot/022schuz/s022029.htm .
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3.3
Al probabile scopo di controbattere anzitutto colpo su colpo al fronte che le è avverso e
uscire in tale modo dall’accerchiamento riaffermando il proprio ruolo nell’ordinamento ceco e
in quello europeo, nel giudizio Pl. ÚS 5/12 del gennaio scorso la Corte costituzionale ceca
esamina il caso che è sottoposto al proprio giudizio alla luce del diritto europeo, dapprima
riassumendo compiutamente il caso Landtovà e la relativa pronuncia della Corte di giustizia, e
successivamente richiamando la propria dottrina sul rapporto tra diritto europeo e diritto
nazionale ceco.
Lungo la prima direttrice la Corte a contesta l’applicabilità tout court del Regolamento
CEE del Consiglio n. 1408/71 alla questione delle pensioni slovacche, dal momento che
mancherebbe il presupposto dell’elemento di estraneità richiesto per l’applicazione dello
stesso81 e comunque si oppone all’equiparazione dei rapporti giuridici nascenti dalla
dissoluzione di uno stato con un sistema di sicurezza sociale unitario come la Repubblica
federale cecoslovacca a quelli che nascono a seguito dell’esercizio del diritto di libero
movimento delle persone nell’Unione82.
Inoltre, di fronte alla posizione espressa da Corte amministrativa suprema e Governo
ceco, la Corte rivendica che la Convenzione tra Repubblica ceca e Repubblica slovacca è
inserita nell’allegato III punto A/9 del Regolamento 1408/71, il quale fa salva l’applicazione
degli articoli 12, 20 e 33 della Convenzione medesima, che vanno perciò interpretati secondo
quanto espresso dalla giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale.
Con un articolato obiter dictum, la Corte espressamente afferma infine che il disegno di
legge Pecková, n. 428/2011, è stato approvato dal Parlamento ceco per il timore che la
previsione di un beneficio supplementare fosse basata sulla precedente giurisprudenza della
Corte costituzionale. Di conseguenza, proseguono i Giudici di Brno, se lo scopo era quello di
reagire alle conseguenze della pronuncia della Corte di giustizia sul caso Landtovà e derogare
81 In questo senso la Corte afferma: «In terms of European Union law, the provisions of Annex III are of a
declaratory, not constitutive nature: the key factor for applying the Regulation is its object and the nature of the
reviewed legal relationships, which must contain a “foreign” element». 82 Nelle parole della Corte di Brno: «Failure to distinguish the legal relationships arising from the dissolution of
a state with a uniform social security system from the legal relationships arising for social security from the free
movement of persons in the European Communities, or the European Union, is a failure to respect European
history, it is comparing things that are not comparable».
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alla giurisprudenza della Corte costituzionale, allora, a seguito dell’affermazione della Corte
costituzionale che la pronuncia della Corte di giustizia è stata resa ultra vires, anche la citata
statuizione della legge (che esclude ogni supplemento per le cosiddette pensioni slovacche) è
divenuta obsoleta sulla base del principio generale per il quale «cessante ratione legis cessat
lex ipsa». Tanto che, per giustificare in questa parte la portata monitoria del suo obiter dictum,
la Corte avverte (il legislatore) che essa non ha aperto un procedimento di controllo delle
norme in questione perché esse non erano applicate nel giudizio a partire dal quale è stato
proposto ricorso costituzionale dal signor Holubec, così implicitamente preannunciando il suo
(eventuale) comportamento futuro nei riguardi delle stesse.
Quanto al richiamo della propria dottrina sui rapporti tra diritto costituzionale ceco e
diritto europeo (e al dialogo tra le rispettive Corti e custodi delle rispettive costituzioni), la
Corte di Brno espressamente indica nelle sentenze Pl.ÚS 50/04, Pl. ÚS 66/04, Pl. ÚS 19/08, e
Pl. ÚS 29/09 le pronunce chiave in relazione all’interpretazione degli articoli 1, para 1 e 283,
1084 e 10a85, 9, par. 286 della Costituzione. In particolare, la Corte ricorda il principio di Euro-
conformità affermato nel giudizio sulla costituzionalità della legge istitutiva del mandato di
arresto europeo87, per il quale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1, parag. 2, della
83 L’art. 1 della Costituzione ceca così dispone:
La Repubblica ceca è uno Stato di diritto sovrano, unitario e democratico fondato sul rispetto dei diritti e delle
libertà dell’uomo e del cittadino.
La Repubblica ceca rispetta gli obblighi che per essa discendono dal diritto internazionale. 84 L’art. 10 della Costituzione ceca prescrive:
I trattati internazionali promulgati, ratificati con l’assenso del parlamento ed ai quali la Repubblica ceca è
vincolata, sono parte dell’ordinamento giuridico; se un trattato internazionale stabilisce diversamente rispetto
alla legge, si applica il trattato internazionale. 85 L’art. 10a della Costituzione ceca statuisce:
Con un trattato internazionale alcune competenze degli organi della Repubblica ceca possono essere trasferite ad
organizzazioni od organi internazionali.
Per la ratifica dei trattati internazionali indicati al comma 1 è necessario il consenso del Parlamento, a meno che
la legge costituzionale non stabilisca che per la loro ratifica sia necessario il consenso dato tramite referendum. 86 L’art. 9 della Costituzione ceca stabilisce:
La Costituzione può essere integrata o modificata solo con leggi costituzionali.
Non è ammessa la modifica dei requisiti fondamentali dello Stato democratico di diritto.
Non è ammissibile giustificare l’eliminazione o la minaccia dei fondamenti dello Stato democratico tramite
l’interpretazione delle norme giuridiche. 87 Si tratta della sentenza Pl. ÚS 66/04, della quale la stessa Corte richiama testualmente questo passaggio
fondamentale: «Un principio costituzionale può essere derivato dall’articolo 1, parag. 2, della Costituzione in
combinazione con il principio di cooperazione stabilito dall’articolo 10 del Trattato che istituisce la Comunità
europea, secondo il quale la legislazione domestica, compresa la Costituzione, deve essere interpretata in
conformità con i principi dell’integrazione europea e della cooperazione tra gli organi degli Stati membri e della
Comunità. Se la Costituzione, della quale la Carta dei diritti e delle libertà fondamentali è parte, può essere
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Costituzione e 10 del Trattato che istituisce la Comunità europea (principio di cooperazione
ora formulato nell’art. 4, parag. 3 TUE), nel caso che siano date più opzioni anche la stessa
Costituzione ceca – della quale la Carta dei diritti e delle libertà fondamentali è da ritenere
parte – deve essere interpretata in modo conforme agli obblighi che nascono dall’essere la
Repubblica ceca membro dell’Unione e il suo ordinamento parte di una superiore unità con
gli altri ordinamenti nazionali. Ma questo, segnala ancora la Corte, non può condurre a
imporre un’interpretazione che invece non è abilitata dal metodo di interpretazione
costituzionale nazionale, interpretazione che è allora ammessa solo subordinatamente alla
previa modifica della Costituzione da parte di un’Assemblea costituente che – si affretta a
precisare la Corte, invero con una carente considerazione della forza dell’effettività e della più
autentica e non costituita natura del potere che perciò si definisce costituente – può esercitare
tale potere di modifica solo a condizione di preservare gli essenziali attributi di uno stato
democratico di diritto ai sensi dell’art. 9, par. 2 della Costituzione.
È soprattutto nelle sentenze sul trattato di Lisbona88 II del 3 novembre 2009 che la Corte
accentua la portata di questa conclusione e costituisce la base teorica per l’avvistamento dello
yeti compiuto con la pronuncia del gennaio scorso che ha dichiarato la natura ultra vires della
sentenza Landtovà della Corte di Lussemburgo. Infatti, nelle due sentenze Lisbona essa
sottolinea il proprio ruolo di supremo custode della Costituzione ceca anche contro possibili
eccessi delle istituzioni europee che interpretassero o sviluppassero il diritto europeo in modo
da mettere in pericolo le fondamenta della costituzione materiale e i fondamentali requisiti di
uno stato democratico di diritto, che sono inviolabili per la Costituzione ceca, e, sulla scorta
della pronuncia del Tribunale di Karlsruhe che da sempre ne è punto di riferimento e a tratti è
qui ripresa puntualmente, si spinge sino ad affermare di non essere obbligata da tali eventuali
sconfinamenti e insieme a sostenere il proprio conseguente diritto a verificare, e tuttavia solo
come ultima ratio, se le istituzioni europee abbiano sforato le competenze loro assegnate. Ma
già nella prima sentenza sul trattato di Lisbona la Corte aveva sottolineato la tesi che il suo
interpretata in diversi modi, solo qualcuno dei quali conduce al rispetto di un obbligo assunto dalla repubblica
ceca in relazione alla sua appartenenza all’Unione europea, allora deve essere scelta un’interpretazione che
sostenga l’adempimento dell’obbligo e non una che lo precluda». 88 Rispettivamente: Pl. ÚS 19/08 del 26 novembre 2008 (Lisbona I) e Pl. ÚS 29/09 del 3 novembre 2009
(Lisbona II).
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intervento è ammissibile anche nel caso in cui l’applicazione del diritto europeo a casi
determinati venga in considerazione in relazione a ricorsi costituzionali legati a possibili
(eccezionali, specifica la Corte) interferenze del diritto e delle istituzioni dell’Unione sui
diritti e le libertà fondamentali. Essa aveva inoltre individuato in tre aree l’ambito del suo
controllo dell’esercizio da parte degli organismi dell’Unione europea delle competenze
trasferite: il non funzionamento delle sue Istituzioni, la protezione del nucleo materiale della
Costituzione (non solo rispetto al diritto europeo ma anche alle specifiche applicazioni dello
stesso), il funzionamento come ultima ratio, vale a dire l’autorità di verificare se un atto degli
organismi europei ecceda i poteri trasferiti all’Unione dalla Repubblica ceca ai sensi
dell’articolo 10a della Costituzione – in particolare abbandonando un valore identitario o
eccedendo lo scopo delle competenze affidatele89.
D’altra parte, la Corte ricorda espressamente che, in continuità con la giurisprudenza
costituzionale tedesca, “Solange I” e “Solange II”, la sentenza Pl.ÚS 50/04 aveva definito i
capisaldi della relazione tra diritto europeo e Costituzione ceca, particolarmente richiamando i
principi dello stato di diritto democratico, la cui modifica o minaccia è espressamente vietata ai
89 Sembra opportuno riportare di seguito l’autocitazione delle proprie sentenze sul trattato di Lisbona: «The
Constitutional Court remains the supreme protector of Czech constitutionality, including against possible
excesses by Union bodies or European law, which also clearly answers the contested issue of the sovereignty of
the Czech Republic; if the Constitutional Court is the supreme interpreter of the constitutional regulations of the
Czech Republic, which have the highest legal force on Czech territory, it is obvious that Art. 1 par. 1 of the
Constitution can not be violated. if European bodies interpreted or developed EU law in a manner that would
jeopardize the foundations of materially understood constitutionality and the essential requirements of a
democratic, law-based state that are, under the Constitution of the Czech Republic, seen as inviolable (Art. 9 par.
2 of the Constitution), such legal acts could not be binding in the Czech Republic. In accordance with this, the
Czech Constitutional Court also intends to review, as ultima ratio, whether the legal acts of European bodies
remain within the bounds of the powers that were provided to them. In this regard the Constitutional Court
basically agreed with certain conclusions of the German Federal Constitutional Court, stated in its Maastricht
decision (see above), under which the majority principle, per the imperative of mutual regard, arising from
loyalty to the Community, has its limits in the constitutional principles and elementary interests of the member
states; the exercise of sovereign power by an association of states, the European Union, is based on authorization
from the states, which remain sovereign, and which, through their governments, regularly act in the inter-state
area, and thus guide the integration process. In judgment file no. Pl. ÚS 19/08 it emphasized, from a procedural
viewpoint, the thesis that its intervention is conceivable, particularly with the application of European law in
particular cases, which may come to the Constitutional Court through individual constitutional complaints tied to
possible (exceptional) interference by EU bodies and EU law into the fundamental rights and freedoms. It
defined the context for its review of the exercise of transferred competences by European Union bodies by three
areas: the non-functioning of its institutions, the protection of the material core of the Constitution, not only in
relation to European law but also to the particular application thereof, and, finally, the functioning as ultima
ratio, i.e. the authority to review whether an act by European Union bodies exceeded the powers that the Czech
Republic transferred to the European Union under Art. 10a of the Constitution; these could be, in particular,
abandoning a value identity and exceeding the scope of the entrusted competences».
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sensi dell’articolo 9, parag. 2 e 3, della Costituzione e insieme affermando, in maniera (se non
altro in apparenza) rassicurante, che lo standard di protezione dei diritti fondamentali riconosciuto
all’interno della Comunità e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia non è inferiore a quello
accordato nella Repubblica ceca e previsto dalla Corte costituzionale ceca medesima90.
3.4
È l’applicazione che la Corte costituzionale fa dei principi espressi, in linea con una
certa lettura della sentenza Lisbona del Tribunale di Karlsruhe, nelle sue due sentenze sul
trattato di Lisbona (e particolarmente di quelli espressi nella prima richiamati sopra) alla
pronuncia sul caso Landtovà della Corte di giustizia a destare numerose perplessità, al di là
delle ragioni politiche e del contesto di aspro scontro istituzionale tra Poteri all’interno
dell’ordinamento nazionale ceco. Sulla base dei principi stabiliti nella propria giurisprudenza,
la Corte afferma di non poter fare altro se non dichiarare che la sentenza della Corte di
giustizia del 22 giugno 2011, C-399/09 è ultra vires in quanto eccede lo scopo dei poteri
affidati agli organismo dell’Unione con il trasferimento degli stessi da parte della Repubblica
ceca ai sensi dell’articolo 10a della Costituzione91.
Per tale via, la Corte costituzionale (ri)afferma certo la propria posizione di vertice e
custode della costituzione nazionale, posizione che intende difendere dagli attacchi, rispetto ai
quali solo, però, la sua pronuncia sembra essere l’ultima, inevitabile, ratio... Così facendo,
d’altra parte, per contrastare ogni interferenza della Corte di giustizia, mostra nell’occasione
di avere in concreto ben altra idea del rapporto tra ordinamento costituzionale ceco e
ordinamento dell’Unione oltre che delle forme di dialogo tra le Corti rispetto a quella
professata e scrupolosamente messa progressivamente a punto dal Tribunale tedesco. Infatti,
da un lato questo è perfino disposto a prospettare orizzonti di partecipazione costituente del
90 A tale riguardo la Corte afferma: «The current standard within the Community for the protection of fundamental
rights cannot give rise to the assumption that this standard for the protection of fundamental rights through the
assertion of principles arising therefrom, such as otherwise follows from the above-cited case-law of the ECJ, is of
a lower quality than the protection accorded in the Czech Republic, or that the standard of protection markedly
diverges from the standard up till now provided in the domestic setting by the Constitutional Court». 91 In particolare, la Corte afferma: «we cannot do otherwise than state, in connection with the effects of ECJ
judgment of 22 June 2011, C-399/09 on analogous cases, that in that case there were excesses on the part of a
European Union body, that a situation occurred in which an act by a European body exceeded the powers that the
Czech Republic transferred to the European Union under Art. 10a of the Constitution; this exceeded the scope of
the transferred powers, and was ultra vires».
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popolo tedesco per legittimare democraticamente nuove forme dell’integrazione tra diversità
nazionali che diano vita ad una superiore unità politica e giuridica europea, testimoniando al
meglio l’autentica (contestuale) prospettiva di Europarechtsfreundlichkeit a tracciare il nuovo
equilibrio tra primazia del diritto dell’Unione e supremazia delle Costituzioni nazionali e (tra
identity review e ultra vires review) attestare, nel più alto punto di equilibrio delle pronunce
Lisbona e Honeywell, la disponibilità a riconoscere alla fine di quel processo perfino
un’eventuale supremazia alla Corte di giustizia europea92.. Ben diversamente, dall’altro, la
Corte di Brno sembra (ri)leggere identity review e l’ultra vires review non tanto alla luce di un
principio di Euro-conformità conforme a Europarechtsfreundlichkeit, e con il medesimo
favore per il diritto europeo del Tribunale di Karlsruhe, ma invece rendendolo miope alla più
efficace e costituzionalmente effettiva protezione della sovranità ceca.
In tal senso, piuttosto che subordinare il proprio controllo alle due condizioni
dell’evidenza dello sconfinamento e della impossibilità di conseguire una tutela giurisdizionale
a livello dell’Unione, e verificare se gli atti degli organi e delle istituzioni europee si
mantenessero nei limiti dei diritti di supremazia conferiti tramite attribuzione specifica limitata
solo quando avesse avuto la certezza di trovarsi nell’impossibilità di ricevere quella tutela,
rispettando il principio di sussidiarietà del diritto dell’Unione, e garantendo per tale via il
principio di leale collaborazione (art. 4, n. 3, TUE), la Corte profitta di un ricorso dal carattere
92 Esemplarmente, la lettura proposta nella sentenza Lisbona del rapporto tra individuo e comunità (al plurale)
valorizza la complementarietà dell’uno e dell’altra in una prospettiva di autentica sussidiarietà posta a fondamento
della stessa Costituzione e conduce la Corte tedesca (la quale affronta così il problema della crisi di ordine che è
delle società postmoderne e insieme degli stati nazionali), a legare lo stato costituzionale tedesco con altri stati che
condividono il fondamento nei valori di libertà ed eguaglianza e la cui identità giuridica dei rispettivi ordinamenti è
basata sulla centralità della dignità dell’uomo. È questo un punto fondamentale, giacché segna profondamente la
crisi della coscienza europea, dello ius publicum europaeum con tutte le sue categorie concettuali, e dell’identità
nazionale (intesa anche essa al plurale, nella molteplicità degli Stati membri dell’Unione), ed evidenzia che solo
così si può acquisire la necessaria capacità di agire in relazione alle forme imposte dalla complessità della
mondializzazione postmoderna, rispetto alla quale è pure sussidiaria la forma aperta assunta dalla statualità. C’è qui
chiaramente la consapevolezza degli stati nazionali costituzionali democratici contemporanei di essere capaci di
esercitare una influenza costruttiva su una società sempre più mobile e organizzata in reti, le cui maglie non
conoscono i confini della sovranità territoriale, solo attraverso una co-operazione che riesca a coniugare e
salvaguardare ad un tempo l’interesse proprio e quello comune, senza il quale ultimo, dunque, il primo non può
essere raggiunto – e dunque è opportuna una sua valorizzazione già su un piano (meramente) funzionale ed anche
puramente utilitaristico. In questo senso si veda il par. 221. Già nella Maastricht Urteil, peraltro, il Tribunale
costituzionale federale aveva osservato in direzione analoga che ogni «adesione a una comunità di Stati implica che
ciascuno Stato membro sia vincolato alle sue decisioni. Questo Stato – e con esso i suoi cittadini – acquista tuttavia
anche nuovi poteri di influenza con la partecipazione alla formazione della volontà della comunità diretta al
perseguimento dei fini comuni – e quindi anche propri; tale volontà è vincolante per tutti gli Stati membri e
presuppone quindi anche da parte loro il riconoscimento del proprio vincolo».
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evidentemente ipotetico93 per pronunciare il suo duro giudizio di condanna.
Nei confronti della Corte di giustizia la Corte costituzionale ceca lamenta non solo il
carattere ultra vires della pronuncia C-399/09, ma anche la violazione delle regole del giusto
processo. In questo senso, essa rileva come la Corte di Lussemburgo abbia ammesso le
osservazioni del governo ceco contrarie alla propria giurisprudenza in materia e invece abbia più
tardi rifiutato le proprie, che l’avrebbero aiutata a fare la chiarezza della quale le stesse parole
usate dall’avvocato generale denunciano la mancanza nel caso di specie. Rincarando la dose,
inoltre, la Corte prosegue ricordando l’uso abituale dell’istituto dello “amici curiae” da parte
della Corte nei procedimenti su questioni pregiudiziali, il che renderebbe a parer suo ancora
meno comprensibile la risposta della Corte, che non ha ritenuto ammissibili le osservazioni della
Corte di Brno perché provenienti da chi non era parte nel procedimento, in un caso così
complesso e nel quale un governo aveva assunto una posizione contrapposta alla propria Corte
costituzionale e contraria alla Costituzione. Tale conclusione non può perciò che essere letta,
conclude la Corte costituzionale, come una violazione del principio “audiatur et altera pars”.
La lettura della norma (art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia) non dà tuttavia
ragione delle contestazioni della Corte e anzi la sua chiarezza potrebbe suggerire di ritenere
che tali accuse alla Corte abbiano, più che il carattere di una reazione scomposta a parole che
peraltro avrebbero forse essere meglio calibrate all’interlocutore, la funzione di risolvere in
campo esterno la questione di un presunto sconfinamento costituzionale dei Poteri cechi e
insieme nascondere un “peccato originale” che per attuare il proprio piano la stessa ha dovuto
commettere. Non si vede, in tal senso, perché il Giudice della costituzionalità ceco abbia
scelto, se non come ultima ratio per le ragioni domestiche di cui si è detto, di non porre esso
stesso una questione pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, provando magari a fare valere
le ragioni particolari del caso, circostanze storiche, contesto costituzionale e istituzionale
domestico, per chiedere alla luce dei principi invocati sulla base della Carta dei diritti
fondamentali ceca un’eccezione in ordine ad una stretta applicazione del diritto dell’Unione.
E non abbia ritenuto utile, piuttosto che interrompere il dialogo tra Corti giudicando ultra
vires la pronuncia della Corte, provare a fare valere la clausola di identità nazionale insita
93 Dato che, come già segnalato, il ricorrente signor Holubec riceve una pensione maggiore di quella che
riceverebbe se la pensione fosse calcolata sulla base della fictio che entrambi i periodi andrebbero computati
secondo il sistema previdenziale ceco.
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nella struttura fondamentale, politica e costituzionale sancita dall’articolo 4, par. 2 TUE94 per
chiedere che fosse nel caso consentita un’applicazione meno rigorosa del diritto europeo.
Altri elementi suggeriscono di osservare criticamente il superamento di un altro tassello
del preciso mosaico disegnato dal Tribunale di Karlsruhe: sembra infatti venire meno quello
stretto dovere di coordinarsi con il compito di interpretare e applicare i Trattati
convenzionalmente rimesso alla Corte garantendo coerenza e uniformità del diritto
dell’Unione. Al contrario, invece, la Corte dimostra di applicare con poca lucidità il diritto
dell’Unione: è vero che l’articolo 20 della Convenzione tra Repubblica ceca e Repubblica
slovacca è inserito nell’allegato III del Regolamento n. 1408/71 ma tale allegato è diviso in
due sezioni, rispettivamente contrassegnate dalla lettera A e B. Nel primo sono rassegnate le
“Disposizioni di convenzioni di sicurezza sociale che rimangono applicabili nonostante
l’articolo 6 del regolamento [articolo 7, paragrafo 2, lettera c) del regolamento” mentre nel
secondo quelle “Disposizioni di convenzioni il cui beneficio non è esteso a tutte le persone
cui si applica il regolamento (articolo 3, paragrafo 3, del regolamento)”: ne consegue, come
peraltro è già stato opportunamente segnalato in dottrina, che le (disposizioni delle)
Convenzioni inserite nell’allegato III, lettera A, non consentono di operare delle
discriminazioni nella previsione di un beneficio, così violando il consolidato principio di
diritto europeo, mentre questo è possibile per quelle inserite alla lettera B dell’allegato che già
prevede esso stesso tale circostanza95. Dunque, in breve, la Corte legge il regolamento
distorcendone la lettera – anche se, è in ciò spinta ancora una volta dal conflitto istituzionale
94 ZBÍRAL, A legal revolution or negligible episode? Court of Justice decision proclaimed ultra vires, cit., p. 12,
ricorda il sostegno a questa tesi di certa dottrina (per la quale si veda la nota 46) e in particolare l’opinione del
precedente Avvocato generale, il quale ha osservato che “The preservation of national constitutional identity can
also enable a Member State to develop, within certain limits, its own definition of a legitimate interest . . . “; in
Maduro, Case C-213/07, Michaniki, [2008] ECR I-9999, para 32. 95 Ibidem, pag. 10, l’A. Osserva in particolare: «Annex III of the Regulation is divided into two parts titled “A”
and “B”. Conventions in section A are valid notwithstanding the Regulation, but otherwise must comply with all
basic principles of EU law, including the principle of non-discrimination. Conventions mentioned in part B
however apply only to certain categories of persons and thus may discriminate. The C-S Treaty is located in part
A of Annex III, which means the nature of relevant articles could not be interpreted totally outside the scope of
Regulation and EU law generally. Of course, the Czech Government could have taken an opportunity to
negotiate inclusion of the C-S Treaty in section B,35 but given its stance on the issue there was probably never
such an attempt. Be that as it may, either the CC did not explore the details of the Regulation closely enough or it
simply intentionally overlooked certain points». Nello stesso senso, si veda KOMAREK, Playing with matches:
the Czech Constittutional Court’s ultra vires revolution, in http://ukconstitutionallaw.org/2012/02/22/jan-
komarek-playing-with-matches-the-czech-constitutional-courts-ultra-vires-revolution/.
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in atto nel quale pare costretta in una posizione di isolamento, e in particolare dal fatto che il
governo ceco si è comunque ben guardato dal provare a negoziare l’inclusione del Trattato
nella lettera B dell’allegato per risolvere l’impasse.
Anche il percorso logico lungo cui si sviluppa l’obiezione in ordine alla considerazione
dovuta (e non avuta) della particolarità di situazioni giuridiche nascenti dal processo di
dissoluzione di uno stato con un uniforme sistema previdenziale e pensionistico rispetto a
quelle derivanti dal diritto di libero movimento dei cittadini europei96 è condizionato da
analogo vizio. All’esatto contrario di quanto affermato dalla Corte, infatti, chiaramente si
esprime la lettera c) del secondo paragrafo dell’articolo 7 del Regolamento97. Karlsruhe
insomma sembra ben lontana, nessun atteggiamento permette di scorgere ogni benché minimo
tentativo di risolvere le rare tensioni che si dovessero generare con il dovuto spirito di
collaborazione che caratterizza l’idea di integrazione europea e disinnescarle attraverso un
atteggiamento di reciproca attenzione, come afferma la motivazione della sentenza
Honeywell. Non si vede per quanto appena esposto moderazione ed amicizia nell’esercizio
del potere di controllo, come ancora prescrive a se stessa la Corte tedesca; non è
assolutamente chiara ai Giudici di Brno l’idea che la violazione deve essere sufficientemente
qualificata, dunque rivestire una importanza notevole sotto il profilo della ripartizione delle
competenze98. E, infine, manca ogni idea di quella tolleranza degli errori della Corte di
giustizia che nel disegno del Tribunale di Karlsruhe sembra un altro caposaldo del leale
rapporto di collaborazione tra Corti sussidiarie...99.
Ancora una volta, nell’Europa a ventisette, che affronta gli odierni giorni di crisi
globale, si avverte insomma l’opportunità di una riflessione priva di qualsiasi ipocrisia sullo
stesso ruolo e confini che sono assegnati alla funzione giurisdizionale costituzionale
nell’Unione europea dopo il fallimento del progetto di Trattato che adotta una Costituzione
96 Per le quali si veda la nota 81. 97 Articoli che infatti include tra le disposizioni internazionali non pregiudicate dal Regolamento: «c) talune
disposizioni delle convenzioni di sicurezza sociale concluse dagli Stati membri prima della data di applicazione
del presente regolamento, a condizione che siano più favorevoli per i beneficiari o se connesse a circostanze
storiche specifiche e con un effetto limitato nel tempo, e purché siano menzionate nell’allegato III». 98 Non ne scorgo il carattere nel caso in questione, né v’è traccia di queste doverose preoccupazioni in
motivazione, ad ogni modo... 99 E imporrebbe alla Corte (almeno a quella di Karlsruhe...) di non sostituire la propria interpretazione a quella
della Corte di giustizia nelle questioni di interpretazione del diritto dell’Unione che danno vita a divergenze
all’interno di un metodico ragionamento giuridico.
Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dell’Università Kore di Enna
per l’Europa e l’adozione del Trattato di Lisbona. Tra modelli che promuovono la dimensione
dell’integrazione e della comune appartenenza e modelli in cui le rivendicazioni sovrane delle
diverse identità politiche e costituzionali nazionali sembrano tradursi nella forma di
asimmetrie disegnate dalle rispettive giurisdizioni costituzionali, talvolta con scarso rigore e
pressoché nessun self restraint...100
100 In questa direzione, va ribadita da ultimo la indomita determinatezza della Corte suprema amministrativa
nella propria radicale contrapposizione alla Corte costituzionale, cui pure spetterebbe nell’ordinamento ceco la
funzione di giudicare sulla costituzionalità (ri)componendo l’unità dell’ordinamento medesimo. Invece,
reagendo alla sentenza Holubec e traendo spunto da un nuovo caso in materia di pensioni slovacche, la Corte
amministrativa ha deciso di sottoporre una nuova questione alla Corte di giustizia, che in sostanza pone i
seguenti interrogativi: 1) Does the Regulation exclude from its personal scope a citizen of the Czech Republic,
whose pension periods before 1993 are Slovak according to the C-S Treaty and Czech according to the CC?
2) Does the EU law (including Arts. 18 TFEU and 4(2) TEU) preclude favourable treatment of Czech citizens
under the specific circumstances invoked by the CC? Infine, in caso di risposta affermativa: 3) has the SAC the
duty to follow the legal view of the CC, if that view seems to be incompatible with the ECJ interpretation of EU
law? Il che sembra riproporre sovra e contrapposizioni tra teoria monista e dualista degli ordinamenti pure se
nelle forme e tempi meno utili all’identità europea quale unità nella diversità di permanenti identità giuridiche e
politiche nazionali. Un elemento che sembra invece giustificare il sollievo di chi sin d’ora sottolinea la speranza
di un ormai prossimo nuovo corso della giurisdizione costituzionale ceca è la scadenza del mandato di 11 dei 15
Giudici alla fine del 2013 – e certo non è privo di rilievo il fatto che l’elezione spetti al Senato su proposta del
Presidente della repubblica e il mandato dell’attuale Presidente Klaus, protagonista di tante resistenze all’Europa
di Lisbona, scadrà nel marzo 2013.