Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche...

41
Michele Ruvolo INTERPRETAZIONE CONFORME E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE SOMMARIO: 1. Disapplicazione ed interpretazione conforme. – 2. I confini dell’interpretazione conforme. – 2.1. Il caso Marleasing sulla validità del contratto di società. – 2.2. I casi Caprini, Bellone e Centrosteel relativi alla validità del contratto di agenzia. – 2.3. Il caso Océano relativo al rilievo officioso dell’abusività della clausola attributiva di competenza al giudice del foro del professionista. – 2.4. I casi Carbonari e Gozza relativi alle borse di studio per i medici specializzandi che hanno seguito corsi di specializzazione prima della vigenza del d.lgs. 257/91. – 2.5. Il caso Leitner relativo al danno da vacanza rovinata. – 3. L’interpretazione conforme dopo le sentenze Pfeiffer e Pupino. – 4. Il caso Heininger relativo al recesso nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali. – 5. Il caso Schulte relativo al mutuo ipotecario ed ai contratti collegati. – 6. La residualità della tutela risarcitoria rispetto a quella diretta. – 7. Osservazioni conclusive. 1. Sono note le generali affermazioni della Corte di giustizia sui rapporti tra efficacia diretta delle norme comunitarie, disapplicazione, interpretazione conforme e tutela risarcitoria 1 . 1 Molteplici sono i contributi dottrinali sull’argomento. A titolo meramente indicativo basti ricordare i seguenti: S. Amadeo, Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni (Milano 2002), 3 s.; Id., L’efficacia obiettiva delle direttive comunitarie ed i suoi riflessi nei confronti dei privati. Riflessioni a margine delle sentenze sui casi Linster e Unilever, Dir. Un. Eur., 2001, 1, 95; A. Barone, L’efficacia diretta delle direttive Cee nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale, Foro it., 1991, IV, 130 s.; Id., L’efficacia diretta delle direttive fra certezze (comunitarie) e fraintendimenti (nazionali), Foro it., 1996, IV, 358; E. Calò, Contrasti giurisprudenziali sulla portata della nozione di efficacia diretta delle direttive comunitarie, Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 843 s.; F. Capelli, Le direttive comunitarie (Milano 1983); Id., L’efficacia delle direttive comunitarie: due modeste proposte per risolvere un problema antico, Dir. com. scam. internaz., 2004, 4, 755 s.; R. Caranta, Sulla diretta applicabilità delle direttive comunitarie: il caso della Direttiva 84/5/CEE, seconda direttiva in materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, Nota a Cass. 23-1-2002 n. 752, Resp. civ. e prev., 2002, 3, 741; M. Castellaneta, All’assenza di effetti orizzontali della direttiva supplisce il rimedio dell’interpretazione conforme, Guida al diritto, 40/04, 115 s.; A. Celotto, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno: orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, Giur. cost., 1992, 4481 s.; Id., Dalla “non applicazione” alla “disapplicazione” del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario, Giur. it., 1995, I, 341 s.; B. Conforti, Diritto internazionale (Napoli 1995), 309 s.; Id., Il problema degli “effetti diretti” delle decisioni e delle direttive comunitarie e il terzo colloquio della Federazione internazionale per il diritto europeo, Annuario di diritto internazionale, 1985, 362 s.; R. Conti, Direttive comunitarie dettagliate ed efficacia diretta nei rapporti interprivati: il timone passa al giudice nazionale, Corr. giur., 2002, 5, 185 s.; Id., Azione di responsabilità contro lo Stato per violazione del diritto comunitario. Rimedio concorrente o alternativo all’azione diretta?, nota Cass. 16-5-2003 n. 7630, Danno e resp., 2003, 8-9, 836 s.; Cretine, L’applicabilité directe en droit interne des disposition des directive communautaires, Gazette du Palais, 1971, I s.; L. Daniele, Brevi note in tema di attuazione delle direttive comunitarie da parte degli Stati membri, Riv. it. dir. pubbl. com., II, 1992, 803 s.; F.M. Di Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuate: dall’interpretazione conforme del diritto interno alla responsabilità dello Stato per la mancata attuazione delle direttive, Riv. dir. eur., 1994, 501 s.; G. Giacalone, Sull’efficacia “verticale” ed “orizzontale” delle direttive comunitarie, Giust. civ., 1998, I, 1980 s.; R. Luzzatto, La diretta applicabilità del diritto comunitario (Milano 1980); R. Mastroianni, Direttive non attuate, rimedi alternativi e principio di uguaglianza, Dir. un. eur., 1998, 81; P. Mengozzi, Il diritto della Comunità Europea, Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da F. Galgano, XV (Padova 1990); M. Orlandi, Il rapporto tra la norma nazionale e quella comunitaria, Giur. merito, 1992,

Transcript of Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche...

Page 1: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

Michele Ruvolo

INTERPRETAZIONE CONFORME E SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE SOMMARIO: 1. Disapplicazione ed interpretazione conforme. – 2. I confini dell’interpretazione

conforme. – 2.1. Il caso Marleasing sulla validità del contratto di società. – 2.2. I casi Caprini, Bellone e Centrosteel relativi alla validità del contratto di agenzia. – 2.3. Il caso Océano relativo al rilievo officioso dell’abusività della clausola attributiva di competenza al giudice del foro del professionista. – 2.4. I casi Carbonari e Gozza relativi alle borse di studio per i medici specializzandi che hanno seguito corsi di specializzazione prima della vigenza del d.lgs. 257/91. – 2.5. Il caso Leitner relativo al danno da vacanza rovinata. – 3. L’interpretazione conforme dopo le sentenze Pfeiffer e Pupino. – 4. Il caso Heininger relativo al recesso nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali. – 5. Il caso Schulte relativo al mutuo ipotecario ed ai contratti collegati. – 6. La residualità della tutela risarcitoria rispetto a quella diretta. – 7. Osservazioni conclusive.

1. Sono note le generali affermazioni della Corte di giustizia sui rapporti tra efficacia diretta delle norme comunitarie, disapplicazione, interpretazione conforme e tutela risarcitoria1.

1 Molteplici sono i contributi dottrinali sull’argomento. A titolo meramente indicativo basti ricordare i seguenti: S. Amadeo, Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni (Milano 2002), 3 s.; Id., L’efficacia obiettiva delle direttive comunitarie ed i suoi riflessi nei confronti dei privati. Riflessioni a margine delle sentenze sui casi Linster e Unilever, Dir. Un. Eur., 2001, 1, 95; A. Barone, L’efficacia diretta delle direttive Cee nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale, Foro it., 1991, IV, 130 s.; Id., L’efficacia diretta delle direttive fra certezze (comunitarie) e fraintendimenti (nazionali), Foro it., 1996, IV, 358; E. Calò, Contrasti giurisprudenziali sulla portata della nozione di efficacia diretta delle direttive comunitarie, Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 843 s.; F. Capelli, Le direttive comunitarie (Milano 1983); Id., L’efficacia delle direttive comunitarie: due modeste proposte per risolvere un problema antico, Dir. com. scam. internaz., 2004, 4, 755 s.; R. Caranta, Sulla diretta applicabilità delle direttive comunitarie: il caso della Direttiva 84/5/CEE, seconda direttiva in materia di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, Nota a Cass. 23-1-2002 n. 752, Resp. civ. e prev., 2002, 3, 741; M. Castellaneta, All’assenza di effetti orizzontali della direttiva supplisce il rimedio dell’interpretazione conforme, Guida al diritto, 40/04, 115 s.; A. Celotto, La prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno: orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, Giur. cost., 1992, 4481 s.; Id., Dalla “non applicazione” alla “disapplicazione” del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario, Giur. it., 1995, I, 341 s.; B. Conforti, Diritto internazionale (Napoli 1995), 309 s.; Id., Il problema degli “effetti diretti” delle decisioni e delle direttive comunitarie e il terzo colloquio della Federazione internazionale per il diritto europeo, Annuario di diritto internazionale, 1985, 362 s.; R. Conti, Direttive comunitarie dettagliate ed efficacia diretta nei rapporti interprivati: il timone passa al giudice nazionale, Corr. giur., 2002, 5, 185 s.; Id., Azione di responsabilità contro lo Stato per violazione del diritto comunitario. Rimedio concorrente o alternativo all’azione diretta?, nota Cass. 16-5-2003 n. 7630, Danno e resp., 2003, 8-9, 836 s.; Cretine, L’applicabilité directe en droit interne des disposition des directive communautaires, Gazette du Palais, 1971, I s.; L. Daniele, Brevi note in tema di attuazione delle direttive comunitarie da parte degli Stati membri, Riv. it. dir. pubbl. com., II, 1992, 803 s.; F.M. Di Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuate: dall’interpretazione conforme del diritto interno alla responsabilità dello Stato per la mancata attuazione delle direttive, Riv. dir. eur., 1994, 501 s.; G. Giacalone, Sull’efficacia “verticale” ed “orizzontale” delle direttive comunitarie, Giust. civ., 1998, I, 1980 s.; R. Luzzatto, La diretta applicabilità del diritto comunitario (Milano 1980); R. Mastroianni, Direttive non attuate, rimedi alternativi e principio di uguaglianza, Dir. un. eur., 1998, 81; P. Mengozzi, Il diritto della Comunità Europea, Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da F. Galgano, XV (Padova 1990); M. Orlandi, Il rapporto tra la norma nazionale e quella comunitaria, Giur. merito, 1992,

Page 2: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

2

In particolare, è risaputo che il contrasto tra una norma interna ed una disposizione comunitaria direttamente efficace2 ben può trovare la sua soluzione mediante il ricorso, da parte del giudice nazionale, al meccanismo della disapplicazione della norma interna in conflitto, meccanismo che rende possibile per il singolo far valere il diritto riconosciuto dalla norma comunitaria. Sebbene non sia del tutto pacifico3, alla disapplicazione della norma interna per contrasto con quella comunitaria non può invece pervenirsi nei casi in cui quest’ultima non presenti carattere di diretta efficacia4. Ciò non solo e non tanto perchè l’eventuale disapplicazione della norma interna contrastante potrebbe produrre un vuoto normativo (vista l’impossibilità di applicare la norma comunitaria sprovvista di diretta efficacia)5, ma soprattutto per il fatto che la disapplicazione della norma interna contrastante attribuirebbe un effetto diretto ad una norma comunitaria non idonea a produrlo. La norma comunitaria non direttamente efficace non può infatti produrre né un effetto diretto di sostituzione (della disposizione comunitaria in questione a quella interna contrastante) né un effetto diretto di esclusione (dell’applicazione della norma nazionale confliggente). In particolare, con riferimento all’effetto di esclusione, mette conto rilevare che, non avendo la direttiva effetti diretti nei rapporti orizzontali e non essendo essa di per sé idonea a creare diritti ed obblighi tra le parti di un rapporto interprivato, la stessa non può essere fatta valere per dedurne la legittimità o l’illegittimità di un atto di normazione interna. In senso tecnico, quindi, la “disapplicazione” presuppone un effetto diretto della norma comunitaria: effetto diretto di “sostituzione” della disposizione comunitaria a quella interna6 o

1000; Id., Inapplicabilità delle direttive nei rapporti tra privati e responsabilità degli stati per inadempimento. Considerazioni in margine alla sentenza «Paola Faccini Dori c. Recreb s.r.l», nota a Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92, Giur. Merito, 1995, 3, 438; S. Prechal, Directives in EC Law² (Oxford, 2005); L. Ronchetti, Obiettivo applicazione uniforme: contraddizioni e discriminazioni nella giurisprudenza comunitaria sulle direttive non trasposte, Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, 415-448; G. Santosuosso, La posizione della Corte di Giustizia sulla diretta applicabilità delle direttive comunitarie, Dir. com. scam. internaz., 1992, 731 s.; L Scambiato, Considerazioni in tema di efficacia “orizzontale” delle direttive comunitarie alla luce delle sentenze 1271/95 e 2275/95 della Corte di Cassazione e della giurisprudenza della Corte di giustizia, Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 1027 s.; D. Simon, La directive européenne, (Paris, Dalloz, 1997); G. Sposito, Ancora una pronuncia sulla efficacia diretta delle norme comunitarie, Nota a T.A.R. 30-12-1996 n. 1306, Giur. Merito, 1997, 6, 1046; G. Tesauro, Diritto comunitario (Padova 2003), 169 s. 2 Ad esempio, un regolamento o una direttiva dettagliata con termine di recepimento scaduto e che conferisca diritti ai singoli azionabili davanti al giudice nazionale nei confronti della pubblica amministrazione, cioè a dire nei rapporti verticali. 3 In senso contrario v. ad esempio le conclusioni, non accolte però dalla Corte, dell’avv. generale Saggio nel caso Océano, caso al quale viene in seguito dedicato un apposito paragrafo. Non sembrano invece in contrasto con quanto riportato nel testo Cass. 10-9-2004 n. 18276, Boll. trib., 2004, 1774, e Cass. 27-11-2000 n. 15259, Mass. giur. it., 2000, visto che in questi casi la disapplicazione della norma interna per contrasto con una direttiva riguarda, trattandosi di tributi, un rapporto verticale. Riguardano anche rapporti verticali (venendo in considerazione l’organismo pubblico del Fondo di garanzia delle vittime della strada) Cass. 5-12-2003 n. 18642 cit., e Cass. 23-1-2002 n. 752 cit. 4 V. anche Capelli, L’efficacia delle direttive comunitarie cit., 755 e Castellaneta, All’assenza di effetti orizzontali della direttiva supplisce il rimedio dell’interpretazione conforme cit., 115. 5 In ordine a tale vuoto normativo sono però interessanti le valutazioni espresse dall’avv. generale Saggio, per il quale tale vuoto non sussisterebbe, nelle conclusioni relative al caso Océano (sul quale v. infra). 6 V. sulla disapplicazione e sull’effetto di sostituzione anche quanto affermato da R. Cafari Panico, Per un’interpretazione conforme, in Dir. pubbl. comparato europeo, 1999, I, 383 s.

Page 3: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

3

di “esclusione” di quest’ultima senza applicazione di quella comunitaria, magari per il suo carattere generale, e con applicazione di altra norma interna. E così, ad esempio, in caso di direttiva non sufficientemente dettagliata o in caso di rapporti orizzontali la norma interna eventualmente contrastante con tale direttiva non potrebbe essere disapplicata, e ciò anche ritenendo di dover applicare altra norma interna e non una disposizione della direttiva in questione. La direttiva non sufficientemente dettagliata o la direttiva dettagliata invocata in un rapporto orizzontale non può produrre neppure un effetto di esclusione, posto che questo è pur sempre un effetto diretto7. Per l’ipotesi di conflitto tra norma nazionale e norma comunitaria non direttamente efficace non rimarrebbe, quindi, che fare applicazione della disposizione interna. Ciò recherebbe però grave pregiudizio ai principi del primato del diritto comunitario e dell’effetto utile di quest’ultimo, poiché si perverrebbe all’applicazione di una disposizione nazionale in contrasto con una norma di diritto comunitario del tutto trascurata e si frustrerebbe la salvaguardia della possibile posizione giuridica soggettiva di matrice comunitaria8. A questa situazione ha in parte posto rimedio la Corte di Giustizia con il ricorso al canone dell’interpretazione conforme9 e con la sua applicazione pratica in senso particolarmente estensivo. In ipotesi di mancanza di efficacia diretta la norma comunitaria può infatti rivestire, nei sistemi giuridici nazionali, un valore normativo indiretto ed essere valutata dal giudice nel risolvere una controversia. Tali forme di efficacia indiretta sono, tra le altre10, il diritto al risarcimento del danno a carico dello Stato membro responsabile (diritto di cui la norma comunitaria, anche se non direttamente efficace, può essere fonte) e l’obbligo di

7 Utilizzando le parole impiegate dall’avv. gen. Antonio Tizzano nelle conclusioni presentate il 30 giugno 2005 nel caso Mangold (Corte eur. giust. 30-6-2005 C-144-04), può dirsi che in caso di rapporti interprivati o di direttiva non dettagliata «la disapplicazione della norma nazionale in causa sarebbe in realtà un effetto diretto dell’atto comunitario e sarebbe quindi proprio quest’ultimo a precludere al soggetto interessato di avvalersi dei diritti concessigli dalla norma del suo ordinamento» (per questo motivo l’avv. generale Tizzano evidenziava, in tali conclusioni, che a suo avviso nello specifico giudizio principale che vedeva opposti due privati il giudice interno non avrebbe potuto disapplicare la norma interna contrastante con la direttiva). 8 È per questo che si è anche sostenuto che il conflitto tra norma interna e norma comunitaria non autoapplicativa può dare luogo ad una questione di legittimità costituzionale della legge italiana per indiretta violazione dell’art. 11 Cost.. 9 Sull’interpretazione conforme v., tra gli altri, oltre alle trattazioni manualistiche, Cafari Panico, Per un’interpretazione conforme cit., 383 s.; Scambiato, Considerazioni in tema di efficacia “orizzontale” delle direttive comunitarie cit., 1027 s.; Castellaneta, All’assenza di effetti orizzontali della direttiva cit., 115; Conti, Direttive comunitarie dettagliate ed efficacia diretta nei rapporti interprivati cit., 185 s.; Capelli, L’efficacia delle direttive comunitarie cit., 755 s.; Di Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.; L. Daniele, L’efficacia diretta delle disposizioni comunitarie in materia sociale, Dir. com. scam. intenaz., 1991, 247 s. 10 Ad esempio: 1) caso delle indirette conseguenze scaturenti in capo a privati di seguito all’efficacia diretta verticale delle direttive e quindi dei “controinteressati” che vengono indirettamente pregiudicati dall’applicazione di una direttiva nei rapporti verticali. Si pensi al soggetto che si vede riconosciuta nei confronti di un organo statale l’applicazione, da lui richiesta, di una direttiva (non recepita nei termini) in tema di appalti pubblici. V. Corte eur. giust. 22-6-1989 C-103/88, Racc., 1839; L. Daniele, Diritto dell’Unione europea (Milano 2004), 174; conclusioni dell’avv. generale Cosmas nella causa Daihatsu (sent. 4-12-1997 C-97/96, Racc., 1997, I-6858 s. Cfr. pure Amadeo, L’efficacia «obiettiva» delle direttive comunitarie cit., 95 s.; 2) caso della violazione degli obblighi procedimentali gravanti sugli Stati; 3) caso dell’obbligo degli Stati membri di astenersi, in pendenza del termine di trasposizione, dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto da una direttiva. Su tali effetti indiretti v. Amadeo, Norme comunitarie, posizioni giuridiche soggettive e giudizi interni cit., 173 s.

Page 4: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

4

interpretazione conforme, obbligo il cui adempimento può eliminare apparenti e non inevitabili conflitti tra norme comunitarie e norme interne11. Per quanto concerne, più specificamente, quest’ultimo mezzo di efficacia indiretta, va osservato che esso comporta che quando il giudice (o la P.A.) deve applicare disposizioni nazionali egli è tenuto ad interpretarle, ove possibile, in conformità con il diritto comunitario, pure se questo non è direttamente efficace. Tutto ciò per garantire il risultato perseguito dalla norma comunitaria. In base al principio dell’interpretazione conforme il giudice interno e l’organo amministrativo devono interpretare le disposizioni nazionali nel senso maggiormente vicino a quello del diritto comunitario primario o derivato, in modo che «fra le possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali va[da] prescelta quella conforme alle prescrizioni della Comunità»12. Sul piano dell’interpretazione del diritto interno non si possono quindi adottare soluzioni che portino a risultati confliggenti con quelli perseguiti dalla direttiva. Il principio che spesso si rinviene nelle pronunce della Corte di giustizia è in particolare quello per cui «nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima», conformandosi pertanto all’art. 249 tr.13. Il fondamento di tale principio risiede nel fatto che l’obbligo di leale cooperazione previsto dall’art. 10 (ex art. 5) tr. – e quindi il dovere per gli Stati di adottare tutte le misure, di carattere generale e particolare, atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato o determinati dagli atti delle Istituzioni comunitarie e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato – vale anche per i giudici

11 Con riferimento alle direttive il giudice comunitario ha precisato che se le direttive non tempestivamente attuate o erroneamente trasposte non possono fondare diritti ed obblighi nei rapporti tra soggetti privati, tuttavia orientano l’interpretazione del diritto nazionale applicabile a tali rapporti e rendono configurabile, nei confronti dei privati danneggiati, la responsabilità dello Stato membro inadempiente all’obbligo di trasposizione (V. Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92, Racc., I-3325, Foro it., 1995, IV, 38 con nota di L. Daniele, La Corte di giustizia conferma l’efficacia diretta “intermittente” delle direttive comunitarie; Contratti, 1994, 597 con nota di G. Alpa, Direttiva CEE 85/577 e recesso del consumatore; Resp. civ. prev., 1995, 378, con nota di R. Caranta, La Corte di giustizia ribadisce l’assenza di effetti “orizzontali” delle direttive comunitarie. Sulla responsabilità dello Stato per mancata attuazione di una direttiva v. Corte eur. giust. 19-11-1991 C-6/90 e C-9/90, Racc., I-5357; Corte eur. giust. 17-10-1996 C-283/94, C-291/94 e C-292/94, Racc., 1996, I, 4845; Giorn. dir. amm., 1997, 822, con nota G. Della Cananea, La Corte di giustizia e i rimedi contro le omissioni del legislatore). 12 Corte Cost. 8-6-1984 n. 170, Giur. it., 1984, I,1, 1521, con nota di Berri; Foro It., 1984, I, 2062, con nota di A. Tizzano; Giur. costit., 1984, I, 1222, con nota di Gemma. 13 V. Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89, Racc., I-4135, Foro it. 1992, IV, 173, con nota di L. Daniele, Novità in tema di efficacia delle direttive comunitarie non attuate, punto 8; Corte eur. giust. 14.7.1994 C-91/92 cit., punto 26. V. anche le sentenze Carbonari, Centrosteel ed Océano alle quali in seguito verranno dedicati appositi paragrafi. V. pure Corte eur. giust. 10-4-1984 C-79/83, Racc., 1984, 1921 s., punto 26; Corte eur. giust. 10-4-1984 C-14/83, Racc., 1891, Foro it. 1985, IV, 59, punto 26; Corte eur. giust. 15-5-1986 C-222/84, Racc., 1986, 1651; Corte eur. giust. 8-10-1987 C-80/86, Racc., 3969; Corte eur. giust. 7-11-1989 C-125/88, Racc., 3533; Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92, Racc., 1993, I-691 s., punto 20; Corte eur. giust. 7-12-1995 C-472/93, Racc., I-4321, punti 17-18; Corte eur. giust. 17-9-1997 C-54/96, Racc., I-4961; Corte eur. giust. 24-9-1998 C-76/97; Corte eur. giust. 24-9-1998 C-111/97; Corte eur. giust. 23-2-1999 C-63/97, Racc., I-905, punti 22-24; Corte eur. giust. 27-2-2003 C-327/00, Racc., I-1877, punto 63; Corte eur. giust. 15-5-2003 C-160/01, Racc., I-4791, punto 36; Corte eur. giust. 16.6.2005 C-105/03; Conclusioni dell’Avvocato Generale Christine Stix-hackl 27-10-2005 C-131/04 e C-257/04; Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott 27-10-2005 C-212/04.

Page 5: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

5

nazionali, che devono dunque «adottare tutti i provvedimenti […] particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo»14. Ancora di recente la Corte di giustizia ha ribadito, nel confermare il principio dell’interpretazione conforme15, l’obbligo (fondato sugli artt. 10 e 249 tr. CE) degli Stati membri e di tutti gli organi statali, compreso quello giudiziario, di conseguire il risultato contemplato da una direttiva16. Sempre in ordine al fondamento dell’interpretazione conforme si noti anche che per il caso di errata trasposizione di una direttiva il principio dell’interpretazione conforme risulta pure in linea con la presunzione per cui in sede di recepimento il legislatore nazionale non ha inteso violare il diritto comunitario, ma conformarsi in toto ad esso17, presunzione di conformità alle norme da recepire applicata nel nostro ordinamento anche per garantire la preminenza delle norme internazionali pattizie recepite attraverso ordine di esecuzione18. Il canone dell’interpretazione conforme è stato infatti applicato dalla giurisprudenza italiana per risolvere alcuni conflitti tra norme interne ed impegni internazionali dello Stato, considerando che la norma interna deve essere interpretata in maniera da darle un significato conforme alla norma internazionale, presumendosi che il legislatore non abbia inteso violare gli impegni internazionali dello Stato19. Certo, il principio della “presunzione di conformità” alla direttiva nell’attività di recepimento non pare applicabile per il caso di mancato recepimento della direttiva, ipotesi nella quale l’interpretazione conforme del diritto interno già esistente si fonda, comunque, sul citato principio di leale cooperazione oltre che, indirettamente, sul primato del diritto comunitario e sul principio dell’effetto utile del diritto comunitario. Così fondata, l’interpretazione conforme consente quindi di ottenere effetti orizzontali di tipo indiretto20.

14 V. Corte eur. giust. 10-4-1984 C-14/83 cit., punto 26. In proposito vedi anche Corte eur. giust. 15-5-1986 C-222/84 cit., punto 53; Corte eur. giust. 8-10-1987 C-80/86 cit., punto 12; Corte eur. giust. 7-11-1989 C-125/88 cit., punto 6; Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit., punto 8; Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit., punto 20; Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 26; Corte eur. giust. 5-10-2004 da C-397/01 bis a C-403/01, Racc., I-8835, punto 1105; Corte eur. giust. 2-6-2005 C-15/04, punto 33; le conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott 27-10-2005 C-212/04, punto 49. 15 Basti ricordare quanto scritto nella sentenza Carbonari (Corte eur. giust. 25-2-1999 C-131/97, Racc., I-1103), pronuncia con la quale la Corte ha chiarito che quando i precetti comunitari non possono considerarsi incondizionati, spetta comunque al giudice nazionale, in sede di applicazione delle disposizioni di diritto nazionale “precedenti” o “successive” ad una direttiva, di interpretare il diritto interno in modo quanto più possibile conforme alla lettera ed allo spirito della direttiva stessa. E ciò perché «(...) nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare le disposizioni di una legge che sono state introdotte specificamente al fine di garantire la trasposizione di una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, del Trattato CE (...)». 16 V., in particolare, Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 26; Corte eur. giust. 18-12-1997 C-129/96, Racc., I-7411, punto 40; Corte eur. giust. 25-2-1999 C-131/97 cit., punto 48. 17 V. Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit., punto 8; Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit., punto 20 e quanto si dirà infra sulla medesima presunzione nella sentenza Pfeiffer. 18 V. Conforti, Diritto internazionale cit., 302. Cfr. anche Corte cost. 8-6-1984 n. 170 cit. 19 V. Cass. s.u. 23-3-1972 n. 867; Cass. 17-4-1972 n. 1196; Cass. 8-6-1972 n. 1773, Riv. dir. internaz., 1973, 856. In dottrina v., tra gli altri, Daniele, Novità in tema di efficacia delle direttive comunitarie non attuate cit., 175 e Conforti, Diritto internazionale cit., 312. 20 Sul punto si veda anche A. Tizzano, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea, Foro it., 1995, IV, 21, per il quale con l’interpretazione del diritto nazionale conformemente al diritto comunitario «si consente in definitiva alle direttive non (o non

Page 6: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

6

2. Secondo la Corte di giustizia, l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno alla luce del diritto comunitario viene meno quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella comunitaria. Già sul piano logico è infatti da escludere che una norma nazionale possa essere interpretata conformemente ad una disposizione comunitaria con essa del tutto incompatibile. Il principio dell’interpretazione conforme potrebbe essere applicato soltanto in presenza di un margine, anche minimo, di discrezionalità che consenta all’interprete di scegliere tra più interpretazioni possibili della disposizione nazionale, interpretazioni che devono comunque essere configurabili. Pur potendo il giudice trascurare la lettera della norma interna orientandosi per un’interpretazione logico-sistematica che consenta di trarre dalla disposizione nazionale una norma coerente con le finalità della direttiva (eventualmente discostandosi dall’orientamento prevalente o creando un nuovo orientamento), al giudice nazionale è comunque preclusa una funzione “creativa”, che finisca con l’attribuire un significato “comunitariamente compatibile” a disposizioni nazionali che regolino espressamente la fattispecie in modo invece manifestamente incompatibile con le finalità della direttiva. Il limite dell’interpretazione conforme è quindi l’interpretazione contra legem21. Ciò è innanzitutto desumibile dall’inciso, molto spesso presente nella formulazione del principio giurisprudenziale sull’obbligo dell’interpretazione conforme, per cui il giudice nazionale deve interpretare le disposizioni interne «quanto più possibile» alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima22. E la ‘possibilità’ dell’interpretazione conforme va esclusa di fronte ad un contrasto insanabile tra la normativa interna e quella comunitaria. Alle medesime conclusioni deve evidentemente pervenirsi anche quando il riferimento è operato dalla Corte di giustizia non tanto alla ‘possibilità interpretativa’, ma all’analoga nozione di ‘margine discrezionale’ nell’opera ermeneutica23.

correttamente) trasposte di esplicare almeno in parte anche `effetti orizzontali». Cfr. pure Giacalone, Sull’efficacia “verticale” ed “orizzontale” delle direttive comunitarie cit., 1980 s.; Ronchetti, Obiettivo applicazione uniforme cit., 415-448; Scambiato, Considerazioni in tema di efficacia “orizzontale” delle direttive comunitarie cit., 1041. 21 V. anche in questo senso Corte eur. giust. 29-5-1997 C-300/95, Racc., 1997, I-2649 s., punto 18. Di recente, pure l’Avvocato Generale Philippe Léger, nelle conclusioni 11-10-2005 C-173/03 (Fallimento Traghetti del Mediterraneo SpA contro Repubblica italiana) ha precisato che l’interpretazione conforme «presuppone che alla normativa nazionale interessata sia possibile dare un’interpretazione conforme». V. pure Corte eur. giust. 16-6-2005 C-105/03, punto 47. 22 V. le sentenze sopra citate con riferimento all’obbligo di interpretazione conforme. 23 Ciò è avvenuto soprattutto in un primo momento dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte, fino alla sentenza sul caso Wagner Miret (Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit.). In particolare, si legge nella sentenza della Corte eur. giust. 4-2-1988 C-157/86, Racc., 1988, 673 s. che «spetta al giudice nazionale dare al diritto interno, in tutti i casi in cui questo gli lascia un margine discrezionale, un' interpretazione ed un’applicazione conformi alle esigenze del diritto comunitario e, qualora una siffatta interpretazione conforme non sia possibile, disapplicare le norme nazionali incompatibili» (si parlava in questo caso di disapplicazione perché la norma comunitaria in questione era una disposizione del Trattato direttamente efficace). Analogamente, si legge in Corte eur. giust. 10-4-1984 C-14/83 cit. che «spetta al giudice nazionale dare alla legge adottata per l’attuazione della direttiva, in tutti i casi in cui il diritto nazionale gli attribuisce un margine discrezionale, un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle esigenze del diritto comunitario». V. anche le conclusioni dell’Avv. gen. Gerven a Corte eur. giust. 2-8-1993 C-271/92, Racc. 1993, I-4367 s. Sul punto sono interessanti pure le recenti osservazioni contenute nelle conclusioni dell’avvocato generale Kokott presentate il 27 ottobre 2005 (nella causa C-

Page 7: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

7

Se l’interpretazione venisse adottata dal giudice nazionale anche oltre il limite della ‘possibilità interpretativa’ od oltre il citato “margine discrezionale”, si rischierebbe di attribuire surrettiziamente effetto diretto a disposizioni comunitarie che ne sono al contrario prive. Si realizzerebbe poi un’operazione non interpretativa. In caso di contrasto insanabile tra norma interna e norma comunitaria non direttamente efficace, al giudice nazionale non rimarrebbe, in quest’ottica, che applicare la disposizione interna incompatibile ed accogliere un’eventuale azione contro lo Stato finalizzata al risarcimento dei danni per violazione del diritto comunitario. Laddove quindi il giudice si trovi di fronte ad un caso di una direttiva non sufficientemente dettagliata o relativa a rapporti orizzontali (e quindi non direttamente efficace) e verifichi la sussistenza di norme interne del tutto incompatibili con quelle comunitarie, l’unica soluzione sarebbe quella (a parte di operare un sempre possibile rinvio pregiudiziale per verificare, se necessario, la compatibilità tra le disposizioni in questione ed il possibile ricorso all’interpretazione conforme) di ritenere configurabile la sola tutela risarcitoria, che ha natura residuale24. In ipotesi di impossibilità di ricorso all’interpretazione conforme il giudice non potrebbe quindi disapplicare le norme interne contrastanti con disposizioni comunitarie non direttamente efficaci. Egli dovrebbe prendere atto del conflitto insanabile ed applicare la norma interna, anche se contrastante con quella comunitaria, ferma restando la possibilità per il privato di chiedere il risarcimento dei danni nei confronti dello Stato inadempiente. Ciò che però va ora evidenziato è che, in realtà, sebbene la Corte affermi in astratto il principio per cui l’interpretazione conforme resta confinata nei limiti della possibilità interpretativa e del margine discrezionale lasciato all’interprete, di fatto essa ha però imposto l’interpretazione conforme anche in casi in cui questa non era affatto praticabile, adottando in pratica un orientamento talmente estensivo in tema di interpretazione conforme (soprattutto con le sentenze Pfeiffer e Pupino delle quali si tratterà in seguito) che è ora difficile che si riveli ‘impossibile’ il ricorso al canone dell’interpretazione conforme (e quindi possibile la residuale tutela risarcitoria, ormai veramente relegata ai confini ultimi dello spazio di protezione comunitario). Le generali affermazioni della Corte di giustizia in tema di interpretazione conforme risultano infatti spesso contraddette dalle soluzioni adottate in concreto dalla stessa Corte. In questo contesto il giudice nazionale si trova costretto a decidere se seguire i principi affermati in astratto dalla Corte o se tenere conto delle sue applicazioni pratiche, ponendosi, in questo secondo caso, in un’ottica di possibile elusione della nozione tradizionale di “interpretazione”. Inoltre, la Corte ha affiancato all’affermazione dei confini teorici dell’interpretazione conforme l’enucleazione di altri principi che paiono in assoluto contrasto con i limiti imposti alle soluzioni giudiziarie in caso di contrasto tra norme interne e norme comunitarie non

212/04). Secondo Kokott, infatti, «fin dove il diritto nazionale consente un’interpretazione conforme alla direttiva, in quanto le disposizioni pertinenti contengono clausole generali o concetti giuridici indefiniti, il giudice nazionale deve utilizzare l’intero spazio valutativo ad esso concesso («margine discrezionale») in favore del diritto comunitario» (punto 43). 24 Per Cafari Panico, Per un’interpretazione conforme cit., 383, se «le disposizioni di una direttiva sono prive di effetto diretto o la controversia attiene a rapporti interindividuali […] l’autorità giudiziaria o amministrativa dovrà, infatti, fare tutto quanto possibile per interpretare le norme nazionali conformemente a quelle comunitarie. Tuttavia, laddove siffatto risultato non possa essere conseguito, troveranno applicazione le norme interne, che, seppur illegittime perché confliggenti con quelle comunitarie, sopravvivono fino alla loro rimozione, con la conseguenza che lo Stato inadempiente è tenuto a risarcire i danni subiti dai singoli a causa della mancata o non corretta attuazione di una direttiva entro il termine prescritto, secondo il principio sancito dalla giurisprudenza Francovich»

Page 8: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

8

direttamente efficaci. Si fa soprattutto riferimento alla citata e diffusa affermazione per cui grava anche sul giudice, in quanto organo statale destinatario del disposto dell’art. 10 Tr. e del principio di leale cooperazione ivi sancito, l’obbligo di conseguimento del risultato imposto dalla direttiva. In altri termini, come può contemporaneamente affermarsi, in linea di principio, che il giudice nazionale deve conseguire il risultato imposto dalla direttiva e che lo stesso giudice nazionale non può disapplicare la norma interna contrastante con una direttiva non direttamente efficace né interpretare conformemente la norma interna oltre il margine di discrezionalità insito nell’attività ermeneutica? Occorre quindi meglio riflettere sui confini dell’interpretazione conforme per capire quando possa dirsi la stessa impossibile, quando, cioè, il giudice debba ritenere che – pur avendo fatto tutto ciò che rientrava nella sua competenza e pur avendo preso in considerazione (come meglio si vedrà quando di esaminerà la sentenza Pfeiffer) tutte le norme del diritto nazionale al fine di interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità della direttiva – non è riuscito a giungere ad una soluzione (basata sul diritto interno) conforme all’obiettivo da essa perseguito. Ci si deve poi interrogare sulle soluzioni che deve adottare il giudice quando, in una controversia relativa a rapporti orizzontali, la norma interna sia in tale contrasto con una direttiva da non essere suscettibile di interpretazione conforme. In questi casi il giudice deve veramente solo applicare la norma interna contrastante con quella comunitaria (magari prima facendo ricorso alla Corte costituzionale al fine di verificare la costituzionalità della disposizione interna contrastante con la direttiva)25 o pur di conseguire il risultato voluto dalla direttiva e che anche lui è tenuto a perseguire, il giudice nazionale deve evitare una formale disapplicazione e fare ricorso, come spesso fa la Corte, al concetto di interpretazione conforme anche in presenza di una manifesta incompatibilità tra diritto interno e norma comunitaria non direttamente efficace, ricorrendo quindi ad una disapplicazione che non è formale ma è comunque sostanziale? Per tentare di rispondere a queste domande, è bene adesso esaminare qualche caso concreto in cui la Corte ha risolto la questione sottopostale richiamando il concetto dell’interpretazione conforme e facendo però di fatto rientrare in tale nozione pure attività non inquadrabili tra quelle ermeneutiche. Venendo in considerazione norme comunitarie non direttamente efficaci e non potendo queste essere oggetto di applicazione da parte del giudice né comportando la disapplicabilità di quelle interne contrastanti, la Corte, nell’intento di fare in modo che trovasse indiretta applicazione il diritto comunitario e fossero salvaguardate le posizioni da questo riconosciute, ha esteso enormemente i casi di interpretazione conforme alle norme comunitarie dell’unico diritto applicabile in questo caso, ossia quello interno Si è così giunti a considerare come interpretazione conforme anche ciò che interpretazione non è. Basti pensare ai seguenti casi. 2.1 In un giudizio pendente in Spagna la società Marleasing26 aveva chiesto, invocando gli artt. 1261 e 1275 del codice civile spagnolo, che privano di efficacia giuridica i contratti senza causa o la cui causa è illecita, che venisse dichiarato invalido il contratto di società che

25 Ad esempio per violazione del principio di parità di trattamento tra lavoratori pubblici, che potrebbero godere della posizione di matrice comunitaria in considerazione dell’effetto diretto verticale delle direttive dettagliate, e lavoratori privati. Su tale soluzione v. Capelli, L’efficacia delle direttive comunitarie cit., 757 s. 26 Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit.

Page 9: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

9

istituiva la società “La Comercial” in quanto la costituzione di quest’ultima sarebbe stata priva di causa giuridica (oltre che viziata da simulazione ed avvenuta in frode dei diritti dei creditori). Di contro, la società “La Comercial” aveva chiesto il rigetto integrale della domanda deducendo, in particolare, che la direttiva 68/151, il cui art. 11 conteneva l’elenco tassativo dei casi di nullità delle società per azioni, non prevedeva fra questi casi la mancanza di causa giuridica fatta valere dalla Marleasing. Considerato che il Regno di Spagna non aveva ancora dato attuazione alla direttiva, il giudice a quo aveva operato un rinvio pregiudiziale alla Corte ritenendo che la controversia presentasse un problema di interpretazione del diritto comunitario e chiedendo alla Corte se l’art. 11 della direttiva 68/151/CEE, non ancora attuata nel diritto interno, fosse direttamente applicabile al fine di impedire la dichiarazione di nullità di una società per azioni per una causa diversa da quelle elencate in detto articolo. La Corte ricordava la sua giurisprudenza sull’inesistenza di effetti diretti orizzontali delle direttive e, quindi, sull’impossibilità che queste ultime possano da sole creare obblighi a carico di un singolo e possano essere fatte valere in quanto tali nei confronti dello stesso27. Nel contempo, però, faceva presente, richiamando la sentenza Von Colson e Kamann del 198428, che l’obbligo nascente per gli Stati membri in forza di una direttiva di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure l’obbligo imposto agli Stati dall’art. 10 (ex art. 5) del Trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale dovere, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. Da tale premessa faceva evidentemente derivare la necessaria conseguenza per cui nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, (ex art. 189, comma 3) del Trattato. Ne scaturiva, in relazione al caso concreto, che dovendosi interpretare il diritto nazionale conformemente all’art. 11 della direttiva 68/151, era preclusa un’interpretazione delle disposizioni del diritto interno in tema di società per azioni in modo tale che la nullità di una società per azioni potesse essere pronunciata per motivi diversi da quelli tassativamente elencati dall’art. 11 della direttiva (e ciò nonostante il chiaro disposto degli artt. 1261 e 1275 del codice civile spagnolo). Dovendo quindi anche il giudice, quale organo statale, perseguire il risultato voluto dalla direttiva29, la Corte affermava che se allo stesso viene sottoposta una controversia rientrante nella sfera di operatività della direttiva 68/151 egli è tenuto ad interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva al fine di impedire la dichiarazione di nullità di una società per azioni per una causa diversa da quelle elencate all’art. 11 della direttiva.

27 Citava in particolare Corte eur. giust. 26-2-1986 C-152/84, Racc., 723. 28 Corte eur. giust. 10-4-1984 C-14/83 cit., punto 26. 29 Lo scopo della dir. 9-3-1968 n. 151 era di limitare i casi di nullità e la retroattività della dichiarazione di nullità al fine di garantire la «certezza del diritto nei rapporti tra la società ed i terzi nonché nei rapporti fra i soci» (VI “considerando” della direttiva). Inoltre la tutela dei terzi «dev’essere assicurata mediante disposizioni che limitino, per quanto possibile, le cause di invalidità delle obbligazioni assunte in nome della società».

Page 10: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

10

Non occorre spendere molte parole per evidenziare come non si possa in realtà parlare di “interpretazione conforme” per ipotesi di non applicabilità di cause di nullità contemplate nel solo ordinamento interno e non anche in quello comunitario. Non è invero configurabile un’operazione ermeneutica nell’attività di chi deve soltanto considerare come non esistenti (e non applicabili, quindi) le cause di nullità previste dal diritto nazionale e non dalla direttiva. 2.2 Nella sentenza Caprini30 la Corte ha affermato che la direttiva 86/653/CEE deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale che subordini all’iscrizione dell’agente commerciale in un albo previsto a tale scopo l’iscrizione dello stesso agente nel registro delle imprese, risultando però ostativa ad una disciplina in cui la mancanza di quest’ultima iscrizione pregiudichi la validità dei contratti di agenzia conclusi dall’agente con il suo preponente o in cui le conseguenze della mancata iscrizione ledano altrimenti la tutela riconosciuta dalla direttiva agli agenti commerciali nei rapporti con i loro preponenti. La normativa interna da comparare con quella comunitaria si trova nella legge 204/85, ed in particolare nell’art. 2 di quest’ultima (articolo che prevede l’istituzione, presso ciascuna camera di commercio, di un ruolo per gli agenti ed i rappresentanti di commercio al quale «devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l’attività di agente o rappresentante di commercio») e nell’art. 9 della stessa legge (che pone poi un «divieto a chi non è iscritto al ruolo di cui alla presente legge di esercitare l’attività di agente o rappresentante di commercio»). Nella sentenza Caprini la Corte ha citato, innanzitutto, la nota sentenza Bellone31, pronuncia con la quale la stessa Corte aveva dichiarato che – considerata la protezione accordata dalla direttiva, così come descritta nei “considerando” secondo e terzo di quest’ultima32, – l’iscrizione dell’agente commerciale nel ruolo previsto a tale scopo non poteva essere ritenuta una condizione di validità del contratto concluso da tale agente con il suo preponente. Al punto 11 della citata sentenza Bellone la Corte aveva però anche rilevato che la direttiva non disciplinava la questione, in quanto tale, dell’iscrizione dell’agente commerciale in un albo, essendo stata lasciata agli Stati membri la cura di imporre, ove lo avessero ritenuto opportuno, l’iscrizione in tale albo per rispondere eventualmente a talune esigenze amministrative. La direttiva non si opponeva, dunque, in via di principio, al fatto che gli Stati membri mantenessero registri nei quali gli agenti commerciali dovessero o potessero iscriversi, ivi compreso un registro delle imprese, opponendosi invece a conseguenze della mancata iscrizione che fossero pregiudizievoli per la tutela, garantita dalla direttiva, degli agenti commerciali nei rapporti giuridici con i loro preponenti33.

30 Corte eur. giust. 6-3-2003 C-485/01. 31 Corte eur. giust. 30-4-1998 C-215/97, Racc., I-2191. 32 Da tali “considerando” si ricava che la direttiva in questione è intesa a tutelare gli agenti commerciali nelle loro relazioni con i preponenti, a promuovere la sicurezza delle operazioni commerciali ed a facilitare gli scambi di merci tra Stati membri ravvicinando i sistemi giuridici di questi ultimi in materia di rappresentanza commerciale. A tal fine la direttiva prevede in particolare norme riguardanti i diritti e gli obblighi delle parti (artt. 3-5), la retribuzione degli agenti commerciali (artt. 6-12) e la conclusione ed estinzione dei contratti di agenzia (artt. 13-20). 33 D’altronde, come si legge nella sentenza Bellone, in ordine «alla forma del contratto di agenzia, l’art. 13, n. 2, della direttiva, che si inserisce nel capitolo IV, dal titolo ‘Conclusione ed estinzione del contratto di agenzia’, consente agli Stati membri di «prescrivere che un contratto di agenzia sia valido solo se documentato per iscritto». Ne risulta, in primo luogo, che la direttiva parte dal principio che il contratto non è soggetto ad alcuna forma, pur lasciando agli Stati membri la facoltà di imporre la forma scritta. In secondo luogo, come sottolineato dalla Commissione e rilevato

Page 11: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

11

Va ora precisato, anche per meglio comprendere l’operatività del meccanismo dell’interpretazione conforme e la non uniformità delle soluzioni adottate dalla Corte di giustizia sul punto, che sulla scia della sentenza Bellone e prima della pronuncia Caprini (che sembrano ravvisare un contrasto tra diritto interno e diritto comunitario in caso di ritenuta invalidità del contratto di agenzia in assenza di iscrizione nell’albo) era stata emessa sulla medesima questione l’interessante sentenza sul caso Centrosteel34. In tale decisione la Corte, prima di citare la sopra ricordata soluzione adottata nel caso Bellone, aveva ricordato che i giudici italiani avevano costantemente ritenuto, in passato, che il contratto di agenzia concluso da un soggetto non iscritto nel detto albo fosse nullo per violazione della norma imperativa dettata dall’art. 9 della legge 204/85 e che il soggetto medesimo non potesse agire in giudizio per ottenere le commissioni e le indennità relative all’attività svolta. Ciò che merita ora di essere evidenziato è che nel caso Centrosteel il giudice che aveva sollevato il rinvio pregiudiziale, pur richiamandosi alla menzionata sentenza Bellone, aveva ritenuto che la direttiva in questione non fosse sufficiente per escludere l’invalidità del contratto in assenza di iscrizione nel relativo albo e ciò considerata la mancata, pacifica (secondo la costante giurisprudenza della Corte) produzione di effetti diretti delle direttive nei rapporti fra i singoli e visto che la sentenza Bellone non sarebbe stata sufficiente ad escludere l’applicazione della legge 204/85 nella controversia sottopostagli. Il giudice, quindi, aveva considerato necessario fare ricorso, per evitare di applicare le disposizioni di tale ultima legge, direttamente alle disposizioni del Trattato, in particolare a quelle relative alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi, disposizioni che, a differenza della direttiva, sarebbero state direttamente ed immediatamente applicabili negli ordinamenti giuridici nazionali e che, in caso di contrasto con taluni articoli della legge 204/85, avrebbero comportato la disapplicazione di questi ultimi. L’organo giurisdizionale di rinvio aveva pertanto sospeso il procedimento davanti a sé ed aveva sottoposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali sull’interpretazione di talune disposizioni (dall’art. 52 al 66) del Trattato CE chiedendo se costituissero restrizione alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi i ricordati artt. 2 e 9 della legge italiana n. 204 del 1985 sull’iscrizione obbligatoria ad un albo per chi svolge attività di agente e sulla nullità del contratto di agenzia stipulato da chi non è iscritto all’albo. In altri termini, si chiedeva se le norme del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi risultassero ostative ad una normativa nazionale di subordinazione della validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo.

dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, il legislatore comunitario, menzionando tassativamente solo la condizione di un atto scritto per la validità del contratto, con tale disposizione ha disciplinato in maniera esauriente la materia. Oltre alla redazione di un atto scritto, gli Stati membri non possono quindi imporre alcun’altra condizione. Tale conclusione è confermata dal fatto che la direttiva, ogniqualvolta lascia agli Stati membri la facoltà di derogare alle sue disposizioni, ne fa espressa menzione (v., in particolare, gli artt. 2, n. 2, 7, n. 2, secondo comma, 12, n. 4, 15, n. 3, 16, 20, n. 4, e 21). Se l’art. 13, n. 2, della direttiva lascia quindi agli Stati membri la sola facoltà di prevedere la forma scritta, ne consegue che altre deroghe al principio della libertà della forma sono in contrasto con la direttiva. L’iscrizione dell’agente in un albo non può pertanto essere considerata come una condizione di validità del contratto. Questa interpretazione della direttiva è ulteriormente corroborata dal fatto, già menzionato, che nel corso dei lavori preparatori la proposta dell’iscrizione dell’agente su un albo era stata discussa, senza però trovare accoglimento, in quanto l’iscrizione non era stata considerata necessaria perché l’agente potesse beneficiare di diritti in forza della direttiva». 34 Corte eur. giust. 13-7-2000 C-456/98.

Page 12: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

12

Sul punto la Corte di giustizia rispondeva, nel caso Centrosteel, ricordando che nel caso Bellone era già stato affermato che la direttiva n. 86/653/CEE ostava a che la validità del contratto di agenzia fosse subordinata all’iscrizione dell’agente di commercio in un siffatto albo e sottolineando che, nonostante le direttive non potessero autonomamente creare obblighi a carico dei singoli35, tuttavia era pacifico nella giurisprudenza comunitaria36 che nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che si trattasse di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale dovesse interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, del Trattato CE (ex 189). In particolare la Corte affermava che «quando è adito per una controversia rientrante nella sfera di applicazione della direttiva e scaturita da fatti successivi alla scadenza del termine di trasposizione della direttiva medesima, il giudice di rinvio, applicando le disposizioni del diritto nazionale ovvero una giurisprudenza interna consolidata - come sembra essere nella specie della causa principale -, deve interpretarle in modo da consentirne un’applicazione conforme agli scopi della direttiva». Potendo la controversia pendente dinanzi al giudice a quo essere risolta sulla base della direttiva citata e della giurisprudenza della Corte relativa agli effetti delle direttive ed all’interpretazione conforme, nel caso Centrosteel non si procedeva alla soluzione delle questioni poste dal giudice a quo in ordine alle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi37. Ciò che va ora sottolineato è che il ricorso operato nella sentenza Centrosteel al meccanismo dell’interpretazione conforme (visto che la disapplicazione di disposizioni interne non è effettivamente invocabile per i casi di norme comunitarie prive di efficacia diretta e che, in quanto tali, non possono porsi come parametro di legittimità di disposizioni nazionali in controversie tra privati) non può che far sorgere qualche dubbio sull’impiego di una nozione del genere (che dovrebbe mantenersi nell’ambito di un orizzonte ermeneutico) in relazione a casi dove sussiste una totale incompatibilità tra la disposizione ‘interpretata’ e quella che funge da criterio interpretativo e che si risolvono, di fatto, in una sostanziale disapplicazione (in questo caso dell’art. 9 della legge 204/85, che pone il divieto a chi non è iscritto al ruolo di cui alla legge in questione di esercitare l’attività di agente o rappresentante di commercio,

35 In proposito la Corte citava le sentenze Corte eur. giust. 26-2-1986 C-152/84 cit., punto 48, e Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 20. 36 Venivano citate le sentenze Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit., punto 8; Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit., punto 20; Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 26, e Corte eur. giust. 27-6-2000 C-240/98 e C-244/98, punto 30. 37 Nella sentenza Centrosteel il giudice comunitario prendeva poi anche atto del fatto che la Corte di Cassazione aveva già provveduto, a seguito della menzionata sentenza Bellone, a modificare la propria giurisprudenza nel senso che l’inosservanza dell’obbligo di iscrizione nell’albo degli agenti e dei rappresentanti di commercio, dettato dalla legge n. 204, non implicava più, nel diritto italiano, la nullità del contratto di agenzia, che rimaneva valido. In relazione alle decisioni nazionali sul caso dell’agente non iscritto all’albo v., tra le altre, Cass. 6-8-2003 n. 11891, Guida al Diritto, 2003, 40, 43; Cass. 13-3-2003 n. 3705, Guida al Diritto, 2003, 18, 47; Cass. 17-4-2002 n. 5505, Mass. giur. it., 2002, Foro it., 2002, I, 2709, con nota di M. Caputi, Agenti, mediatori e difetto di iscrizione nei ruoli professionali: «unicuique suum»?; Arch. civ., 2003, 183; Cass. 18-3-2002 n. 3914, Mass. Giur. It., 2002; Giust. Civ., 2002, I; Arch. Civ., 2003, 65; Riv. Dir. Internaz., 2002, 450; Cass. 23-1-2002 n. 752 cit.; Cass. 23-2-2001 n. 2627; Cass. 12-11-1999 n. 12580, Mass. giur. it., 1999; Cass. 18-5-1999 n. 4817, Foro it. 1999, I, 2542; Riv. Critica Dir. Lav., 1999, 620, con nota di Scorcelli; Dir. Lav., 2000, II, 483, con nota di Lepore; Riv. Giur. Lav., 2000, II, 95, con nota di Valente; Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2000, 486; Trib. Palermo 31-7-2002.

Page 13: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

13

comportando, ai sensi dell’art. 1418 c.c.38, l’invalidità del contratto di agenzia stipulato da chi non è iscritto all’albo ed impedendo il sorgere del diritto al compenso da parte del soggetto non iscritto). È la stessa Corte, peraltro, a contraddirsi palesemente: prima evidenzia l’esistenza di un contrasto insanabile tra il diritto interno e quello comunitario (tanto che nel dispositivo afferma che la direttiva 86/653/CEE “osta” ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo) e poi impiega il concetto di interpretazione conforme precisando che la norma interna va interpretata alla luce della lettera e dello scopo della direttiva nei limiti di ciò che è “possibile” (punto 16). È di tutta evidenza che la giurisprudenza della Corte sull’esclusione degli effetti diretti orizzontali delle direttive (e quindi della disapplicazione delle norme interne contrastanti) e sull’applicazione dell’interpretazione conforme anche a casi di manifesta incompatibilità tra diritto interno e diritto comunitario non direttamente efficace comporta delle anomalie che sono fonte di disorientamento. In casi di palese contrasto tra la norma interna e quella comunitaria priva di effetti diretti il giudice nazionale non sa come comportarsi: disapplicare la norma interna contrastante (violando il criterio per cui la disapplicazione presuppone l’effetto diretto della norma comunitaria), interpretare conformemente (o, meglio, fare finta di interpretare conformemente) la disposizione nazionale nonostante l’incompatibilità normativa o, infine, applicare la norma interna contrastante? La difficoltà dei giudici nazionali di utilizzare il ‘particolare’ concetto di interpretazione conforme elaborato dalla Corte porta a soluzioni quali quelle (che sembrano rinvenirsi in Cass. 3705/0339 e Cass. 5505/0240) di richiamare la sentenza Centrosteel e l’obbligo di interpretazione conforme in essa sancito e poi, invece, affermare espressamente la disapplicazione del citato art. 9 L. 204/85 nonostante la direttiva riguardi rapporti orizzontali e non possa quindi produrre né effetti diretti né, di conseguenza, disapplicazione di norme interne. Talvolta si perviene addirittura a forzature del sistema ed a soluzioni forse non coerenti (ci si consenta di dire) con l’orientamento della Corte di giustizia. Si fa riferimento a quella giurisprudenza di legittimità che, pur di ritenere possibile la disapplicazione delle norme nazionali sulla validità del contratto di agenzia anche nei rapporti interprivati, ha attribuito efficacia diretta (considerando correttamente che la disapplicazione delle disposizioni interne presuppone la diretta efficacia di quelle comunitarie) alla direttiva sopra citata, individuando il presupposto degli effetti diretti delle direttive non nella natura dei soggetti del rapporto, ma negli interessi, pubblici o privati, sottesi41.

38 Vista la natura imperativa del citato art. 9. V. Cass. 18-3-2002 n. 3914 cit. e Cass. 30-8-2004 n. 17350, Orientam. Giurispr. lav., 2004 , 4, 994. Cfr. anche Cass. 18-5-1999 n. 4817 cit.; Cass. 17-4-2002 n. 5505 cit.; Cass. 19-5-2003 n. 7844, Arch. Civ., 2004, 357, Gius, 2003, 21, 2374, e Impresa, 2003, 1460. 39 Cass., sez. II, 13-3-2003 n. 3705 cit. 40 Cass., sez. II, 17-4-2002 n. 5505 cit. 41 Secondo questa giurisprudenza, ai fini dell’individuazione dei rapporti (verticali) tra privati e lo Stato «il giudice deve compiere un penetrante accertamento che, prescindendo dalla qualità dei soggetti in causa, individui la reale portata dei contrapposti interessi e quindi la norma destinata a disciplinarli, la quale è l’unico oggetto di valutazione circa un’eventuale incompatibilità con la direttiva comunitaria» (Cass. 18-5-1999 n. 4817 cit.). Analogamente, si legge in Cass. 18-3-2002 n. 3914, cit., che «in questa prospettiva, ancorché la controversia si svolga tra privati occorre distinguere: se la disposizione imperativa contraria alla Direttiva limita l’autonomia negoziale a tutela di interessi esclusivamente privati, la disposizione stessa non potrà essere disapplicata dal

Page 14: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

14

Tuttavia, in tal modo si finisce con il parificare «in tutto l’efficacia delle direttive a quella dei regolamenti, almeno in quei casi nei quali i limiti posti dal diritto nazionale derivino dal perseguimento di finalità pubblicistiche. Tale conclusione però rischia di rimettere in discussione conclusioni faticosamente acquisite, senza offrire una credibile soluzione alternativa, data l’assoluta indeterminatezza della nozione di fine pubblico. La soluzione proposta comporta in effetti un rovesciamento dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, estendendo sostanzialmente gli effetti della direttiva ben al di là di quanto previsto dal diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia»42. Tecnicamente la “disapplicazione” presuppone, come già rilevato, che la norma comunitaria sia dotata di effetti diretti, di “sostituzione” o di “esclusione”. In assenza di effetti diretti, può applicarsi soltanto la normativa nazionale interpretata conformemente a quella comunitaria. Rimeditando le categorie già acquisite, al giudice nazionale non rimane altro che prendere atto del particolare impiego operato dalla Corte di giustizia del concetto di interpretazione conforme nei rapporti tra il diritto interno e quello comunitario non direttamente efficace e conformarsi a tale impostazione.

giudice, attesa la efficacia “verticale” della Direttiva … Se, invece, la disposizione limita o sopprime l’autonomia privata per la realizzazione di interessi di cui è titolare direttamente la Pubblica Amministrazione, in quanto ente esponenziale di interessi collettivi, la controversia, anche se formalmente intervenuta tra soggetti privati, coinvolge necessariamente gli interessi dell’Amministrazione. In tal caso, conclude Cass., n. 4817 del 1999, l’interesse pubblico, cui fa capo la disposizione in contrasto con la Direttiva - sempre che questa sia chiara e sufficientemente precisa - comporta la disapplicazione della disposizione stessa, senza che ciò, evidentemente, contravvenga al principio della efficacia esclusivamente “verticale” della Direttiva comunitaria. Nel caso di specie, pur essendo il rapporto tra agente e preponente innegabilmente di tipo “orizzontale”, deve tuttavia riconoscersi che la norma imperativa invocata per sostenere la nullità del contratto (art. 9 della legge n. 204 del 1985) non è posta nell’interesse dei privati, ma nell’interesse della Pubblica Amministrazione, riguardando il rapporto tra lo Stato da un lato e gli agenti ed i preponenti dall’altro. Pertanto, rispetto a tale norma la Direttiva ha efficacia diretta, con conseguente obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disposizione interna incompatibile. Per effetto della disapplicazione della norma interna (legge n. 204 del 1985) non trova applicazione neppure la disposizione dell’art. 1418 del codice civile, che sancisce la nullità dei contratti contrari a norme imperative di legge». Nello stesso senso v. anche Cass. 19-5-2003 n. 7844 cit. Similmente, afferma Cass. 14-10-2004 n. 20275 che «le direttive comunitarie rimaste inattuate dopo la scadenza del termine assegnato allo Stato membro, le quali contengano disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, consentono di giungere alla disapplicazione delle norme interne confliggenti. Tale ultimo principio vale, però, soltanto nei rapporti tra privati e Io Stato e non nei rapporti intercorrenti esclusivamente tra privati. Ai fini dell'individuazione dei rapporti del primo tipo il giudice deve compiere un penetrante accertamento che, prescindendo dalla qualità dei soggetti in causa, individui te reale portata dei contrapposti interessi e quindi la norma destinata a disciplinarli, la quale è l'unico oggetto di valutazione circa una eventuale incompatibilità con la direttiva comunitaria. In questa prospettiva, ancorché una controversia sorga tra privati, bisogna distinguere a seconda che la disposizione imperativa, contraria alla direttiva, limiti l'autonomia negoziale a tutela di interessi esclusivamente privati ovvero limiti o sopprima l'autonomia privata per la realizzazione di interessi di cui è titolare direttamente la Pubblica Amministrazione, in quanto esponenziale di interessi collettivi. In tale ultimo caso, la direttiva può essere disapplicata senza contravvenire al principio dell'efficacia esclusivamente "verticale" delle direttive comunitarie (Cass. 18-5-1999 n. 4817)». 42 M. Marinelli, Il problematico dialogo tra giudice nazionale e giudice comunitario in tema di contratti stipulati da un agente non iscritto all’albo, in questa Rivista, 2002, 1044.

Page 15: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

15

2.3 In relazione al caso Océano43, le cause all’interno delle quali era stato effettuato dal giudice a quo un rinvio pregiudiziale riguardavano contratti di acquisto a rate, a fini personali, di enciclopedie stipulati tra il maggio e l’ottobre del 1996. Tali contratti contenevano una clausola di attribuzione della competenza alle autorità giudiziarie di Barcellona, città in cui non era domiciliato nessuno degli acquirenti delle enciclopedie ma in cui si trovava la sede delle società venditrici delle stesse. Poiché gli acquirenti delle enciclopedie non avevano versato le somme dovute alle scadenze pattuite, tali ultime società avevano iniziato un giudizio innanzi al Juzgado de Primera Instancia di Barcellona chiedendo la condanna dei convenuti al pagamento delle somme dovute. Il giudice a quo dubitava, però, di essere competente a conoscere delle controversie in quanto – sebbene il Tribunal Supremo avesse ripetutamente dichiarato vessatorie le clausole derogative dalla competenza del tipo di quelle ricorrenti nel caso di specie – egli manifestava qualche perplessità in ordine alla possibilità di rilevare d’ufficio la nullità delle clausole vessatorie. Sospendeva pertanto il giudizio e, sottoponendo alla Corte una questione pregiudiziale, chiedeva se la tutela assicurata al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE sulle clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori consentisse o meno al giudice nazionale di pronunciarsi ex officio sul carattere vessatorio di una di dette clausole. Il giudice a quo voleva quindi sapere se, in mancanza di trasposizione della direttiva nella legislazione interna, gli fosse consentito il rilevo officioso dell’abusività della clausola attributiva di competenza al giudice del domicilio del professionista. Rispondendo alla questione pregiudiziale la Corte ha in primo luogo affermato che la clausola contenuta in un contratto tra un consumatore ed un imprenditore che preveda, per ogni controversia legata al contratto, come giudice competente esclusivamente quello della sede del professionista, rientra nella nozione di “clausola abusiva” ai sensi della direttiva. Ed invero, una clausola del genere, che può indurre il consumatore a rinunziare ad agire o a difendersi (soprattutto nelle controversie di valore limitato) e che invece agevola la difesa del professionista, rientra nella categoria di quelle che hanno lo scopo o l’effetto di sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lett. q), dell’allegato della direttiva. La Corte ha ritenuto, poi, che la direttiva implicasse la valutabilità ex officio ad opera del giudice nazionale dell’abusività (ossia della “nostra” vessatorietà) delle clausole contrattuali. Il giudice comunitario è giunto a questa conclusione innanzitutto sulla base della considerazione per cui la direttiva ha congegnato un sistema di tutela che parte dal presupposto per cui il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse. Il consumatore-aderente deve quindi potere ricevere tutela almeno nella fase giudiziale in cui viene chiesta l’applicazione di contratti contenenti clausole vessatorie e ciò anche quando egli sia contumace o si difenda (se consentito) da solo o, ancora, non sia assistito da una difesa tecnica in grado di eccepire la vessatorietà delle pattuzioni44.

43 Corte eur. giust. 27-6-2000 C-240/98 e C-244/98. 44 «L’obiettivo perseguito dall’art. 6 delle direttiva, che obbliga gli Stati membri a prevedere che le clausole vessatorie non vincolino i consumatori, non potrebbe essere conseguito se questi ultimi fossero tenuti ad eccepire essi stessi la illiceità di tali clausole. In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore dall’opporsi all’applicazione di una clausola vessatoria. Sebbene in controversie

Page 16: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

16

La Corte ha poi aggiunto che l’impianto di protezione rinvenibile nella direttiva si fonda anche sull’idea che la diseguaglianza tra il consumatore ed il professionista può essere riequilibrata solo grazie ad un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale. È per tale ragione che l’art. 7 n. 1 della direttiva impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive. Ecco, pertanto, che il giudice comunitario ha concluso nel senso che la tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva comporta che il giudice nazionale possa valutare d’ufficio l’illiceità di una clausola del contratto oggetto del giudizio. E nonostante nel diritto processuale spagnolo – dove la direttiva 93/13 era stata recepita in notevole ritardo – non fosse prevista espressamente la possibilità di un rilievo officioso dell’illiceità della clausola abusiva e fosse invece possibile scegliere come foro esclusivamente competente per le controversie derivanti dal contratto quello della sede del professionista45, la Corte ha affermato che il giudice che deve dirimere una controversia relativa ad una materia disciplinata dalla direttiva e che trova origine in fatti successivi alla scadenza del termine di trasposizione di quest’ultima deve interpretare le disposizioni di diritto nazionale vigenti alla data dei fatti nella maniera maggiormente conforme alla direttiva, in modo che possano essere applicate d’ufficio46. Ricordando quindi i suoi più importanti precedenti in tema di interpretazione conforme47, la Corte ha ribadito che in caso di mancata (o errata, è da aggiungere) trasposizione di una direttiva il giudice interno deve interpretare il diritto nazionale, precedente o successivo alla direttiva, quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo di quest’ultima, per conseguire il risultato perseguito da quest’ultima, risultato che nel caso di specie era quello della rilevabilità ex officio dell’abusività della clausola attributiva di competenza al giudice del domicilio del professionista. È evidente, però, che il ricordato stato del diritto processuale spagnolo rendeva poco configurabile un’operazione ermeneutica di disposizioni interne, che si ponevano solo in netto contrasto con la normativa comunitaria. 2.4 Il caso oggetto della sentenza Carbonari48 getta ulteriore luce sul modo (a dir poco particolare) in cui la Corte applica il concetto di “interpretazione conforme” e risulta molto

del genere le norme processuali di molti Stati membri consentano ai singoli di difendersi da soli, esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere l’illiceità della clausola oppostagli. Ne discende che una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale ha facoltà di valutare d’ufficio tale clausola» (Corte eur. giust. 27-6-2000 C-240/98 e C-244/98, punto 26). 45 Tanto che l’Avv. Generale Saggio aveva escluso nelle sue conclusioni la possibilità di fare riferimento al canone dell’interpretazione conforme nel caso di specie visto che tra le disposizioni processuali interne e la direttiva era presente, secondo lui, un chiaro ed aperto contrasto, comportando la loro applicazione degli effetti totalmente diversi e considerato che non gli sembrava esistere una disposizione di diritto interno che si potesse «interpretare» in maniera da raggiungere l’obiettivo richiesto dalla direttiva. Per l’Avv. Generale le due normative non erano quindi conciliabili. 46 È stato soprattutto sostenuto che «nell’applicare disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a tale direttiva, il giudice nazionale deve interpretarle quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della stessa. In particolare, l’obbligo di interpretazione conforme impone al giudice nazionale di preferire l’interpretazione che gli consenta di declinare d’ufficio la competenza attribuitagli da una clausola vessatoria» (Corte eur. giust. 27-6-2000 C-240/98 e C-244/98, punto 32). 47 Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit., punto 8; Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit., punto 20, Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 26. 48 Corte eur. giust. 25-2-1999 C-131/97 cit.

Page 17: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

17

importante al fine di comprendere i rapporti (cumulativi o alternativi) tra la tutela diretta (tramite interpretazione conforme) della posizione giuridica riconosciuta a livello comunitario e la tutela risarcitoria. Un po’ complesso è il panorama normativo, comunitario e nazionale, di riferimento. Esso verrà semplicemente tracciato in quanto non pare utile ai nostri fini la sua dettagliata esposizione. Per quanto concerne la normativa comunitaria devono ricordarsi 2 direttive: 1) la 75/362/CEE49 (c.d. «direttiva ‘riconoscimento’») che mira al riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli di medico e comporta misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi; 2) la 75/363/CEE50 (c.d. «direttiva ‘coordinamento’») che mira al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative attinenti alle attività di medico. Entrambe le direttive sono state modificate, in particolare, dalla direttiva 82/7651. Queste normative sono state poi abrogate e sostituite dalla direttiva 93/16/CEE che, senza modificarne le principali disposizioni, ha raggruppato in un unico testo le varie previsioni. La normativa comunitaria prevedeva una remunerazione adeguata per i medici specializzandi. La citata direttiva n. 82/76/CEE (come detto recante modifica di precedenti direttive in tema di formazione dei medici specialisti) veniva attuata in Italia soltanto con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 25752, il quale, oltre a prevedere i diritti ed i doveri degli specializzandi, stabiliva, all’art. 6, che «agli ammessi alle scuole di specializzazione … in relazione all’attuazione dell’impegno a tempo pieno per la loro formazione, è corrisposta, per tutta la durata del corso, ad esclusione dei periodi di sospensione della formazione specialistica, una borsa di studio determinata per l’anno 1991 in L. 21.500.000». Espressamente il decreto prevedeva che le sue disposizioni si applicavano «a decorrere dall’anno accademico 1991-92» (art. 8, co. 2). Orbene, il problema che si poneva era quello del diritto o meno alla borsa di studio per gli specializzandi che avevano iniziato in Italia il periodo di specializzazione prima dell’anno 1991/1992. Il giudice a quo domandava se, stante la mancata trasposizione entro i termini stabiliti delle direttive comunitarie che sanciscono l’obbligo di remunerare adeguatamente i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche, le stesse direttive producessero effetti diretti e se, quindi, dal punto di vista del loro contenuto, le disposizioni in esse previste fossero incondizionate e sufficientemente precise in modo che i medici specializzandi potessero far valere il detto obbligo dinanzi ai giudici nazionali nei confronti delle amministrazioni di uno Stato membro. La Corte di giustizia rilevava innanzitutto che la normativa comunitaria non consentiva al giudice interno di identificare né il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata né l’importo della stessa o il suo metodo di determinazione. Nonostante le direttive in questione attribuissero al privato una posizione giuridica soggettiva nei rapporti verticali (con lo Stato in particolare), era pertanto da escludere l’efficacia diretta delle medesime direttive (e la loro invocazione davanti ad un giudice nazionale o ad un organo amministrativo) stante la carenza del requisito della sufficiente precisione. In mancanza di provvedimenti di trasposizione, esse non erano dunque idonee a conferire direttamente ai medici specializzandi il diritto ad una remunerazione adeguata.

49 In g.u.c.e. 30-6-1975 n. L167, 1-13. 50 In g.u.c.e. 30-6-1975 n. L167, 14-16. 51 In g.u.c.e. n. 15-2-1982 L43, 21-25. 52 In g.u. 16-8-1991 n. 191.

Page 18: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

18

La Corte faceva comunque ricorso al canone dell’interpretazione conforme, ricordando la sua giurisprudenza (es. casi Marleasing e Wagner Miret) per cui nell’applicare il diritto nazionale, ed in particolare le disposizioni di recepimento di una direttiva, «il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva medesima onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 189, terzo comma, del Trattato CE» (ora art. 249, co. 3). Precisava quindi, richiamando anche la sentenza Von Colson e Kamann del 198453, che l’obbligo degli Stati membri di conseguire il risultato perseguito da una direttiva ed il dovere (sancito dall’attuale art. 10 del Trattato) dei medesimi Stati di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. L’aspetto che merita però di essere maggiormente evidenziato è il particolare modo in cui è stata ritenuta possibile l’interpretazione conforme nel caso di specie. Nella sentenza Carbonari la Corte ha infatti affermato che «spetta al giudice a quo valutare in quale misura l’insieme delle disposizioni nazionali - più in particolare, per il periodo successivo alla loro entrata in vigore, le disposizioni di una legge promulgata al fine di trasporre la direttiva 82/76 - possa essere interpretato, fin dall’entrata in vigore di tali norme, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di conseguire il risultato da essa voluto». È fin troppo evidente che l’applicazione retroattiva delle norme del d.lgs. 257/91 (applicazione peraltro esclusa espressamente dall’art. 8, comma 2, del medesimo decreto) non è certo configurabile come attività ermeneutica. L’applicazione delle disposizioni normative nel tempo è cosa distinta dall’interpretazione delle stesse. Eppure, il necessario conseguimento del risultato voluto dalla direttiva “giustifica” queste soluzioni, che possono comunque indubbiamente apparire forzate. Come si è anticipato, la sentenza Carbonari risulta di indubbia importanza anche per quanto concerne i rapporti tra l’azione diretta (con cui il privato chiede il riconoscimento della posizione giuridica soggettiva di matrice comunitaria tramite l’applicazione della norma comunitaria o di quella interna interpretata conformemente al diritto comunitario) e quella risarcitoria (con cui il privato chiede il ristoro per equivalente della lesione, per mancata o errata attuazione della direttiva, della detta posizione giuridica soggettiva). Sul punto la Corte ha affermato che la tutela risarcitoria ha carattere residuale54, essendo possibile soltanto quando il risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione. È soltanto in questo caso che il diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire i danni causati ai singoli dalla mancata attuazione di una direttiva purché siano soddisfatte le tre condizioni (di cui si tratterà più ampiamente in seguito) alle quali la Corte subordina la genesi del diritto al risarcimento del danno55. Con particolare riferimento ai rapporti tra tutela risarcitoria e tutela diretta tramite il particolare tipo di interpretazione conforme consistente nell’applicazione retroattiva di una norma interna la Corte ha poi ricordato che essa stessa, nella sentenza 10 luglio 199756, aveva «dichiarato che l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione di una 53 Corte eur. giust. 10-4-1984 C-14/83, cit.

54 V. anche Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit.; Corte eur. giust. 16.12.1993 C-334/92, cit.; Corte eur. giust. 17-9-1997 C-54/96 cit.; Corte eur. giust. 24-9-1998 C-111/97 e Corte eur. giust. 24-9-1998 C-76/97. 55 In proposito nella sentenza Carbonari si citano Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 27, e Corte eur. giust. 8-10-1996 C-178/97, C-179/94 e da C-188/94 a C-190/94, punti 21 e 23. 56 Corte eur. giust. C-94/95 e C-95/95, Racc., I-3969, punto 53. V. anche Corte eur. giust. 10-7-1997 C-261/95, Racc., I-4025, punto 35 e Corte eur. giust. 10-7-1997 C-373/95, Racc., I-4051, punto 41.

Page 19: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

19

direttiva permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva, a condizione che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. Tuttavia, spetta al giudice nazionale far sì che il risarcimento del danno subito sia adeguato. Un’applicazione retroattiva, regolare e completa delle misure di attuazione della direttiva sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori da essi eventualmente subiti per nonaver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero quindi essere anch’essi risarciti». La responsabilità dello Stato viene quindi configurata dalla Corte come residuale e valevole per “i danni ulteriori” non coperti dalla tutela diretta. Tale impostazione, ed in genere tutte le conclusioni che si leggono nella sentenza Carbonari, sono state poi tenute ferme anche nella successiva pronuncia (sempre relativa alla questione delle borse di studio dei medici specializzandi per il periodo anteriore alla vigenza del d.lgs. 257/91) sul caso Gozza57. Sul tema della residualità dell’azione risarcitoria rispetto alla tutela diretta e dei casi in cui rimane ora materialmente possibile agire per il risarcimento del danno nei confronti della Stato si dovrà comunque tornare, più specificamente, in successivi paragrafi. 2.5 Interessante per la comprensione delle modalità di applicazione del concetto di interpretazione conforme da parte della Corte di giustizia risulta anche quella sentenza relativa al caso di una cittadina austriaca che, avendo acquistato una vacanza in Turchia “tutto compreso” presso una compagnia tedesca ed essendo risultata affetta durante il soggiorno da salmonella, decideva, ritenendosi colposamente privata del godimento della vacanza, di citare l’organizzatore per il risarcimento sia del danno materiale subito che del danno morale conseguente alla mancata realizzazione delle sue aspettative di riposo e di svago58. Il giudice austriaco riconosceva il diritto al risarcimento per il danno materiale, ma, nel silenzio del codice austriaco quanto al danno morale in questi casi, chiedeva alla Corte se l’art. 5 della Direttiva 90/314/CEE dovesse essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio “tutto compreso”. La Corte dichiarava che il detto articolo 5 della direttiva 90/314/CEE «dev’essere interpretato nel senso che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio ‘tutto compreso’»59.

57 Corte eur. giust. 3-10-2000 C-371-97. Sul caso Carbonari e sul caso Gozza v., in particolare, acutamente, Conti, Azione di responsabilità contro lo Stato cit., 836 s. Sui medesimi casi, nonché su quelli Océano, Marleasing e Leitner (sul quale v. infra) cfr. anche, per un’ottima ricostruzione sistematica, Conti, Direttive comunitarie dettagliate cit., 191 s. 58 Corte eur. giust. 12-3-2002 C-168/00. 59 Questi i passaggi motivazionali della Corte: 1) l’art. 5, n. 2, co. 1, della direttiva impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché l’organizzatore di viaggi risarcisca «i danni arrecati al consumatore dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto»; 2) dal secondo e terzo ‘considerando’ della direttiva risulta che essa ha per scopo, in particolare, l’eliminazione delle divergenze accertate tra le normative e le prassi nei diversi Stati membri in materia di viaggi «tutto compreso» ed atte a generare distorsioni di concorrenza tra gli operatori stabiliti nei diversi Stati membri; 3) è pacifico che nel settore dei viaggi «tutto compreso» l’esistenza di un obbligo di risarcire i danni morali in taluni Stati membri e la sua mancanza in altri avrebbe come conseguenza delle distorsioni di concorrenza notevoli, tenuto conto del fatto che, come osservato dalla Commissione, si rilevano frequentemente danni morali in tale settore; 4) la direttiva, ed in particolare il suo art. 5, mira ad offrire una tutela ai consumatori e, nell’ambito dei

Page 20: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

20

Con questa pronuncia la Corte forniva un’interpretazione dell’art. 5 della direttiva in questione che presenta interessanti profili di compatibilità con l’ordinamento nazionale, all’interno del quale non era previsto alcun diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in ipotesi di vacanza rovinata, con la conseguenza – prevista dall’Avvocato Generale Tizzano – che il giudice nazionale chiamato ad applicare tale decisione «indipendentemente dalla possibilità per gli interessati di invocare l’effetto diretto della direttiva, … è tenuto ad interpretare il diritto austriaco alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa e quindi a riconoscere al consumatore (beninteso ove sussistano le altre condizioni) il diritto al risarcimento dei danni morali arrecati dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto di servizio tutto compreso da parte dell’organizzatore e/o del venditore»60. 3. Con la recente sentenza sul caso Pfeiffer61 è stato comunque compiuto un rilevante passo in avanti verso un’ulteriore minore incidenza del limite della compatibilità e, quindi, verso un’ulteriore estensione dell’interpretazione conforme e, conseguentemente, verso il riconoscimento di un più ampio effetto orizzontale indiretto delle direttive. Su questa pronuncia è bene ora soffermarsi. Nel caso esaminato dalla suddetta sentenza il principale quesito posto dal giudice rimettente era quello volto ad acclarare se, in caso di norma comunitaria sufficientemente precisa ed incondizionata, potesse applicarsi a rapporti intersoggettivi tra privati la disposizione comunitaria, previa disapplicazione della norma nazionale con questa incompatibile. La questione era, per l’esattezza, quella dell’efficacia diretta nei rapporti cosiddetti orizzontali (ai quali, come si è detto, è estraneo lo Stato o altro ente od organismo di diritto pubblico) di una direttiva comunitaria in tema di durata media dell’orario di lavoro non correttamente trasposta nell’ordinamento tedesco. Si trattava, in particolare, di alcuni lavoratori della Croce Rossa tedesca che ritenevano di non dovere lavorare oltre le 48 ore settimanali, oltre cioè il limite fissato dall’art. 6, n. 2, della direttiva 93/104/CEE. Tale rivendicazione conseguiva al fatto, considerato non conforme alla direttiva, che il contratto collettivo vigente per quella categoria di lavoratori permetteva il superamento della durata massima dell’orario di lavoro settimanale prevista dall’articolo citato della direttiva; e ciò considerato che la legge tedesca di attuazione della direttiva consentiva di prolungare, in forza di contratto collettivo, la giornata di lavoro oltre le dieci ore, senza compensazione, quando nell’orario di lavoro rientravano regolarmente ed in misura rilevante periodi di guardia.

viaggi turistici, il risarcimento del danno per il mancato godimento della vacanza ha per gli stessi un’importanza particolare; 5) se l’articolo 5 della direttiva si limita, nel suo n. 2, co. 1, a rinviare in modo generale alla nozione di danni, si deve comunque rilevare che, prevedendo, al suo n. 2, co. 4, la facoltà per gli Stati membri di ammettere che, per quanto riguarda i danni diversi da quelli corporali, l’indennizzo sia limitato in virtù del contratto, a condizione che tale limitazione non sia irragionevole, la direttiva riconosce implicitamente l’esistenza di un diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali, tra cui il danno morale. 60 V. Conti, Direttive comunitarie dettagliate cit, 194. 61 Corte eur. giust. 5-10-2004 da C-397/01 a C-403/01, Corr. giur., 2005, 2, 185 s., con il completo ed acuto commento di Conti, Direttive comunitarie dettagliate cit. Un’efficace nota alla sentenza Pfeiffer è anche quella di Capelli, L’efficacia delle direttive comunitarie cit. V. pure Castellaneta, All’assenza di effetti orizzontali cit.

Page 21: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

21

Bisognava pertanto pronunciarsi sull’invocabilità nei confronti di un datore di lavoro privato (e quindi in un rapporto orizzontale) di una norma di una direttiva comunitaria precisa ed incondizionata. In proposito, con la sua decisione sul caso Pfeiffer la Corte ha innanzitutto chiarito che la finalità della previsione della direttiva in questione (finalità come sempre indicata dalla Corte visto l’obbligo per il giudice di perseguire il risultato avuto di mira dalla direttiva) è quella di garantire una protezione efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori (tramite l’assicurazione di periodi di riposo), con la conseguenza che il limite massimo di 48 ore settimanali, compresi gli straordinari, costituisce, in quanto dato elementare di un sistema di salvaguardia della sicurezza e della salute del lavoratore, una norma del diritto sociale comunitario di notevole rilevanza e la cui fruibilità deve riguardare tutti i lavoratori. Per questi motivi la Corte ha affermato che la disposizione di diritto tedesco che consente (prevedendo una deroga non prevista nella direttiva) alla contrattazione collettiva di superare tale limite «non sembra compatibile con quanto prescritto dalla detta disposizione». Con riferimento alla questione dell’efficacia diretta dell’art. 6 n. 2 della direttiva citata, la Corte ha poi ribadito che quando le disposizioni di una direttiva sono incondizionate e sufficientemente precise, come quella in questione, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, e ciò sia in caso di mancata tempestiva attuazione della direttiva, sia in ipotesi di sua non corretta trasposizione. Ha confermato, inoltre, che una direttiva non può creare obblighi a carico di un privato singolo, richiamando però subito dopo la propria giurisprudenza sull’interpretazione conforme e sull’obbligo degli Stati membri e di tutti gli organi statali, compresi quelli giurisdizionali, di conseguire, ex artt. 10 e 249 Tr., il risultato perseguito dalle direttive. Sul punto il giudice comunitario – conscio delle ‘perplessità’, espresse in precedenza, sull’applicabilità del principio dell’interpretazione conforme ai casi (come quello in esame) di totale incompatibilità fra norma interna e diritto comunitario – nel caso Pfeiffer ha affermato che il giudice chiamato ad assicurare «ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto comunitario e garantirne la piena efficacia» deve “presumere” che «lo Stato, essendosi avvalso del margine di discrezionalità di cui gode in virtù di tale norma, abbia avuto l’intenzione di adempiere pienamente gli obblighi derivanti dalla direttiva considerata»62. A ciò ha fatto seguire le sue generali affermazioni in tema di interpretazione conforme63. È stato quindi richiamato il concetto di interpretazione conforme nonostante la rilevata incompatibilità tra la normativa comunitaria e quella interna, ritenendo quindi di fatto possibile un’attività interpretativa anche in presenza di un palese contrasto. Ma altra è ancora la carica innovativa della sentenza Pfeiffer. La Corte non si è infatti limitata all’applicazione (certamente comunque non pacifica, stante l’evidente contrasto normativo) del tralaticio principio sull’interpretazione conforme, ma ha anche aggiunto sia che «l’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale è inerente al sistema del Trattato [64], in quanto permette al giudice nazionale di assicurare, nel contesto delle sue competenze, la piena efficacia delle norme comunitarie quando risolve la

62 Per un’affermazione analoga v. Corte eur. giust. 13-11-1990 C-106/89 cit., punto 8. V. anche Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92 cit., punto 20. 63 Ossia quelle per cui «nell’applicare il diritto interno, in particolare le disposizioni di una normativa appositamente adottata al fine di attuare quanto prescritto da una direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art. 249, terzo comma, CE» 64 Come già affermato dalla nota sentenza Francovich (Corte eur. giust. 19-11-1991 C-6/90 e C-9/90 cit.) in ordine alla responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario.

Page 22: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

22

controversia ad esso sottoposta»65, sia, soprattutto, che «se è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto comunitario, riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva»66. Per la Corte, pertanto, il giudice nazionale, nel procedere all’interpretazione conforme delle norme del diritto nazionale volte a recepire la direttiva (nei casi in cui questa è stata recepita), deve interpretare queste ultime «quanto più possibile in modo tale che possano essere applicate in conformità della direttiva»67 e ciò esige che egli non debba guardare solo alle norme di recepimento dovendo invece prendere in considerazione tutto il diritto nazionale. Tale principio era in qualche modo presente in nuce, come rilevato dalla stessa Corte, nella citata sentenza Carbonari e, ad avviso di chi scrive, poteva pure ritenersi formulato nella decisione della Corte del 29 maggio 1997 (Commissione contro Regno Unito)68, decisione nella quale si legge che per verificare l’eventuale inadempimento dello Stato occorre verificare se la piena attuazione della direttiva non possa essere raggiunta tramite un’interpretazione conforme che valuti il «contesto giuridico generale, nel quale si inserisce la disposizione controversa». Per la sentenza Pfeiffer «il principio dell’interpretazione conforme esige quindi che il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia della direttiva». Sul punto la Corte ha richiamato i meccanismi dell’interpretazione sistematica applicati nei sistemi nazionali, meccanismi da utilizzare anche nel rapporto tra norma interna e disposizione comunitaria al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva69. Conseguentemente, il giudice comunitario ha concluso ritenendo «che un giudice nazionale cui sia sottoposta una controversia che ha luogo esclusivamente tra singoli, nell’applicare le norme del diritto interno adottate al fine dell’attuazione degli obblighi previsti da una direttiva deve prendere in considerazione tutte le norme del diritto nazionale ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito. Nelle cause principali, il giudice del rinvio, quindi, deve fare tutto ciò che rientra nella sua competenza per evitare il superamento dell’orario massimo di lavoro settimanale fissato in 48 ore in virtù dell’art. 6, punto 2, della direttiva 93/10».

65 In proposito la Corte cita il precedente relativo al caso Mau (Corte eur. giust. 15-5-2003 C-160/01 cit., punto 34). 66 Principio ribadito, da ultimo, nel caso Schulte di cui a Corte eur. giust. 25-10-2005 C-350/03. Su questa ampia concezione di interpretazione conforme anche con riferimento alle decisioni quadro v., di recente, Corte eur. giust. 16-6-2005 C-105/03. 67 Qui la Corte cita anche il caso, già esaminato in relazione al contratto di agenzia, Centrosteel (Corte eur. giust. 13-7-2000 C-456/98). 68 Corte eur. giust. C-300/95 cit., sentenza relativa alla dir. 25-7-1985 n. 374 ed alla causa di esonero dalla responsabilità per i prodotti difettosi in considerazione dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche. 69 Al riguardo è stato in particolare affermato: «a questo proposito, se il diritto nazionale, mediante l’applicazione di metodi di interpretazione da esso riconosciuti, in determinate circostanze consente di interpretare una norma dell’ordinamento giuridico interno in modo tale da evitare un conflitto con un’altra norma di diritto interno o di ridurre a tale scopo la portata di quella norma applicandola solamente nella misura compatibile con l’altra, il giudice ha l’obbligo di utilizzare gli stessi metodi al fine di ottenere il risultato perseguito dalla direttiva».

Page 23: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

23

Dopo la sentenza Pfeiffer è quindi da ritenere ancora meno incisivo il limite – affermato in linea di principio dalla Corte – per cui l’obbligo di interpretazione conforme non può operare in caso di norma interna assolutamente incompatibile con il contenuto della direttiva. Questo limite risulta più attenuato una volta che l’interpretazione conforme può operare nel contesto di un’attività ermeneutica che tenga conto di tutte le norme dell’ordinamento nazionale in modo da consentire il conseguimento del risultato voluto dalla direttiva. L’interpretazione conforme non risulta quindi realizzabile solo quando il giudice, tenuto anche conto del contesto giuridico generale nel quale si inserisce la disposizione interna da interpretare, non possa che concludere che questa è manifestamente in contrasto con la norma comunitaria non direttamente efficace. Con la successiva sentenza Pupino70, come è noto relativa alle decisioni-quadro, si è però compiuto un ulteriore passo in avanti, essendosi affermato che il principio dell’interpretazione conforme richiede «che il giudice nazionale prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo può ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro». Si è parlato quindi di «interpretazione conforme del diritto nazionale»71. È evidente, quindi, quanto sia ormai esteso l’ambito dell’interpretazione conforme, la quale resta comunque in linea di principio sottoposta al limite della compatibilità normativa, sempre contenuto (tramite l’inciso «per quanto possibile») nell’enucleazione del principio dell’interpretazione conforme da parte della Corte. Ciò che però va ora evidenziato è che, in realtà, nel caso Pfeiffer, come negli altri esaminati nei precedenti paragrafi, il contrasto tra la norma interna da interpretare e quella comunitaria di riferimento è palese fin dall’inizio. E come nella sentenza Centrosteel citata, la Corte, pur avendo evidenziato una situazione di incompatibilità normativa (che ha anche portato all’impiego della nota formula per cui la normativa comunitaria ‘osta’ a quella nazionale), ha fatto applicazione del principio dell’interpretazione conforme, il che comporta una sostanziale disapplicazione della normativa interna contrastante. Forse nella consapevolezza di ciò, il Giudice europeo, al fine di consentire tale risultato, ha utilizzato nella sentenza Pfeiffer l’espediente di considerare che in caso di trasposizione operata dal legislatore interno si deve presumere che questi abbia voluto dare attuazione al diritto sovranazionale, elidendo così a monte il problema dell’incompatibilità fra norma interna e norma comunitaria e del possibile ricorso al canone dell’interpretazione conforme per risolvere i casi di contrasto tra queste norme72. Alla luce delle considerazioni appena esposte, è bene adesso provare a risolvere un caso concreto (che può spesso porsi concretamente al giudice nazionale) di contrasto tra normativa interna e direttiva comunitaria nei rapporti orizzontali. Si tratta del caso della mancata o incompleta informazione del consumatore circa il suo diritto di recesso in ipotesi di contratto negoziato fuori dei locali commerciali, caso sul quale si è pronunciata la sentenza Heininger senza fare ricorso al canone dell’interpretazione conforme 4. Una delle due massime della sentenza sul caso Heininger73 è la seguente: «La direttiva 85/577/CEE osta a che il legislatore nazionale applichi un termine di un anno dalla

70 Corte eur. giust. 16-6-2005 C-105/03. 71 Corte eur. giust. 16-6-2005 C-105/03, punti 47, 48, 60 e 61. 72 Sul punto v., brillantemente, R. Conti, Direttive comunitarie dettagliate cit. 73 Corte giust. 13-12-2001 C-481/99.

Page 24: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

24

stipulazione del contratto per l’esercizio del diritto di recesso istituito dall’art. 5 di tale direttiva, qualora il consumatore non abbia beneficiato dell’informazione di cui all’art. 4 della suddetta direttiva». Per meglio comprendere questa statuizione, relativa ad un caso verificatosi in Germania in cui la disciplina comunitaria della vendita porta a porta andava valutata insieme a quella sul credito al consumo74, va precisato che la legislazione tedesca prevede che in tema di contratti di credito al consumo il cliente possa recedere dal contratto entro un anno dalla conclusione dello stesso nel caso in cui non sia stato informato della facoltà di “risolvere” il rapporto e fissa in un mese dall’integrale esecuzione del negozio il termine per esercitare il recesso in caso di vendita c.d. porta a porta. Le implicazioni che questa pronuncia può avere nel nostro sistema richiedono ora una breve esposizione della legislazione italiana in materia. Come è noto, gli artt. 4 e seguenti del previgente d.lgs. n. 50 del 1992 (attuativo della direttiva 85/577/CEE) e gli artt. 64 e seguenti del nuovo d.lgs. 206/05 (c.d. codice del consumo) attribuiscono al consumatore il diritto di recedere (con comunicazione entro un breve termine e restituendo la merce) dal contratto con il quale è stato acquistato un bene od un servizio in luoghi non deputati all’esercizio dell’attività commerciale del professionista. Oltre a prevedere un diritto di recesso in favore del consumatore, la normativa sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali contempla anche un obbligo per il professionista-operatore commerciale di informare il consumatore di tale suo diritto di recesso75. Tale informazione deve essere fornita per iscritto ed indicando i termini, le modalità e la persona cui va resa nota la manifestazione dello ius poenitendi76. Occorre, poi, che l’informazione sia data entro un certo termine e con certe modalità grafiche77.

74 Sui rapporti fra le direttive in tema di vendite “porta a porta” e credito al consumo fra specialità e tutela consumeristica e, in generale, sul tema dei rapporti tra tutele settoriali (verticali) differenziate per singole tipologie negoziali e tutele (orizzontali) destinate a regolamentare particolari modalità di negoziazioni a prescindere dal contenuto intrinseco dei rapporti v. il chiaro e completo lavoro di R. Conti, Il diritto di recesso tra “contratti porta a porta” e “credito al consumo”. Un’importante sentenza della Corte UE, Corr. giur., 2002, 7, 869 s. 75 Le recenti normative di derivazione comunitaria (v., tra gli altri, il d.lgs. 17-3-1995 n. 111 sui viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”; il d.lgs. 9-11-1998 n. 427 sull’acquisto di un diritto di godimento a tempo parziale; il d.lgs. 22-5-1999 n. 185 sui contratti a distanza; il d.lgs. 9-4-2003 n. 70 sul commercio elettronico) hanno esaltato la funzione informativa del contratto, trasformandolo anche in rilevante veicolo di informazioni finalizzato a garantire una simmetria informativa. Ciò ha comportato, tra le altre cose, un maggior formalismo negoziale, posto che gli scopi per soddisfare i quali sono stati previsti questi obblighi informativi (scopi identificabili nella maggiore capacità del consumatore di fare valere i propri diritti e di contrastare eventuali pretese arbitrarie del professionista, nonché nell’agevolazione della concorrenza e della trasparenza in conseguenza della maggiore uniformazione del contenuto informativo del contratto) richiedono che tali informazioni siano chiare, complete e conoscibili. In relazione a questi obblighi informativi è bene ora precisare che la normativa interna che trova la sua genesi nelle norme comunitarie ne prevede diversi sia nella fase precontrattuale che nella fase successiva alla conclusione del contratto. È in particolare spesso previsto un obbligo di informare dell’esistenza del diritto di recesso, obbligo il cui inadempimento produce come conseguenza o l’allungamento del termine per l’esercizio del recesso (v., ad esempio, l’art. 6 d.lgs. 15-1-1992 n. 50, l’art. 5 d.lgs. 185/99 e l’art. 5, co. 3 e co. 4, d.lgs. 427/98) o la stessa attribuzione del diritto di recesso (cfr. l’art. 5, co. 2, d.lgs. 427/98). La facoltà di ripensamento riconosciuta in favore del consumatore nella legislazione di origine comunitaria trova di sovente la sua ragion d’essere in considerazione delle particolari modalità di conclusione del contratto contemplate dalle normative in questione e può essere esercitata mediante un semplice ripensamento sulle condizioni contrattuali. 76 In particolare, l’informazione deve contenere: a) l’indicazione dei termini, delle modalità e delle eventuali condizioni per l’esercizio del diritto di recesso; b) l’indicazione del soggetto nei cui

Page 25: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

25

La ratio sottesa a tali obblighi informativi risiede nel fatto che la fruizione del diritto di recesso presuppone che il consumatore conosca l’esistenza e le modalità di esercizio del recesso. La conoscenza del diritto di recesso a lui spettante deve poter risultare al consumatore in forza dello stesso documento contrattuale, in cui la collocazione separata dell’informazione in questione ed il suo rilievo grafico devono potere attrarre l’attenzione del consumatore-contraente debole. In merito all’esercizio del diritto di recesso va ora ricordato, sotto il profilo formale, che la comunicazione del recesso deve essere inviata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento (che si intende spedita in tempo utile se consegnata all’ufficio postale accettante entro i termini previsti dal decreto o dal contratto) o tramite telegramma, telex e fac-simile confermati con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le 48 ore successive. Il termine per il recesso è di 10 (erano 7 prima del codice del consumo) giorni (con un dies a quo espressamente indicato dalla normativa in questione) qualora il contratto o la nota d’ordine contengano informazioni chiare sul diritto di recesso, mentre è di 60 giorni nel caso in cui le informazioni non siano state fornite o siano errate o incomplete78, visto che in tale ipotesi il consumatore non ha piena consapevolezza della tutela di cui gode ex lege.

riguardi va esercitato il diritto di recesso ed il suo indirizzo o, se si tratti di società o altra persona giuridica, la denominazione e la sede della stessa, nonché l’indicazione del soggetto al quale deve essere restituito il prodotto eventualmente già consegnato, se diverso. L’informazione deve comunque quantomeno contenere gli elementi indicati nella lettera b) nel caso in cui il contratto preveda che l’esercizio del diritto di recesso non sia soggetto ad alcun termine o modalità. 77 Precisamente, qualora sia sottoposta al consumatore per la sottoscrizione una nota d’ordine, comunque denominata, l’informazione sul diritto di recesso deve essere riportata nella nota d’ordine separatamente dalle altre clausole contrattuali e con caratteri tipografici uguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento. Una copia della nota d’ordine, recante l’indicazione del luogo e della data di sottoscrizione, deve poi essere consegnata al consumatore. Nel caso in cui non venga predisposta una nota d’ordine, l’informazione deve essere comunque fornita al momento della stipulazione del contratto ovvero all’atto della formulazione della proposta ed il relativo documento deve contenere, in caratteri chiaramente leggibili, oltre agli elementi già elencati, l’indicazione del luogo e della data in cui viene consegnato al consumatore, nonché gli elementi necessari per identificare il contratto.

78 Secondo la sentenza della III sezione civile della Corte di Cassazione del 3 ottobre 2003 n. 14762 (Arch. civ., 2004, 962 e 1046; Gius, 2004, 6, 781; in questa Rivista, 2004, 4, 1207 – 1215, con nota di Angelino, Brevi riflessioni su forma e (neo)formalismo nella vendita fuori dai locali commerciali; Contr., 2004, 4, 380-385, 1, con nota di Genovese Amarillide, Diritto di recesso e regole d’informazione del consumatore) la clausola di recesso deve avere due requisiti di forma: 1) autonoma evidenziazione rispetto alle altre, al fine di rendere chiara, trasparente ed immediata l’informazione; 2) carattere grafico uguale o superiore a quelli degli altri elementi indicati nel documento e ciò per non creare un nascondimento o una sottovalutazione di detta clausola. Dal punto di vista sanzionatorio la Corte ha affermato che la mancanza dei due requisiti rende l’informazione errata, con la conseguenza che al consumatore è concesso un maggior termine per il recesso. Il giudice di legittimità ha infatti reputato informazione incompleta quella mancante dell’esatta indicazione di tutte le circostanze che giustificano il recesso e della natura dei suoi termini di ricezione o di spedizione o di semplice comunicazione, mentre ha configurato come informazione errata o scorretta quella che, pur nella completezza, risulti priva dei requisiti di forma che ne impediscono l’immediata e preventiva rilevanza ancor prima di sottoscrivere il contratto o al tempo stesso della sua sottoscrizione. Meglio si può dire che per informazione incompleta va intesa quella che non contiene le specificazioni previste dalla legge, mentre è errata quella che presenta i detti difetti di forma (perché non viene separata dal complesso delle clausole contrattuali o viene data con caratteri grafici inferiori rispetto a quelli degli altri elementi indicati nel documento) o contiene errori o viene data in documenti diversi da quelli previsti dalla legge. Con particolare riferimento al requisito della autonomia della clausola di recesso, la citata sentenza

Page 26: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

26

Ciò chiarito brevemente in ordine alle disposizioni interne di attuazione della direttiva 85/577/CEE, deve adesso osservarsi che nel caso Heininger il giudice a quo (tedesco) chiedeva se la direttiva sulle vendite porta a porta fosse o meno ostativa alla previsione di diritto nazionale (in questo caso contenuta nella legislazione tedesca) che contempli un termine di un anno dalla stipulazione del contratto per l’esercizio del diritto di recesso nel caso di mancato beneficio da parte del consumatore dell’informazione prevista dall’art. 4 della suddetta direttiva. Nel rispondere la Corte di giustizia ha innanzitutto fatto riferimento al dato normativo contenuto nella direttiva sulle vendite porta a porta, ricordando che l’art. 4, primo comma, della direttiva dispone che «il commerciante deve informare per iscritto il consumatore (...) del suo diritto di rescindere il contratto entro i termini di cui all’articolo 5»; che l’art. 4, terzo comma, della stessa direttiva prevede che «gli Stati membri fanno sì che la loro legislazione nazionale preveda misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l’informazione di cui al presente articolo»; e che l’art. 5, n. 1, di tale direttiva statuisce che «il consumatore ha il diritto di rescindere il proprio impegno indirizzando una comunicazione entro un termine di almeno 7 giorni dal momento in cui ha ricevuto l'informazione di cui all'articolo 4, e secondo le modalità e condizioni prescritte dalla legislazione nazionale». Basandosi in particolare su tale ultima disposizione, la Corte ha poi notato che la norma in forza della quale il termine minimo di 7 giorni previsto per la revoca deve essere calcolato «dal momento in cui il consumatore ha ricevuto l’informazione» relativa al suo diritto di recesso (con conseguente adempimento dell’obbligo informativo da parte del commerciante) si spiega con la considerazione per cui se il consumatore non ha conoscenza dell’esistenza di un diritto di recesso si trova nell’impossibilità di esercitarlo. Conseguentemente, il citato art. 4, co. 3, della direttiva (sulla previsione in sede di recepimento di misure appropriate a tutela del consumatore per il caso di mancata o incompleta informazione sul suo diritto di recesso) non può essere interpretato per la Corte nel senso di consentire al legislatore nazionale di stabilire che il diritto di recesso del consumatore debba comunque essere esercitato entro un termine (di un anno nella legislazione tedesca) anche se il professionista79 non ha informato il consumatore dell’esistenza di tale diritto. Né in senso contrario potrebbe invocarsi – come hanno invece fatto nel caso di specie i governi tedesco, italiano ed austriaco – il principio della certezza del diritto, in quanto chi sceglie di impiegare lo strumento del negozio concluso fuori dai locali commerciali può salvaguardare tanto gli interessi dei consumatori quanto le proprie esigenze di certezza del diritto conformandosi al suo obbligo di informare questi ultimi. In sostanza, quindi, il diritto di recesso non si estingue quando il commerciante non abbia informato di tale diritto il cliente80. «Decisamente protettiva appare dunque la posizione dello Corte del Lussemburgo secondo cui l’obbligo, incombente sugli Stati membri, di prevedere misure appropriate per la tutela del consumatore qualora non venga fornita l’informazione circa il diritto di pentirsi, non può mai

della Cassazione n. 14762 del 2003 ha affermato che la clausola in questione <<eve restare separata dalle altre clausole, per rendere chiara, trasparente ed immediata la informazione. Non è allora ammissibile che la clausola sia inserita in un contesto uniforme di clausole di apparente pari rilevanza, ed inserite secondo una sequenza numerata, come è nella nota d'ordine in esame>>. La clausola di recesso non può quindi essere inserita in un elenco numerato di clausole parimenti rappresentate. 79 ‘Commerciante’ per la direttiva. 80 Va però osservato che in questo modo la direttiva sulla vendita fuori dai locali commerciali non risulta coerente con quanto previsto nella dir. 20-5-1997 n. 97 in materia di contratti a distanza.

Page 27: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

27

consentire alle legislazioni interne di prevedere la decorrenza dello ius poenitendi»81, neppure fissando uno spatium temporis significativamente superiore a quello di 7 giorni fissato in via generale per l’esercizio del diritto di recesso. Ciò posto in ordine al contenuto della pronuncia Heininger, va ora messo in evidenza che, in presenza di una decisione di questo tipo il giudice nazionale – nonostante la Corte abbia ravvisato un contrasto tra la norma interna e quella comunitaria (tramite la formula decisoria per cui il diritto comunitario “osta” alla legislazione interna in questione) – dovrà interpretare il diritto interno, ad avviso di chi scrive, conformemente al diritto comunitario così come interpretato dalla Corte di giustizia (considerando quindi non esistente un termine ultimo per l’esercizio del recesso ex lege). Egli non potrebbe formalmente disapplicare la disposizione nazionale in quanto, trattandosi di rapporti interprivati, la norma comunitaria è priva di efficacia diretta. Disapplicando la norma sul termine di 60 giorni si verrebbero ad attribuire effetti diretti (di esclusione) alla direttiva (effettivamente dettagliata, come precisato dalla Corte nel caso Faccini Dori82) in rapporti orizzontali. Visto che alla luce di quanto sopra osservato la soluzione di ritenere applicabile la norma interna contrastante (quella sui 60 giorni) e configurare quindi come illegittimo il recesso (e come unica via percorribile quella della tutela risarcitoria) non pare conforme né all’obbligo di conseguimento del risultato imposto dalla direttiva (obbligo che grava, ex art. 10 Tr., anche in capo al Giudice nazionale secondo quanto più volte affermato dalla stessa Corte di giustizia), né ai principi del primato e dell’effetto utile del diritto comunitario e rischierebbe poi di esporre lo Stato a responsabilità per violazione del diritto comunitario, l’unica soluzione praticabile è quella di percorrere la strada dell’interpretazione conforme. Certo, considerato che vi è un palese contrasto tra la norma interna di recepimento (che prevede un termine di 60 giorni per il recesso in caso di mancata o inesatta informazione sul diritto di recesso) e quella della direttiva (che la Corte ha stabilito doversi interpretare nel senso che questa non ammette la previsione di alcun termine nel caso di mancata o incompleta informazione del consumatore in ordine al suo diritto di recesso), la soluzione dell’interpretazione conforme può sembrare azzardata, perché non si tratterebbe di un’attività interpretativa ma di una non applicazione di una parte del testo della disposizione interna (ossia di quella parte che prevede il termine di 60 giorni). L’interpretazione conforme si risolverebbe infatti in questo caso nell’affermazione giudiziale per cui la norma che prevede il termine di 60 giorni va interpretata nel senso che essa non contempla, in realtà, alcun termine. Il giudice nazionale deve però avere riguardo alle particolari modalità di impiego del concetto di interpretazione conforme da parte della Corte di giustizia (modalità che dovrebbero a questo punto essere ormai abbastanza chiare) ed all’ampliamento di tale concetto da ultimo operato con le citate sentenze Pfeiffer e Pupino. Solo così egli avrà assolto l’obbligo (su di lui gravante quale organo statale destinatario delle disposizioni di cui agli artt. 10 e 249 Tr. CE) di raggiungere il risultato perseguito dalla direttiva, garantendo il rispetto del principio del primato del diritto comunitario. In altri termini, il giudice nazionale deve tenere conto della ampia nozione di “interpretazione conforme” elaborata e concretamente ed estensivamente applicata dalla Corte di giustizia e solo in caso di effettiva impossibilità di fare a questa ricorso, deve applicare la norma interna contrastante e ritenere possibile la sola tutela risarcitoria.

81 Conti, Il diritto di recesso cit. 82 Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit.

Page 28: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

28

5. Tale soluzione ha trovato di recente conferma anche nella sentenza della Corte di giustizia sul caso Schulte83, relativo alle conseguenze prodotte dal recesso dal contratto di finanziamento sul collegato contratto avente ad oggetto la fornitura di beni (o la prestazione di servizi). Il caso Schulte riguarda, in particolare, i contratti negoziati fuori dai locali commerciali e la direttiva 85/577/CEE. Senza descrivere qui la complessa operazione economica posta alla base della vicenda Schulte, basti ricordare che due erano le questioni pregiudiziali sottoposte dal giudice remittente alla Corte. La prima riguardava la possibilità di applicare l’art. 3 n. 2 lett. a) della direttiva 85/577/CEE84 anche ai contratti di vendita di beni immobili agganciati ad un investimento finanziario realizzato mediante mutuo e le cui trattative precontrattuali fossero state svolte fuori dai locali commerciali. In buona sostanza, la questione riguardava la legittimità del sistema nazionale tedesco per il fatto che, non prevedendo che il recesso dal contratto di mutuo si potesse estendere anche al contratto di acquisto immobiliare concluso dal consumatore, finiva con il vanificare il regime protezionistico perseguito in favore di quest’ultimo dalla direttiva in tema di vendite porta a porta e dall’art. 95 n. 3 Tr. CE. Secondo il sistema tedesco, infatti, il recesso da un contratto di mutuo ipotecario produce la conseguenza dell’annullamento del detto contratto e l’obbligo delle parti di restituire le prestazioni ricevute e corrispondere un’indennità di valore pari all’uso fornito fino al momento del recesso. Inoltre, nonostante il contratto di mutuo ipotecario ed il contratto di compravendita immobiliare avrebbero potuto in astratto essere considerati come entità economica ai sensi dell’art. 9, § 2, del VerbrKrG (con la conseguenza che il mutuante recedente non sarebbe stato più vincolato al contratto di vendita immobiliare, la banca avrebbe assunto i diritti e gli obblighi del venditore ed il mutuante non sarebbe stato più tenuto a rimborsare l’importo del mutuo alla banca, bensì unicamente a restituire il bene immobile finanziato dal mutuo medesimo ed a pagare un indennizzo per l’uso medio tempore del bene), tuttavia per la giurisprudenza tedesca il mutuo immobiliare e l’acquisto immobiliare finanziato per mezzo del credito non si considerano quali contratti connessi costituenti un’entità economica. Conseguentemente, il recesso dal contratto di mutuo ipotecario (che rende questo annullabile per il diritto tedesco) non inficia la validità del contratto di compravendita relativo al bene immobile così finanziato. Dovendosi quindi escludere che per la normativa e la giurisprudenza tedesca il contratto di mutuo e quello di compravendita siano contratti connessi costitutivi di un’unica entità economica, secondo il giudice a quo nel diritto tedesco il recesso dal contratto di mutuo risultava controproducente per il consumatore, che avrebbe dovuto saldare il proprio debito immediatamente e non a scaglioni, come invece previsto dal contratto. Per il giudice remittente occorreva dunque innanzitutto chiedersi se tale situazione dovesse portare a ritenere meno favorevole il caso del recesso dal contratto di mutuo (con la conseguente restituzione integrale della somma mutuata) rispetto a quello del mantenimento dello stesso contratto (il che avrebbe finito con l’indurre a non recedere dal contratto il

83 Corte eur. giust. 25-10-2005 C-350/03. 84 Secondo il quale la direttiva non si applica <<ai contratti per la costruzione, vendita e

locazione di beni immobili e ai contratti relativi ad altri diritti concernenti beni immobili. Rientrano nel campo di applicazione della presente direttiva i contratti relativi alla fornitura di merci e alla loro incorporazione in beni immobili o i contratti relativi alla riparazione di beni immobili>>.

Page 29: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

29

consumatore non informato del suo diritto di recesso, consumatore che può recedere sine die secondo quanto affermato dalla Corte nella citata sentenza Heininger85). Ciò doveva poi far sorgere la domanda sulla conformità al diritto comunitario di tali conseguenze giuridiche del recesso da un contratto di mutuo concluso in una situazione di vendita a domicilio. La seconda questione pregiudiziale posta dal giudice tedesco atteneva, infatti, all’eventualità che la direttiva potesse ostare a norme nazionali statuenti, quale unica conseguenza del recesso dal contratto di mutuo, l’annullamento del contratto stesso, e ciò anche in caso di mutuo concesso per il solo motivo di essere agganciato all’acquisto di un bene immobile. Orbene, la Corte di giustizia nella sentenza Schulte ha ribadito innanzitutto l’esclusione, dalla sfera di applicazione della direttiva, dei contratti di compravendita immobiliari, così come previsto dal suo art. 3 n. 2. Inoltre, la Corte ha rilevato che compravendita e mutuo non sono contratti integranti un’unica entità economica (come sembrava invece sostenere il giudice di rinvio, con la conseguenza che il recesso dal contratto di mutuo avrebbe inficiato anche la validità86 del contratto di vendita ed il mutuatario, a causa del recesso dal primo contratto, avrebbe potuto non essere più vincolato dal secondo), ma operazioni separate, contratti giuridicamente diversi ed aventi obiettivi autonomi, con la conseguenza che il recesso dal contratto di mutuo non può invalidare il contratto di compravendita immobiliare. Inoltre, la direttiva 85/577/CEE non disciplina, a differenza di altre direttive (v. ad esempio, la 87/102), la connessione o il collegamento negoziale. Basandosi su tale differenza tra i contratti, la Corte ha stabilito, dunque, che, ex art. 3 della direttiva, il contratto di compravendita immobiliare stipulato dai coniugi Schulte, ancorché parte di un investimento finanziario con finanziamento garantito da mutuo ed ancorché negoziato fuori dai locali commerciali, rimane escluso dalla sfera di applicazione della direttiva87, mentre il contratto di mutuo, in quanto autonomo dal primo, vi rientra pienamente, posto che, come già stabilito nella sentenza Heininger, oggetto dello stesso è la concessione di un prestito con obbligo di restituzione ed interessi, a nulla rilevando il dato che detto contratto si ricolleghi ad un diritto su un bene immobile. In relazione alla seconda questione pregiudiziale, la Corte ha osservato che secondo la legge tedesca di attuazione della direttiva 85/577/CEE il recesso dal contratto di mutuo ipotecario produce come conseguenza l’annullamento del contratto, mentre le parti sono tenute a restituire le prestazioni ricevute ed a corrispondere un’indennità di valore pari all’uso effettuato sino al momento del recesso. Sulla base di tale considerazione, la banca aveva il

85 Corte eur. giust. 13-12-2001 C-481/99. 86 Si ricorda che per il diritto tedesco il recesso dal contratto negoziato fuori dai locali

commerciali determina l’annullabilità del contratto. 87Né, secondo quanto si legge nella sentenza sul caso Schulte, può richiamarsi, a sostegno

della diversa opzione, la giurisprudenza della Corte di giustizia espressa nel caso Travel Vac (Corte eur. giust. 22-4-1999 C-423/97, Racc. 1999, I-02195, Foro it., 1999, IV, 233, con nota di Di Ciommo, Tutela del consumatore e multiproprietà: la luna di miele continua; Resp. civ. e prev., 1999, 1248, con nota di Bastianon e Contr., I, 1999, 947, con nota di Leo). Sul punto la Corte ha messo in evidenza, seguendo le conclusioni dell’avvocato generale, la peculiarità della vicenda decisa nel 1999 allorché, nel ritenere applicabile il diritto di recesso anche al contratto di multiproprietà, era stato però specificato che quella soluzione era giustificata dall’esistenza, accanto all’effetto traslativo a tempo parziale, di una serie di servizi distinti di valore superiore a quello del diritto d’uso dell’immobile, così giungendo alla conclusione che l’esclusione di cui all’art. 3 n. 2 dir. 85/577 non poteva trovare applicazione. Ma tale ipotesi non poteva affatto ritenersi verificata nel caso Schulte in cui l’operazione verteva principalmente – anche se non esclusivamente – sull’acquisizione di un diritto di proprietà immobiliare.

Page 30: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

30

diritto di ottenere il rimborso della somma mutuata oltre gli interessi al tasso di mercato, circostanza ritenuta dal giudice nazionale alquanto svantaggiosa per i consumatori. La Corte di giustizia, interrogata sulla legittimità di una siffatta conseguenza del recesso, ha richiamato la sentenza Heininger nella quale era stato precisato che le conseguenze del recesso esercitato conformemente alla direttiva sono disciplinate dal diritto nazionale (così come stabilito dall’art. 7 della direttiva). Ecco che se la direttiva, che consentiva di adottare disposizioni più favorevoli per il consumatore, non escludeva che il diritto nazionale potesse prevedere, per l’ipotesi di contratti connessi costituenti un’unica entità economica, che il recesso dal contratto di mutuo ipotecario incidesse sulla validità (o, come più si addice al nostro ordinamento, sull’efficacia) del contratto di compravendita di un bene immobile, tuttavia essa non imponeva, in una fattispecie come quella descritta dal giudice del rinvio, un risultato del genere. Inoltre, nel caso Heininger era stato pure affermato che spetta ai singoli Stati disciplinare non solo gli effetti del recesso sugli obblighi derivanti dal contratto di mutuo, ma anche le conseguenze di tale recesso sul contratto di acquisto del bene immobile e sulla costituzione dell’ipoteca. Ora, nella legislazione tedesca l’esistenza di un’unità economica fra i due contratti era esclusa ex lege e ciò non contrastava con la direttiva, che non osta a norme nazionali che prevedano, quale unica conseguenza del recesso dal contratto di mutuo, l’annullamento del contratto stesso (e la conseguente restituzione immediata della somma mutuata e degli interessi maturati derivante dalla liberazione delle obbligazioni e dal ripristino dello status quo ante di cui all’art. 5 della direttiva) anche ove si tratti di investimenti finanziari in cui il mutuo non sarebbe stato concesso senza l’acquisto dell’immobile. Tuttavia una tale previsione (annullamento per questo tipo di mutuo) può ammettersi, per la Corte, qualora il commerciante-professionista, in linea con quanto previsto dalla direttiva sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali (85/577/CEE), abbia informato il consumatore in merito al suo diritto di recesso. In caso di mancata informazione, infatti, la direttiva obbliga gli Stati membri ad adottare misure idonee per la tutela del consumatore88. Nel caso di specie, i coniugi Schulte non erano stati informati circa il loro diritto di recedere, per cui per la Corte il giudice nazionale doveva ritenere legittimo il recesso esercitato dagli stessi dopo un lungo lasso di tempo e doveva stabilire che non venisse loro imposta la restituzione immediata della somma con gli interessi maturati. In caso di informazione tempestiva il consumatore avrebbe potuto non concludere il successivo contratto di compravendita immobiliare e non si sarebbe trovato esposto ai rischi finanziari cui è invece andato incontro (mancata realizzazione dei proventi della locazione del bene a terzi – proventi con i quali si dovevano pagare le rate del mutuo – e mancato incremento del prezzo dell’immobile acquistato). Ecco, quindi, che nel caso Schulte la Corte ha considerato che la banca, non avendo rispettato l’obbligo di informazione, ha determinato l’esposizione del consumatore ad evidenti rischi finanziari, rischi che il consumatore non avrebbe subito se solo fosse stato avvisato del diritto di recesso dal contratto di mutuo, posto che “in considerazione della connessione tra il contratto di mutuo ed il contratto di vendita, quest’ultimo non si sarebbe concluso”. L’esposizione a tali rischi, determinata dalla mancata informazione sul diritto di recesso, impone pertanto allo Stato membro – e segnatamente ai giudici nazionali – di adottare tutti i

88 In particolare, l’art. 4 della direttiva stabilisce che <<gli stati membri fanno sì che la loro

legislazione nazionale preveda misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l’informazione di cui al presente articolo>>.

Page 31: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

31

provvedimenti necessari ad evitare che il consumatore si trovi esposto alle conseguenze della realizzazione dei detti rischi. In sintesi, dunque, da un lato la Corte si è resa conto che la normativa nazionale ha legittimamente previsto, in esito all’esercizio dello ius poenitendi, il diritto del mutuante ad ottenere la ripetizione delle somme corrisposte a titolo di mutuo con gli interessi. Dall’altro, però, ha osservato che la stessa legislazione tedesca, non comminando alcuna sanzione in danno del professionista che non ha ottemperato all’obbligo di informare il consumatore circa il diritto di recesso, ha esposto il consumatore a gravi conseguenze, sia pure connesse alla diversa contrattazione relativa al contratto di compravendita. Conseguentemente, se il contratto di compravendita rimane estraneo alla disciplina sul recesso e non subisce le sorti del mutuo, si è indicata al giudice la via dell’interpretazione conforme per adottare quei provvedimenti che, all’interno degli obblighi restitutori connessi allo scioglimento del contratto di mutuo, evitino il verificarsi di conseguenze dannose in capo al consumatore. Ecco che, nella prospettiva della Corte, l’effetto indesiderato connesso all’obbligo di versamento immediato dell’importo ricevuto a mutuo può essere attenuato dal giudice nazionale laddove egli riscontri la verificazione di quei rischi indesiderati che il consumatore non avrebbe sopportato ove non fosse stato erogato il mutuo per effetto del suo tempestivo recesso. Tali rischi devono essere sopportati dalla banca inadempiente all’obbligo di informazione89. Certo, non ci si può non interrogare sulle possibili soluzioni adottabili dal giudice nazionale: esclusione in toto della restituzione immediata delle somme mutuate; previsione di una restituzione rateale; diminuzione dell’importo da restituire. E si comprende subito che particolare potere e quale delicata responsabilità si viene ad attribuire al giudice nazionale. Mette ora conto rilevare, in ordine alle possibili ricadute di tale sentenza sul diritto italiano, che il nostro sistema, a differenza di quello tedesco, non esclude la c.d. unità economica fra contratto di vendita e mutuo. Considerato, quindi, che spetta al legislatore nazionale disciplinare gli effetti del diritto di recesso tra contratto di mutuo e contratto di vendita immobiliare e visto che nel nostro ordinamento è conosciuto e praticato il collegamento negoziale (unilaterale e bilaterale) e l’incidenza delle sorti di un contratto su quello collegato, il recesso dal contratto di mutuo può

89 Afferma quindi la Corte che <<se la banca non ha adempiuto l’obbligo di informare il consumatore in merito al suo diritto di recesso e questi avrebbe potuto evitare di esporsi ai rischi inerenti ad investimenti come quelli oggetto della causa principale, l’art. 4 della direttiva 85/577 fa obbligo agli Stati membri di garantire che le loro rispettive normative tutelino i consumatori che non abbiano potuto evitare di esporsi a tali rischi, adottando provvedimenti tali da evitare che essi si trovino esposti alle conseguenze della realizzazione dei rischi medesimi. Spetta pertanto al giudice nazionale il compito di interpretare, per quanto possibile, la normativa nazionale al fine di realizzare il risultato suindicato, dovendo lo stesso prendere in considerazione tutte le norme del diritto nazionale ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito>>. Precisa anche che <<gli Stati membri devono quindi garantire che, in situazioni di tal genere, la banca che non abbia rispettato l’obbligo di informazione sopporti le conseguenze del verificarsi dei detti rischi, al fine di rispettare l’obbligo di tutela dei consumatori>>. Al riguardo la Corte ricorda la sua giurisprudenza, sopra già citata, sull’obbligo del giudice nazionale cui sia sottoposta una controversia che ha luogo esclusivamente tra singoli (e che non può quindi, in questi casi, fare diretta applicazione della direttiva visto l’effetto diretto solo verticale, e quindi nei soli confronti di un soggetto pubblico, della stessa), di valutare, nell’applicare le norme del diritto interno adottate al fine dell’attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva, tutte le norme del diritto nazionale interpretandole, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva in modo da raggiungere l’obiettivo da essa perseguito.

Page 32: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

32

da noi propagare i suoi effetti sul contratto di acquisto immobiliare, determinando una serie di obblighi restitutori e producendo diverse conseguenze sia in ordine ai rapporti fra mutuante e mutuatario, che nelle relazioni fra acquirente e venditore. In particolare, nel nostro sistema sembra possibile ritenere che il recesso dal contratto di mutuo determini l’inefficacia anche del contratto di compravendita immobiliare, con il conseguente venir meno dell’effetto traslativo ed il sorgere dell’obbligazione, in capo al venditore, di restituzione al mutuante dell’importo incassato, fatti salvi i dovuti risarcimenti dei danni. In ogni caso, anche la vicenda sul caso Schulte conferma l’ampiezza e l’anomalia della nozione di “interpretazione conforme” elaborata e concretamente applicata dalla Corte di giustizia, caratteri che finiscono con il ridurre fortemente i casi di impossibilità di un ricorso alla stessa, di applicabilità della norma interna contrastante e di configurabilità della sola tutela risarcitoria. 6. Una tale conclusione si impone anche se si considera la natura del tutto residuale della prospettiva risarcitoria nell’ottica del giudice comunitario. È vero, infatti, che la Corte di giustizia ha affermato (v. per tutte la sentenza sul caso Faccini Dori90) che poiché una direttiva non attuata o erroneamente trasposta non determina, anche se contiene disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, l’insorgere di situazioni giuridiche soggettive nei rapporti tra i singoli, il privato può agire per il risarcimento dei danni dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato inadempiente per non avere tempestivamente recepito la direttiva o per averla recepita in modo inadeguato (impostazione seguita anche dalla nostra Corte di Cassazione91). Ed è vero, dunque, che la norma comunitaria, anche se non direttamente efficace, può essere fonte di un diritto al risarcimento del danno, dando vita, in tal modo, ad un’altra forma di efficacia indiretta del diritto comunitario che si aggiunge a quella, già esaminata, realizzata tramite interpretazione conforme. Anche con riferimento alle ipotesi di assenza di efficacia diretta della direttiva, la Corte di Giustizia si è quindi espressa nel senso dell’attribuzione di obblighi di risarcimento del danno in capo allo Stato che non ha recepito la direttiva, o la ha recepita infedelmente o parzialmente, in considerazione dell’impossibilità di esercitare il diritto sul piano orizzontale nei rapporti interprivati. Tuttavia, ciò che va sottolineato è che l’ampliamento dell’efficacia delle direttive e la sostanziale attribuzione, in ossequio al principio dell’effetto utile, di un’efficacia indiretta (tramite interpretazione conforme) sempre più ampia alle direttive non aventi effetti diretti (perché non dettagliate o perché relative a rapporti orizzontali) ha un’indubbia refluenza sull’ambito di applicazione della tutela risarcitoria. Deve invero partirsi dalla considerazione per cui, avendo operato un mutamento di prospettiva rispetto a quanto affermato nel 1996 in relazione ai casi Brasserie du Pecher e Factortame92, la Corte di giustizia considera ormai del tutto sussidiario il rimedio della

90 Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit. 91 Cfr. Cass. 5-4-1995 n. 3974, Foro it. 1997, I, 3633; Cass. 23-6-1998 n. 6223; Cass. 18-6-1998 n. 6113 e Cass. 11-6-1998 n. 5846, Giust. civ., 1998, I, con nota di G. Giacalone, Il caso Francovich tra vecchi e nuovi quesiti; Foro it., 1998, I; Foro amm., 1999, 1414; cfr. pure Cass. 16-5-2003 n. 7630, Foro it., 2003, 7-8, I, 2015 s. 92 Corte eur. giust. 5-3-1996 C-46/93 e C-48/93, Racc., 1996, I-1029 s. In questa pronuncia si era sostenuto che la tutela risarcitoria spettava anche se la norma comunitaria aveva effetto diretto e che la tutela risarcitoria poteva concorrere con quella diretta. Quindi, ad esempio, in caso di emanazione di un atto interno in violazione di un regolamento o in caso di mancato recepimento (o

Page 33: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

33

responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, prediligendo invece un meccanismo interpretativo che fornisca direttamente al destinatario della direttiva una tutela pienamente satisfattiva. E così, ad esempio, nelle sentenze Faccini Dori93 e Carbonari94 si afferma che la tutela risarcitoria costituisce una via residuale, da percorrere solo «nel caso in cui il risultato prescritto dalla direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione»95. D’altronde, in presenza di una norma interna contrastante con una norma comunitaria direttamente efficace (es. regolamento o direttiva dettagliata che conferisca diritti ai singoli nei confronti di un soggetto pubblico) non vi è motivo di prevedere una responsabilità dello Stato, essendo possibile per il singolo fare valere il diritto riconosciuto dalla norma comunitaria tramite la disapplicazione della disposizione interna con quest’ultima contrastante. Lo stesso dicasi nel caso in cui – pur non essendo possibile la disapplicazione della norma nazionale perché quella comunitaria non è direttamente efficace (es. direttiva non chiara, precisa ed incondizionata ovvero direttiva dettagliata ma attributiva di diritti al singolo verso altro soggetto privato) – sia comunque effettuabile il ricorso all’interpretazione conforme della norma interna, ossia il ricorso all’interpretazione di quest’ultima in modo da garantire il risultato perseguito dalla norma comunitaria non direttamente efficace. Anche in questo caso, infatti, il singolo riceve comunque una tutela piena e diretta, pacificamente qualificabile come “contrattuale”, tramite il riconoscimento del diritto di matrice comunitaria. Ora, posto che la tutela risarcitoria è ormai da considerare, alla luce della giurisprudenza della Corte, di natura sussidiaria e residuale96, l’ampliamento dei confini dell’interpretazione conforme riduce fortemente le possibilità di ricorso al risarcimento per danni da illecito comunitario. 7. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che il percorso seguito dalla Corte di giustizia è sempre stato nel senso di un costante maggiore riconoscimento di tutela alle posizioni giuridiche soggettive di matrice comunitaria. Si è partiti dall’affermazione del primato del diritto comunitario e del potere del giudice nazionale di disapplicare le norme interne contrastanti con disposizioni comunitarie

errata trasposizione) di direttiva con efficacia diretta sarebbe stato possibile invocare sia il riconoscimento della posizione giuridica di matrice comunitaria che la tutela risarcitoria. 93 Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92 cit., punto 26. 94 Corte eur. giust. 25-2-1999 C-131/97 cit., punti 52 s. 95 V. anche Corte eur. giust. 17-10-1996 C-283/94, 291/94 e C-292/94 cit., punti 21 e 23 e Corte eur. giust. 17-9-1997 C-54/96 cit.; Corte eur. giust. 24-9-1998 C-76/97; Corte eur. giust. 24-9-1998 C-111/97. Nelle conclusioni dell’avvocato generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 27 aprile 2004 (nelle cause da C-397/01 a C-403/01) in relazione al caso Pfeiffer si legge, a chiare lettere: «Orbene, non posso essere d'accordo neanche con chi sostiene che, in un caso come quello in esame, i singoli possono solo invocare la responsabilità dello Stato per i danni cagionati dall’inadempimento degli obblighi che gli incombono in forza del diritto comunitario, in quanto, nelle intenzioni della Corte, questa soluzione ha carattere sussidiario e nel caso di specie verrebbe in considerazione solo qualora le altre disposizioni nazionali adottate per recepire la direttiva 93/104 non potessero essere interpretate conformemente alla lettera e allo scopo della direttiva medesima». 96 V. per tutte le sentenze sui casi Wagner Miret (Corte eur. giust. 16-12-1993 C-334/92, cit.), Faccini Dori (Corte eur. giust. 14-7-1994 C-91/92, cit.), Dorsch Consult (Corte eur. giust. 17-9-1997 C-54/96, cit.), Tögel (Corte eur. giust. 24-9-1998 C-76/97), Evobus (Corte eur. giust. 24-9-1998 C-111/97), Carbonari (Corte eur. giust. 25-2-1999 C-131/97 cit.) e Gozza (Corte eur. giust. 3-10-2000 C-371-97).

Page 34: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

34

direttamente efficaci e si è passati al riconoscimento di effetti diretti verticali alle direttive per poi estendere tali effetti diretti verticali tramite l’ampliamento del concetto di “organo pubblico” nei cui confronti può essere fatta valere la situazione soggettiva di derivazione comunitaria. Nel contempo si è allargato l’ambito delle figure, non solo giurisdizionali, tenute a dare applicazione al diritto comunitario ed a garantire il rispetto del principio del primato. Sul versante delle direttive prive di effetto diretto (perché riconoscenti diritti nei rapporti orizzontali interprivati o perché non sufficientemente dettagliate) sono state poi introdotte forme di efficacia indiretta, tra cui soprattutto l’interpretazione conforme e la tutela risarcitoria. La prima per garantire, al pari della disapplicazione delle norme interne contrastanti con quelle comunitarie direttamente efficaci, la tutela diretta delle posizioni giuridiche soggettive aventi la loro fonte in disposizioni comunitarie prive di effetto diretto. Ed invero, in quest’ultimo caso, pur non potendo disapplicare la disposizione nazionale contrastante, il giudice riesce comunque a riconoscere al privato, tramite l’applicazione di una norma interna interpretata conformemente alle previsioni di una tal direttiva, quel diritto alla retribuzione, alla risoluzione, al recesso o a quant’altro previsto dalla direttiva stessa (non direttamente efficace) non attuata o tardivamente o mal recepita. La seconda, la tutela risarcitoria, è stata ritenuta insita al sistema del Trattato per garantire in ogni caso, quantomeno per equivalente, un qualche riconoscimento delle posizioni di diritto comunitario. La Corte ha comunque manifestato un chiaro favor per la tutela diretta (tramite disapplicazione, in caso di norme comunitarie direttamente efficaci, o interpretazione conforme, in ipotesi di disposizioni comunitarie prive di effetto diretto). Ecco che la predilezione, nel caso di direttive non direttamente efficaci, per lo strumento dell’interpretazione conforme più che per la tutela risarcitoria ha portato a dilatare l’ambito di applicazione del primo di questi mezzi di efficacia indiretta delle direttive. Ciò fino a configurare (o, si potrebbe pure dire, a “mascherare”) come attività interpretativa operazioni di natura certamente non ermeneutica. In particolare, a tal ultimo proposito, il limite, ritenuto valevole per l’interpretazione conforme, della compatibilità tra la norma interna e quella comunitaria è stato da ultimo reso ancor meno vincolante per il giudice nazionale con le sentenze Pfeiffer e Pupino, pronunzie che prevedono che il giudice, nel fare ricorso al canone dell’interpretazione conforme, debba prendere in considerazione tutto il diritto nazionale. A tale conclusione la Corte è giunta in quanto, anche se è vero che il giudice nazionale (pur non potendo riconoscere effetti diretti nei rapporti orizzontali ad una direttiva non recepita o erroneamente trasposta, ovvero anche nei rapporti verticali se manca il carattere della sufficiente precisione, e non potendo quindi formalmente disapplicare la norma interna) può (e deve) interpretare le norme nazionali (preesistenti o meno) in modo conforme alla direttiva, pervenendo così comunque a risultati simili a quelli che potrebbero derivare dal riconoscimento di effetti diretti orizzontali, tuttavia è anche vero che non sempre è possibile la produzione di questi ampi effetti indiretti orizzontali. Laddove il ricorso all’interpretazione conforme non risulti praticabile (per l’esistenza del citato limite dell’incompatibilità tra la disposizione interpretata e quella costituente parametro per l’attività ermeneutica), tali effetti indiretti orizzontali non si potrebbero invero produrre. Per non lasciare la sola tutela risarcitoria e per non affievolire le forme di protezione delle posizioni giuridiche soggettive di matrice comunitaria, la Corte di giustizia ha così applicato, come si è cercato di dimostrare, il concetto di ‘interpretazione conforme’ in modo molto

Page 35: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

35

ampio, facendovi rientrare anche casi in realtà poco o per nulla configurabili come esercizio di attività ermeneutica. Ciò risulta del tutto chiaro se si pensa al ricorso da parte della Corte alla nozione di interpretazione conforme per fattispecie di applicazione retroattiva di norme interne (e addirittura anche in presenza di specifiche disposizioni nazionali che ne prevedevano l’operatività solo per il futuro, casi Carbonari e Gozza) o di non applicabilità di cause di nullità contemplate nel solo ordinamento interno e non anche in quello comunitario (caso Marleasing) o di sostanziale disapplicazione dell’art. 9 della legge 204/85 e dell’invalidità ex art. 1418 c.c. del contratto di agenzia stipulato da chi non è iscritto al relativo albo (caso Centrosteel) o di rilievo officioso dell’abusività della clausola attributiva di competenza al giudice del luogo del professionista nonostante le difformi previsioni del diritto interno (caso Océano) o di mancata considerazione di ipotesi di deroga, normativamente previste dal diritto interno, al tetto delle 48 ore di lavoro settimanali (caso Pfeiffer) o di individuazione di soluzioni idonee ad evitare l’esposizione a rischi finanziari del consumatore che, nell’effettuare un investimento tramite un’operazione fondata tra l’altro anche su un collegamento tra un mutuo ipotecario stipulato fuori dai locali commerciali ed una compravendita immobiliare, non era stato informato del suo diritto di recedere dal contratto di mutuo (caso Schulte). Sembra quasi che la Corte ritenga irrilevante il modo in cui il giudice possa raggiungere il risultato imposto dalla direttiva. Se questa non ha effetto diretto egli, tramite l’interpretazione conforme del diritto nazionale, deve comunque arrivare al risultato in questione, risultato che la Corte si premura infatti di indicare spesso in modo molto specifico97. Risulta quindi un contrasto tra l’applicazione pratica dell’istituto dell’interpretazione conforme operata dalla Corte di giustizia ed il principio, dalla stessa affermato, secondo cui l’obbligo di interpretazione conforme del diritto interno alla luce di quello comunitario verrebbe meno in caso di assoluta incompatibilità tra la norma interna e quella comunitaria. Nella prassi la Corte ha fatto applicazione del principio dell’interpretazione conforme anche in casi di manifesto contrasto tra disposizioni interne e disposizioni comunitarie. Addirittura, nelle sentenze Centrosteel e Pfeiffer essa stessa prima ha impiegato il concetto di incompatibilità normativa (utilizzando pure la formula per cui la normativa comunitaria ‘ostava’ a quella nazionale) e poi ha imposto nelle stesse decisioni la nozione di interpretazione conforme quando era evidente che nessuna interpretazione sistematica sganciata da un’attività di vera disapplicazione normativa (della norma interna configgente) poteva mai comporre il contrasto. In buona sostanza, con riferimento alle fattispecie sopra esaminate, il conflitto anche palese fra norma interna e norma comunitaria deve essere sanato, secondo la Corte, attraverso l’opera interpretativa del giudice nazionale che, pur non potendo formalmente disapplicare la norma nazionale nei rapporti orizzontali (o anche in quelli verticali in assenza di sufficiente precisione della disposizione comunitaria), deve pervenire allo stesso risultato interpretando le norme di recepimento (se già emanate) e l’intero diritto nazionale in modo che si raggiunga una soluzione conforme al diritto comunitario ed al risultato perseguito dalla direttiva. In tal modo si garantisce il rispetto del principio dell’effetto utile, inserendo però nel meccanismo dell’interpretazione conforme un eventuale aspetto di “non applicazione” di quella possibile disposizione (o di quella parte di essa) in palese contrasto con la direttiva.

97 Per esempio il divieto del superamento delle 48 settimanali di lavoro nel caso Pfeiffer; il rilievo officioso della clausola abusiva di determinazione del foro del professionista nel caso Océano; la considerazione come valido del contratto di agenzia in caso di mancata iscrizione all’albo dell’agente di commercio nel caso Centrosteel.

Page 36: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

36

Se così è, di fronte ad un conflitto insanabile, in una controversia tra privati, tra una direttiva dettagliata ed una norma interna, il giudice nazionale come deve procedere? Nonostante la pratica gestione dell’istituto dell’interpretazione conforme da parte della Corte di giustizia (che di certo è poco rigorosa e mira più alla soluzione del caso concreto di volta in volta esaminato), il giudice nazionale deve tenere conto dei limiti all’interpretazione conforme fissati in astratto dalla Corte e quindi applicare la norma interna incompatibile reputando configurabile il solo risarcimento del danno? Ed il rispetto del primato del diritto comunitario? E l’obbligo di perseguire il risultato voluto dalla direttiva gravante, ex art. 10 tr., anche sul giudice nazionale (come affermato dalla stessa Corte)? Escluso che il giudice interno possa allo stato formalmente disapplicare la disposizione interna configgente con quella comunitaria non direttamente efficace (pena l’attribuzione a questa proprio di quell’effetto diretto, anche solo di esclusione, di cui essa è priva), al fine di conseguire le finalità della direttiva il giudice nazionale, se non individua alcun principio generale del diritto comunitario violato98, può e deve andare oltre i confini dell’interpretazione logico-sistematica ed oltre gli spazi di manovra lasciati all’opera dell’interprete. Certo, è facile obiettare che nell’attività ermeneutica si dovrebbe solo scegliere tra più interpretazioni possibili della disposizione in questione. Si dovrebbe cioè rimanere nell’ambito dello spazio di significato possibile. Tuttavia, pur in presenza di profili di contrasto con la normativa interna, è preferibile ritenere che il giudice nazionale debba porre in essere una sostanziale disapplicazione (o non applicazione) di disposizioni (o parti di esse) nazionali contrastanti con norme comunitarie non direttamente efficaci, disapplicazione della quale il giudice non sarebbe tenuto a fare menzione (come d’altronde non fa la stessa Corte di giustizia), limitandosi egli nella forma ad un semplice ricorso all’istituto dell’interpretazione conforme così come applicato dalla Corte di giustizia. Visto che in ogni caso si deve applicare (non la disposizione comunitaria non direttamente efficace, ma) una norma interna compatibile con il diritto comunitario ed interpretata conformemente a quest’ultimo, anche il giudice nazionale, al pari di quello comunitario, dovrebbe limitarsi a parlare in questi casi di “interpretazione conforme”, non valorizzando il possibile aspetto non applicativo presente nella fattispecie in questione o comunque ponendo in evidenza che tale aspetto è in linea con le concrete decisioni della Corte di giustizia e con le applicazioni da questa operate del principio dell’interpretazione conforme. Ciò di cui il giudice, ed in generale il giurista, nazionale deve rendersi conto è che non può esigersi che la nozione di interpretazione conforme elaborata ed applicata dalla Corte corrisponda a quella insita nella mentalità e nella tradizione giuridica del nostro Paese. Essa si è formata, infatti, in un contesto sovranazionale, di carattere prevalentemente casistico e rimediale ed ha perso molto delle sue caratteristiche interpretative. Sotto il profilo formale, in caso di confilitto insanabile tra norma interna e disposizione comunitaria non direttamente efficace il giudice interno non è chiamato ad una disapplicazione, perché il conflitto, meramente apparente (vista anche la sopra citata “presunzione di conformità”), viene in realtà composto e visto che implicitamente è la stessa

98 In caso di incompatibilità normativa, i problemi in ordine all’impiego del semplice strumento della disapplicazione o all’uso forzato dell’interpretazione conforme sono agevolmente risolti se la norma interna risulta contrastare con un principio generale del diritto comunitario, caso nel quale il giudice può agevolmente disapplicare la norma interna. V. Corte eur. giust. 22-11-2005 C-144/04, Guida dir. com. ed internaz., 2006, 1, 61 s.

Page 37: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

37

Corte a suggerire al giudice di non considerare quella disposizione interna (o quella parte della disposizione interna) in contrasto con la norma comunitaria. All’interno del meccanismo dell’interpretazione conforme in relazione alle norme comunitarie non direttamente efficaci è però possibile che si verifichino dei “fenomeni non applicativi”, dei fenomeni, cioè, di “non applicazione” di norme nazionali (o di parti di esse) incompatibili con quella comunitaria (non direttamente efficace). Ecco che o tramite la disapplicazione della norma nazionale difforme e l’applicazione in via diretta della direttiva (o di altra disposizione interna conforme se vi è un semplice effetto di esclusione e non uno di sostituzione) nei casi in cui sussistono i presupposti cui è subordinata la diretta efficacia delle norme comunitarie o tramite l’interpretazione della norma interna in modo conforme alla direttiva nei casi in cui questa non è direttamente efficace (ad esempio perché non sufficientemente dettagliata o perché invocata in un rapporto orizzontale o prima della scadenza del termine di recepimento), il giudice deve comunque risolvere il caso di specie in forza del parametro normativo comunitario, assicurando il conseguimento del risultato perseguito dalla direttiva99. In tal modo si consente il rispetto dei principi del primato del diritto comunitario e dell’effetto utile dello stesso. Come dice spesso la Corte, il giudice interno, che è bene ricordare è giudice comunitario di diritto comune e garante del rispetto del principio del primato del diritto comunitario, deve fare tutto ciò che rientra nella sua competenza per raggiungere il risultato perseguito dalla direttiva. Anche lui è invero destinatario, quale organo statale, degli artt. 10 e 249, co. 3, tr. Tale conclusione risulta poi anche avvalorata dal fatto che la responsabilità statale per violazione del diritto comunitario dovuta ad attività giurisdizionale è stata di recente affermata, con la sentenza sul caso Traghetti del Mediterraneo del 13 giugno 2006100, anche per la violazione manifesta del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risultante dall’interpretazione delle norme di diritto101. E tale violazione manifesta nell’esercizio dell’attività interpretativa si può verificare, secondo la Corte, «se, per esempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale o procedurale comunitario una portata manifestamente erronea, in particolare alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, la summenzionata sentenza Köbler, punto 56), o se interpreta il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, alla violazione del diritto comunitario vigente»102.

99 Si dovrebbe quindi giungere ad interpretazioni che interpretazioni non sono, con la conseguenza che non vi sarebbero più motivazioni (allo stato pienamente possibili) del seguente tenore (la seguente è relativa alla dir. 18-12-1986 n. 653, in tema di coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti e di indennità di cessazione del rapporto di agenzia): «né la disposizione comunitaria potrebbe condurre ad una interpretazione della disposizione nazionale nel senso propugnato dal ricorrente, dal momento che, anche ove la formula di cui all’art. 17 della direttiva (L’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui) sancisse effettivamente l’obbligo degli Stati membri di adottare un criterio di calcolo dell'indennità parametrato al valore della clientela procacciata, vige tuttavia il principio per cui l'obbligo del giudice nazionale di addivenire ad una interpretazione adeguatrice alla direttiva comunitaria viene meno ove la disposizione nazionale non lo consenta, e nella specie, come già rilevato, nulla autorizza ad interpretare l’art. 1751 cod. civ. nel senso voluto dall’agente» (Cass. 6-8-2002 n. 11791, Giur. it., 2003, 101, con nota di L. Antonetto, Indennità di fine rapporto di agenzia: la disarmonia delle sfere di legittimità e Giust. civ., 2002, I, 3084). 100 Corte eur. giust. 13-6-2006 C-173/03. 101 Oltre che dalla valutazione dei fatti e delle prove. 102 V. Corte eur. giust. 13-6-2006 C-173/03, punto 35.

Page 38: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

38

Peraltro, il diritto comunitario osta pure ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza della responsabilità statale per attività giurisdizionale «ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della citata sentenza Köbler»103. Per la Corte, quindi, l’attività interpretativa del giudice può costituire fonte di responsabilità dello Stato, e ciò nonostante l’art. 2 della legge 117/88 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati stabilisca che «nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto». Pertanto, prima di escludere la possibilità di fare ricorso al concetto di interpretazione conforme così come applicato estensivamente dalla Corte di giustizia, il giudice nazionale dovrebbe pure ben valutare la possibilità di cagionare, con una tale sua condotta, un’esposizione dello Stato ad un’azione risarcitoria. Dopo le sentenze Pfeiffer, Pupino e Traghetti del Mediterraneo diviene quindi ancor più inevitabile interrogarsi sulle sorti del principio dell’esclusione dell’efficacia diretta delle direttive nei rapporti orizzontali. Come non porsi tale domanda una volta che la Corte di giustizia mira a fornire sempre al giudice nazionale soluzioni altermative a quella dell’applicazione delle disposizioni interne incompatibili con il diritto comunitario104 ed una volta che il giudice nazionale deve fare tutto quanto rientra nella sua competenza, applicando un’interpretazione logico-sistematica delle norme nazionali (in primo luogo quelle di recepimento se la direttiva è stata attuata), al fine di adempiere all’obbligo, anche su di lui gravante, di consentire il raggiungimento del risultato voluto dalla direttiva (magari forzando le sue tradizionali concezioni in ordine alla nozione di “interpretazione” e prendendo in considerazione il possibile verificarsi di un qualche “fenomeno non applicativo”)? Una così vasta applicazione dell’ampliato istituto dell’interpretazione conforme – tale da comportare, di fatto, la stessa conseguenza (disapplicazione) tipica delle norme ad effetto diretto – può anche portare a non comprendere più il motivo per cui la Corte, nell’intento di attribuire la massima tutela possibile alle posizioni di matrice comunitaria e di garantire la più ampia salvaguardia pratico-applicativa del principio del primato del diritto comunitario, non proceda a riconoscere alle direttive effetti orizzontali diretti (e non meramente indiretti tramite l’interpretazione conforme). La risposta non può che essere quella già data dalla stessa Corte nella citata sentenza Faccini Dori, pronuncia nella quale il giudice comunitario ha affermato che estendere la

103 Corte eur. giust. 13-6-2006 C-173/03, punto 46. La sentenza sul caso Köbler è Corte eur. giust. 30-9-2003 C-224/01, Danno e resp., 2004, 23, con la lucida e brillante nota di R. Conti, Giudici supremi e responsabilità per violazione del diritto comunitario. 104 Sul punto non può non farsi riferimento (come ha fatto Conti, Direttive comunitarie dettagliate cit., 195) alle espressioni utilizzate nell’aprile del 2004, in relazione al caso Pfeiffer, dall’Avvocato Generale Colomer, che precisava che il suo intendimento non era di «promuovere l’effetto diretto orizzontale delle direttive non trasposte che presentino i requisiti indicati dalla giurisprudenza” o di “esortare i giudici nazionali ad applicare tali direttive, invadendo l’ambito delle funzioni del legislatore nazionale». Come da lui stesso chiarito, egli voleva consentire alla Corte l’esplicazione del suo compito di garante dell’interpretazione uniforme del diritto comunitario, compito che «le impedisce di lasciare il giudice nazionale senza altra alternativa che applicare una norma del diritto interno contrastante» con la normativa comunitaria (e, nel caso di specie, anche con l’obiettivo di quest’ultima di migliorare la sicurezza, le condizioni igieniche e la salute dei lavoratori ). Ciò peraltro conferma l’impossibilità di formalmente disapplicare una disposizione nazionale contrastante con il diritto comunitario non direttamente efficace.

Page 39: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

39

giurisprudenza relativa all’efficacia diretta delle direttive inattuate «all’ambito dei rapporti tra singoli significherebbe riconoscere in capo alla Comunità il potere di emanare norme che facciano sorgere con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti». Certo, è vero che tale argomentazione dovrebbe portare in astratto ad escludere anche l’efficacia diretta verticale delle direttive. È anche vero, però, che il riconoscimento in ogni caso di efficacia diretta alle direttive comporterebbe effettivamente la trasformazione delle direttive in regolamenti in assenza di una modifica del Trattato e senza che l’estensione degli effetti diretti ai rapporti interprivati sia giustificata da quelle esigenze “sanzionatorie” che hanno portato al riconoscimento degli effetti diretti in danno dei soggetti pubblici inadempienti agli obblighi comunitari di recepimento (corretto) delle direttive (ed a prescindere poi dal fatto che il privato potrebbe pure non avere le conoscenze sufficienti per comprendere se la direttiva è o meno dettagliata e, quindi, potenzialmente produttiva di effetti diretti). La Corte non potrebbe quindi autonomamente attribuire effetti diretti anche orizzontali alle direttive. Ed è per questo motivo che la Corte non afferma espressamente la disapplicabilità della norma interna per contrasto con la direttiva non dettagliata o relativa a rapporti orizzontali. In tal modo, infatti, si attribuirebbe effetto diretto ad una norma comunitaria che ne è invece priva e che quindi non può produrre né un effetto diretto di sostituzione (della norma comunitaria in questione a quella interna contrastante) né un effetto diretto di esclusione (dell’applicazione della norma interna contrastante). Affermare espressamente che il contrasto tra norma interna e norma comunitaria priva di effetto diretto deve portare il giudice a disapplicare la norma interna difforme significherebbe invece estendere l’effetto orizzontale delle direttive ad un punto tale da equiparare per via giurisprudenziale queste, in tutto e per tutto, ai regolamenti. Certo, è vero che il concreto impiego della nozione di interpretazione conforme da parte della Corte di giustizia porta ai medesimi risultati. Tuttavia, manca un’affermazione espressa di principio in tal senso. Con l’adozione da parte del giudice nazionale dell’interpretazione conforme oltre il limite della ‘possibilità interpretativa’ od oltre il “margine discrezionale” configurabile si finisce con l’attribuire surrettiziamente effetto diretto a disposizioni comunitarie che ne sono al contrario prive. Nella forma, però, tale effetto diretto (di esclusione) non sussiste, non parlandosi di disapplicazione. L’effetto indiretto orizzontale che formalmente viene a prodursi (e quello diretto orizzontale operante sul piano sostanziale) devono comunque portare già ora l’interprete a collocare, nella sostanza, le direttive sullo stesso piano dei regolamenti. Con l’estensione del concetto di “organo statale” ai fini degli effetti diretti verticali e con l’ampliamento via via operato, in relazione alle direttive non direttamente efficaci, dell’interpretazione conforme, la Corte di giustizia mostra di avere raggiunto uno dei punti di massima estensione di effetti riconoscibili alle direttive. Ciò ha evidentemente comportato, in ordine all’ambito di applicazione della tutela risarcitoria, che, essendo quest’ultima possibile per la Corte soltanto nei casi in cui non possa farsi ricorso all’interpretazione conforme (e quindi alla tutela diretta), il rimedio risarcitorio è di sempre più difficile invocazione. Ed invero, se la via del risarcimento del danno è percorribile (così come afferma la Corte) solo quando non sia possibile l’interpretazione conforme, più si amplia (come sta facendo la Corte) la possibilità di fare ricorso all’interpretazione conforme e più si riducono gli spazi della tutela risarcitoria. E la residualità di quest’ultima rispetto alla tutela diretta dovrebbe pure comportare, invero, in linea di principio, l’inammissibilità delle domande risarcitorie avanzate

Page 40: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

40

nei confronti dello Stato senza avere prima percorso la strada del rimedio diretto tutte le volte in cui ciò sia astrattamente possibile (ossia ormai quasi sempre, visto l’ampio concetto di “interpretazione conforme” adottato dalla Corte). La nostra Corte di Cassazione105 ha invece considerato lo strumento risarcitorio come concorrente e non alternativo rispetto a quello della tutela diretta e ciò nell’ottica di una maggiore salvaguardia del soggetto leso. Se quindi si condivide l’impostazione seguita dalla nostra Suprema Corte, la responsabilità dello Stato per mancata o errata attuazione della direttiva sarà da ritenere possibile quando il privato (cui la direttiva non attuata o mal recepita riconosca dei diritti) chieda fin da subito il risarcimento dei danni subiti. Resta sempre fermo il caso di ricorso alla tutela risarcitoria per i danni ulteriori non coperti dalla tutela diretta (v. la citata sentenza Carbonari). Al di fuori di queste ipotesi non sembrano però ipotizzabili altri casi di ricorso al risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario commessa dallo Stato-legislatore. Indubbia rimane, invece, la responsabilità statale per le violazioni gravi e manifeste poste in essere da organi amministrativi e, dopo le sentenze Köbler106 e Traghetti del Mediterraneo107, anche da organi giudiziari. In particolare, in ordine a quest’ultima ipotesi di responsabilità statale pare opportuno notare che essa impone ancor di più la conoscenza del diritto comunitario, nelle sue manifestazioni normative e giurisprudenziali, e la propensione ad avvalersi degli strumenti della disapplicazione e dell’interpretazione conforme da parte del giudice nazionale, soggetto che può ormai essere fonte di responsabilità extracontrattuale per lo Stato e che potrebbe pure essere chiamato a rispondere personalmente in un secondo momento, eventualmente anche sul piano disciplinare. Visto che al giudice nazionale la Corte affida sempre maggiori compiti e che l’attività di “interpretazione conforme” viene di fatto posta in essere dalla Corte di giustizia anche in casi di incompatibilità normativa tra disposizione nazionale e norma comunitaria, questa via può ben essere seguita anche dal giudice interno, nell’ottica dell’obbligo di risultato anche su di lui gravante e del rispetto del primato del diritto comunitario Certo, più che una “interpretazione conforme” si avrà, è vero, una “conformazione ordinamentale per via giudiziale”. Se il giudice decide sempre in ordine allo specifico caso concreto e l’ordinamento resta invariato dopo l’emanazione della singola sentenza, tuttavia, qualora l’intero ordine giudiziario di un Paese applicasse gli strumenti della disapplicazione e dell’interpretazione conforme allo stesso modo di quanto fa la Corte di giustizia al fine di salvaguardare il primato e l’effetto utile del diritto comunitario, allora l’ordinamento risulterebbe di fatto conformato alle norme comunitarie (anche non direttamente efficaci) per via giudiziale. Evidente è il rischio che il giudice si sostituisca al legislatore. È però la stessa Corte a richiedere al giudice nazionale di raggiungere una soluzione conforme ai precetti comunitari ed è la stessa Corte a ritenere lo Stato responsabile in caso di mancato raggiungimento di tale risultato. Indubbiamente, quindi, la soluzione da adottare è in ogni caso quella comunitariamente conforme. Le modalità di impiego degli strumenti della disappplicazione e dell’interpretazione conforme delineate dalla Corte di giustizia evidenziano, però, con riferimento alle fonti comunitarie non direttamente efficaci, una contraddizione tra la

105 Cass. 16-5-2003 n. 7630 cit. 106 Corte eur. giust. 30-9-2003 C-224/01 cit. 107 Corte eur. giust. 13-6-2006 C-173/03.

Page 41: Articolo Interpretazione conforme e situazioni giuridiche ...servizi.ceda.unina.it/PHP/perf/perf/DCOM_IntConf.pdf · Majo, Efficacia diretta delle direttive inattuale cit., 501 s.;

41

negazione della disapplicazione del diritto nazionale e l’affermazione dell’interpretazione conforme a tutti i costi. L’impostazione fornita dalla Corte ha di fatto generato una situazione aporetica, un’impasse logica che costringe il giudice comunitario e quello nazionale ad equilibrismi motivazionali che rendono sempre più opportuna una riconsiderazione del sistema delle fonti comunitarie.