Georg Simmel - La Psicologia Del Denaro e Il Denaro Nella Cultura Moderna(32 Pp)

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Georg Simmel Il denaro nella cultura moderna a cura di Nicola Squicciarino Indice Introduzione: II fine non esclude i mezzi 7 (Nicola Squicciarino) II denaro: da mezzo a fine 11 II calcolo, il quanto come essenza dell'età moderna 17 Cultura oggettiva e cultura soggettiva 21 Economia dei mezzi e prostituzione 26 Conclusione 28 Psicologia del denaro 43 (Georg Simmel) II denaro nella cultura moderna 69 (Georg Simmel) Nota bio-bibliografica 97 Introduzione Il fine non esclude i mezzi «Il denaro non è che il ponte verso valori definitivi, ma su un ponte non è possibile avere dimora». (G. Simmel) «La Via del fare è l'essere». (Lao-Tse) Il saggio Psicologia del denaro, pubblicato nel 1889, è il primo scritto di Simmel sul denaro. Il testo, come ci riferisce Gustav Schmoller, suo professore a Berlino, è la relazione tenuta da Simmel ad un suo seminario, il 20 maggio 1889, e costituisce «il *germe» 1 della fondamentale opera simmeliana Filosofia del *denaro 2 . Lo stesso Simmel, in una lettera a Célestin Bouglé del 22 giugno 1895, comunica il suo intento di «elaborare quel saggio in un lavoro più *ampio» 3 . Ulteriori riflessioni sul denaro sono contenute in una sua conferenza del 1896, dal titolo Il denaro nella cultura *moderna 4 , in cui egli, in un'esposizione più discorsiva, riprende ed amplia parte della trattazione di Psicologia del denaro. Questi due scritti costituiscono gli abbozzi di vari importanti temi di Filosofia del denaro, infatti non vengono riportati integralmente in tale opera, come invece avverrà con i suoi successivi saggi sul *denaro 5 . La motivazione fondamentale che spinge Simmel ad occuparsi di un tema apparentemente così poco filosofico è il suo profondo interesse per la modernità. Egli riconduce allo sviluppo dell'economia monetaria l'origine del processo di formazione della società moderna, lo stile della vita moderna, immediatamente percepibile nella grande città, come testimonia anche il suo saggio La metropoli e la vita *mentale 6 , e di cui Simmel fa diretta esperienza in una Berlino che a fine 800 si trasformava rapidamente in metropoli. I suoi scritti sul denaro, a differenza degli studi fino ad allora compiuti su tale tema, non intendono essere contributi di economia politica, ma primariamente riflessioni di carattere filosofico, psicologico e

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Georg Simmel

Il denaro nella cultura moderna

a cura di Nicola Squicciarino

Indice

Introduzione: II fine non esclude i mezzi 7

(Nicola Squicciarino)

II denaro: da mezzo a fine 11 II calcolo, il quanto come essenza dell'età moderna 17

Cultura oggettiva e cultura soggettiva 21

Economia dei mezzi e prostituzione 26

Conclusione 28

Psicologia del denaro 43

(Georg Simmel)

II denaro nella cultura moderna 69

(Georg Simmel)

Nota bio-bibliografica 97

Introduzione Il fine non esclude i mezzi

«Il denaro non è che il ponte verso valori definitivi, ma su un ponte non è possibile avere dimora».

(G. Simmel)

«La Via del fare è l'essere».

(Lao-Tse)

Il saggio Psicologia del denaro, pubblicato nel 1889, è il primo scritto di Simmel sul denaro. Il testo, come ci riferisce Gustav Schmoller, suo professore a Berlino, è la relazione tenuta da Simmel ad un suo seminario, il 20 maggio 1889, e costituisce «il *germe»1 della fondamentale opera simmeliana Filosofia del *denaro2. Lo stesso Simmel, in una lettera a Célestin Bouglé del 22 giugno 1895, comunica il suo intento di «elaborare quel saggio in un lavoro più *ampio»3. Ulteriori riflessioni sul denaro sono contenute in una sua conferenza del 1896, dal titolo Il denaro nella cultura *moderna4, in cui egli, in un'esposizione più discorsiva, riprende ed amplia parte della trattazione di Psicologia del denaro. Questi due scritti costituiscono gli abbozzi di vari importanti temi di Filosofia del denaro, infatti non vengono riportati integralmente in tale opera, come invece avverrà con i suoi successivi saggi sul *denaro5.

La motivazione fondamentale che spinge Simmel ad occuparsi di un tema apparentemente così poco filosofico è il suo profondo interesse per la modernità. Egli riconduce allo sviluppo dell'economia monetaria l'origine del processo di formazione della società moderna, lo stile della vita moderna, immediatamente percepibile nella grande città, come testimonia anche il suo saggio La metropoli e la vita *mentale6, e di cui Simmel fa diretta esperienza in una Berlino che a fine 800 si trasformava rapidamente in metropoli.

I suoi scritti sul denaro, a differenza degli studi fino ad allora compiuti su tale tema, non intendono essere contributi di economia politica, ma primariamente riflessioni di carattere filosofico, psicologico e

*sociologico7. Nella prefazione a Filosofia del denaro Simmel scrive di voler «tracciare una linea direttrice che vada dalla superficie del divenire economico fino ai valori e ai significati ultimi dell'umano nella sua *totalità»8, e quindi alle conseguenze del denaro «sul mondo interiore, sul senso della vita degli individui, ... sulla cultura in *generale»9. Dal punto di vista metodologico egli si propone di «edificare un piano al di sotto del materialismo storico» in modo che la vita economica, pur essendo importante per chiarire il sorgere delle forme e dei contenuti della cultura, venga tuttavia considerata come «risultato dell'operare di valutazioni e di correnti più profonde i cui presupposti sono psicologici e, anzi, *metafisici»10. Il contenuto di Filosofia del denaro, in parte anticipato nei suoi saggi su tale tema, è una ricostruzione dell'esperienza della modernità nella forma di un'analisi delle implicazioni culturali della moderna economia monetaria, è uno studio sulla cultura del denaro che caratterizza la società moderna, in cui i rapporti reciproci fra gli individui, i valori, lo stile complessivo della vita sono definiti dall'interesse per il denaro.

Il denaro: da mezzo a fine

A differenza dell'animale i cui impulsi, legati esclusivamente al soddisfacimento immediato e meccanico della vita istintiva, non rimandano ad un momento ulteriore, l'essere umano, che «non è mai durevolmente *appagato»11, pone in continuazione dei fini, e quindi necessariamente costruisce degli strumenti ad essi idonei. Con il suo volere, infatti, egli può spingersi molto al di là dell'attimo, ma la realizzazione di tale volere può avvenire solo per via indiretta, attraverso una serie teleologica, o serie di fini, che diviene sempre più articolata e prolungata con lo sviluppo della civiltà.

Il processo finalistico implica un'azione reciproca tra l'io dotato di volontà personale ed il mondo esterno; l'agire umano, scrive Simmel, è «il ponte per il quale il contenuto del fine passa dalla sua forma psichica in quella *dell'effettività»12. Il concetto di fine è dunque un concetto, per sua natura, relativo, presuppone infatti sempre ciò che in sé è ad esso estraneo, uno strumento creato dall'uomo per il raggiungimento dei suoi scopi, che quindi è privo della relativa indipendenza propria del fine. Lo strumento sta ad indicare l'inserzione, tra il soggetto e l'oggetto, di un'istanza la cui posizione è «intermedia» non solo nella dimensione spazio-temporale, ma anche dal punto di vista del contenuto.

Il concetto astratto di mezzo raggiunge nel denaro la sua massima concretezza: questo, in quanto mezzo, «incarna, eleva, sublima la posizione pratica *dell'uomo»13. Il denaro è «la forma più pura di strumento», valido per i più differenti fini, nel quale l'individuo fa confluire le sue azioni per conseguire, attraverso questo «punto di *passaggio»14, quegli scopi che coi i suoi soli sforzi non sarebbero immediatamente raggiungibili. Riferendosi alla considerazione sempre maggiore attribuita al denaro, Simmel pone in evidenza come, sebbene il valore appartenga in sé alle mete ultime dell'agire umano, esso si sia esteso anche ai mezzi, vale a dire si è verificata una sua «espansione *psicologica»15 che ha consentito l'emergere della differenza tra valore assoluto e valore relativo. Il valore del fine ultimo, il cui raggiungimento conclude in modo definitivo un processo della volontà, è assoluto. Al contrario, il mezzo ha valore relativo, esso presuppone il valore assoluto e perde il suo valore nel momento in cui un altro mezzo si dimostra più efficace per il raggiungimento dello stesso scopo.

Tale partecipazione psicologica del mezzo al valore del suo fine fa sì che il mezzo possa assumere per la nostra coscienza il carattere di un valore definitivo, in se stesso appagante. Tale dato di fatto può tuttavia favorire la stessa realizzazione del fine ultimo. Se questo infatti, osserva Simmel, fosse continuamente presente alla coscienza si avrebbe un'inutile, insostenibile e paralizzante dispersione di energie che verrebbero sottratte al lavoro di messa in opera dei mezzi. «Spesso finiremmo per non avere più né la forza né la voglia di eseguire il compito del momento, se avessimo sempre davanti agli occhi, con conseguenzialità logica, la sua piccolezza nei confronti delle mete ultime e non riunissimo invece tutte le forze della nostra coscienza per metterle al sevizio di ciò che è temporaneamente *necessario16.

Simmel parla in proposito della presenza di un «fine *inconscio»17 che influisce, sebbene non se ne abbia coscienza, sull'agire umano, adeguandolo a determinate mete ultime. Egli afferma che, in assenza di forze disponibili in modo illimitato, dal punto di vista pratico, non c'è nulla di meglio, in considerazione dello scopo finale, che trattare il mezzo per giungere ad esso come se fosse il fine stesso, anche se ciò contrasta con la struttura logica. Mentre questa infatti considera il mezzo come qualcosa del tutto indifferente e pone l'accento sul fine, la finalità pratica invece comporta il diretto capovolgimento psicologico di questo

rapporto: «È impossibile dire quanto l'umanità deve ad un dato di fatto apparentemente così *irrazionale»18. La serie teleologica o serie dei fini non si conclude tuttavia una volta per tutte. Essa è una costruzione che non ha termine, in quanto ogni punto raggiunto viene vissuto come uno stadio preliminare verso qualcosa che è posto al di là di esso, come un «principio euristico *regolativo»19 in base al quale nessun fine singolo della nostra volontà va valutato come fine ultimo, ma al contrario per ciascuno deve essere mantenuta aperta la possibilità di diventare il gradino che porta a un fine più alto, di valere quindi come puro mezzo.

Con la crescente complessità della vita moderna diventa poi sempre più difficile il raggiungimento dei fini ultimi, e quindi si rende necessaria una infrastruttura sempre superiore di mezzi che però assor-bono a tal punto le energie che «le mete autentiche sfuggono completamente alla coscienza, anzi, alla fine, vengono spesso messe in *dubbio»20. Tale completa proiezione della coscienza verso il compito pratico della realizzazione dei mezzi, che caratterizza in maniera crescente l'epoca moderna, viene definita da Simmel «metempsicosi del fine *ultimo»21. L'esempio limite di un mezzo che diviene fine è rappresentato appunto dal denaro. «Mai un oggetto il quale debba il suo valore esclusivamente alla sua qualità di mezzo, alla sua convertibilità in valori più definitivi, ha raggiunto così radicalmente e senza riserve una simile assolutezza psicologica di valore, divenendo un fine ultimo che invade completamente la coscienza pratic22a»22. Simmel pone tale assolutizzazio-ne del denaro in stretta relazione con il mutamento delle tendenze storico-culturali, con il fatto che l'interesse economico generale non è più, come una volta, in funzione solo del consumo, ma è rivolto in modo essenziale alla produzione. In particolare egli sottolinea il dato nuovo e del tutto tipico del suo tempo, quello cioè che man mano che «i fini della vita soddisfacenti e definitivi dal punto di vista del loro contenuto si atrofizzano, prende il loro posto e si riveste della loro forma proprio quel valore che è esclusivamente un mezzo e niente di *più»23. In realtà il denaro viene sempre più percepito come «il valore di tutte le *possibilità»24, come mezzo assoluto in grado di congiungere infinite serie di fini, ed appunto per questo assume il significato psicologico di fine ultimo. «Aumentando il suo valore in quanto mezzo, aumenta anche il suo valore di mezzo, e, precisamente, ad un punto tale che il denaro vale come valore in senso assoluto e la coscienza del fine si arresta definitivamente in *esso»25.

In questo contesto egli pone in luce le importanti affinità psicologiche che il denaro presenta con l'immagine di Dio. Richiamandosi a Niccolo Cusano, che intendeva il pensiero di Dio come la coinciden-tia *oppositorum26 in cui viene raggiunta l'unità e la conciliazione di tutti i contrasti e contraddizioni dell'essere, ed a cui sono riconducibili la sensazione di pace, di sicurezza, di ricchezza onnicomprensiva che suscita il sentimento religioso, Simmel afferma che il denaro, trasformandosi nell'«espressione sempre più assolutamente sufficiente e [nel]l'equivalente di tutti i valori ... raggiunge un'altezza astratta al di sopra dell'intera e immensa molteplicità degli oggetti, e diviene il centro in cui le cose più opposte, estranee, lontane trovano un elemento comune, il loro punto di contatto». Proprio come Dio, il denaro, innalzandosi al di sopra di tutta la molteplicità e di tutti i contrasti, «induce a confidare nella sua onnipotenza come nell'onnipotenza di un principio superiore, capace in ogni momento di procurarci ogni singola piccola cosa e di potersi, in un certo senso, trasformare in essa». Partendo da tale affinità del denaro con la rappresentazione di Dio, Simmel accenna al particolare interesse degli Ebrei per l'essenza del denaro, per il valore cioè che, in campo economico, si presenta come «l'unità comprensiva e il vertice comune di tutte le serie dei fini», e che appunto viene posto in stretta relazione con la loro «formazione *monoteistica»27.

In tali considerazioni, in cui sono già abbozzati temi che Max Weber svilupperà successivamente, come quello del rapporto tra l'etica protestante e la genesi dell'economia *moderna28, Simmel pone in luce la «passionalità» che la «caccia *selvaggia»29 al denaro trasmette non solo alla vita economica ma alla vita in generale, e l'interiore sentimento di «appagamento» che suscita il possesso di ciò che è stato raggiunto e che egli considera affine allo stato d'animo religioso, alla pace dell'anima che viene conseguita solo quale premio per la travagliata ricerca di Dio. Egli riporta una citazione di S. Agostino che elogia la vita operosa, il negotium, come negazione dell'ozio, ossia del *male30, ma non certo il guadagno in denaro come meta ultima. Il denaro, nota Simmel, «diviene troppo facilmente un fine ultimo, conclude definitivamente per troppe persone le serie teleologiche e fornisce ad esse un grado così elevato e astratto di unificazione degli interessi, e di sovranità sui singoli particolari della vita, che attenua il bisogno di ricercare nell'istanza religiosa l'innalzamento di queste stesse *soddisfazioni»31.

Egli individua proprio in tale immediata percezione di «somiglianza formale e psicologica tra la più elevata unità economica e la più elevata unità cosmica», così come nel pericolo di «concorrenza» tra interesse per il denaro ed interesse religioso, le probabili ragioni della condanna canonica da parte dell'autorità ecclesiastica dell'interesse in denaro, con l'intento di colpire alla sua radice l'essenza stessa del denaro. La peccaminosità non riguardava il principio dell'interesse in quanto tale, nel Medioevo infatti si tentò di fissare l'interesse in merci, ma il fatto che l'interesse fosse «interesse del denaro e in denaro», ossia appunto «l'attività acquisitiva nella sua astratta *purezza»32.

Il calcolo, il quanto come essenza dell'età moderna

A fondamento del processo economico Simmel pone l'essere umano, definito «l'animale che pratica lo *scambio»33, vale a dire una delle primissime e più pure modalità di socializzazione umana. Ciò che consente di assegnare agli oggetti il significato di valore di scambio, ossia di valore economico, è che ciascuna delle due persone rinunci reciprocamente al possesso del proprio oggetto e desideri contemporaneamente quello dell'altro. Con l'introduzione della moneta metallica, il denaro diviene la rappresentazione del valore di scambio in astratto, indica il grado di scambiabilità degli oggetti, il loro rapporto di equivalenza, e declassa così l'aspetto individuale all'elemento generale comune. Attraverso il denaro la funzione dello scambio, ossia l'azione reciproca tra individui da cui trae origine l'unità sociale chiamata società, si reifica, «si cristallizza ... in una formazione a sé *stante»34. Il denaro infatti viene definito da Simmel «l'unico prodotto culturale che è pura forza, che ha rimosso da sé il portatore, divenendo assolutamente e soltanto *simbolo»35. La sua essenza è l'illimitata fungibilità che consente di poter sostituire ogni elemento con un altro elemento in base a considerazioni puramente quantitative. Il denaro rappresenta dunque la relatività degli oggetti economici, e questo spiega perché «Quanto più la vita della società risulta dominata dai rapporti monetari, tanto più efficacemente e chiaramente il carattere relativistico dell'essere si imprime a livello di *consapevolezza»36.

La sempre più diffusa espansione dell'economia monetaria introduce nella vita pratica un tratto psicologico tipicamente moderno, l'ideale della calcolabi-lità numerica, nettamente contrastante con la maggiore impulsività e ricchezza di sentimenti delle epoche precedenti. «L'esattezza, il rigore, la precisione nei rapporti economici della vita, che naturalmente influenzano anche gli altri rapporti, vanno di pari passo con la diffusione del *denaro»37. In realtà, nella vita di ogni giorno, la valutazione in denaro comporta l'esigenza di continue operazioni matematiche, di attività di definizione, di ponderazione, di riduzione dei valori qualitativi a valori quantitativi, porta a definire «in termini di *calcolo38 anche gran parte delle funzioni spirituali che regolano i rapporti individuali e sociali. Tale essenza dell'età moderna, «fatta di misure, di pesi, di conti esatti», viene definita «la più pura rappresentazione del suo *intellettualismo»39. Nei confronti del denaro non ci si chiede «che cosa» e «come», ma «quanto». Finché il denaro è semplicemente desiderato, il suo carattere quantitativo resta in secondo piano rispetto alla sua essenza generale sentita in certo qual modo qualitativamente. Solo il guadagno concreto del danaro, osserva Simmel, ci consente di cogliere «in modo puro dal punto di vista psicologico» la essenza o mancanza di essenza del denaro, il fatto cioè che -la sua qualità consiste esclusivamente nella sua *quantità»40. Poiché è il solo equivalente per tutti i molteplici oggetti, il denaro, esprimendo le differenze qualitative delle cose in termini quantitativi, è «*volgare»41, diviene «il più spaventoso strumento livellatore ... svuota irreparabilmente le cose del loro nocciolo, della loro individualità, del loro valore specifico e della loro *incomparabilità»42.

In Filosofia del denaro, come anche nel saggio La metropoli e la vita mentale, Simmel pone in particolare risalto la profonda affinità tra la natura del denaro e l'intelletto, la intrinseca connessione tra affermazione dell'economia di mercato e dominio dell'intelletto, di cui non nega anche i risvolti positivi, come, ad esempio, la maggiore facilità d'intendersi a livello intellettuale tra persone molto diverse, lo spirito più conciliante derivante dall'indifferenza nei confronti degli aspetti più personali della vita. Quando, come nelle epoche precedenti, il lavoro consiste in semplici serie di interessi, la cui meta può essere raggiunta con un numero relativamente piccolo di mezzi, la rappresentazione e il godimento dei fini ultimi è relativamente più frequente, i sentimenti prevalgono sull' intelletto. Nella società economicamente sviluppata invece il valore del denaro pervade tutto, il denaro «viene sentito ovunque come un fine, abbassando così a puri mezzi un'infinità di cose che hanno propriamente il carattere di essere fini a sé *stesse»43. Il valore monetario

trasforma gradualmente tutte le componenti della vita in mezzi, ponendo tutto in un'immensa connessione causale ininterrotta, in cui ogni cosa è relativa all'altra, è una sua condizione. Ne consegue che le vie traverse ed i preparativi per raggiungere i punti definitivi di appagamento dell'agire finalistico aumentano all'infinito, ed il fine immediato viene a trovarsi sempre più spesso al di là dell'immediatezza, anzi al di là dell'orizzonte stesso dell'individuo. Il mondo pratico, osserva Simmel, diventa così sempre più un problema dell'intelletto, vale a dire «gli elementi dell'azione che possono essere rappresentati divengono, oggettivamente e soggettivamente, legami calcolabili e razionali ed eliminano quindi sempre più ogni influenza dei sentimenti e ogni decisione di carattere *emotivo»44. Tale dato di fatto spiega la stretta correlazione, confermata dall'uso linguistico del termine «calcolatore» in senso di «*egoistico»45, tra l'intellettualità e P«affermazione sfrenata» dell'egoismo sul piano propriamente etico e dell'individualismo in campo sociale. Sembra del tutto «logico» che l'Io sia il fondamento, l'inevitabile interesse dominante, mentre le motivazioni proprie dell'altruismo appaiono come non naturali, secondarie, artificiali, ridicole, «sembrano derivare dalle forze irrazionali del sentimento e della volontà», vengono ironicamente considerate «prove di *stupidità»46.

L'intellettualità ed il denaro hanno in comune «il tratto della spregiudicatezza o della assenza di carattere» che è tipica di quelle esistenze che «vogliono soltanto guadagnare del denaro in un modo o nell'altro, spregiudicatamente, e perciò hanno tanto più bisogno dell'intelletto come funzione *generale»47. A differenza del carattere che àncora le persone e le cose ad un tipo di esistenza individuale, l'intelletto è lo «specchio indifferente della realtà», esattamente come il denaro che «in sé e per sé è il riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose e si offre ugualmente a tutte le *parti»48. Il valore centrale che il denaro assume nell'economia monetaria implica necessariamente un «appiattimento della vita *emotiva»49, un'equivalenza delle persone e delle cose, evidente, ad esempio, nelle transazioni in denaro. Tale tema è ulteriormente precisato in Sociologia, ove Simmel constata come la pura dimensione psichica dei rapporti fra gli esseri umani si oggettualizza nello scambio, e poi, nell'economia moderna, viene perfino sostituita dalla «relazione tra oggetti». L'azione reciproca personale scompare del tutto mentre «le merci acquistano una vita propria» in base al calcolo, e quindi un'autonomia nei loro rapporti, nelle compensazioni di valore. Gli esseri umani sembrano divenuti solo gli «*esecutori»50 delle tendenze allo spostamento e alla compensazione insite nelle stesse merci.

Cultura oggettiva e cultura soggettiva

Il moderno processo di produzione infatti non solo pone l'individuo dinanzi a prodotti a lui estranei, ma lo sommerge sempre più con una pressante e crescente offerta di beni di consumo. La tecnica, commenta Simmel, ci ha reso schiavi del processo di produzione ed anche dei prodotti, ossia dei mezzi. Il suo predominio comprende non solamente i singoli scopi, ma «il luogo stesso degli scopi, il punto in cui tutti gli scopi convergono», ossia l'anima. L'uomo moderno infatti «è allontanato, per così dire, da se *stesso»51, tra lui e la sua parte più vera, più interiore, si sono interposte delle barriere insormontabili di strumenti, di conquiste tecniche, di capacità, di consumi che Simmel definisce «catene che ci legano e che ci rendono indispensabili un'infinità di cose di cui si potrebbe, anzi si dovrebbe, fare a meno in vista del fine essenziale della *vita»52.

Il graduale perfezionamento della tecnica, scrive in Concetto e tragedia della cultura, grazie anche alla moderna economia, ha fatto sorgere un'offerta tale di merci superflue che, non essendo più create dai soggetti e destinate ai soggetti, si estraneano dalla loro origine, dalla loro meta, risvegliano «bisogni già di per sé artificiali e, dal punto di vista della cultura, privi di *senso»53. Questa emancipazione della tecnica dalle finalità culturali, a motivo della ■crescita abnorme dei mezzi che acquistano valore di *fini»54, determina, inevitabilmente, oltre che una sfasatura temporale, un crescente divario psicologico. Infatti, nei confronti di tale sviluppo degli oggetti, «il ritmo dello spirito soggettivo ha un ritardo che aumenta *rapidamente»55: all'avanzamento della cultura delle cose corrisponde dunque l'arretratezza della cultura delle persone. L'uomo diviene semplice «vettore della costrizione» della logica che governa lo sviluppo degli oggetti. Questa si rivela «incommensurabile» alla forma della vita personale, inadeguata alla crescita culturale del soggetto che viene così condotto «in un vicolo cieco o nel vuoto della propria vita *interiore»56.

Tale situazione problematica, drammatica, che caratterizza l'uomo moderno è determinata dal «predominio dell'oggetto sul soggetto», dal fatto che i prodotti culturali seguono una logica che non ha nulla a che fare con il loro fine culturale, dalla sensazione di «qualcosa di soffocante» che suscita l'essere circondati da una massa di cose che noi avvertiamo «come l'inutile aggravio della nostra vita con mille cose superflue, come la mera conoscenza o il mero godimento di mille cose che il nostro sviluppo non può assimilare e ne costituiscono piuttosto la *zavorra»57. La «*insensatezza»58 di tale sovvertimento teleologico, che porta al predominio dei mezzi sui fini, è la causa del fatto che «la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si sono impadronite del suo centro, di noi *stessi»59. La cultura oggettiva viene così a porsi come qualcosa di sempre più estraneo rispetto alla cultura soggettiva, e l'individuo, dinanzi all'abbondanza, al feticcio delle merci da cui è assediato, si sente minacciato dal pericolo di venir livellato e consumato proprio da quel meccanismo tecnico-sociale da lui stesso *creato60. Qui sta «la vera tragedia della cultura», nel fatto che le forze distruttrici dirette contro il soggetto non provengono dall'esterno, ma appunto dai suoi stessi strati più *profondi61. La cultura, precisa Simmel, sorge «quando si incontrano due elementi, nessuno dei quali di per sé la contiene: l'anima soggettiva e un prodotto spirituale *oggettivo»62. La lingua infatti «declassa» tutto quello che è completamente o relativamente esteriore, in cui manca una correlazione, una Sintesi63 tra oggetto e soggetto, a «mera "*civilizzazione"»64.

L'uomo moderno, sempre più succube di un processo di alienazione che invade tutto il suo essere, senza più ancoraggio interiore a qualcosa di certo, di definitivo, in un'accelerazione estrema del ritmo della vita e dei suoi mutamenti, vive «un cupo senso di tensione e di nostalgia senza meta», cela un'inquietudine, un «impulso irresoluto sotto la soglia della *coscienza»65, che lo inducono alla confusa ed ansiosa ricerca di un appagamento momentaneo in sempre nuovi stimoli, emozioni, attività esterne, e spiegano il forte fascino che egli prova per la forma dell'-oscillazione fra i poli estremi» tipica della «*nevrastenia»66. Nell'analisi simmeliana proprio il blasé è la migliore espressione del moderno tipo metropolitano di personalità dai nervi spossati, caratterizzato da forme nevrotiche di comportamento. Egli è il risultato, la più perfetta interiorizzazione del processo di livellamento, della riduzione cioè di tutto al comune denominatore del valore di scambio, a cui inevitabilmente conduce l'economia monetaria. Come il denaro, riducendo le differenze qualitative in differenze quantitative, spoglia necessariamente le cose della loro «individualità», della loro «coloritura-, così l'individuo che vive nella metropoli, sede dello scambio monetario, viene a tal punto stimolato a livello nervoso dalla concentrazione e acquistabilità delle cose che la pura intensificazione quantitativa degli stimoli si trasforma nel suo opposto, dando luogo a quel tipo particolare di adattamento espresso dall'atteggiamento del blasé, la cui essenza sta proprio nell'«ottundimento delle facoltà di discriminazione». Si sviluppa così, osserva Simmel, «un'incapacità di reagire a sensazioni nuove con l'energia richiesta ... i nervi trovano nel rifiuto a reagire alla loro stimolazione l'ultima possibilità di adattarsi ai contenuti e alle forme della vita metropolitana». La persona blasé, come il denaro, non percepisce le differenze, i distinti significati e valori delle cose che, di conseguenza, gli appaiono «in un tono uniformemente spento e grigio; nessun oggetto merita di essere preferito ad un altro». Si tratta della svalutazione dell'intero mondo obiettivo che inesorabilmente trascina la singola persona in un «pari sentimento di *futilità»67.

In Filosofia del denaro Simmel richiama l'attenzione su un'altra ragione, psicologicamente- rilevante, della mancanza di interesse, di attrattiva che caratterizza la percezione degli oggetti da parte del blasé. Non sono infatti solo gli stimoli esercitati dalle cose a motivare l'intensità del desiderio nei loro confronti, ma anche «il tipo e la misura dello sforzo pratico *richiesto»68, tutto ciò che viene messo in opera per conseguirle. Le aspirazioni individuali, le esigenze particolari, le rinunce necessarie a tal fine vengono per così dire «trasferite» nell'oggetto desiderato, divengono parte della sua essenza e perciò ne accrescono il fascino, il valore. Al contrario, «quanto più meccanico e indifferente in sé stesso è il modo in cui avviene l'acquisto dell'oggetto, tanto più l'oggetto appare sbiadito e privo di interesse», come nel caso appunto del blasé, convinto di poter ottenere tutto con il denaro. La sua indifferenza nei confronti delle specifiche diversità delle cose, la loro assenza di attrattiva su di lui, a cui viene sempre più a difettare la naturale capacità di eccitazione, determina paradossalmente la sua frenetica ricerca di attrattive sempre nuove, quella «smania ... di stimoli e di eccitazioni, di impressioni estreme e della massima rapidità nel loro *alternarsi»69. Un aspetto essenziale del suo atteggiamento, oggi largamente diffuso soprattutto tra i giovani, è quello di limitarsi ad una valutazione di ciò che è «stimolante in quanto tale», senza avvertire la necessità di chiarire «a che cosa

essa ci stimoli», una constatazione questa che costituisce un'altra e palese conferma di quel «rimanere impigliati nei mezzi» proprio della civiltà del *denaro70.

Economia dei mezzi e prostituzione

Un ulteriore e vistoso esempio della «insensatezza» determinata dal predominio dei mezzi sui fini è rappresentato dal fenomeno della prostituzione, a cui Simmel accenna già in Psicologia del denaro e su cui ritorna in vari scritti *successivi71. Egli scrive che ciò che rende «particolarmente ripugnante» la prostituzione, che esclude in sé qualsiasi coinvolgimento personale nel rapporto fra i sessi, è che avvenga «in cambio di un equivalente così assolutamente impersonale» come il denaro, il cui valore è «il meno individuale» che ci possa essere, «il più lontano dal contenuto specifico di ogni *persona»72.

Simmel sostiene che la prostituzione, sebbene sia un fenomeno antico quanto la storia della cultura, già diffuso presso i popoli primitivi, ove però la persona non era ancora chiaramente differenziata dalla specie, e presso culture più progredite come pratica di culto, con l'affermarsi dell'economia monetaria ha assunto un significato del tutto differente. Nella nostra cultura più evoluta, da una parte è constatabi-le una crescente differenziazione ed individualizzazione dell'essere umano, dall'altra il denaro assume un carattere sempre più impersonale, privo di qualità. Il denaro consente infatti di acquistare una infinità e diversità di oggetti, diviene il criterio di valore e l'equivalente di tutto, la cosa «meno personale» che ci sia nella vita pratica, ed è «perciò del tutto inadeguato a servire come mezzo di scambio per un valore così personale come il darsi di una *donna»73. In Filosofia del denaro Simmel, soffermandosi sulla riduzione al contenuto generico di tutte le differenze individuali operata dal denaro, parla di un'«analogia *fatale»74 fra l'essenza della prostituzione e l'essenza del denaro. Il carattere di rapporto del tutto momentaneo, tipico della prostituzione, basato su un bisogno sentito e soddisfatto istantaneamente, senza coinvolgimento delle forze interiori individuali, è espresso «nel modo materialmente e simbolicamente più perfetto» dal denaro che «una volta dato si separa in modo assoluto dalla personalità e tronca ogni ulteriore conseguenza nel modo più *netto»75.

Richiamandosi all'imperativo morale di Immanuel Kant che impone di non usare mai un essere umano come «puro mezzo», ma invece di riconoscerlo e trattarlo sempre come «*fine»76, Simmel sottolinea lo strettissimo legame tra la prostituzione e la moderna economia monetaria, cioè l'economia dei mezzi nel senso più vero del termine, e afferma che «di tutti i rapporti umani la prostituzione è forse il caso più pregnante di degradazione reciproca alla condizione di puro *mezzo»77. Nei suoi scritti, in cui il carattere poligamico della prostituzione, tipico della nostra cultura, viene strettamente collegato al potere essenzialmente mascolino del possesso del denaro, è più volte ribadito il netto rifiuto di tale riduzione della persona a «merce» che denota «disprezzo» e «ignoranza del valore della *persona»78. Il fatto che una donna, in cambio di una cosa così impersonale come il denaro, «getti via quanto ha di più intimo e personale», segna senza dubbio «il punto più basso della dignità umana», esprime «la più completa e penosa inadeguatezza» e «incommensurabilità» tra questi due *valori79, costituisce «il più profondo avvilimento della personalità della *donna»80.

Conclusione

Nonostante la severa analisi, Simmel non nutre nostalgie tardoromantiche per il mondo preindustriale e premoderno, né può essere considerato un rappresentante del Kulturpessimismus del suo tempo. Egli non rifiuta infatti l'economia monetaria, ma evidenzia la necessità di una sua umanizzazio-ne. In lui sono ben chiari l'interesse e l'ammirazione per la modernità, per il luogo, la metropoli, che della vita moderna ne è l'affascinante palcoscenico, ed anche per il denaro, a cui egli fa risalire questo mutamento *epocale81. Nelle ultime pagine di Sociologia, pur ammettendo gli «inauditi livellamenti» a cui ha condotto lo stile della vita moderna, ne riconosce tuttavia l'importante merito di aver favorito «la formazione del sentimento dell'io *personale»82. Lo stesso sviluppo della individualità personale viene agevolato proprio dal processo di differenziazione e razionalizzazione della economia monetaria, anche se, come si è accennato, è tuttavia da questa minacciato. Il processo di meccanizzazione, nota Simmel, oltre che avere un effetto socializzante, «potenzia ciò che rimane della proprietà privata dell'io spirituale verso un'esclusività tanto più *gelosa»83.

L'economia monetaria, egli scrive, è l'esempio più chiaro della «correlazione» tra l'ampliamento sociale e l'accentuazione individuale, congiunge la massima estensione del gruppo economico con la massima differenziazione dei suoi membri. Il denaro infatti, a motivo della sua facile trasportabilità, da una parte rende possibile l'intreccio di interessi di persone tra loro molto distanti, dall'altro determina un alto grado d'individualizzazione di colui che opera in campo economico.

A differenza delle modalità di retribuzione proprie dell'economia naturale, nell'economia monetaria il salario, ossia il possesso del denaro, consente all'uomo di essere «infinitamente più indipendente», gli da «una libertà di movimento prima inaudita», e, nella logica della concezione liberale, pone l'individuo in una «libera lotta di concorrenza» che lo costringe ad una «specializzazione *dell'attività»84. Simmel sostiene che la maggiore coscienza di sé che caratterizza l'operaio moderno è strettamente connessa con l'affermazione dell'economia monetaria, con il fatto che questi fornisce ora solo una prestazione ben precisa a cui corrisponde un equivalente in denaro. Egli non è più preso "in affitto", come avviene ancora nel caso dei domestici, «con tutta la sua persona», non si trova più in uno stato di non libertà, di soggezione totale ad altri simili, ma stipula un contratto in cui, in un rapporto di scambio, vende solamente la merce lavoro: «la subordinazione non è più di carattere soggettivo e personale, ma di natura *tecnica85». Il denaro inoltre, mettendosi tra le cose e l'uomo, libera quest'ultimo dal rapporto immediato con le cose, agevola il dominio su di esse, gli consente «un'esistenza per così dire astratta, una libertà dalla considerazione immediata per le cose e dal rapporto immediato con esse», e, surrogando in qualche modo l'ideale religioso di vita di una volta, rende possibile lo sviluppo della sua interiorità, di una «sfera di riservatezza della propria soggettività, ... un isolamento del suo essere più personale ... non in senso sociale, ma in un senso più profondo, *metafisico»86.

Il denaro, osserva Simmel evidenziandone il carattere ambivalente, si presta, come la lingua, ai più divergenti orientamenti del pensiero e del sentimento, è un'arma a doppio taglio, «è tanto simbolo quanto causa del livellamento e della esteriorizzazione di tutto ciò che si fa livellare ed esteriorizzare, diventa anche il custode del massimo livello di interiorità che può svilupparsi solo all'interno dei confini *personali»87. La specificità del denaro, e qui egli ci da la chiave di lettura della sua analisi dell'economia monetaria, sta appunto nell'«assenza di *specificità»88, la sua incidenza sullo stile della vita moderna, come fattore di emancipazione o di obiettivazione, di libertà interiore o di soggezione agli oggetti, 'dipende ... soltanto *dall'uomo89, il cui «destino eterno è di muoversi nel conflitto tra le esigenze poste direttamente dal fine e quelle poste direttamente dai *mezzi»90.

La filosofia, in quanto ricerca della verità, ha il compito di smascherare le menzogne e le illusioni, richiamando l'attenzione anche su un tema, il denaro, generalmente rimosso dalla riflessione, sebbene pervada il vivere *quotidiano91. L'epoca moderna è posta sotto il segno del denaro: sempre più questo è al centro dei desideri dell'uomo d'oggi, determina i suoi comportamenti, i suoi ritmi lavorativi così come la qualità del suo tempo libero. Il denaro diviene l'equivalente della felicità, acquisisce, a livello individuale e collettivo, il valore sommo della vita, la valenza religiosa di feticcio dei tempi moderni in grado di esorcizzare le paure umane, ed in nome del quale tutto è lecito, finanche uccidere i propri simili. L'avere, come fine a se stesso, porta inevitabilmente a condizionare in senso deteriore l'essere, soprattutto quando non trova più l'argine di coscienze psicologicamente, moralmente e religiosamente ben *formate92.

Simmel anticipa di oltre un secolo riflessioni ancora molto attuali sui rischi di una non-cultura dei mezzi che sta facendo scomparire la stessa coscienza di tale «insensatezza». L'esser mossi in misura crescente dagli stimoli esterni, sempre più incalzanti e nuovi, al godimento dei mezzi propri della civiltà del denaro, favorisce infatti una specie di ottundi-mento della capacità di interrogarsi sul senso dell'agire quotidiano. Andando oltre la constatazione di Friedrich Nietzsche, si potrebbe dire che oggi non solo «manca il fine, manca la risposta al "*perché?"»93, ma diviene forse sempre più rara la domanda stessa.

Nicola Squicciarino

Georg Simmel

Psicologia del denaro

Chi si esamini il contenuto del conoscere e quello dell'agire non mancherà di cogliervi la simultanea presenza di un elemento relativamente stabile e di un elemento relativamente fluido. Il primo è costituito dall'insieme dei singoli dati sensibili della nostra esperienza e dai fini ultimi della nostra volontà. Il secondo è invece costituito sia dai nessi causali grazie ai quali, attraverso un procedere ora analitico ora sintetico, ci portiamo al di là dell'aspetto esteriore di quei dati, sia dai mezzi con cui tentiamo di raggiungere i fini che ci siamo posti in modo sempre più preciso, ma sicuramente anche in modo sempre più indiretto. La realtà, così come appare ai nostri occhi, può scaturire da un'infinità di cause possibili e, mentre lo spirito la trattiene così com'è, la rappresentazione delle sue cause e delle cause delle sue cause si trova invece in un continuo flusso e processo di approfondimento. La metamorfosi dei nostri fini superiori è perciò estremamente lenta, questi sembrano immobili di fronte all'inevitabile ricerca dei mezzi e di fronte all'ininterrotto lavoro di fondazione e innalzamento dell'edificio teleologico.

È chiaro che il movimento teoretico e il movimento pratico formano in fondo un unico movimento e prendono direzioni opposte soltanto in base alla diversità dell'interesse e del punto di vista. Si possono individuare i mezzi per raggiungere un fine solo se si conoscono le cause che lo determinano. La consapevolezza teleologica dell'umanità si approfondisce perciò di pari passo con la sua consapevolezza causale. Ciò che chiamiamo progresso della cultura dipende proprio da questo approfondimento e, forse, nella stessa misura in cui dipende dalla scoperta di nuovi dati o dalla metamorfosi dei fini ultimi della nostra volontà.

La differenza tra condizioni primitive e condizioni civilizzate si misura sul numero degli elementi che si frappongono tra l'azione immediata e il suo obiettivo finale. Dove la catena delle cause e degli effetti è nota solo in parte e in modo frammentario, è necessario, per il raggiungimento di un fine, suscitare un fatto capace di realizzarlo in maniera immediata. Ora è però evidente che tale fatto molto spesso non è attuabile in modo diretto, e mentre in questo caso l'uomo primitivo deve rinunciare al suo fine, l'uomo più civilizzato si avvarrà di un procedimento attraverso cui potrà pervenire non già al fine stesso, ma a un qualche altro ève nto che a sua volta conduce verso il fine. Pertanto, la crescita delle istituzioni grazie alle quali l'individuò può raggiungere, almeno in modo indiretto, quei fini il cui conseguimento immediato è per lui difficile o improbabile, testimonia il progresso dello spirito pubblico. Ogni strumento che la forza della mano umana, per vie indirette e modificazioni, porta al raggiungimento di un esito che le sarebbe precluso con un intervento diretto sull'oggetto da formare, ogni istituzione giuridica che alla volontà dichiarata di una persona garantisce un seguito che la volontà non potrebbe mai ottenere con le proprie forze, ogni comunità ecclesiastica che attraverso l'unione dei molti apre al sentimento religioso una via verso l'alto e verso l'interiorità che il singolo non ritiene di poter trovare da solo - tutti questi sono casi tipici dell'approfondimento del processo teleologico cui da origine lo spirito pubblico quando la sproporzione fra ciò che l'individuo vuole e ciò di cui egli, come individuo, è capace, esige vie indirette che soltanto la collettività può rendere per lui percorribili.

Ogni mezzo di scambio da tutti riconosciuto come unico offre un esempio di questo ampliamento della catena teleologica. Se ogni traffico economico si basa sul fatto che io voglio avere qualcosa che per il momento si trova in possesso di un altro e che questi mi cede se gli do in cambio qualcosa che possiedo e che egli vuole avere, è anche evidente che in questo processo bilaterale l'elemento nominato per ultimo non si presenterà sempre quando appare il primo. Infinite volte desidererò l'oggetto a che si trova in possesso di A, mentre l'oggetto o la prestazione b, che cederei volentieri in cambio, è del tutto priva di interesse per A; oppure i beni offerti reciprocamente sono oggetto del desiderio di entrambe le parti, ma non è possibile raggiungere immediatamente un accordo sulle quantità in cui reciprocamente si corrispondono. Perciò, per raggiungere il massimo grado di realizzazione dei nostri fini è di estremo valore che venga introdotto nella catena dei fini un elemento intermedio, in cui si possa convertire b in ogni momento e che, a sua volta, possa nella stessa misura convertirsi in a, pressappoco come qualunque tipo di forza - quella dell'acqua che cade, del gas riscaldato, della pala di un mulino spinta dal vento - se condotta ad una dinamo, può essere convertita in qualsiasi forma di *forza94. Il mezzo di scambio universalmente riconosciuto diventa il punto di passaggio di ogni transazione onerosa bilaterale. Esso si rivela, come negli esempi suddetti, un ampliamento dell'agire finalizzato, proprio perché è un mezzo per ottenere in modo indiretto e mediante una pubblica istituzione oggetti desiderati, ma irraggiungibili da ogni sforzo rivolto direttamente ad essi. Come i miei pensieri

devono assumere la forma della lingua compresa da tutti, per favorire, attraverso questa via indiretta, i miei scopi pratici, così le mie azioni o i miei averi devono giungere alla forma del valore monetario per servire alla prosecuzione della mia *volontà95.

Tale caratteristica del denaro attiva il seguente tratto psicologico: una delle qualità dello spirito umano più ricche di conseguenze consiste nel fatto che semplici mezzi per uno scopo, in sé indifferenti - qualora abbiano sostato un tempo sufficientemente lungo davanti alla coscienza, ovvero qualora il fine cui sono rivolti sia molto remoto - finiscono per diventare essi stessi mete definitive. Il valore, che i mezzi originariamente traevano soltanto dal fine a cui erano destinati, si rende autonomo e aderisce loro non in modo indiretto, ma con immediatezza psicologica. È solo grazie a un processo di questo tipo che, ad esempio, ogni consuetudine esteriore acquista la forza di presentarsi come prescrizione etica in sé e per sé, mentre in origine era soltanto un mezzo o una condizione per obiettivi sociali più remoti. Certi filologi restano impigliati per tutta la vita nell'indagine delle più futili sciocchezze senza che il vero fine di questo sforzo mediatore, la conoscenza dello spirito di un'epoca o di un individuo, raggiunga mai la loro coscienza. Nell'attività di innumerevoli persone il perfezionamento della tecnica è diventato così fine a se stesso da far loro dimenticare del tutto le mete superiori cui ogni tecnica deve servire. È questo uno dei meccanismi più funzionali dell'organismo spirituale. Se dovessimo avere ogni istante davanti agli occhi l'intera serie teleologica che giustifica una determinata azione, la coscienza si frantumerebbe in maniera insopportabile. Il principio dell'economia delle forze implica forse che la coscienza dei fini si concentri proprio su questo stadio del processo teleologico lasciando dileguare il più lontano fine ultimo. Perché l'energia si raccolga sulla necessaria affermazione jdel mezzo, quest'ultimo deve innanzitutto dominare la coscienza in modo esclusivo.

Nell'intero tessuto dell'agire finalizzato dell'uomo non si da forse altro termine medio in cui questo tratto psicologico della trasformazione del mezzo in fine emerga in modo così puro come nel denaro. Mai si è trasferito in modo tanto completo su di un oggetto un valore che l'oggetto stesso possiede solo grazie alla sua traducibilità in un altro dotato di un valore proprio.

È interessante osservare come questa "interruzione psicologica" della serie teleologica non si manifesta soltanto nell'esplicita avidità di denaro e nell'avarizia, ma anche nel suo apparente contrario, nel piacere del puro spendere come tale, nella gioia di possedere più cose possibili, non per trarre vantaggio dalla specifica utilità per la quale sono prodotte, ma solo perché si vogliono "avere". La gente paragona queste nature ai *criceti96. Il fine ultimo razionale del processo teleologico non è che il piacere che deriva dall'uso dell'oggetto. I mezzi per raggiungerlo sono: 1. che si abbia denaro, 2. che lo si spenda, 3. che si possieda l'oggetto. La coscienza dei fini può fermarsi a ciascuno di questi tre momenti e costituire ognuno di essi in un fine autonomo, e per di più con tale risolutezza che ciascuno di questi contenuti può degenerare in modo maniacale. Non appena il denaro diventa fine a se stesso può mostrare ancora, in quanto tale, diversi livelli di autonomia psicologica. A causa della necessità, presente nella maggior parte della vita, di avere davanti agli occhi come obiettivo più prossimo il guadagno di denaro, può ben sorgere la convinzione che ogni felicità e soddisfazione definitiva dell'esistenza sia legata al possesso di una certa somma. Solo se il carattere di fine del denaro ha già assunto un determinato livello di stabilità si conferma questa convinzione e perdura il senso di gioia dato dalla consapevolezza di possedere una grande quantità di soldi. Se invece il suo carattere di fine è rimasto al di sotto di questo punto di cristallizzazione, sopraggiunge il fenomeno della noia mortale e della delusione che così spesso è osservabile negli uomini d'affari allorché, dopo aver messo da parte una certa somma, si ritirano a vivere di rendita. Costoro ora non sanno che farsene della gran quantità di denaro che possiedono. Col venire meno delle circostanze che inducevano la coscienza del valore a concentrarsi sul denaro, quest'ultimo si rivela nella sua vera natura di semplice mezzo, che diventa inutile e insoddisfacente non appena la vita viene a dipendere solo da *esso97.

Come una condizione di pura tranquillità in mezzo alle pene e alle angosce del mondo ci sembra spesso l'ideale supremo, come dimentichiamo che a mancarci non è tanto la tranquillità in sé e per sé, ma solo la tranquillità da e per determinate cose e solo in quanto presupposto di soddisfazioni positive, e come, perciò, una volta raggiunto questo apparente fine ultimo, la maggior parte degli uomini avverte molto presto un insopportabile vuoto e senso d'inutilità dell'esistenza, allo stesso modo si vendica il disconoscimento del carattere puramente relativo e condizionale del denaro, l'errore che il sistema mercantile ha mostrato, per

così dire, "a caratteri cubitali". Dove però la metamorfosi psicologica che ha reso il denaro fine a se stesso è stata sufficientemente radicale da durare per tutta la vita, sussistono le condizioni di una felicità completa. All'avaro infatti sono risparmiate le delusioni che seguono sempre il vero piacere, le inadeguatezze cui andiamo incontro non appena abbiamo superato le fasi che preparano l'acquisizione delle cose. Da un punto di vista psicologico i suoi piaceri devono essere simili a quelli estetici, che restano fermi al valore della pura forma delle cose e sono indipendenti dalle ombre e dalle imperfezioni del loro essere accidentali. Anche qui però si deve constatare un'ulteriore e più sottile differenza fra l'avaro che, nonostante allettanti possibilità di guadagno, a nessun costo si separa da ciò che ha già acquisito, e colui che se ne sbarazza a piene mani se in cambio spera in un profitto usurario. Nel primo il processo teleologico si è bloccato ancora prima che nel secondo. Il fenomeno psicologico opposto è osservabile in quegli individui particolari, ma non troppo rari, che senza esitazione regalano a qualcuno 100 marchi, ma solo esercitando una vera violenza su se stessi gli regalano un foglio della loro carta da lettere *personale98. Mentre l'avaro trascura che oltre il mezzo per acquistare le cose, cioè il denaro, vi è l'acquisto stesso delle cose e non si cura del loro valore, qui, viceversa, la coscienza si appunta solo sull'oggetto, senza pensare al mezzo con cui, in ogni istante, è possibile procurarselo di nuovo: a costoro importa solo il valore della cosa, all'avaro soltanto il valore della cosa.

La ragione del fatto che il denaro deve essere stato in origine un valore a se stante sta nel suo sviluppo storico. Infatti, finché la coniatura dello stato non ha garantito al singolo la possibilità di riutilizzare il compenso che riceveva per una merce, nessuno sarà stato così folle da cedere quest'ultima senza ricevere in cambio un valore reale. Il mezzo di scambio potrà essere tanto meno un puro mezzo di scambio quanto più incerta è la sua funzione come tale, ma sarà in questo caso maggiore il valore immediato che si pretende da esso. Il valore intrinseco del mezzo di scambio può diminuire nella stessa misura in cui aumenta la sua forza di scambio. Se dunque quest'ultima, grazie alla legittimazione che riceve dall'autorità pubblica, raggiunge il suo massimo, il valore intrinseco del mezzo può ridursi al minimo. D'altronde si è sottolineato che il denaro è un termine di misura di valori e che solo in quanto tale può costituire per questi un mezzo di scambio.

Tuttavia oggetti definibili quantitativamente possono essere misurati solo con oggetti dello stesso tipo: quantità spaziali solo con grandezze spaziali, pesi solo con pesi e via dicendo. Perciò, per stimare dei valori, il denaro stesso deve essere in ogni caso un valore e, per lo stesso motivo, non può scadere a criterio di misura solamente fittizio, a mera "moneta segno" indipendente dal rapporto con un bene reale.

Tutta questa controversia, se il denaro stesso sia un valore o solo il simbolo di un valore, un puro punto di passaggio di beni senza essere esso stesso un bene e se, qualora fosse tale, debba anche restarlo, mi sembra mostrare, quando la si porti avanti sulla base di principi e dogmi, una sorprendente noncuranza di momenti psicologici decisivi. Gli avversari della "moneta segno" - per riassumere in una parola l'intera corrente di pensiero - dimenticano infatti che i valori cui il denaro dovrebbe servire come criterio di misura, sono tali soltanto in senso psicologico, che non esiste alcun valore oggettivo in senso assoluto. Quest'ultimo esiste solo perché la volontà degli uomini desidera un certo oggetto a cui il valore inerisce così poco come proprietà oggettiva quanto il benessere che la luce del sole suscita in nervi organizzati in un certo modo inerisce alla luce stessa. Ogni oggetto ha dunque il valore che gli viene attribuito, e se solo fosse raggiungibile un sufficiente consenso nell'attribuzione del valore, allora non si riesce a capire perché un pezzo di carta stampigliata, non coperto da alcun valore tangibile, non debba avere per sempre un determinato valore di scambio. Non certo per conferirgli una proprietà di valore oggettivo, che lo porrebbe sullo stesso piano di ciò che definiamo tale e che, appunto, è diventato un valore solo attraverso il processo della volontà umana. Né il cibo né l'alloggio, né l'abbigliamento né i metalli preziosi sono valori di per sé, ma lo divengono solo nel processo psicologico della loro stima, come dimostrano i casi in cui l'ascesi o altri stati d'animo rendono del tutto indifferenti nei loro confronti. Se ciononostante non si intende riconoscere la "moneta segno" come valore in denaro, anche quando il suo valore di scambio è universalmente accettato, si commette lo stesso errore di quell'idealismo economico che intendeva riconoscere come "bene" soltanto ciò che corrisponde a un vero bisogno. Esso tuttavia non riconosceva come tale ciò che soddisfa i bisogni superflui o biasimevoli e ignorava ugualmente che ogni attribuzione di valore è solo un fatto psicologico e nient'altro e che perciò, laddove si verifica, deve semplicemente essere riconosciuta. Esistono sufficienti motivi che rendono auspicabile e irrinunciabile la connessione del valore monetario con i metalli preziosi, sufficienti ragioni che rendono irrealizzabili le condizioni di una "moneta segno". Non esiste tuttavia, in

linea di principio, il benché minimo motivo per cui un qualunque simbolo del denaro non debba svolgere le stesse funzioni dell'argento e dell'oro come strumento di misura del valore e mezzo di scambio, qualora la coscienza del valore si sia completamente trasferita in esso. Ciò è reso più che possibile da quel processo psicologico dell'innalzamento dei mezzi alla dignità di fine ultimo che in altri campi ha luogo centinaia di volte.

È evidente che un tale processo doveva verificarsi prima di tutto e nel modo più completo con un mezzo che, come il denaro, è indispensabile punto di passaggio per un grande numero di fini. Infatti, nella stessa misura in cui tanti fini hanno bisogno del denaro, questo diventa, in quanto necessario, talmente importante per la nostra coscienza, che il suo valore sembra oltrepassare quello di un semplice mezzo. A un simile esito si arriva tanto più facilmente quanto più disparati e remoti sono i fini che con esso si possono raggiungere. Questi infatti, nella loro diversità, si paralizzano reciprocamente e risalta così in una luce tanto più chiara solo ciò che a loro tutti è comune, il mezzo per la loro realizzazione. Ne derivano svariate conseguenze per la psicologia del denaro. L'avarizia dell'età avanzata, ad esempio, si spiega proprio col fatto che il mezzo comune a così tanti fini agognati durante la vita, con l'allungarsi di quest'ultima, assume necessariamente nella coscienza maggiore importanza e maggior potere. A ciò si aggiunge poi che molte mete e molte attrattive della vita vengono meno con l'età, mentre il valore con cui la loro precedente forza d'attrazione rivestiva i mezzi a ciò necessari, ha acquisito un'autonomia che lo lascia sussistere anche dopo che quelle sono scomparse.

Inoltre, se il denaro è il comune punto d'intersezione di diverse serie di fini, la quantità e la diversità di quest'ultime lo renderà sempre più incolore, e tale è, in effetti, il suo destino, poiché con lo sviluppo della cultura si possono acquistare in cambio sempre più cose diverse. Nel denaro si verifica, in un certo qual modo, un fenomeno psicologico d'interferenza, constatatale anche nelle persone molto versatili, impegnate nelle più disparate attività. Queste assumono facilmente l'aria di una certa mancanza di carattere, di una carenza di colorazione specifica che invece contraddistingue chi è motivato da un solo interesse predominante. Analogamente, la ricchezza qualitativa dei fini che convergono nel denaro pone questo, per così dire, in mezzo alle varie qualità e gli toglie quella determinata coloritura psicologica che qualcosa di univoco dovrebbe sempre avere. E ciò, in virtù di un processo facilmente comprensibile, si ripercuote sugli oggetti del traffico monetario. L'atteggiamento blasé dei nostri ceti benestanti è legato a questo fenomeno. Se il denaro diventa il denominatore comune di tutti i possibili valori della vita, se non conta più "che cosa", ma "quanto" essi valgono, la loro individualità diminuisce. Con la possibilità di riferirli a un termine di misura indifferente e ugualmente accessibile a tutti, essi perdono l'interesse che li collega a tutto ciò che è specifico e incomparabile. Per il blasé non c'è niente che a lui sembri impagabile e viceversa, chi crede di poter pagare tutto col denaro diventa inevitabilmente un blasé. Se il carattere di generale validità del fine ultimo psicologico fa spesso apparire prezioso solo /'oggetto che costa molti soldi, si capisce, proprio per questo, che per certe persone è dotato di valore soltanto ciò che non si può ottenere attraverso il denaro. Si tratta non di un rovesciamento, bensì di un potenziamento della stessa conseguenza psicologica del traffico monetario.

A un livello più alto, la mancanza di valore del denaro ha come conseguenza il fatto che fra le popolazioni primitive il modo di trattare le donne è peggiore là dove quest'ultime vengono comprate, mentre è relativamente migliore dove non le si acquista con un determinato compenso in denaro, ma con servigi resi personalmente dal pretendente ai genitori della sposa. Un dono in denaro è perciò la cosa più umiliante, quella che mortifica la persona nel modo più profondo. È tuttavia un fatto sorprendente che si possa accettare da un altro i massimi sacrifici - la vita, il dolore, l'onore e tutto il resto -senza sentirsi lesi nell'onore, ma non un dono in denaro. Può darsi che a ciò contribuisca quell'attività dell'anima che, volta in positivo, fa di necessità virtù: il denaro per la sua assenza di qualità può infatti essere restituito in tutti i casi, cosa che spesso è semplicemente impossibile con altre cose, ad esempio col sacrificio personale di tempo e di energia. Il senso dell'onore si è sufficientemente adattato alle ormai nuove situazioni da accettare tranquillamente, senza l'urgenza della restituzione immediata, ciò che immediatamente non è possibile restituire. Dal momento che il valore del denaro consiste esclusivamente nel quantum, esso può acquisire un carattere specifico soltanto grazie alla grande quantità che è riservata solo a pochi. Per questo nella sensibilità comune l'accettare denaro mortifica tanto meno l'onore quanto maggiore è la somma. E anche la frode di denaro - specialmente in piccole somme -viene considerata un crimine particolarmente volgare che

discredita socialmente l'autore più di quanto facciano azioni che testimoniano una bassezza morale molto più grave.

Il denaro è "volgare" perché è l'equivalente di ogni cosa; solo quello che è individuale è distinto, ciò che è uguale a più è pari alla più bassa di tutte le cose e trascina dunque anche quello che è più eccelso al livello di ciò che è più *basso99. Il caso però fa pendere talvolta a favore della collettività anche la stima monetaria delle cose più alte, come ad esempio la vendita delle cariche pubbliche da parte dei Borboni, che aprì ai ceti borghesi la via verso l'amministrazione statale, come pure, viceversa, la retribuzione degli impieghi che consente al talento privo di mezzi di essere valorizzato nel posto a lui adeguato. Il mondo classico, che fino ai sofisti ovvero fino all'età imperiale, non riconobbe o non volle riconoscere alcun compenso per le prestazioni spirituali o statali, bloccò in tal modo a innumerevoli talenti la possibilità della loro utilizzazione.

L'impersonalità del denaro consente anche una vasta estensione della beneficienza. Si suscita molta meno diffidenza in colui cui si regala del denaro di quanto non avverrebbe con opere di beneficienza più personali. Nella stessa direzione va pure, ad esempio, la frequente anonimità delle donazioni caritatevoli. Grazie ad essa può anche verificarsi un'azione aggregante e conciliante sui donatori. I successi del Gustav-Adolf-Verein sarebbero stati impossibili se il carattere oggettivo dei contributi in denaro non avesse cancellato le differenze confessionali dei contribuenti. Invece, una volta divenuta possibile, quest'opera congiunta di luterani, di riformati, di uniati ha svolto la funzione di un collante ideale e con ogni probabilità ha rafforzato fra tutti costoro il sentimento di comune *appartenenza100.

È interessante notare come il carattere seducente del denaro, convertibile in ogni istante in qualunque altra cosa, entri in conflitto con le conseguenze beneficile di questa sua impersonalità. San Francesco faceva sì mendicare al suo ordine cibo e vestiario, ma per nessun motivo denaro, nemmeno quando si trattava di aiutare malati e bisognosi. Dalla medesima essenza del denaro San Tommaso d'Aquino traeva invece la conseguenza opposta. Una concezione questa abbastanza significativa della sua maggiore esperienza e conoscenza del mondo. Anche se riteneva l'usura una cosa deplorevole, aggiungeva però che il denaro già guadagnato da altri con l'usura può diventare comunque un capitale da utilizzare legittimamente a scopi di assistenza e di beneficienza, poiché, sosteneva, possiamo in ciò imitare Dio che similmente piega i peccati degli uomini ai propri buoni fini.

Il carattere impersonale del denaro ha, inoltre, un'altra conseguenza psicologica che si diffonde grazie all'infinita estensione e all'infinito potenziamento della sua circolazione determinati dalla riduzione di tutti i valori ad esso. L'assenza di qualità del denaro porta infatti con sé l'assenza di qualità dell'uomo, inteso come colui che da e che riceve denaro. Ciò che si cede per denaro giunge al massimo offerente, indipendentemente da che cosa e da chi egli sia; ma quando entrano in gioco altri equivalenti, quando si aliena una proprietà per ottenere onore, un servizio o riconoscenza, si considera il modo di essere della persona a cui cediamo la proprietà. Viceversa, quando compro qualcosa col denaro, mi è indifferente da chi compro ciò che desidero e che vale il prezzo richiesto, mentre se acquisto qualcosa al prezzo di un servizio o dell'impegno personale, in un rapporto sia esteriore che interiore, allora esamino attentamente colui con cui ho a che fare, perché a una persona qualsiasi non voglio dare di me nient'altro che il denaro. L'avvertenza presente sui biglietti di banca che il loro valore è pagabile "a vista" al portatore è assolutamente tipica del carattere del *denaro101. Se nel traffico monetario una persona ha esattamente lo stesso valore dell'altra si deve esclusivamente al fatto che nessuna delle due, ma solo il denaro ha valore. Perciò è più che giusto affermare che nelle questioni di soldi cessa il sentimento: il denaro è l'oggettivo assoluto in cui ha termine tutto ciò che è personale. Proprio per questo il denaro non ha neanche una storia che appunto conferisce, nella nostra sensibilità, a ogni altro elemento di possesso il più diverso valore, tanto positivo, quanto negativo, spesso incomparabile. L'idea che vi sia denaro "macchiato di sangue" o "gravato da una maledizione" è una proiezione sentimentale ingiustificata che, con l'incremento del traffico monetario, si fa, inevitabilmente, sempre più sporadica; in tal caso si addice perfettamente il non olet.

È fuori discussione che proprio questa caratteristica del denaro, quale mezzo generale di circolazione, elimina dal commercio una grande quantità di ostacoli psicologici.

L'indifferenza del denaro - così estesa nella nostra epoca - da cui consegue anche l'indifferenza nei confronti degli oggetti, si registra appunto nei grandi magazzini caratterizzati dal fatto che tutte le merci hanno lo

stesso prezzo. In tal caso, il fattore decisivo che immediatamente condiziona l'acquirente e da senso all'acquisto, non è la merce nella sua peculiarità, ma la definizione del suo prezzo: lo specifico "quale" arretra sempre più a favore del "quan-tum" che è la sola cosa che interessa. La comprensibile conseguenza di tutto ciò è che si comprano sempre più cose solo perché costano poco senza curarsi della loro qualità. La stessa essenza psicologica del denaro determina tuttavia anche il fenomeno opposto. Molte cose vengono stimate e ricercate proprio perché sono molto costose; per lo più tutto il pregio di un oggetto dipende dal semplice fatto che possa essere ottenuto solo ad un particolare prezzo. Questo determina spesso un circolo vizioso nella definizione del valore: se l'offerente fa calare il prezzo cala anche la valutazione della merce e ciò abbassa ulteriormente il prezzo.

Già in passato questa natura del denaro ha avuto come conseguenza il fenomeno singolare che certe categorie di persone cui, a motivo del loro stato civile, erano preclusi a priori diversi obiettivi dell'aspirazione personale, come, ad esempio, i liberti romani, gli ugonotti di Francia, gli ebrei di tutto il mondo, si sono date in modo particolare al guadagno di denaro. Il denaro è il territorio neutrale che meno di ogni altro può essere loro precluso in modo efficace. Infatti, proprio per il suo carattere indeterminato, può affluire fino a queste categorie attraverso molti canali, nonostante continuino a restare loro inaccessibili quei canali diretti verso sbocchi diversi dal guadagno di denaro. D'altronde è comprensibile che tali categorie oppresse di cittadini concentrino tutte le loro forze sul guadagno di denaro, dal momento che proprio la sua posizione indifferente rispetto ai contenuti particolari dell'esistenza consente loro di procurarsi l'influenza e il piacere per i quali sono loro negati i mezzi specifici e diretti.

In un ambito l'onnipotenza del denaro si è senza dubbio indebolita rispetto al passato: la penitenza pecuniaria non ha più una diffusione così vasta. È noto come il diritto germanico antico facesse riscattare in denaro la pena per i crimini più gravi e come già nel VII secolo si potesse compensare mediante il denaro il digiuno religioso. Forse richiamandosi perfino alla ricompensa morale che già il Vangelo assegnava alla cessione della ricchezza, la separazione dal denaro era avvertita come qualcosa di così essenziale da potere riscattare con essa ogni altra cosa. Sotto tale duplice aspetto, come espiazione per l'offesa sia dell'ordine umano che divino, il suo valore è diminuito. Ma questa apparente eccezione conferma la regola. Il denaro smise di essere l'equivalente di rapporti del tutto eccezionali e particolari proprio perché a poco a poco si potevano avere in cambio sempre più cose: il denaro era diventato l'equivalente della maggior parte dei contenuti della vita. Il denaro non fu più in grado di compensare quelle esigenze morali e religiose non malgrado il fatto che con esso si potesse ottenere qualsiasi cosa, ma, al contrario, proprio perché ciò era diventato *possibile102. La degradazione del valore del denaro da un lato, lo sviluppo della coscienza morale dall'altro hanno portato congiuntamente alla scomparsa di quel fenomeno. D'altro canto, il fatto che così tanti valori della vita siano esprimibili in denaro ha consentito almeno al diritto penale di fissare per i propri scopi il concetto generale di frode, vale a dire danno arrecato a terzi mediante simulazione di fatti falsi: si punisce così come truffatore solo colui che in questo modo danneggia il patrimonio di un altro. Questo però mostra chiaramente che il denaro, sebbene sia l'espressione equivalente di molte cose, non lo è di tutte. La peggiore frode, quella che distrugge completamente la felicità della vita di una persona e che per tale caratteristica richiederebbe di essere perseguita penalmente, resta impunita (con l'eccezione del § 179 del codice di diritto penale *tedesco)103 proprio perché il danno arrecato riguarda i rapporti puramente personali e individuali e come tale si sottrae ad una valutazione mediante l'impersonale termine di misura monetario. Il sentimento dell'impersonalità del denaro è anche uno dei motivi per cui il sacrificio dell'onore femminile per denaro ci appare particolarmente spregevole. L'onore è infatti qualcosa di così personale da poter essere ricambiato in modo equivalente solo con lo stesso darsi dell'intera persona, in ogni caso senz'altro non con quel valore che è il meno individuale di tutti, il più lontano dal contenuto specifico della persona. Così colei che tuttavia cede quest'ultimo per denaro compie ed esprime il massimo avvilimento pensabile del valore della sua persona.

In generale si potrà affermare che la peculiare colorazione psicologica o piuttosto la perdita di colore che le cose ricevono dall'equivalenza con un mezzo di scambio del tutto anonimo, comporta, per così dire, una certa levigatezza, uno smussamento dei loro angoli acuti, che agevola e accelera la loro circolazione. È questo un aspetto di quel grande processo della cultura che trasferisce sia le realtà che gli ideali dalla forma della stabilità, dell'immutabil-mente fisso e del dato per sempre, a quella del movimento, del flusso eterno

delle cose, dello sviluppo continuo. Il fatto che al posto delle conoscenze assolute e a priori cui aspiravano epoche passate, si sottolinei sempre di più l'esperienza come unico mezzo del sapere, significa la trasformazione di un contenuto di pensiero che si voleva valido per ogni tempo in uno che sia capace di modificazione, accrescimento e correzione continui. Se le specie degli organismi vengono comprese non come eterni pensieri della creazione divina, ma solo come punti di passaggio di un'evoluzione che va avanti all'infinito e se, contemporaneamente, al posto di forme unitarie e immutabili di comportamento, si forma come ideale l'adattamento a condizioni mutevoli di sviluppo, se la fede metafisica in certe idee supreme, alla cui eternità soggettiva e oggettiva ci si atteneva, viene riconosciuta come esito variabile di processi puramente psicologici, se la fissità dei confini all'interno del gruppo sociale viene resa sempre più fluida, se le rigidità delle caste, degli obblighi corporativi, dei legami con la tradizione vengono infrante in ogni campo in modo che la persona possa, per così dire, muoversi più facilmente in mezzo alla varietà delle situazioni della *vita104, - allora sono questi tutti sintomi della stessa trasformazione etno-psicologica cui anche il denaro contribuisce in virtù della facilità del dare e del prendere che da esso trae origine, sia in forma diretta che in forma indiretta.

Come nel nóvta peì dei fenomeni perdura tuttavia una cosa, la legge, come al continuo mutare dei fattori resta costante il rapporto fra loro, simile al valore costante di una frazione il cui numeratore e denominatore cambiano continuamente al variare dei loro stessi multipli, così il denaro può essere considerato come punto fermo nel rapido succedersi degli eventi *economici105. Proprio come l'estrema varietà dei fenomeni fa risaltare la legge nel modo più chiaro, così il denaro, nella persistenza del suo valore, si rivela tanto più puro quanto più numerose e diverse sono le cose delle quali esprime l'equazione. Quanto più si libera da ciò che è materiale e dai suoi cambiamenti, tanto più il denaro si innalza come à%ivr|TOV ^i-voùv al di sopra di ogni singola cosa e diviene paragonabile, dal punto di vista conoscitivo, alla legge, che esiste tanto più pura e immobile, quanto più vari e mutevoli sono i singoli casi che essa governa.

Si è detto, in tono sia elegiaco che sarcastico, che il denaro sarebbe il Dio del nostro tempo. In effetti, fra questi due concetti apparentemente così opposti si possono rintracciare significative analogie psicologiche. Il pensiero di Dio trova la sua essenza più profonda nel fatto che tutte le varietà del mondo raggiungono in esso l'unità: secondo la bella espressione di Niccolo Cusano è la coincidentia opposito-rum. Dall'idea che in esso trovano la conciliazione e l'unità tutti i contrasti e le contraddizioni del mondo, scaturiscono la pace, la sicurezza, nello stesso tempo però anche la ricca quantità di rappresentazioni che aleggia intorno all'idea di Dio. Dopo quanto si è detto la sua somiglianza psicologica con la rappresentazione del denaro è chiara. Il tertium compara-tionis è il sentimento di pace e di sicurezza che il possesso di denaro appunto garantisce, a differenza di ogni altra forma di possesso e che, da un punto di vista psicologico, corrisponde a ciò che l'uomo devoto trova nel proprio Dio. In entrambi i casi l'oggetto desiderato ci innalza al di sopra della singola cosa, ci da fiducia nell'onnipotenza del principio supremo, in grado in ogni momento di procurarci ogni singola piccola cosa e, in un certo senso, di trasformarsi in *essa106. Proprio come Dio nella forma della fede, il denaro è, nella forma concreta, la massima astrazione cui si sia levata la ragion pratica.

NOTE

Georg Simmel

Il denaro nella cultura moderna

Se la sociologia volesse cogliere con una formula ciò che contrappone l'epoca moderna al passato e al Medioevo in particolare, potrebbe tentare di farlo con la seguente: nel Medioevo l'uomo si trovava in una condizione di appartenenza vincolante a una comunità o a una proprietà terriera, all'organizzazione feudale o alla corporazione; la sua persona era integrata in cerehie di interessi materiali o sociali le quali, a loro volta, acquisivano la propria fisionomia dalle persone che direttamente le sostenevano. Questa unità è stata distrutta dall'epoca moderna. Da un lato essa ha reso autonoma la persona dandole un'incomparabile libertà di movimento sia interiore che esteriore, dall'altro ha conferito ai contenuti materiali dell'esistenza

un'oggettività altrettanto incomparabile. Nella tecnica, nelle organizzazioni di ogni sorta, nelle aziende e nelle professioni dominano sempre più le leggi proprie delle cose le quali in tal modo si liberano dalla colorazione che ricevono dai singoli soggetti. Analogamente si tende sempre più a sopprimere i tratti antropomorfi della nostra immagine della natura per affidarli a una legge oggettiva. In tal modo l'epoca moderna ha reso soggetto e oggetto reciprocamente indipendenti, al punto che ciascuno di essi può trovare il proprio sviluppo nella maniera più pura e più completa. Il presente saggio tratta il modo in cui entrambi gli aspetti di questo processo di differenziazione vengono colti dall'economia monetaria.

Nella storia tedesca fino all'Alto Medioevo, il rapporto fra la persona e il suo possesso si manifesta in due forme caratteristiche. In epoche primitive la proprietà terriera era considerata competenza spettante alla persona come tale: la proprietà della terra derivava dall'appartenenza personale del singolo alla sua comunità di mercato. Già nel decimo secolo, però, questa concezione del possesso era scomparsa e, viceversa, l'intero diritto personale era venuto a dipendere dalla proprietà del suolo. In entrambe le forme comunque si manteneva uno stretto legame locale fra la persona e la proprietà. Nella consociazione di una comunità di servi dipendenti da una corte, ad esempio, dove la proprietà feudale di un intero manso dava diritto alla piena partecipazione, colui che ne possedeva uno, ma al di fuori dell'organizzazione legata alla corte cui apparteneva con la sua persona, era considerato pari a un non possidente. Chi invece possedeva un bene all'interno del territorio della comunità dei servi della gleba senza però esserne membro (liberti, cittadini, corporazioni e via dicendo), doveva nominare un rappresentante che rendesse personalmente omaggio al relativo signore dell'appezzamento e che assumesse i diritti e i doveri del consociato dipendente dalla corte. Tale unità fra persona e rapporti materiali, propria delle epoche a economia naturale, viene dissolta dall'economia monetaria che in ogni momento inserisce fra la persona e la cosa qualitativamente definita l'istanza del tutto oggettiva e in sé priva di qualità del denaro e del valore monetario. Rendendo il rapporto tra di loro mediato, essa crea una distanza fra persona e proprietà. L'economia monetaria ha differenziato a tal punto il nesso, in passato così forte, fra l'elemento personale e quello locale, che oggi posso ricevere a Berlino le mie entrate da ferrovie americane, da ipoteche norvegesi e da miniere d'oro africane. Questa forma di proprietà a distanza, che ora accettiamo come ovvia, è diventata possibile da quando il denaro si è affermato come fattore di divisione e di unione fra la proprietà e il proprietario. Il denaro crea infatti, da un lato, un'impersonalità dell'agire economico sconosciuta in passato, dall'altro un'autonomia e indipendenza della persona altrettanto forti. Il rapporto della persona con la consociazione si sviluppa in modo simile a quello che essa intrattiene con la proprietà. La corporazione medioevale includeva in sé l'uomo intero; l'arte dei lanatoli non era soltanto un'associazione di individui che curava gli interessi della manifattura della lana, ma una comunità di vita dal punto di vista tecnico, sociale, religioso, politico e da molti altri punti di vista. Per quanto concreti fossero gli interessi in nome dei quali si costituiva l'associazione medioevale, questa viveva immediatamente nei suoi membri, e questi ultimi si riconoscevano completamente in essa. A differenza di tale forma di unità, l'economia monetaria ha oggi reso possibili innumerevoli associazioni che pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse *monetario 107. Ciò consente da un lato l'assoluta oggettività degli intenti dell'associazione, il suo carattere puramente tecnico e il suo essere.svincolata da ogni colorazione personale, dall'altro libera il soggetto da legami restrittivi, perché adesso non è più unito al tutto come persona intera, ma essenzialmente attraverso il cedere e il ricevere denaro. Dal momento in cui l'interesse, diretto o indiretto, del singolo socio è diventato esprimibile in denaro, quest'ultimo si è inserito come uno strato isolante fra la totalità oggettiva dell'associazione e la totalità soggettiva della persona - così come si è inserito fra la proprietà e il proprietario - ed ha offerto a entrambi una nuova reciproca autonomia e capacità di sviluppo. Il culmine di questo processo è rappresentato dalla società per azioni, la cui azienda sta di fronte al singolo azionario in modo del tutto oggettivo e indipendente, mentre questi, dal canto suo, non partecipa affatto all'associazione con la propria persona, ma solo con una somma di denaro.

Grazie a questa impersonalità e assenza di colore, grazie a questa mancanza di carattere che distingue il denaro da ogni altro valore specifico e che, dovendo esso riscattare sempre più cose e cose sempre più diverse, è destinata ad aumentare con il progresso della cultura, il denaro ha reso incommensurabili servigi. Facendo sorgere l'azione comune di individui e di gruppi che in tutti gli altri ambiti sottolineano invece nettamente la loro distinzione e riservatezza, il denaro fa in modo che attraverso i contenuti della vita accessibili all'associazione si venga a creare una tendenza del tutto nuova. Mi riferisco qui a due esempi che

mi sembrano segnare con estrema precisione il confine reso possibile dal denaro fra l'unione degli interessi da un lato e la loro separazione dall'altro. Dopo il 1848 si formarono in Francia sindacati di associazioni di lavoratori dello stesso mestiere, caratterizzate dal fatto che ciascuna versava al sindacato il proprio fondo. Si creava così una cassa comune indivisibile, il cui scopo principale era di rendere possibili acquisti all'ingrosso, concessioni di prestiti e via dicendo. Tali sindacati però non dovevano affatto porsi come obiettivo l'unificazione delle associazioni che ne facevano parte. Ognuna di esse doveva invece mantenere la propria specifica organizzazione, evento questo particolarmente indicativo dal momento che a quell'epoca gli operai erano presi da una vera e propria frenesia associazionistica. Per rifiutare espressamente una fusione che si presentava, in questo caso, così ovvia, i motivi che li spingevano a questa reciproca riserva devono essere stati particolarmente forti. Trovarono tuttavia la possibilità di rendere operante l'unità dei loro interessi, unità che nonostante tutto esisteva, limitandosi a mettere in comune quel patrimonio in *denaro108. Così, i successi del Gustav-Adolf-*Verein109, la grande comunità di assistenza alle parrocchie evangeliche in difficoltà, sarebbero stati impossibili se il carattere oggettivo dei contributi in denaro non avesse cancellato le differenze confessionali dei contribuenti. Una volta divenuta possibile, quest'opera congiunta di luterani, di riformati, di uniati - i quali altrimenti non sarebbero stati indotti a nessun'altra forma di comunione - ha svolto invece la funzione di un collante ideale e ha rafforzato fra tutti costoro il sentimento di comune *appartenenza110. Si può addirittura affermare che la federazione sindacale, tipo di organizzazione pressoché sconosciuto al Medioevo, che in un certo senso unisce l'elemento impersonale dell'individuo a un'azione, è diventata possibile, con tutti i suoi enormi successi, solo grazie al denaro, il quale ci ha insegnato la possibilità finora unica di creare un'associazione con l'assoluta riservatezza per tutto ciò che è personale e specifico. Si tratta di una forma di unione assolutamente ovvia oggigiorno, ma che rappresenta uno dei più straordinari cambiamenti e progressi della cultura.

Quando lamentiamo la separazione e l'alienazione provocate dal traffico monetario non si deve perciò in alcun modo dimenticare quanto segue: mediante la necessità di essere convertito per ottenere in cambio valori concreti e definitivi, il denaro crea un legame estremamente forte fra i membri della stessa cerchia economica. Non essendo direttamente fruibile, il denaro rimanda ad altri individui dai quali si può ottenere in cambio ciò che è propriamente oggetto di consumo. Così l'uomo moderno è dipendente da un numero incomparabilmente maggiore di fornitori e di fonti d'acquisto di quanto non lo fosse il liberto fra gli antichi germani o il successivo servo della gleba. La sua esistenza si regge in ogni momento su centinaia di associazioni nate da interessi monetari senza le quali egli potrebbe sopravvivere così poco come l'organo di un essere vivente che fosse escluso dalla circolazione della linfa vitale.'

A questa complessità e crescita abnorme della vita moderna contribuisce soprattutto la nostra divisione del lavoro che allo stadio dello scambio in natura non si potè evidentemente sviluppare oltre i suoi insufficienti inizi. Come era possibile misurare i reciproci valori dei singoli prodotti se non esisteva un termine di misura comune a tutte le più diverse cose e qualità? Come poteva avere luogo lo scambio senza incontrare ostacoli e difficoltà, se non c'era un mezzo che livellasse ogni differenza, in cui si potesse convertire ogni prodotto e che potesse a sua volta convertirsi in ogni prodotto? Rendendo possibile la divisione della produzione, il denaro lega immancabilmente gli uomini gli uni agli altri, perché ognuno adesso lavora per l'altro, e solo il lavoro di tutti crea l'unità economica complessiva che integra la prestazione parziale *dell'individuo111. È dunque il denaro che crea in definitiva un numero incomparabilmente maggiore di legami fra gli uomini di quelli esistenti ai tempi delle organizzazioni feudali o delle unioni volontarie, tanto decantati dai romantici dell'associazionismo.

Il denaro, infine, ha prodotto per tutti gli esseri umani un livello vastissimo di interessi comuni che epoche a economia naturale non sarebbero state assolutamente in grado di promuovere. Mediante il denaro si sono costituiti un terreno di intesa reciproca immediata e un'uniformità di direttive destinate a contribuire in modo tanto straordinario al sorgere di quel concetto di universale umano che, a partire dal secolo scorso, ha avuto un ruolo di grandissima importanza. Lo stesso concetto fece la sua comparsa in maniera del tutto simile nella cultura dell'impero romano allorché quest'ultimo venne interamente permeato dall'economia monetaria.

Come chiaramente risulta da quanto è stato detto, e il denaro da vita ad una proporzione del tutto nuova fra libertà e vincolo; l'accentuata angustia e inevitabilità dell'associazione che esso determina hanno la specifica conseguenza di aprire all'individualità e al sentimento d'indipendenza interiore un margine di libertà

particolarmente ampio. Per quanto infatti nell'economia delle epoche passate l'uomo dipendesse da molte meno persone, queste poche erano tuttavia individui definiti una volta per tutte. Oggigiorno invece siamo generalmente molto più dipendenti dal fornitore, ma lo cambiamo tutte le volte che vogliamo: siamo cioè di gran lunga più indipendenti da ogni persona determinata. Un rapporto del genere non può che produrre un forte individualismo, in quanto non è l'isolamento a separarci dagli altri, bensì il tipo di rapporto che abbiamo con loro, privo com'è di riguardo per chi essi siano, anonimo e noncurante com'è della loro individualità. Questo è ciò che rende gli uomini reciprocamente estranei e sospinge ciascuno in se stesso. Rispetto ai periodi in cui ogni rapporto esteriore con gli altri aveva al tempo stesso un carattere personale, il sistema monetario rende possibile, secondo la nostra caratterizzazione dell'epoca moderna, una separazione più netta fra l'oggettiva azione economica dell'uomo da una parte e la sua colorazione individuale dall'altra, vale a dire il suo vero e proprio io che adesso rinuncia del tutto a quei rapporti, in grado com'è di rifugiarsi sempre di più nella propria interiorità.

Le correnti della cultura moderna sfociano in due direzioni apparentemente opposte: da un lato verso il livellamento, l'appiattimento, la formazione di cerehie sociali sempre più ampie grazie al legame, che si instaura alle stesse condizioni, fra le persone più lontane, dall'altro verso l'elaborazione delle istanze più individuali, verso l'indipendenza della persona e l'autonomia della sua formazione. Entrambe le direzioni si reggono sull'economia monetaria, che, mentre rende possibile l'esistenza di un interesse del tutto comune e ovunque attivo nello stesso modo, l'esistenza di mezzi di collegamento e di comunicazione, consente anche alla persona la massima riservatezza, individualità e libertà.

Quest'ultima conseguenza richiede un'ulteriore spiegazione. L'esprimibilità e la riscattabilità delle prestazioni in denaro è stata sentita da sempre come un mezzo e un sostegno della libertà personale. Il diritto classico romano stabiliva che colui il quale era tenuto a compensare una determinata prestazione potesse rifiutarsi di soddisfarla in natura e risolverla con un pagamento in denaro pari al suo valore, anche contro la volontà dell'avente diritto. In questo modo si dava la garanzia di poter riscattare col denaro tutti gli impegni personali, e, proprio in considerazione di ciò, tale disposizione è stata definita la magna charta della libertà personale nel campo del diritto privato. Nella stessa direzione ha avuto luogo sovente l'affrancamento dei servi. Gli artigiani servi di una corte signorile medioevale, ad esempio, conquistavano spesso la libertà innanzitutto riducendo, poi fissando e infine convertendo in una cessione di denaro i loro servigi. Così, quando, a partire dal tredicesimo secolo, le contee inglesi poterono sostituire con pagamenti in denaro i loro obblighi di reclutamento di soldati e operai, si ebbe l'impressione di un enorme progresso. Una delle più importanti disposizioni con cui Giuseppe II intese avviare l'emancipazione dei contadini consisteva nel riconoscere loro la facoltà, anzi il dovere di riscattare contributi in denaro corvées e prestazioni in natura. L'indennizzo della prestazione tramite cessione di denaro libera immediatamente la persona dalle catene specifiche impostele da quella stessa prestazione: l'altro non ha più diritti sull'azione personale diretta, ma solo sul suo esito impersonale. Nel pagamento in denaro la persona non da più se stessa, ma qualcosa che è sciolto da ogni intima relazione con l'individuo. Per lo stesso motivo, però, l'indennizzo monetario di una prestazione può avere anche un effetto degradante. La privazione dei diritti dei confederati di Atene iniziò quando questi cominciarono a sostituire i loro contingenti di navi e di equipaggi con pagamenti monetari ad Atene. Tale apparente liberazione dal loro impegno più personale implicò la rinuncia alla propria attività politica, al peso che si può rivendicare solo con l'esercizio di una prestazione specifica, con il dispiegamento di forze reali. L'incremento dell'economia monetaria fa spesso dimenticare che negli obblighi riscattati mediante il denaro si nascondono sovente diritti e significati meno evidenti che vengono contemporaneamente ceduti con essi.

La stessa duplicità di conseguenze che qui è connessa con la cessione di denaro vale anche per la sua acquisizione, cioè per la vendita. La conversione in denaro di una proprietà viene avvertita in un certo qual modo come una liberazione. Con l'aiuto del denaro possiamo fondere il valore dell'oggetto, prima costretto in un'unica forma, nella forma che ci pare; con il denaro in tasca siamo liberi, mentre prima l'oggetto ci rendeva dipendenti dalle condizioni della sua conservazione e della sua messa a frutto. Ma quante volte proprio questa libertà significa anche assenza di contenuti della vita e dispersione della sua sostanza! Per questo motivo la stessa legislazione che nel secolo scorso aveva prescritto il riscatto in denaro dei servizi contadini, vietava però ai signori la *liquidazione112 forzata del contadino stesso. Questi non sembrava

ricevere alcuna ingiustizia se il signore comprava a un prezzo equo i suoi diritti sul terreno (per inglobarlo nelle sue proprietà), ma per il contadino la terra nascondeva qualcosa di molto diverso dal mero valore patrimoniale. Ciò che egli perdeva cedendo il terreno per il suo valore in denaro era la possibilità di un operare utile, un centro di interessi, un contenuto che dava orientamento alla sua vita. Anche se le liquidazioni, frequenti nel secolo scorso, davano al contadino una libertà momentanea, gli toglievano ciò che non si può comprare e che innanzitutto da alla libertà il suo valore: l'oggetto stabile dell'attività personale. D'altro canto è proprio questo l'aspetto preoccupante di una cultura fondata sul denaro, come quella della tarda Atene, della tarda Roma e del mondo moderno. Potendo pagare e ottenere sempre più cose col denaro, che appare così come il punto fermo nel rapido succedersi degli *eventi113, si dimentica troppo spesso che anche gli oggetti del traffico economico hanno aspetti che non sono esprimibili in denaro e con eccessiva facilità si crede di possedere nel loro valore monetario il loro esatto e completo equivalente. Questa è senz'altro una ragione profonda del carattere problematico del nostro tempo, della sua inquietudine e della sua insoddisfazione. Nell'economia monetaria l'aspetto qualitativo degli oggetti perde importanza psicologica. La continua necessità di stimarli secondo il loro valore monetario fa apparire quest'ultimo come l'unico valore positivo, si vive ignorando sempre di più il significato specifico delle cose che, non essendo esprimibile in termini economici, per così dire, si vendica con quei cupi sentimenti, tipicamente moderni, quali la sensazione che l'essenza e il senso della vita ci scivolino continuamente via dalle mani, che le soddisfazioni definitive si facciano sempre più rare, che, in fondo, tutte le nostre fatiche non valgano la pena. Non intendo affermare che la nostra epoca si trovi già del tutto in una condizione interiore di questo tipo. Tuttavia, dove ciò si verifica, si ha sicuramente a che fare con la progressiva sostituzione dei valori qualitativi mediante uno puramente quantitativo, mediante l'interesse per un semplice "più" o "meno" — sono infatti soltanto i primi ad appagare i nostri bisogni in modo definitivo.

Di fatto anche le cose stesse vengono private del loro valore, nel loro senso più alto, dall'equivalenza con questo mezzo di scambio buono per qualsivoglia oggetto. Il denaro è "volgare" perché è l'equivalente di ogni cosa; solo quello che è individuale è distinto, ciò che è uguale a più è pari alla più bassa di tutte le cose e trascina dunque anche quello che è più eccelso al livello di ciò che è più *basso114. In questo consiste l'aspetto tragico di ogni livellamento: nel fatto cioè che conduce direttamente alla condizione dell'elemento più basso. Il più alto infatti può sempre scendere verso il più basso, quasi mai però il più basso può portarsi al livello del più alto. Così il valore più proprio delle cose risente dell'uniforme convertibilite in moneta dei beni più eterogenei, e perciò la lingua definisce a ragione come "impagabile" ciò che è veramente particolare e distinto. L'atteggiamento blasé dei nostri ceti benestanti non è che il riflesso psicologico di questo fatto. Dal momento che sono in possesso di un mezzo con cui, nonostante la sua anonima equivalenza, acquistano le cose più disparate e speciali e che per loro la domanda "che cosa vale" viene sempre più rimossa dalla domanda "quanto vale", la fine sensibilità per le attrattive più specifiche e individuali delle cose è destinata a regredire sempre più. Proprio questo è l'atteggiamento del blasé, il quale non reagisce più alle distinzioni e alle peculiarità degli oggetti con una corrispondente sfumatura della sensibilità e li percepisce invece tutti in una colorazione uniforme, perciò smorta e non più soggetta ad alcuna netta variazione.

Con il progredire della cultura, il denaro, riscattando un numero sempre maggiore di cose, assume sempre più tale carattere. Perde così il significato che aveva in passato in certi ambiti importanti: la penitenza in denaro, ad esempio, ha limitato il proprio raggio di diffusione. L'antico diritto germanico prescriveva l'espiazione in denaro dei crimini più gravi fra cui persino l'omicidio. A partire dal settimo secolo la penitenza religiosa potè essere sostituita col denaro, le leggi moderne invece limitano la pena pecuniaria ai crimini relativamente lievi. Non si tratta di un segno contro, bensì a favore dell'accresciuto significato del denaro: riscattando ora così tante più cose, ed essendo perciò tanto più privo di colore e di carattere, esso non può più servire a regolare rapporti del tutto particolari ed eccezionali, rapporti nei quali è necessario toccare l'essenza più intima della persona. Il denaro ha cessato di compensare quelle esigenze morali e religiose sulle quali si basava la penitenza ecclesiastica non malgrado il fatto che con esso si possa ottenere qualsiasi cosa, ma, al contrario, appunto perché ciò è diventato *possibile115. In questo fenomeno confluiscono, in modo singolare, due correnti fondamentali dello sviluppo storico. Il fatto che nella società primitiva fosse possibile espiare l'omicidio col denaro significa da un lato che l'individuo come tale non era ancora così importante nel suo valore, che egli non era ancora sentito così impareggiabile e insostituibile come invece avverrà in epoche più tarde, quando si distinguerà dal gruppo come singolo in modo più deciso ed individualizzato.

Dall'altro ciò significa che il denaro non era ancora divenuto così indifferente e così distante da ogni valore qualitativo. La progressiva differenziazione degli uomini e l'altrettanto progressiva indifferenza del denaro si congiungono e rendono dunque impossibile l'espiazione dell'omicidio mediante il denaro.

In una direzione analoga a questa levigatura e a questo deterioramento del denaro dovuti alla crescente cerchia dei suoi equivalenti, sfocia una seconda conseguenza, estremamente importante, del sistema monetario dominante. Il denaro, un semplice mezzo per ottenere altri beni, viene percepito come un bene autonomo sebbene tutto il suo significato stia nell'essere solo un passaggio, solo un elemento della serie che conduce a un fine e a un piacere definitivi. Da un punto di vista psicologico la serie si interrompe a questo stadio, la coscienza dei fini si arresta, al denaro. Giacché, per la grandissima parte della vita, la maggioranza degli uomini moderni non può non avere nel guadagno di denaro l'obiettivo più immediato del desiderio, sorge l'idea che ogni felicità e ogni definitivo appagamento dell'esistenza siano strettamente connessi al possesso di una certa somma. Da semplice mezzo e presupposto il denaro si trasforma per la coscienza in fine ultimo. Solo quando si conquista tale meta, sopraggiungono per lo più quella noia mortale e quella delusione che si manifestano nella maniera più evidente negli uomini d'affari allorché, dopo aver messo da parte una determinata somma, si ritirano a vivere di rendita. Col venire meno delle circostanze che inducevano la coscienza del valore a concentrarsi sul denaro, quest'ultimo si rivela nella sua vera natura di semplice mezzo e diventa inutile e insoddisfacente non appena la vita viene a dipendere solo da *esso116. Il denaro non è che il ponte verso valori definitivi, ma su un ponte non è possibile avere dimora.

Tale soffocamento dei fini da parte dei mezzi è uno dei tratti principali e uno dei problemi fondamentali di ogni cultura progredita. Quest'ultima ha infatti la sua essenza nel fatto che, a differenza delle condizioni di vita primitive, gli obiettivi degli uomini non sono più semplici, prossimi, raggiungibili con azioni dirette, ma a poco a poco diventano così difficili, complicati e remoti che per il loro raggiungimento sono necessari sia una struttura articolata di mezzi e apparecchi, sia un percorso indiretto e graduato di passi preparatori. In condizioni di vita culturalmente evoluta difficilmente il primo passo può portare alla meta. Un solo mezzo non basta, essendo anch'esso il più delle volte irraggiungibile in maniera diretta; è piuttosto una pluralità di mezzi, di cui l'uno è sempre sostegno dell'altro, a sfociare alla fine nella meta definitiva. Si fa così più immediato il pericolo di restare bloccati in questo labirinto di mezzi dimenticando, al di là di essi, l'esistenza del fine ultimo. Quanto più la tecnica - cioè il sistema dei puri mezzi e strumenti - diviene intricata, sofisticata e articolata in tutti gli ambiti della vita, tanto più la si percepisce come un fine ultimo in sé soddisfacente, oltre il quale non ci si interroga più. È in que-Sto modo che si sono stabilizzate tutte quelle consuetudini esteriori che in origine erano soltanto un mezzo per determinati fini sociali e che invece continuano a esistere come valori intrinseci, come esigenze a se stanti, mentre i fini originari sono stati dimenticati da tempo o sono diventati illusori. L'epoca moderna, particolarmente la più recente, sembra attraversata da un sentimento di tensione, di attesa, di spinta irrisoluta - come se l'avvento di ciò che è fondamentale e definitivo, del vero senso e fulcro della vita e delle cose fosse imminente. Questo è sicuramente l'esito emotivo del sopravvento che i mezzi hanno preso sui fini, dell'obbligo, cui ci costringe il nostro complicato sistema di vita, di costruire mezzi su mezzi, cosicché i fini veri e propri, cui essi dovrebbero servire, si allontanano sempre di più dall'orizzonte della coscienza al di sotto del quale finiscono per tramontare. Non c'è altro elemento in questo processo che abbia un ruolo così rilevante come il denaro, mai si è dato oggetto avente solo il valore di mezzo, che, per le generali condizioni di vita, si sia trasformato con tale vigore, perfezione e successo in una meta in sé appagante del desiderio, sia essa apparente o reale.

La posizione centrale che il denaro riceve dall'enorme aumento della cerchia di oggetti che consente di raggiungere, si ripercuote su molti singoli tratti del carattere della vita moderna. Il denaro ha spostato l'opportunità di soddisfare nel modo più completo i desideri del singolo a una distanza per costui di gran lunga minore e molto più seducente. Esso da la possibilità di ottenere subito, in un sol colpo, tutto ciò che generalmente appare desiderabile. Il denaro frappone fra l'uomo e i suoi desideri un gradino di mediazione, un meccanismo agevolante, e, dal momento che il suo conseguimento rende raggiungibili infinite altre cose, nasce l'illusione che queste si possano ottenere più facilmente del solito. Tuttavia, più ci si avvicina alla felicità, più ne aumenta il desiderio. Ad accendere la più grande nostalgia e la più grande passione non è ciò che sta assolutamente lontano e che ci è negato, bensì - come accade con l'organizzazione monetaria - quello che non si possiede, ma il cui possesso sembra avvicinarsi sempre di più. L'enorme desiderio di felicità

dell'uomo moderno che troviamo espresso in Kant non meno che in Schopenhauer, nella Socialdemocrazia non meno che nel crescente americanismo dell'epoca, si nutre evidentemente di questo potere e di questo successo del denaro. L'"avidità" specificamente moderna delle classi e degli individui, sia che la condanniamo sia che l'applaudiamo come stimolo dello sviluppo culturale, è potuta crescere perché ora esiste una parola chiave che concentra in sé tutto ciò che è desiderabile, un punto centrale che, come la chiave magica delle fiabe, basta conquistare per ottenere tutte le gioie della vita.

Così il denaro - e ciò è molto significativo -diventa il fine assoluto verso il quale, in linea di principio, si può tendere in ogni istante, a differenza di quei fini immutabili che non si desiderano sempre, né si possono inseguire in ogni momento. Ciò da all'uomo moderno un ininterrotto stimolo all'attività, egli ha ora un fine che si presenta subito come pièce de resistence non appena altri fini gli fanno largo ed è, potenzialmente, sempre presente. Da ciò derivano l'inquietudine, la concitazione, la mancanza di pause della vita moderna la quale ha nel denaro l'inarrestabile ruota che fa della macchina della vita un perpetuum mobile. Schleiermacher mette in evidenza come il Cristianesimo sia stato la prima religione a fare della devozione e del desiderio di Dio uno stato permanente dell'anima, mentre precedenti forme di fede hanno legato il sentimento religioso a determinate epoche e a determinati luoghi. Analogamente il desiderio di denaro è lo stato permanente dell'anima tipico di un'economia monetaria realizzata. Questo spiega perché lo psicologo non può assolutamente ignorare la frequente denuncia secondo cui il denaro sarebbe il Dio del nostro tempo e perché, al contrario, egli può senza dubbio soffermarvisi e scoprire delle analogie significative fra queste due rappresentazioni. Infatti è un privilegio della psicologia il non poter incorrere in atti blasfemi. Il pensiero di Dio trova la sua essenza più profonda nel fatto che tutte le varietà e le contraddizioni del mondo raggiungono in esso l'unità, nel fatto che tale pensiero è, secondo la bella espressione di Niccolo Cusano - spirito di straordinaria modernità alla fine del Medioevo — la coincidentia oppositorum. Dall'idea che tutte le cose estranee all'essere e tutte le sue contraddizioni trovano in esso l'unità e l'armonia, scaturiscono la pace, la sicurezza, la ricchezza onnicomprensiva del sentimento che aleggiano intorno alla rappresentazione di Dio e al fatto di *possederlo117! Indubbiamente le sensazioni suscitate dal denaro hanno nel loro ambito un'affinità psicologica con questa rappresentazione. Diventando sempre più l'espressione e l'equivalente assolutamente sufficiente di tutti i valori, il denaro si eleva a un'altezza di astrazione tale da sovrastare tutta la vasta molteplicità degli oggetti e costituire il centro nel quale le cose più antitetiche, estranee e lontane trovano il loro elemento comune fino ad arrivare a toccarsi. Così anche il denaro assicura di fatto quell'innalzamento al di sopra della singola cosa, quella fiducia nella sua onnipotenza come nell'onnipotenza di un principio supremo capace in ogni momento di procurarci ogni singola piccola cosa e di trasformarsi a sua volta in *essa118. Tale sentimento di certezza e di tranquillità procurato dal possesso di denaro, questa convinzione che esso sia il punto d'intersezione dei valori, contiene, in senso puramente psicologico, per così dire formale, l'equazione che da a quella deplorazione del denaro quale Dio del nostro tempo la sua più profonda ragione.

Dalla stessa fonte derivano tratti diversi e più in ombra del carattere dell'uomo moderno. L'economia monetaria comporta la necessità di continue operazioni matematiche nei rapporti quotidiani. La vita di molti uomini è piena di questo definire, soppesare, calcolare, ridurre valori qualitativi a valori quantitativi. Ciò contribuisce sicuramente all'essenza intellettuale e calcolatrice dell'evo moderno a fronte del carattere più impulsivo, totalizzante e sentimentale di epoche del passato. A motivo del penetrante imporsi della stima monetaria, che ha insegnato a determinare e a specificare ogni valore fin nelle sue minime differenze, sono subentrate nei contenuti della vita in generale un'esattezza e una definizione dei limiti di gran lunga maggiori. Quando le cose vengono pensate nel loro immediato rapporto reciproco — senza essere ridotte al comune denominatore denaro - ha luogo molta più approssimazione, molto più confronto di unità contro unità. L'esattezza, la rigorosità, la precisione nei rapporti economici della vita, che naturalmente toglie il colore a tutti gli altri contenuti, va di pari passo con l'affermazione del sistema monetario, non certo con l'incremento di un modo di vivere in grande stile. Nello stesso senso opera, annunciando la diffusione dell'economia monetaria, l'uso sempre crescente di moneta spicciola. Fino al 1759 la banca d'Inghilterra non emetteva banconote inferiori a 20 lire sterline, da allora è scesa fino a 5 lire sterline. Ancora più indicativo è il fatto che le sue banconote fino al 1844 restavano in corso per una media di 51 giorni prima che si potessero cambiare in moneta più piccola, nel 1871 invece restavano in corso solo 37 giorni - in 27 anni il bisogno di moneta spicciola era dunque aumentato di circa un quarto. Il fatto che ciascuno abbia in tasca

della moneta spicciola con cui, seguendo spesso una tentazione momentanea, può comprare all'istante ogni sorta di sciocchezze, fa sorgere inevitabilmente delle attività che vivono di questa possibilità. Ciò, e soprattutto la divisibilità del denaro nelle più piccole somme, favorisce sicuramente uno stile minimo nella forma esteriore, in particolare estetica, della vita moderna, nonché il crescente numero di futilità con le quali adorniamo la nostra esistenza.

Alla puntualità ed esattezza che - in modo simile a quella degli orologi da tasca — la diffusione del sistema monetario ha conferito ai rapporti esteriori fra gli uomini, non corrisponde affatto un'accresciuta coscienziosità in campo etico. Per il suo carattere assolutamente oggettivo e indifferente, incolore e intimamente privo di rapporti con cui si offre all'azione più eccelsa come alla più infima, il denaro induce piuttosto con facilità a un certo lassismo e a una certa sconsideratezza dell'agire che, in azioni diverse da quelle puramente monetarie, vengono frenati dalla struttura propria degli oggetti, dal rapporto individuale che chi agisce instaura con essi. Così, individui di comprovata integrità hanno partecipato a "istituzioni" non affatto limpide, come non è difficile che molte persone abbiano un comportamento ambiguo e senza scrupoli in affari puramente pecuniari, mentre in altre situazioni non commettono niente di moralmente dubbio. Il risultato finale, ossia il denaro, non reca traccia della sua origine, laddove in differenti forme di proprietà, proprio perché più individuali e più ricche di attributi, i segni e il ricordo dell'origine sono oggettivamente o psicologicamente presenti con molta maggiore evidenza. Quando invece l'azione è sfociata nel grande oceano del denaro non è più possibile portarla alla luce e riconoscerla, i suoi deflussi non recano più nulla del carattere dei suoi affluenti.

Dopo avere esaminato tali singole conseguenze del traffico monetario, concludo con un'osservazione del tutto generale sul suo rapporto con i tratti e i motivi più profondi della nostra cultura. Se si volesse tentare di riassumere il carattere e la grandezza della vita moderna in una formula, questa potrebbe essere: i contenuti della conoscenza, dell'azione e della costituzione degli ideali vengono trasferiti dalla loro forma fissa, sostanziale e stabile, in uno stato di evoluzione, di movimento, di precarietà. Tale tendenza della loro configurazione è colta in modo inconfondibile dallo sguardo rivolto ai destini di quei contenuti dell'esistenza che si dipanano sotto i nostri occhi. Si rinuncia alle verità assolute che si opporrebbero ad ogni cambiamento, per consegnare di buon grado il nostro conoscere alla trasformazione, all'accrescimento e alla correzione continui - la costante accentuazione dell'empiria che si riscontra in ogni campo non significa altro che questo. Le specie degli organismi non sono più considerate eterni pensieri della creazione, ma punti di passaggio di un'evoluzione che tende all'infinito. Dalle cose inorganiche fino alle formazioni spirituali più eccelse è in atto la stessa tendenza: la moderna scienza della natura ci insegna a dissolvere la rigidità della materia nel vortice incessante delle più piccole particelle. Degli ideali unitari, fondati da epoche passate in termini immutabili e privi di contraddizione, riconosciamo la dipendenza dalle condizioni sto-riche e l'adattamento al loro variare. Sempre più si allentano i rigidi confini all'interno del gruppo sociale, per bene o male che sia, viene infranto l'immobilismo dei legami di casta e di censo e delle tradizioni, e la persona può muoversi in mezzo alla varietà delle situazioni della *vita119, per così dire, rispecchiando in sé il Ilavta peì delle cose. In questo grande, unitario processo vitale, che pone la cultura spirituale e sociale dell'epoca moderna in un contrasto così netto col Medioevo e con l'antichità, si inserisce il potere del denaro che lo sorregge e ne viene a sua volta sorretto. Trovando il loro equivalente in un mezzo di scambio del tutto incolore, posto al di là di ogni definizione specifica, e convertendosi ogni istante in esso, le cose subiscono una sorta di molatura e di levigatura, le loro superfici di attrito si attenuano, nei loro rapporti si verificano continui processi di livellamento, la loro circolazione, la loro cessione e il loro acquisto hanno luogo ad un ritmo del tutto diverso da quello che avevano ai tempi dell'economia naturale. Sempre più cose che sembravano stare al di là delle operazioni di scambio vengono trascinate nel loro corso incessante: accenno soltanto ad uno degli esempi più vistosi, al destino della proprietà fondiaria da quando si è instaurato il potere del denaro. Con l'economia monetaria il passaggio dalla stabilità alla precarietà, che caratterizza l'intera immagine del mondo moderno, ha scosso anche il cosmo economico, i cui destini, essendo parte di quel movimento, sono allo stesso tempo simbolo e specchio del tutto.

È sufficiente qui richiamare l'attenzione sul fatto che un fenomeno come l'economia monetaria, per quanto sembri obbedire solo alle sue leggi interne, segue tuttavia lo stesso ritmo che regola anche l'insieme dei contemporanei movimenti culturali, compresi i più lontani. Diversamente da quanto sostiene il materialismo

storico, che fa dipendere l'intero processo della cultura dai rapporti economici, la riflessione sul denaro ci può insegnare che, se è vero che dalla formazione della vita economica traggono origine profonde conseguenze per le condizioni psichiche e culturali di ogni epoca, è anche vero che questa stessa formazione riceve il proprio carattere dalle grandi correnti unitarie della vita storica, le cui ultime forze e ragioni sono ovviamente un segreto divino. Ma se certe identità formali e certi nessi profondi ci svelano che la natura del denaro deriva dalla stessa radice che produce tutti i fiori della nostra cultura, possiamo trovare in ciò una consolazione alle deplorazioni che si levano da parte dei cultori dei beni spirituali e dei sentimenti contro Vauri sacra James e le devastazioni del sistema monetario. Perché, più la conoscenza si avvicina a quella radice, più diventano necessariamente evidenti i rapporti dell'economia monetaria non solo con i lati oscuri, ma anche con le cose più raffinate ed eccelse della nostra cultura, così che pure l'economia monetaria, come tutte le grandi forze della storia, possa essere paragonata al mitico giavellotto in grado di guarire da solo le stesse ferite che infligge.

NOTE 96

Nota bio-bibliografica

* La presente nota si richiama alle seguenti fonti: M. Lanclmann, Bausteine zur Diographie, e K. Gassen, Georg Simmel-Bibliographie, in K. Gassen e M. Landmann, (a cura di), Buch des Dankes an Georg Simmel. Briefe, Erinnerungen, Bibliographie, Duncker & Humblot, Berlin, 1958, pp. 11-33, e pp. 309-366; H. Simmel, Auszùge aus den Lebenserinnerungen, pubblicate per la prima volta in H. Bòhringer, e K. Grùnder, (a cura di), Àsthetik und Soziologie um die Jahrhundertwende, cit., pp. 247-268; A. Cavalli e L. Perucchi, Nota biobliogrqfica, in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., pp. 51-81.

La gran parte degli scritti inediti è andata perduta. Una parte è stata pubblicata, a cara di G. Kantorowicz, con il titolo Fragmente und Aufsàtze, un'altra, che comprendeva anche l'avanzata stesura di un libro sulla Philosophie des Schauspielers, di cui erano stati già stampati alcuni frammenti, fu rubata alla Kantorowicz durante un viaggio in treno. Infine due casse, contenenti tra l'altro il diario di Simmel, manoscritti dei suoi libri con osservazioni a margine e molte lettere, furono sequestrate dalla Gestapo nel 1939. La pubblicazione dell'edizione completa degli scritti di Simmel, iniziata dall'editore Suhrkamp di Francoforte sul Meno nel 1988, a cura di O. Rammstedt ed altri, è ancora in córso.

1858 Georg Simmel nasce il 1° marzo a Berlino, settimo figlio di genitori ebrei convertiti, il padre al cattolicesimo, e la madre al culto evangelico a cui viene educato anche il figlio. Alla morte del padre, nel 1874, trova un tutore, che poi lo adotta, in Julius Friedlànder, il fondatore delle edizioni musicali Peters.

1876 Dopo aver frequentato il Gymnasium "Friedrich Werder", si iscrive all'Università Humboldt di Berlino. Segue i corsi ed i seminari di storia di Theodor Mommsen, studia psicologia presso Moritz Lazarus e Heymann Steinthal, fondatori della Vòlkerpsychologie, filosofia presso Friedrich Harms ed Eduard Zeller, storico del pensiero greco. Studia anche storia dell'arte presso Hermann Grimm, e l'italiano del Trecento, che porterà poi come materia secondaria all'esame di laurea.

1880Il lavoro che presenta come tesi di laurea, Psychologisch-ethnographische Studien ùber die An- fànge der Musik (Studi psicologici ed etnografici sugli inizi della musica), viene respinto dalla Facoltà.

1881Si laurea in filosofia, puntina cum laude, con la tesi dal titolo Dos Wesen der Materie nach Kants Phy- sischer Monadologie (L'essenza della materia secondo la monadologia fisica di Kant).

1885 Consegue l'abilitazione come Privatdozent (libero docente), ed inizia la sua attività di insegnamento universitario. Le sue lezioni destano grande interesse, e sono perciò frequentate più dei corsi ufficiali.

1890 Pubblica Ùber soziale Differenzierung. Soziologìsche und psychologische Untersuchungen (La differenziazione sociale. Ricerche sociologiche e psicologiche), in cui affronta il problema della fondazione della sociologia come scienza. Nello stesso anno sposa Gertrud Kinel, autrice di saggi filosofici con lo pseudonimo di Marie Luise Enckendorff. Dal loro matrimonio nasce il figlio Hans. Da Gertrud Kantorowicz ha poi una figlia, Angi. Entrambe, come anche il figlio Hans, furono perseguitate dai nazisti.

1892 Pubblica Die Probleme der Geschichts-philosophie. Eine erkenntnistheoretische Studie (I problemi della filosofia della storia. Uno studio di teoria della conoscenza), e Einleitung in die Moralwissenschaft.

Eine Kritik der ethischen Grundbegriffe (Introduzione alla scienza della morale. Una critica dei concetti fondamentali dell'etica).

1894 Pubblica il saggio Das Problem der Soziologie (II problema della sociologia), nel quale pone già la questione della distinzione tra forma e contenuto dei processi sociali. Il saggio viene tradotto in francese, in inglese, in russo, in polacco e, nel 1899, in italiano.

1898 La proposta di promozione di Georg Simmel a professore straordinario da parte di alcuni professori della Facoltà di filosofia di Berlino, tra i quali Wilhelm Dilthey e Gustav Schmoller, viene respinta dal Ministero. L'antisemitismo diffuso, come anche la diffidenza nei confronti di un insegnamento, la sociologia, totalmente nuovo per le Università tedesche, sono d'ostacolo alla sua carriera accademica. In questo periodo Simmel si avvicina al circolo del poeta Stefan George, e conosce Rainer Marie Rilke.

1900Pubblica, dopo una serie di brevi saggi sul denaro, l'importante volume Philosophie des Geldes (Filosofia del denaro), in cui è contenuto il nucleo della sua filosofia della cultura.

1901Viene nominato professore straordinario di filosofia all'Università di Berlino. I suoi corsi sono molto frequentati pure da studenti russi, polacchi ed ebrei, e da parecchie donne (è tra i primi ad ammetterle come uditrici alle lezioni universitarie), un fatto questo non ben visto dagli ambienti accademici conservatori berlinesi. La sua popolarità cresce anche grazie ai suoi numerosi saggi che appaiono sui più importanti quotidiani tedeschi.

1904 Pubblica Kant. 16 Vorlesungen gehalten an der Berliner Universitàt (Kant. 16 lezioni tenute all'Università di Berlino).

1907 Pubblica Schopenhauer und Nietzsche, in cui pone le basi della sua Lebensphilosophie.

1908Pubblica Soziologie. Untersuchungen ùher die Formen der Vergesellschaftung (Sociologia. Ricerche sulle forme dell'associazione), una delle sue opere maggiori. Diviene membro della Vereinigung fùr àsthetische Forschung. Rifiuta l'invito ad insegnare negli Stati Uniti. Nonostante l'appoggio di Max ed Alfred Weber, non riesce ad ottenere la cattedra di filosofia disponibile ad Heidelberg. Un rifiuto motivato dal suo "relativismo" religioso e - come scrisse il professore Dietrich Schàfer al Ministero - dal fatto che Simmel ha l'aspetto e la spiritualità di un ebreo e intende introdurre la "società" come organo regolativo della vita collettiva, al di sopra dello Stato e della Chiesa.

1909Con Max Weber, Ferdinand Tònnies e Werner Sombart fonda la Deutsche Gesellschaft fùr Soziologie (Società tedesca di sociologia), è membro del comitato direttivo.

1910Con la relazione Soziologie der Geselligkeit (Sociologia della socievolezza), apre il primo congresso della Deutsche Gesellschaft fùr Soziologie a Francoforte sul Meno. Pubblica Hauptprohleme der Philosophie (I problemi fondamentali della filosofia).

1911Pubblica una raccolta di saggi dal titolo Philosophische Kultur (la traduzione italiana porta il titolo La moda e altri saggi di cultura filosofica). Dall'università di Friburgo riceve la laurea honoris causa in scienze politiche.

1913Si dimette dalla Società tedesca di sociologia, motivando le sue dimissioni con il fatto di avere ormai interessi prettamente filosofici. Pubblica la monografia Goethe ed il saggio Das individuelle Gesetz. Ein Versuch ùber das Prinzip der Ethik (La legge individuale. Saggio sui principi dell'etica).

1914Riceve la nomina di professore ordinario di filosofia a Strasburgo. Lascia malvolentieri Berlino. Il conflitto simbolizza per Simmel la gravità della crisi della cultura moderna e la possibilità di un suo superamento, perciò, all'inizio della guerra, condivide le posizioni nazionalistiche e, con Max Weber, si impegna sul "fronte interno" tenendo anche conferenze ai soldati. Tale scelta è aspramente criticata dai suoi ex-allievi Gyòrgy Lukàcs ed Ernst Bloch.

1915Pubblica la conferenza Das Problem der histo- rischen Zeit (II problema del tempo storico) e il saggio Rembrandt. Ein kunstphilosophischer Versuch (Rembrandt. Un saggio di filosofia dell'arte), il suo scritto più organico di filosofia dell'arte,

1916Pubblica Grundfragen der Soziologie. Individuum und Gesellschaft (Problemi fondamentali di sociologia. Individuo e società), una sintesi del suo pensiero sociologico.

1917Pubblica la conferenza Der Konflikt der modernen Kultur (II conflitto della cultura moderna) e Lebensanschauung. Vier metaphysische Kapitel (Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici).

Il 28 settembre muore a Strasburgo.

Traduzioni italiane in volume

(Sono escluse le traduzioni comparse in riviste o in antologie di autori diversi)

I problemi fondamentali della filosofia, (Hauptprobleme der Philosophie, 1910), tr. e intr. di A. Banfi, Valleechi, Firenze, 1922. Ristampa a cura di F. Papi, Isedi, Milano, 1972, ed a cura di F. Andolfi, Laterza, Roma-Bari, 1996.

Il relativismo, (saggi vari), a cura di G. Perticone, Carabba, Lanciano, 1922.

Schopenhauer e Nietzsche, (Scbopenbauer und Nietzsche. Ein Vortragszyklus, 1907), tr. e intr. di G. Perticone, Paravia, Torino, 1923. Nuova traduzione, integrale, a cura di A. Olivieri, Ponte alle Grazie, Firenze, 1995.

Il conflitto della civiltà moderna, {Der Konflikt der modernen Kultur. Ein Vortrag, 1918), tr. e pref. di G. Rensi, Bocca, Torino, 1925, traduzione riproposta, con qualche modifica, in // conflitto della cultura moderna e altri saggi, a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma, 1976.

Frammento sull'amore, (Fragment ùber die Liebe, 1921-22), a cura di E. Sola, Athena, Milano, s. d. (1927). Nuova traduzione di S. Belluzzo, Anabasi, Milano, 1995.

Rembrandt. L'arte religioso-creatrìce, (Rembrandt. Ein Kunstphilosopbischer Versuch, 1916), tr. parziale diE. Goldstein, intr. di A. Banfi, Doxa, Roma 1931. Nuova traduzione, integrale, a cura di G. Gabetta, con il titolo, Georg Rembrandt. Un saggio di filosofia dell'arte, SE, Milano, 1991.

Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici, {Lebensanschauung. Vier metaphisische Kapitel, 1918), tr. di F. Sternheim, intr. di A. Banfi, Bompiani, Milano, 1938. Nuova traduzione a cura di G. Antinolfi, ESI, Napoli, 1997.

Kant. Sedici lezioni tenute all'Università di Berlino, {Kant. Sechzehn Vorlesungen gehalten an der Berliner Universitàt, 1904), a cura di G. Nirchio, Cedam, Padova, 1953- Nuova traduzione a cura di A. Marini e A. Vigorelli con il titolo, Kant. Sedici lezioni berlinesi, Unicopli, Milano, 1987.

L'etica e i problemi della cultura moderna, {Georg Simmels Vorlesung -Ethik und Probleme der modernen Kultur» <1913>, 1949), tr. it. di P. Pozzan, intr. di G. Calabrò, Guida, Napoli, 1968.

Saggi di estetica, tr. di M. Cacciari e L. Perucchi, intr. di M. Cacciari, Liviana, Padova, 1970.

Arte e civiltà, (saggi vari), a cura di D. Formaggio e L. Perucchi, Isedi, Milano, 1976.

Il dominio, {Soziologie der Uber- und Unterordnung, 1907), a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma, 1978.

La differenziazione sociale, {Uber soziale Differenzierung Soziologische und psychologische Untersu-chungen, 1890), a cura di B. Accarino, pref. di F. Ferrarrotti, Laterza, Bari, 1982; 2 ed., 1995; 3 ed., 1997.

I problemi della filosofia della storia, (Die Probleme der Geschichtsphilosophie. Eine erkenntni-stheoretische Studie, 1907), tr. di G. Cianico, intr. di V. d'Anna, Marietti, Casale Monferrato, 1982.

Forme e giochi di società. Problemi fondamentali della sociologia, (Grundfragen der Soziologie. Indi-viduum und Gesellschqft, 1917), tr. di C. Tommasi, intr. di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano, 1983.

Filosofia del denaro, (Philosophie des Geldes, 1900; 2a ediz. accresciuta, 1907), a cura di A. Cavalli e L. Perucchi, UTET, Torino, 1984.

Il volto e il ritratto. Saggi sull'arte, a cura di L. Perucchi, il Mulino, Bologna, 1985-

La moda, (Zur Psychologie der Mode. Soziologische Studie, 1895), a cura di D. Formaggio e L. Perucchi, Editori Riuniti, Roma, 1985, ristampa a cura di L. Perucchi, Mondadori, Milano, 1998. Nuova traduzione di M. Monaldi, in La moda e altri saggi di cultura filo-sofìca, (Philosophische Kultur. Gesammelte Essays, 1911), Longanesi, Milano, 1985, scritti ristampati con il titolo Saggi di cultura filosofica, Guanda, Parma, 1993-

La forma della storia, {Dos Problem der histori-schen Zeit, 1916, Die historìsche Formung, 1917-18), a cura di F. Desideri, Edizioni 10/17, Salerno, 1987.

Sociologia, {Soziologie. Untersuchungen ùber die Formen der Vergesellschaftung, 1908), tr. di G. Giordano, intr. di A. Cavalli, Comunità, Milano, 1989-

Il segreto e la società segreta, (Das Geheimnis und die geheime Gesellschaft, 1908), tr. di G. Quattrocchi, intr. di A. Zhok, Sugarco, Milano, 1992.

Saggi di sociologia della religione, tr. di M. Marroni, intr. di R. Cipriani, Boria, Roma, 1993-

La religione, {Die Religion, 1906), tr. e intr. di C. Mongardini, Bulzoni, Roma, 1994.

La legge individuale e altri saggi, tr. di G. Barbolini, intr. di F. Andolfi, Pratiche, Parma, 1995.

La metropoli e la vita dello spirito, {Die Grosstàdte und das Geistesleben, 1903), tr. e intr. di P. Jedlowski, Armando, Roma, 1995.

L'educazione in quanto vita, {Schulpàdagogik. Vorlesungen, 1922), tr. di F. Coppellotti, intr. di A. Erbetta, II Segnalibro, Torino, 1995.

Kant e Goethe, {Kant und Goethe, 1906), tr. di A. Iadicicco, Ibis, Comò, 1995.

Sull'intimità, (saggi vari), tr. di M. Sordini, intr. di V. Cotesta, Armando, Roma, 1996.

La socievolezza, {Die Geselligkeit, 1917), tr. di E. Donaggio, intr. di G. Tumaturi, Armando, Roma, 1997.

Nella stessa collana

Bataiixe G., Il dispendio, a cura di E. Pulcini, 1997, pp. 88,

L. 12.000 Durkheim E., Per una definizione dei fenomeni religiosi, a

cura di E. Pace, 1997\ pp. 88, L. 10.000 Gouldner A., La sociologia e la vita quotidiana, a cura di

R. Rauty, 1997, pp. 80, L. 12.000 Gurvitch G., // controllo sociale, a cura di A. Giasanti,

1997, pp. 96, L. 12.000 Halbwachs M., Memorie di famiglia, a cura di B.

Arcangeli, 1996, pp. 88, L. 12.000 Park R.E., La folla e il pubblico, a cura di R. Rauty, 19971,

pp. 128, L. 12.000 Parsons T., Prolegomeni a una teoria delle istituzioni

sociali, 1995, pp. 96, L. 12.000 Schijtz A., Don Chischiotte e il problema della realtà, a

cura di P. Jedlowski, 1995, pp. 64, L. 12.000 Simmel G., Le metropoli e la vita dello spirito, a cura di P.

Jedlowski, 19961, pp. 64, L. 10.000 SrMMEL G., La socievolezza, a cura di G. Turnaturi, 19971,

pp. 72, L. 12.000 Simmel G., Sull'intimità, a cura di V. Cotesta, 1996, pp.

128, L. 14.000

Weber M., Considerazioni intermedie. Il destino dell'Occidente, 19961, pp. 112, L. 12.000 Weber M., La politica come professione, introd. di L.

Cavalli, 1997, pp. 128, L. 12.000 Weber M., La scienza come professione, a cura di L.

Pellicani, 1997, pp. 88, L. 12.000

meni esteriori del divenire economico e valori e significati più profondi dell'esistenza individuale e della cultura.

I due saggi qui raccolti per la prima volta in traduzione italiana sono i primi scritti di Simmel sul denaro. In essi sono già contenute in nu-ce gran parte delle riflessioni che egli svilupperà successivamente nella sua opera principale Filosofia del denaro.

Nicola Squicdarino insegna presso l'Università di Firenze. Tra le sue pubblicazioni citiamo: Arte e ornamento in Gottfried Sem-per (1994); e, nelle nostre edizioni, // vestito parla. Considerazioni psicosocio-logiche sull'abbigliamento (19963).08

1 G. Schmoller, Simmels Philosophie des Geldes, in «Jahrbuch fur Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft im Deutschen Reich», 25, 1901, p. 1. La relazione di Simmel, Psycbologie des Geldes, viene pubblicata nello «Jahrbuch» appena citato, 13,1889, pp. 1251-1264, ora in Aufsàtze 1887-1890, in Georg Simmel - Gesamtausgabe, II, a cura di H.-J. Dahme, Suhrkamp, Frankfurt a. M, 1989, pp. 49-65.2 G. Simmel, Filosofia del denaro, {Philosophie des Geldes, Duncker & Humblot, Leipzig 1900; 2a ediz. accresciuta, 1907, ora in Georg Simmel Gesamtausgabe, VI, a cura di D. P. Frisby e K. Ch. Kòhnke, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1989), a cura di A. Cavalli e L. Perucchi, UTET, Torino, 1984.3 D. P. Frisby e K. Ch. Kòhnke, Editorischer Bericht, in Georg Simmel Gesamtausgabe, VI, cit., p. 726.4 G. Simmel, Dos Geld in der modemen Cultur, conferenza tenuta presso la Gesellschaft ósterreichischer Volksunrthe, pubblicata in «Zeitschrift des Oberschlesischen Berg- und Huttenmànnischen Verein», 35, 1896, pp. 319-324, ora in Aufsàtze und Abhandlungen 1894 bis 1900, in Georg Simmel - Gesamtausgabe, V, a cura di H.-J. Dahme e D. Frisby, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1992, pp. 178-196.5 Appartengono a questi scritti preparatori, ripresi poi in Filosofia del denaro, cit., Die Bedeutung des Geldes ftir das Tempo des Lebens, in «Neue Deutsche Rundschau», 8, 1897, pp. 111-122; Fragment aus einer "Philosohie des Geldes; in «Zeitschrift fùr immanente Philosophie», 3, 1898, pp. 395-428; Die Rolle des Geldes in den Beziehungen der Geschlechter, in «Die Zeit», Wien, 14, 15, 22, 29, gennaio 1898; Fragment aus einer «Philosohie des Geldes-, in «Jahrbuch fur Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft», 23, 1899, pp. 813-854; Ùber Geiz, Verschwendung und Armut, in «Ethische Kultur», 7, 1899, pp. 323-335, ora ripubblicati in Aufsàtze und Abhandlungen 1894 bis 1900, in Georg Simmel - Gesamtausgabe, V, cit.. Un altro brevissimo saggio di Simmel sul denaro dal titolo Geld allein macht nicht glùcklich, (II denaro da solo non rende felici), appare sotto la rubrica Momentbilder sub specie aeternitatis, siglato S., sulla rivista di Monaco «Jugend», 19, 1901, p. 300.6 G. Simmel, La metropoli e la vita mentale, {Die GrojSstàdte und das Geistesleben, in «Jahrbuch der Gehe- Stiftung», 9, 1903, pp. 185-206, ripubblicato nella raccolta di saggi dal titolo Brilcke und Tur. Essays des Philosophen zur Geschichte, Religion, Kunst und Gesellschaft, a cura di M. Landmann, con la collaborazione di M. Susman, Koehler, Stuttgart, 1957, pp. 227-242), tradotto per la prima volta con il titolo Metropoli e personalità, in Immagini dell'uomo, a cura di C. W. Mills, Comunità, Milano, 1963, pp. 527-540. Questa traduzione è stata ripresa in varie antologie, e, con il titolo La metropoli e la vita mentale, in Storia del pensiero sociologico. I classici, II, a cura di A. Izzo, II Mulino, Bologna, 1975, pp. 73-85, a cui qui si fa riferimento. Una nuova traduzione di tale scritto simmeliano è quella riproposta con il titolo La metropoli e la vita dello spirito, a cura di P. Jedlowski, Armando, Roma, 1995.7 Per un approfondimento della tematica del denaro in Simmel, cfr. A. Cavalli e L. Perucchi, Introduzione, in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., pp. 7-50. In queste pagine A. Cavalli afferma di ritenere come «assai probabile» che Simmel nell'analisi dei problemi della moneta e del credito si sia richiamato tanto alla concezione della teoria neo-classica, in particolare a K. Menger, del quale nel 1892 era stata pubblicata la voce Geld nelì'Hand- wórterbuch der Staatswissenschaften, quanto agli studi della scuola storica di economia (p. 21).8 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 87.9 Ibid, p. 86.10 Ibid., p. 88.11 Ibid., p. 309. 302. 309. 308. 333. 337.12 Ibid.13 Ibid.14 Ibid.15 Ibid.16 /fettf.17 Ibid. 18

18 ibid.19 ibid.20 Ibid.21 p. 335. p. 337. p. 343. p. 338. p. 337.22 Ibid, p. 338. (Il corsivo è mio). Anche nel suo ultimo scritto Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici, {Lebensanschauung. Vier metaphysische Kapitel, Duncker & Humblot, Mùnchen e Leipzig, 1918), tr. it. di F. Sternheim, introduzione di A. Banfi, Milano, Bompiani, 1938, cfr. pp. 51-52, pp. 107-109, Simmel accenna a questo «capovolgimento» del mezzo in fine che «nella forma più radicale» si realizza nel denaro (p. 51).23 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., pp. 344-345.24 Ibid, p. 323.25 Ibid., p. 339.26 Ibid., p. 345.27 Ibid. Analoghe considerazioni sul denaro sono già presenti in K. Marx. Così in La questione ebraica, (Zur Judenfrage, in «Deutsche Franzòsische Jahrbùcher», 1844, pp. 182-214), tr. it. di E. Ciccotti, intr. di G. Bedeschi, Newton Compton, Perugia, 1975, a proposito della assolutizzazione del valore del denaro, egli scrive: «Qual'è il culto terreno dell'ebreo? Il piccolo traffico. Qual'è il suo dio terreno? Il denaro» (p. 86), e qualche pagina dopo, afferma: «Il denaro è l'universale valore di tutte le cose... Il Dio degli ebrei si è mondanizzato: è divenuto dio

mondano» (p. 89).28 Cfr., ad esempio, M. Weber, L'etica prrotestante e lo spirito del capitalismo, {Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, <1904-1905>, in Gesammelte Aufsàtze zur Religionssoziologie, I, Mohr, Tiibingen 1920), tr. it. di A. M. Marietti, intr. di G. Galli, Rizzoli, Milano, 1991 • Dagli scritti di M. Weber sui rapporti tra puritanesimo e capitalismo è influenzato il lavoro di W. Sombart, Gli Ebrei e la vita economica, (Die Juden und das Wirtschaf tsleben, I- III , Duncker & Humblot , Miinchen, 1911-1913), I-III, tr. it. di R. Licandro, Ar, Padova, 1980.29 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 345.30 G. Simmel cita la seguente frase di S. Agostino: «merito dictum negotium, quia negat otium, quod tnalum est neque quaerit veram quietem quae est Deus» (ibid., p. 346).31 Ibid.32 Ibid. A conferma ulteriore di tale diffusa percezione di somiglianza e di crescente surrogazione dell'ambito religioso con quello pecuniario, Simmel riporta una frase che Hans Sachs (1494-1576), poeta tedesco appartenente ai Minnesanger, fa pronunciare ad un rappresentante dell'opinione pubblica: «II denaro è dio in terra» (Geld ist aufs erden der irdisch gof) (p. 347). Tale tema è già accennato, negli stessi termini, in Id., Psicologia del denaro, cit., cfr. infra, pp. 65-66, e in // denaro nella cultura moderna, cit., cfr. infra pp. 88-89. Fr. Nietzsche, Aurora: pensieri sui pregiudizi morali, (Morgenróte. Gedanken ùber die morali- schen Vorurteile, <1887>, in Nietzsche Werke, kritische Gesamtausgabe, V, I, de Gruyter, Berlin, NewYork, 1971), in Opere di Friedrich Nietzsche, V, I, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano, 19925, accennando a questo mutamento, parla di «libidine di potenza» che una volta era suscitata dalla fede di essere in possesso della verità, ed oggi, con il medesimo ardore, «è ancor sempre in fiamme lo stesso vulcano», dalla sete di denaro: «e quel che si faceva un tempo "per amore d'Iddio", lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi da sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado» ( pp. 149-150).33 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 419.34 Ibid, p. 258.35 G. Simmel, Diario postumo, (Aus dem nachgelasse- nen Tagebuche , in Fragmente und Aufsà tze aus dem NachlaJS, a cura di G. Kantorowicz, Drei Masken, Mùnchen, 1923, pp. 3-46) , in Saggi di es tetica, a cura di M. Cacciar i , Liviana, Padova 1970, p. 39.36 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 718.37 Ibid. , p. 628.38 Ib id. , p. 627.39 Ibid. , p. 628. Il totale rifiuto del calcolo quale «paral le lo teorico del l 'essenza del denaro» è presente , nota Simmel, nell'-orientamento spirituale anti-intellettualistico» di Goethe, Carlyle, Nietzsche (p. 630).40 Ibid. , pp. 376-377.41 G. Simmel, Psicologia del denaro, cit . , infra, p. 57, e Id. , / / denaro nel la cul tura moderna, ci t. , infra, p . 82.42 G. Simmel, La metropoli, cit. , p. 78.43 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 609.44 Ib id. , p. 610.45 Ibid. , p. 628.46 Ibid., p. 620.47 Ibid., p. 613. (Il corsivo è mio).48 Ibid, p. 611.49 Ibid.50 G. Simmel, Sociologia, (Soziologie. Untersuchungen ùber d ie Formen der Vergesel lschaf tung, Duncker & Humblot, Leipzig 1908, ora in Georg Simmel Gesamtausgabe, XI, a cura di O. Rammstedt, Frankfurt a. M., 1992), a cura di A. Cavalli, tr. it. di G. Giordano, Comunità, Milano, 1989, p. 504.51 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 680.52 Ibid, p. 679.53 G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, (.Der Begrijf und die Tragèdie der Kultur, in Philosophische Kultur. Gesammelte Essais, Klinkhardt, Leipzig, 1911), in Arte e civiltà, a cura di D. Formaggio e L. Perucchi, ISEDI, Milano, 1976, p. 103.54 Ibid. , p. 104.55 Ibid., p. 108.56 Ibid., p. 105. Di questo tipo di persone, Simmel, rovesciando il senso del motto dei primi Francescani, scrive che sono -omnia habentes, nihilpossidente» {ibid., p. 106).57 Ibid, p. 108.58 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 681.59 Ibid., p. 678.60 Simmel, Concetto e tragedia della cultura, cit., osserva che il «feticismo» assegnato da Marx ai prodotti dell'economia nell'era della produzione delle merci è solamente «un caso particolare di questo destino generale» degli attuali contenuti della cultura (p. 102). Le riflessioni di Simmel sul denaro, l'alienazione, il feticismo, e più in generale sul tema fondamentale della oggettivazione, sono riconducibili prima ancora che a Marx, dal quale tuttavia lo separano vari ed importanti aspetti, alla comune matrice hegeliana. Simmel si richiama all'opera marxiana II Capitale. Critica dell'economia politica, {Dos Kapital. Kritik derpolitischen Òkonomie, I-III, Meissner, Hamburg, 1867), I-V, tr. it. di D. Cantimori, intr. di M. Dobb, Einaudi, Torino, 1975, (cfr. in particolar modo i capitoli sulla merce e sul denaro, I, pp. 43-175, pp. 1002-1140), che è una delle pochissime opere citate nei suoi scritti (cfr. Filosofia del denaro, cit . , p. 604). Sul rapporto Simmel-Marx, cfr. M. Landmann, Georg Simmel:

Konturen seines Denkens, in H. Bòhringer e K. Griinder (a cura di), Àsthetik und Soziologie um die Jahrhundertwende: Georg Simmel, Klostermann, Frankfurt a. M., 1976, pp. 3-17. J. Baudrillard, La società dei consumi: i suoi miti e le sue strutture, {La société de consommation, ses mytes, ses structures, Gallimard, Paris, 1974), tr. it. di G. Gozzi e P. Stefani, II Mulino, Bologna 1976, analizza in chiave più attuale tale logica generalizzata della merce che regola l'intera cultura, la sessualità, le relazioni umane e finanche le stesse pulsioni individuali.61 G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, cit., p. 105. La stessa tragica constatazione è al centro dell'analisi della moderna cultura di massa compiuta da M. Horkheimer e Th. W. Adorno, La dialettica dell'illuminismo, (Dialektik der Aufklàrung. Philosophische Fragmente, Social Studies, New York 1944), tr. it. di R. Solmi, intr. di C. Galli, Einaudi, Torino, 19974, in cui questi due filosofi, riprendendo anche motivi simmeliani, subito dopo la guerra, si chiedono appunto come mai l'illuminismo determini un processo di autodistruzione, come mai il progresso si capovolga in regresso, quali cause stiano determinando lo sprofondamento in un nuovo genere di barbarie, anzicchè portare l'umanità in uno stato veramente umano.62 G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, cit. , p. 86.63 Ibid. , p. 95.64 Ibid., p. 86. Con tale distinzione dei concetti Kultur e Zivilisation, più volte accennata nei suoi scritti, Simmel tocca un tema strettamente legato appunto alla valutazione del moderno processo di industrializzazione, e perciò molto dibattuto ai suoi tempi, e su cui intervegono, ad esempio, Fr. Th. Vischer, Fr. Nietzsche, F. Tònnies, J. Burckhardt, O. Spengler.65 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 681. Il ritmo del movimento che il denaro imprime al tempo generale della vita è ben simboleggiato, annota Simmel, dal fatto che le monete sono rotonde, e dunque possono «rotolare» {ibid, p. 711).66 G. Simmel, Soziologische Àsthetik, in Aufsàtze und Abhandlungen 1894-1900, in Georg Simmel - Gesamtausgabe, V, cit., p. 214. Tale saggio era stato già pubblicato in «Die Zukunft», 17, 1896, pp. 204-216. Cfr., Id, Filosofia del denaro, cit., p. 681.67 G. Simmel, La metropoli, cit., pp. 77-78.68 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 372.69 /tó, pp. 373-374.70 /&&£, p. 374. Brevi riferimenti al blasé sono contenuti nei saggi simmeliani Psicologia del denaro, cit., infra, p. 56, e II denaro nella cultura moderna, cit., infra, p. 83-71 Cfr. G. Simmel, Psicologia del denaro, cit., infra p. 63; cfr. Id., Zur Psychologie der Frauen, (1890), in Georg Simmel, Schriften zur Philosophie und Soziologie der Geschlechter, a cura di H. Dahme e K. Ch. Kòhnke, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1985, pp. 27-59; Einiges ùber die Prostitution in Gegenwart und Zukunft, (1892), in ibid, pp. 60-71; Die Ralle des Geldes in den Beziehungen der Geschlechter, (1898), in ibid., pp. 139-156, poi ripreso nel capitolo di Filosofia del denaro, dal titolo L'equivalente in denaro dei valori personali, cit., cfr. soprattutto pp. 536-547.72 G. Simmel, Zur Psychologie der Frauen, cit., p. 50.73 G. Simmel, Einiges ùber die Prostitution in Gegenwart und Zukunft, cit., p. 62.74 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 537.75 Ibid. , p. 536.76 Lo scr it to di Kant a cui Simmel, anche se non lo ci ta, fa riferimento, è Fondazione della metafisica dei costumi, (Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, <1785>, Reklam, Stuttgart, 1965), a cura di F. Gonnelli, Laterza, Bari, 1997, in cui è affermato che «l'uomo ... esiste come fine in se stesso, non semplicemente come mezzo da usarsi a piacimento per questa o quella volontà» (p. 89). È un concetto tuttavia ribadito anche in altri scritti kantiani.77 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit. , p. 537.78 G. Simmel, Einiges ùber d ie Prost i tut ion in Gegen wart und Zukunft, cit., p. 63. A proposito di tale compor tamento Simmel parla di «sifilide morale» (ibid). K. Marx, che nei suoi scritti si esprime a favore della monogamia e del divorzio, ribadisce più volte, ad esempio in Manoscritti economico-filosofici del 1844, {Ókonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, I-III, a cura di V. Adoratskij, Historisch- kritische Gesamtausgabe, Berlin, 1932), a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1980 7, i l suo esplicito rifiuto della prostituzione, considerata un commercio che gli uomini praticano per «comprare» (p. 153) le donne di cui detengono il possesso come se fosse ro oggetti.79 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 537; p. 541. Negl i s te ss i t e rmini s i espr ime in Id. , Einiges i i ber d ie Prosti tution in Gegettwart undZukunft, cit ., pp. 62-63.80 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 540.81 Sul tema della modernità, cfr. l ' importante lavoro di D. Fri sby, Frammenti di moderni tà. Simmel , Kracauer , Benjamin, {Fragments ofModernity. Theories ofModernity in thè Work of Simmel , Karacauer and Benjamin, Pol i ty Press, Oxford, 1985), tr. it. di U. Livini, il Mulino, Bologna, 1992, specialmente il capitolo Georg Simmel. La modernità come eterno presente (pp. 59-146). C'è stato anche chi, come D. Koigen, Georg Simmel als Geldapologet, in «Dokumente des Sozialismus», 5, 1905, pp. 317-323, ha definito Simmel perfino «apologeta del denaro». Cfr. la raccolta di vari saggi sul tema del denaro in G. Simmel, in J. Kintzelé e P. Schneider (a cura di), Georg Simmels Philosophie des Geldes, Hain, Frankfurt a. M., 1993.82 G. Simmel, Sociologia, cit. , p. 642.83 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit. , p. 662.84 G. Simmel , Sociologia, cit . , p . 630. Nel lo scri t to Ein Jubilàum der Frauenbewegung, (1892), in G. Simmel, Schriften zur Philosophie und Soziologie der Geschlechter, cit., pp. 72-80, trattando il tema della emancipazione

femminile, Simmel definisce la indipendenza economica della donna «il fondamento di tutte le altre libertà» (p. 79).85 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 479; cfr. pp. 488-489. Sulla trasformazione della forza-lavoro in merce, determinata dalla divisione del lavoro nel moderno pro cesso di produzione, cfr. ibid., pp. 643-644.86 Ibid., p. 661. Per gli aspetti positivi dell'economia monetaria, cfr. Id., // denaro nella cultura moderna, cit., infra, soprattutto pp. 79-81.87 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit. , p. 662. Tale ambivalenza del denaro è efficacemente espressa a conclusione del saggio simmeliano // denaro nella cultura moderna, cit.: «l'economia monetaria, come tutte le grandi forze della storia, può essere paragonata al mitico giavellotto in grado di guarire da solo le stesse ferite che infligge» (infra, p. 94).88 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 663-89 Ibid., p. 662. (Il corsivo è mio).90 Ibid., p. 680.91 S. Freud accenna più volte nei suoi scritti alla valenza sessuale del denaro. Così, ad esempio, in Dalla storia di una neurosi infantile, (1914), in Opere di Sigmund Freud, VII, a cura di C.L. Musatti, Boringhieri, Torino, 1975, egli afferma che «una delle manifestazioni principali delle trasformazioni dell'erotismo ... è costituita dal contegno dell'uomo nei confronti del denaro» (p. 546). Su tale argomento lo stesso Freud rinvia ad un suo breve scritto, Carattere ed erotismo anale, (1908), in ibid., V, 1972, pp. 397-406. L. K. Frank. Cultural coertion and individuai distortion, in «Psychiatry», II, 1939, pp. 11-27, richiama l'attenzione sul fa t to che la ricerca e l 'acquis iz ione de l la r icchezza e del potere sono spesso un semplice sostituto alle mancate sod disfazioni sessuali , un s imbolo dunque dell ' individuo fru strato.92 Questa è la problematica su cui si sofferma E. Fromm, Avere o essere? {To Have or to Be?, Harper & Row, New York, 1976), Mondadori, Milano, 1986 1 .93 Fr. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, (Nachgelassene Fragmente 1887-1888, in Nietzsche Werke, kritische Gesamtausgabe, Vili, II, cit., 1970), in Opere, Vili, II, cit., 1971, p. 12. M. Horkheimer, Eclisse della ragione, (Eclipse of reason, University Press, Oxford, 1947), tr. it. di E. Vaccari Spagnuol, Dugar, Milano, 1962, nel capitolo Mezzi e fini, scrive che se la meccanizzazione «inverte tutti i processi intellettuali, se la ragione stessa è ridotta alla funzione di uno strumento, essa assume una sorta di materialità e di cecità, diventa un feticcio, un'entità magica che si accetta, più che sperimentarla intellettualmente» (p. 34).94 Passo riportato in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 307. Quando ciò non pregiudicava la fedeltà al testo, è stata modificata la punteggiatura, in particolare spezzando i lunghi periodi che caratterizzano lo stile sim- meliano, particolarmente difficoltoso e non sempre del tutto semplice da rendere [N.d.T.].95 Cfr. ibid., pp. 307-308.96 Hamster, letteralmente "criceto", è sinonimo, in senso figurato, di "avaraccio", nell'accezione appunto di uno che accumula oggetti su oggetti, senza curarsi del loro valore d'uso [N.d.T].97 Cfr. G. Simmel, Il denaro nella cultura moderna, cit., infra, p. 85.98 Lo stesso esempio è riportato in Id., Filosofia del denaro, cit., p. 358.99 Cfr. Id., // denaro nella cultura moderna, cit., infra, p. 82.100 Cfr. ibid., infra, p. 75.101 Lo stesso passo si trova in Id., Filosofia del denaro, cit., p. 617.102 Cfr. Id., Il denaro nella cultura moderna, cit., infra, p. 84.103 «Chi abusa di una donna inducendovela per mezzo di un finto matrimonio, od inducendola in un errore, od abusando dell'errore in cui essa si trovasse, pel quale essa tiene per legittimo il suo congiacere, è punito colla reclusione estensibile a cinque anni. Se vi sono circostanze attenuanti si applica il carcere non minore di sei mesi. Il procedimento ha luogo solo dietro querela», Codice penale per l'Impero Germanico, trad. it. di L. Scotti, E. Medici, Massa, 1888, p. 54 [N.d.T.].104 Cfr. ibid, infra, p. 93.105 Cfr. ibid, infra, p. 81.106 Cfr. ibid., infra, p. 88-89 e Id., Filosofia del denaro, cit., p. 345.107 Il passo è riportato in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 491.108 Passo citato in ibid., p. 492.109 Società nata nel 1838 su iniziativa del comitato formatosi in quello stesso anno per erigere un monumento a Gustavo II Adolfo, re di Svezia, in occasione del bicentenario della morte. Il comitato pensò di onorare la memoria del re, che in vita aveva vagheggiato la costituzione di una grande lega fra i paesi protestanti della Germania, con la fondazione di una società a lui intitolata che avesse per scopo di sovvenire alle necessità delle comunità evan- geliche povere, specialmente nei paesi cattolici. Sorse così a Lipsia e a Dresda una Gustav-Adolf-Stiftung che, all'inizio con un ristretto raggio d'azione, qualche anno più tardi, grazie soprattutto a Karl Zimmermann, giunse a svolgere la sua attività in quasi tutti i paesi dell'Europa e anche dell'America Meridionale. Gli statuti della società furono fissati nel 1843. Nel 1946 prese il nome di Gustav- Adolf-Werk der Evangelischen Kirchen in Deutschland [N.d.T.].110 Il passo è riportato in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p.492 e in Id., Psicologia del denaro, cit., infra, p. 58.111 La retribuzione in denaro promuove la divisione del lavoro, giacché, normalmente, si paga in moneta solo una prestazione parziale. Il denaro, questo equivalente astratto e privo di qualità, corrisponde soltanto al prodotto singolo oggettivo, staccato dalla persona. Dove non esiste la schiavitù il denaro non si adopera per l'uomo intero, in

tutta la sua complessità, ma solo per la prestazione di lavoro diviso. Perciò lo sviluppo di quest'ultimo non può che procedere di pari passo con la diffusione dell'economia monetaria. Questo spiega, sia detto per inciso, i limiti e le contraddizioni delle condizioni dei domestici: si tratta infatti di un caso in cui si continua a comprare col denaro un uomo intero con la totalità delle sue prestazioni [N.d.A.1112 In tedesco: Zugeldesetzung, probabile conio simmeliano, termine che indica efficacemente la completa trasformazione della vita del contadino in un anonimo valore monetario [N.d.T.].113 Cfr. G. Simmel, Psicologia del denaro, cit., infra, p. 65.114 Cfr. ibid, infra, p 57-58.115 Cfr. ibid., infra, p. 62.116 Cfr. ibid., infra, p. 50-51.117 Passo riprodotto in G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 345, e in Id., Psicologia del denaro, cit., infra, p. 65-66.118 Cfr. ibid., infra, p. 66, e Id., Filosofia del denaro, cit., p. 345.119 Cfr. Id., Psicologia del denaro, cit. infra, p. 64.