Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano · 2015. 12. 11. · nendo che «la forma...

16
[1] 55 ARTURO FARINELLI E LE ORIGINI DELL'ISPANISMO ITALIANO di Antonio Gargano 1. Dal «demonio della melanconia» al «senso d'un operare» In un convegno che gli organizzatori hanno doverosa- mente dedicato alla memoria di un maestro, la cui sola pre- senza dava senso al nostro operare, che mi sembra la meno precisa e più viscerale definizione di maestro, mi sia con- cesso di esordire nel nome dei due studiosi la cui opera ha maggiormente segnato gli studi letterari del secolo, anch'esso avviato alla fine. Gianfranco Contini, alludendo all'autoconfessata disperazione o «angoscia» del giovane Croce, e ripensando agli inizi eruditi dei suoi studi, ha scritto che «la prima calma che il Croce consegue in questa vita umile e frugale di frequentatore di archivi è nella coinci- denza con fatti precisi, nel senso d'un operare». Ma poiché i frutti di un tale operare «non diedero al Croce la pace del- l'autosufficienza», allora «l'inquietudine si traduce nell'i- stanza d'una giustificazione, nella necessità di aggiungere al fatto la coscienza del fatto. Di qui la prima, e decisiva, domanda speculativa del Croce, alla quale germinalmente va ricondotta la sua intera attività: che cos'è quest'attività sto- riografica che esercito? perché studio storia» 1 . La risposta a tali domande sarebbe arrivata con l'inizio esatto del nostro secolo, tra il 1900, anno in cui Croce pubblica le Tesi fonda- mentali di un'Estetica come scienza dell'espressione e lingui- 1 G. Contini, La parte di Benedetto Croce nella cultura italiana, Einaudi, Torino, 1989, pp. 8-9.

Transcript of Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano · 2015. 12. 11. · nendo che «la forma...

  • [1] 55

    ARTURO FARINELLIE LE ORIGINI DELL'ISPANISMO ITALIANO

    diAntonio Gargano

    1. Dal «demonio della melanconia» al «senso d'un operare»

    In un convegno che gli organizzatori hanno doverosa-mente dedicato alla memoria di un maestro, la cui sola pre-senza dava senso al nostro operare, che mi sembra la menoprecisa e più viscerale definizione di maestro, mi sia con-cesso di esordire nel nome dei due studiosi la cui opera hamaggiormente segnato gli studi letterari del secolo,anch'esso avviato alla fine. Gianfranco Contini, alludendoall'autoconfessata disperazione o «angoscia» del giovaneCroce, e ripensando agli inizi eruditi dei suoi studi, ha scrittoche «la prima calma che il Croce consegue in questa vitaumile e frugale di frequentatore di archivi è nella coinci-denza con fatti precisi, nel senso d'un operare». Ma poichéi frutti di un tale operare «non diedero al Croce la pace del-l'autosufficienza», allora «l'inquietudine si traduce nell'i-stanza d'una giustificazione, nella necessità di aggiungere alfatto la coscienza del fatto. Di qui la prima, e decisiva,domanda speculativa del Croce, alla quale germinalmente varicondotta la sua intera attività: che cos'è quest'attività sto-riografica che esercito? perché studio storia»1. La rispostaa tali domande sarebbe arrivata con l'inizio esatto del nostrosecolo, tra il 1900, anno in cui Croce pubblica le Tesi fonda-mentali di un'Estetica come scienza dell'espressione e lingui-

    1 G. Contini, La parte di Benedetto Croce nella cultura italiana,Einaudi, Torino, 1989, pp. 8-9.

  • 56 Antonio Gargano [2]

    stica generale, e il 1902, l'anno della prima edizione dell'ibe-rica. Ma già nell'ultimo decennio del secolo precedente, nelpieno degli studi eruditi, non erano mancati tentativi dirisposta, per esempio quello costituito da Critica letterariadel 1894, di cui è lo stesso Croce a illustrarci la genesi neiseguenti termini:

    E solamente per un'altra di quelle spinte improvvise e irresistibili, di quelleaccensioni involontarie, quasi a dar forma più ampia e precisa a una discus-sione che avevo avuta durante la villeggiatura con un amico professore difilologia, scrissi sul finire del '94, rapidamente, in un paio di settimane, unlibricciuolo polemico sul metodo della Critica letteraria o sulle condizionidi essa in Italia, che mise a rumore quel piccolo mondo e mi cacciò in moltebrighe, le quali durarono parecchi mesi2.

    Non v'è dubbio che nell'«amico professore di filologia», dob-biamo riconoscere Arturo Farinelli, il quale in una letteraredatta alla fine dell'estate del '94, e indirizzata a MenéndezPelayo, scrive con malcelato compiacimento:

    il Croce dico, che dispone di un'infinità di milioni, ha voluto villeggiare aInnsbruck per essere con me ed avere un po' migliore contezza della lettera-tura spagnola, che conosce assai superficialmente3.

    A varie centinaia di chilometri da Napoli, nella montagnosae solitaria Innsbruck, un italiano di appena un anno più gio-vane del Croce — era, difatti, nato a Intra, in provincia diNovara, nel 1867 — mitigava l'indole sua melanconica conla musica germanica, e intanto confessava che «il demoniodella melanconia stende le ali sue nere e tetre anche su dime. Vivo in continue lotte invocando talora che questo miopovero cuore mi venisse strappato»4. Così scriveva ArturoFarinelli, ormai prossimo a compiere i trent'anni, all'« illu-stre e caro amico» spagnolo, Marcelino Menéndez Pelayo, col

    2 B. Croce, Contributo alla critica di me stesso (1915), a cura di G.Galasso, Adelphi, Milano, 1989, p. 32.

    3 Epistolario de Farinelli y Menéndez Pelayo (a cura di E. SánchezReyes), in «Boletín de la Biblioteca Menéndez Pelayo», XXIV (1948), pp.115-272; la citazione a p. 145.

    4 Lettera del 18-11-97, in Epistolario cit., p. 180.

  • [3] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 57

    quale aveva intrapreso una fitta corrispondenza epistolarecinque anni prima, ossia all'indomani del conseguimentodella laurea all'Università di Zurigo. Né è troppo azzardatosupporre che il giovane emigrato trovasse una salutaredistrazione dal possente demone nell'intensa frequentazionedi archivi e biblioteche, donde con notevole profitto traevail ricco materiale per i suoi studi eruditi. Ma proprio comeaccadeva al Croce, allo stesso Farinelli riusciva difficile rag-giungere la «calma», o se si preferisce, la «pace dell'autosuf-ficienza», negli studi eruditi. Eloquenti testimoni di ciò sonogli sfoghi epistolari del genere di quello appena citato, e dialtri ancor più significativi, perché legano le vicende perso-nali a quelle professionali. Nella lettera del 27-VI-1898, Fari-nelli informa Menéndez Pelayo della malattia della moglie,e di aver ormai «messo a riposo» ì'Humboldt, vale a dire illavoro su Guillaume de Humboldt et l'Espagne pubblicato aParigi nel marzo dello stesso anno; poi aggiunge:

    Sto scrivendo sulla poesia del dolore, che è la poesia mia propria [...]. Ellanon può figurarsi quanto sia travagliato il mio cuore e di quanto ormai s'ac-costi la filosofia mia alla disperazione •

    Che il problema riguardi, non solo l'oggetto di studio, mache, in qualche modo, investa lo stesso metodo di lavoro, èpossibile arguire da quanto Farinelli aveva scritto al santan-derino due mesi prima — nell'aprile del '98 — quando, sem-pre a proposito del volume sulFHumboldt, sostiene che esso«aspira assai più ad essere lavoro artistico che lavoro eru-dito»6. I termini dell'opposizione (lavoro artistico e lavoroerudito) annunciano fin d'ora «la parabola dell'attività scien-tifica del nostro studioso», nella quale — come ha sostenutocon acume Franco Simone — è possibile trovare «chiara-mente segnate, tanto nei risultati raggiunti come nei progettiintrapresi, le vicende più importanti di quella lotta tra ilmetodo storico-erudito e il metodo artistico-estetico che rap-

    5 Ivi, p. 188.6 Lettera del 26-IV-98, ivi, p. 185.

  • 58 Antonio Gargano [4]

    presentano il fruttuoso contrasto da cui la nuova cultura ita-liana ha tratto non poco della sua esperienza e tutta la suapiù originale maturità»7.

    A questo proposito è di grande interesse la testimonianzadi Luigi Foseólo Benedetto il quale, dopo aver constatato cheFarinelli si opponeva al metodo storico-erudito «in nomedella personalità», e che da tale opposizione si potrebbededurre che «anche nella roccaforte del metodo [ossia, nel-l'Università di Torino] era penetrata la crisi», contro questistessi argomenti sostiene che

    Quella opposizione aveva — nessuno ne ha mai dubitatoo — delle radici pro-fonde nel suo spirito, uno spirito che vibrava al solo suono di certe parole:libertà, interiorità, creazione, lirismo. Ma ne annullava egli stesso la portataeffettiva colla sua prassi di studioso. Mentre fallivano i suoi sforzi per affer-marsi egli stesso come grande critico-artista, come creatore, restava impo-nente, di un'imponenza potrebbe dirsi titanica, la sua attività di erudito.Cercava, sì, di liricizzare formalmente la sua erudiziene. S'illudeva in quellamaniera di nasconderla un poco, di armonizzarla in qualche modo col nuovoclima culturale e col tipo di maestro a cui aspirava. Ma non riusciva a rinun-ciarvi, a trascenderla. Intuiva forse egli stesso ch'era li solamente la suaforza. I seguaci aperti del metodo storico, i colleghi che lo avevano chiamatopresso di loro a Torino, sapevano bene à quoi s'en tenir sui suoi atteggia-menti di ribelle. Versasse pure, se credeva, a parole, su tutto ciò che peril metodo era più sacro il disprezzo. L'importante era che il metodo avevain lui, praticamente, a dispetto di tutti, uno dei suoi artieri più formi-dabili8.

    È forse difficile scegliere tra l'immagine dell'erudito suomalgrado, offertaci da Luigi Foseólo Benedetto, e quelladello studioso dibattuto tra fedeltà alla scuola storica e aspi-razione alla critica estetica, propostaci da Franco Simone.Forse contengono entrambe una parte di verità. Il fatto è cheFarinelli non arrivò mai a porsi seriamente quella «prima edecisiva, domanda speculativa» che Contini ha congetturatoalla base dell'intera attività del Croce: «che cos'è quest'atti-

    7 F. Simone, Arturo Farinelli studioso europeo (1953) in Letteratura ita-liana. I critici, Marzorati, Milano, 1969, voi. II, p. 1247.

    8 L.F. Benedetto, Ai tempi del metodo storico (1951), parzialmenteriprodotto in Letteratura italiana. I critici cit., p. 822-3.

  • [5] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 59

    vita storiografica che esercito? perché studio storia?». Dallemancate risposte a una domanda mai postasi consegue, a mioparere, che l'opera di Farinelli, nell'arco di più di mezzosecolo d'intensa attività, oscilli tra la debordante costruzioneerudita che nasce per accumulo di «notizie sconnesse e inani-mate» — come lo stesso Croce ebbe a definire la sua propriaricerca erudita9 — e quelle vaste opere di letteratura compa-rata della piena maturità, alle quali la mancanza di una sicuraconcezione estetica10, che fu anche e soprattutto mancanza diuna solida concezione storica, impedì comunque di poter aspi-rare al rango di storia culturale. A entrambe le soluzioni fecepoi spesso da facile scorciatoia il proporsi di un «artisticointendimento»11, che si traduceva nella ricerca di una formaartistica, a proposito della quale proprio Benedetto Croce nonperse l'occasione di esercitare una sferzante ironia soste-nendo che «la forma artistica di un catalogo è il catalogo, laforma artistica di una bibliografia la bibliografia»12.

    2. Farinelli ispanista e le relazioni letterarie tra Spagna e Italia

    Venendo ora all'ispanismo di Farinelli, all'ambito forsepiù noto ma non certo unico della sua attività, non credo disbagliare molto se dico che i lavori ispanistici ebbero la loroorigine e, in buona misura, la loro stessa realizzazione neglianni 1892-1907, coincidendo così col quindicennio del suo

    9 Croce, Contributo cit., p. 31.10 Tale opinione si trova espressa in G. Marzot, La critica e gli studi di

    letteratura italiana, in C. Antoni e R. Mattioli (a cura di), Cinquant'anni divita intellettuale italiana 1896-]936,Edìzioni Scientifiche Italiane, Napoli,19662, voi. I, pp. 497-578, in partt. p. 565. Cfr. anche L. Strappini, MarteArturo Farinelli, in Scrittori e critici di fine Ottocento, II Salice, Potenza,1992, pp. 197-200, con bibliografia finale sul Nostro.

    11 Così, per esempio, nella prefazione a Dante e la Francia dall'etàmedia al secolo di Voltaire, Hoepli, Milano, 1908.

    12 B. Croce, Conversazioni critiche. Serie seconda, Laterza, Bari, 19504,p. 188. Sull'episodio, cfr. anche O. Macri, Varia fortuna del Manzoni in terreiberiche (con una premessa sul metodo comparatistico), Longo, Ravenna,1976, pp. 8-9.

  • 60 Antonio Gargano [6]

    soggiorno austriaco, dal trasferimento a Innsbruck — nell'ot-tobre del '93 — come professore della Handelsacademie finoal definitivo rientro in Italia nel 1907, quando gli fu asse-gnata la cattedra di letteratura germanica all'Università diTorino. Non è dunque un caso che una significativa cesuranei suoi studi d'ispanistica cada proprio in quest'ultimoanno, dal momento che l'impegno assunto presso l'ateneotorinese lo costrinse ad acquistare — come egli stesso testi-monia ancora nel 1910 — «coi lavori e l'assiduo studio quel-l'autorità indispensabile per far fruttare e rispettare la [...]nuova cattedra di germanistica»13. L'interesse per la Spagnanasce, comunque, ancor prima del 1892, e risale almeno al1887, quando si manifesta con un episodio che è in perfettaconformità col carattere del nostro autore, e che ha fatto par-lare qualcuno di autentica «vocazione»14. Farinelli era statodifatti avviato agli studi commerciali e scientifici contro ilsuo desiderio; dopo aver frequentato per un paio d'anni ilPolitecnico di Zurigo, decise di realizzare il suo sogno: nel-l'ottobre dell'89, ventenne, fuggì a Barcellona, e vi rimasefino al maggio dell'anno successivo. Rientrato in patria ericonciliatosi con la famiglia, gli fu permesso di iscriversialla Facoltà di filosofia e filologia romanza e germanica del-l'Università di Zurigo. «Per passione di gioventù, ho sceltola Spagna come campo dei miei studi»15, confesserà qualchetempo più tardi, nel 1892, quando pubblica la sua tesi di dot-torato col titolo Die Beziehungen zwischen Spanien und Deut-schland in der Litteratur der beiden Lànder, a cui seguiranno— fino al 1895 — altre tre parti. Tralasciando numerosilavori minori, risulta evidente che gli studi ispanistici diFarinelli coprono cinque distinti terreni d'indagine: le rela-zioni letterarie tra Spagna e Germania, quelle tra Spagna e

    13 Lettera del 24-XII-1910, in Epistolario cit., p. 270; e cfr. anche la let-tera del 10-1-1908; «La nomina per la germanistica(!) a Torino fu un bened'una parte, riducendomi in patria [...], ma dall'altra mi turbò negli studi,m'obbligò ad infiniti nuovi viaggi, a lezioni completamente nuove» (p. 245).

    14 Così, per esempio, A. Polvara, La critica di Arturo Farinelli, in Lette-ratura italiana. I critici cit., p. 1258.

    15 Lettera del 22-VII-1892, in Epistolario cit., p. 116.

  • [7] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 61

    Italia, la Vita è sogno, il Don Giovanni, e le relazioni di viaggiin terre iberiche. Poiché nel tempo a mia disposizione misarebbe stato impossibile dar conto di tutti e cinque i settori,ho deciso di occuparmi unicamente di quello riguardante lerelazioni letterarie col nostro paese, con la limitazioneaggiuntiva di mettere a fuoco tre sole questioni, dalla tratta-zione delle quali spero di poter ricavare qualche utile indica-zione circa la cronologia, il modo di lavoro e il contesto intel-lettuale di un'opera che si colloca alle origini dell'ispanismoin Italia.

    L'opera di Farinelli maggiormente nota agli ispanisti è,con ogni probabilità, Italia e Spagna, uscita nel 1929 in duevolumi nella collana «Letterature Moderne», da lui stessodiretta. Il progetto dell'opera risale però a quasi un quartodi secolo addietro, posto che in una lettera datata 23 febbraio1906 l'autore scrive al Menéndez Pelayo: «Un gran volumeconterrà con nuovi lavori, quelli antichi che giustificherannoil titolo Italia e Spagna»16. E il proposito viene rinnovato inuna lettera di tre anni posteriori, nella quale Farinelli, dopoessersi riferito alle continue «preghiere perch'io raccolga inalcuni volumi i miei poveri studi sparsi di Relazioni, e dopoaver espresso l'intenzione di raccogliere in prima istanza lenote sulla diffusione di Calderón in Germania, annuncia divoler «preparare fra due anni colla roba fatta, le aggiuntee qualche altro saggio [...] un volume: Italia e Spagna. Criti-che e Note»17. Non due, ma vent'anni dovrà invece attenderela realizzazione del progetto; e quando ciò avverrà, nei duevolumi di Italia e Spagna le novità («qualche altro saggio»,come si esprime nella lettera) saranno davvero minime,essendo limitate a un unico lavoro, quello costituito dalla cri-tica all'edizione del '17 del libro di Croce su La Spagna nellavita italiana durante la Rinascenza, e che peraltro Farinelliaveva già pubblicato nel «Giornale storico della letteraturaitaliana» del 1918. Con l'esclusione di tale lavoro, i due grossivolumi contenevano pertanto «roba fatta», ossia studi già

    16 Epistolario cit., pp. 233-4.17 Ivi, p. 249.

  • 62 Antonio Gargano [8]

    scritti e pubblicati fin dal tempo della prima delle due lettereal Menéndez Pelayo — quella del 1906 —, dove annunciavail progetto. Consultando poi le singole date di pubblicazionedei dodici lavori raccolti in Italia e Spagna — ivi compresii tre che compongono l'appendice —, si scopre che la stra-grande maggioranza di essi risale al decennio a cavallo trai due secoli, 1894-1906. Agli stessi anni appartiene, inoltre,il lungo studio sulla diffusione di Dante in Spagna pubblicatonel 1905 nel «Giornale storico della letteratura italiana», eche se non lo si ritrova in Italia e Spagna, è perché era giàconfluito nel volume Dante in Spagna, Francia, Inghilterra,Germania, che è del 1922.

    L'interesse di Farinelli per le relazioni letterarie tra Spa-gna e Italia ha un luogo e una data di nascita precisi: Parigi1891, come si desume dalla prima lettera al MenéndezPelayo, inviata da Zurigo nel luglio del '92, dove Farinellirivela che «è [...] dal Morel-Fatio ch'io ebbi la spinta allo stu-dio delle relazioni tra la Spagna e l'Italia, che iniziai aParigi»18. In effetti, il nostro autore, dopo aver conseguitola laurea nel '90, aveva soggiornato nella capitale franceseper perfezionarsi alla scuola di Gastón París. Eppure queglistudi avviati sotto così autorevole «spinta», nell'estate del '92sembravano ancora lontani dalla realizzazione, dal momentoche venivano rimandati a «quando la fortuna mi vorrà conce-dere un posto che non m'incagli nel mio lavoro»19, così siesprime Farinelli nella stessa lettera prima citata. Senonchénell'autunno dello stesso anno, si trasferisce a Innsbruck,dove «no puedo continuar mis estudios sobre Italia y Españaque empecé en Paris bajo la dirección de mi docto amigo ymaestro Morel-Fatio»20, scrive ancora al Menéndez Pelayoin una delle rare lettere redatte nella lingua del destinatario.Com'è noto, a Innsbruck Farinelli resterà fino al 1907,eppure i lavori sulle relazioni tra Italia e Spagna sono tuttianteriori a questa data. Cosa spinse Farinelli a cambiare

    18 Ivi, p. 117.19 Ibidem.20 Ivi, p. 122.

  • [9] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 63

    d'opinione circa la possibilità di dedicarsi pienamente a deglistudi, per la realizzazione dei quali egli stesso riteneva didover attendere dalla fortuna la concessione di un «posto»che non lo incagliasse nel lavoro? Se diamo una rapidaocchiata all'insieme dei saggi raccolti in Italia e Spagna e aquello su Dante, appare subito evidente che, oltre alla con-centrazione in un lasso di tempo relativamente breve — ildecennio 1894-1906 — essi hanno in comune un'altra caratte-ristica, quella di essere — nella quasi totalità — delle recen-sioni. Poiché si è deciso di mettere in conto anche quellosulla diffusione di Dante, gli studi da prendere in considera-zione sono tredici, dei quali ben dieci risultano essere origi-nariamente delle recensioni. All'interno di questi ultimi dieciè possibile ulteriormente distinguere due gruppi, il primo deiquali è costituito da tre studi minori, a causa dell'estensionepiuttosto ridotta: si tratta delle recensioni alla monografiadi Mario Schifi sulla biblioteca di Santillana, all'edizione diMorel-Fatio dell'Arte nuevo lopiano, e allo studio di Grasheysu Giacinto Andrea Cicognini21. I restanti sette lavori sonocosì estesi da occupare da soli 800 pagine sulle 1025 totalidi testo, e rappresentano altrettante recensioni ai contributiispanistici di tre studiosi italiani: Sanvisenti e le sue ricerchesulla fortuna dei grandi trecentisti italiani in Spagna22,Croce e i suoi studi sulla presenza spagnola a Napoli e in

    21 Le tre recensioni erano state in precedenza pubblicate, rispettiva-mente, in «Giornale storico della letteratura italiana», L (1906); «Archiv fürdas Studium der neueren Sprachen und Literaturen», CDC (1902); «DeutscheLiteraturzeitung», 1909, N. 26.

    22 B. Sanvisenti, / primi influssi di Dante, del Petrarca e del Boccacciosulla letteratura spagnuola, Milano, 1902. Le note del Farinelli su Petrarcain ¡spagna (nell'Età Media), in Italia e Spagna, Bocca, Torino, 1929, voi. I,pp. 1-88 erano apparse in una prima stesura col titolo Sulla fortuna delPetrarca in ¡spagna nel Quattrocento, in «Giornale storico della letteraturaitaliana», XLIV (1905). Il lavoro su Boccaccio in ¡spagna (sino al secolo diCervantes e di Lope), in Italia e Spagna, I, pp. 89-386, raccoglie due prece-denti lavori: Note sulla fortuna del «Corbaccio» nella Spagna Medievale, inBausteine zur romanischen Philologie. Festgabe f. A Mussafia, Halle, 1905,e Note sul Boccaccio in ¡spagna nell'Età media, in «Archiv für das Studiumder neueren Sprachen und Literaturen», CXIV (1906). Quanto a Dante, lo

  • 64 Antonio Gargano [10]

    Italia in età aragonese e nella rinascenza23, Cian e il suovolume sul Conti e le relazioni italo-spagnole nel Settecen-to24. A questo punto, appare evidente che i contributi diFarinelli sui rapporti letterari tra Spagna e Italia, puravendo la loro origine in un lontano interesse sviluppatosianche per lo stimolo di prestigiosi maestri come Morel-Fatio,tuttavia arrivano a prendere forma concreta solo come unasorta di personale risposta a quanto, nell'ultimo decennio delsecolo, altri studiosi — soprattutto italiani — andavano pub-blicando sullo stesso argomento. Negli studi di Farinelli c'è,insomma, una dimensione contrappuntistica, la quale servi-rebbe anche a spiegare il mistero per cui egli decise di realiz-zare degli studi, che altrimenti — stando alle sue stessedichiarazioni — avrebbe rimandato a tempi migliori. Il fittoepistolario col Menéndez Pelayo, a cui ho fatto spessoricorso, risulta da questo punto di vista molto prezioso,anche perché esso si estende fino alla morte dell'erudito spa-gnolo, venendo così a coincidere in buona parte con queldecennio in cui si concentrano gli studi di Farinelli chestiamo esaminando. Molte di queste lettere contengono inte-ressantissime osservazioni su quegli studiosi e i loro lavori,sui quali Farinelli preparava lunghi articoli-recensio-ni, che a distanza di qualche decennio avrebbero dato corpoai due volumi di Italia e Spagna. Significativa è, per esempio,

    studio su Dante in ¡spagna nell'Età Media, raccolto in Dante in Spagna-Francia-Inghilterra-Germania (Dante e Goethe), Bocca, Torino, 1922, pp.29-195, riproduce con alcuni ritocchi e aggiunte gli Appunti su Dante in ¡spa-gna nell'Età Media in «Giornale storico della lett. it.», 1905. Suppl. N. 8.

    23 La maggior parte delle pagine che compongono le prime tre sezionidel 2° voi. di Italia e Spagna, hanno origine nei lavori recensori del Farinelliagli studi di Benedetto Croce: Primi contatti fra Spagna e Italia, Napoli, 1893(ree. in «Giornale storico della lett. it.», XXIV, 1894); gli studi poi raccoltiin La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza, Latenza, Bari, 1917(ree. in «Rassegna bibliografica della letteratura italiana», II, 1894-8 e III,1895-96); Ricerche ispano-italiane, Pisa, 1900 (ree. in «Rassegna bibliograficadella lett. it.», VII, 1899).

    24 II l ibro di V. Cian, Italia e Spagna nel secolo XVIII. GiovambattistaConti e alcune relazioni letterarie fra l'Italia e la Spagna nella seconda metàdel Settecento, Lattes, Torino, 1896, fu recensito dal Farinelli nel «Giornalestorico della lett. it.», XXX (1897).

  • [11] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 65

    la dichiarazione da parte di Farinelli che «le indagini sui tre-centisti fior in Spagna, io le intrapresi per correggere l'arro-ganza e petulanza del Sanvisenti»25, e in più d'un'altra occa-sione non lesina drastici giudizi negativi contro l'opera:«libro pretensioso quanto vuoto e malissimo», «magrissimoe debol libro», che contiene «nessunissima novità e moltocaos»; e contro l'autore: «petulante quanto ignorante», a cui«manca, oltre la modestia, ogni attitudine al lavoro scienti-fico, scrupoloso e profondo»26. Più «ambigua» — come eglistesso ammette — è invece la sua posizione nei confronti delvolume di Vittorio Cian sulle relazioni tra Spagna e Italia nelSettecento. Da un lato, ama ricordare più volte di aver avutoparte attiva nell'opera, per la quale ha fornito «moltissimomateriale»; dall'altro, quando ormai il volume è alle ultimebozze, si abbandona a una confessione che è un severo giudi-zio sul libro che «non mi soddisfa; lo dico a lei schiettamente.[...] il Cian s'è occupato, troppo poco ed alla sfuggita, di cosespagnuole; le note sono in gran parte rifatte; ma il volumeè ingrossato a furia di tirare e stiracchiare. Manca di conci-sione e di profondità di giudizio»27. Molto più complesso ericco di sfumature fu il rapporto col Croce, di cui ho giàricordato uno degli episodi iniziali, relativo alla villeggiaturadell'estate del '94, in occasione del quale Farinelli esprimevaun giudizio poco lusinghiero sulle conoscenze ispanistichedel giovane studioso napoletano; un giudizio che trova ancorpiù esplicita conferma in una lettera dello stesso anno: «È

    25 L e t t e r a de l 12-11-1906, in Epistolario cit . , p . 228.26 Le citazioni si trovano, rispettivamente, alle pp. 208, 210, 215, 220,

    225 dell'Epistolario cit. Critiche severe non mancarono a Italia e Spagna;tra di esse è forse il caso di menzionare, per l'autorevolezza del recensore,quelle di Américo Castro in «Revista de Filología Española», XVI (1929), pp.66-8. Altrettanto giusto è però ricordare quanto ha recentemente scritto J.Arce: «Sta di fatto comunque che, con tutte le riserve, per sviluppare oapprofondire il tema del Boccaccio in Spagna bisogna partire dal Farinelli»(Boccaccio nella letteratura castigliana: panorama generale e rassegnabibliograjico-critica, in // Boccaccio nelle culture e letterature nazionali. Attidel Congresso internazionale. Firenze-Certaldo, 22-25 maggio 1975, a cura diF. Mazzoni, Olschki, Firenze, 1978, p. 71.

    27 Le citazioni si trovano, rispettivamente, alle pp. 170, 162 e ancora170 dell'Epistolario cit.

  • 66 Antonio Gargano [12]

    peccato che il Croce intraprenda gli studi di relazione sull'I-talia e la Spagna con una conoscenza superficialissima sullaletteratura spagnuola e assai poco preparato»28. Del resto,il velato rimprovero al maestro santanderino, contenuto inuna lettera coeva («Ella fa troppo onore [al Croce] nelle suebelle recensioni nella España Moderna»), si spiega solo sedettato da una neppure troppo celata gelosia professionalenei confronti del proprio connazionale («è quasi ingiusto cheun sol uomo che scrive memoriuccie d'infimo lavoro e dipoca importanza e che si stendono in poche ore — potrei fare500 e più opuscoli io stesso sulla Germania e la Spagna senon mi sforzassi di raggruppare il tutto dietro un'idea princi-pale — occupi quasi tutto il posto in un'unica rivista criticadella Spagna»)29. Purtroppo il tempo a disposizione non mipermette di soffermarmi quanto sarebbe opportuno su que-sto fertile terreno, anche perché in quel che rimane di tempomi corre l'obbligo di trattare brevemente una questione cheho finora tralasciato30.

    Dei tre termini con cui Farinelli aveva definito il pro-getto di Italia e Spagna, vale a dire: «roba fatta, le aggiuntee qualche altro saggio», nulla si è finora detto su quello cheoccupa la posizione centrale. In una lettera spedita da Torinoil 3 dicembre 1908, Farinelli sente di dover giustificarel'«apparente [...] letargia» in cui versano i suoi studi d'ispani-

    28 Lettera del 6-V-1894, in Epistolario cit., p. 137.29 Lettera del 21-VIII-1894, in Epistolario cit., p. 145. Carmelo Samonà

    ha giustamente osservato che nel carteggio col Menéndez Pelayo «si puòosservare lo svolgimento del rapporto con Croce da una diffidenza inizialeverso un vago e poi più deciso riconoscimento di valore» (Calderón e il calde-ronismo agli albori dell'ispanistica italiana, ora in Ippogrifo violento, Gar-zanti, Milano, 1990, p. 235, n. 2; ma si veda, per Farinelli, l'intero paragrafoUn'astrazione: il «calderonismo» di Arturo Farinelli, p p . 235-46).

    30 Che io sappia, non esiste un lavoro monografico sugli studi d'ispani-stica in Italia tra Otto e Novecento, per cui posso solo rimandare a A. Croce,Gli studi di letteratura spagnola, in Cinquant'anni di vita intellettuale cit.,voi. II, pp. 79-96; M. Penna, Menéndez Pelayo y la hispanística italiana, in«Arbor», XXXIV (1956), pp. 503-15. Utili, anche se per i soli Croce e Fari-nelli, sono: G.M. Bertini, Benedetto Croce ispanista, in Benedetto Croce, acura di F. Flora, Malfasi, Milano, 1953, pp. 473-93, e F. Meregalli, MenéndezPelayo, Croce e Farinelli, in «Quaderni ibero-americani», 1965, pp. 99-114.

  • [13] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 67

    stica. E a tal scopo, oltre a invocare «un po' di pace e l'as-setto definitivo di questa mia nuova cattedra di germani-stica», ricorre al seguente argomento: «Io ho una gran quan-tità di note (in gran parte bibliografiche e semplici accenni),disordinatissime purtroppo in aggiunta alle lunghe mierecensioni sui rapporti fra l'Italia e la Spagna»31. Sulla defi-nizione di «recensioni» usata per gli studi che confluirannoin Italia e Spagna si è già detto, per cui possiamo limitarcia considerare le cosiddette «note [...] in aggiunta», che peral-tro l'autore offre generosamente al Menéndez Pelayo, alloraimpegnato nella preparazione di quello che sarà l'ultimovolume della sua famosa Antologia. Note aggiuntive si cono-scono, in effetti, per la quasi totalità degli ambiti di ricercatoccati dal Farinelli. Nell'epistolario col Menéndez Pelayo,più volte fa riferimento alle «numerosissime aggiunte», al«pacco enorme di aggiunte»32 riguardanti il suo primocampo d'indagine, quello delle relazioni letterarie tra Spagnae Germania. Così nella «Bibliografia degli scritti a stampa diArturo Farinelli» condotta fino al 1919, che chiude il volumeL'opera di un maestro, i tre compilatori — Alfero, Amorettie Vincenti — informano spesso dell'esistenza di schede onote aggiuntive a lavori già pubblicati33. Queste «aggiunte»costituiscono la più diretta testimonianza di un modo di pro-cedere nel lavoro e di concepire la ricerca stessa. Accade che,una volta intrapresa una data ricerca, Farinelli soleva perve-nire a un primo risultato, per lo più nella forma del contri-buto da rivista. Il risultato così raggiunto, però, non segnavaaffatto la fine della ricerca, la quale, al contrario, restavaaperta a una lunga serie di ulteriori acquisizioni che, adistanza di anni e perfino di decenni, andavano a riunirsi alprimitivo risultato per dar luogo alla pubblicazione di un'o-pera in uno o più volumi. Quasi sempre testo primitivo enuove acquisizioni venivano sottoposti a un processo d'inte-

    31 Epistolario cit., p. 257.32 Rispettivamenet, nell'Epistolario cit., alle pp. 127 e 144.33 L'opera di un maestro. Quindici lezioni inedite e Bibliografia degli

    scritti a stampa, Bocca, Torino, 1920.

  • 68 Antonio Gargano [14]

    grazione, il quale non si verifica in un unico caso, quello delDon Gioovanni pubblicato nel '46, a soli due anni dallamorte: il volume presenta così, nella prima metà, il testoinalterato del lungo studio pubblicato nel «Giornale storicodella letteratura italiana» del 1896, mentre nella secondametà fa spazio alle «note aggiunte» che l'autore era andatoaccumulando nel mezzo secolo esatto che separa le duepubblicazioni34. Qualunque sia il grado d'integrazioni rag-giunto, non v'è dubbio tuttavia che l'ipertrofia con cui cre-scevano pressoché tutti i lavori di Farinelli può intendersisolo all'interno di un tipo di ricerca la quale, piuttosto cheaspirare a una costruzione organicamente concepita, proce-deva per giustapposizione di elementi o notizie.

    Ma c'è un altro aspetto che rende interessante il mate-riale delle «aggiunte», il fatto cioè che esso avesse una certacircolazione tra gli studiosi. Ho già ricordato l'offerta delle«disordinatissime» note al Menéndez Pelayo, il quale non èescluso che le utilizzasse in qualche modo, dal momento chein una lettera del 27 marzo 1909 scrive al Farinelli: «Heempezado a examinar las curiosísimas notas que tuvo ustedla bondad de confiarme, y al devolvérselas a usted le indicaréalgunos puntos sobre los cuales deseo mayor informa-ción»35. Menéndez Pelayo non fu comunque il solo a cuiFarinelli offrì il suo materiale di lavoro. Ci furono numerosialtri destinatari, verso i quali però — stando alle sue confes-sioni epistolari — l'atteggiamento di Farinelli rivelava qual-cosa di meno nobile, nel senso che all'espressione di gene-rosa amicizia non erano estranei né il rammarico per i costipersonali che essa comportava né una certa aspirazione avedersi riconosciuto il meritorio ruolo di stimolatore e orga-nizzatore degli studi ispanistici italiani. Valga per tutte laseguente dichiarazione: «Siccome a tutti coloro che si occu-parono di rapporti letterari fra una nazione e l'altra, io man-dai sempre le mie note manoscritte [...], così si spiega lameschinità delle mie reliquie»36. In effetti, nell'epistolario

    34 A. Farinelli, Don Giovanni, Bocca, Milano, 1946.35 Epistolario cit, pp. 259-60.36 Lettera del 31-1-1909, in Epistolario cit., p. 258.

  • [15] Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano 69

    col Menéndez Pelayo, non mancano espliciti riferimenti neiriguardi del Cian, del Gorra e del Verrua per i loro lavorid'ispanistica. Particolarmente numerosi e non certo impron-tati alla migliore generosità quelli riguardanti il primo, aproposito del quale Farinelli giunge perfino a quantizzare:«ad alcuni amici, come al Cian, faccio addirittura la metà deiloro lavori; 1/4 dell'anno lavoro per me, i 3/4 per gli altri»37.Se ricordo simili episodi, non è certo per il gusto di indulgerenelle debolezze di un uomo che aveva forse l'unico torto direnderle esplicite, ma perché essi testimoniano ciò che avevogià cercato di mettere in rilievo per altra via: intendo rife-rirmi alla stretta e articolata connessione dell'atività delFarinelli, nei suoi risultati come nel suo svolgersi, con quelladegli altri studiosi italiani interessati alle cose iberiche. Èperciò che, quand'anche volessimo sottrargli tutti gli altrimeriti, sarebbe difficile negargli anche quello bhe egli stesso— non senza presunzione — si riconosceva con le seguentiparole: «Ella vede quanto hanno fruttato in patria le mieesortazioni. Ora molti studiano álacremente la Spagnanegletta fin'ora»38. Eppure a fronte di tanti debiti di gratitu-dine che gli studiosi di cose spagnole andarono contraendocol Farinelli, vorrei concludere ricordando un episodio dicortese ma netto rifiuto, quello nientemeno di BenedettoCroce. Farinelli stesso racconta che nell'estate del '94, chetrascorsero insieme, offrì all'amico napoletano le sue schedesul Seicento e la Spagna: «Lo soccorrevo nella parte biblio-grafica in cui lo vedevo manchevole e gli offrivo tutte le mieschede sul Seicento e la Spagna che, sorridendo, rifiutò.Erano disordinatissime. Non ne avrebbe cavato nessuncostrutto. Io stesso le dovevo trascurare in gran parte»39.Riferendosi a questo stesso aneddoto, Franco Simone si èragionevolmente domandato: «Banale episodio questo, macome non vedere in esso il confronto di due metodi?40 Comenon vederlo, di fatti.

    37 Le t te ra del 10-IX-1895, in Epistolario cit., pp . 168-9.38 Le t t e ra del 10-VII-1895, in Epistolario cit., p . 162.39 A. Far inel l i , Episodi di una vita, Mi lano , 1946, p . 136.40 Op. cit., p . 1251.

  • CampoTexto: AISPI. Arturo Farinelli e le origini dell'ispanismo italiano.