Arteterapia: di-segni e di sostanze_DEMO

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LAURA GRIGNOLI

BARBARA CIPOLLA

Arteterapia:

di segni e di sostanze

EDIZIONI CIRCOLO VIRTUOSO

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Tutti i diritti riservati

ISBN: 978-88-97521-68-6

Prezzo: € 10,50

Pagine: 160

Ed. Circolo Virtuoso

Data pubblicazione: 2014

www.circolovirtuoso.net

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A Nicolò e Giada

A Caterina

“Qual è il volto davanti al quale

vostro padre e vostra madre

si sono incontrati

se non il vostro?”

(Analisi del destino)

L. Szondi

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INDICE

Preambolo 6

PARTE PRIMA

DALL’ARTE ALL’ARTETERAPIA

Introduzione 10 1.1 Perchè l’arte entra in un contesto terapeutico? Sarà un incontro riuscito? 13 1.2 Arte come lingua dell’immaginazione 20 1.3 La formazione dell’immaginario/la de-formazione del reale 24 1.4 Immaginazione e analisi simbolica delle raffigurazioni pittoriche 27 1.5 Significatività dell’oggetto rappresentato 29 1.6 Le arti a disposizione della cura 30 1.7 L’Arteterapia: fondamenti dell’impianto teorico 33 1.8 L’Arteterapia dagli esordi al panorama attuale 35 1.9 Il modello di Arno Stern. Semiologia dell’espressione grafica e “memoria organica” 41

PARTE SECONDA

SPAZI E ATTORI DELL’ARTETERAPIA SECONDO

IL MODELLO PSICODINAMICO-FENOMENOLOGICO DI ARTELIEU

2.1 Arteterapia in ambito clinico 48 2.2 Fondamenti del metodo Artelieu 49 2.3 Alfabeti personali: ciascuno di-sé-gna 51 2.4 Liberare le immagini 54 2.5 Gli elementi e le funzioni del linguaggio plastico-pittorico 55 2.6 La figura dell’Arteuta e dell’Arteterapeuta secondo la visione Artelieu 59 2.6.1 L’arteterapeuta: professione non definibile 64 2.7 Cornice artistica e cornice terapeutica 67

2.7.1 Cornice interna 70 2.7.2 I medium artistici nel processo arteterapeutico a dominante plastico-pittorica 76

2.7.3 Il disegno del dire 78 2.7.4 Di/segni e di/sogni 82

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PARTE TERZA

ARTETERAPIA APPLICATA IN ETA’ EVOLUTIVA

3.1 Il setting coi bambini. Chi tiene le fila del gioco… 88 3.2 Arteterapia con i bambini 89 3.3 Le implicazioni del corpo in arteterapia plastico-pittorica. La digitopittura 93 3.4 L’Arteterapia preventiva: l’arte va scuola 98

3.4.1 Laboratorio di Color-touch a scuola 101 3.4.2 Analisi dell’esperienza di color touch: processo e interventi 103 3.4.3 Laboratorio ‘Indizi per un ritratto’ 108

3.5 Lavorando sulle fiabe e sulle storie con bambini e preadolescenti 109 3.6 Il laboratorio con bambini: il simbolismo del bestiario 114 3.7 L’Arteterapia e gli adolescenti 120

3.7.1 Lo strumento dell’Arteterapia con l’adolescente 121 3.7.2 Il metodo Artelieu con gli adolescenti 126

PARTE QUARTA

ARTETERAPIA APPLICATA IN ETA’ ADULTA

4.1 Laboratorio di Fototerapia proiettiva in un gruppo di adulti 130 4.2 Cos’è e come si applica un dispositivo nelle sedute di arteterapia 139

4.2.1 Esempio di dispositivo di inizio percorso 142 4.2.2 Dispositivo di Arte Effimera: un sogno che si fa segno 145

4.3 Le nuove forme del sintomo e l’arteterapia 147 4.4 Concludendo 152

BIBLIOGRAFIA 155

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Preambolo

Questo libro riprende in alcune parti il nostro primo libro sull’argomento “Artelieu:

dalle riflessioni sull’arte all’arteterapia” edito dall’editrice Samizdat una decina di anni fa. Le esperienze intercorse nel frattempo ci inducono a integrare alcune parti e a chiarire dei concetti fondamentali.

In realtà in quest’opera riprendiamo il discorso iniziato per confermare, lasciando inalterati, i capitoli storici e alcune delle tesi allora accennate, ma integrando con altro materiale di ricerca da noi elaborato. Si è partiti dall’intuizione, più o meno chiara all’inizio, che il filo conduttore tra le ricerche sul senso dell’arte e l’applicazione dell’arte in ambito terapeutico potesse essere la ricerca stessa nel suo divenire. Infatti, il riordinare il materiale scritto negli anni è diventato una caccia agli indizi per convogliare i vari discorsi in un insieme unitario e con un preciso filo conduttore. Mentre si procedeva per la stesura definitiva, il testo si è andato animando di ricordi e di esperienze come se la materia guidasse la ricerca e non viceversa.

Nella prima parte ci è sembrato ineludibile richiamare alla memoria antichi

interrogativi su un “agito”, l’arte, che la caratterizza come operato umano mosso da qualcosa di indefinibile, da un bisogno interiore quasi primario se si pensa che i nostri progenitori paleolitici già disegnavano sulle pareti delle caverne, inconsapevoli del gesto artistico. L’interrogativo da sempre, costante e pervasivo in ogni aspetto della vita, costituisce lo stile prescelto del nostro pensare, così come la psicologia, in quanto mezzo per replicare agli interrogativi, costituisce il nostro metodo di lavoro. Ed è per questo che nella seconda parte, quella inerente gli aspetti storici e clinico-applicativi dell’Arteterapia, diamo spazio alla riflessione sugli aspetti psicologici che interfacciano con l’arteterapia.

Nella terza parte mettiamo i ricordi affettivi laboratoriali legati alle esperienze con soggetti in età evolutiva. I ricordi affettivi riguardano le esperienze maturate nel campo dell’arteterapia, la cui declinazione è avvenuta sempre con modalità insolite, negli ambiti più disparati, esprimendosi come “sintomo” di un processo in continua incessante evoluzione personale e professionale. L’originalità che sentiamo di avere e che spesso viene riconosciuta al nostro approccio arteterapeutico, da come si può evincere dalla parte dedicata alle esperienze, è che il metodo dell’Artelieu, oltre che luogo fisico del laboratorio dove si fa clinica con l’arteterapia, non ha intenti esclusivamente riabilitativi o terapeutici nel senso medicale. Noi riteniamo piuttosto che tutti in qualche modo “soffrono” del fatto di non poter esprimere interamente se stessi. Non possono, perché non sanno di aver qualcosa da dire.

Scrivendo e riordinando, non abbiamo potuto non rilevare il fatto che le parti del libro rispecchiano, seppure in modo un po’ bizzarro, i principali interessi personali su cui finora ci siamo confrontati: l’interrogativo filosofico, la psicologia, l’arte applicata.

Non si può scrivere che di se stessi. “C’è qualcosa di bizzarro nel processo creativo, per quanto uno si prefigge possa

essere serio. E vi è qualcosa di egualmente bizzarro nello scriverne, poiché se è mai

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esistito un processo totalmente muto, questo è il processo creativo. Bizzarro, serio e muto” (J. Bruner, 1965)

Ringraziamo dal profondo del cuore gli Arteliens, i clienti, i pazienti, i maestri e tutti

coloro che hanno reso possibile l’istituzione e che ancora oggi rendono viva la realtà operativa dell’Artelieu.

Un grazie di riconoscenza va in particolare a Jean-Pierre Royol, a Michel Balat, a Florence Fabre, a Lina Ayoubi, ad Amélie Minier Verseau, a Carole Masson, a Marie Lefret e a tutti gli altri colleghi che ci hanno permesso di arricchirci di esperienze e di emozioni nello scambio generoso anche sotto l’aspetto umano.

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PARTE PRIMA

DALL’ARTE ALL’ARTETERAPIA

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Introduzione

Questo lavoro raccoglie un campionario delle riflessioni e delle esperienze fatte attorno all’Arteterapia. Giocando un po’ con i doppi sensi che spesso hanno le parole lo abbiamo intitolato “Arteterapia: di segni e di sostanze” perché in arte non si utilizza un alfabeto, ma comunque ci si avvale di segni che andranno a costituire quel codice mediante cui possiamo interpretare il messaggio. Con l’interpretazione del messaggio risaliamo al significato che l’emittente, ovvero l’artista, ovvero il paziente d’arteterapia, hanno voluto dare. Tuttavia il segno è sempre segno di forme, dentro cui si nasconde la sostanza. Ma la “materia” di cui ci si serve nelle attività artistiche, da mater, è la sostanza prima di cui tutto è formato. Conserva nell’étimo il senso dell’origine, della nascita, di tutti i corpi. Quando una materia presenta proprietà ben definite prende il nome di sostanza. Chiediamo scusa per la divagazione chimica, ma pensiamo che nel percorso arteterapeutico si ha sempre a che fare con i segni, la materia a cui si dà sostanza. Anche le persone prendono sostanza quando acquisiscono la loro peculiarità.

Parleremo, inoltre, delle esperienze fatte nell’ “Artelieu”, nome dato all’Associazione

di studi e al laboratorio di arteterapia che abbiamo fondato insieme a colleghi interessati alla ricerca e alla diffusione delle conoscenze sull’arteterapia.

Perché tale nome? È un calembour, che, come tutti i giochi di parole, ci sembrava idoneo a condensare i molteplici sensi (anche assonanze uditive) che volevamo attribuirvi. In primis quello di “luogo dell’arte” inteso come corpo che contiene in nuce l’espressività artistica emozionale e in seconda accezione come “luogo che ospita l’arte” nel suo divenire. Ecco la ragione per cui abbiamo chiamato Artelieu il nostro spazio-laboratorio.

Il luogo (lieu) ci è parso più importante del termine “terapia”, legato alla funzione, di cui non si ha in anticipo nessuna certezza sull’esito. Questo ci induce a sentirci debitori ad Arno Stern per il richiamo evidente al suo Closlieu.

Dopo gli opportuni richiami teorici parleremo di un’arte non-arte, indagheremo sull’esistenza del luogo dove si fa arte e terapia o, se volete, dove si fa terapia con l’arte, mediante l’arte, attraverso l’arte, nonostante l’arte, non solo con l’arte. Ma soprattutto del luogo dove l’invisibile è autorizzato/sollecitato a manifestarsi visivamente. Dove l’invisibile e a-materico diventa segno compartecipabile.

Quando parliamo di Artelieu spesso usiamo il termine non come il nome dato al nostro atelier ma come sinonimo di laboratorio di arteterapia. Qualcuno potrebbe trovarlo pretenzioso, qualcuno potrebbe trovare riduttivo il senso della terapia affidata alla sorte di un’originalità creativa che spesso chi si rivolge a un terapeuta non ha più.

Ma noi vogliamo rintracciare i nessi tra i linguaggi pre-verbali, il cui denominatore comune è dato dalle emozioni profonde da essi veicolati e le potenzialità espressive dei segni e delle sostanze propri dell’arte.

Ogni setting arteterapeutico può essere un “Artelieu” nella misura in cui si dà vita a qualcosa, utilizzando medium materici ed effimeri, perché arte la intendiamo come potenzialità che ognuno ha di elaborare creativamente il proprio vissuto attuale e rintracciare sensazioni inimmaginabili. Si sollecita spesso a creare perché si pensa che

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ogni iniziativa del genere sia positiva e riparatrice di antiche ferite, o perchè è rivelatrice di significati simbolici nascosti. Ma, come dice Balint1, trascuriamo troppo spesso i fenomeni precoci dell’esistenza. Si parla di fase orale ma non si pensa a cosa si è sperimentato prima. L’arteterapia in Artelieu è attenta ai fenomeni come la percezione dei colori, dei sapori, al contatto corporeo, alle sensazioni propriocettive, che sono molto più primarie. Insomma gli elementi pre-logici e pre-riflessivi occupano un posto fondamentale. C’è una realtà sensoriale che nessuna analisi verbale può avvicinare.

Ecco spiegato il perché due psicologhe cliniche parlano di arte e di arteterapia. Il modo di affrontare le problematiche psicopatologiche sta cambiando: molte certezze

terapeutiche un tempo assodate come verità inalterabili si stanno man mano sfaldando. A nostro avviso non può essere valida un’unica modalità di “cura”, quella verbale. Il

vissuto di ogni persona è una rete di eventi, episodi a volte collegati, a volte sconnessi, intrisi di emozioni all’interno di una semiologia di sensi e non solo di significati concettuali verbalizzabili. Ci sono sfumature e dissolvenze stratificate nella memoria che non possono essere confezionate in pacchetti da srotolare in parole.

La vita va vista con una struttura narratologica quasi fosse un romanzo: talvolta lineare e talvolta contorta, mentre ci sembra semplice diventa subito complicata, appare spesso una scatola vuota ma diventa densa subitaneamente. Certo, se la vita consistesse solo in una realtà oggettiva ed esterna, tutto sarebbe più semplice (nel senso del narrare), ma c’è una vita oltre lo specchio dei suoi riflessi. Lì si camuffa in un’affettività filtrata dalle spesso infelici elaborazioni suggerite dagli spot e dalle fictions. Le trame immaginative sono inadeguate ai contenuti afferenti delle percezioni e tutto scorre in un romanzo di verità e finzione, cosicché il “linguaggio ritorna su se stesso per abolirsi”2 .

L’Arteterapia, di cui illustreremo ampiamente il significato che le attribuiamo, si propone come supporto all’altro per aiutarlo a sgomitolare i fili di una matassa di parole mute e incoerenti. Favorire l’incontro tra più linguaggi che si compendiano può offrire l’opportunità di fronteggiare il dolore, la rabbia, l’angoscia. La nostra mente, più plastica di quanto si possa pensare, può ritrovare elementi semantici di energie liberatorie non computabili, analoghe alle dissolvenze, alle percezioni chiaroscurali delle ombre e delle penombre.

Se nell’impeto artistico l’ascolto è un problema privato e solipsistico dell’artista, nell’Arteterapia l’ascolto è di se stessi e dell’altro contemporaneamente; in entrambi i casi, comunque, si realizza nella dimensione del poetico, dell’artistico, semantizzando una percezione polisemica dei linguaggi, poiché le elaborazioni mentali non sono sempre lineari (da emisfero sinistro per capirci), ma talvolta si presentano in una sovrapposizione di stadi come nella fisica quantistica. L’arte favorisce la riscoperta dei luoghi di silenzio, dove depositare gradualmente le scorie rumorose acquisite nel linguaggio come metafore negative della parola. Un silenzio non fisico, ma intriso di sinestesie percettive che amplifichi il potere della relazione affettiva.

Il laboratorio arteterapeutico, o Artelieu se vi piace, ha anche qualcosa di pedagogico perché vuol educare l’altro a osservare, ad ascoltare come se toccasse le cose: quelle

1 Balint, M. (1990). Medico, paziente e malattia. Feltrinelli, Milano. 2 Baudrillard, J. (1979). L o scambio simbolico e la morte. Feltrinelli, Milano.

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sentite, quelle fiutate, viste, assaporate, in modo da ristabilire equilibrio tra percezione e pensiero per non essere travolti da fantasie sterili.

Lo scopo dell’artelieu è di riabilitare la linea trasmissiva tra sentire e provare, nel senso di riuscire ad elaborare nel giusto modo quello che si sente, ovvero a saper modulare immagini interne ed esterne, riscoprendo il “colore” e le sfumature dei linguaggi non verbali. Per osservare bisogna illuminare il mondo, saper anche interagire con le ombre e le penombre. I sentimenti sono proiezioni di ombre.

La dimensione umana ha una profonda risonanza nel colore, interagisce con le forme narrative della storia della persona che parla, in quanto la voce pullula di una fluttuazione di sensi che necessitano di nuovi linguaggi per essere compresi. Quanti ricordi palpabili con le mani, percepiti con la pelle vengono cancellati dal linguaggio verbale durante il racconto della propria storia? Il contatto con la materia facilita l’espressione di tutto quanto si è visto e sentito, toccato, provato, annusato. Anche di quanto si è visto, annusato, toccato in tempi precoci, quando la capacità di concettualizzare non era formata ancora.

L’arteterapeuta e i suoi pazienti si specchiano e insieme vanno a cercare i pezzi mancanti, pezzi di significati omessi nella verbalizzazione per dar loro la forma che gestisca i paradossi del verbale. I ricordi non son fatti di parole ma sono ologrammi, dissolvenze e sovrapposizioni quantiche. Come rappresentare la mente che ricorda la luce e i toni di voce? Come le dissolvenze di scene vissute? Come se non in un linguaggio plastico più denso di sovrapposizioni?

Probabilmente la riscoperta di una semantica plastica permette che si sovrappongano nella verità, falsità, timbricità, sfumature, le sceneggiature espressive. Solo questo potrà rispondere ai dialoghi più intimi della vita, così come i linguaggi del corpo permettono alle terapie corporee di far rivivificare semi profondi e di farli germogliare ancora.

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1.1 Perchè l’arte entra in un contesto terapeutico? Sarà un incontro riuscito?

La legittimità delle domande ci induce a rapportarci alla disciplina che per eccellenza si nutre di interrogativi, la filosofia, che, occupatasi da sempre di estetica, può darci le dritte sulla giusta formulazione delle domande. Porsi in modo giusto una questione è già averla risolta per metà.

Cominciamo dalla più elementare: “cos’è l'arte?” A questo interrogativo hanno provato a rispondere quasi tutti i filosofi fin

dall’antichità, incontrandosi su aspetti inerenti l’estetica. Ma i canoni estetici nel corso dei secoli sono mutati, rimettendo di volta in volta la palla al centro. Soprattutto quando con le avanguardie artistiche (cubismo, espressionismo, post-moderno ecc.), la pittura astratta, la negazione dell'arte ad opera del movimento dadaista, i tagli sulla tela e l'arte moderna in generale hanno reso quasi impraticabile una classificazione dell'arte in base a criteri estetici, e titanica impresa quella di separare l'arte dalla non-arte.

Accenniamo per gratitudine personale a Platone; riteniamo che, risalendo a lui, pur percorrendo strade molto trafficate, quasi la circonvallazione della tematica, è possibile sviluppare un discorso storicamente fondato, ma anche portare il lettore a rispolverare idee che torneranno utili ai fini della comprensione di ciò che gira attorno all’arteterapia. Platone3, infatti, nel determinare l’essenza, la funzione, il ruolo e il valore dell’arte, si preoccupa solamente di stabilire quale valore di verità essa abbia. Nel senso che si chiede se l’arte avvicini al vero oppure no, se avvicini l’uomo alla verità, se lo renda migliore o peggiore. La sua risposta, la conosciamo tutti, fu decisamente negativa: l’arte – dice non disvela, ma cela il vero, non rende migliore l’uomo, ma lo corrompe. L’arte è

menzogna: non educa, ma diseduca4. Questo anatema è rimasto in tutti i Dialoghi pressocché senza appello. Già nei primi aveva assunto un atteggiamento duro nei confronti della poesia ritenendola inferiore alla filosofia, affermando che il poeta non ragiona per “scienza” ma per intuito. Quindi, secondo Platone, l’intuizione è stare “fuori di sé”, essere invasati, inconsapevoli. Il poeta, potremmo dire l’artista, è tale per volere divino. L’ispirazione non ha meriti personali né ha a che fare con la persona ispirata. Siamo ancora ben lontani dalla filosofia di Shelling che considera l’arte un superamento della filosofia perché solo tramite l’arte si disvela l’assoluto. Schelling5 dice che l’arte permette che l’infinito si traduca nel finito, cioè nel mezzo che l’esprime, come la parola (poesia) o l’immagine (pittura etc.); per il filosofo l’arte è l’unica ed eterna rivelazione. L’artista è il vate, colui tramite il quale l’infinito si svela nella produzione di forme. Egli parla per primo di commistione tra conscio e inconscio, pur in termini lontani dalle accezioni freudiane.

Anche secondo Heidegger6 per la prospettiva da noi adottata, si può collocare all’interno di questa visione dell’interpretazione, pur rimanendo ancora molto distanti dalle attuali concezioni dell’arte e del suo rapporto con l’inconscio.

3 Platone, (2007). Repubblica, L ibro X, E d. L aterza, Bari, XIII ediz. 4 Platone, op.cit. 5 Schelling, F.W. (1986). in P.Szondi, L a poetica di Hegel e Schelling. Einaudi, Torino. 6 Heidegger, M. (2000). L ’origine dell’opera d’arte. Ed. it. C. Marinotti.

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Tuttavia Platone nel X libro del suo Repubblica ci spiega in modo più preciso le sue concezioni su ciò che egli considera arte. Questa, in tutte le sue espressioni, è sotto il profilo ontologico una “mimèsi”, cioè una imitazione di cose e avvenimenti sensibili.

L’arte figurativa, la poesia descrivono né più né meno che le cose, i fatti, gli uomini, cercando di riprodurre con parole, colori, segni, sculture. Ma siccome le cose sensibili, dice Platone, sono dal punto di vista ontologico non il vero essere ma l’imitazione del vero essere (sono un’immagine dell’eterno paradigma dell’Idea), quindi, distano dal vero nella misura in cui la copia dista dall’originale. L’opera d’arte, allora, è copia della copia dell’originale. Dunque, l’arte figurativa imita la mera parvenza: i poeti parlano senza sapere e conoscere ciò di cui parlano, i pittori non riproducono altro che l’imitazione dell’originale. Platone è convinto che l’arte si rivolga non alla parte migliore ma a quella peggiore dell’uomo. A questa affermazione molti hanno replicato, appellandosi a quanto lo stesso filosofo dice sulla bellezza e sull’Idea di bello. Ma questo associare il problema dell’arte al problema di definire la bellezza è ‘storicamente’ poco corretto, perlomeno nel contesto platonico, dal momento che sappiamo quanto il filosofo colleghi la bellezza all’eros e all’erotica più che all’arte.

Platone non negò l’esistenza dell’arte, ma negò che l’arte potesse valere solo per se stessa: l’arte – diceva o serve il vero o serve il falso, tertium non datur.

Oggi le cose sono cambiate. Noi moderni proclamiamo la libertà dell’arte, possiamo confutare le tesi di Platone con numerosi contributi dell’estetica e possiamo dimostrare il positivo che è nell’arte per l’arte.

Tuttavia, malgrado ciò, possiamo davvero dire che nella istanza platonica non ci sia nulla di vero? Possiamo davvero dire che, affrancatasi dalla necessità di riferirsi al vero metafisico e logico, l’arte non si sia spesso ridotta a gioco? Possiamo dire che l’arte non abbia finito per rivolgersi alla parte peggiore dell’uomo? Chi può negare che anche dove esistono aspetti patologici può accadere un evento artistico? Questo è un aspetto da approfondire. Certo è che, rispetto al passato, l’arte manifesta aspetti a volte sconcertanti.

Abbiamo oggi maturato una diversa idea di ciò che è arte e non necessariamente ci aspettiamo la bellezza nell’accezione platonica.

L'arte non è tutta bella né è solo quella che replica un tramonto sul mare o un campo di papaveri. Vediamo alcuni artisti rappresentare le angosce e i problemi del loro tempo con istallazioni fatte con mucchi di rifiuti, usando medium come la plastica bruciata e materiali improbabili. La recente Biennale di Venezia ci ha mostrato opere provocatorie, come gli 886 sgabelli occupanti tutto il padiglione nelle tre dimensioni, un olmo nodoso sradicato e poggiato a terra con stracci incollati a parlare di una natura aggredita fino alla morte. L'arte non è tutta comprensibile, a differenza di opere del passato: scarabocchi, rumori strani e pareti rivestite con pentole bucate e tinte di verde, (tutti ormai conoscono la “Fontana” di Duchamp, l’orinatoio che diventa oggetto d’arte, o le tele tagliuzzate di Fontana) si presentano nei musei agli occhi dei visitatori sconcertati, a fianco di una Monna Lisa e statue classiche. Con pochi euro a Piazza Navona a Roma o in altre città d’arte ci si può far fare un ritratto estemporaneo o comprare un paesaggio dipinto ad olio, e poi una tela con qualche schizzo di colore gettato in modo apparentemente casuale vale una fortuna. Una delle linee di pensiero predominanti è quella che considera l'arte soprattutto dal punto di vista del suo impegno sociale, la cosiddetta “arte impegnata”, la

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quale deve denunciare i mali della società, deve essere vera, propositiva, o addirittura diventa una esclusività dei movimenti intellettuali, di destra o di sinistra, poco importa.

La definizione standard da vocabolario del termine “arte” è restrittiva, quindi anche inesatta, ma questo non significa, a nostro parere, che l'arte sia allo stesso tempo tutto e niente, che niente possa essere definito arte o che tutto sia arte, perché in questo modo si rinuncia in partenza alla ricerca estetica, e ci costringiamo a fidarci di quello che ci dice una persona qualunque, delle quotazioni raggiunte alle aste e dei Cataloghi Bolaffi.

Il risultato è un clima in cui nessuno ha il coraggio né di proclamarsi artista, né di criticare l'arte altrui, in quanto c'è una gran confusione, senza inizio, né fine, né logica alcuna. L'unica cosa che si sa è che i quadri e le statue antiche sono arte di certo, che attenersi a quei canoni ora non è alla moda e che chi inventa qualcosa, deve aspettare la sua morte, forse, per essere compreso e considerato artista.

Quello che vogliamo sostenere è che l'arte antica non è migliore di quella attuale: l'arte contemporanea, oltre ad esistere, è prodotta da un maggior numero di persone, e da un punto di vista del valore non è così diversa da quella antica, in quanto l'arte è un prodotto dell'uomo per l'uomo, e non ci risulta che la gente nasca meno dotata di come si nasceva nel passato. È vero, comunque, che l'arte ha costituito da sempre una sorta di pane quotidiano: non c'era distinzione tra artisti e non artisti, la gente si abbelliva già nel paleolitico la grotta con i graffiti, si faceva e decorava da sè i suoi utensili, dalle terrecotte per cucinare ai monili, dalle abitazioni per vivere alle tombe in cui riposare in eterno. Così come è vero che nelle diverse epoche e società l'arte è stata unita alla religione, alla vita quotidiana, al potere, eccetera.

Ma torniamo alla domanda. L'ultimo che ha provato veramente a definire cosa sia l'arte, arrivando inevitabilmente

a definire cosa essa non sia, è Benedetto Croce. Egli intende l’opera d’arte come una sorta di intuizione lirica, distinta nettamente da una sua fase secondaria, che è nient’altro che la sua traduzione in un medium, cioè un mezzo materiale, fisico, appartenente al mondo e alla tecnica. L’opera d’arte è, dunque, in quest’ottica qualcosa di privato, qualcosa che accade nella mente dell’artista prima che assuma per suo tramite una forma percettibile a livello sensoriale. Il Croce intende l’espressione non come il mezzo materiale, ma come la forma linguistica che l’opera inevitabilmente assume nel suo essere concepita nella mente, distinguendo così questo medium mentale dal medium materiale di cui sopra. Personalmente questo conservatore, che ha vissuto mezzo novecento rimanendo coerente con l'ottocento nonostante abbia sbeffeggiato l'arte moderna, non può che restarci simpatico, e godere di tutta la nostra stima e simpatia.

Il senso della crisi dell'arte è forse imputabile all'avvento di un'arte popolare, cioè prodotta da tutti gli individui che si sentono stimolati a questo tipo di produzione: lo chef che prepara un piatto nuovo o la casalinga che decora la tavola per un pranzo festivo, il bancario che, dopo il lavoro, cura con presunzione estetica le siepi del suo giardino. In altre parole l'arte è sia il bello che il brutto, e la fanno tutti in tutti i settori delle attività umane; Dufrenne7 definisce la pratica dell'arte come un gioco, a cui si gioca per il piacere e la bellezza del gioco, ispirati da un desiderio di bellezza, al di là del fatto che tale gioco

7 Dufrenne, M. (1974). Art et politique, U.G.E . Paris.

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sia un lavoro utile o redditizio: la donna che cuce un abito sogna un bell'abito. E si deve provare piacere nel produrre, per quanto sia difficile l'impresa.

Sinceramente non comprendiamo come mai Dufrenne prima asserisca di fatto che tutte le produzioni umane sono arte, e poi concluda tagliando fuori dall'arte tutte le cose “serie”, ad esempio che per molti artisti con forti crisi esistenziali o depressive la produzione artistica è qualcosa di sofferto, non certo una passeggiata.

E non possiamo neanche considerare non-arte le opere di certi artisti i quali pensano soprattutto al denaro (uno fu ad esempio il Tiziano), all'indottrinamento politico-religioso o alla fama, se il risultato è magistrale.

Lasciando stare gli approcci poetico-idealistici che portano ad evitare una ricerca estetica sistematica, credo che sia più dignitoso provare col vecchio sistema, molto più rigido, ma che almeno porta a sbagliare in modo più logico ed ordinato.

Partiamo dalla definizione da dizionario del termine “arte”, che per esigenze di brevità è una brutale sintesi, parziale e quindi erronea, ma adatta come definizione di base. L'arte, distinta dalla tecnica, è definita come una attività legata alla ricerca del raggiungimento di qualcosa di bello, compiuto, dotato di senso e avente in sé la propria mèta; viene fatto notare anche che l'arte può influenzare il comportamento sociale, perchè fornisce modelli e simboli che rappresentano lo stile dell'epoca. In sostanza se l'arte è la ricerca del bello, siamo rimandati al termine “bello”, che viene definito come “ciò che produce nell'animo

un sentimento di ammirazione e di piacere disinteressato, collegato con il bene, con

l'armonia (accordo di più elementi o parti che produce un effetto gradevole) e con la

proporzione (giusto rapporto di misura fra cose in relazione tra di loro o di parti rispetto

a un tutto)”8.

Stabilito che l'arte è la ricerca del bello, e che il bello è in relazione con l'ammirazione e il piacere, l'unico modo per proseguire è di iniziare ad escludere qualcosa, ossia definire cosa non è arte. Questo è il compito che ha egregiamente svolto Benedetto Croce 9 il quale si sofferma su tutto quello che arte non è, a partire dall’affermazione che l'arte non

è un fatto fisico. Non si possono chiamare arte certi colori, certe forme o suoni. Per esempio il colore verde non è arte, ma le pennellate di verde in un quadro sono artistiche in quanto disposte secondo l'intuizione del pittore. L’arte non è il quadro che ammiriamo al museo o che custodiamo in salotto.

Così come nel campo della musica non potremmo mai dire che è bella una nota o un'altra in particolare, semmai percepiamo l’arte da come le note sono suonate nella melodia. L'arte non è il piacevole in genere, ma una particolare forma di piacere.

L'arte non è un atto morale, continua Croce nella disamina. La morale è un insieme di norme sociali o religiose che definiscono quali azioni sono giuste e quali sbagliate.

Se un pittore dipinge un assassinio, una scena di guerra, cioè atti moralmente riprovevoli, il quadro non sarà moralmente riprovevole. Nessuno troverebbe riprovevole Guernica di Picasso o l’Urlo di Munch. Può trovarla gradevole o meno, può apprezzarla o meno, ma non immorale. L'immagine non è nè lodevole nè riprovevole moralmente, non

8 Citazioni tratte da Ciucci, F. from http://www.venicexplorer.net 9 Croce, B. (1990). Breviario di estetica. Adelphi.

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si può giudicare morale il triangolo o immorale il quadrato, ma solo gli atti o le intenzioni.

Non si può neanche considerare arte la totalità degli oggetti inutili e senza riferimenti al mondo reale. Il fatto che l'arte non sia un atto morale significa semplicemente che arte può essere anche un ritratto di un dittatore come un film dalle scene erotiche o una messa nera in nome di satana, se il risultato ha una formidabile potenza espressiva e l'esecuzione è magistrale; allo stesso modo è inopportuno considerare arte molte opere mediocri al di là del fatto che rappresentino il bene, che siano utili o che non siano fatte per un fine pratico.

Altro assioma crociano è che l'arte non è né conoscenza concettuale, né storica. L'arte è al di fuori da distinzioni tra vero o non vero come accade per la fisica o la

matematica; all'intuizione artistica è consentito di essere pura ispirazione ideale. Se Chagall ha dipinto “Gli sposi che volano” o “La passeggiata”, è evidente che per la

fisica l’uomo non ha i mezzi per volare, per la realtà è un falso; ma artisticamente non sorge alcun problema, anzi tale dipinto suscita le emozioni più intense.

Chi domanda se ciò che è espresso in un’opera d'arte sia vero o falso, fa una domanda retorica, perchè chiedendo se una cosa che vede, sente o legge è vera o falsa, vuol dire che quella cosa esiste, almeno dipinta, scolpita o suonata, come ad esempio esiste Bella che vola di Chagall, sia come intuizione poetica dell'artista, sia come dipinto.

L'arte non è neanche filosofia, aggiunge il Croce, sapendo quello che diceva dal momento che parlava del suo lavoro.

La filosofia è fatta di ragionamenti logici sull'esistenza, mentre l'arte è fatta di intuizioni, di simboli e analogie, che vanno al di là di ogni ordine logico-razionale.

Quando dal linguaggio e dalla logica, propri dell'intuizione artistica, si passa ad una riflessione o un giudizio razionale, negando l'inspiegabile e correggendo gli “errori”, l'arte si dissipa. Kant nella “critica del giudizio”, contro gli utilitaristi dimostrò che il bello piace anche senza interessi utilitari, contro gli intellettualisti, che esso piace anche senza concetto.

L'arte non è neanche un semplice gioco di immaginazione. E su questo la distinzione crociana ha ragione di soffermarsi.

L'arte è solo un mondo di immagini prive di valore filosofico, storico, religioso, scientifico o morale? Un inutile e confuso fantasticare? Naturalmente no. Leggendo, ad esempio, un noioso romanzo o seguendo una fiction, immagini si susseguono ad immagini, ma sappiamo bene che questa non è arte, e lo facciamo per passare il tempo quando vogliamo svagarci: è un bisogno utilitario che ci spinge a sdraiarci a riposare la mente e la volontà, lasciando sfilare in passerella immagini dopo immagini in una sorta di dormiveglia, cercando semplicemente intrattenimento in una varietà di immagini di cose piacevoli o che coinvolgono affettivamente. Ma l'arte non la produce chi sta sdraiato ad immaginare. Nell'arte il problema è quello di convertire il “tumultuoso sentimento” in “chiara intuizione”, non di pensare un caotico ammasso di immagini. Occorrerebbe fare attenzione al significato dei termini “intuizione”, e “sentimento”, ma rimandiamo ai testi originali degli autori citati per approfondimenti.

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Accenniamo, però, alle proprietà dell’oggetto estetico, in quanto nel nostro lavoro di arteterapia abbiamo sempre a che fare con oggetti “artistici”. Che senso dar loro? Oltre che della sua materialità in quanto oggetto, vanno comprese le sue proprietà semantiche. Queste proprietà dovrebbero essere correlate strettamente a informazioni relative al contesto in cui opera l’artista, al contesto in cui si trova l’opera d’arte, o meglio, ad un altro genere di contesto: la storia dell’arte.

Questa è la posizione di un altro filosofo, Danto10. Questi ritiene che si possa distinguere un oggetto d’arte da un oggetto qualsiasi, sebbene percettibilmente identico (ad esempio, l’orinatoio conosciuto come “Fontana” l’opera di Duchamp come oggetto d’arte rispetto al semplice orinatoio) mediante la sua possibile descrizione all’interno di un dato contesto. Crea l’oggetto d’arte non il fabbricante dell’orinatoio, ma l’artista che invoca ragioni e giustificazioni storiche e culturali, intenzionali e concettuali, non di carattere percettivo. È il contesto culturale che rende diverso l’orinatoio.

Se la materialità dell’oggetto estetico da un lato e le sue proprietà espressivo-comunicative dall’altro pongono il problema di capire le modalità della loro coerente fusione nell’opera d’arte, allora dovremmo supporre che l’opera d’arte non è affatto un oggetto “materiale”, ma un oggetto di tipo diverso. Magari una sorta di “forma” in senso aristotelico, che non si trova mai separata all’ente, ma sempre “incarnata” in esso. Questo è quanto sostiene Margolis11, che non vede l’opera d’arte come oggetto materiale tout court, ma ritiene che l’opera sia sì un oggetto astratto, il “tipo”, ma tale da non potersi realizzare che nel mezzo.

Non vi è distinzione chiara tra ciò che viene espresso dall’arte e come viene detto. Il contenuto non può essere distinto dalle pratiche connesse all’arte come “forma di vita”, allo stesso modo in cui nel linguaggio verbale i significati delle parole sono associati alle attività che il linguaggio inteso come attività sociale, oltre che creativa, comporta.

Al di là delle soluzioni individuali è possibile rintracciare, tuttavia, due fondamentali posizioni: una dualistica secondo cui è implicito il concetto che l’opera è una cosa, un artefatto e il suo significato è un oggetto mentale. L’altra posizione, al contrario, intende superare tale supposto dualismo, perché non vuole che si identifichi l’opera d’arte con un oggetto materiale, cosa che impedirebbe l’attribuzione delle proprietà espressive ed estetiche. Bisogna, tuttavia, stare attenti a non confondere questa tesi con quella che sostiene che l’opera d’arte sia un oggetto puramente mentale o ideale, come afferma la Teoria Ideale dell’arte. Nella prima posizione si attestano Platone e Croce, nella seconda Danto e Margolis, oltre che altri non citati. In comune le varie teorie hanno il presupposto che nel vedere le “persone” vediamo comunque per primi sempre i corpi, in seconda battuta l’attribuzione di tutte le proprietà, come ad esempio, quelle di “persona”, di opera d’arte, di espressività etc.

Ma a questo obietterebbe Wittgenstein12 che solo le persone viventi hanno espressività e sensazioni, quindi, il problema ontologico dell’arte non si risolve attraverso la concettualizzazione o attraverso lo studio dell’oggetto. Un’opera d’arte è tale perché un artista l’ha voluta e ha avuto intenzione di produrla. Le due teorie non spiegano il genere 10 Danto, A. C. (1992). L a destituzione filosofica dell’arte. Aesthetica, Palermo. 11 Margolis, J. (2011). L a storia dell’arte dopo la fine della storia dell’arte. Mimesis, Milano. 12 Voltolini, A. (1998). Guida alla lettura delle ricerche folosofiche di Wittgenstein. Laterza, Bari.

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di intenzionalità che caratterizza l’opera d’arte. La sintesi a cui si perviene è che l’arte non è prettamente un “teatro interiore” nella mente dell’artista, ma il modo in cui l’intenzione dell’artista traduce l’idea o meglio l’immagine mentale è strettamente correlata ad attività pratiche e capacità acquisite. Per essere espliciti: chi sa scrivere usa la penna, chi sa scolpire usa il marmo e chi sa dipingere usa i pennelli.

Questo sintetico preambolo sullo statuto ontologico dell’arte è per il nostro lavoro ineludibile ai fini del comprendere quelli che definiremo scopi dell’intervento arteterapeutico.

L’arte ha sollevato e solleva costantemente il problema del rapporto emozione-percezione-ragione-azione, il rapporto tra creatività e istintività. La letteratura sull’argomento pare privilegiare, però, sempre l’approfondimento dell’analisi e lo sviluppo dei processi cognitivi razionali, trascurando lo studio della dialettica emotività-razionalità. Per cui dalla domanda iniziale “cos’è” l’arte passiamo alla seconda in cui ci chiediamo: a cosa serve l’arte? Questo è lo scopo del presente lavoro che anche con l’ausilio dell’esperienza pratica vuol rispondere a tale interrogativo. È evidente che ci viene in soccorso la psicologia e, in particolare, Vygotsky,13 il quale nel suo “Psicologia

dell’arte” scrive che l’atto artistico non è un atto ispirato, ma è un atto reale come tutti gli altri, con la sola differenza che li sopravanza tutti per complessità. È un atto creativo e ad esso non ci si arriva per mezzo di operazioni pienamente consapevoli. L’atto artistico è il processo di realizzazione di una nostra reazione ad un certo fatto, anche se non tale da sfociare in azione. È un processo che dilata la personalità dell’individuo, l’arricchisce di nuove possibilità, la predispone ad una reazione integrale ai fatti, e cioè, a un dato comportamento . L’arte riesce a rendere visibile l’invisibile, cioè traduce in un linguaggio in qualche modo più comprensibile le cose custodite dentro, tutto ciò che la psicanalisi fa rientrare nella sfera dell’inconscio.

13 Vygotsky L.S. (1972). Psicologia dell’arte. Editori Riuniti, Roma.

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L’ARTELIEUi (Associazione Italiana Studi sulle Psicopatologie dell’Espressione e

Arteterapia) è stata fondata nel 2003 da psicologi, sociologi, amanti dell’arte, con l’intento di promuovere la cultura dell’arte come autorealizzazione e possibilità di espressione di aspetti del sé non ancora esplorati. L’Artelieu, nome dato anche al Laboratorio di arteterapia, promuove iniziative culturali intorno ai temi dell’arte e della psicologia, con particolare attenzione agli aspetti laboratoriali clinici e alla formazione di arteterapeuti. Ha sede legale a Francavilla al mare (Ch), il laboratorio si trova a Cavaticchi di Spoltore (Pe). Dal 2014 fa parte della Federazione ARTEDO.

Laura Grignoli, Laura Grignoli è Psicologa e Psicoterapeuta. La sua formazione clinica

ad indirizzo psicodinamico ha avuto un completamento specifico sull’arteterapia presso il Centro di formazione Profac in Francia, dove è iscritta all’Annuaire des art-thérapeutes certifiés. È Presidente di Artelieu, associazione di ricerca in arteterapia di cui è fondatrice, e Déléguée de la Ligue Professionnelle des Art thérapeutes in Italia. Dopo molti anni di impegno nella scuola, oggi si dedica al lavoro clinico e alla ricerca nel campo dell'arteterapia, in particolar modo a quella a dominante visiva. È docente di arteterapia nella Scuola di Specializzazione post-lauream per psicoterapeuti Atanor a L'Aquila. Oltre ad essere autrice di numerosi articoli e saggi in ambito scientifico, su questo tema ha già pubblicato: " Artelieu. Dalle riflessioni sull'arte alla pratica dell'arteterapia" (ediz. Samizdat, Pescara, 2004). "Percorsi trasformativi in arteterapia. Fondamenti concettuali e metodologici, esperienze cliniche e applicazioni in contesti istituzionali", (ed. Franco Angeli, Milano, 2008) e "Art-Création Thérapie. Discours autour de ce qu'on appelle Art-thérapie" (edizioni Voix, Elne, France, 2010).

Barbara Cipolla, psicologa e psicoterapeuta formatasi a Roma presso La Sapienza e

specializzatasi presso l’Ateneo Salesiano, ha iniziato a lavorare con bambini e disabili nel 1995 mettendo a punto strategie di intervento basate sull’arteterapia plastico-pittorica e fondando nel 2003 l’associazione Artelieu. Negli ultimi dieci anni ha approfondito la sua formazione clinica presso l’Istituto di Formazione e Ricerca “A. B. Ferrari” di Roma per il lavoro terapeutico con adolescenti e adulti, e parallelamente ha studiato presso Artelieu e Profac come arteterapeuta per lavorare con i bambini. Conduce corsi di formazione e laboratori di arteterapia presso Artelieu a Spoltore (Pe) e presso Art Motion a Elne (Francia); fa parte del comitato scientifico della Ligue Professionelle d’Art Therapie in Francia. Ha pubblicato con la dott.ssa Grignoli il libro “Perché i gatti non dicono bugie. Laboratorio di filosofia con i bambini” con la Editrice Samizdat, Pescara (2001). Collabora con la rivista L’anima fa arte. Iscritta al registro degli arteterapeuti ARTEDO. i ARTELIEU è un marchio registrato.