Istituto MEME: Quando Arteterapia e disabilità … · Verrà trattato, come premessa teorica il...
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Istituto MEME associato a
Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
QUANDO ARTETERAPIA
E DISABILITA’ S’INCONTRANO
Scuola di Specializzazione: ARTI TERAPIE
Relatore: Roberta Frison
Contesto di Project Work: Osservazioni e riflessioni di una
esperienza di laboratorio grafico
pittorico con utenti disabili di un
Centro Diurno
Tesista Specializzando: MICHELA AMBROSIN
Anno di corso: Secondo
Modena: 3 settembre 2011
Anno Accademico: 2010 - 2011
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Michela Ambrosin - SST in Arti Terapie (secondo anno) A.A. 2010 - 2011
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Indice dei Contenuti
1. Introduzione .................................................................................................... 4
PARTE PRIMA: RIFERIMENTI TEORICI
2. L’Arte terapia…………………………………….......................................... 6
2.1. Come nasce l’arte terapia?………………………………………….........6
2.2. Cos’è l’arte terapia ………………………...…………. ………………...8
2.3. Perché fare arte terapia …………………..….………………...…….... .10
2.4. Per chi è l’arte terapia ……………………….………………...…….... .11
3. Le diverse abilità ........................................................................................... 12
3.1. Cos’è la disabilità ……………………………………………………....12
3.1.1. Classificazioni della disabilità…………………………...…….... .14
3.2. Le forme di disabilità ………………………………. …………………16
3.2.1. I down ……………..………………….………………...…….... ..16
3.2.2. Gli autistici …………………….………………...……...…….... .18
3.2.3. I paraplegici ……………………………...…………...……....... .20
3.2.4. Gli psichiatrici ……………….…...……….……......…..….... …..23
3.2.5. Il ritardo mentale ………….…...……….……......…..….... ……..24
3.3. I percorsi riabilitativi e l’integrazione sociale ………………...…….... .25
PARTE SECONDA: LO STATO DELL’ARTE
4. Arte Terapia in Italia ................................................................................... 28
4.1. Le applicazioni in Italia …………….…………………………...…......28
4.2. Arte come terapia in educazione e riabilitazione ………………………30
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4.3. Cos’è un centro diurno per disabili ……..……………………….….... .31
4.3.1. Il mandato del centro diurno …………………………...…….... ..32
4.3.2. Quale assistenza oggi per i disabili più gravi …………...…....... .33
5. Arti Terapie nel nostro territorio .......................................... ……………..37
5.1. Teatro terapia ……………….…...……….….........…...…….... ……....38
5.2. Musicoterapia ……………….…...……….…….......…...…….... ....40
5.3. Danza terapia …………….…...……….……......…..…….............. .41
5.4. Arte terapia ……………….…...…...….……......…...…….... ……..42
PARTE TERZA: UN’ESPERIENZA SUL CAMPO
6. Alcune riflessioni di premessa……………………………….. ................... 44
6.1. Creatività artistica: istruzioni per l’uso ………...………………………45
6.1.1 Il laboratorio espressivo ……..…………………………...…….... .46
6.1.2. Solo arte o anche arte terapia?……..…………...……...…….... ...48
7. La mia esperienza in un Centro Diurno ................................ ……………49
7.1. Una stanza tutta per noi ……………………………………...……….. .49
7.2. Quando abilità e disabilità s’incontrano: i Fantastici 4……...…...….. ...51
7.2.1. Mister fantastic: metto il colore dove mancano le parole ….... ….52
7.2.2. La cosa: il bello, il brutto e la vergogna …………………….... ...59
7.2.3. La torcia umana: Più veloce del fuoco …………....................... ...63
7.2.4. La donna invisibile: la più forte sono io, ma stammi vicino ....... ..66
8. Conclusioni …………………………………………............................... …71
9. Bibliografia………..……………………………..……............................... 73
10. Sitografia………………………………………………............................... 74
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1. INTRODUZIONE
Oggetto
Questa tesi è in primis il racconto di un’esperienza di laboratori espressivi in un
atelier di un centro diurno per disabili.
Motivazione del lavoro
La motivazione di questa scelta è legata al fatto che l’esperienza avuta lavorando
con i disabili nel campo delle arti grafico-figurative mi ha convinto del fatto che
quando si fa “arte” anche senza un vero scopo terapeutico con soggetti che hanno
problematiche che vanno dalla lieve alla grave disabilità motoria e/o psicologica
con associato ritardo mentale, quest’attività diventa di per sé propedeutica ad un
miglioramento del benessere interiore della persona.
Se in un laboratorio di arti grafico-figurative, come l’atelier in cui ho lavorato, si
associata un percorso artistico esperienziale, facendo sperimentare agli utenti
tecniche e materiali nuovi, dando libero arbitrio alla voglia di creare senza
condizionarla ad un risultato estetico, canalizzando ed orientando, in taluni casi,
le potenzialità del soggetto entro certe tecniche perché questi riesca a trarre
beneficio da ciò che realizza, ci si rende conto di com’é facile trasformare un
semplice laboratorio, che ha come scopo principale tenere impegnati gli utenti
per un certo tempo durante la giornata e realizzare manufatti per poterli vendere,
in un laboratorio in cui il processo creativo diventa l’elemento principale e il
prodotto artistico non più un fine ma l’elemento in cui il soggetto disabile
esprime e libera la propria emotività traendone un palese beneficio psicologico.
Obiettivi del lavoro
Scopo di questo lavoro è dunque rivedere l’esperienza avuta attraverso gli occhi
dell’arteterapia ed evidenziare i risultati ottenuti.
Evidenziare il fatto che in realtà quali il Centro Diurno in cui ho lavorato questa
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associazione tra il lavoro strettamente artistico e un percorso di libera espressione
artistica supportato da figure professionali quali atelieristi specializzati in arti
terapie potrebbe essere incentivante all’inserimento di una vera e propria attività
di arte terapia. Quindi, non solo come viene sviluppata attualmente entro percorsi
a tempo cioè con un inizio ed una fine magari rivolgendosi ad operatori esterni,
ma sviluppando un percorso di arte terapeutico per tutta la durata della
permanenza degli utenti presso il servizio, facendo diventare l’arteterapia parte
integrante delle attività svolte durante tutto l’anno.
Percorso, riassunto capitoli
La tesi si svilupperà in tre parti: la prima sui riferimenti teorici, la seconda sullo
stato attuale, la terza in specifico dell’esperienza avuta, in ultimo le conclusioni.
Verrà trattato, come premessa teorica il significato di arteterapia, in specifico
quando essa si rivolge al settore della riabilitazione, ed il significato di disabilità,
cercando di capire allo stato attuale delle cose quali sono i servizi dedicati ai
disabili e quali tipi di riabilitazione vengono fatti nei Centri Diurni.
Dopo queste premesse teoriche verrà trattata in specifico l’esperienza avuta,
scegliendo quattro tra i 13 ragazzi che frequentavano il Centro Diurno, con i
quali ho potuto sperimentare attraverso nuove tecniche un vero laboratorio
espressivo dove gli stessi hanno potuto liberare le proprie emozioni e i propri
vissuti attraverso il colore, la materia e il dialogo durante l’attività pittorica.
Entro la descrizione dell’esperienza evidenzierò anche le resistenze e le difficoltà
incontrate dovute ad una mentalità che dissocia l’atelier pittorico con finalità di
vendita da un percorso di arte terapia che non da priorità al risultato terapeutico e
non a quello estetico, che rimane ancora la priorità in questi atelier.
Arriverò a concludere con i risultati ottenuti sui soggetti scelti, che vanno dal
miglioramento della coordinazione motoria allo scioglimento delle tensioni e
delle paure arrivando ad un evidente miglioramento dello stato psicologico
generale.
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PARTE PRIMA: RIFERIMENTI TEORICI
2. L’ARTE TERAPIA
“Attraverso l'arteterapia si ha la possibilità di attivare risorse che tutti
possediamo: la capacità di elaborare il proprio vissuto, dandogli una forma, e di
trasmetterlo creativamente agli altri. Si tratta di un processo educativo, laddove
“educare”sta per educere, “portare fuori: far emergere la consapevolezza ed
una maggior conoscenza di sé mediante la pratica espressiva, l'osservazione ed
il confronto.”1
2.1 Come nasce l’Arte Terapia?
Fin dai tempi più antichi l’uomo rappresenta un essere senziente con un innato
bisogno di comunicare e questo avviene, ancora prima dell’uso della parola,
attraverso le immagini quindi i disegni le pitture (rupestri) ove esso rappresenta
scene di caccia, animali e simboli.
Quindi abbiamo un essere umano che da sempre utilizza l’arte, per comunicare
ma non solo.
Il binomio arte-malattia si affaccia con il XIX secolo quando s’iniziano ad aprire
gli occhi sulla produzione artistica dei “folli”. Unitamente all’interesse per le
produzioni artistiche dei ricoverati negli ospedali psichiatrici, l’arte subisce
1 Dagli Atti del Convegno Nazionale sulle Arti Terapie nella scuola - Carpi, 7 e 8 Settembre 2001 - Usa
l'Arte per non essere in disparte. Arte Terapia e buona relazione educativa.
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profondi e bruschi cambiamenti con artisti quali Kandinsky o Klee, nei quali
alcuni non esitano a rintracciarvi accenni di follia. Nel 1907 viene pubblicato
L’art chez les Fous (l’arte dei folli) dove troviamo uno dei primi studi dettagliati
sulle produzioni artistiche dei malati di mente. Anche Jung, nel 1912, dopo la
rottura con Freud si avvicina alla pratica artistica e la incentiva nei suoi pazienti,
incoraggiandoli a dipingere e disegnare i loro sogni prefigurando già una delle
correnti dell’arte terapia contemporanea.
Queste opere “aculturali” perché non rispondono ad alcun criterio tecnico
vengono definite art brut (arte bruta) dove si trovano assieme una molteciplità di
mezzi creativi e tecnici e le opere sono espressione non solo dei malati mentali
ma di soggetti emarginati (quali carcerati, etc.).
Nel 1950 abbiamo la prima esposizione internazionale di arte psicopatologica,
dove vengono esposte opere di schizofrenici (Volmat, 1955). E’ quindi nel
successivo 1959 che si ha, in Francia, un passaggio dall’arte patologia alla
psicopatologia dell’espressione, con la creazione della SIPE e poi della SFPE, nel
1964.
Mentre in America, già da qualche anno prima, troviamo forti sostenitori
dell’educazione artistica ad orientamento terapeutico. Negli Stati Uniti vi è già
una produzione di lavori di Naumburg (1947, 1950) e Kramer (1958) dedicati a
questa nuova disciplina. La Kramer propone infatti, una serena integrazione tra
apprendimenti artistici, pedagogici e terapeutici. Sottolinea l’importanza del
processo rispetto all’oggetto creato, nonostante entrambi gli elementi debbano
essere presi in considerazione nella dinamica dell’arte terapia.
In Inghilterra l’arteterapia compare sulla scia dei lavori di Margaret Naumburg, e
si cimenta in maniera informale nei luoghi di cura e nei servizi sociali, facendo
nascere nel 1964 la BAAT che cerca di difendere il ruolo degli arte terapeuti,
dandone una propria identità differente da quella degli insegnanti di educazione
artistica. In Svizzera dopo un inizio negli anni quaranta l’arte terapia prende
spazio solo agli inizi degli anni ottanta, stessa cosa in Germania, dove il periodo
nazista la soffoca sul nascere essa riprende vigore verso gli stessi anni ottanta.
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Anche in Italia, lo sviluppo dell’arte terapia prende piede tardi rispetto
all’America e alla Francia, anche se negli stessi anni una pratica circoscritta di
arte a scopo terapeutico la troviamo indirizzata ai portatori di handicap mentale e
fisico. Solo nel 1982 vediamo, nel nostro paese, la nascita di un’associazione
nazionale di arte terapia.
2.2 Cos’è l’Arte Terapia?
Si potrebbe iniziare con una chiara descrizione di ciò che è l’arte terapia per chi,
come me, sta studiano questa disciplina o è già arte terapeuta. Ma per chi non
conosce l’arte terapia, cioè per quello che viene definito “il mondo dei non
addetti ai lavori” farei una premessa sulla differenza tra l’arte nell’attività
artistica e l’arte nell’attività terapeutica.
L’arte terapia prima di tutto non è arte, anche se ne prende il nome. L’opera
d’arte viene realizzata con l’uso di tecniche, modi e tempi che tendo al fine del
risultato. Per realizzare un’opera d’arte ci vuole un percorso evolutivo, che porta
alla maturazione di una tecnica personale, che può durare anni per un artista.
Inoltre l’arte è un prodotto rivolto ad un pubblico, che siano amatori, critici, o
compratori.
La produzione di un’opera artistica è un percorso vissuto in solitudine e il pittore
deve, alla fine, essere soddisfatto del risultato del lavoro. Tantissimi pittori
realizzano molte copie, che poi disfano e rifanno, delle loro opere prima di
arrivare a quella finale.
La creazione artistica, l’opera che si ottiene con l’arte terapia il più delle volte
non segue precise tecniche, i tempi e i modi di una vera opera d’arte. Chi fa arte
terapia si approccia spesso per la prima volta alle tecniche pittoriche, plastiche,
etc. Ma l’arte terapia non necessita che le si usino, tanto che spesso si usano
collage, e qualsiasi tecnica pittorica venga scelta (disegno a matita, tempere, ecc.)
la si lascia libera di uscire in modo spontaneo dall’utente.
L’opera che esce dalle sedute di arte terapia non è un prodotto dedicato ad un
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pubblico, non deve essere sottoposto a critici o apprezzato da amatori ed
estimatori.
Il percorso in cui si sviluppa l’opera arte terapeutica non è vissuto in solitudine
ma è accompagnato come minimo da un’altra figura (quella dell’arte terapeuta)
sino ad arrivare al gruppo. Il risultato estetico finale non ha poi alcuna
importanza nell’arte terapia, il prodotto è spesso qualcosa di immediato, non
rielaborato e studiato e curato.
Il rischio che vivono le produzioni di arte terapia è che nel momento che uno
spettatore ne riconosce una qualità estetica, attribuisce uno status di artista al suo
creatore. Anche se alcune produzioni in arte terapia rappresentano un’innegabile
dimensione artistica non bisogna cadere nell’errore di dare un significato
“artistico” fermandoci al risultato. Perché è tutto il processo che conta in arte
terapia, l’operatore deve focalizzare la propria lettura durante la produzione
dell’opera, nella dinamica della realizzazione e avere una restituzione ad opera
finita, ma il risultato va solo ad integrarsi con il processo, che rimane il focus.
Come definire quindi l’arte terapia?
Con il termine arteterapia si intende un insieme di tecniche terapeutiche, che
utilizzano, come strumento privilegiato, il ricorso all'espressione artistica per
promuovere la riabilitazione cognitiva, il miglioramento della vita, la guarigione
psichica o, al limite, una migliore comprensione delle complesse dinamiche
mentali di un individuo. L'utilizzo dell'arte come terapia, permette ai singoli
soggetti di esprimere in maniera creativa il proprio vissuto interiore, tirare fuori
aspetti reconditi della propria vita, accedere a caratteristiche inconsce della
propria vita intrapsichica, illuminare aree oscure mai esplorate.
Ma l'arteterapia, piuttosto che sul prodotto finale, si focalizza particolarmente sul
processo in sé. E' il cammino artistico che permette la liberazione, la catarsi,
l'evoluzione, lo sblocco di dinamiche incancrenitesi e cristallizzate. Secondo i
terapeuti che utilizzano questi metodi, l'atto di creare permette l'accesso ad aree
inconsce, celate e oscure, permette l'espressione delle proprie emozioni, in
maniera più veritiera e sincera di quanto potrebbe un qualsiasi dialogo. Il
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prodotto finale, un tempo ritenuto un mezzo da analizzare e interpretare per
comprendere la psiche del soggetto/artista, viene così ad occupare un ruolo di
secondo piano. E' dunque l'arte a possedere la cura, non il prodotto dell'arte2
2.3 Perché fare Arte Terapia?
Si dice che “esistono malattie inguaribili ma non incurabili”, quindi prendersi
cura di un paziente non significa tanto sconfiggere la malattia che gli è stata
attribuita nel tentativo di ricondurre la persona verso un’ipotetica condizione di
normalità, ma cercare di dar voce e comprendere la sua particolare sofferenza,
cercando di promuovere attraverso l’uso terapeutico dell’arte una maturità
affettiva e psico-sociale della persona stessa.
Partendo dal principio che lo scopo dell’arte terapia non è interessarsi del
prodotto artistico in sé ma è quello di avvicinarsi all’esperienza interiore che
quello che viene creato veicola e che la persona esiste attraverso ciò che realizza,
sia esso un segno, una parola, una nota o un gesto ci si avvicina sempre più alla
comprensione di quanto la creazione artistica, letta attraverso l’arte terapia,
diventi importante perché chiunque ha la possibilità di produrre, fare,
trasformando un’ipotesi di realtà in una realtà possibile: quella di accrescere la
propria autonomia, la propria autostima e la fiducia nelle proprie, singole ed
individuali capacità.
Scoprendosi in grado di usare un pennello, uno strumento, un linguaggio che
prima non era mai stato esplorato la persona inizia un percorso evolutivo in
alternativa o in associazione a quelli usati in precedenza.
Ricordiamo che l’utilizzo di sistemi comunicativi non verbali, quali l’arte terapia,
rappresentano la principale, se non unica, strategia che permette di sviluppare
intenzionalità comunicative nelle persone con gravi disabilità intellettive o con
pluridisabilità di tipo intellettivo, psichiatrico, motorio.
2 Jacopo Campidori.
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2.4 Per chi è l’Arte Terapia?
L'arteterapia si presenta come un'attività che contribuisce al processo di cura
integrandosi ad altri interventi tradizionali in area riabilitativa o terapeutica o in
attività di tipo espressivo più classiche, ma le sue caratteristiche ne fanno uno
strumento privilegiato in situazione dove l'espressione verbale è impossibile o
deficitaria per cause di varia natura dove non è stato possibile rielaborare
drammi esistenziali, eventi luttuosi e menomanti o l'integrità psico-corporea della
persona è a rischio o compromessa.
E’ un’attività che va bene a persone di tutte le età, con o senza disabilità psico-
fisiche, disturbi psichiatrici, disordini della condotta alimentare, dipendenze, o
che si trovino in situazioni post traumatiche o ai margini del contesto sociale.
L'intervento si attua, quindi, in molte strutture:
- Carcere
- Centri psico-sociali (CPS)
- Comunità
- Strutture geriatriche
- Strutture socio-sanitarie
- Enti assistenziali
Non dimentichiamo che fare arte terapia è indicato anche per persone senza
particolari disagi psicologici ma che stanno vivendo momenti di stress e
difficoltà sociali che non sono a livelli patologici, queste persone possono
migliorare il proprio stato interiore e giovare di un maggior benessere
psicologico.
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3. LE DIVERSE ABILITA’
3.1. Cos’è la disabilità
Spesso il termine handicap viene usato in modo improprio, a causa di una
conoscenza superficiale del suo significato.
Come conseguenza abbiamo una diffusione impropria di termini come:
menomazione, minorazione, disabilità e soprattutto una classificazione sociale
che ha portato nel tempo a risultati discriminatori con le categorizzazioni di
persona “normale” e “anormale”.
Capire e approfondire i significati delle diverse terminologie ci permette di
entrare meglio in questo mondo potendo individuare la corrispondenza del
termine utilizzato con la problematica inerente ad un certo soggetto, considerato
individualmente e non solo appartenente ad una categoria generica di persone
con handicap.
Ai fini di un intervento arte terapeutico questa premessa, con la descrizione e la
comprensione delle diverse forme di disabilità è fondamentale.
Bisogna innanzi tutto distinguere tra la menomazione e la disabilità. La prima
viene definita come una perdita parziale dell’efficienza fisica di una persona (per
mutilazione o altro) o come lesione dell’efficienza di un organo, un arto, una
funzione.
La menomazione si riferisce alla tipologia strutturale e funzionale del danno, la
disabilità invece si riferisce alla diminuzione di abilità conseguente e connessa
alla patologia.
Ad esempio si definisce menomazione del linguaggio e della parola alla quale
corrisponde una disabilità nella comunicazione. Si definisce menomazione
scheletrica un problema a carico della struttura ossea che può portare a disabilità
locomotorie. Non bisogna infine confondere la menomazione con la patologia, in
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quanto essa ne è la conseguenza.
MENOMAZIONE DISABILITA’ HANDICAP
Riguarda un organo
Un apparato funzionale
Si manifesta a livello di
persona
Si manifesta a seguito
dell’interazione con
l’ambiente
Ogni perdita o anomalia
strutturale o funzionale,
fisica o psichica
Ogni limitazione della
persona nello
svolgimento di
un’attività secondo i
parametri considerati
normali per un essere
umano
È uno svantaggio che
limita o impedisce il
raggiungimento di una
condizione sociale
normale (in relazione
con l’età, il sesso e a
fattori sociali e culturali)
Le disabilità possono essere avere un carattere permanente o transitorio, essere
cioè reversibili o irreversibili. Posso insorgere come conseguenza diretta di una
menomazione o come reazione psicologica alla menomazione stessa.
In ambito sanitario si definisce handicap “una condizione di svantaggio vissuta
da una persona in conseguenza a una menomazione o disabilità che limitano
impedisce la possibilità di ricoprire un ruolo normalmente proprio.” (O.M.S., op.
cit.) L’O.N.U. definisce handicap “una persona incapace di garantirsi per proprio
conto, in tutto o in parte, una vita individuale o sociale…”
L’handicap viene quindi a definire quella distanza che intercorre tra le aspettative
della società e le capacità proprie dell’individuo di soddisfare queste attese.
L’handicap diventa quindi l’incapacità di conformarsi alle norme di un modello
imposto dalle norme sociali, culturali ed economiche in cui vive il soggetto. La
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condizione di disabilità creata dall’handicap dipende quindi fortemente dal tipo
di società, dalla sua organizzazione, dai suoi valori.
Ad esempio le barriere architettoniche sono molto disabilitanti perché fortemente
presenti nelle nostre città europei rispetto ad un villaggio sub equatoriale formato
da capanne poste sul terreno piano. Idem difficoltà motorie sono molto più
disabilitanti in montagna rispetto la pianura, come qualsiasi tipo di disabilità
incide molto di più in un paese in cui le persone devono concorrere a produrre
ricchezza ed essere più autonome possibili visto la mancanza sempre più
incombente di reti familiari, rispetto a comunità più piccole e più periferiche
nelle quali il ritmo della vita è scandito in modo più lento e la coesione sociale
permette un aiuto e un supporto maggiore alla persona affetta da disabilità.
Nell’ICF si evidenzia come spesso non sia la menomazione a determinare la
situazione di handicap ma le condizioni sociali che limitano la libera espressione
delle abilità diverse.
3.1.1. Classificazioni delle disabilità
L’ICIDH prevede per Menomazioni e Disabilità 9 macro-categorie mentre per gli
Handicaps le macro-categorie sono 7:
Categorie delle menomazioni
Altre menomazioni psicologiche Menomazioni viscerali
Menomazioni del linguaggio Menomazioni scheletriche
Menomazioni auricolari Menomazioni deturpanti
Menomazioni generalizzate,
sensoriali e di altro tipo
Menomazioni oculari
Menomazioni della capacità
intellettiva
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Categorie delle disabilità
Disabilità nel comportamento Disabilità nella comunicazione
Disabilità locomotorie Disabilità nella destrezza
Disabilità circostanziali Disabilità in particolari attitudini
Disabilità nella cura della propria
persona
Disabilità dovute all’assetto corporeo
Altre limitazioni nell’attività
Classificazione degli handicaps
Handicap nell’orientamento Handicap nella mobilità
Handicap nell’indipendenza fisica Handicaps occupazionali
Handicap nell’autosufficienza
economica
Handicap nell’integrazione sociale
Altri handicaps
A differenza della precedente Classificazione ICIDH, l’ICF non è una
classificazione delle "conseguenze delle malattie" ma delle "componenti della
salute". Nel primo tipo di classificazione l’attenzione viene posta sulle
"conseguenze" cioè sull’impatto delle malattie o di altre condizioni di salute che
ne possono derivare mentre nel secondo tipo si identificano gli elementi
costitutivi della salute. In tal senso l’ICF non riguarda solo le persone con
disabilità ma tutte le persone proprio perché fornisce informazioni che
descrivono il funzionamento umano e le sue restrizioni. Inoltre, essa utilizza una
terminologia più neutrale in cui Funzioni e Strutture Corporee, Attività e
Partecipazione vanno a sostituire i termini di menomazione, disabilità e
handicap3.
3 www.disabilitaincifre.it
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3.2. Forme di disabilità
In questa sezione verrà trattata la descrizione di alcune forme di disabilità che
sono tra le principali e più conosciute e, soprattutto, sono le forme di disabilità
delle quali sono affetti gli utenti del centro diurno dove si è svolta la mia
esperienza lavorativa.
3.2.1 I down
[..] Due studiosi, Fraser e Mitchell, nel 1876 nel descrivere le persone con
sindrome di Down fanno la seguente osservazione: "Se li mettessimo tutti
insieme, troveremmo che si assomigliano tra loro in modo impressionante. Ma
l'aspetto più impressionante è la somiglianza tra di loro per quel che riguarda il
carattere, la capacità, i gusti, le abitudini, i difetti. Le tendenze..."
Sono passati più di cent'anni da allora, eppure ancora oggi il mito più radicato e
persistente è quello dell'uniformità. Un'indubbia somiglianza per alcuni aspetti
fisici è stata estesa a qualsiasi altra caratteristica della persona, non solo per quel
che riguarda i limiti ma anche per quel che riguarda i pregi, come il famoso gusto
per la musica e l'altrettanto famosa indole affettuosa [...] Ma da quando in anni
recenti si è cominciato a studiare degli individui inseriti in un contesto sociale
"naturale" e non una classe di persone relegate in istituti, è apparso subito
evidente che non c'è un individuo uguale all'altro. Ogni persona con sindrome di
Down è unica, il suo futuro non è prevedibile e la sua crescita dipenderà da una
serie di aspetti costituzionali ed ambientali insieme. Ad alcuni piace la musica,
ad altri no; alcuni hanno un'indole affettuosa, altri no; alcuni riescono ad avere
una vita autonoma e soddisfacente, altri no; alcuni imparano un mestiere, altri no;
alcuni hanno amici o fidanzati, altri no.
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Questa differenze dipendono soprattutto dalle capacità individuali delle persone
con sindrome di Down, dagli atteggiamenti educativi della loro famiglia e dalla
disponibilità o meno di strutture sociosanitarie adeguate [...]4
Per capire dove origina la sindrome di Down bisogna fare una premessa sul
concepimento e sui cromosomi.
Al momento del concepimento le cellule della madre e quelle del padre si
uniscono creando un uovo che è formato da un gruppo di 46 cromosomi. Questi
sono divisi in 23 coppie formate da un cromosoma proveniente dal padre e uno
proveniente dalla madre. Durante la maturazione si verifica un processo che si
chiama meiosi o divisione meiotica: l'uovo fertilizzato si divide a metà
raddoppiando il materiale genetico. Ogni nuova cellula si divide in due, poi in
quattro, poi in otto e così via. Ognuna delle nuove cellule contiene lo stesso
materiale genetico della cellula originale.
Se per qualche motivo appare un cromosoma in più o in meno, l'equilibrio
genetico ne viene turbato. Nella sindrome di down (detta anche trisoma 21)
appaiono tre cromosomi nella coppia numero 21, invece che due e quindi il
numero dei cromosomi di ogni cellula invece di essere 46 è di 47. Se il
cromosoma in più è situato nella coppia ventunesima, la diagnosi è di sindrome
di Down. Il motivo perché ciò avviene non si conosce ancora.
E’ il materiale genetico in eccesso a causare lo squilibrio che altera anche
l’aspetto esteriore del bambino oltre al corso normale del suo sviluppo e
determina le caratteristiche tipiche del down. Va tenuto in considerazione che il
resto dei cromosomi funziona normalmente e questo determina altri aspetti, ad
esempio la somiglianza con i membri della famiglia. Il bambino Down è più
simile che diverso dagli altri bambini, anche se i tempi sono diversi il
comportamento del bambino Down è strutturato in modo molto simile a quello
dei bambini normali, e strettamente correlato al tipo di attaccamento (legame)
4 La Persona con Sindrome di Down - Un'introduzione per la sua famiglia” di Anna Zambon Hobart. Il
Pensiero Scientifico Editore, 1996.
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esistente tra la madre e il suo bambino. Gli eventuali disturbi di sviluppo
(psicopatologia) sono da collegare alla costituzione specifica del bambino o
all'ambiente in cui vive.
Caratteriste più comuni della patologia:
Il linguaggio
Per quanto riguarda la produzione verbale si riscontrano sempre problemi di
articolazione e deficit e livello fonetico e fonologico, ma è soprattutto la sintassi
e la morfologia che portano maggiori difficoltà; il linguaggio rimane a lungo
telegrafico, mancano l'articolo e le preposizioni e sono difettose le coniugazioni
verbali. La lunghezza media dell'enunciato è sempre ridotta.
La sfera cognitiva
Lo sviluppo cognitivo mantiene la stessa progressione del bambino normale, ma
presenta fasi di rallentamento e difficoltà nel superamento di alcune tappe. Ha
un'evoluzione più rapida nei primi anni di vita fino all'adolescenza e procede
molto più lentamente con l'aumentare degli anni fino all'età adulta. Le difficoltà
maggiori si riscontrano nelle attività di discriminazione percettiva, nella
risoluzione di problemi, nella capacità di memorizzazione, nelle capacità di
astrazione. Il livello complessivo di sviluppo è comunque molto variabile da
soggetto a soggetto. Di norma la sindrome di Down determina un ritardo mentale
di medio grado (a volte lieve, a volte grave).
3.2.2 Gli Autistici
L’autismo viene definito un disturbo evasivo dello sviluppo. Si manifesta entro i
tre anni con gravi deficit della comunicazione e dell’interazione sociale, con
problemi di comportamento.
Il soggetto autistico presenta turbe nelle capacità relazionali con tendenza
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all’isolamento, un uso inappropriato e stereotipato degli oggetti e
un’ipersensibilità alle variazioni dell’ambiente circostante e delle figure di
riferimento affettivo. Può esercitare auto aggressività o etero aggressività ed
avere iperattività fisica.
Questo disturbo non comporta cambiamenti dell’aspetto fisico, il soggetto si
presenta normale tanto che i bambini affetti da questo disturbo venivano definiti
“bambini bellissimi ma distanti”, oppure “bambini della luna” sempre per la loro
distanza dagli altri.
La caratteristica più evidente è l'isolamento palesato dall’assenza di risposta
verbale e non verbale (assenza di contatto oculare e della mimica) alle
stimolazioni verbali e ambientali
A causa della patologia, le persone “autistiche” incontrano gravi difficoltà e
limitazioni nell'adattamento sia in ambito familiare che sociale e scolastico.
L’autismo fu scoperto nel 1943 dallo psichiatra infantile L. Kanner ma ancora
oggi non si conoscono le cause del disturbo, vi sono solo diverse ipotesi
biologiche, genetiche, farmacologiche e cognitive. Viene però riconosciuta
all’autismo la sua origine biologica con una significativa componente ereditaria,
la ricerca si è quindi indirizzata verso l’individuazione delle precise cause
genetiche, ovvero di specifici geni alla base dei disturbi dello spettro autistico.
Ma al momento, non conoscendo le cause, non è possibile stabilire una cura per
l’autismo di conseguenza le terapie e gli interventi vengono scelti in base ai
sintomi specifici di ogni soggetto e sono comunque sempre oggetto di
controversie. Tutto questo fa sì che “solitudine e inadeguatezza” nell’affrontare le
difficoltà del vivere quotidiano siano diventati un modus vivendi delle persone
con disturbo autistico, delle loro famiglie e degli operatori professionisti.
La famiglia è il più delle volte costretta all’isolamento dalla vita pubblica e
sociale principalmente a causa della scarsa informazione presente tanto nella
gente comune quanto negli stessi operatori professionisti orientati o disorientati
dai modelli di ricerca sposati, della mancanza di personale disponibile
adeguatamente formato all’assistenza, dell’assenza reale di un coordinamento e
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di una semplice “comunicazione” tra i servizi, di una mancata “mediazione” tra
la persona autistica e il suo contesto di vita.
3.2.3 I paraplegici
HSP (paraplegia spastica)
La paraplegia spastica ereditaria (HSP) è una malattia neurodegenerativa che
interessa il midollo spinale e il cervelletto, generalmente caratterizzata da una
lenta e progressiva debolezza e spasticità degli arti inferiori. Colpisce una
persona su 10.000 e si manifesta in modo estremamente variabile, sia durante
l’infanzia che l’età adulta.
La paraplegia spastica viene generalmente classificata in due forme: pura e
complicata.
La HSP complicata presenta, oltre alla tipica spasticità degli arti inferiori,
complicanze quali atrofia ottica, neuropatia, retinopatia, demenza, ritardo
mentale e sordità.
I primi segni del manifestarsi della malattia nelle forme pure comprendono
disturbi dell’equilibrio, debolezza e irrigidimento delle gambe, spasmi muscolari
e il “passo trascinato”. La spasticità è sicuramente il sintomo più caratteristico,
che si manifesta come un aumento anomalo del tono muscolare che determina la
conseguente rigidità dei muscoli.
Nella HSP il principale evento patologico è rappresentato dalla degenerazione del
fascio cortico-spinale, in particolare a carico degli assoni. Il meccanismo che
provoca la selettiva degenerazione di determinati tratti assonici non è ancora
conosciuto.5
PC (paralisi cerebrale)
Il termine paralisi cerebrale (PC) non è una diagnosi, ma identifica i bambini con
spasticità non progressiva, atassia o movimenti involontari. 5 Rivista Nature.
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Spesso è difficile stabilire una causa, ma rivestono un ruolo importante la
prematurità, le patologie intrauterine, l'ittero neonatale, i traumi da parto e
l'asfissia perinatale.
Le PC sono suddivise in quattro categorie principali: forme spastiche, atetosiche,
atassiche e miste.
Le sindromi spastiche si verificano in circa il 70% dei casi. La spasticità è legata
al coinvolgimento del motoneurone superiore e può inficiare in modo grave la
funzione motoria. La sindrome può comportare emiplegia, paraplegia, tetraplegia
o diplegia.
Gli arti colpiti mostrano di solito un deficit di sviluppo e un aumento dei riflessi
tendinei profondi, ipertono muscolare, diminuzione di forza e tendenza alle
contratture. Sono caratteristiche un'andatura "a forbice" e una deambulazione
sulle punte. Nei casi più lievi le limitazioni funzionali possono essere evidenziate
soltanto durante l'esecuzione di alcune attività (p. es. la corsa). Frequentemente si
associa alla tetraplegia un coinvolgimento cortico-bulbare con alterazione dei
movimenti orali, linguali e palatali e conseguente disartria.
In circa il 20% dei casi si riscontrano delle sindromi atetosiche o discinetiche,
derivanti da un danno dei gangli della base. I movimenti involontari, lenti e
contorti possono colpire gli arti (forma atetosica) o le parti prossimali degli arti e
il tronco (forma distonica); si possono avere anche movimenti distali bruschi e a
scatto (forma coreica). I movimenti aumentano con la tensione emotiva e
scompaiono durante il sonno. È presente disartria spesso grave.
Le sindromi atassiche si hanno in circa il 10% dei casi: esse sono dovute ad
alterazione del cervelletto o delle sue connessioni. La diminuzione di forza, la
perdita di coordinazione e il tremore intenzionale provocano instabilità, andatura
a base allargata e difficoltà nell'eseguire movimenti rapidi o fini.
Le forme miste sono frequenti, costituite spesso da spasticità e atetosi; meno
spesso c'è atassia e atetosi.
Disturbi associati: nel 25% dei pazienti si hanno crisi epilettiche, più spesso negli
spastici; si possono avere strabismo e altri deficit visivi. Nei casi di atetosi dovuti
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a ittero nucleare si hanno di solito sordità e paralisi dello sguardo verso l'alto. I
bambini con emiplegia o paraplegia spastica hanno in genere un'intelligenza
normale; la tetraplegia spastica e le forme miste sono solitamente associate a un
ritardo mentale grave. Si osservano comunemente riduzione delle capacità di
concentrazione e iperattività.
Diagnosi
Le PC di rado possono essere diagnosticate con certezza durante la prima
infanzia e le sindromi specifiche spesso non sono caratteristiche fino a 2 anni. I
bambini ad alto rischio, inclusi quelli con evidenza di traumi da parto, asfissia,
ittero, meningiti o con una storia neonatale di crisi epilettiche, ipertonia, ipotonia
o abolizione dei riflessi neonatali, devono essere seguiti con grande attenzione.
Prima che si sviluppi la sindrome tipica, i bambini mostreranno un ritardo dello
sviluppo motorio e spesso persistenza dei riflessi infantili, iper-reflessia e
alterazione del tono muscolare. Quando la diagnosi o la causa non sono certe,
possono essere utili la TAC o la RMN cerebrale.
Le PC devono essere distinte dai disturbi neurologici ereditari e progressivi o da
quelli che richiedono trattamenti chirurgici o altri specifici trattamenti
neurologici.
Prognosi e terapia
L'obiettivo è di far raggiungere ai pazienti la massima indipendenza nei limiti
della loro disfunzione motoria e degli handicap associati; con trattamenti
appropriati; molti pazienti, soprattutto quelli con emiplegia o paraplegia spastica,
riescono a condurre una vita quasi normale. Quelli con emiplegia o paraplegia
spastica e intelligenza normale hanno una buona prognosi per quanto riguarda
l'indipendenza sociale. Potranno essere necessari la terapia fisica, l'ergoterapia,
l'uso di sostegni, la chirurgia ortopedica e la logoterapia.
Quando i deficit fisici e intellettivi non sono gravi, i bambini devono frequentare
la scuola dell'obbligo. L'indipendenza sociale completa non è un risultato
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realistico per altri che richiederanno gradi variabili di sorveglianza e assistenza
per tutta la vita. Se possibile, questi bambini devono frequentare scuole speciali.
Anche i malati più gravi possono beneficiare di un addestramento nelle attività
giornaliere (p. es. lavarsi, vestirsi, mangiare), che aumenta l'indipendenza e
l'autostima e tutto ciò comporta anche un notevole sollievo per i familiari o per
chi è addetto alle cure a lungo termine del paziente.
Inoltre, anche i genitori dei bambini portatori di handicap hanno bisogno di una
guida e di un'assistenza continua per poter meglio comprendere le condizioni e le
potenzialità del bambino e anche per poter alleviare le proprie [...]6
3.2.4 Gli psichiatrici
Nelle varie disabilità vengono comprese anche quelle psichiche, cioè quei
soggetti che non presentato menomazioni genetiche, fisiche o sensoriali ma che
manifestano una serie di sintomi psichici come i disturbi psicotici, ossessivi,
fobici, schizofrenici e via dicendo.
Ci troviamo in questo caso di fronte ad un handicap che ha un’enorme variabilità
e spazia su aree che vanno dal sistema psico-neuro motorio oltre che percettivo e
sensoriale, all’area emotiva riferendoci ad un’iperattività o ipoattività, all’area
affettiva che può soffrire di limitazioni, (povertà timica o affettiva), all’area che
riguarda l’organizzazione cognitivo-intellettiva.
Tra gli handicap mentali, oltre che tutte le patologie psichiatriche troviamo anche
l’autismo, che ho preferito trattare separatamente come disabilità a se stante.
6 www.msd-italia.it
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3.2.5 Il ritardo mentale
La caratteristica del ritardo mentale è un funzionamento intellettivo generale al di
sotto della media. Il disabile affetto da ritardo mentale ha significative
limitazione nella sfera della comunicazione, della cura della persona, nella
capacità sociali e interpersonali, nel funzionamento scolastico, nel lavoro e nel
tempo libero.
Esistono diversi livelli di ritardo mentale in riferimento alla capacità del soggetto
di far fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento degli
Standard di autonomia personale riferiti alla fascia di età e al contesto
ambientale.
Troviamo dunque i seguenti livelli di ritardo mentale:
- lieve
- moderato
- grave
- gravissimo
- Di gravità non specificata (dove si presuppone il ritardo ma
l’intelligenza del soggetto non può essere verificata con test standardizzati).
Nel ritardo mentale lieve o moderato i soggetti possono beneficiare dei
programmi di educazione e la maggior parte di loro acquisisce capacità
comunicative e con una moderata supervisone posso provvedere alla cura della
propria persona, possono nell’età adulta svolgere lavori non specializzati, in
ambienti di lavoro protetti ed imparare a spostarsi da soli nei luoghi familiari, si
adattano bene alla vita in comunità sempre in ambienti protetti.
Nel ritardo mentale grave i soggetti possono acquisire un livello minimo di
linguaggio comunicativo, durante il periodo scolastico e possono imparare
attività elementari per la cura della propria persona. Da adulti saranno in grado di
svolgere semplici compiti in ambienti protetti come le comunità o la famiglia.
Nel ritardo mentale gravissimo abbiamo dalla prima infanzia una grave
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compromissione del funzionamento sensomotorio, se supportati da un’assistenza
adeguata, in ambienti altamente controllati e protetti possono migliorare la
propria comunicazione ed arrivare a svolgere compiti elementari sotto
supervisione.
L’origine di questo handicap può essere biologico o psicosociale, o una
combinazione dei due fattori. Si parla di ereditarietà quando abbiamo fattori che
includono errori congeniti del metabolismo, di alterazione dello sviluppo
embrionale quando abbiamo fattori che includono mutazioni cromosomiche o
danni dovuti a sostanze tossiche nel periodo embrionale, di problemi durante la
gravidanza quando si hanno fattori di malnutrizione del feto, di prematurità,
ipossia, ecc. Poi troviamo le condizioni mediche generali acquisite durante
l’infanzia, come infezioni, traumi, ecc. ed infine le influenze ambientali e altri
disturbi mentali che includono fattori come la mancanza di accadimento, di
stimolazioni sociali, verbali, ecc.
Un elemento che non tutti conoscono è che il ritardo mentale non dura
necessariamente per tutta la vita, infatti bambini che ne erano soggetti durante i
primi anni di vita, manifestando incapacità nei compiti di apprendimento
scolastico con un supporto e opportunità adeguate possono sviluppare delle
buone capacità adattive e negli anni successivi all’infanzia non presentare più le
caratteristiche richieste per la diagnosi di ritardo mentale.
3.3. Percorsi riabilitativi e integrazione sociale
E’ dovuto un breve cenno allo sviluppo storico, in Italia a partire solo dagli anni
70, dei percorsi riabilitativi per integrazione sociale dei portatori di handicap.
Partendo dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite, che con la dichiarazione
dei diritti del fanciullo, stabilisce che ogni bambino con menomazione fisica e
sociale ha diritto di ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali di cui
ha bisogno.
In Italia nel 1962 si avvia un piano di sviluppo della scuola. Nella scuola materna
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si compie un passo avanti rispetto alla legge n. 1859 del 3.12.62 dalla quale nasce
la Scuola Media Unificata con le classi degli alunni disadattati e si ha la
possibilità di istituire apposite sezioni speciali per alunni portatori di handicap.
Dopo questi sviluppi a carattere integrativo, nel decennio 1960-1970 si assiste al
fenomeno dell’istituzionalizzazione dei portatori di handicap con la conseguente
emarginazione mediante il ricovero in centri e strutture sanitarie. Solo dal 1971 si
torna sulla lenta strada dell’integrazione sociale come diritto e con la legge 118 a
favore degli invalidi e mutilati civili si realizza la svolta nel processo di
integrazione scolastica con l’eliminazione delle barriere architettoniche con
norme sul trasporto, sul lavoro, sulla prevenzione e riabilitazione dei soggetti
diversamente abili.
I soggetti con difficoltà di sviluppo, apprendimento, adattamento cominciano ad
essere considerati protagonisti della propria crescita e si inizia a favorire lo
sviluppo delle loro potenzialità considerando le attività di recupero e sostegno
parti fondamentali del percorso scolastico. Negli anni dal 1977, con il
trasferimento della responsabilità diretta agli enti locali in materia di assistenza
scolastica e la nascita delle Unità Sanitarie Locali nascono accordi ed intese tra
scuola, U.S.L. ed Enti Locali per perseguire un processo d’interazione dei
soggetti disabili.
Nel 1992 con la legge 104 si ridefinisce e si regolamenta il quadro dei diritti di
un soggetto portatore di handicap mediante il coinvolgimento di tutte le
istituzioni sociali, predisponendo interventi assistenziali ed educativi atti ad
evitare processi di emarginazione nei confronti dei disabili.
Il procedimento di integrazione scolastica della legge 104 si articola in 4 fasi:
l’individuazione dell’handicap, la diagnosi funzionale, il profilo dinamico-
funzionale, il piano educativo individualizzato conosciuto come PEI o PEP.
Oggi, l’intervento riabilitativo, superata la prima fase dove la riabilitazione
coincideva con la de istituzionalizzazione ed il reinserimento sociale dei pazienti
degenti negli ospedali psichiatrici e negli istituti di ricovero per portatori di
handicap si compie dal primo inserimento entro la scuola materna con interventi
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didattico educativi integrativi per tutto il percorso scolastico per approdare al
termine di questo, nel caso delle disabilità medio - gravi, nelle strutture come i
centri diurni o semi residenziali dove si prosegue un percorso per mantenere e
continuare ad implementare le autonomie acquisite.
Tra i percorsi riabilitativi più classici da sempre dedicati ai soggetti disabili
troviamo:
Le attività motorie.
Le attività ludiche.
Il lavoro di gruppo.
Attività propriocettive.7
7 Materiale tratto da Maurizio Sibilio, Collana “Intelligenze in campo”, LE ABILITA’ DIVERSE percorsi
didattici di attività motorie per soggetti diversamente abili, Ellissi 2003.
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PARTE SECONDA: LO STATO DELL’ARTE
4. ARTE TERAPIA IN ITALIA
4.1. Le applicazioni in Italia
Un percorso storico dell’arteterapia in Italia non è ancora stato scritto o ben
descritto nei percorsi svolti, il motivo è forse nel fatto di essere una disciplina
nuova, con figure professionali che, a parte i musicoterapeuti, non sono ancora
ben riconosciute dal sistema italiano e nel suo doversi costruire ancora quasi in
tutto. Si trovano pochi testi e notizie, per lo più scollegati, che riguardano stralci
di avvenimenti e applicazioni non facili da collegare. In Italia, all’inizio, si
poteva parlare più di terapia occupazionale, quella che vedeva i pazienti coinvolti
nella produzione artistica creativa, che una vera arte terapia curativa. La
creazione artistica impegnava i pazienti per toglierli soprattutto dall’ozio. Poi,
con il passare del tempo, in questi istituti ospedalieri, di ricovero o penitenziari si
crearono delle collezioni e allestimenti di opere create dai pazienti, ne esistevano
un po’ ovunque e anche a Torino. Questi servivano soprattutto ad usi diagnostici
o giudiziari, classificati secondo criteri nosografici, con interprestazioni basate
sui simboli contenuti nelle opere prodotte come nel metodo del discusso
antropologo giudiziario Cesare Lombroso, (nel museo della collezione
Lombrosiana troviamo oggetti singolari prodotti da internati e reclusi).
Nel 1968, con il movimento anti-psichiatrico e la legge Mariotti viene enfatizzata
la soggettività del paziente e la sua individualità. Nel 1978 con la legge Basaglia
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e la chiusura dei manicomi è iniziata la nascita di centri e comunità di recupero
dove sono stati creati all’interno atelier artistici, si è quindi iniziato un percorso
sulla strada dei laboratori non istituzionalizzati, luoghi ove l’arte non sia solo
definita “art brut”, psicopatologa dell’espressione. Negli anno 80 si comincia a
dare sempre più dignità a queste espressioni artistiche, sviluppando e
approfondendo nuovi linguaggi espressivi, la comunicazione non verbale.
I primi centri che in Italia si sono interessati alla realizzazione di quelli che
possiamo definire laboratori arteterapeutici appartengono al Centro-Nord. Li
troviamo a Torino, Milano (Laboratorio di pittura Adriano e Michele e Wurkos),
Genova (Istituto per le materie forme inconsapevoli), Firenze (La tinaia)
Le prime esperienze riferite ad un’applicazione più scientifica dell’arte terapia le
abbiamo con figure quali lo psichiatra Vittorino Andreoli8, l’artista brut Carlo
Zinelli. Grazie a loro si comincia a vedere in Italia l’arte terapia come modello di
intervento riabilitativo capace di produrre benefici sulla salute e interazione
sociale.
Il Dr. Andreoli ha aperto a Roma il convegno “arte terapia e carcere” in cui sono
stati illustrati i risultati di un intervento sperimentale nelle carceri di Viterbo e
Padova, che ha evidenziato un calo del 20% dei suicidi dopo la terapia artistica.
Andreoli è divenuto uno dei promotori dell’importanza dell’arte terapia e del
linguaggio non verbale nella riabilitazione.
Sempre in Italia troviamo anche l’A.I.P.R.E.C. (associazione italiana prevenzione
riabilitazione e cura) che sta applicando ormai da 20 esperienze pratiche
psicoterapeutiche alternative con risultati positivi. L’A.I.R.P.E.C. si avvale di
psicologi ed educatori specializzati nell’applicazione di diverse terapie tra le
quali:
Terapia di integrazione emotivo – affettiva.
Arte-terapia-psicodinamica.
Terapia emotivo – espressiva.
Ippoterapia – riabilitativa. 8 Autore del “Linguaggio grafico della follia” in cui sono raccolte le sue osservazioni in 50 di professione
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Psicodramma.
Teatro terapia.
Musicoterapia.
4.2. Arte come terapia in educazione e riabilitazione
L’arteterapia come citato nel secondo capitolo permette al soggetto di esprimere
in maniera creativa i propri vissuti interiori e di esprimerli in maniera più
veritiera rispetto ad un dialogo. Questo permette anche a persone con difficoltà
espressive e di linguaggio, come i soggetti portatori di disabilità di poter palesare
all’esterno quelle emozioni che con la parola non sono possibilitati ad esprimere.
Inoltre, l’arteterapia, si focalizza sul processo in sé, facendo diventare il
“cammino artistico” la chiave per lo sblocco di dinamiche cristallizzate.
Non è più il prodotto finale, un tempo ritenuto un mezzo per interpretare e
comprendere la psiche del soggetto che in esso si esprimeva, ad occupare un
ruolo primario per l’arte terapeuta ma è il processo creativo che possiede in sé “la
cura”. Riferendoci all’arte terapia in campo grafico-pittorico, oggetto di questa
tesi, questo elemento diventa molto importante quando ci rivolgiamo ad un
soggetto portatore di gravi handicap che non è in grado di realizzare, anche in
maniera elementare ed infantile, immagini, simboli, elementi che possano essere
interpretati od analizzati nel prodotto artistico finale.
In Italia, purtroppo, l’arteterapia non ha goduto di ampi consensi, a differenza
che in altri paesi, che abbiano potuto legittimarla scientificamente.
Nel nostro paese i percorsi e le applicazioni dell’arte terapia non condividono
tecniche ed obiettivi; questo si evince del fatto che non c’è una formazione o una
deontologia professionale comunemente accettata, la stessa figura di arte
terapeuta e/o operatore in arti terapie non è una professione riconosciuta dallo
stato italiano, ma viene inserita nella fascia delle terapie palliative od olistiche, ai
margini del mondo scientifico. Si rischia, in questo modo, di rendere “nebuloso”
e difficile districarsi in un mare di arte terapeuti che provengono da discipline
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diverse (educatori, psicologi, fisioterapisti, Counselor, artisti ma anche
professionisti di campi totalmente estranei al mondo della medicina e dell’arte) e
che praticano l’arte terapia come abbinamento ad una professione già esistente,
magari solo per scopi di lucro o per una passione personale che non sempre
fonda le sue basi su quelle capacità e competenze sufficienti da essere veramente
utili ad un paziente che non deve trovare nell’arte terapia una cura palliativa, al
più divertente e rilassante (male non fa) ma un vero percorso terapeutico dove
poter migliorare i propri disagi interiori.
Con queste premesse, l’arteterapia, nei servizi sociali italiani compresi i centri
diurni per disabili fatica a farsi uno spazio serio e concreto anche se queste
discipline stanno ottenendo sempre un maggior consenso e una maggiore
diffusione. In particolare la musicoterapica, anche se con ritardo rispetto al resto
dell’Europa, ha aderito molto bene in Italia in vari contesti: dall’educazione alla
riabilitazione, tanto da vedersi riconosciuti, come per i musico terapeuti, in una
federazione (F.I.M.) accreditata dal Ministero della Pubblica Istruzione.
4.3. Cos’è un centro diurno per disabili
Il centro Diurno è una struttura socio - sanitaria, aperta alla comunità,
particolarmente predisposta per corrispondere a diverse esigenze della
popolazione ed offrire accoglienza semi residenziale con rientro quotidiano in
famiglia.
E’ una struttura riabilitativa che si occupa di persone soggette a patologie e
disabilità persistenti nel tempo e fornisce un supporto aiutando i pazienti a
mantenere o recuperare capacità quali la cura di se stessi, l’avere amici ed
interessi, prendere iniziative, etc. onde evitare che la persona si isoli, rimanendo
entro le sole mura domestiche, rischiando di rimanere inattiva e dipendere
enormemente solo dai familiari.
Il servizio semiresidenziale permette agli utenti di vivere in famiglia ma di
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passare molte ore della giornata presso la struttura del centro diurno
impegnandosi in diverse attività, inoltre i soggetti che hanno bisogni sanitari tali
da non richiedere il ricovero posso contare anche sull’assistenza sanitaria fornita
dai centri
Il centro Diurno, a seconda dell’organizzazione interna, offre diverse attività
riabilitative, pianificate a seconda delle esigenze dei singoli utenti che vi possono
partecipare per gruppi, in base alla gravità e al tipo di patologia.
La pianificazione di base prevede prestazioni relative alla cura e all’igiene della
persona, il servizio mensa, e l’assistenza agli utenti nell’espletamento delle
normali attività e funzioni quotidiane e l’eventuale assistenza sanitaria.
A completamento il centro offre molte altre attività che oltre ad avere funzione di
intrattenimento e di svago servono agli utenti per mantenere o acquisire
autonomie, recuperare e sviluppare la qualità della loro vita nel modo più attivo e
autonomo possibile. Servono per dare occasioni agli utenti di impegnarsi in
qualcosa, di esprimersi e favorire il rapporto con gli altri.
Le attività più comuni che si svolgono nei centri diurni riguardano l’esercizio
fisico (palestra, piscina) la cucina, letture di giornali, laboratori vari (bricolage,
pittura, ecc.) attività musicali, di teatro, PET terapia (con i cani o con i cavalli),
uscite per gite o visite guidate.
In alcuni centri vengono inserite anche momenti di arti terapie quali la danza
terapia, teatro terapia, musicoterapica e arte terapia.
4.3.1. Il mandato del Centro Diurno
Alla nascita dei centri diurni, negli anni 70, il mandato poteva essere quello di far
uscire la persona disabile da casa, visto che la famiglia era il luogo di elezione in
cui il disabile viveva a volte in situazione di vergogna e di chiusura al mondo
esterno.
Infatti, nel passato, le persone disabili non si vedevano in giro per la comunità,
ma rimanevano chiusa nella propria casa per tutta la vita. I centri come prima
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funzione, all’inizio, ebbero il compito di far uscire la persona dal nucleo
famigliare, ponendosi come mediatori tra la comunità e la famiglia in modo che
questa, superasse paure e vergogne e si aprisse alla società.
Agli inizi il centro diurno rimaneva chiuso un po’ in se stesso, come luogo dove
ci si occupava delle persone disabili, ma dava a queste una dignità e una realtà
umana che prima era negata o nascosta.
Le famiglie, durante i primi inserimenti dei disabili consideravano tutto questo
aiuto come un favore, un alleviare dal “peso” dell’assistenza 24 ore non stop a
carico della famiglia e quindi si ponevano di fronte al centro diurno con un
atteggiamento di gratitudine.
Le nuove famiglie si pongono invece di fronte al centro diurno con aspettative,
domande e richieste. Per molti genitori il Centro diurno è il passaggio obbligato
dalla scuola dell’obbligo e molte volte è visto come una regressione.
Per questo il mandato del centro diurno diventa oggi sempre più impegnativo,
sempre volto a creare e cercare nuovi percorsi.
Il mandato del centro diurno non è più solo un’assistenza di base, ma la garanzia
di un buon servizio, per le famiglie deve essere garanzia del benessere per i
propri figli oltre che il bisogno di una qualità di vita migliore. Quindi agli orari
del centro diurno si chiede di coprire non solo la parte di giornata lavorativa del
genitore ma anche quella del tempo libero.
Inoltre i centri diurni, hanno sempre più bisogno di farsi conoscere, fare cose che
permettano l’interazione e l’integrazione nella società.
Tutto questo si scontra ovviamente con una serie di problemi economici, delle
risorse destinate al centro.
4.3.2. Quale assistenza oggi per i disabili più gravi
Sempre in voce della mia esperienza personale posso dire che la figura
dell’atelierista (chi, all’interno di un centro di assistenza gestisce le attività
espressamente artistiche degli utenti, quali laboratori di pittura, scultura o
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realizzazione di altri manufatti artigianali) nei centri che si prendono carico di
utenti disabili gravi e gravissimi viene ritenuta sempre meno importante per una
falsa convinzione che un utente non in grado di parlare e muoversi non può
giovare di attività artistiche perché abbisogna del supporto di un operatore per
“realizzare opere” che quindi non sono “sue” ma dell’operatore stesso. Per
questo motivo, sembra che la prospettiva futura sia di dedicare dei laboratori
(detti anche di inserimento al lavoro) solo agli utenti con disabilità leggere o
medie. Nella sezione dedicata alla mia esperienza personale avrò modo di
descrivere , invece, quanto sia importante e giovi ad un utente con disabilità
grave questo tipo di interazione artistica con l’aiuto di un operatore.
Se si considera l’aumento degli utenti con disabilità grave, le cose che venivano
fatte negli anni passati non posso più andare bene. La politica del “togliere” è la
più spiccia ma non certo la più giusta. Bisogna cambiare, proporre cose diverse,
più adeguate alle nuove esigenze e al nuovo tipo di utenza.
- Verso un’assistenza senza qualità?
Ho potuto appurare, sia durante il lavoro svolto presso un centro diurno per
disabili, sia per contatti diretti nella mia sfera privata a questo tipo di realtà, che
ci troviamo di fronte ad un’assistenza che, se le cose non cambieranno direzione
nei prossimi anni, rischia di avviarsi sulla strada della “poca qualità” anche se
con parvenza di “alta qualità”, situazione dovuta al fatto di caricare di troppe
competenze agli operatori da un lato e avere pochi fondi a disposizione per
investire nei servizi dall’altro.
Nonostante si richieda, con l’accreditamento9, sempre più qualità e competenza
ai servizi che vengono erogati dalle cooperative che hanno in mano la gestione
dei centri diurni, nella realtà dei fatti ci si trova di fronte sempre più ad una
restrizione delle disponibilità economiche da investire in questo settore. Agli
operatori che entrano in questa realtà vengono richieste qualifiche e titoli sempre
9 L’accreditamento ha lo scopo di introdurre standard di qualità, secondo parametri oggettivi, a quelle
strutture (assistenziali e sociali, di formazione, ecc.) finanziate dalle risorse pubbliche.
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maggiori, magari a discapito dell’esperienza ed una volta entrati con una certa
qualifica, essi si trovano a svolgere compiti che esulano dalla loro mansione.
Ci troviamo di fronte ad educatori “tutto fare”, che oltre al ruolo educativo devo
improvvisarsi magari “atelieristi”, “oss”, o quanto altro richieda la situazione.
Con sempre minor fondi a disposizione, a causa della politica di
razionalizzazione dei costi, della produttività e dell’efficienza, vediamo centri
diurni (ne ho visto il verificarsi personalmente soprattutto presso il S.S.N.) che
anni fa potevano avvalersi di diverse attività quali: atelier pittorico, atelier di
cucina, gite ed escursioni, eventi vari quali la partecipazione attiva a bancarelle,
fiere e mostre, etc. ridursi sempre più a luoghi di “deposito” per gli pazienti.
Questa situazione, magari con un impatto minore, si verifica anche nei luoghi di
assistenza gestiti da cooperative private.
E’ vero che questi anni sono stati segnati da una situazione economica difficile
per tutto il paese, e che la situazione non accenna ad un miglioramento. Ma il
fatto di considerare, alla luce delle difficoltà del mercato, i servizi socio-sanitari
di assistenza alle persone disabili come un costo è un errore. In realtà il bisogno
di assistenza di alcune persone genera posti di lavoro per chi si presta ad
assisterli. Quindi investire nei servizi sociali diventa un valore, un investimento
per rimettere in moto anche l’economia.
Invece, di fronte alle difficoltà del mercato economico si tagliano le spese e, i
servizi vengono considerati spese, nonostante producano lavoro, oltre che un
servizio degno di una società che voglia considerarsi civile. La cosa che non si
considera è che un servizio sociale non può essere compresso, nemmeno la
tecnologia può ridurre i tempi necessari nel rapporto operatore-utente.
Purtroppo, quando c’è una fase di riduzione dell’afflusso economico, la prima
cosa che la politica fa è quella di mettere in discussione dei diritti, quelli delle
persone. Prima viene la mancanza di fondi, poi i diritti dei cittadini. Per questo
vediamo sempre più servizi a pagamento e l’aumento delle tariffe a carico delle
famiglie, oltre che una diminuzione del personale. Perché se non ci sono fondi
qualcuno dovrà rimetterci: o il lavoratore o l’utente.
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Sembra che ormai la necessità sia solo quella di soddisfare il bisogno di poter
accedere al centro diurno, senza che abbia più importanza il modo in cui viene
erogato il servizio, al cosa si fa e al come.
E’ poi molto grave legare il riconoscimento economico alla presenza giornaliera
degli utenti, considerando che la diminuzione dei servizi, l’aumento dei costi
potrebbe indurre le famiglie più a limitare la presenza dei figli nel centro diurno
mentre le famiglie più ricche potrebbero essere indotte verso servi privati. Questo
significherebbe un ulteriore danno al centro diurno come servizio pubblico.
- Sempre più spazio ad associazioni e volontariato?
Fortunatamente, si può contare su iniziative private, di associazioni che si
prodigano per mantenere in piedi attività di integrazione sociale per gli utenti dei
servizi, che altrimenti andrebbero a spegnersi.
In particolare, in Emilia Romagna, i servizi alla persona per disabili, anziani ed
in generale per persone con difficoltà possono contare su associazioni totalmente
private o con marginale supporto dello stato, formate da familiari e volontari.
Basta vedere come queste associazioni di volontari (Face, Auser, Croce Rossa,
Croce Verde, etc.) sopperiscono, in talune realtà dove non arrivano i servizi
comunali, alle reti di trasporti per gli spostamenti degli utenti consentendogli di
raggiungere il centro diurno e le eventuali altre attività che si svolgono nel
territorio.
A queste associazioni non si devono solo i trasporti ma anche altre iniziative
molto importanti per l’interazione e l’integrazione degli utenti dei centri diurni e
semi-residenziali.
Basti pensare a tutte le attività di pet-terapy (cinofile, ippiche), alle attività
sportive e teatrali, di musicoterapica, danza terapia e ai laboratori artistici in cui
vengono impegnati ragazzi che altrimenti non avrebbero possibilità di vivere
oltre al nucleo famigliare o al centro diurno di riferimento.
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- Educatori tutto fare?
Il lavoro dell’educatore richiede capacità e voglia di stare con i ragazzi e le loro
famiglie, ma è un lavoro scarsamente riconosciuto, anche sul piano economico.
Chi non ha scelto di fare l’educatore ma ci si è ritrovato per necessità di avere un
lavoro non riesce a farlo per lungo tempo e la qualità del suo lavoro nei confronti
degli utenti ne risente notevolmente.
Come ho scritto prima all’educatore si chiede di fare di tutto,
dall’organizzazione, ai rapporti con le famiglie, ai rapporti con le istituzioni, alle
varie mansioni richieste all’interno del centro (atelierista, oss, ecc.) e tutto deve
essere fatto bene, ma il risultato non è sempre questo. I ruoli servono per aiutare
le persone a fare cose specifiche, sulle quali si sono preparate e sulle quali hanno
investito. Espletare le proprie competenze mantiene l’entusiasmo iniziale e
permette di lavorare meglio. Non si può assumere un educatore, chiedendogli
titoli e laurea, alta formazione e specializzazione e poi metterlo sullo stesso piano
di un operatore di base e fargli svolgere quotidianamente compiti oss, quali
occuparsi dell’igiene degli utenti. Certamente, un buon educatore sa e può fare
anche questo, lo stesso vale per altre figure come gli atelieristi. Ma, ripeto, a mio
parere fare di tutto fa perdere entusiasmo e professionalità specifica.
Visto che con l’accreditamento i centri diurni devo invece offrire qualità,
professionalità e capacità di dare un buon servizio anche a livello umano, il
personale al loro interno dovrebbe essere tutelato di più sia a livello economico
che morale.
5. ARTI TERAPIE NEL NOSTRO TERRITORIO
Esperienze di arti terapie, quali la musica terapia, la danza terapia, la teatro
terapia e l’arte terapia vengono oggi sempre maggiormente proposte nelle scuole,
soprattutto con i bambini delle scuole primarie, nei centri di salute mentale, nei
centri sociali e diurni, nella casa di cura, nelle comunità e nelle prigioni.
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Ne possono beneficiare ragazzi, adulti ed anziani, soggetti con disturbi emotivi,
problemi psicologici o psichiatrici, persone artistiche, con ritardo mentale,
difficoltà di apprendimento, del linguaggio o motori, Disabili, detenuti, anziani e
malati terminali.
I metodi e gli obietti di ogni intervento arte terapeutico variano a seconda del
soggetto o del gruppo al quale sono rivolti, e si muovono all’interno di un vasto
panorama di teorie e tecniche.
Comune a tutti questi interventi rimane il fatto di offrire la possibilità di
comunicare attraverso linguaggi non-verbali, permettendo alla persona di aprire
nuovi canali espressivi che permettano di manifestare emozioni, di accedere a
nuove risorse.
Esaminando le proposte nel nostro territorio, si evidenzia che in musicoterapia
vie è un’offerta molto ampia e consolidata negli anni, mentre per altre attività di
arti terapie troviamo esperienze emergenti negli ultimi anni.
5.1 Teatro terapia
La teatro terapia è una forma di arte terapia di gruppo sempre più diffusa e
conosciuta e viene applica di alcuni psichiatri e psicologi entro servizi sanitari,
istituzioni, centri e associazioni, negli ultimi anni come nuovo approccio e
supporto alle terapie tradizionali in diversi tipi di situazioni e disturbi psichici
come riabilitazione e cura.
Nella teatro terapia si mettono in scena i propri vissuti, essa implica
un’educazione alla sensorialità e alla percezione del proprio movimento corporeo
e vocale. Agisce attraverso la rappresentazione di personaggi principalmente
improvvisati ed implica un minuzioso lavoro pre-espressivo.
Gli obiettivi sono quelli di mettere in relazione voce e corpo, di mettersi in
relazione con l’altro e con il gruppo, con se stessi e la propria creatività
interpretativa. Questa terapia non produce diagnosi o interpretazioni psicologiche
ma rafforza una nuova visione di sé.
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Nella teatro terapia troviamo tre tappe:
Improvvisazione libera.
Formalizzazione dell’azione.
Applicazione del testo all’azione.
Nella prima fase la creatività del paziente-attore ha libero campo, qui si palesa il
grado di scissione tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Improvvisando una
scena il paziente-attore entra in contatto con un suo sé in continua
trasformazione, l’improvvisazione diviene stravolgimento di un qualcosa di
statico.
L’utilità di questo si evidenzia quando viene rivolta verso persone che agiscono
in modo stereotipato e rigido e non riescono a modificare il loro comportamento
in base alle richieste ambientali. Inoltre la possibilità di sperimentare ruoli diversi
da quelli usuali fa acquisire una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie e
mozioni e potenzialità.
Nella formalizzazione dell’azione il soggetto deve lavorare su se stesso,
analizzare le “azioni fisiche”, capire quale effetto fisico ha quella certa emozione
trascrivendo il moto interiore della stessa in gesto e atteggiamento.
A quest’ultima fase viene applicato il testo che diventa espressione verbale degli
stati emotivi interiori, già elaborati nell’azione, che gli attori-pazienti si
rimandano tra di loro e sul pubblico.
Le persone coinvolte in questo ruolo di attori imparano a sperimentare uno
spettro più ampio di emozioni e a comunicarle in modo più appropriato.
Un esempio di Struttura in cui si applica la Teatro Terapia sono:
I centri handicap della montagna (Appennino Reggiano) con la “Compagnia dei
Coccodé”, un laboratorio teatrale formato dagli utenti disabili del Centro Diurno
Di Castelnovo ne’ Monti
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5.2 Musicoterapia
L’attività di creare musica è comune a tutti gli essere umani, la musica è presente
presso tutte le popolazioni che vivono e hanno vissuto sul nostro pianeta dalla
notte dei tempi.
La storia della musica ci dimostra poi che ogni paese ed ogni civiltà ha il suo
modo di esprimersi musicalmente. Bisogna tenere conto di questo quando ci si
rivolge a qualunque persona che vive in Italia e che necessiti dei benefici
derivanti dalla musico terapia.
La musicoterapica è un processo in cui il musico terapeuta aiuta il paziente a
migliorare, mantenere e recuperare uno stato di benessere tramite l’uso della
musica. Per ottenere ciò la conduzione deve essere posta nelle mani di persone
con una formazione specifica , cioè con una formazione e cultura musicale, per
dare la possibilità ai pazienti di esercitare le proprie abilità musicali attraverso il
canto, l’uso di uno strumento o l’ascolto di un pezzo musicale.
L’ascolto di un brano, scelto dal paziente o proposto dal terapeuta, può aiutare a
rilassarsi e a togliere il pensiero da fonti di stress, modificando lo stato d’animo.
Cantare o suonare diventa un’esperienza significativa in cui la musica diventa
una nuova forma di espressione, di comunicazione e socializzazione.
I pazienti affetti da disabilità motorie che non possono utilizzare il corpo o la
voce, posso comunque trovare giovamento con la musicoterapia attraverso
l’ascolto e la percezione fisica delle vibrazioni prodotte dagli strumenti musicali.
Al momento la musicoterapica viene proposta sia nei centri di salute mentale che
nei centri diurni, nelle case di riposo, nelle comunità.
Un esempio di Strutture in cui si applica la Musico Terapia sono:
- Il Centro di Salute Mentale di Guastalla, dove è stata fondata l’orchestra
Sinfonica dell’Arca del Fiume (il nome deriva dall’omonimo centro residenziale
gestito dal CSM di Guastalla). I componenti dell’orchestra sono utenti, affetti da
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vari disagi mentali, della residenza “Arca del Fiume”, musicisti e psichiatri, la
stessa viene diretta dalla Dr.ssa M. Maccaferri, in totale ci sono 40 membri.
Qu-est’esperienza è nata recentemente, nel settembre 2010, inaugurando la V
edizione della settimana della salute mentale e Reggio Emilia.
- La Casa di Cura "Villa Igea" di Salìceta S. Giuliano a Modena. L’attività di
musicoterapia è stata svolta nell’arco di dieci anni, a partire dal 2000, dal Dr. L.
Postacchini in qualità di conduttore, la caposala e l’assistente sociale e uno o due
infermieri con gruppi di 14-15 unità. Ha interessato due reparti: Il N. 27, nel
quale vengono ricoverato i pazienti dipendenti da sostanze, e il Day Hospital in
cui sono ospitati pazienti cronici affetti da disturbi di personalità, psicosi, ecc.10
5.3 Danza terapia
La danza è un importante strumento di espressione globale della persona, in
molte popolazioni primitive, durante i balli tradizionali venivano danzati i propri
stati affettivi individuali o di gruppo. Il linguaggio corporeo è una primordiale
forma di comunicazione.
L’uso,in anni recenti, di diverse forme di terapie che utilizzano il movimento del
corpo, in modi più o meno strutturati in relazione ad obiettivi diversi ha permesso
di sperimentare anche alla danza terapia.
Per esteso si dovrebbe parlare di danza-movimento-terapia, cioè una disciplina
che utilizza la danza e il movimento espressivo come strumento e linguaggio
privilegiato per favorire la salute fisica, la qualità di vita e lo sviluppo
psicologico della persona.
Con la danza terapia si perseguono scopi come il miglioramento dell’area
emotiva aumentando la capacità personale di manifestare le proprie emozioni,
stimolando il piacere e l’energia psicofisica e si migliora anche quella
10 Per un approfondimento ved. Il libro “La Psicantria” Manuale di psicopatologia cantata, in cui viene
citata in modo completo l’esperienza di Musicoterapia a Villa Igea.
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relazionale, lavorando nella dimensione del gruppo attraverso anche il contatto
fisico e la condivisione dello spazio con altri. Si aumenta la consapevolezza di sé
e del proprio corpo migliorando la coordinazione motoria e l’orientamento
spaziale. Si risvegliano parti del corpo addormentate e si aumenta l’autocontrollo
corpo-mente.
Un esempio di Strutture in cui si applica la Danza Terapia sono:
- Il Centro per i disturbi del comportamento alimentare dell'Azienda USL di
Reggio Emilia, dove gli utenti possono partecipare all’Atelier di Danza Terapia
dall’associazione “Briciole”. Questa iniziativa si avvale di volontari ed è il
risultato di un progetto comune tra l’ASL e l’Ass. Briciole per arricchire l’offerta
rivolta ai pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare.
5.4 Arte terapia
La parola arte terapia viene usata come contenitore di tutti i tipi di terapie che
usano discipline artistiche, dalla pittura al teatro, alla musica, ecc. In realtà
dovremmo parlare di “arti terapie” mentre, in specifico, quando viene usata l’arte
intesa come produzione pittorica, plastica o comunque artistica ne l senso stretto
della parola, allora andrebbe usato il termine arte terapia.
Per poter praticare l’arte terapia, come per le altre arti terapie, non sono
necessarie precedenti competenze artistiche, perché in questo contesto, come già
spiegato, non vi è la ricerca di un risultato estetico, non esistono giudizi sul
prodotto finito. Ogni opera è espressione autentica del proprio mondo interno,
delle proprie emozioni, della propria umanità, e porta alla luce tutto questo
attraverso un processo creativo che ha permesso all’individuo una
trasformazione, un’elaborazione, una crescita. Fosse quindi anche solo uno
scarabocchio, una macchia o un insieme caotico essa ha un valore inestimabile e
unico.
I prodotti dell’attività creativa diventano nella’arte terapia impronte di se stessi,
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un’elaborazione del proprio vissuto che prende forma e viene trasmessa
(creativamente) agli altri attraverso la condivisione dell’esperienza in un gruppo.
L’arte terapia offre il piacere di creare con materiali artistici, di esprimersi
attraverso il linguaggio del colore e delle forme in una società che da sempre
privilegia il linguaggio parlato e scritto che però implica una concettualizzazione,
non immediata, che porta a modificare, nascondere, dimenticare… le immagini
invece, nella loro immediatezza, partono dal profondo senza concettualizzazione
e arrivano all’esterno più autentiche, senza barriere di difesa.
Ovviamente tutto questo può avvenire solo in un setting, in un contesto sicuro e
protetto in cui il processo creativo viene facilitato dall’arte terapeuta, dalla
relazione positiva che viene istaurata con esso e con il gruppo.
Un esempio di Strutture in cui si applica l’Arte Terapia sono:
- Il Centro per i disturbi del comportamento alimentare dell'Azienda USL di
Reggio Emilia, oltre ad attività di danza terapia propone atelier di arte terapia.
- L'Associazione Culturale BODY STUDIO 1, segue la strada intrapresa all'inizio
degli anni 80 dal Body Studio, conosciuto per la sua opera di ricerca in campo
Psicomotorio. L’associazione lavora con Scuole Materne, Nidi dell'Infanzia,
Scuole Elementari, Scuole Medie Inferiori e Superiori; propone un percorso
pedagogico, educativo, di scoperta delle potenzialità espressive, comunicative e
creative del corpo in movimento, integrandole, negli ultimi anni, anche con
esperienze di Arte Terapia associate alla psicomotricità (tecniche psicomotorie,
tecniche grafo motorie).
Gli esempi di strutture, associazioni e studi che praticano arti terapie citati sopra
non sono, ovviamente, gli unici esempi del nostro territorio. Ho scelto di citare
solo quelle realtà con le quali sono venuta in contatto direttamente, per
conoscenza delle persone che esercitano le attività di cui ho soprascritto.
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PARTE TERZA: UN’ESPERIENZA SUL CAMPO
6. ALCUNE RIFLESISONI DI PREMESSA
Nella mia esperienza a contatto con i ragazzi portatori di handicap mi sono resa
conto di come la parola diversamente abile coniata per eliminare il vecchio
termine che sembrava identificare in modo offensivo il soggetto disabile,
gravandogli e palesandogli la sua situazione di deficit sia comunque superflua e
inadatta a chi vive a contatto diretto, condividendo la vita con il soggetto
disabile. Per una persona “esterna” a questa condivisione di vita il soggetto
disabile rappresenta “qualcosa di diverso” dalla “normalità comune” e per questo
esso deve essere identificato con un termine preso a convenzione come il meno
offensivo, ma il solo identificarlo “come un” (diversamente abile, disabile,
handicappato, ecc) è considerare comunque questa persona diversa dai noi e
quindi, in qualche modo “offenderla”. In realtà, dopo un anno e mezzo a contatto
con gli utenti del centro io non vedevo più la disabilità ma solo la persona con le
sue specifiche caratteristiche (alta, bassa, solare, taciturna, vivace, timida, etc.).
Mi sembra quindi giusta l’affermazione che“la definizione di disabilità o diversa
abilità che nell’uso comune ha soppiantato quella di handicap, forse per eludere
la responsabilità di creare lo svantaggio” [...] è per la GDL priva di senso”11.
Io toglierei il “forse” perché qualsiasi termine usato per identificare il disabile
come tale ci darà sempre la responsabilità di essere noi a creare lo svantaggio, di
essere noi a creare il disabile. 11 Stefania Guerra Lisi 2006.
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E’ per questo motivo che in questa parte della tesi identificherò solo attraverso il
nome gli utenti che ho scelto di descrivere identificandoli solo come persone con
le quali ho realizzato un percorso di vita dove loro spero abbiamo potuto
imparare qualcosa da me, e dove io ho imparato moltissimo da loro.
Volendo tutelare i soggetti di cui parlerò in questa tesi dalla discriminazione nei
confronti di chi li vede come disabili ed essendo soggetta alla privacy ho dato a
loro un nome fittizio scegliendolo dai protagonisti di un famoso cartone animato:
i fantastici 4. Perché se vediamo la definizione di diversamente abile come
identificazione di un soggetto che ha abilità diverse dalle nostre, i fantastici 4,
superman, l’uomo ragno, e tutti gli eroi dei fumetti che hanno in se mutazioni
delle caratteristiche umane (“standard”?) sono tutti dei diversamente abili.
6.1. Creatività artistica: istruzioni per l’uso
L’espressione artistica, sia essa pittorica, musicale, teatrale, è una modalità di
relazione che favorisce l’espressione attraverso sia il linguaggio verbale sia il
linguaggio non verbale in una panoramica che mette a fuoco l’importanza “delle
arti” identificando il “linguaggio del corpo” come universale mezzo di
comunicazione di tutti gli esseri umani e mettendo quindi sullo stesso piano
“abili e disabili”. Viene quindi eliminata, nell’espressione artistica, qualsiasi
“differenza” e se questa espressione artistica diviene una modalità di espressione
comunicativa, ed essendo la comunicazione il presupposto dell’apprendimento e
della riabilitazione, ci si rende conto di come le arti terapie diventino parte
integrante del percorso di sviluppo delle persone con difficoltà verbali e motorie;
dove il semplice intervento riabilitativo classico di mantenimento delle
autonomie associato o meno ad un intervento psicoterapeutico rischia di essere
solo un metodo parziale ed incompleto. Si evidenzia quindi come
un’applicazione delle arti terapie, aperta all’interazione con gli altri metodi di
riabilitazione ed aiuto sia un completamento necessario, se non indispensabile,
per lo sviluppo completo della persona con disabilità.
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6.1.1. Il laboratorio espressivo
“Il Riuscire in qualcosa”, sia esso la realizzazione di un segno sulla carta o
qualcosa di più complesso come un disegno costituisce un momento
importantissimo dal punto di vista emotivo del soggetto che lo realizza. Il
successo della riuscita, specialmente nella sperimentazione di cose nuove, rende
protagonisti (della propria vita) mettendo alla prova le proprie possibilità e da un
ritorno alla normalità alla conferma di sé come individuo unico ed originale in un
mondo dove tutto ciò che viene fatto dai ragazzi disabili, o che gli viene fatto
fare, è solo una riconferma del proprio quadro di riferimento come tipo di
disabilità. La realtà è usata dall’operatore e dal disabile solo per riconfermare ciò
che ci si aspetta da loro. Introdurre elementi nuovi (nuove tecniche, nuove
modalità di disegno e libertà di sperimentare e creare) senza dargli una traiettoria
già prestabilita e rompendo gli schemi quando lo stesso disabile per abitudine
segue quella traiettoria che ci si “aspetta da lui” ha permesso, nella mia breve
esperienza, di veder uscire dai ragazzi cose inaspettate che hanno stupito famiglie
ed operatori.
Tanto che in alcuni casi mi sono sentita dire che “quelle opere” non le avevano
fatte loro ma le avevo fatte io…
Ma cos’è, per chi non è pratico del settore, un laboratorio espressivo? Viene
spontaneo introdurre una descrizione per differenziare tre tipi di approcci
artistici: l’atelier artistico, l’atelier (laboratorio) artistico espressivo e un atelier di
arte terapia.
Un atelier artistico
In un atelier di pittura o scultura troviamo un luogo in cui poter praticare delle
tecniche artistiche che ci vengono insegnate da una persona che le pratica essa
stessa, quindi un artista, o che le insegna solamente, quindi un insegnante d’arte.
L’atelier di pittura, almeno nei tempi attuali, permette alle persone di impegnare
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il loro tempo libero, imparare qualcosa che desideravano, un’attività piacevole
quale la pittura o la scultura. Le opere realizzate possono rimanere nella sfera
privata solo come risultato di ciò che si è imparato e soddisfazione e piacere
personale di aver realizzato un quadro, una scultura. Oppure, come molto spesso
accade, il gruppo dell’atelier pittorico organizzerà delle mostre delle opere finite,
che verranno esposte al pubblico e agli estimatori di talenti artistici emergenti.
Non è escluso che ci possa essere anche un risultato economico derivante dalla
vendita delle opere prodotte.
Un atelier artistico espressivo
Nel laboratorio espressivo si svolgono attività manuali, manipolative ed
espressive, e, sotto la supervisione di una persona con competenze adeguate, le
persone che vi partecipano vengono stimolate, indirizzare, aiutare nell’esprimersi
artisticamente in maniera libera e creativa. sperimentando tecniche e materiali,
dando libero sfogo alla fantasia.
In esso, come in un setting, vengono definiti gli spazi, i tempi e i compiti da
svolgere. Il risultato dell’attività svolta in un laboratorio espressivo non è dunque
solo il prodotto realizzato, come per un atelier artistico, ma è la gratificazione che
si prova dopo aver realizzato e completato un oggetto, un disegno, un’opera che
ci rappresenta. Il nostro gesto, il nostro segno lasciato sui materiali favorisce la
stima di sé e la soddisfazione dell’essere riusciti a creare…
Un atelier di arte terapia
Un atelier o laboratorio di arte terapia si struttura in modo più simile al
laboratorio espressivo che a quello artistico. Non deve avere barriere per poter
permettere a tutti di accedervi, ci può essere la presenza di musica che aiuta a
rilassarsi e a conciliare un’atmosfera che aiuti l’attività creativa. I materiali
presenti devono essere aperti ad ogni possibilità creativa, quindi non ci saranno
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solo gli strumenti per la pittura o per il modellato plastico ma dovranno essere
presenti materiali di tutti i generi per permettere alla persona di scegliere ciò che
sente più adatto alla propria espressione. Spesso in arte terapia vediamo
realizzare i collage che permetto di mettere assieme immagini già esistenti,
questa tecnica è adatta a chi ha difficoltà ad usare strumenti quali matita e
pennelli.
L’atelier di arte terapia diviene soprattutto un setting che può essere individuale o
di gruppo a seconda del contesto in cui si opera e delle esigenze della struttura in
cui lavora e del tipo di disagio delle persone accolte.
6.1.2. Solo arte o anche arte terapia?
Parlando degli atelier pittorico e dei laboratori espressivi presenti in molti centri
diurni o strutture socio sanitarie quali i centri di salute mentale, parliamo di
un’attività nata per impegnare il tempo degli utenti e magari ricavare dei fondi
dalla vendita delle “opere” o manufatti creati. Ma, alla luce della mia esperienza,
ci vuole veramente poco perché quest’esperienza artistica diventi terapeutica.
Attraverso la creazione artistica la persona che crea si immerge totalmente in
quest’attività rilassante e piacevole che facilita l’allontanamento e la risoluzione
dei propri conflitti (fu la Kramer che osservo per prima gli effetti positivi
dell’attività artistica sui bambini figli dei profughi segnati dai traumi e dalle
violenze del regime nazista).
Tornando all’esperienza attuale, vediamo che il potersi esprime in attività
creative aiuta i disabili a sviluppare maggiore autonomia, a scoprire capacità
nascoste, ad avere un approccio positivo ed entrare più facilmente in relazione
con gli altri. Le attività creative permettono di scaricare le tensioni e il torpore di
una vita legata ad un mezzo per deambulare quale la carrozzina.
Quindi l’attività artistica è implicitamente terapeutica, con l’applicazione
dell’arte terapia si sale un livello più in alto, si amplificano questi benefici che si
sviluppano in un vero percorso d’aiuto.
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7. LA MIA ESPERIENZA IN UN CENTRO DIURNO
7.1 Una stanza tutta per noi
La stanza dove si svolge l’attività artistica con un gruppo di disabili è strutturata
per facilitare il movimento e l’interazione con l’ambiente e gli strumenti che ivi
si trovano. La stanza che oltre ad atelier diviene stanza per l’arteterapia non è
solo un luogo fisico ma anche simbolico, che facilita la relazione.
Il nostro atelier si presentava come una stanza a piano terra molto ampia e
luminosa, grazie a vetrate poste lungo tutta la parete esterna. In parte i vetri erano
resi opalescenti da carta adesiva trasparente che faceva passare la luce ma non gli
sguardi.
Al centro della stanza una serie di tavoli affiancati creavano il piano d’appoggio
dove i ragazzi dipingevano i loro quadri. Lo spazio tra i tavoli e il perimetro dei
muri era ampio per permettere i movimenti con le carrozzine. Sulle pareti erano
posti degli armadi che contenevano al loro interno tutti i materiali che potevano
servire per tutte le attività svolta nell’atelier (colori, colle, forbici, libri e riviste,
materiali plastici come la creata, tessuti, bottoni, sassi, sabbie, carta da
decoupage, ecc.) Essendo gli armadi chiusi venivano applicate delle foto agli
sportelli con l’immagine di ciò che vi era all’interno degli stessi così che i
ragazzi potessero “vedere” quello che cercavano senza aprire il mobile.
Direi che per la varietà delle tecniche proposte, la nostra stanza atelier fosse
ottimamente fornita di mezzi e strumenti per sperimentare tutte le tecniche e le
possibilità creative che poteva dettare l’immaginazione del momento.
Quindi quasi un vero laboratorio arte terapeutico: luminoso, sempre a
temperatura giusta, con ampi spazi per il movimento, accessibilità ai materiali,
posti dove sedersi a lavorare sia in gruppo che individualmente (potendo separare
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i tavoli). L’unico elemento negativo che non c’era un lavandino. Questo lo si
trovava nel bagno posto dopo la sala da pranzo.
Vi era un orario nel quale si iniziavano le attività in atelier, che occupavano gran
parte della giornata, dal mattino sino al pranzo e poi dopo la pausa pranzo sino al
primo/metà pomeriggio quando arrivava l’orario di rientro per i ragazzi e la
chiusura del centro. Intramezzate all’attività dell’atelier artistico vi erano altre
attività in giorni definiti della settimana che impegnavano i ragazzi con il
giardinaggio, la cucina, l’attività cinofila, ecc.
Tornando alla nostra stanza i materiali che venivano usati erano soprattutto
tempere all’acqua, matite, pennarelli, che nel periodo di lavoro che ho svolto al
centro ho integrato con altri materiali quali stucchi, colle, sabbie colorate, sassi,
legni, stoffe ecc. Con le quali ho fatto sperimentare ai ragazzi la realizzazione di
quadri “materici” liberandoli per il tempo che sono stata con loro dalla gabbia
mentale del quadro dipinto a pennello, solo con il colore (steso in modo piatto e
continuo) senza altri materiali.
I lavori finiti dei ragazzi venivano appesi ai muri, già provvisti di supporto con
catenelle.
L’effetto finale che si respirava quando si entrava nella stanza era molto caldo e
stimolante: contenitori al centro del tavolo con tutti i tipi di pennelli e ciotole
contenenti tutti i colori a disposizione, i ragazzi attorno al tavolo che lavoravano
al loro quadro, alcuni con le tecniche di base, pennarelli e tempera, alcuni che
iniziavano ad esplorare il mondo della materia colorando i loro quadri con
spatole, spugne, mani, applicando sabbie colorate, stucchi colorati, sassi , stoffe,
colori a fibra, ecc. Attorno al gruppo, sulle pareti tutti i quadri già realizzati
davano un ulteriore tocco di colore a tutta la stanza. Sopra un mobile era posta la
radio, sempre accesa a diffondere un po’ di musica nell’ambiente.
Anche se la presenza di tutto questo colore e materiale dava all’atelier un senso
di gioco e di libera creatività tutto al suo interno era gestito secondo degli ordini
precisi: i tempi, i modi e i percorsi di ogni ragazzo. Ognuno utilizzava i materiali
e riceveva una consegna sul tipo di lavoro da eseguire che era adatta al tipo di
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bisogno che esso esprimeva.
Nel periodo in cui ho lavorato con questi ragazzi, ho cercato, per quanto possibile
nel rispetto delle “tradizioni” e necessità del centro stesso, di implementare la
loro conoscenza dei materiali per potergli dare la possibilità di esprimersi con
quello più confacente alla loro personalità, di incentivarli ad esprimersi
liberamente e ad usare la loro creatività senza paura di fare qualcosa “di brutto”,
essendo legati al fatto di dover vendere i loro quadri nelle bancarelle annuali
organizzate dal Centro stesso per implementare le entrate da reinvestire
nell’atelier, perché tutto ciò che realizzavano era espressione di loro e come tale,
bellissimo e unico.
7.2 Quando abilità e disabilità s’incontrano: i fantastici 4
Ho scelto tra i 13 ragazzi che componevano il gruppo quattro di essi, per
questione sia di tempi, che di materiali in mio possesso (non ho le foto di tutti i
lavori eseguiti con tutti i ragazzi) che per intensità di lavoro svolto e di tipologia
dell’intervento. Infatti non con tutti i ragazzi, sempre per questioni di tempo,
anche se un anno e mezzo sembra tanto, sono riuscita a fare “arte terapia” oltre al
semplice atelier artistico. Essendo il percorso arte terapeutico un percorso che
abbisogna di dedicarsi alla persona presa in carico, di attenzione dedicata al
recepire il bisogno per poter proporre il tipo di consegna più adatto. Consegna
che va seguita, il soggetto va aiutato ad esprimersi, indirizzato e sostenuto nel
percorso intrapreso. Come atelierista avevo l’obbligo di dedicare ugual tempo ad
ogni utente del centro e di guardare più al risultato della produzione che al
processo. Svolgere l’attività di atelier integrandola con l’arte terapia è stato un
compito difficile e a volte non compreso dal gruppo di lavoro.
Per questioni di privacy, dovendo associare ad ogni ragazzo un nome fittizio ho
scelto di usare i personaggi dei fantastici 4. Anche perché, in un certo senso,
ognuno di loro ha delle caratteristiche che corrispondo all’eroe dal quale
prendono il nome fittizio.
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Reed, può muovere solo la testa, è quindi un disabile totale ma, nonostante la
diagnosi di ritardo mentale associato alla paraplegia, Reed ha un’intelligenza
normale, direi anche sopra la media. Ha una capacità di osservazione come
pochi, e può rappresentare in pieno la figura di uno scienziato…
Ben, ha una disabilita più psichiatrica che fisica, anzi fisicamente si presenta
come un uomo alto e ben piantato, quindi forte come era forte la cosa.
Johnny, ha un ritardo mentale che lo rende molto bambino, tende a fare molti
scherzi che a volte “tormentano” un po’ i compagni ed in questo mi ricorda molto
il personaggio della torcia umana che faceva molti scherzi alla cosa. Inoltre
l’immagine figurativa di avere il fuoco addosso è molto adatta a Johnny che ha
un disturbo di iperattività, non sta mai fermo ed è sempre di corsa in tutte le cose
che fa.
Susan, è ormai una donna ma si veste da ragazzina e tendenzialmente da
maschietto, non si mette mai le gonne o i sandali, non si trucca e porta i capelli
corti. Si infatua si di figure maschili che femminili, palesando una diffusione di
identità sessuale. Il personaggio femminile della donna invisibile sembra ben
adattarsi ad una femminilità che vuole nascondersi, rendersi appunto “invisibile”.
7.2.1. Mister Fantastic: metto il colore dove mancano le parole – Reed
Tipo di disabilità: motoria, paraplegia con sintomi spastici
Obiettivi: realizzazione di sé attraverso un’opera (pittorica) eseguita in completa
autonomia. Dimostrazione di capacità intellettive da normodotato nonostante la
diagnosi di ritardo mentale. Stimolazione della voglia di partecipare alle attività
del gruppo e di interagire in maniera attiva.
L’arteterapia, quando il deficit è di tipo motorio, avrà come obiettivo principale
la riduzione dell’handicap legato alla difficoltà a compiere materialmente i
movimenti necessari per creare un’opera che la persona è in grado di concepire,
osservare e giudicare.
Ovviamente, in questo caso specifico, non vi è possibilità di recupero o sviluppo
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di capacità motorie residue perché il soggetto è completamente paralizzato ed
impossibilitato a muovere gli arti. Unica parte che può e riesce a muovere
volontariamente è il collo e la testa. La capacità mimica e di espressione del viso
è completa e non riuscendo a comunicare che con pochi monosillabi (no, sì, ahia,
mah!) Reed, sfrutta l’espressività del suo visto.
Le tecniche possibili in questo caso sono l’utilizzo del caschetto, al quale viene
applicato il pennello, che sostituisce l’uso delle mani. Con questo ausilio Reed
può dipingere con svariate tecniche: acquerello, tempera, acrilico, olio.
(ved. Fig. 1)
Con l’aiuto e la supervisone Reed riesce ad aumentare gradualmente il controllo
della grafo motricità attraverso l’ausilio del casco insegnandogli i movimenti
necessari per produrre un certo risultato grafico e per realizzare materialmente e
in autonomia il dipinto. (ved. Fig. 2) L’intervento con ben avrebbe trovato il suo
completamento nel permettergli di sviluppare l’ideazione dell’opera e di
esprimere con le sue capacità ciò che esso avrebbe autonomamente concepito.
Ovviamente il periodo di lavoro a termine non mi ha consentito di completare il
percorso.
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FIG. 1– LA MARGHERITA (dipinto a tempere su tela)
In questo dipinto, uno dei primi realizzati assieme, Reed esegue un lavoro con
ancora intervento dell’operatore su alcuni punti del quadro, con aggiustamenti
atti a spiegargli come migliorare l’uso del pennello e del segno. I primi lavori
eseguiti con Reed, non avendo lui l’uso della parola, era difficile interpretare i
suoi bisogni. Non potendo esprimersi con mezzi ausiliari non permette a Reed di
comunicare alle persone che si rapportano con lui la sua capacità cognitiva, la
sua intelligenza. Forse per questo ha ricevuto una diagnosi di ritardo mentale,
che forse è presente ma in modo leggero e, a mio parere, dovuto al fatto che non
gli è stata impartita la giusta istruzione. Reed ha, oggi, più di 50 anni e quindi le
carenze della sua diagnosi e della sua riabilitazione sono da imputare più al
periodo che non disponeva di tecnologie e conoscenze come invece dispone la
riabilitazione oggi.
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FIG. 2 – LA MARGHERITA opera completata
Si nota, sul lavoro finito che il fiore ha ricevuto l’intervento dell’operatore
esterno per renderlo leggibile, come desiderio di Reed che lo voleva definito. La
scelta dei colori e delle variazioni cromatiche sono state scelte da Reed, con
consiglio dell’operatore.
Reed si è fatto fotografare con il quadro “la margherita” il primo dei tanti che
realizzerà in quest’anno di lavoro con me, e anche se il viso per questione di
privacy è tagliato, la parte che ne rimane mostra un sorriso di grande
soddisfazione per il lavoro ultimato.
Di seguito un secondo quadro, che è stato scelto da Reed, dopo la valutazione di
alcune immagini. Il quadro scelto presentava degli elementi complicati, ho quindi
dovuto riprodurlo io su carta, semplificando linee e colori per poter permettere a
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Reed di realizzarlo nella massima autonomia possibile. Ho fatto una fotocopia
del disegno colorato realizzato da me ponendola come per le altre immagini, di
fianco alla tela da dipingere. Ho abbozzato sulla tela i tratti del disegno a matita ,
ho preparato le tonalità di colore nelle vaschette e Reed, guardando l’immagine
stampata che avevo realizzato ha iniziato il suo quadro con perizia e precisione.
FIG. 3 – OMAGGIO AD AUGUSTO
In questa seconda fase Ben è stato stimolato a scegliere il tema del quadro, viste
le sue integre capacità cognitive, e, dopo l’impostazione del disegno di base da
parte dell’operatore, con a fianco la stampa del quadro da copiare egli ha
colorato in completa autonomia ogni parte del quadro. Uniche indicazioni
dategli sono state il segno per creare l’ombreggiatura del ramo/albero.
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Si nota come Reed, lasciato libero nel suo primo quadro sia legato alla
precisione del segno e della tonalità. Si vede infatti che nei quadrati di colore, lo
stesso non è sfumato come nel dipinto “la margherita”. Questo più che per
mancanza creativa è dovuto al fatto di dimostrare la sua capacità di essere
preciso e alla paura che pennellate fuori posto potessero dare l’idea di
un’incapacità nell’eseguire il dipinto.
Un po’ per volta, Reed è stato stimolato a “liberare il segno” spostandosi su
tecniche come quella impressionista formata da pennellate vicine che lasciano
spazio al colore sotto o alla tela bianca e non da superfici piene e uniformi.
Liberato dall’incombenza di dover riempire degli spazi ed eseguire un figurativo
preciso, facendogli notare che i segni fuori posto e i piccoli errori di colorazione
andavano solo ad aumentare l’originalità e l’espressività del dipinto, Reed ha
realizzato quadri ispirandosi a Van Gogh come “la notte stellata”, “il campo di
grano”, il porto, i girasoli, ecc. Che hanno ricevuto un grande apprezzamento dal
pubblico (il gruppo, gli operatori e i familiari).
L’intenzione di Reed, con il quale ho ancora contatti, è quella di poter realizzare
l’ultima fase del percorso, cioè di poter realizzare una serie di quadri dipinti
interamente da lui, senza nessun intervento esterno e magari, poter realizzare
qualche mostra personale.
In questo senso, la mia proposta è stata di affiancare a questo desiderio anche un
percorso di arte terapia, dal quale potrebbero emerger comunque delle opere da
poter esporre. Essendo la capacità cognitiva di Reed, intatta, ma non potendo
esprimersi a parole, penso che fare arte terapia con lui possa dargli quella
possibilità di espressione che gli è mancata sinora.
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FIG. 4 – FIORI BLU
Risultati: Aumento della sicurezza nelle proprie capacità, e gratificazione nel
sentirti accettato e considerato come persona in grado di comprendere e svolgere
compiti difficili con risultati ottimali. Diminuzione degli stati di malinconia e di
noia. Autocontrollo maggiore della salivazione e, grazie al rilassamento
psicologico diminuzione degli spasmi muscolari.
Anche se il percorso non è stato “concluso” Reed è riuscito comunque a
comprendere il valore dei propri progressi, avendo come risultato terapeutico un
ampliamento del suo senso di competenza, capacità e partecipazione autonoma
alla realizzazione dei suoi dipinti. Reed ha potuto generalizzare questa su
autonomia in altri ambiti della vita quotidiana, come l’uso del computer o di altri
strumenti che aveva col tempo “dimenticato”, essendo stato relegato a ruolo di
“spettatore” (ad esempio di fronte all’uso del PC da parte di altre persone) con
conseguente demotivazione del piacere e dello stimolo di compiere attività in
autonomia.
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7.2.2. La cosa: il bello, il brutto e la vergogna – Ben
Tipo di disabilità: leggero ritardo mentale, probabili disturbi psichiatrici (D.O.C.,
evitamento, fobie?) Vista la complessità del disagio di Ben, che nonostante la
diagnosi di ritardo mentale erano evidenti dei disturbi di tipo psicologico ho
ritenuto opportuno articolare l’intervento in tre fasi per rispondere meglio hai
diversi bisogni espressi da Ben.
Obiettivo 1: coordinazione dinamica delle mani e della pressione del tratto
Utilizzando materiali e attrezzi diversi stimolare la coordinazione delle mani e il
controllo della prensione. Materiali: matite foglio di carta. Dimostrazione che
con la stessa matita si possono tacciare segni diversi, sottili, spessi, leggeri,
marcati. Lasciare che il soggetto tracci liberamente dei segni con la matita,
avendo come risultato segni tutti molto marcati, foglio di carta bucato e punta
della matita rotta. Iniziare piano piano ad accompagnare il soggetto nel tratto
tenendogli solleva la mano per mostrargli come il segno può essere più leggero
senza danni al foglio e alla matita, poi aiutandolo a varare la pressione sul foglio
facendogli constatare come anche lui potesse riuscire a variare il tratto prodotto
più leggeri senza danni alla matita e ala foglio.
Obiettivo 2: rilassamento, tranquillità e rallentamento motorio
Togliendo il condizionamento del dover fare un lavoro esteticamente gradevole,
passando quindi dal figurativo all’astratto, ben ha potuto sperimentare la libertà
di movimento e di espressione, questo ha avuto un effetto rilassante a livello
psicologico. Ben si è posto di fronte al suo quadro con tranquillità e questo ha
portato anche ad un rallentamento motorio, con pennellate più fluide e
armoniche, invece che contratte e a scatti.
Obiettivo 3: sperimentazione degli opposti
Il figurativo: realizzando un quadro utilizzando i pennelli e cercando di rimanere
all’interno dei contorni del disegno, in questo caso bisognava mantenere la
concentrazione del soggetto e la limitazione dei movimenti.
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FIG. 5 – IL SOLE (pastelli a cera e tempere a dita su legno)
In questo quadro che Ben sta esponendo vi è ancora un contenimento entro
forme precise (il sole, i fiori) del colore. Anche se il quadro è realizzato con
tecnica mista, e quindi in molti punti sono state usate le dita e non il pennello che
richiede più precisione, Ben doveva comunque concentrarsi a seguire e a
mantenere l’aspetto figurativo delle immagini rappresentate. Ho notato che
nonostante la soddisfazione del lavoro eseguito, Ben era molto teso, la
concentrazione e l’attenzione a rimanere dentro ai contorni del disegno lo
metteva sotto stress.
L’astratto: utilizzando materiali come colla, stucco colorato, penali grandi, mani,
colori a dita lasciare il soggetto libero di spaziare sul tutto il foglio senza confini
delimitati. La concentrazione poteva essere allentata e i movimenti non avevano
limitazioni.
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FIG. 6 – ASTRATTO (tempera a dita e amano libera su legno)
Usando le mani, con iniziali movimenti timorosi, dopo un po’ Ben si è lasciato
andare, percorrendo con le mani intrise di colore tutti gli spazi del supporto in
legno. L’esperienza è stata piacevole e liberatoria.
Risultati: far percepire al soggetto la sua capacità di gestire il tratto, di riuscire a
concentrarsi sul lavoro e di riuscire, nella tecnica libera a realizzare da solo una
tipologia di pittura “astratta” senza l’intervento dell’operatore. Implementazione
delle capacità di coordinazione delle mani, aumento dell’autostima per aver
eseguito il lavoro in autonomia e diminuzione dell’ansia “da risultato” (nella
tipologia astratta e in quella figurativa con tecnica di incartatura dei disegni) nel
vedere il risultato del lavoro e l’approvazione (complimenti) del gruppo nel
vedere il quadro finito.
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FIG. 7– IL PESCE (tempere stese su superfici incartare)
In questo particolare di un quadro a tempera si tela, il rigore dei segni precisi
non deve trarre in inganno, perché tutti gli elementi sono stati incartati lasciando
a ben la possibilità di pennellare liberamente sulla tela, senza la contenzione di
contorni. Questa tecnica ha permesso a ben di rilassarsi e liberare il gesto
invece di comprimerlo, scoprendo che alla fine (togliendo la carta) risultava un
vero disegno, un quadro finito.
Inoltre: autocoscienza dei propri rituali, integrazione di questi all’interno del
lavoro, sentirsi accettato come individuo con particolarità specifiche che non lo
rendono “diverso” solo in senso negativo ma rendono originale e unico.
Stemperamento del complesso d’inferiorità (e del sentirsi stupido) con notevoli
risultati di benessere e rilassamento nell’interazione duale con l’arte terapeuta e
tranquillità all’interno del gruppo.
Nel caso di Ben, anche se presente una situazione di disturbo psicologico, la
prese in carico del centro era riferita ad un soggetto con solo ritardo mentale e
quindi non era prevista un’azione diretta sulle problematiche de nuclei
psicologici. Anche se questi si presentavano durante l’interazione con gli altri e
nelle attività svolte.
Ho quindi tralasciato, in parte, la problematica psicopatologica per concentrarmi
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sull’interazione affettiva favorendo un approccio finalizzato all’acquisizione di
nuove tecniche più adatte alle capacità espressive di ben e che potevano favorire
un maggior beneficio alle rigidità presenti sia nella coordinazione grafico
motoria sia negli atteggiamenti mentali di vergogna e timidezza.
L’attività artistica ha permesso a ben di rilassarsi, concentrandosi su un lavoro
che non gli creava ansia da prestazione, condizionamenti estetici, ma lo lasciava
libero di godere del contatto con i materiali e di spaziare sul piano di lavoro
riattivando quelle parti più sane e creative della sua persona. Veicolando con la
sua produzione astratta e materica i contenuti del suo mondo interno che l’uso
limitato e stereotipato del linguaggio verbale , la timidezza e la vergogna non gli
permettevano
7.2.3. La torcia umana: più veloce del fuoco (Johnny)
Tipo di disabilità: ritardo mentale con disturbo dell’attenzione e iperattività.
Obiettivi: mantenere l’attenzione su di un lavoro per un periodo di tempo sempre
più lungo. Attraverso la realizzazione ludica di un quadro astratto, scegliendo le
tecniche per il soggetto più piacevo e interessanti, facendogli sperimentare cose
nuove per catturare la sua attenzione e mantenere, attraverso il gioco, l’interesse
al lavoro con gratificazione di poter eseguire da solo alcune parti di esso.
Johnny, come premesso, ha un forte ritardo mentale e cognitivamente è come un
bambino di tre anni, anche se ne ha diciotto. Mi sono chiesta se era possibile fare
arte terapia con lui, visto che non vi era una richiesta, un bisogno. Johnny stava
bene così com’era perché non si rendeva conto della sua disabilità, questa non
creava problemi a lui, che viveva in un mondo di gioco e allegria. Ma visto che
egli aveva voglia di essere come gli altri, cioè di avere dei quadri da esporre e
vendere assieme a quelli del gruppo mi è sembrato giusto che questi potessero
essere un momento importante per lui, un momento in cui lui potesse migliorare
la costanza nel lavoro perché il risultato finale fosse soprattutto “farina del suo
sacco” e non un quadro che alla fine doveva completare l’operatore perché
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Johnny si stancava di lavorarci. Penso che alla fine, il fatto di avere realizzato dei
quadri dall’inizio alla fine abbia gratificato Johnny molto di più.
Anche con lui ho usato la sperimentazione di tecniche nuove realizzando dipinti
astratti o in parte figurativi usando le immagini che gli erano più familiari e che,
anche con i pennarelli sul foglio, lui tendeva a disegnare sempre: fiori, pesci,
figure stilizzate.
FIG. 8 LA GALASSIA
Il primo quadro realizzato con lui è stato un vero “pasticcio” di colori, stesi con
le mani e con le dita. Non ci siamo posti nessun obiettivo finale o risultato, ho
lasciato Johnny libero di “sentire” il colore sulle mani, come se fosse pasta da
spalmare sulla tela. Questa sensazione fisica lo prendeva molto, pasticciare
liberamente, giocare con il colore ha fatto si che la sua attenzione sul lavoro si
allargasse a tempi più lunghi. Ad un certo punto ho cercato di far capire a
Johnny che doveva mettere qualcosa nel quadro che facesse capire che lo aveva
realizzato lui, come una firma… infatti, se si osserva bene, si noterà in alto a
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destra un’impronta di mano. Johnny ha infatti scelto di imprimere le sue mani
sulla tela. In ultimo gli ho dato dei pennelli intrisi di bianco e nero e gli ho
insegnato a schizzare per “completare” l’opera.
Devo dire che dopo questo primo approccio, Johnny era molto entusiasta di
iniziare altri quadri e con la frase “solo, io uomo” faceva capire che voleva fare
da solo e questo suo lavorare in libertà, libero da condizionamenti, ha allungato i
tempi e la concentrazione sui lavori eseguiti. Ovvio che la patologia non poteva
consentire sviluppi maggiori di quelli ottenuti. Ma in atelier Johnny era sempre
molto rilassato e se coinvolto nel modo giusto, il lavoro artistico gli permetteva
di tornare a casa più rilassato e scaricato di un’aggressività che talune volte era
sfociata con acting out nei confronti di amici e familiari.
FIG. 9 - I FIORI
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In questo quadro Johnny si lasciava guidare dall’operatore in modo docile e
prestava molta attenzione all’esecuzione. Anche se durante la stessa ci si è visti
costretti ad interrompere con pause “bagno”, “sete”, etc. Sono quindi arrivata
alla conclusione che Johnny necessitava di scaricare sul foglio l’energia, senza
dover sottostare a regole, indicazioni e risultati estetici. Per Johnny dipingere
era arte terapia, perché era nel processo che lui liberava le sue energie, sfogava
la sua aggressività e, dopo aver dipinto per alcune ore era molto più tranquillo,
era evidente l’effetto terapeutico che invece si annullava se lo si voleva
costringere a “produrre” qualcosa con i colori.
Risultati: Sviluppo e ampliamento delle capacità grafiche, maturazione del
disegno e allungamento dei tempi di lavoro. Dimostrazione di una certa
autonomia nel realizzare un prodotto con tecniche libere ed espressività nella
scelta dei colori. Benessere e scarico delle tensioni con una diminuzione
dell’aggressività.
7.2.4. La donna invisibile: la più forte sono io, ma stammi vicino (Susan)
Tipo di disabilità: lieve ritardo mentale, disturbo di personalità, diffusione
d’identità.
Obiettivi: stimolazione dell’interesse e del piacere per ciò che si fa, eliminazione
del “fare per obbligo” o per “dovere”. Riappropriarsi della propria femminilità e
mitigare l’aspetto manipolatorio del carattere.
Susan nei primi momenti in cui abbiamo iniziato a lavorare assieme si limitava a
fare il minimo indispensabile, partecipava realizzando uno al massimo due quadri
da esporre per i due principali eventi del centro: la mostra annuale di pittura e la
festa di sera con esposizione di quadri e oggetti realizzati dal centro. Lo faceva
più per dovere, che per vero interesse e piacere di realizzare qualcosa di suo.
Sembrava che le sue capacità grafiche fossero limitate e equiparabili ai suoi
compagni down. Dipingeva quadri molto semplici sulla linea dei compagni:
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paesaggi con alcuni alberi, qualche fiore, delle casette tutte uguali e molti spazi
“vuoti”. La consegna che mi era stata data su di lei era che doveva essere
stimolata a metterci più impegno e inserire più elementi perché i suoi quadri
rimanevano per lo più invenduti.
Durante il percorso fatto assieme, Susan, entrando in amicizia con me, e in parte
infatuandosi della mia persona, ha iniziato a dimostrare che poteva avere capacità
superiori a quelle che dimostrava. Ho provato a stimolarla con tecniche nuove,
applicandole direttamente su un suo quadro, invenduto, che Susan aveva lasciato
molto spoglio e vuoto. Abbiamo preso il dipinto che era composto da alcuni
grandi fiori posti su un prato vuoto con tanto cielo e abbiamo iniziato ad
applicare su di esso degli elementi materici. I fiori sono stati spennellati con la
colla e i petali ricoperti da un materiale plastico, traslucido e opalescente.
All’interno dei petali nella parte centrale ho fatto colare a Susan un materiale
denso (colla, sabbia e tempera gialla). Già con questo primo approccio Susan ha
cominciato ad interessarsi di più al lavoro, grazie alla curiosità che le
stimolavano questi materiali nuovi. Approfittando di questo risultato ottenuto ho
fatto completare a Susan lo sfondo sempre usando sabbia color oro ottenendo un
effetto materico che l’ha lasciata piacevolmente sorpresa. Alla fine del quadro,
confrontando il risultato con quello precedente Susan si è resa conto, come con
poco e divertendosi, si potesse ottenere qualcosa di buono. Il quadro è stato
subito venduto e Susan ne ha provato una forte gratificazione. Mi sono
mantenuta su questa linea, seguendo da vicino i suoi progressi nel sperimentare
tecniche di collage sui “soliti disegni”, con carta di riso stoffe, ecc. Ho così visto
emergere una capacità tecnica, anche se sempre con qualche difficoltà di
coordinazione motoria del tratto, che veniva nascosta da quella che in un primo
momento sembrava svogliatezza. Invece con la stimolazione adeguata Susan è
riuscita ad uscire da un comportamento cristallizzato e stereotipato, liberando
creatività e voglia di fare.
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FIG. 10 - PAESAGGIO
Questo è uno dei tipici quadri realizzati da Susan che sotto il sollecito
dell’operatore andava ad aggiungere elementi nelle zone vuote che il più delle
volte davano l’evidente impressione di essere stati “buttati li” ad esempio i
quattro fiori sopra le case e la fila sotto sulla cornice. L’albero nel cielo vicino al
sole e lo stesso si dica per le case, albero e fiore nel cielo sopra le montagne.
FIG. 11 particolare di un paesaggio
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Nel quadro della Fig. 11, nonostante gli elementi siano quelli consuetamente
usati, montagne, nuvole, alberi, sole, si può notare un inizio di espansione della
propria creatività con l’inserimento non di un unico sole giallo nel cielo ma con
tanti soli e il tentativo di riempire il cielo con nuvole e puntini e gli alberi con la
frutta o fiori.
FIG. 12 – FIORI
In questo quadro Susan inizia a sperimentare tecniche nuove come il ricoprire i
petali con carta di riso e mostra buona capacità manuale nell’eseguire i contorni
con il pennarello nero. Comincia a usare colori quali il rosa ed il bianco
esprimendo un forte accento femminile.
Risultati: Sviluppo delle capacità di ascolto per ciò che gli viene spiegato e della
predisposizione ad “imparare”. Aumento dell’interesse per il lavoro svolto e
gratificazione per essere riuscita a realizzare opere originali. Dimostrazione di
capacità nascoste dalla svogliatezza e dal poco interesse, che si sono palesate nel
momento in cui l’operatore è riuscito a stimolare l’interesse e la voglia di fare.
Riequilibrio del rapporto a due, stemperamento del bisogno di dominio e di
manipolazione dell’altro. Piacere nell’usare materiali quali carta di riso, stoffe
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relegati all’immaginario femminile che Susan tende a rifiutare.
Nell’ultimo quadro realizzato, di cui non ho fotografie, Susan ha cambiato
completamente la scelta del tema. Gli avevo infatti proposto diverse immagini da
realizzare con tecnica ad acquerello e la sua scelta è caduta, non sul solito
paesaggio di campagna con case, ma su di una composizione di fiori d’acqua
astratti. Il fatto di avergli dato in uso del materiale costoso, cioè materiali forniti
da me come la carta di cotone e acquerelli superfini e di avergli dato la
responsabilità di un lavoro impegnativo, dimostrandogli la mia completa fiducia
sulle sue possibilità di eseguirlo ha stimolato fortemente l’impegno di Susan che
ha soddisfatto in pieno le aspettative, realizzando un acquerello sfumando le
tonalità blu, azzurre, bianche e ponendo grande attenzione ai tratti con il
pennello. Se non avessi fotografato Susan durante l’esecuzione del lavoro, avrei
avuto difficoltà a convincere le persone che hanno visto il quadro che lo aveva
fatto proprio Susan.
Il risultato più importante non è stato, per me, quello estetico ma la capacità
avuta da Susan di “cambiare” il suo ruolo consolidato di svogliata e con poche
capacità tecniche.
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8. CONCLUSIONI
Nelle situazioni di disabilità non dovrebbe mai mancare l’attività artistica, che
non è solo un riempitivo ma una vera necessità che soddisfa il bisogno di
comunicare e di attraverso l’opera prodotta, uscendo da un corpo che il più delle
volte rappresenta una gabbia dal dentro della quale il disabile è solo spettatore
del mondo.
Riassumendo, i benefici della terapia artistica che ho potuto sperimentare con gli
utenti del centro in cui ho lavorato per un anno e mezzo sono i seguenti:
Benefici aspecifici come il senso di rilassamento durante l’attività e la
soddisfazione per l’opera prodotta. Aumento dell’autostima per i risultati ottenuti
e per la gratificazione sociale, se i quadri vengono venduti o esposti.
Benefici a livello della grafo motricità con miglioramenti della coordinazione
motoria delle mani e del controllo grafo motorio. Differentemente dagli esercizi
fisioterapici è un’attività più complessa che coinvolge funzioni cognitive con
coordinazione di diversi distretti muscolari. Il tutto viene svolto ludicamente, con
atmosfere gradevoli e quindi i movimenti necessari emergono in modo quasi
spontaneo rispetto agli esercizi di riabilitazione motoria.
Benefici a livello cognitivo perché la produzione artistica coinvolge diverse
funzioni: quelle percettive, quelle dell’attenzione e quelle di giudizio estetico.
Benefici sulla capacità creativa ed espressiva che sono funzioni che vengono
conservate anche in situazioni di disabilità, ma spesso risentono oltre che delle
disfunzioni cognitive/motorie dell’handicap anche di una bassa autostima del
soggetto che si sente spesso inadeguato, svalutato, costretto entro un contesto
familiare iperprotettivo e un contesto sociale evitante. La produzione artistica
permette anche una maggiore integrazione con l’ambiente, aumentando la
partecipazione sociale.
A volte l’attività artistica, quindi la produzione di opere che possono avere un
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impatto positivo con il pubblico, viene definita un effetto collaterale dell’attività
di arte terapia. Nel nostro caso è stata forse l’arte terapia un effetto collaterale
dell’attività artistica svolta nell’atelier del centro diurno. Stimolare l’espressione
di sé, la creatività, ha permesso di far emergere e sviluppare capacità che con la
sola attività di atelier pittorico riempitivo e con fini di vendita dei manufatti
prodotti non emergevano.
Soprattutto i ragazzi con cui ho lavorato hanno dimostrato a livello di produzione
artistica di essere ad un livello paritario se non superiore a tanti pittori
normodotati. La disabilità ha fatto spazio ad abilità che in un individuo sano a
volte non si trovano…
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www.laboraorioliberatorio.wordpress.com
www.obiettivoilsorriso.org – articolo “l’arteterapia come relazione e cura”, autore
Dr.ssa Giovanna Fraccalvieri
www.altrapsicologia.it
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ISS (Istituto Superiore di Sanità)
www.aid-a.it
www.danzaterapie.it
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www.educare.it
www.xoomer.virgilio.it – Simone Donnari - articolo: Cenni storici Arteterapia pdf
www.opsonline.it articolo: L’arte terapia che cos’è e come usarla”
www.cronologia.leonardo.it - C. Lombroso: L’uomo delinquente.
www.slowmind.net
www.benessere.com