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ARTEMEDICA Autunno 2011 - Numero 23 1 Editoriale Cari Lettori, il bisogno di denaro in una società di benessere è incontesta- bile e ciò non è facilmente compatibile con il problema eco- logico, poiché occorre risparmiare su tutto, senz’altro sul consumo energetico, sull’acqua, dobbiamo ridurre l’inquina- mento dell’aria, produrre meno rifiuti ecc., sempre meno e ancora meno. Diventare spartani in una cultura di sprechi, una cultura la cui economia è basata sul consumismo in cui viviamo già da tanti decenni, non è un’impresa facile. Dob- biamo seguire l’esempio degli Harmish, oppure trovare nuo- ve soluzioni ? Dietro queste cosiddette nuove soluzioni si na- sconde spesso una cinica volontà di speculazione, come ce lo descrive Vandana Shiva citando come esempio la fondazione Bill Gates che nasconde le sue vere intenzioni dietro una campagna mediatica con risonanza a livelli mondiali, suppor- tata da mezzi economici illimitati. Dall’alto, ossia dai politici prigionieri del mondo finanziario, si ha l’impressione di una lotta terribile per mantenere in sella un sistema che non lascia alcuno spazio alla libertà dell’individuo. E’ solo da una nuova coscienza, ret- ta da una forte e crescente società civile che può scaturire un cambiamento del sistema. L’articolo di Iris Corberi sull’associazione culturale “ Intorno al Melo “ con il suo asilo steineriano nel contesto dell’ agricoltura biodinamica, creato da poche persone con la stoffa pionieristica, è una notizia che ci deve rallegrare. Sostenuto da un gruppo di persone, di genitori che danno im- portanza ad un’educazione creativa in cui il bambino viene educato a non essere solo un consu- matore, ma diventa una parte attiva imparando ad usare le mani. Non gli viene tutto confezionato, impacchettato: è una comodità che seduce momentaneamente, ma sta alla base di una grande scontentezza e suscita un perenne senso di noia, ulteriormente alimentato da un uso sconsiderato della televisione. Perché un bambino dovrebbe creare un aeroplanino se gliene viene regalato uno già pronto e anche più bello? E’ un tipo di comodità che ha un prezzo alto.Non si può affrontare l’autunno senza prendere maggiore contatto con i nostri cari amici defunti. Nella novella “ La mor- te di Ivan Ill’ich “, Tolstoj ha illustrato in modo eccezionale le varie fasi attraverso cui passa il mo- rente. Quella che turbava maggiormente Ivan era la menzogna di coloro che gli stavano intorno, che fingevano di non sapere che stesse morendo ed egli stesso faceva finta di credere loro, ma dopo la rabbia , la depressione, Ivan entra in una fase di pace interiore, di accettazione e consenso e, per la prima volta, ha un gesto di affetto nei confronti del figlio. La musica può fungere da ponte tra il mondo fisico e l’aldilà, essa facilita il distacco dal corpo e può trasformare i processi di malattia e di morte in un’esperienza animica. La musicoterapia agisce anche nel postmortem. L’antroposofia non ha solo un aspetto contemplativo, ma è anche e soprattutto un movimento di- namico di attività sociale, artistica e di rinnovamento scientifico come c’è lo illustra l’articolo del- l’architetto Stefano Andi “ Flows Forms” , in cui ci presenta insieme ad un gruppo di personalità attive nella ricerca cosa significa architettura “organica vivente”. Con quest’espressione Steiner intende un’architettura che si esprime attraverso forme, colori e illuminazioni quali giochi di ombra e luce in modo da creare uno spazio che rispecchi la personalità di chi vi abita. E’ un’architettura che mira a creare luoghi per vivere e lavorare che diano un supporto alla salute e al benessere psi- cologico. Il gruppo di professionisti “ Forma e Flusso” dello studio di Stefano Andi non si dedicano solamente agli incarichi professionali, ma svolgono un importante lavoro di ricerca. Una ricerca che ha messo in luce come l’architettura organica vivente sia in connessione e abbia origine dalle grandi correnti spirituali come per esempio le confraternite dei costruttori delle cattedrali di cui lo stile Gotico ne è un grandioso esempio, con l’impulso religioso, sociale e politico dei Templari. Artemedica sta rinnovando il suo sito e invitiamo i nostri amici lettori a dare nuova vita consultando www.artemedica.it. Paulette Prouse DIREZIONE CULTURALE PAULETTE PROUSE

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EditorialeCari Lettori,il bisogno di denaro in una società di benessere è incontesta-bile e ciò non è facilmente compatibile con il problema eco-logico, poiché occorre risparmiare su tutto, senz’altro sulconsumo energetico, sull’acqua, dobbiamo ridurre l’inquina-mento dell’aria, produrre meno rifiuti ecc., sempre meno eancora meno. Diventare spartani in una cultura di sprechi,una cultura la cui economia è basata sul consumismo in cuiviviamo già da tanti decenni, non è un’impresa facile. Dob-biamo seguire l’esempio degli Harmish, oppure trovare nuo-ve soluzioni ? Dietro queste cosiddette nuove soluzioni si na-sconde spesso una cinica volontà di speculazione, come ce lodescrive Vandana Shiva citando come esempio la fondazioneBill Gates che nasconde le sue vere intenzioni dietro unacampagna mediatica con risonanza a livelli mondiali, suppor-tata da mezzi economici illimitati. Dall’alto, ossia dai politici

prigionieri del mondo finanziario, si ha l’impressione di una lotta terribile per mantenere in sella unsistema che non lascia alcuno spazio alla libertà dell’individuo. E’ solo da una nuova coscienza, ret-ta da una forte e crescente società civile che può scaturire un cambiamento del sistema.L’articolo di Iris Corberi sull’associazione culturale “ Intorno al Melo “ con il suo asilo steinerianonel contesto dell’ agricoltura biodinamica, creato da poche persone con la stoffa pionieristica, èuna notizia che ci deve rallegrare. Sostenuto da un gruppo di persone, di genitori che danno im-portanza ad un’educazione creativa in cui il bambino viene educato a non essere solo un consu-matore, ma diventa una parte attiva imparando ad usare le mani. Non gli viene tutto confezionato,impacchettato: è una comodità che seduce momentaneamente, ma sta alla base di una grandescontentezza e suscita un perenne senso di noia, ulteriormente alimentato da un uso sconsideratodella televisione. Perché un bambino dovrebbe creare un aeroplanino se gliene viene regalato unogià pronto e anche più bello? E’ un tipo di comodità che ha un prezzo alto.Non si può affrontarel’autunno senza prendere maggiore contatto con i nostri cari amici defunti. Nella novella “ La mor-te di Ivan Ill’ich “, Tolstoj ha illustrato in modo eccezionale le varie fasi attraverso cui passa il mo-rente. Quella che turbava maggiormente Ivan era la menzogna di coloro che gli stavano intorno,che fingevano di non sapere che stesse morendo ed egli stesso faceva finta di credere loro, ma dopola rabbia , la depressione, Ivan entra in una fase di pace interiore, di accettazione e consenso e, perla prima volta, ha un gesto di affetto nei confronti del figlio. La musica può fungere da ponte tra il mondo fisico e l’aldilà, essa facilita il distacco dal corpo epuò trasformare i processi di malattia e di morte in un’esperienza animica. La musicoterapia agisceanche nel postmortem. L’antroposofia non ha solo un aspetto contemplativo, ma è anche e soprattutto un movimento di-namico di attività sociale, artistica e di rinnovamento scientifico come c’è lo illustra l’articolo del-l’architetto Stefano Andi “ Flows Forms” , in cui ci presenta insieme ad un gruppo di personalitàattive nella ricerca cosa significa architettura “organica vivente”. Con quest’espressione Steinerintende un’architettura che si esprime attraverso forme, colori e illuminazioni quali giochi di ombrae luce in modo da creare uno spazio che rispecchi la personalità di chi vi abita. E’ un’architetturache mira a creare luoghi per vivere e lavorare che diano un supporto alla salute e al benessere psi-cologico. Il gruppo di professionisti “ Forma e Flusso” dello studio di Stefano Andi non si dedicanosolamente agli incarichi professionali, ma svolgono un importante lavoro di ricerca. Una ricercache ha messo in luce come l’architettura organica vivente sia in connessione e abbia origine dallegrandi correnti spirituali come per esempio le confraternite dei costruttori delle cattedrali di cui lostile Gotico ne è un grandioso esempio, con l’impulso religioso, sociale e politico dei Templari.

Artemedica sta rinnovando il suo sito e invitiamo i nostri amici lettori a dare nuova vita consultandowww.artemedica.it.

Paulette Prouse

DIREZIONE CULTURALEPAULETTE PROUSE

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NEWSLETTER ANTROPOSOFIA OGGI

n. 23 - Autunnoiscritta al tribunale di Milano al n. 773

registro stampa, il 12.10.2005

Direttore ResponsabileLucia Abbà

Direzione CulturalePaulette Prouse

RedazioneCristina Vergna

Grafica e CopertinaJoint Design sas

TraduzioniPaulette Prouse

In copertinaScuola di infanzia “La Libellula”

Novi Ligure - Alessandria

StampatoreMediaprint S.r.l.

via Mecenate, 76 - 20138 Milano

LA PUBBLICITÀ SU ARTEMEDICAÈ ECONOMICA E EFFICACE

unico concessionarioper la pubblicità

EDITRICE NOVALISvia Angera, 3 - 20125 Milano

tel. 02 67116249fax 02 67116222

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SOMMARIOForma e flusso pag. 4

La morte come passo di trasformazione pag. 8 La morte mi sveglia!E scopro il senso della vita pag. 18

Preghiera per i defunti pag. 22 Un’arringa per la terra pag. 24

Fare scuola in natura si può! pag. 28

Energia rinnovabile dalle infrastruttureLa soluzione c’è! pag. 32

Dermoriflessologia®

Una rivoluzionecos truttiva pag. 34

La casa è unospazio“sacro”:Il Genius loci pag. 38

Angelo: di nome e di fatto pag. 42

Il percorso dell’Eroenel Regno della Materia pag. 46

Libri pag. 48

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markus Treichler è natonel 1947 a Stoccarda; è stato a l l ievo d el laScuola Waldorf, è sposa-to e ha un figlio.Ha studiato teatro, filo-sofia, psicologia e medi-cina. Dopo l’Esame di

Stato e la specializzazione è attivo, quale medico,in psi-chiatria pediatrica e geriatria, medicina interna,neurolo-gia, psicosomatica e psicoterapia in diverse cliniche. Fin dai tempi dell’università è impegnato in un allarga-mento antroposofico e spirituale della medicina e dellapsicologia.Dal 1987 è responsabile della medicina psicosomatica,arteterapia ed euritmia alla Filderklinik, nei pressi diStoccarda. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni etiene seminari e conferenze nell’ambito della medicinaantroposofica, della psicoterapia e dell’arteterapia.Libri pubblicati: “Sprechstunde Psychotherapie. Krisen –Krankheiten an Leib und Seele. Wege zu ihrer Bewälti-gung“ (Stuttgart 1993); „Biographie und Krankheit“ (Hg.,

Stuttgart 1995); „Den Sinn des Todes fassen. Mut zur Be-gleitung Sterbender“ (Hg., Stuttgart 1996); „Mensch -Kunst - Therapie“ (Stuttgart 1996).Il nostro comportamento con un morente, la nostra di-sponibilità ad aiutarlo, o l’accettazione del suo stato di-pende anche dall’immagine che abbiamo della morte. Sela concepiamo solo come una conclusione, allora la mor-te e la perdita di una persona amata può diventare indi-cibilmente difficile. Se la prendiamo, però, come una tra-sformazione, la sua gravità può essere mitigata, e dentrodi noi può nascere la forza di trasformare il dolore e con-tinuare a coltivare una relazione con il morto.Nell’intervista che segue Markus Treichler descrive di-versi aspetti dell’incontro con la morte, nella sua vita per-sonale e nel lavoro alla Filderklinik. Parla delle fasi della morte, dei passi concreti dell’ac-compagnamento del morente e della elaborazione dellutto da parte di chi rimane in vita. Evidenzia che la comprensione del significato della mor-te come momento di trasformazione non è solo impor-tante per il nostro rapporto con essa e con il lutto, ma il-lumina la nostra vita.

NELL’INTERVISTA CHE SEGUE MARKUSTREICHLER DESCRIVE DIVERSI ASPETTIDELL’INCONTRO CON LA MORTE, NELLASUA VITA PERSONALE E NEL LAVORO ALLA FILDERKLINIK.TRATTO DA “CONFRONTARS I CON LA MORTE”QF5 DI EDITRICE NOVALIS

Intervista di Klaus-Dieter Neumann a Markus Treichler

LA MORTE COME PASSO

DI TRASFORMAZIONE

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Markus Treichler

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D. Qual è stato il Suo primo incontro con lamorte?Nel corso della mia vita ho avuto alcuni incontri con lamorte, che mi hanno toccato da vicino. Il primo è stato inoccasione della morte di mio nonno, che ho amato e ve-nerato molto. È stato, per me, il primo evento che mi hafatto riflettere coscientemente sul fenomeno della morte.Non ho pensato alla mia morte, ma mi sono occupato del-l’esistenza post mortem di mio nonno e di ciò che alloraera, per me, la vita spirituale. Presi intensamente co-scienza delle due diverse qualità della vita: da un lato lavita terrena che conduciamo fino alla morte e, dall’altro,la vita dopo la morte.

D. Quanti anni aveva allora?Avevo 25 anni. Mi sono occupato altre due volte in modocosì intenso della morte di una persona a me molto vici-na: quando morì un amico, a causa di un incidente, e ilsuicidio di un’amica. Queste tre esperienze furono, inogni caso, molto profonde e toccanti.

D. Lei è responsabile del reparto di medicina psi-cosomatica,arteterapia ed euritmia della Filder-klinik. Come viene confrontato con la morte nellasua attività di medico?Nel mio lavoro di psichiatra e psicoterapeuta la incontroin vari modi. Il primo è l’accompagnamento alla mortedelle persone fisicamente malate e morenti. A causa della loro malattia lottano con la morte, alla qua-le si stanno avvicinando. Il mio compito è, allora, quello di aiutarli ad andare in-contro alla morte, operando nella loro vita animicospiri-tuale, e a prepararli occupandomi insieme con loro di ciòche ne pensano, sentono, temono o sperano. L’accompa-gnamento alla morte è un aiuto al distacco dell’animicospirituale, che si annuncia con la malattia e con l’avvici-narsi della morte.Un altro aspetto, molto diverso, è il lavoro con personeportatrici di malattie psicosomatiche: persone depresse,stanche di vivere e a rischio di suicidio. Qui il compito consiste nell’aiutare queste persone adentrare di nuovo in relazione con la loro vita, a superare laloro paura e la loro debolezza e trovare, così, nuovo corag-gio. Un terzo aspetto è il lavoro con coloro che hanno per-so una persona cara, e non riescono a superare la perditae il lutto.Un quarto aspetto è l’ausilio psichiatrico e psicoterapeu-tico per le persone che, pur senza minaccia acuta di morte,vivono con la paura permanente di morire. Soffrono di tanatofobia al punto che non sanno più vivereveramente. La loro continua paura della morte toglie lorola possibilità di continuare a vivere, ed hanno quindi biso-gno di un aiuto psicoterapeutico.Questi sono i quattro aspetti essenziali della mia relazioneprofessionale con la morte da psichiatra e psicoterapeuta,come la incontro e come me ne occupo. La relazione con il morente e con i suoi cari, anche qualeelaborazione del lutto dopo la morte, è ogni volta un’espe-rienza speciale,e un incontro intenso con la morte.

D. Qual è il senso della morte e come lo si può co-gliereQuando si pensa alla morte si può pensare sempre ancheal senso della vita. È una domanda molto ampia, alla qua-le è difficile rispondere. A prescindere da tutto ciò che èindividuale nella vita e nella morte, ci sono anche aspetticomuni. Al riguardo direi che la morte è un momento ditrasformazione esistenziale, perché cambia la nostra vitaradicalmente. La morte conclude l’esistenza fisico cor-porea terrena e dà inizio alla vita dopo la morte, che pro-segue in maniera totalmente differente, perché non sibasa più sul corpo fisico materiale.

D. Se il senso della morte è quello di trasformarela vita, allora non si può capire, nella sua totalità,il senso della vita senza riconoscere la morte?Sì, questa relazione diventa evidente, se non si considerapiù la morte come compimento e termine, ma come pas-so di trasformazione, tramite il quale la nostra vita cam-bia radicalmente e totalmente, e lo fa in modo tale chenoi possiamo vivere, dopo la morte, in un’altra forma. Du-rante la vita terrena non abbiamo né idee concrete néesperienze di una vita dopo la morte, né ricordi della no-stra esistenza prenatale. Tuttavia esiste una stretta rela-zione, e portiamo molto della vita attuale nell’esistenzadopo la morte, così come abbiamo portato qualcosa dalleincarnazione precedenti e dalla vita spirituale tra la mor-te e la nuova nascita nella vita terrena di adesso.Sappiamo tutti che siamo nati, pur senza ricordarcelo,perché il nostro ricordo inizia più o meno nel terzo annodi vita. Naturalmente nessuno dubita del fatto che tuttigli uomini siano nati, perché possiamo osservare la na-scita di altre persone. Sappiamo, però, che anche questiprimi tre anni di vita, dei quali non ci ricordiamo più, pos-sono avere influssi decisivi sulla nostra personalità e sul-la nostra biografia. Oggi sappiamo persino che già primadella nascita, nella fase prenatale, hanno luogo esperien-ze essenziali.Accettiamo questa conoscenza, sebbene il nostro ricor-do non ci arrivi. E se non possiamo ricordarci di ciò cheè successo nei primi tre anni di vita e nei nove mesi digravidanza, e a quali influssi decisivi eravamo esposti, cipuò perlomeno sembrare possibile – e così è – che ci siaancora un periodo anteriore, di cui non ci possiamo ricor-dare, molto importante per l’evoluzione del nostro essere.La vita dopo la morte è un cammino a tappe, una salita euna discesa che porta di nuovo ad una esistenza prena-tale, ad una nuova nascita e una nuova incarnazione ter-rena.Anche prima dell’incarnazione attuale siamo passati at-traverso la vita tra la morte ed una nuova nascita. Non ciricordiamo di quel periodo. Dovremmo, però, essere in-tellettualmente onesti e, almeno ipoteticamente, partiredal fatto che esista questo periodo, e che abbia influenzemolto importanti sulla nostra personalità. Cogliere ilsenso della morte, perciò, significa accettare che esistaquest’altra esistenza, che è molto importante per lo svi-luppo dell’individuo e ha un notevole influsso sulla no-stra vita terrena e sulla nostra personalità.

Aspetti dell’incontrocon la morte

Cogliere il sensodella morte

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D. Quali conseguenze positive può avere, sullapropria vita, l’aprirsi alle esperienze della morte,ad esempio accompagnando una persona che staper morire?Quando si accompagna il morente si può imparare mol-to. Ciò vale anche nel caso di persone che non sono an-cora in agonia ma sanno, a causa della loro malattia,che si stanno avvicinando alla morte.Si può verificare in loro una percezione della vita più

intensa e più profonda e, soprattutto, si può vedere chele persone morenti e le persone gravemente malate, chesi avvicinano con coscienza alla loro morte, riescono adistinguere con molta più lucidità l’essenziale dalle co-se secondarie. Questo è molto importante. Se teniamo presente quanto raramente, nella vita quo-tidiana, ci poniamo la domanda sull’essenziale, quantopoco portiamo chiaro nella coscienza l’essenziale, losentiamo o presagiamo e poi, stando vicino al morente,vediamo come egli riesca bene a distinguerlo, alloraquesta è un’esperienza impressionante, che agisce an-che nella nostra vita.Qui i morenti sono migliori di noi, e questa esperienzapuò essere una sfida per noi. Quando parlo con un morente sento sempre che qual-cosa della domanda che il morente mi pone riguardaanche me: cos’è autentico in te? Cosa proviene solo daltuo mestiere, dalle cose che hai lette e studiate e checos’è, invece, davvero autentico? Il morente vive con ladomanda di ciò che è autentico in lui, di ciò che è statoessenziale nella sua vita, e cerca di scoprirlo e speri-mentarlo sempre più profondamente. E con questa esperienza esistenziale guarda anche glialtri. Tutto questo ci colpisce, e perciò si cambia ac-compagnando un morente. Per la propria vita questa esperienza è molto preziosa,

perché si viene interpellati sull’essenziale, sull’autenti-co nella propria interiorità. Ci si può arricchire molto.

D. Ci sono altre esperienze positive che vorrebbecomunicare?Ci sono molte qualità positive nell’esperienza di chi ac-compagna una persona che sta in punto di morte. Nondobbiamo pensare che gli possiamo insegnare qualcosa,ma dobbiamo permettergli di comunicarci qualcosa.Nell’incontro si ha, spesso, un sentimento quasi inspie-gabile di felicità, di sublimazione e di bellezza, e più tardisi sperimenta l’arricchimento che si è acquisito tramitequesta esperienza. Uno di questi effetti positivi è che sivede più chiaramente, si ha l’occhio più aperto per l’es-senziale. Le molteplici qualità di questo incontro si la-sciano difficilmente esprimere in parole.

D. Vuol dire che si accoglie con maggior luciditàla propria morte nella vita, come dicono le paroledi Angelus Silesius: “Chi non muore prima di mo-rire si perde quando muore.”?Sì, ma questo si può intendere in vari modi. Da un lato sipotrebbe capire che bisogna pensare sempre alla propriamorte ed essere costantemente coscienti che la vita ungiorno finirà. Ma questo lo ritengo relativamente impro-duttivo. Dall’altro lato si può intendere così – e così avràpensato anche Angelus Silesius – che il passo di trasfor-mazione che si compie con la morte, bisogna farlo giànella vita. Anche nella vita dobbiamo fare sempre passidi trasformazione, cambiamenti, commiati, esperienze dimorte. Ogni sviluppo contiene anche un’esperienza dimorte, dalla quale possiamo uscire trasformati. Acco-gliere la propria morte nella propria vita in questa manie-ra è certamente necessario per diventare coscienti; l’ac-compagnamento di una persona morente può esseremolto utile. Ma questo dipende molto dall’immagine cheabbiamo della morte.Perciò la dobbiamo vedere come trasformazione e noncome conclusione di qualcosa.

L’accompagnamento delmorente come lezione di vita

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D. Che relazione c’è tra conoscenza e morte?Questa è una domanda interessante, che rimanda a varilivelli. Se si prende la Genesi, la biologia, la psicologia ola neurofisiologia, dappertutto si trova l’affermazione dellegame che c’è fra la conoscenza e la morte. Nella Genesila relazione tra la conoscenza e la morte viene stabilitanell’ammonimento: “Se mangerai dall’albero della cono-scenza morirai” (Gn. 2,17). Questo non vuol dire soltantoche l’uomo diventa mortale, ma che incorporerà un pro-cesso continuo di morte, il quale è, a sua volta, la base peril processo di conoscenza. Ciò si esprime anche nella de-vitalizzazione del nostro sistema nervoso centrale. A dif-ferenza di tutte le altre cellule del corpo, le cellule cere-brali, formatesi nel periodo embrionale, non si moltiplica-no, non si dividono più. E nel corso della vita umana lecellule cerebrali muoiono gradualmente. Abbiamo abba-stanza cellule cerebrali perché questo processo di mortenon abbia delle conseguenze dannose, ma grazie al fattoche perdono la loro vitalità e forza rigeneratrice vienecreata la base della capacità conoscitiva. Solo tramitequesta rinuncia, cioè l’annullamento dei processi vitalinel sistema nervoso, è possibile la conoscenza. Siamodebitori della capacità conoscitiva al continuo processodi morte. Dalla biologia sappiamo che si può parlare dimorte di un essere solo quando si tratta di organismi chehanno sviluppato un sistema nervoso. Le piante possonomorire, ma continuano a vivere in altre piante. Non c’èuna morte individuale nel regno delle piante. E anche nelregno degli animali continuano a vivere organismi sem-plici, rinunciando alla propria esistenza tramite la divi-sione delle cellule. Ciò è possibile, però, soltanto negli or-ganismi animali più semplici. Tutti gli altri animali muo-iono di una morte specifica. E quanto più elevato e diffe-renziato è il sistema nervoso di un essere vivente tantopiù specifica ed individuale è la sua morte. Nell’uomo,che dispone del sistema nervoso più sviluppato come or-gano di conoscenza, la morte è la più individuale.L’uomo può lottare con la sua morte, e possiamo osser-vare in lui, nel processo di morte, trasformazioni del suoessere che non possiamo osservare nell’animale. Un ani-male può soffrire e noi soffriamo con lui, ma non puòcompiere gli stessi passi di trasformazione.

D. Cosa intende con l’espressione “morte dignitosa”?Se rispettiamo una persona nella sua dignità, significache la accettiamo con tutte le sue debolezze, difficoltà,speranze e paure, anche nel periodo in cui va incontro al-la morte e nel suo modo di lottare contro di essa. Permet-tere una morte dignitosa significa accettare senza con-dizioni né pregiudizi la persona com’è, mentre si avvici-na a quel momento, sia che lo accetti o che lo tema. Ciòsignifica anche mettere da parte tutti i buoni propositi divolerle insegnare qualcosa. Se vogliamo rispettare il mo-rente nella sua dignità, come minimo dobbiamo accet-

tarlo così com’è, senza voler qualcos’altro da lui. Nel mo-mento della morte questo è particolarmente importante,perché è un processo esistenziale ed irrepetibile. Al con-trario di molte altre situazioni della vita, quando arriva lamorte non possiamo dire che la prossima volta la vivre-mo meglio. Perciò si tratta, nell’accompagnamento delmorente, di esser consapevoli dell’unicità esistenzialedella situazione della morte, e tutto ciò lo esprimiamocon la nostra stima e il nostro rispetto. Se il morente hala possibilità di avere con sé una persona, un membrodella famiglia oppure una figura professionale che sia ve-ramente in grado di accettarlo completamente,questacertezza gli fa bene. L’accompagnamento alla morte do-vrebbe aver luogo con chiarezza, sincerità, e anche conuna certa naturalezza, senza routine, finzione o falsità.Non bisogna neanche essere falsamente tristi, ma ci sideve concentrare sulla situazione concreta che si vivecon quella persona. Ci possono essere momenti moltobelli ed allegri, che possono essere liberatori e sfatare ilpregiudizio secondo il quale attorno al morente ci debbasolo essere tristezza e depressione. Non deve essere co-sì. Bisogna avvicinare ogni singola persona con la piùcompleta apertura. Ecco cos’è una morte dignitosa dalpunto di vista umano. Nel modo in cui si incontra un mo-rente, si può sviluppare dignità.

D. Spesso con la formula “morte dignitosa” si vuoltenere il morente lontano dai dolori tramite medi-cinali, oppure gli viene somministrato un aiutoattivo o passivo alla morte. Cosa pensa di questainterpretazione?Se una persona debba essere liberata dai dolori, lo si puòcapire solo dall’incontro con lei. Se una persona desiderala liberazione dal dolore, se ne ha bisogno, si cercherà untrattamento adatto. È una misura sensata se parte dalcontatto con la persona. Se il morente non può più espri-mere la propria volontà diventa più difficile. Il concettodell’aiuto alla morte per me è problematico quando vieneapplicato alle misure che accelerano il processo di mor-te. Perché aiuto alla morte significa per me aiutare la per-sona morente nel cammino verso la soglia animico-spi-rituale, e sostenerla nella morte individuale. E ciò signi-fica accettare quello che accade durante il processo del-la morte, ed aprirsi a ciò che accade nella sua anima enella sua coscienza. Occuparsi dei processi corporei nonè la cosa più importante. E nell’accelerare il processo dimorte io vedrei persino il contrario dell’aiuto alla morte,perché la persona può non essere ancora pronta nel suoanimico-spirituale. Magari interiormente non ha ancoracompiuto le diverse fasi e i passi necessari, e le si potreb-be sbarrare il suo cammino di sviluppo accelerando il suoprocesso di morte corporea.

D. Elisabeth Kübler-Ross ha descritto cinque fasidella morte: 1. non accettazione ed isolamento, 2.rabbia e lotta, 3. trattativa, 4. depressione, 5. con-senso. Può chiarire queste fasi?Queste fasi sono abbastanza conosciute. Nella prima fa-se il morente non vuole accettare che la morte si avvici-ni. Rinnega, ad esempio, la gravità della sua malattia e

La relazione tra conoscenza e morte

Rispettare la dignitàdella persona morente

Le cinque fasi della morte

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gli insuccessi terapeutici, mentre la malattia lo isolasempre più dagli aspetti gradevoli della vita. Nella secon-da fase reagisce con rabbia ed aggressività all’idea di do-ver morire. Lo troverà anche ingiusto rispetto agli altri, chepossono continuare a vivere. Nascono, così, invidia e rab-bia. Poi viene la fase della trattativa, nella quale la personanon può più rinnegare la malattia, ma ha ancora la speran-za che tramite il suo atteggiamento o tramite un miracolodella medicina ci possa essere una svolta, e che la mortepossa ancora aspettare. Magari spera ancora in altre mi-sure terapeutiche particolari o implora interiormente uncambiamento, e così tratta, in quel periodo, con l’irrevo-cabile destino della sua morte. Siccome tutto questo nonsuccede, allora si rassegna: si sviluppa, nella quarta fasedel morire, una depressione. Adesso è cosciente che nullaè servito, e che ogni tentativo di tener lontana la morte èinutile. Tutto è perduto. Questa depressione può avere va-ri contenuti. Ripensando alla vita passata possono sorge-re sensi di colpa, tristezza per la perdita della bellezza del-la vita o anche paura di ciò che verrà. Ma viene il momentoin cui anche questa rassegnazione e depressione se nevanno, e il morente entra in una fase di pace interiore, ac-cettazione e consenso. Ha accettato il suo destino ed èd’accordo con la morte. Per alcuni questo succede soloimmediatamente prima della morte, per altri anche prima.In genere queste fasi sono individuali, di varia durata edintensità. Non necessariamente c’è una chiara delimita-zione. Queste fasi, che Elisabeth Kübler-Ross ha descrittoper la prima volta sistematicamente e che sono state con-fermate da altri ricercatori, non sono un’invenzione dellatanatopsicologia; si può leggere la loro descrizione giànella novella di Leo Tolstoj “La morte di Ivan Il’i”. Tolstojle ha illustrate circa cento anni fa in modo meraviglioso. Ilpoeta era cento anni avanti rispetto alla tanatopsicologiamoderna. Penso che questo libro sia ancora uno degli aiutimigliori per l’accompagnamento del morente.

D. Ogni uomo attraversa queste fasi?Non direi che ognuna di queste fasi si debba attraversa-re, anche perché esistono vari tipi di morte. Esistono lemorti improvvise, ad esempio le morti per incidenti, lequali strappano repentinamente le persone dalla vita.Poi esiste anche una grande differenza tra il morire in se-guito ad una grave malattia o per vecchiaia. Nella malat-tia grave credo che ognuno attraversi queste fasi, anchese chi le osserva non sempre le percepisce con chiarez-za. Il passaggio attraverso queste fasi fa parte piuttostodegli aspetti generali della morte, e la loro descrizione haimportanza soprattutto per i parenti, gli amici e le perso-ne che assistono un morente. Conoscerla aiuta ad inter-pretare meglio alcuni comportamenti del morente, e sa-perli trattare in modo più adeguato. Si pensi alle aggres-sioni del morente verso chi lo assiste. In esse si esprimeuna determinata fase del processo di distacco. L’essen-ziale è, però, come il morente attraversa queste fasi, cosapuò fare e come si può trasformare.

D. Cosa si fa nella Filderklinik concretamente perun morente?Guardiamo alla morte come passaggio dal fisico-corpo-reo alla vita spirituale, e ci impegniamo a prepararla inmodo adeguato. Rendiamo l’ambiente e tutta la situa-zione del morente calma e gradevole, in modo tale chesia isolato dal movimento e dalla frenesia che, a volte, siincontra in una clinica. Cerchiamo di creare le condizio-ni perché possa trovare la calma interiore. Ciò si esprimeanche nell’organizzazione della stanza, trasferendo glialtri pazienti. Qui può avere visite dei parenti, che pos-sono rimanere anche a lungo e dormirci. L’ambiente viene organizzato in modo tale da risultaregradevole per il morente e per i suoi parenti. Egli ha inol-tre la possibilità di fare i colloqui che desidera e che sonoimportanti per lui, quali quello con il medico o con il sa-cerdote. Facciamo anche la musicoterapica, grazie allaquale abbiamo avuto buoni risultati.Sperimentiamo, ogni volta di nuovo, che la musicotera-pica può fungere da ponte tra il mondo fisico e l’aldilà.La musica facilita il distacco dal corpo, e la trasformazio-ne dei processi di malattia e di morte in un’esperienzaanimica. Essa è specialmente adatta ad esercitare questiprocessi senza dover ricorrere a parole o concetti. Dopo la morte segue il trasferimento della bara in stanzeapposite.Anche durante questi giorni si può avere anco-ra un accompagnamento musicoterapeutico, e, natural-mente, la presenza dei parenti e del sacerdote. Questo tempo, fino al funerale, viene organizzato in ma-niera particolare, anche con la partecipazione delle per-sone quali medici ed infermieri, che si sono occupate deldefunto, così che qui si formi, ancora una volta, una co-munità di tutte quelle persone che alla fine della sua vitaebbero a che fare con lui. Le preoccupazioni per la persona non smettono con l’ul-timo battito del cuore, ma oltrepassano la soglia dellamorte, continuano nei giorni in cui si svolgono essenzialiprocessi di distacco e di trasformazione del morto. Que-sto è molto importante.

D. Qual è la Sua attività quale terapeuta nell’ac-compagnamento del morente?Varia. Non sempre sono i parenti ad interpellarmi qualepsichiatra o psicoterapeuta, spesso lo fanno gli altri me-dici, gli infermieri, il sacerdote. Nei casi in cui mi interpellano, e ciò avviene già primadel processo di morte, per accompagnare i malati gravi omorenti, faccio parte semplicemente del team come tuttigli altri.

Costruire dei pontiL’accompagnamento alla morte nella Filderklinik

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D. Oltre alla musicoterapica ci sono altri modi perandare incontro alla morte?Sì, ma questo dipende sempre dalla personalità del mo-rente. Penso, per esempio, all’accompagnamento reli-gioso, alla presenza dei parenti e delle persone che lo cu-rano ecc. Tutto ciò accade, naturalmente, in base a scelteindividuali. A seconda di come abbiamo conosciuto lapersona, cerchiamo di operare, insieme ai parenti, in mo-do consono ai desideri del morente.

D. Esistono errori tipici a contatto con i morenti?Sì, alcuni errori sono da rilevare. Secondo la mia espe-rienza un errore tipico, frutto della propria insicurezza, èquello di pensare di dover fare qualcosa e, quindi, caderein un falso attivismo che impedisce la quiete. Questi er-rori sono il risultato della propria inquietudine e paura,quando non si sa come ci si debba comportare con unmorente.Un altro errore è quello di dire luoghi comuni. Non si ar-riva ad un autentico incontro con il morente. Frasi fatte,verità lapalissiane, banalità e modi di dire sono gli erroripiù gravi che si possono fare nel dialogo con il morente,perché non si tratta di dire qualunque cosa, ma di essereveramente presenti come esseri umani. Bisogna esserepresenti con la propria vera essenza e presenza di spiri-to, perché è questa che il morente sente, e di questa habisogno.Non si deve agire o parlare sempre. Se si è davvero pre-senti allora si può essere fiduciosi che nel momento delbisogno si fa o si dice la cosa giusta. E così, qualche vol-ta, ci si avvicina al morente, gli si tiene la mano, gli si dicequalcosa. Si può dialogare anche nel silenzio, sentire ecapire ciò che lui vive. La bugia è, per il morente, una par-ticolare tortura

D. Nel libro: “Den Sinn des Todes fassen” (Stutt-gart 1996) Lei nomina, tra gli altri errori, la bugia.Anche nella novella di Tolstoj si dice che i parentihanno la tendenza a mentire alla persona morentee a nasconderle la gravità della malattia. Non con-siderano la morte, non hanno compassione e nonsi interessano. Questo è, secondo Tolstoj, un dolo-re particolare per il morente.Sì, è vero. Ci accorgiamo spesso che i parenti rimuovonola morte e dicono al morente cose che non corrispondo-no alla realtà. Anche nella pratica medica si conoscequesto fenomeno; i medici lasciano a lungo il morente al-l’oscuro della sua situazione, perché non lo vogliono op-primere e, magari, anche perché loro stessi non voglionooccuparsi della morte. L’esperienza mostra, e ciò emergeanche da analisi di Elisabeth Kübler-Ross e di altri ricer-

catori, che i morenti sanno spesso prima dei parenti chedevono morire. Allora, naturalmente, non è per loro asso-lutamente un sollievo quando gli altri ignorano la cosa;al contrario: così facendo si può fare molto male alla per-sona morente, perché essa si sente ignorata nel suo es-sere e nella sua dignità.Perciò è piuttosto un sollievo quando si parla della mortevicina o quando, con il comportamento, con lo sguardo oi gesti si dà da intendere che si sa che questa persona siavvicina alla morte, e che le si è vicini. Non bisogna ne-cessariamente esprimerlo verbalmente, ma il morente ei parenti sanno che ognuno di loro è cosciente della si-tuazione. Non si deve aver paura di parlare della morte.Troppo spesso si rimuove o si ignora la morte, e ciò famale al morente. Anche questo errore ha a che fare conla propria insicurezza, la propria paura e la propria imma-gine della morte.Bisogna trattare le persone prive di coscienza come sefossero presenti.

D. Al reparto di cure intensive i pazienti vengonospesso ricoverati privi di coscienza ed i medici,generalmente, hanno spesso a che fare con perso-ne in coma. Quali possibilità ci sono ancora ditrattare il morente in modo adeguato?I colleghi che lavorano nella medicina intensiva devononaturalmente, prima di tutto, agire per mantenere la vita,anche quando la vittima di un incidente viene ricoveratapriva di coscienza. Ed è importante che in questa situa-zione ci si apra, e non ci si nasconda dietro alla propriaattività, alle apparecchiature ed ai medicinali. I colleghidel reparto di cure intensive dicono che, nonostante tut-te le attività e gli apparecchi, è possibile percepire qual-cosa dell’essere di questa persona. Allora si può anchesentire, qualche volta, in quale direzione si andrà, se lavita potrà essere salvata o no. Queste percezioni posso-no rappresentare un aiuto decisivo per il lavoro succes-sivo. Quando ci si apre, il paziente emana qualcosa chesi può percepire e che aiuta. Naturalmente nel team cu-rante non sempre c’è sintonia, ma tramite lo scambio dipercezioni e giudizi, il team si mette d’accordo e prendele decisioni sulle prossime misure.

D. Jörg Batterle, che lavora come infermiere al re-parto di cure intensive della Filderklinik, descri-ve nel suo contributo al già nominato libro “DenSinn des Todes fassen”, che ci sono sempre casi dipersone risvegliatesi dallo stato di incoscienzache si possono ricordare delle percezioni avutedurante questo. Di conseguenza al reparto di cureintensive della Filderklinik si parla con i pazientiprivi di coscienza per illustrare le misure o le pro-cedure che si stanno attuando.Sì, è vero. Qui abbiamo avuto l’impressione che la co-scienza non è più localizzata nel corpo, come nel casodella normale coscienza nello stato di veglia, ma che

Errori tipicia contatto con i morenti

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qualcosa si sia staccato dal corpo e vada verso la perife-ria. Perciò la persona non sente più il suo corpo, ma puòancora percepire ciò che succede attorno, nella stanza.Ed alcuni ricordano veramente queste percezioni, chevengono confermate anche da chi era presente nellastanza in quel momento. Perciò è anche importante direche si è lì, e comunicare ciò che si vuol fare, perché lapersona percepisca questo da chi la circonda piuttostoche dall’attività dei medici e degli apparecchi sul suocorpo. Dobbiamo imparare ad occuparci di questa co-scienza periferica, libera dal corpo, che si manifesta neicasi in cui c’è stato già un allentamento delle membra edun inizio della liberazione dal corpo.

D. In relazione alla legge sul trapianto degli orga-ni, la definizione della morte dell’uomo ha avutoun ruolo importante. Quando è morto l’uomo?Bisogna partire dall’esperienza. Prima si stabiliva il mo-mento della morte sempre in relazione a parametri che siritenevano oggettivi: la cessazione del battito e del re-spiro, il raffreddamento ecc. Ciò si poteva percepirechiaramente e, naturalmente, è così ancora oggi. L’at-tuale discussione se l’uomo sia già morto quando è av-venuta la morte celebrale è finalizzata ad intendimentiprecisi. Il cervello è l’organo che muore per primo, ma sideve sapere che la sua morte è un processo iniziato findalla nascita. Poiché il cervello non ha una propria vita-lità, ma deve essere stimolato continuamente. Quandomuore il cervello siamo di fronte all’inizio del processo dimorte dell’uomo. Ma l’essere umano, con ciò, non è an-cora morto. Quando questo organo, che è sempre il piùvicino alla morte, muore completamente, allora l’uomo èmorente, e noi possiamo partire dal presupposto che an-che gli altri organi moriranno, ma ci vorrà ancora deltempo. E durante l’ulteriore processo di morte egli ha bi-sogno sostanzialmente di aiuto e di accompagnamento.Organi morti non si possono trapiantare.

D. In effetti gli organi di un essere umano possonoessere utilizzati per un trapianto solo se sono vivi.Sì, organi morti non possono essere trapiantati. È evi-dente che, allora, una persona non può essere completa-mente morta, quando le si vogliono prelevare gli organiper un trapianto. Il suo cervello è morto, ma gli organi de-vono essere vivi. Perciò si fa questa differenziazione e sidichiara la morte del cervello morte dell’uomo.

D. Ne consegue, allora, che un prelevamento di or-gani, dal punto di vista etico, potrebbe essere ef-fettuato solo in presenza di una precisa volontàdel donatoreQuesta sarebbe per me, chiaramente, la soluzione adatta.

D. Possono esserci dei problemi per una personamorente, oppure può nuocere al processo di mor-te, il prelevamento di un organo?Lo ritengo possibile. Questi nessi non sono stati studiatiabbastanza, ma sembra possibile, soprattutto se la per-sona non ha preso la decisione prima, dichiarando il suoconsenso alla donazione.

Quando è morto l’uomo

D. Il Suo punto di vista personale: donerebbe or-gani?In questo momento non vorrei né ricevere né donare or-gani. Posso rappresentarmi la possibilità che insorga,nella mia vita, una grave malattia. Questa possibilità laaccetto e, nel caso, non vorrei un prolungamento dellamia vita tramite il trapianto di un organo. Posso però ri-spettare che altri lo vogliano, e non intendo certo pole-mizzare con coloro che effettuano trapianti di organi. Peril momento non vorrei né donare né ricevere organi. Haa che fare con il mio sentimento ed il mio vissuto perso-nale il fatto di voler rinunciare al dono di un organo.

D. Prima ha già parlato dell’elaborazione del luttoda parte delle persone che rimangono. Qual è ilSuo pensiero fondamentale al riguardo?Ritengo importante che le persone che hanno perso unloro caro ricevano aiuto nel loro lutto. Soprattutto è im-portante che diano spazio al lutto. Bisogna comunicarloro che possono essere tristi, che non devono passaresopra il loro dolore o allontanarlo. Perché il lutto non èper nulla malsano,ma è sensato e positivo.

Permettere il luttoe trasformarlo

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D. Cos’è il lutto, se lo si vuole caratterizzare piùda vicino? Può descrivere lo stato di una personain lutto profondo?Il lutto, intanto, è un sentimento pesante ed oscuro, chenormalmente arriva inaspettato e si stabilisce nell’animadella persona. Entra nello spirito dell’uomo e scaccia lasua leggerezza, la sua gioia e il suo stato d’animo quoti-diano. Tramite il lutto, gli interessi si limitano e l’uomoviene riportato su se stesso e sulla ragione della sua tri-stezza. Siccome la perdita è una esperienza indubbia-mente reale, è importante vivere la ragione del lutto e deldolore per rendersi conto che il lutto ha a che fare con sestessi, ma anche con la persona perduta e con il rapportocon essa. Permettendo il lutto e le domande che esso fasorgere, si può arrivare molto più lontani nell’esperienzaanimico-spirituale e nella relazione con l’altra persona.Se però reprimiamo il lutto perché è doloroso e sgrade-vole, perché ci limita e ci ostacola nella nostra normaleallegria superficiale, allora rimuoviamo qualcosa che ciha toccati nel nostro intimo. E non può essere giusto serimuoviamo un avvenimento che ci ha toccati nella no-stra interiorità. In seguito ad un lutto rimosso, può com-parire qualcosa di pesante, cioè una vera depressioneche, allora, come malattia, rende evidente che la personacolpita non ce l’ha fatta da sola, ed ha bisogno di aiutoadesso. Il depresso ha bisogno di aiuto perché non è riu-scito a permettere il lutto e a comprenderne l’importan-

za, soprattutto in riferimento alla relazione col defunto.Trovare l’altro tramite il lutto. Tramite il lutto possiamoriconoscere qualcosa dell’altro.Quando si tratta di tristezza per una morte, è importanteche non restiamo con noi stessi e viviamo il lutto soloperché adesso siamo soli. Se restasse così sarebbe unlutto infruttuoso, egocentrico. Se attraverso il lutto ap-profondiamo una relazione, possiamo finalmente co-struire questa anche con una persona morta. Il lutto al-lora si trasforma in un rapporto col defunto. Non è neces-sario vestirsi di nero ed avere l’aspetto triste, ma si iniziaa sentire e a vivere ciò che vive il morto. Allora non stapiù al primo posto la perdita o la sensazione di essere ab-bandonati, ma c’è una trasformazione e un rinnovamen-to della relazione concreta con questa persona.

D. Ci sono varie fasi del lutto?Sì. Dapprima si vive il dolore. Poi si lotta contro di esso epossono apparire anche aspetti negativi. Alla fine tuttociò deve mutare e far sì che la relazione e l’essere dell’al-tro diventino sempre di più un’esperienza. L’ego non de-ve restare al centro del lutto. Secondo me queste fasi nondevono essere messe in relazione con una certa duratadi tempo. Ci sono esperienze che variano a seconda dellivello culturale, dell’età e della causa del lutto. Più im-portante è che si consideri il lutto come processo di svi-luppo, nel quale il dolore si trasforma e porta a riconosce-

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re l’individuo per il quale si è in lutto. Quando il lutto sitrasforma va bene. Se invece ci si irrigidisce e si resta fer-mi nel lutto allora è bene che qualcuno aiuti a superarlo.

D. Quali passi concreti possono essere d’aiuto?Può essere utile, ad esempio, quando ci si crea lospazio e l’occasione per ricordare l’indole di que-sta persona e le cose vissute insieme?È sicuramente bene ricordare la vita e le esperienze co-muni e tenerle vive nella propria coscienza. Così mi al-lontano da me ed è un passo importante verso l’altro.Non bisogna necessariamente fare questo passo da soli;spesso è più semplice rivivere il ricordo parlandone conaltri parenti o amici. Inoltre si può ricercare anche il col-loquio con un sacerdote, un terapeuta o un’altra personache tratti professionalmente questi problemi, e ricevereun ulteriore aiuto o impulsi per elaborare il lutto e trasfor-marlo.

D. Cosa succede se le persone non riescono a su-perare la morte di una persona cara?Nella maggior parte dei casi insorgono malattie depres-sive. Poi sono possibili altre malattie psicosomatiche,che sono in relazione agli stati depressivi. A seconda deltemperamento e del carattere della persona colpita, pos-sono assumere le forme più diverse, quando la perdita edil dolore non siano superati o vissuti in maniera adegua-ta. In ogni caso è utile, allora, un aiuto psicoterapeutico.Nella terapia si tratta, intanto, di condividere la situazio-ne e scoprire perché la persona è travolta nel suo abbat-timento, quali sentimenti prevalgono, perché non riescea superare il lutto, o perché non può essere in lutto. Ci si deve chiedere se hanno un ruolo determinati ricor-di, sensi di colpa, paure. Spesso nel vissuto delle personeche rimangono in vita hanno un peso eccessivo i sensi dicolpa, che non sono accettati o che non possono esseresuperati. Si tratta, dunque, di trovare ciò che ha portatola persona alla sua situazione disperata, portarlo a co-scienza, guardarlo in faccia ed elaborarlo. Pur con tuttala diversità delle ragioni individuali, il cammino dovreb-be condurre, allora, lontano dal proprio dolore, verso unarelazione reale con la morte.

D. L’uomo può entrare in relazione con il morto invari modi, sia tramite la preghiera o la lettura, siaponendogli delle domande. Il morto, da parte sua,è spesso vicino ai vivi e vorrebbe esprimersi, adesempio mediante i sogni. Conosce casi in cui imorti appaiono ai parenti e amici nei sogni e siesprimono?Sì, conosco molti casi, sia per esperienza diretta che inrelazione a pazienti che me ne parlano. È una possibilitàche dimostra come possa continuare ad esistere questarelazione. Questi sogni non sono insoliti e, soprattutto,

non sono patologici, ma sono l’espressione della relazio-ne intensa tra le due persone e che permane.

D. Conosce esempi di morti che sono intervenutinella vita dei loro cari, aiutandoli?Sì. Succede, ad esempio, che nei sogni si mostrino certesituazioni di vita che sono molto importanti per le perso-ne. L’avvenimento sognato, a volte, è la risposta alle pro-prie domande, può diventare un incoraggiamento o unammonimento. Può incoraggiare qualche decisione oevidenziare alcuni nessi ai quali non avevamo pensato.

D. Possono esserci illusioni, con conseguenze ne-gative?Dipende dalla persona. È possibile, ad esempio, che que-sti sogni occupino troppo spazio, che il tutto si renda piùo meno autonomo e che ci siano delle confusioni nellacoscienza e nell’esperienza della persona. Ciò vale nonsolo per i sogni ma anche per le esperienze con il mortonello stato di veglia. Anche lì possono apparire illusioni,immaginazioni e distorsioni. Bisogna tener conto che siesprimono anche i propri desideri, necessità e paure.Non sempre è il morto che si esprime in questi sogni opercezioni.

D. Come si può arrivare alla chiarezza nel giudizio?È difficile. Nel mio lavoro, in generale, mi astengo dal giu-dizio. Nel dialogo con una persona che ha questi sogni epercezioni, cerco di discuterne in modo tale da chiarireil significato e il contenuto di queste esperienze. Un giu-dizio da parte mia è necessario solo se queste esperienzehanno un carattere patologico evidente.

D. Si fa qualcosa per il morto se nel ricordo si riper-corre la sua vita e le esperienze vissute insieme?Se si rievoca la biografia del morto e la sua personalità glisi offre, in uno specchio terreno, un aiuto alla percezioneed alla conoscenza di sé. Il morto può, grazie ai pensieridei suoi cari, completare la sua conoscenza di sé. È digrande aiuto per il morto nel primo periodo della suanuova esperienza, durante la quale egli si occupa dellasua vita terrena e la porta a coscienza. ■

L’incapacità di esserein lutto

Sogni di morti

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Artemedica consiglia:

“LA MORTE DI IVAN ILL’ICH” DI LEON TOLSTOJ

“OSCAR E LADAMA IN ROSA”

DI ERICEMMANUEL

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Voi che vegliate sulle anime nelle sferedel cosmo, Voi che tessete la sostanza nelle animedel cosmo, Voi sorti dalla saggezza per agirenell’amore, Voi che proteggete l’essere umano resoallo stato di anima,Spiriti, guardate al nostro amore,ascoltate le nostre preghiereche desiderano unirsi al fiume dellevostre forze soccorritrici per megliopresentire lo Spirito ed irradiarel’amore.

Dallo Spirito proviene ogni esistenza,nello Spirito è radicata ogni vita,verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.

Dirigiamo verso le sfere spiritualiIl fedele amore che noi abbiamoconcepito per unire le nostre anime alla tua, caro…*Tu devi incontrare con amore i nostri pensieri allorché, dalla regioneluminosa in cui tu aleggi,il tuo desiderio si orienta verso le nostre animeper trovarvi ciò che tu attendi da esse;che il nostro amore, offerto a te, caro…*Si unisca a ciò che ora Ti avvolge,rinfrescando ciò che ti può bruciare,riscaldando ciò che ti può far gelo.Sollevato dall’amore, compenetratodi luce, sali verso le altezze.

Dallo Spirito proviene ogni esistenza,nello Spirito è radicata ogni vita,verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.

Ciò che vive nell’universo esiste solocreando in sé i germi di una nuova vita.

L’anima cede alla mortesolo per evolvere in uno slancioimmortale;va verso forme di vita senza posarinnovate.

Ricevono Angeli, Arcangeli, Archai,nel tessere dell’etere,la rete del tuo destino, caro…*Diventano essenza nelle Exusiai,Dynameis, Kyriotetes,nel sentire astrale del cosmo,le giuste conseguenze della tua vitaterrena, caro…*risorgono nei Troni, Cherubini,Serafini,come di loro essenza operosa,le azioni creatrici della tua vitaterrena, caro…*

Protettori della sua anima, guardianivigilanti, che la vostra ala portil’amore implorante delle nostre animeagli esseri umani che nelle sfere sono rimessi alla vostracustodia,affinché le nostrepreghiere unite al vostro potere soccorrano col loro irradiarecoloro che con amore esse cercano.

Dallo Spirito proviene ogni esistenza,nello Spirito è radicata ogni vita,verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.

Eleviamo il nostro sguardo verso di te,caro…*nel mondo spirituale in cui tu sei,caro…*che il nostro amore calmi ciò che ti può bruciare, che il nostro amoretemperi ciò che ti può far gelo, che esso ti penetri e ti assista,

Preghiera per i defuntidata da Rudolf Steiner

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mentre dalle tenebre dello Spiritotu ti avvii verso la luce dello Spirito.

Possano le nostre anime seguirti,caro…*nelle regioni spirituali,seguirti con l’amore che le colmavasulla Terra quando i nostri occhi tivedevano ancora.Possa il nostro amore essere unbalsamoper ciò che ti brucerebbe, per ciò che ti gelerebbe,possa esso vivere nell’unione chepermaneoltre il passaggio della soglia.

Nella luce dei pensieri cosmiciagiscono ora le animeche sulla Terra furono unite allanostra.

Che l’ardente vita del nostro cuore ti raggiunga come un soffio di caloreladdove tu puoi sentire freddo di frescuraLaddove tu puoi bruciare.Che i nostri pensieri vivano nei tuoi,caro…*Che i tuoi pensieri, caro…* vivano neinostri.

Ciò che vive nell’universo non esiste checreando in sé i germi di una nuova vita.L’anima cede alla morte solo perevolvere in uno slancio immortale; vaverso forme di vitasenza posa rinnovate.

Nel principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dioed il Verbo era un Dio.Egli era in principio presso Dio:

tutto è stato fatto per mezzo di Lui,e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In Lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini.

Alle origini era la forza del ricordo,la forza del ricordo deve diventaredivina, un essere divino.Tale sarà la forza del ricordo.Tutto ciò che nasce dall’Iodeve diventare tale da generarsi con il ricordotrasformato dal Cristo, trasfigurato da Dio.In Lui la luce splendente e levantesidal pensiero che si ricordailluminerà la tenebra del presente.Le tenebre di oggi possano afferrare la luce del ricordo diventato divino!

Ero unito a voi, restate uniti in me.

Parleremo insieme il linguaggio dellavita eterna;agiremo insieme laddove le azionihanno un effetto;vivremo nello Spirito laddove ipensieri umanisi incarnano nel Verbo dei pensierieterni.

Ex Deo nascimur In Cristo morimur Per SpiritumSanctum reviviscimus.

’Amen

*Qui si pronuncia il nome del defuntoo dei defunti