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10 E siste un codice, che non è dei punteggi ma dei linguaggi, che appartiene solo alle ginnaste della nazionale di artistica. E’ il segre- tissimo dizionario d’incitamenti che decodifica la babele del tifo qualifi- cato, quel tifo, cioè, che fanno le ra- gazze del Team Italia quando una di loro è sull’attrezzo. Ad un orecchio esterno possono sembrare insignifi- canti monosillabi o parole strappate all’emozione del momento. Al con- trario, nascondono spesso un’indica- zione tecnica fondamentale, che du- rante la gara è inibita, per regola- mento, agli allenatori. “Mi ricordo, anni fa, una responsabile spagnola che batteva le mani a tempo, per indicare all’atleta il ritmo dell’esercizio – rac- conta Diego Pecar - Mi pare che ven- ne squalificata. Oggi, invece, le giurie sono più permissive nei confronti del- le atlete a bordo pedana. Il tifo è la parte più bella dello sport, se lo repri- mi finisce tutto”. Ma siamo sicuri che questo slang delle Campionesse d’Eu- ropa sia soltanto un modo per aggi- rare una regola e non, piuttosto, un vero e proprio idioma di gruppo? Il dubbio ce lo fa venire Federica Ma- crì quando dice: “ultimamente ci so- no tante piccine, nelle varie società, che quando assistono ad una gara in- ternazionale ci gridano «Dai», «su», «stai», oppure «attenta» o «concen- trata», che sono alcuni dei nostri se- gnali, ma sbagliano il momento o il ti- po di suggerimento. Lo fanno spesso per un istinto emula- tivo o per passione verso lo sport che amano, tuttavia non hanno l’esperien- za per consigliare una ginnasta della nazionale”. In effetti è come se un raccattapalle gridasse a Totti o Del Piero cosa fare ogni volta che hanno il pallone fra i piedi. “Guarda e im- para” si diceva una volta. “Ma non è presunzione – ci spiega Enrico Casel- la – la ginnasta, quando sale sull’at- trezzo, è abituata ad escludere il mon- do circostante, fuorché le compagne”. Immaginate un fischietto ad ultra- suoni. Così chi è in gara sente il pro- prio respiro, il battito del cuore, il tonfo sordo dei piedi sul podio e le voci delle compagne, sintonizzate sulla frequenza segreta della tribù. Intorno, per tutti gli altri, il boato del Palazzetto. “E’ un rito – riprende Ca- sella – una conseguenza della simbio- si raggiunta dalla squadra. L’impor- tante è comprendere e condividere il principio che sta alla base di tutto, quello della condivisione delle regole. “Otta” (Carlotta Giovannini), “Lo” (Lorena Coza), “Mony” (Monica Ber- gamelli), “Vany” (Vanessa Ferrari), “Fede” (Federica Macrì) “Sara” (la Bradaschia), Lia (Parolai) e Francy (Francesca Benolli) per lo staff tecni- co azzurro sono tutte sullo stesso li- vello. Non esistono nel gruppo pri- vilegi o primedonne e non vale il computo delle medaglie vinte. Altri- menti perché Monica Bergamelli, olimpionica a Sydney e ad Atene, avrebbe dovuto accompagnare nel- la rotazione di Aarhus la futura Cam- pionessa del Mondo? Più che a De Coubertain nell’Italia femminile si guarda a Dumas: «Tutte per una e una per tutte». La Macrì, per esem- pio ci svela un retroscena, che testi- monia alla perfezione il TASSO GINNICO presente nel sangue di queste fan- ciulle: Anche da casa, quando rive- do in TV l’esercizio di una mia compa- gna, mi viene da incitare. C’è Carlot- ta sulla trave e dico, a voce alta: «Pen- sa un movimento alla volta», perché so che la sua irruenza a volte la porta Primo Piano ARTISTICA IL CODICE DEI LINGUAGGI Foto di D. Ciaralli

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Esiste un codice, che non è deipunteggi ma dei linguaggi, cheappartiene solo alle ginnaste

della nazionale di artistica. E’ il segre-tissimo dizionario d’incitamenti chedecodifica la babele del tifo qualifi-cato, quel tifo, cioè, che fanno le ra-gazze del Team Italia quando una diloro è sull’attrezzo. Ad un orecchioesterno possono sembrare insignifi-canti monosillabi o parole strappateall’emozione del momento. Al con-trario, nascondono spesso un’indica-zione tecnica fondamentale, che du-rante la gara è inibita, per regola-mento, agli allenatori. “Mi ricordo,anni fa, una responsabile spagnola chebatteva le mani a tempo, per indicareall’atleta il ritmo dell’esercizio – rac-conta Diego Pecar - Mi pare che ven-ne squalificata. Oggi, invece, le giuriesono più permissive nei confronti del-

le atlete a bordo pedana. Il tifo è laparte più bella dello sport, se lo repri-mi finisce tutto”. Ma siamo sicuri chequesto slang delle Campionesse d’Eu-ropa sia soltanto un modo per aggi-rare una regola e non, piuttosto, unvero e proprio idioma di gruppo? Ildubbio ce lo fa venire Federica Ma-crì quando dice: “ultimamente ci so-no tante piccine, nelle varie società,che quando assistono ad una gara in-ternazionale ci gridano «Dai», «su»,«stai», oppure «attenta» o «concen-trata», che sono alcuni dei nostri se-gnali, ma sbagliano il momento o il ti-po di suggerimento. Lo fanno spesso per un istinto emula-tivo o per passione verso lo sport cheamano, tuttavia non hanno l’esperien-za per consigliare una ginnasta dellanazionale”. In effetti è come se unraccattapalle gridasse a Totti o Del

Piero cosa fare ogni volta che hannoil pallone fra i piedi. “Guarda e im-para” si diceva una volta. “Ma non èpresunzione – ci spiega Enrico Casel-la – la ginnasta, quando sale sull’at-trezzo, è abituata ad escludere il mon-do circostante, fuorché le compagne”.Immaginate un fischietto ad ultra-suoni. Così chi è in gara sente il pro-prio respiro, il battito del cuore, iltonfo sordo dei piedi sul podio e levoci delle compagne, sintonizzatesulla frequenza segreta della tribù.Intorno, per tutti gli altri, il boato delPalazzetto. “E’ un rito – riprende Ca-sella – una conseguenza della simbio-si raggiunta dalla squadra. L’impor-tante è comprendere e condividere ilprincipio che sta alla base di tutto,quello della condivisione delle regole.“Otta” (Carlotta Giovannini), “Lo”(Lorena Coza), “Mony” (Monica Ber-gamelli), “Vany” (Vanessa Ferrari),“Fede” (Federica Macrì) “Sara” (laBradaschia), Lia (Parolai) e Francy(Francesca Benolli) per lo staff tecni-co azzurro sono tutte sullo stesso li-vello. Non esistono nel gruppo pri-vilegi o primedonne e non vale ilcomputo delle medaglie vinte. Altri-menti perché Monica Bergamelli,olimpionica a Sydney e ad Atene,avrebbe dovuto accompagnare nel-la rotazione di Aarhus la futura Cam-pionessa del Mondo? Più che a DeCoubertain nell’Italia femminile siguarda a Dumas: «Tutte per una euna per tutte». La Macrì, per esem-pio ci svela un retroscena, che testi-monia alla perfezione il TASSO GINNICO

presente nel sangue di queste fan-ciulle: “Anche da casa, quando rive-do in TV l’esercizio di una mia compa-gna, mi viene da incitare. C’è Carlot-ta sulla trave e dico, a voce alta: «Pen-sa un movimento alla volta», perchéso che la sua irruenza a volte la porta

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IL CODICE DEI LINGUAGGI

Foto di D. Ciaralli

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ad anticipare mentalmente i tempi”.“All’interno di ogni movimento – cispiega Pecar - c’è un istante critico incui l’atleta sa che c’è bisogno dell’in-citamento. E’ un attimo che un occhionormale non coglie e che precede l’e-ventualità dell’errore. Sta lì l’importan-za della parola giusta al momento giu-sto. Il boato del pubblico sulla cadutaarriva nel momento dell’impatto al suo-lo, ma una professionista riconosce lafrazione decisiva che coinvolge spessoanche la fase anteriore al passaggioerrato, l’impostazione del corpo, l’u-scita dall’ultima difficoltà”. Ogni at-trezzo, poi, prevede il suo vocabola-rio. Nelle parallele possiamo sentireespressioni come «giù», «su», «avan-ti», «dura» (nella tenuta del corposulla verticale) «aspetta» ( riferito aitempi dello staggio), «frusta avanti»(nelle gran volte). Il «su», natural-mente vale anche per la trave, doveperò si usa anche «stai», «guarda latrave», «stacco dritto» (per entrarecorrettamente sulle serie acrobati-che) e soprattutto «tranquilla», vistoche questo è l’attrezzo più temutoda ogni ginnasta. «Stoppa» e «pic-chia forte» (quando si esegue unflick), sono invece tipiche locuzionida corpo libero, mentre «stacco»,«braccia dure» (per rimbalzare più inalto) ed «arrivo» hanno senso duran-te la rincorsa del volteggio. Ma c’èuna parola, in particolare, che rias-

sume la gergalità della Ginnastica Ar-tistica ed accomuna tutti coloro, ma-schi e femmine, che praticano que-sta disciplina antichissima. “Se dici«Gamba!» - ci rivela Casella - nel no-stro mondo, ti capiscono anche in Ci-na”. Nessuno sa dire con precisionecome sia nato questo motto che ora-mai fa da tipica “colonna sonora”delle gare di ginnastica artistica, mai più informati sostengono che deri-vi addirittura da un’imprecisata pa-rola giapponese pronunciata duran-te un meeting internazionale alcunidecenni fa. Sta di fatto che oggi«Gamba!» è diventato l’incitamentouniversale per i ginnasti nel momen-to dell’esercizio. Una sorta di globa-

lizzazione ante litteram. Come si fan-no gli auguri al festeggiato o si rivol-ge un “in bocca al lupo” al laurean-do, così si dice «Gamba!», indifferen-temente, alla Ferrari, alla Memmel,alla Cheng o alla Dos Santos primadi salire in pedana. Quello dell’inci-tamento dunque è qualcosa più diun rituale scaramantico o di un com-portamento manieristico. Diventa an-zi un’esigenza inconscia per chi re-spira polvere di magnesio dalla mat-tina alla sera. Basti guardare Lia Pa-

rolai a Trieste, in occasione dell’in-contro con la Russia. La campiones-sa bresciana si era appena infortuna-ta. Per lei sfumava, in una sera di fi-ne estate, il sogno mondiale. Era inpanchina, sul lato del campo di ga-ra. Il viso ancora segnato dal doloree dalla delusione. Ma le labbra nonriuscivano a trattenersi dal pronun-ciare quelle parole magiche. Il suocuore era sull’attrezzo con la compa-gna di turno. Gli occhi brillavano d’a-more per la sua squadra. Un solo cor-po, una sola anima e una poesia gin-nica sussurrata d’istinto: “aspetta, fru-sta avanti, picchia forte,…GAMBA RA-GAZZE!”.

Di David Ciaralli

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Lia Parolari (Foto di D. Ciaralli)

Da sinistra Federica Macrì e Carlotta Giovannini sugli spalti della NRGi Arena di Aarhus (Foto di F. Donati)Da sinistra Federica Macrì e Carlotta Giovannini sugli spalti della NRGi Arena di Aarhus (Foto di F. Donati)

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CONSIDERAZIONI SULLE FORMULE DI GARA

Irecenti Campionati del Mondo cihanno riservato l’entusiasmante af-fermazione di Vanessa Ferrari alla

quale è conseguita una vera esplosio-ne dell’interesse mediatico per la no-stra disciplina. Il succedersi di altrieventi successivi alle competizioni svol-tesi ad Aarhus (cerimonia di consegnadei “Collari d’Oro”, Grand Prix di Mi-lano) hanno poi costituito un favore-vole contesto nel quale si è prolunga-ta quella magica atmosfera creatasi in-torno alle imprese della giovane gin-nasta azzurra.All’attento spettatore non possono es-sere sfuggiti però alcuni aspetti chemeritano serene riflessioni.

GLI ORDINI DI LAVORO

La nostra specialità sportiva richiedeprestazioni con un altissimo contenu-to coordinativo e gareggiare nelle pri-me ore del mattino sicuramente ap-pare in contrasto con i normali ritmidi vita e non favorisce certo la miglio-re espressione tecnica degli atleti. Unallenamento specifico può certamen-te adattare l’organismo per affrontareuna gara in tali orari, ma è anche ve-ro che tutto ciò risulta essere senzadubbio un vero disagio percoloro che sono stati sor-teggiati al tale orario (la

sveglia molto presto, la colazione edinizio del riscaldamento alle 7.00).Quanto ancora una volta, dopo i Cam-pionati del Mondo di Anaheim nel2003 ed i Giochi Olimpici di Atene nel2004, è capitato all’Italia femminile inDanimarca discrimina notevolmentegli atleti e le loro possibili prestazioni,mentre dovrebbe essere garantita atutti la possibilità di esprimersi al me-glio delle loro capacità. Ci auguriamosi possano presto studiare soluzioniche prevedano di non iniziare mai piùle gare prima delle 11.00 (il calenda-rio delle competizioni potrebbe avviar-si un giorno prima?) in modo da con-sentire agli atleti di affrontare il loroimpegno agonistico rispettando i nor-mali ed umani ritmi di vita.

FORMULE DI GARA

L’impegno richiesto ai migliori atleti,quelli che essendo appunto i migliorifiniscono per essere presenti in tutti equattro i Concorsi (Qualificazione, Fi-nale di Squadra, Concorso Generale,Finali di Specialità) è davvero notevo-le e nei recenti Campionati del Mon-do la sezione maschile ha affrontatocinque giornate di gara (di cui due per

le Finali di Spe-

cialità) in otto giorni, mentre per lasezione femminile sempre cinque main sei giorni. Tale gravoso carico, di cuisi deve valutare non solo l’impegno fi-sico, per il quale gli atleti sono allena-ti, ma anche quello psicologico, puòcostituire un limite alla possibilità dieseguire buone prestazioni durante ilprocedere nelle gare successive allaQualificazione. E cioè in quelle più im-portanti, che proprio per questo sonomaggiormente seguite dalle televisio-ni e dai media in genere. Si è potutopoi notare proprio in queste giornatel’elevato numero di errori commessi,il cui picco massimo si è registrato nel-la finale alla sbarra. In queste gare, or-mai da qualche anno, non è più con-cesso nella sala della competizione ilperiodo di prova attrezzo immediata-mente precedente l’inizio dell’eserci-zio. Gli atleti si riscaldano e provanole loro combinazioni in un altro am-biente molto diverso da quello in cuisi svolge la competizione. Per potercontrollare l’andamento ed il buon fi-ne di quanto stanno in quel momen-to eseguendo, agli atleti è necessariauna infinita serie di informazioni tracui alcune tra le più importanti pro-vengono proprio dall’ambiente circo-

stante. Cambia l’am-biente,cambia-no le in-

for-ma-

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zioni afferenti. Il consentire di prova-re un esercizio in un ambiente diver-so da quello in cui si andrà poi a svol-gere la gara non è sufficiente per po-ter offrire agli atleti le condizioni peresprimersi al meglio delle loro capaci-tà. Certo, nessuno può sapere con cer-tezza che gli errori verificatisi dipen-dono proprio dalla mancanza di que-sto importante aspetto, ma tutti inve-ce possono aver notato come l’elimi-nazione di questo periodo utile agli at-leti non sia stata determinante per li-mitare i tempi di durata della rotazio-ne. Più di una volta si sono verificatiinfatti lunghissimi momenti di pausain attesa che la giuria esprimesse ilpunteggio da assegnare. Di certo anessuno piacciono le gare lunghe econ “tempi morti”, ma forse sarebbemeglio non sacrificare le obiettive esi-genze degli atleti e lavorare su altrifronti. Le esigenze delle riprese televi-sive sono un aspetto importante perla promozione del nostro sport, ma sipotrebbe, per esempio, pensare all’in-serimento di spot pubblicitari nei mo-menti dedicati al riscaldamento all’at-trezzo? Negli U.S.A. questa strategiaè stata da tempo applicata con suc-cesso e soddisfazione economica asport le cui gare offrono molte, ripe-tute ed imprevedibili pause (baseballe football americano). Non potrebbefunzionare anche nella ginnastica? Sa-rebbe un tentativo per evitare che leesigenze televisive prendano il totalesopravvento su quelle degli atleti. E’recente la notizia che ai Giochi Olim-pici di Pechino le gare di ginnastica,come quelle del nuoto, si svolgeran-no alle 10.00 del mattino. I net worktelevisivi, preoccupati di poter man-dare in onda le gare in orari utili pergli spettatori del mondo occidentale,hanno offerto cifre difficilmente rifiu-tabili. Il timore è che su tutto preval-gano sempre più gli aspetti economi-ci che valutano dello sport la poten-ziale “audience”, considerandolo co-

sì uno spettacolo come gli altri. Lapreoccupazione è quella che questaottica, diciamo “spettacolare”, travol-ga tutti i valori più profondi dellosport. Ma tornando alle gare, è ovvia-mente convinzione comune che laclassifica finale debba premiare il mi-gliore. Relativamente alle gare di squa-dra, potrebbe sorgere però un dub-bio. Si è davvero certi che l’attuale for-mula della Finale di Squadra, 6-3-3 (sihanno a disposizione sei atleti, se nepresentano ad ogni attrezzo tre ed ipunteggi di questi tre vengono tutticomputati per il punteggio finale)identifichi la squadra meritevole di ag-giudicarsi il titolo in palio? La Qualifi-cazione per la Finale utilizza la formu-la 6-5-4 (si hanno a disposizione seiatleti, per ogni attrezzo se ne presen-tano cinque ed i migliori quattro pun-teggi vengono computati per il risul-tato finale) che di fatto risulta mag-giormente adeguata per identificarela squadra più completa. La formuladella Finale, probabilmente più am-miccante alle esigenze televisive, nonrischia di assegnare il titolo ad unasquadra “più corta” di altre rispettoalla fase di Qualificazione? Non sareb-be meglio, per premiare davvero lasquadra più meritevole, che fosse laQualificazione a permettere il soloschieramento di tre atleti, ma poi, nelmomento in cui si assegna il titolochiedere, a chi potrà fregiarsene, qual-cosa di più rappresentato dalla formu-la 6-5-4?

GIOCHI OLIMPICI

Aarhus ha qualificato le prime venti-quattro squadre al Campionato delMondo che a Stoccarda il prossimoanno selezionerà le dodici ammesse aiGiochi Olimpici di Pechino. In Germa-nia il risultato di un’unica gara decide-rà sul buon esito degli investimenti edel lavoro di tante federazioni. Tuttoviene messo in gioco in una sola pos-sibilità, nella quale peraltro non tutte

le squadre verranno messe nelle me-desime condizioni (turni di lavoro inorario e/o giorni differenti). Se è facil-mente intuibile lo stato di tensione checaratterizza i giorni di un Campiona-to del Mondo qualificante ai GiochiOlimpici, lo è altrettanto immaginareche in tali occasioni, l’unica per anda-re alle Olimpiadi, si possano attivarequei pericolosi meccanismi sempre la-tenti in uno sport a valutazione sog-gettiva. Per evitare che tutto ciò fini-sca per nuocere alla nostra disciplinaed alla sua immagine, ci auguriamo sipossano cominciare a valutare proce-dure di selezione diverse, che possa-no anche tener conto dei risultati ditutto il quadriennio e quindi arginarein tal modo i limiti rappresentati da unsistema di valutazione soggettiva. L’as-sociare alle competizioni più impor-tanti, Campionati del Mondo, Cam-pionati Continentali e Coppa del Mon-do, punteggi “speciali” per la deter-minazione di un “ranking” utile allaqualificazione Olimpica potrebbe in-terpretare un nuovo sistema che vadaa tener conto di tutti i risultati con-quistati da una federazione nell’arcodel quadriennio, e che riesca a “dilui-re” ed “ammortizzare” varie proble-matiche, dagli orari di gara determi-nati dai sorteggi a quelle della valuta-zione soggettiva. Ed una volta giunti,finalmente, ai Giochi Olimpici, appa-re davvero necessaria la Finale di Squa-dra alla quale sono ammesse ottosquadre sulle dodici partecipanti? Al-meno in questa occasione, si potreb-be risparmiare agli atleti tale sovrac-carico e rendere il Concorso I utile an-che per l’assegnazione del titolo disquadra? Siamo certi che la F.I.G., ov-viamente consapevole delle suddetteproblematiche, saprà trovare le oppor-tune soluzioni per il futuro, quando ilprossimo anno si riunirà proprio aStoccarda in occasione dei Campiona-ti del Mondo.

Di Roberto Pentrella

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