AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una...

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Karol Wojtyła Karol Wojtyła Cent’anni 18 maggio 2020 Cari fratelli e sorelle, fa- cendo memoria del centenario della nascita di san Giovanni Paolo II ci rivolgiamo a lui, per chiedere la sua intercessione: Intercedi perché restiamo sempre fedeli al Vangelo Inter- cedi perché sappiamo spalanca- re le porte a Cristo. Intercedi perché in questi tempi difficili siamo testimoni di gioia e di misericordia. Intercedi perché sappiamo ri- spondere ai bisogni dei nostri fratelli che soffrono, ricono- scendo nei loro volti il Volto del Signore. Aiutaci con la tua intercessio- ne a non lasciarci mai rubare la speranza e ad essere uomini e donne che camminano nella certezza della fede. Francesco L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt S PECIALE PER IL CENTENARIO DELLA N A S C I TA DI K AROL WOJTYŁA , SAN G I O V A N N I P AOLO II ( A L L E G A T O ALL EDIZIONE NUMERO 111) .

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Karol WojtyłaKarol WojtyłaCent’anni

18 maggio 2020

Cari fratelli e sorelle, fa-cendo memoria del centenariodella nascita di san GiovanniPaolo II ci rivolgiamo a lui, perchiedere la sua intercessione:

Intercedi perché restiamosempre fedeli al Vangelo Inter-cedi perché sappiamo spalanca-re le porte a Cristo.

Intercedi perché in questitempi difficili siamo testimonidi gioia e di misericordia.

Intercedi perché sappiamo ri-spondere ai bisogni dei nostrifratelli che soffrono, ricono-scendo nei loro volti il Voltodel Signore.

Aiutaci con la tua intercessio-ne a non lasciarci mai rubare lasperanza e ad essere uomini edonne che camminano nellacertezza della fede.

Fr a n c e s c o

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

S P E C I A L E P E R I L C E N T E N A R I O D E L L A N A S C I T A D I K A R O L W O J T Y Ł A , S A N G I O V A N N I P A O L O I I ( A L L E G A T O A L L ’ E D I Z I O N E N U M E R O 1 1 1 ).

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Una finestraaperta sul mondo

Karol Wojtyła cent’anni Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici,i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!

di PIETRO PAROLIN

Era rientrato in Vaticano quandomancavano pochi giorni al suosettantesimo compleanno. Io,dall’altra parte dell’o ceano,ripensavo a quant’era appena

accaduto, un’esperienza davvero unica,umanamente e spiritualmente“travolgente” mi sentirei di definirla, perme e per i milioni di fedeli incontratilungo il percorso che l’aveva portatopraticamente a toccare, in una settimana,l’intera geografia della “terra dei vulcani”.Città del Messico, 1990. Anche allora eramaggio. Lì iniziano i miei ricordi piùpersonali di san Giovanni Paolo II, cheavevo salutato rapidamente qualche annoprima durante la visita alla PontificiaAccademica Ecclesiastica. Aveva conclusoil suo quarantasettesimo ViaggioApostolico all’estero, nella cuipreparazione e nel cui svolgimento erostato coinvolto direttamente in quantoSegretario dell’allora DelegazioneApostolica in Messico. Lo stesso Paese

che, nel gennaio del 1979, aveva costituitoil primo anello di quella impensabilecatena di itinerari apostolici per il mondointrapresi dal Papa “chiamato da moltolontano”, che riuscì ad avvicinare ognidistanza. Non solo quelle chilometriche.A quei tempi il Messico, pur annoverandoil 95 per cento di popolazione cattolica,fervidamente mariana per la presenza delSantuario di Nostra Signora diGuadalupe nella capitale e dinumerosissimi altri luoghi di cultodedicati alla Santissima Vergine in tutto ilterritorio, conservava una Costituzionelaicista, che non riconosceva il diritto allaChiesa di esistere e giungeva persino aproibire le funzioni religiose in pubblico.Ma Giovanni Paolo II non venne comepolitico in cerca di accordi, anche se ilsuo carisma e il suo “imp eto” f a v o r i ro n onegli anni immediatamente successivi latrasformazione della politica del Governoin materia religiosa e lo stabilimento dellerelazioni diplomatiche con la Santa Sede,in favore dei quali aveva lungamente etenacemente lavorato l’allora Delegato

Apostolico, monsignor Girolamo Prigione.Si presentò, bensì, come pellegrino incerca di fede. Alla cerimonia di benvenutoin aeroporto disse: «Il Signore, padronedella storia e dei nostri destini, hastabilito che il mio pontificato fossequello di un Papa pellegrinodell’evangelizzazione, per percorrere le viedel mondo portando in ogni luogo ilmessaggio di salvezza». Poco dopo ribadìil concetto, presentandosi come «pellegrinodi amore e di speranza, con il desiderio diincoraggiare le energie delle comunitàecclesiali, affinché diano abbondanti fruttidi amore a Cristo e di servizio ai fratelli».Credo si possano condensare questeparole in una sola: missione. Per lui nonera un’opzione preferenziale, maun’esigenza evangelica. Uscire da sé perriscoprire se stessi, perdersi per ritrovarsi:lo insegna il Maestro. Il nome stesso cheaveva scelto da Pontefice recava impressoquello del primo grande missionario,Paolo di Tarso. Come lui, aveva ricevutola chiamata insopprimibile a dilatare leporte di casa per far sentire a casachiunque avesse raggiunto: la casa delDio vivente è destinata alla grandefamiglia umana. Non solo, ma comel’Apostolo dei Gentili, non si risparmiava,facendosi tutto a tutti per diventarnepartecipe con loro (cfr. 1 Cor 9, 23).Lasciò in me un’impressione indelebile eispiratrice la fatica che si sobbarcava peressere fedele ai due appuntamenti previstiogni giorno, uno al mattino e uno allasera, in differenti parti della Repubblica,con la celebrazione rispettivamente dellaSanta Messa e di una liturgia della Parola.E con quell’umorismo fine che locaratterizzava, per cui una mattina,salutando come al solito le decine dimigliaia di persone che “assediavano”giorno e notte la sede della NunziaturaApostolica durante la sua permanenza,pregando e cantando, disse (conriferimento al fatto che quella sera nonsarebbe tornato a Città del Messico comefaceva gli altri giorni): «Oggi vi dovacanza: riposatevi un poco!».Si faceva così sempre più strada dentro dime quell’“Aprite le porte a Cristo”: non erasolo una coraggiosa esortazione, quanto laconsapevolezza che non si possa essereChiesa se non aprendo davvero le porte dicasa al Signore e, con Lui, a tutti i fratellie le sorelle creati a sua immagine. Unannuncio donato subito al mondo,dall’inaugurazione del Pontificato e dallaprima Enciclica, dedicata al R e d e n t o redell’uomo e all’uomo, via della Chiesa.Ecco che il servizio diplomatico, nel qualemuovevo i primi passi, schiudevaorizzonti più ampi: non domandava solodi portare all’attenzione altrui le proprielegittime ragioni, ma di aprire, noi perprimi e a tutti, le porte di casa, nel nomedi Gesù. Si trattava di vivere la missionediplomatica ricordando che il sostantivoprecede e motiva l’aggettivo. Si trattava diaccogliere una verità splendida: quella dinon essere stranieri in nessun Paese, edunque a casa dappertutto. Non soloperché i cattolici sono ovunque nel globo,ma soprattutto perché nell’uomo, in ogni

uomo, c’è Cristo che bussa chiedendo diaprire una porta.Riaffiorano così alla memoria gesti nuovidal sapore evangelico antico, segni,immagini indelebili: confini valicati,incontri ecumenici, interreligiosi, sociali,storici. Un Vangelo della vita declinato alsingolare e al plurale: Vangelo delle vite,tante, tantissime (chi ne ha incontrate dipiù negli ultimi decenni?), tutte preziose,uniche, abbracciate da un sorriso che haamato la bellezza sempre, quando sistagliava nitida sulle vette della Valled’Aosta e quando giaceva, rannicchiata edolente, in un letto d’ospedale. Non è uncaso che il Papa più sofferente che imedia ci abbiano mostrato sia stato ancheil Papa dei giovani, ai quali il 15 aprile1984, in occasione della prima Giornataloro dedicata, rivolse una frasememorabile: «Vale la pena di essereuomo, perché tu, Gesù, sei stato uomo!».Roma, 2005. Da quegli ottoindimenticabili giorni in Messico eranopassati 25 anni. Avevo attraversato anch’iol’oceano, giungendo nel frattempo inCuria. Nella primavera di quell’anno dallefinestre vedevamo fiumi di genteincamminarsi, tra preghiere e canti, versocolui che, introducendo la Chiesa nelterzo millennio, aveva parlato di nuovaprimavera dello Spirito. Gente da ognidove veniva a contraccambiare le visite delPapa pellegrino. La famiglia cristiana eumana si stringeva attorno al padre, alfratello, all’amico. Tante lingueesprimevano il medesimo affetto per il

di BARTOLOMEO

Sono passati quindici anni dallamorte di Papa Giovanni PaoloII, la cui vita e il cuiinsegnamento hanno lasciato unsegno indelebile nel cuore del

mondo e nella vita della Chiesa. Parole eprincipi a lui tanto cari — come dignitàumana e libertà, giustizia sociale esolidarietà, dialogo e testimonianzacristiana — sono diventati assiomi epilastri del suo ministero ecclesiastico epastorale.Papa Giovanni Paolo II ha articolato inmodo eloquente la sua convinzione che lamissione della Chiesa è di liberarel’umanità da tutte le forme dioppressione. Ha svolto un ruolo vitalenell’abbattere i muri divisori che permolto tempo hanno imprigionatol’Europa dell’est.Del suo lungo ministero come vescovo diRoma si potrebbero ricordare le numerosevisite pastorali o le tante encicliche,sottolineare il contributo dato alla riformadel diritto canonico, ma anche mettere inevidenza la vasta ispirazione e influenzaavuta negli ambiti della religione eperfino della politica. Invece preferiamorichiamare l’attenzione su tre datefondamentali nei suoi incontri ecumenicicon la Chiesa ortodossa e nelle suerelazioni fraterne con il nostropredecessore, il Patriarca ecumenicoDemetrios, e con noi personalmente.

Inizia un dialogo:30 novembre 1979Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio auna nuova tradizione visitandoufficialmente il Patriarcato ecumenicopoco dopo la sua elezione. Al Phanar, inoccasione della Festa del trono dellaChiesa di Costantinopoli, abbiamoincontrato il nuovo Papa per la primavolta nella nostra funzione di capo dellasegreteria personale del Patriarcaecumenico Demetrios, di veneratamemoria.Il 30 novembre 1979, il Patriarca e il Papahanno pubblicato una DichiarazioneComune annunciando l’istituzione dellaCommissione mista internazionale per ildialogo teologico tra le nostre due Chiesesorelle. Dopo i primi contatti tra i loropredecessori — i Papi Giovanni XXIII ePaolo VI e il Patriarca ecumenicoAthenagoras — che avevano dato inizio al“dialogo di amore”, era tempo di iniziareil “dialogo di verità” al fine di superarele incomprensioni e di guarire le feritedel passato nel nostro cammino versol’unità.

Una dichiarazione per il creato:10 giugno 2002Le iniziative ecologiche della Chiesaortodossa, avviate dal Patriarca ecumenicoDemetrios nel 1989, dalla nostra elezionesono state portate avanti e rafforzate,specialmente attraverso numerosi simposiinternazionali, seminari e vertici checontinuano ancora oggi.Il Simposio sul Mare Adriatico —convegno interconfessionale einterdisciplinare tenutosi nell’estate del2002 — ha affrontato le dimensioni etichedella crisi ecologica e si è concluso conuna storica Divina Liturgia nella Chiesadi Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, il9 giugno 2002.Il giorno seguente, il 10 giugno 2002, idelegati hanno partecipato alla cerimoniaconclusiva a Venezia, nel magnificoPalazzo Ducale, dove c’è stato un altromomento storico di portata ecumenica eambientale. Abbiamo potuto metterci incontatto, con un collegamento satellitare,con Giovanni Paolo II, per firmareinsieme la Dichiarazione di Venezia, ilprimo testo comune in assoluto delle dueguide del cristianesimo d’Occidente ed’Oriente dedicato esclusivamente aquestioni ecologiche, ponendo in evidenzala cura del creato come dovere morale espirituale di tutte le persone.Come abbiamo dichiarato quel giorno,«l’umanità ha diritto a qualcosa di più diciò che vediamo intorno a noi. Noi, eancora di più i nostri figli e le futuregenerazioni, hanno diritto ad un mondomigliore, un mondo esente dal degrado,dalla violenza, dallo spargimento disangue, un mondo di generosità e dia m o re » .

Un’eredità per l’eternità:27 novembre 2004Un terzo momento cruciale nella nostrarelazione con il Papa di venerata memoriaè stata la restituzione di alcune sacrereliquie alla Chiesa di Costantinopoli: unaquestione importante, eppure delicata, perle relazioni tra le nostre Chiese. Nelnovembre 2004, le spoglie di san Gregorioil Teologo (†390) e di san GiovanniCrisostomo (†407) sono state restituite alPatriarcato ecumenico.I due santi sono stati famosi arcivescovidella prestigiosa capitale dell’Imp eroromano d’Oriente. Custodite inizialmentenella chiesa dei Santi Apostoli aCostantinopoli, le reliquie furono poiportate a Roma passando per Venezia,lasciando una ferita seria e profonda nellastoria delle relazioni tra cristiani.Le spoglie di san Giovanni Crisostomofurono collocate nella Basilica di SanPietro; quelle di san Gregorio il Teologoinizialmente vennero conservate nelconvento di Santa Maria in Campo Santoma, in seguito, furono spostate nellaCappella Gregoriana in San Pietro.Le reliquie sono rimaste lì finoalla nostra visita in Vaticano nel giugno2004, in occasione del quarantesimoanniversario dello storico incontro traPapa Paolo VI e il Patriarca ecumenicoAthenagoras di venerata memoria, edell’ottavo centenario della IV crociata nel1204.Nel suo discorso, Papa Giovanni Paolo IIha chiesto ufficialmente scusa per i tragicieventi della IV crociata, alla qual cosanoi abbiamo risposto con un’umilerichiesta di restituzionedelle sacre reliquie come «restaurazionemorale dell’eredità spirituale dell’O riente

Per il dialogoe la dignità umana

«Il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice»Seguimi dice il Signore risorto a Pietro, comesua ultima parola a questo discepolo, scelto perpascere le sue pecore. Seguimi — questa parolalapidaria di Cristo può essere considerata lachiave per comprendere il messaggio che vienedalla vita del nostro compianto ed amato PapaGiovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamooggi nella terra come seme di immortalità — ilcuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosasperanza e di profonda gratitudine (...).

Egli ha interpretato per noi il mistero pasqua-le come mistero della divina misericordia. Scrivenel suo ultimo libro: Il limite imposto al male«è in definitiva la divina misericordia» (Me m o -ria e identità, pag. 70). E riflettendo sull’attenta-to dice: «Cristo, soffrendo per tutti noi, ha con-ferito un nuovo senso alla sofferenza; l’ha intro-dotta in una nuova dimensione, in un nuovo or-dine: quello dell’a m o re … È la sofferenza chebrucia e consuma il male con la fiammadell’amore e trae anche dal peccato una multi-forme fioritura di bene» (pag. 199). Animato daquesta visione, il Papa ha sofferto ed amato incomunione con Cristo e perciò il messaggio del-

la sua sofferenza e del suo silenzio è stato cosìeloquente e fecondo.

Divina Misericordia: il Santo Padre ha trova-to il riflesso più puro della misericordia di Dionella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in te-nera età la mamma, tanto più ha amato la Ma-dre divina. Ha sentito le parole del Signore cro-cifisso come dette proprio a lui personalmente:«Ecco tua madre!». Ed ha fatto come il disce-polo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suoessere (eis ta idia: Gv 19, 27) — Totus tuus. E dal-la madre ha imparato a conformarsi a Cristo(...)

Possiamo essere sicuri che il nostro amato Pa-pa sta adesso alla finestra della casa del Padre,ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Pa-dre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madredi Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni gior-no e ti guiderà adesso alla gloria eterna del SuoFiglio, Gesù Cristo nostro Signore.

(Omelia del cardinale Joseph Ratzinger nella Mes-sa esequiale di Giovanni Paolo II - piazza SanPietro, 8 aprile 2005)La “Porta degli schiavi”, isola di Gorée (Senegal), 1992

Torre San Giovanni (Giardini Vaticani), 1995

Quel 15 aprile 1984 con i giovani

In un autografo inedito di Giovanni Paolo II

l’incoraggiamento ai giovaniin occasione dell’incontro internazionaleper il Giubileo della Redenzione(Domenica delle Palme, 15 aprile 1984).Alla celebrazione della Messa con i giovaniin piazza San Pietrosi riferisce anche la foto della copertina

L’autografo ineditodi Giovanni Paolo II in occasione dell’ultimo

a n n i v e rs a r i odella sua elezione (16 ottobre 2004)

Piazza San Pietro, 16 ottobre 1978

Papa missionario che aveva percorso ilpianeta per ricordare a tutti la dignitàdi ciascuno.Nella lingua cristiana missione fa rimaprecisamente con comunione. L’hainsegnato il Concilio Vaticano II,ricordando che la Chiesa, essenzialmente,è comunione in sé e missione per gli altri.Del Concilio, road map per la Chiesa delnostro tempo, l’itinerante Giovanni PaoloII è stato prima giovane padre e poianziano figlio. Ed eccoci lì, tutti stretti incomunione attorno al Papa della missione,in quei primi di aprile, nei suoi giornipasquali. Guardavamo al Crocifisso e allasua croce, raccolti come Maria e Giovanniai piedi del legno, a formare una famiglia.Comprendemmo che quei nomi gli siaddicevano: Maria, la cui inizialecampeggiava sotto la croce del suostemma, ma era ben più impressa nelTotus tuus del cuore; Giovanni,l’evangelista icona della comunione, nomeprimo di un Papa ad esso fedele, perchépadre dell’intera famiglia umana.L’ultima immagine è il suo affacciarsisulla piazza, la domenica di Pasqua, allafinestra, gesticolante e muto per l’ultimabenedizione, quella senza parole, quellafatta con la vita. Qualcuno ha scritto chela vita è una finestra aperta sul mondo.Credo che ciò valga in modo speciale peril Papa nato cent’anni fa. Lo ringrazio dicuore per aver aperto tante finestre anchesul mio mondo interiore. E per avervifatto entrare la Luce del mondo. e passo significativo nel processo di

riconciliazione». Il 27 novembre 2004,dopo la celebrazione solennee la processione guidata da PapaGiovanni Paolo II a Roma,abbiamo riportato le reliquie di sanG re g o r i o

il Teologo e san Giovanni Crisostomo allaloro casa nella Nuova Roma.È stato forse uno degli ultimie più belli atti di carità, nonché uno deigesti ecumenici più importanti ememorabili dell’anziano e fragilePontefice, nostro amato fratello in Cristo.

L’OSSERVATORE ROMANOpagina II L’OSSERVATORE ROMANO pagina III

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P re g h i e r ae azione

di GI O VA N N I BAT T I S TA RE

Fin dal primo incontro, Papa Giovanni Paolo IImi impressionò per la sua grande umanità, lasua attenzione alle persone e la non comuneprofondità di pensiero, unita a grandesemplicità di tratto. Poi, con lo scorrere del

tempo, notai che in lui non esisteva frattura fra ciò chepensava e ciò che diceva; fra ciò che credeva e ciò cheera; fra ciò che appariva e ciò che era nella realtà.Ciò però che, lavorando vicino a lui e col moltiplicarsidei contatti, mi ha colpito sempre di più è statal’intensità della sua preghiera. Giovanni Paolo II è statocertamente un grande uomo di azione e il mondo lo haapprezzato per quanto egli, nei 26 anni e mezzo dipontificato, ha realizzato in campo religioso e per averinciso anche sul corso della storia del secolo scorso; maegli era in primo luogo un uomo di preghiera: la suaoperosità era intimamente connessa con la preghiera.Non si può comprendere Papa Giovanni II se siprescinde dal suo rapporto con Dio. È stato un grandeuomo di preghiera, con una forte tensione spirituale emistica.Colpiva come si abbandonava alla preghiera: si notavain lui un coinvolgimento totale, che lo assorbiva comese non avesse avuto problemi e impegni urgenti che lochiamavano alla vita attiva. Il suo atteggiamento nellapreghiera era raccolto e, in pari tempo, naturale esemplice.Dal modo con cui pregava si avvertiva come l’unionecon Dio era per lui respiro dell’anima e umile ascoltodella voce di Dio. Si capiva anche come, negli anni incui era in seminario per diventare sacerdote, fosse natoin lui il vivo desiderio, anzi la volontà di farsicarmelitano. Fortunatamente, perché altrimenti non loavremmo avuto come Papa, il suo arcivescovo gliconsigliò: «Hai iniziato qui in seminario: ora terminaquanto hai incominciato».Commuoveva la facilità e la prontezza con cui eglipassava dal contatto umano con la gente alraccoglimento del colloquio intimo con Dio. Aveva unagrande capacità di concentrazione. Quando eraraccolto in preghiera, quello che succedeva attorno alui sembrava non toccarlo e non riguardarlo, tanto siimmergeva nell’incontro con Dio.Durante la giornata, il passaggio da un’o ccupazioneall’altra era sempre segnato da una breve preghiera.Egli si preparava ai vari incontri della giornata e dellasettimana pregando. Qualche volta lo disseespressamente. Per esempio, ricevendo Gorbaciov nel1989, il Papa iniziò il colloquio confidando al suointerlocutore che si era preparato all’incontro pregandoDio per lui e per quell’i n c o n t ro ,che considerava graditissimo e importante.Tutte le decisioni significative erano da lui maturatenella preghiera. Prima di ogni decisione significativaGiovanni Paolo II vi pregava sopra a lungo, a volte perpiù giorni. Più importante era la decisione, piùprolungata era la preghiera. Sembrava comese trattasse con Dio i vari problemi.Nelle scelte di un certo peso non decideva maisu due piedi. Ai suoi interlocutori che gli chiedevano oproponevano qualcosa, rispondeva che desideravariflettervi sopra prima di dare risposta.In realtà, guadagnava tempo per ascoltare qualcheparere (aveva sempre molti contatti),ma soprattutto intendeva pregarci sopra e ottenere lucedall’alto prima di decidere.Ricordo un caso, negli anni in cui ero sostituto dellaSegreteria di Stato, in cui mi sembrava che il Papafosse già decisamente a favore di una determinatadifficile scelta. Gli chiesi pertanto se si potevaprocedere a darne comunicazione. La risposta fu:«Aspettiamo, voglio pregare ancora un po’ prima did e c i d e re » .Quando si stava studiando una questionee non si riusciva a trovare una soluzione giusta eadeguata, il Papa concludeva dicendo:«Dobbiamo pregare ancora perché il Signoreci venga in aiuto». Si affidava alla preghieraper trovare chiarezza sulla strada da seguire.Punto forte della sua spiritualità è stata la devozionealla Madonna. La dimensione mariana, espressa anche

dal motto Totus tuus scelto in occasione dellaconsacrazione episcopale, fu per lui sorgente di serenafiducia durante l’intera sua esistenza. Nel periodo in cuiandava a lavorare alla cava di pietra e poi alla fabbricaSolvay, lesse il libro di san Grignion de MontfortTrattato della vera devozione a Maria, che gli era statodato da un laico, Jan Tyranowski. Questi aveva creato inparrocchia un gruppo di 15 giovani, fra i quali KarolWo j t y ła, che si impegnavano a recitare ognuno unadecina del rosario al giorno.Non è senza significato il fatto che, due settimane dopola sua elezione alla sede di Pietro (nel pomeriggio dellaprima domenica per lui libera), andò al santuario dellaMentorella per pregare, ma anche per parlare dellapreghiera, affermando che considerava «suo primocompito come Papa quello di pregare per la Chiesa eper il mondo»; e che desiderava che la preghiera fossein un certo senso «il primo annuncio del Papa» (omeliaal Santuario della Mentorella, «L’Osservatore Romano»,30-31 ottobre 1978).La Messa era per lui la realtà più alta, più importante epiù sacra. In un incontro con i sacerdoti nel 1995 disse:«La Messa è in modo assoluto il centro della mia vita edi ogni mia giornata». «Celebrare ogni giorno la Messaè per me un bisogno del cuore».La preghiera era in lui qualcosa di spontaneo, conlunghi spazi di ascolto di Dio e , nello stesso tempo, eralegata alle pratiche di pietà tradizionali, fra le quali l’oradi adorazione ogni giovedì, la Via Crucis che facevaogni venerdì e il Rosario quotidiano. L’Eucaristia, ilCrocifisso e la Madonna erano i tre centri della suapietà.A proposito della Via Crucis che Giovanni Paolo IIfaceva ogni venerdì, il cardinale Antonio Innocenti miha raccontato il seguente episodio. Era nunzio a Madridin occasione del primo viaggio in Spagna di GiovanniPa o l o II. Il Papa, nel giovedì di quella settimana, avevaavuto una giornata intensissima, per cui arrivò a cenaalle ore 21,30. Il programma del giorno dopo prevedevala prima colazione alle ore 6,30 e poi partenza perSiviglia alle ore 7. Il nunzio si svegliò presto il mattino,un po’ per la preoccupazione della visita pastorale delPapa, un po’ perché aveva ceduto la sua camera alPontefice e aveva dormito in un letto piccolo sistematoin mansarda. E così alle 5 del mattino era già in piedi.Scese al primo piano alle ore 5.30 convinto che il Papasarebbe uscito dalla sua stanza soltanto un’ora dopo,alle 6,30. Notò però che nella chiesetta della nunziaturaera accesa la luce. Pensò che la sera precedente ci sifosse dimenticati di spegnerla. Andò quindi ad aprire laporta della chiesetta e con sorpresa vide il Papainginocchiato per terra, davanti a una delle stazionidella Via Crucis. Era un venerdì e la giornata sarebbestata piena di impegni pastorali a Siviglia e a Granada,per questo il Papa era già in chiesa alle 5.30 del mattinoper fare la Via Crucis.Ho accompagnato il Papa in Terra Santa nell’anno2000. Il venerdì di quella settimana, nel volo inelicottero da Gerusalemme al lago di Tiberiade, notaiche il Papa, seduto davanti a me, aveva in mano unlibro della Via Crucis, e stava facendo la pratica dellaVia Crucis così come gli risultava possibile, in elicottero.La sua salute era già indebolita dal morbo di parkinson,altrimenti avrebbe fatto la Via Crucis nelle ore notturne.A proposito della preghiera di domanda, rispetto allapreghiera di adorazione, di ringraziamento e di richiestadi perdono, ho trovato interessante la risposta che PapaGiovanni Paolo II diede ad André Frossard durante icolloqui che ebbe con lui a Castel Gandolfo nel 1982.Disse: «Vi fu un tempo nella mia vita in cui misembrava che fosse conveniente limitare la preghiera didomanda (cioè la preghiera di intercessione a favore diuna persona o di una situazione) per lasciare più spazioalla preghiera di adorazione, di lode e diringraziamento, perché più nobile. Questo tempo ora èpassato. Più vado avanti nel cammino che laProvvidenza mi ha indicato, più sento fortemente in meil bisogno di ricorrere alla preghiera di domanda, e piùil cerchio delle domande a Dio si allarga» (AndréFrossard, “N’ayez pas peur!” Dialogue avec Jean Paul II,Editions Robert Laffont, S.A. Paris 1982 - pagina 46).Giovanni Paolo II con la sua preghiera abbracciava ilmondo intero e più volte ha parlato di «geografia dellapreghiera», confidando che, mentre pregava, facevaidealmente il giro del mondo, soffermandosi sullesituazioni più oppresse o bisognose nelle varie nazioni.La sua preghiera di intercessione a favore di persone edi situazioni aveva di solito un respiro universale, maspesso pregava anche per casi singoli. San GiovanniPaolo II è stato un mistico, che aveva dentro di sé unaforte tensione spirituale; un mistico attento alle personee alle situazioni, che ha meravigliato per la suaincontenibile attività, portata avanti con una forzastraordinaria che gli veniva da Dio.

Con Brendana San Francisco

di STA N I S ŁAW DZIWISZ

Giovanni Paolo II è morto già da 15 anni ma continua sem-pre a ispirare le persone, attraverso la sua testimonianza e an-che attraverso la devozione a Gesù Misericordioso. Certa-mente, con il tempo che passa, mi torna sempre nella mentequesta grande figura di Pontefice che è dono per la Chiesa eper l’umanità.

Ho vissuto con Karol Wojtyła dopo la sua nomina a cardi-nale e poi dopo l’elezione a Pontefice. Il suo “s e g re t o ”, comepersona, è la profondità della sua vita spirituale. Lui pregavasempre, la sua vita è sempre stata unita alla preghiera. Haimparato il valore della preghiera fin da ragazzo e questoaspetto lo ha approfondito, dopo, con il passare degli anni.

Come è evidente, ha lasciato una grande eredità. Che èimportante non solo per il passato e per il presente, ma an-che per il futuro. Mi riferisco, in modo particolare, alla suapersonalità straordinaria. Penso al suo contatto con la gente,con tutti i gruppi che incontrava. Penso anche al modo incui trattava ogni persona che incontrava nella sua attività pa-storale. Povero, debole, ammalato: lui si accostava semprecon grande rispetto e amore.

Tra tanti episodi, vorrei ricordare quello che accadde, nelsettembre 1987, durante il viaggio negli Stati Uniti d’Ameri-ca, a San Francisco. C’era una famiglia con un bambino, ma-lato di aids. Si chiamava Brendan. Tutti si erano allontanatida questo bambino sieropositivo: il Papa ha preso le mani diBrendan nelle sue, le ha baciate, lo ha benedetto e lo ha “re -stituito” alla sua famiglia. Questo gesto veramente è stato piùimportante di una predica, soprattutto in quell’ep o ca.

Guardando ai ricordi più personali, devo dire che lui ci hatrattati in modo familiare. Nell’appartamento pontificio hacreato il clima di una famiglia, in cui si lavorava bene. Ci hatrattato con grande semplicità, ma anche con bontà e congrande amore.

Storia di una croce:Janina e il Papa

di MIECZYSŁAW MOKRZYCKI

La croce. Se penso a san Giovanni Paolo II il primo pensierova alla croce. Ma non in modo astratto. Racconto un episo-dio su quell’ultima Via crucis, nel giorno del Venerdì santo.Si è reso conto che proprio non gli era possibile, fisicamente,andare al Colosseo come aveva fatto ogni anno. Ma avevavoluto assolutamente partecipare al rito attraverso la televi-sione, nella cappella. Improvvisamente si è voltato e ha chie-sto che gli fosse dato un crocifisso. In quel gesto c’è il sensodella sua missione, della responsabilità che lui sentiva per lasua missione.

Don Stanislao mi disse: «Mietek, vai a prendere, per favo-re, il crocifisso che è nella tua stanza». Portai subito al Papaquel crocifisso che oggi è conservato in Polonia e viene por-tato in pellegrinaggio ovunque venga richiesto.

Quel crocifisso ha una storia. Avevo da poco iniziato ilmio servizio accanto a Giovani Paolo II, nel 1996. Una dome-nica pomeriggio il Papa accolse un pellegrinaggio, venutodalla Polonia, nella Biblioteca privata. Janina Trafalska, unadonna gravemente disabile, originaria di Stefkowa, un picco-lo villaggio, gli donò un semplice, povero, crocifisso di legnoscolpito da suo marito Stanisław. Proprio in quei giorni stavomettendo a posto la mia nuova stanza, nell’appartamentopontificio, e chiesi al Papa se potevo appoggiare quel croci-fisso — così significativo — alla parete. Lui mi diede il per-messo volentieri. Nove anni dopo don Stanislao, che ricorda-va bene quel dono perché anche lui era rimasto profonda-mente colpito dal suo valore simbolico, mi suggerì di ricon-segnarlo al Papa proprio in quella sua ultima Via crucis,quando ha voluto portare comunque la croce con Gesù. Nonaveva quasi più forze, però è come se quel crocifisso se lofosse caricato addosso portando la preghiera per la Chiesa eper ogni persona.

Oggi quella croce è custodita in Polonia, nella parrocchiadi San Nicola a Kraczkowa, nell’arcidioecsi polacca di Prze-myśl. Il parroco, don Mieczysław Bizior, la mette a disposi-zione per pellegrinaggi e incontri di preghiera.

Anche alla luce di questa testimonianza, oggi il primo ri-cordo che mi viene è il suo interesse, la sua passione per glialtri. Era un uomo attento alle altre persone, attento a nonescludere nessuno. Sì, certo, non posso non ricordare il suoviaggio qui a Leopoli, in Ucraina, nel 2001: un avvenimentoimpensabile fino a qualche anno prima. Ma questo è un ri-cordo, diciamo, più personale, legato alla mia terra.

Oggi che sono arcivescovo a Leopoli cerco di mettere inpratica ciò che san Giovanni Paolo II mi ha insegnato con lasua vita, con la sua testimonianza. Ho imparato da lui a esse-re, appunto, più attento agli altri. Ho imparato ad avere tem-po per gli altri. Ho imparato ad ascoltare gli altri. Ho impa-rato ad avere tempo per la preghiera, soprattutto. Ho impa-rato questa visione pastorale che lui ha applicato in manieracosì forte come successore di Pietro.

San Giovanni Paolo II è stato sicuramente un uomo dipreghiera. Un uomo che ha sempre sentito forte la responsa-bilità della sua missione a servizio della Chiesa e dell’umani-tà. Veramente lui guardando a Cristo non temeva di “b ru c i a -re ”, per così dire, se stesso. Non si risparmiava, non faceva ilcalcolo delle sue energie. Ha cercato sempre di servire Cristoservendo gli uomini.

Fin da ragazzo, e poi nel tempo del seminario e dei primianni di sacerdozio, è stato capace di affinare questa capacitàdi mettersi, nella preghiera, davanti a Dio. Si potrebbe direche era capace di “staccarsi” dal resto del mondo. Anche inmezzo a grandi folle riusciva proprio a “staccarsi” per prega-re. E quando pregava non c’era nulla intorno che lo distur-basse, che lo distraesse. Era una forza che aveva dentro sestesso. Non è un mistero quanto fosse importante per lui lapreghiera, nel suo servizio alla Chiesa e al mondo.

Mi ha sempre colpito che lui era affezionato alle preghierepiù semplici, quelle che si imparano da piccoli nelle famigliecristiane — e la sua lo era — e andando a catechismo. Quellesemplice preghiere lui le recitava di continuo, per i piccoli e igrandi avvenimenti. Le “usava” per chiedere la pace.

Ha lottato molto per la pace. Fino alla fine dei suoi gior-ni. Aveva avuto una vita difficile, nel periodo della secondaguerra mondiale e poi con il comunismo. Sapeva bene il si-gnificato delle parole “pace” e “lib ertà”. Per questa ragioneha combattuto con tutte le sue forze perché tutte le persone,tutti i popoli avessero la pace e la libertà. Di questo parlavacon i capi di Stato, con i “grandi” della terra e anche con ileader religiosi.

Questa sua testimonianza in nome di Dio per l’uomo èriuscito a portarla avanti anche con la sofferenza, soprattuttonell’ultimo periodo della sua vita terrena. Credo che il modoin cui san Giovanni Paolo II ha vissuto la sofferenza sia unatestimonianza di grande incoraggiamento quando ci sentiamostanchi, deboli, inutili, rassegnati. Non si è vergognato dimostrarsi fragile, malato. E così facendo ha dato dignità atutte le persone che soffrono dicendo, con la sua presenzaprima ancora che con le parole, che nessun uomo è inutileanche se le sue condizioni di salute lo rendono quasi immo-bile. Ha ricordato che Dio ci ama sempre e comunque, senzacondizioni. Ha testimoniato che la vita va vissuta sempre efino in fondo perché è un dono di Dio e non è mai inutile.

Vi t ain famiglia

di ANGELO GUGEL

Sono veramente tanti i ricordi che ho di san Giovanni PaoloII. Se dovessi riassumerli in una frase direi “grande attenzio-ne per la famiglia”. Sin dai primi giorni del mio servizio allaSegreteria particolare del Santo Padre, mi sono sentito accol-to in una “famiglia”. Mi sono tremate le gambe quando sonostato richiamato in appartamento dopo la morte di PapaGiovanni Paolo I, ma il clima di fiducia instaurato dal SantoPadre, ma anche da monsignor Stanislao e dalle suore, mi hafatto sentire “a casa”. E in questo clima sono trascorsi i 27anni di pontificato, anni pieni di attività, incontri e viaggi.

dente della sua speciale venerazione per la Vergine Maria.Ricordo che nei pochi giorni di vacanze, in Cadore o in Val-le d’Aosta, durante i viaggi in pulmino per raggiungere lemète previste per la passeggiata, portava spesso con sé il le-zionario e usava le letture della messa, che aveva già celebra-to, per la meditazione quotidiana. Anche in montagna l’An-gelus era un appuntamento fisso, dovunque ci si trovasse amezzogiorno ci si riuniva tutti in preghiera.

Per me, e per la mia famiglia, servire da vicino san Gio-vanni Paolo II è stata una immensa grazia, un dono dellaProvvidenza inimmaginabile. Negli anni ho cercato di svol-gere nel modo migliore i compiti che mi venivano affidati,consapevole dell’importanza di essere a servizio diretto delSanto Padre. Mantenere la riservatezza sul mio lavoro anchein famiglia era normale. Quando uscivamo con il Santo Pa-dre per andare in montagna in forma privata anche i miei fa-miliari lo venivano a sapere dai giornali.

I piccoli sacrifici che il lavoro richiedeva erano compensatidal grande sentimento di affetto del Santo Padre nei nostriconfronti che manifestava non solo nel ricordo e nella pre-ghiera ma anche durante gli incontri nei quali si trattenevacon ciascuno come un nonno con i suoi nipotini (mi scusoper questo paragone).

È stato un uomo di preghiera. La vita del Santo Padre èstata una continua preghiera. Egli sostava in ginocchio da-vanti al Tabernacolo, nella cappella privata, più volte duranteil giorno, pregando anche per le intenzioni che pervenivanoin segreteria particolare e che gli facevamo trovare sull’ingi-nocchiatoio. Chissà quante grazie sono state possibili tramitela sua intercessione. È stato un uomo di grande fede che affi-dava al Signore ogni preoccupazione riguardante il suo mini-stero di Pastore della Chiesa universale certo dell’aiuto che ilSignore non gli avrebbe fatto mancare.

Ho potuto vedere da vicino anche tanta sofferenza.D ell’attentato del 13 maggio 1981 ricordo ogni momento, dalforo della pallottola, al Papa adagiato per terra all’i n g re s s odel palazzo dei Servizi di sanità in Vaticano, fino alla lungacorsa verso il policlinico Gemelli. Sono stati giorni pieni ditrepidazione. In questo, e negli altri momenti di grande sof-ferenza fisica, il Santo Padre, non si è mai lamentato, ma an-zi accettando sempre tutto incondizionatamente ha dato te-stimonianza del suo totale abbandono alla volontà di Dio.

Matrimonioa sorpresa

di VITTORIA IANNI

Giovanni Paolo II ha celebrato il mio matrimonio con Mario.Era il 25 febbraio 1979. Oggi, quarantuno anni dopo, con tresplendidi figli e tre bellissimi nipoti — e un quarto in arrivo...— posso dire che davvero è stato un matrimonio benedettosul quale abbiamo costruito una vera famiglia. Conservo nelcuore, con mio marito, la paternità familiare di GiovanniPaolo II che ci ha sempre fatto sentire davvero come suoi “fi-gli”. Come i fidanzati e gli sposi che seguiva a Cracovia.

Tutto nasce a fine 1978, quando mio padre Giuseppe, chelavorava come netturbino, ci disse che il nuovo Papa — erastato appena eletto — sarebbe andato a visitare il presepe chelui allestiva, per Natale, dal 1972, nel deposito dell’Aziendamunicipalizzata della nettezza urbana, al numero civico 5 divia dei Cavalleggeri.

E così mi venne l’idea, un po’ “folle”, di chiedere al Papadi celebrare il mio matrimonio. Ero fidanzata con Mario dacinque anni e stavamo progettando la data per le nozze. Conuna bella dose di sfacciataggine, e tutta la mia ingenuità,quando vidi davanti a me Giovanni Paolo II trovai il corag-gio di prendergli le mani e di chiederglielo. Lui rispose subi-to “sì”. E me lo ripetè più volte. Poi mi chiese con un sorri-so: «Ma tu quanti anni hai?». In effetti avevo 21 anni peròne dimostravo meno.

Insomma, il Papa aveva detto “sì”. Tutti restammo sorpre-si. La mia è una famiglia molto semplice, umile. Mio padreaveva perso entrambi i genitori quando aveva 7 anni, nel pe-riodo della guerra, ed era stato costretto a lavorare “da schia-vo” in Calabria. Poi era riuscito a venire a Roma dove avevatrovato lavoro come netturbino. È sempre stato un uomo difede, legato all’esperienza delle Acli e dell’Azione cattolica.Io — che sono la sua figlia più grande e ho cinque fratelli —facevo la commessa e mio marito il tecnico perito elettronico.

Qualche giorno dopo, con il mio parroco, siamo andatinell’ufficio di monsignor Dino Monduzzi: ci comunicò che ilPapa aveva scelto di celebrare il matrimonio nella CappellaPaolina il 25 febbraio.

Abbiamo fatto le bomboniere a mano per risparmiare — leconsegnavo personalmente nella pausa pranzo — e il vestitome lo ha cucito un’amica sarta che abitava nel nostro condo-minio, a Bravetta. Ma quando l’agenzia Ansa diede la notiziache il Papa avrebbe celebrato un matrimonio siamo stati...“a c c e rc h i a t i ”. Ci hanno offerto di tutto, da un viaggio dinozze a Honolulu a un vestito ricchissimo — che abbiamo ri-fiutato — e persino soldi per “imbucarsi” alla Messa.

Con lo stile semplice, direi popolare, che ci ha testimonia-to Giovanni Paolo II non abbiamo avuto problemi a evitaretutte le situazioni spiacevoli. E, grazie a lui, siamo riusciti avivere con serenità e soprattutto con fede il matrimonio, met-tendolo nelle mani del Signore. Proprio questa è stata la no-stra preghiera quel giorno: ci siamo affidati al Signore. Nes-suno ti insegna a fare la moglie e la madre: tu però ci devimettere amore e Dio ti sa aiutare. Questo abbiamo imparatoda Giovanni Paolo II. Davvero ha saputo metterci a nostroagio, facendo prevalere il valore della celebrazione ed elimi-nando tutte le esteriorità.

Mario e io abbiamo vissuto questi 41 anni insieme conl’amore di quel giorno. Negli anni, poi, Giovanni Paolo II hacontinuato a seguire la nostra vita. L’appuntamento fisso erala visita, nel periodo natalizio, al “presepe dei netturbini” chemio padre ha continuato ad allestire. Ogni tanto siamo anda-ti a trovarlo noi in Vaticano: ad esempio per celebrare i ven-ticinque anni di matrimonio. Abbiamo avuto l’opportunità dipresentargli i nostri tre figli. Ci ha sempre accolti con spon-taneità, delicatezza e familiarità, informandosi del nostro la-voro e se i ragazzi andavano bene a scuola. Sì, mi piace pen-sare che Giovanni Paolo II continui, da lassù, a benedire lanostra famiglia, come fece il 25 febbraio 1979.

Il regalo più grandeper il centenario?Una legge internazionalecontro l’ab orto

di Wanda Półtawska

Per riprendere una battuta di Giovanni Paolo II, ho vissutoper tanti anni “con una gamba a Cracovia e l’altra gamba aRoma”. Adesso, mentre il mondo intero ricorda l’anniversariodella nascita del Papa, mi sento ancora più vicina a Roma eall’Italia proprio perché ci lega la persona di questo grandesanto. Ho potuto osservare, durante tutto il pontificato, cheGiovanni Paolo II era amato a Roma come in Polonia. Possoassicurare che amicizia e amore erano reciproci. Adesso tuttoil mondo cerca informazioni sulla sua vita, ma proprio i ro-mani, e gli italiani, sono i primi e più vivi testimoni per averseguito da vicino la santità di Giovanni Paolo II.

I romani hanno potuto guardarlo da vicino, non solo intelevisione, e seguire direttamente la sua vita. Ho osservatocome si comportava la gente romana e italiana alla vista delPapa. Proprio i romani hanno potuto osservare e ammirare igesti del nuovo Papa, appena eletto, prima ancora che lo ve-desse il mondo. Ho parlato tante volte e con molta gente du-rante i vent’anni del mio lavoro a Roma. All’inizio le personerimanevano stupite, per esempio, quando l’arcivescovo diCracovia è arrivato senza grandi bagagli. Poi, conoscendolomeglio, hanno capito cosa per lui aveva il più alto valore.

È stata la gente di Roma a dare testimonianza, a diffonde-re in tutto il mondo le notizie su quello che faceva il nuovoPapa: e lui, per prima cosa, è andato in ospedale a trovareun amico malato. Proprio la gente che abita a Roma ha po-tuto seguirlo da vicino quando ha bendetto il matrimonio diuna ragazza, perché glielo aveva chiesto con semplicità.

Adesso, dopo la sua morte, la gente conosce sempre me-glio il suo pensiero, il suo insegnamento. Ma i primi a veder-lo sono stati i romani, e sono convinta che quando innalzava-no grida in suo onore, quando i giovani dicevano di amarlo,dicevano la verità. Risuonò, del resto, in italiano il grido“santo subito” durante i suo funerali. In un certo senso lepersone che vivevano allora a Roma, e in Italia, si possonodefinire testimoni della santità di Giovanni Paolo II.

La sua personalità era talmente ricca — cosa di cui ogginessuno dubita — che la sua vita e i suoi interessi si possonodescrivere da svariate angolazioni. Ultimamente sto notandoche ho ormai quasi più amici in Italia che in Polonia. A cen-to anni dalla nascita di Giovanni Paolo II — io di anni ne ho99 — i testimoni ancora viventi diventano sempre meno nu-merosi. Ho la speranza che quelli che conoscono la sua vita“contageranno” il mondo con la sua testimonianza. Per me,la cosa più importante è quello che lui sapeva trasmettereagli altri e vorrei che le generazioni future potessero conosce-re l’insegnamento e anche le poesie di Karol Wojtyła. Ci halasciato molti scritti, documenti, encicliche che sono una ri-cetta pratica di come raggiungere ciò che costituisce lo scopodella vita, ovvero il Cielo.

Il suo desiderio era salvare tutti gli uomini. Non erano pa-role vuote, amava davvero tutte le persone e aspirava a dareloro quello che è previsto nel piano del Creatore. Credevaveramente che Dio ha creato l’uomo a sua somiglianza e cheognuno può sviluppare la propria personalità: questo era ilsuo insegnamento. Sosteneva, inoltre, che la chiave per capi-re l’uomo è proprio il fatto della creazione, che è la provadell’esistenza del Creatore.

Nello stesso tempo era realista e indicava chiaramente chel’uomo sulla terra si trova in mezzo a un campo di battaglia,tra il bene e il male. Non chiudeva gli occhi su quel che ve-deva e so quanto soffriva perché, anche se per tutta la vitaaveva cercato di salvare la vita di bambini innocenti, non èriuscito a salvare il mondo da questo crimine e tuttora inmolti i Paesi la legge vigente permette di togliere la vita abambini innocenti non nati. E proprio questo è un campo diattività che si era aperto per me: ancora da vescovo a Craco-via, egli aveva voluto l’Istituto della Teologia della Famigliadove io ho lavorato insieme a lui. Fino alla fine dei suoi gior-ni egli ha sofferto per questo.

Se si vuole ora davvero onorare il centenario della sua na-scita e la sua memoria, io vedo solo un modo: convertire lepersone affinché capiscano che ogni bambino e ogni personahanno il diritto alla vita. L’unico Signore della vita è il Crea-tore che ama il suo creato. Sono sicura che una legge inter-nazionale che vieti di uccidere i bambini non nati potrebbeessere un “re g a l o ” dell’umanità per questo grande uomo,

Karol Wojtyła cent’anni Non vuole forse Cristo, non dispone forse lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’E u ro p acristiana? Sappiamo che questa unità cristiana dell’Europa è composta da due grandi tradizioni: dell’Occidente e dell’O riente

Cappella privataVenerdì santo 2005

Il Santo Padre ha fatto sentire “di famiglia” anche la miafamiglia che, negli anni, ha visto crescere e che seguiva conaffetto chiedendo spesso notizie di tutti. In particolare nonposso dimenticare la vicinanza sostenuta dalla preghiera indue momenti difficili, l’ultima e complicata gravidanza dimia moglie, che metteva a rischio sia lei che la bambina eper il buon esito della quale un giorno mi aveva detto diaver celebrato la santa messa, e il gravissimo incidente stra-dale a seguito del quale mio figlio era rimasto in coma, dalquale si è risvegliato senza conseguenze.

Ciò che più mi ha impressionato di san Giovanni Paolo II

è la semplicità e la profondità della sua fede, alimentata dallacostante preghiera. All’inizio dei fogli, scritti a mano, delleomelie era sempre riportata una parola di affidamento allaMadonna, la più ricorrente era Totus tuus, dimostrazione evi-

L’OSSERVATORE ROMANOpagina IV L’OSSERVATORE ROMANO pagina V

Page 4: AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una nuova tradizione visitando ufficialmente il Patriarcato ecumenico poco dopo la sua

La profeziadi Wyszyńskidi STA N I S ŁAW RYŁKO

Q uello di san Giovanni Paolo II è stato unpontificato ricco di eventi che hannoveramente solcato in profondità la vita dellaChiesa e del mondo; eventi di cui egli èstato architetto e protagonista. È riuscito a

dare al papato dei nostri tempi una dimensioneuniversale e planetaria, che oltrepassa i confini di Stati econtinenti. È stato intrepido difensore dell’uomo, deisuoi diritti inalienabili tra cui il fondamentale diritto allavita, difensore della famiglia, ai nostri giorni minacciatada più parti. Un Papa dei giovani, che hanno scopertoin lui un vero amico e una guida sicura nelle sceltefondamentali della vita (pensiamo alle Giornatemondiali della gioventù).Prodigandosi perché l’Europa riprendesse finalmente arespirare con i suoi due polmoni, questo Papa è statoartefice della “primavera della libertà” nei Paesidell’Europa centro-orientale per lunghi anni oppressidal sistema totalitario del comunismo ateo.Buon samaritano, si chinava con amore sulle piaghe esulle ferite dell’uomo, facendosi voce di chi non havoce. Amico sensibile dei piccoli, dei poveri, degliemarginati, dei malati, di coloro che soffrono.Coraggioso operatore di pace in un mondo dove miseriae ingiustizie si accompagnano all’odio, alla violenzae alle guerre.Papa osannato dalle grandi masse, che in tutti icontinenti si radunavano intorno a lui per ascoltare lasua parola, e al tempo stesso, Papa contestato da variambienti per il suo coraggio di annunciare veritàcontrocorrente, di screditare mode e tendenzedominanti, di denunciare il male dovunque si annidi.Un grande profeta dei nostri tempi e un Papascomodo — come ogni profeta — perché indisponentesegno di contraddizione. La sua personalità forte eaffascinante lo ha reso un Papa non convenzionale davarie angolature: contemplativo, mistico immerso nellavita di preghiera e uomo d’azione, sensibile allequestioni più scottanti; grande comunicatore e uomo deimedia; intellettuale, filosofo e, al tempo stesso, sportivoinnamorato della natura, della montagna, dello sci;teologo che esplorava il mistero di Dio e pastore vicinoalla gente e attento ai problemi quotidiani delle persone;uomo di pensiero e poeta che avvertiva, irresistibile, ilbisogno di addentrarsi negli abissi del Mistero.André Frossard, ricordando il giorno dell’inaugurazionedel suo pontificato, scrisse: «Quel giorno di ottobre incui apparve per la prima volta sulla scalinata di SanPietro con un grande crocifisso piantato dinnanzi, chereggeva con entrambe le mani come una spada, quandole sue prime parole “Non abbiate paura!” r i s u o n a ro n onella piazza, in quello stesso momento tutti capironoche qualcosa si era mosso in cielo e che, dopo l’uomo dibuona volontà che aveva aperto il concilio (GiovanniXXIII), dopo il grande dello Spirito che lo aveva chiuso(Paolo VI), dopo un intermezzo dolce e fuggitivo comeun passaggio di colomba (Giovanni Paolo I), Dio ciinviava un testimone. Si sapeva che veniva dallaPolonia. Io avevo piuttosto l’impressione che avesselasciato le reti sulle rive di qualche lago e che sulle ormedell’Apostolo Pietro fosse arrivato direttamente dallaGalilea. Mai mi ero sentito così vicino al Vangelo.Perché senza ombra di dubbio,quel “Non abbiate paura!” era rivolto a un mondo dovel’uomo ha paura dell’uomo, paura della vita come eforse più che della morte, paura delle folli energie chetengono gli uomini prigionieri, paura di tutto, di nientee a volte della sua stessa paura» (André Frossard,«Nayez pas peur!» Dialogue avec Jean Paul II, EditionsRobert Laffont, S.A. Paris 1982, pag. 7).Frossard ha portato a galla, con toccante maestria, ladimensione più profonda della personalità di KarolWo j t y ła, ha evidenziato la sua grande testimonianza difede, che ancora oggi, in un tempo che vede dilagaresecolarizzazione e modelli di vita senza Dio, in unmondo nel quale gli uomini vivono come se Dio non cifosse, ha molto da insegnare. Una testimonianza di fedefino all’effusione del sangue, in quell’inaudito attentatodel 13 maggio 1981 a piazza San Pietro. E Papa Wojtyłaè stato un grande testimone della speranza in mezzo aun’umanità confusa che, in questo tempo più che mai,cerca ragioni per vivere. «Io ho pregato per te, perché latua fede non venga meno. E tu una volta convertito,conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32). È questa lamissione affidata da Cristo a Pietro e ai suoi successori.A quante persone san Giovanni Paolo II ha ridato ilcoraggio di credere e di sperare! Quanti giovani, inparticolare, ha guidato alla scoperta di Cristo, unicarisposta definitiva alle domande più profonde del cuoreumano; quanti cristiani ha aiutato a liberarsi da falsicomplessi di inferiorità nei confronti della culturalaicista dominante e a vivere il Vangelo in modocoerente e radicale! La sua fede e la sua speranza sisono stagliate come certezze incrollabili e hanno scossole coscienze di molti. Instancabile pellegrino delVangelo attraverso tutti i continenti, è stato autore di 14Encicliche e 14 Esortazioni apostoliche post-sinodali.Teso verso l’unità dei cristiani, ha aperto condeterminazione orizzonti nuovi al dialogo con gli ebrei,nostri “fratelli maggiori”. Un vero gigante dello spirito.Tutto quanto scritto fin qui prova la straordinariaricchezza del pontificato di san Giovanni Paolo II e lospessore degli eventi che lo hanno accompagnato. Ma aquesto punto sorge una domanda: esiste una chiaveermeneutica generale, una linea guida che dia unità allalettura di questi quasi 27 anni di ministero petrino disan Giovanni Paolo II? Penso che questa chiave esista esia costituita dal Grande Giubileo della Redenzione

dell’anno 2000, un punto di riferimento costante nellavita di questo Pontefice. Fin dall’inizio, il suopontificato è stato orientato da questa importantescadenza, la fine del secondo millennio dell’era cristianae l’inizio del terzo. A rivelarlo è stato lui stesso. Duranteil conclave, alla vigilia del 16 ottobre 1978, il cardinaleStefan Wyszyński, primate della Polonia, quando ormaila candidatura del cardinale di Cracovia stavaprendendo quota, gli disse: «Se ti eleggono, nonrifiutare!». E subito dopo l’elezione aggiunse: «Tucondurrai la Chiesa nel nuovo millennio». Parolep ro f e t i c h e .Ma l’orizzonte del nuovo millennio era presente nelpensiero di Karol Wojtyła ancora prima. Ecco, comeconcludeva gli esercizi spirituali predicati nel 1976 aPapa Paolo VI e alla curia romana: «Siamo già entrati[...] nell’ultimo venticinquennio del secondo millenniodopo Cristo, nuovo Avvento della Chiesa edell’umanità. Tempo di attesa e insieme di una decisivatentazione; in qualche modo sempre la stessa, checonosciamo dal terzo capitolo della Genesi, però in unsenso sempre più radicale. Tempo di grande prova, maanche di grande speranza. Proprio per questo tempo ciè stato dato il segno: Cristo, “segno di contraddizione”(cfr. Lc 2, 34). E la donna vestita di sole: “Segnograndioso nel cielo” (cfr. Ap 12, 1)» (Karol Wojtyła,Segno di contraddizione, Edizioni Vita e Pensiero, Milano1977, pag. 224).Anche queste parole profetiche! Come potevaprevedere il cardinale di Cracovia che sarebbe statoproprio lui ad aprire la Porta Santa del GrandeGiubileo a San Pietro nell’anno 2000? Il GrandeGiubileo è diventato per san Giovanni Paolo II nonsolo un traguardo, una pietra miliare nella vita dellaChiesa, ma anche un preciso programma pastorale cheha seguito con profonda convinzione ed entusiasmoevangelico. Nella Lettera apostolica Tertio millennioadveniente è lo stesso Pontefice a darci la chiave dilettura del suo pontificato, di tutta la storia dellaChiesa del XX secolo, facendo riferimento all’anno2000: «Ogni giubileo — scrive — è preparato nellastoria della Chiesa dalla divina Provvidenza [...]Convinti di ciò [...] ci volgiamo con sguardo di fede aquesto nostro secolo, cercandovi ciò che rendetestimonianza non solo alla storia dell’uomo, ma ancheall’intervento divino nelle umane vicende» (n. 17).Di tale processo di preparazione spirituale fa parteanche il suo pontificato, tutto il suo operato, i suoiprogetti pastorali, i suoi viaggi apostolici “fino ai confinidella terra”. Tutto trova il suo senso pieno e il principiounificatore nel k a i ro s del Grande Giubileo del 2000. SanGiovanni Paolo ha preparato la Chiesa a questomomento di grazia con un programma curato neiminimi dettagli e articolato attraverso un itinerariotriennale dedicato a Cristo, allo Spirito Santo e a DioPadre. Le Assemblee dei Sinodi continentalihanno aiutato a coinvolgere attivamente le Chiese localiin questo cammino di preparazione.Da non dimenticare poi, che il Papa, nonostante il suoprecario stato di salute, ha voluto presiederepersonalmente le celebrazioni del Grande Giubileo,dando un esempio luminoso di coraggio e di speranza.È stato davvero un “anno di grazia del Signore” p ertutta la Chiesa, che ha varcato la soglia del nuovomillennio rinvigorita dall’influsso potente dello SpiritoSanto.Con la Lettera apostolica Novo millennio ineunte, sanGiovanni Paolo II è intervenuto ancora una volta perrenderci più profondamente consapevoli del donoricevuto, della sua grandezza, della responsabilità cheabbiamo di non sprecarlo. A suo avviso, il Giubileo nonandava vissuto solo come «memoria del passato, macome profezia dell’avvenire. Bisogna [perciò] far tesorodella grazia ricevuta, traducendola in fervore dipropositi e concrete linee operative» (n. 3).La chiave che il Papa ci fornisce per entrare in questanuova stagione della storia è la frase di Cristo rivoltaagli Apostoli: Duc in altum! (Lc 5, 4) «Prendete illargo!». È sorprendente come egli riesca a restituire aparole dette e ascoltate più volte tutta la freschezza diun significato che diventa vita! Così è stato all’inizio delsuo pontificato, allorquando ha lanciatol’indimenticabile grido: «Non abbiate paura!» e così èstato quando, all’inizio del nuovo millennio, ci hainvitato a far riecheggiare nei nostri cuori le parole diGesù: Duc in altum!.«Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a farememoria grata del passato, a vivere con passione ilpresente, ad aprirci con fiducia al futuro: “Gesù Cristo èlo stesso, ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8)» (Novo millennioineunte, n. 1).Il programma pastorale che Papa Wojtyła presentaper la Chiesa alle soglie del terzo millennio ècristocentrico: bisogna ripartire da Cristo, cioè dallacontemplazione del suo volto. Scrive il Papa: «Non ciseduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte allegrandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formulamagica. No, non una formula ci salverà, ma unaPersona, e la certezza che essa ci infonde:Io sono con voi!» (Novo millennio ineunte, n. 29). E così,il Papa della nuova evangelizzazione ricorda a tutti noiuna verità fondamentale, che forse tante volte viene dataper scontata, ma spesso nella vita di molti cristiani nonlo è.San Giovanni Paolo II è stato maestrodella nuova evangelizzazione e può insegnarci molto, inquesto tempo di grandi sfide che il mondo lancia allamissione della Chiesa, un tempo in cui non pochipastori e fedeli si sentono smarriti, scoraggiati eimpauriti. Certamente la celebrazione del centenariodella sua nascita è un’occasione provvidenziale perattingere con gratitudine alla preziosa eredità spiritualee dottrinale che ci ha lasciato, e che, nonostante ilpassare del tempo, non perde la sua scottante attualitàed è capace di ridare nuovo slancio e rinnovato coraggioal nostro impegno evangelizzatore. San Giovanni PaoloII oggi continua a ripetere a noi, uomini e donne delterzo millennio: «Non abbiate paura!», «Prendete ill a rg o ! » .

P ro n t o ?Sono Jerzy Kluger

di JÓZEF KO WA L C Z Y K

Squilla il telefono. L’unico telefono del Pontificio Istitutopolacco in via Pietro Cavallini, a Roma. Erano i giornidell’ultima sessione del concilio Vaticano II. Io, giovane stu-dente, sono di servizio come centralinista. Dall’altro capo delfilo c’è Jerzy Kluger che chiede di parlare con il cardinaleWo j t y ła. Ho poi saputo che con Kluger, ebreo, erano amicid’infanzia a Wadowice. Scendo le scale di corsa e, preso unp o’ dalla foga e dalla premura di non allungare i tempi dellatelefonata, busso e apro la porta della stanza del cardinalesenza attendere il suo permesso. Lo “s o r p re n d o ” in ginocchiodavanti alla scrivania sulla quale aveva appoggiato il brevia-rio. Stava pregando. Lì da solo. Rimasi veramente molto im-pressionato da quella scena: il cardinale Wojtyła in ginoc-chio, in preghiera, nella sua stanza. E certo non si era messolì per farsi vedere da me.

Faccio un balzo in avanti di un bel po’ di anni. Siamo nel1979, nella nunziatura apostolica di Varsavia, nel primo gior-no dello storico e allora persino inimmaginabile viaggio diGiovanni Paolo II in Polonia. In quel momento, devo dire, lastruttura che avevamo a disposizione era veramente... france-scana. Lo accompagnai nella sua stanza dopo una giornatasicuramente faticosa anche per un uomo forte come lui, scu-sandomi che non ci fosse di meglio da offrirgli che quellastanza particolarmente modesta. «Non ti preoccupare — mirispose — ti chiedo solo la cortesia di un bicchiere d’acqua».Ricordo come fosse ora che si sedette sul letto per bere. «Habisogno di qualcosa?» gli domandai. «L’unica cosa di cuisento necessità è di andare subito in cappella per pregare efare il punto della situazione di questa giornata con Dio Pa-dre onnipotente e misericordioso, Signore della storia e dellaChiesa». Proprio così. La preghiera per lui era anche un ap-puntamento di lavoro: per fare il bilancio della giornata ap-pena trascorsa e per programmare la giornata successiva.

Ho raccontato due dei tanti episodi che ho avuto la graziadi vivere. Questo stile di preghiera — vorrei ricordare l’essen-za del Totus tuus — lo ha imparato fin da piccolo, in famiglia.Aveva una grande formazione intellettuale e spirituale. Sape-va trattare con tutti, si interessava di ciascuno e non per for-malità. Non faceva sentire la distanza di un uomo di “p ote-re ”. Si può parlare di fraternità e paternità.

Mi impressionava molto vederlo camminare sui sentirei dimontagna: pregava e intanto elaborava concetti e pensieriche poi, rientrato a casa, metteva su carta con una ecceziona-le capacità di sintesi e di scrittura. Tutte queste esperienzehanno arricchito la mia fede e il senso del mio servizio allaChiesa. Ricordo il mio lavoro nella sezione polacca della Se-greteria di Stato, i primi passi del pontificato: ero in servizionell’allora Sacra Congregazione per i sacramenti e il culto di-vino e venni chiamato, due giorni dopo la sua elezione, acollaborare con il Papa più direttamente. Ricordo, in partico-lare, la prima enciclica — Redemptor hominis — lo straordinarioviaggio in Messico, all’inizio del 1979, che aveva messo già inagenda Paolo VI e l’eccezionale esperienza missionaria in Zai-re, nel maggio 1980, che, a me personalmente, ha toccatomolto e ancora oggi — quarant’anni dopo — non riesco a di-menticare per il forte insegnamento di fede, di speranza, dicarità.

Ricordo bene che Giovanni Paolo II considerava i suoiviaggi apostolici sia nella dimensione di colui che insegna econferma nella fede sia anche nell’atteggiamento di colui cheascolta, impara dalla vivacità della Chiesa locale. Infine hoimpressa fortemente nella memoria del cuore la sua attenzio-ne alle persone più fragili, i malati, i sofferenti e soprattutto ibambini. A loro ha dedicato tante energie e tante preghiere.

Con gli occhidel fotografo

di ARTURO MARI

Per Giovanni Paolo II il dialogo con gli occhi è sempre statoimportantissimo. Attraverso l’obiettivo della mia macchinafotografica posso dire che lui guardava dritto negli occhi lepersone. È una caratteristica che ha sempre avuto: uno sguar-do fulminante che esprimeva tutto. Penso allo sguardo cheaveva quando celebrava la Messa. E, certo, lo sguardo neitanti momenti di sofferenza e poi, soprattutto, nei suoi ultimigiorni di vita terrena.

Quei suoi occhi che condividevano le sofferenza dei piùpoveri, nei posti più sperduti dell’Africa o nelle periferie, e leansie degli ammalati, soprattutto dei bambini. Quegli occhi,però, che erano pronti a sorridere e anche allo scherzo.

Non nascondo la commozione nel ricordare Giovanni Pao-lo II. L’ho seguito ogni giorno come fotografo de «L’O sser-vatore Romano». Mi ha veramente trattato come un figlio. Ilnostro non è mai stato il rapporto del tipo: «Arturo, fai unafoto e grazie». È come scattata una molla di reciproca fiduciafin da quando ci siamo conosciuti: erano i tempi del concilioVaticano II e a presentarmelo fu il cardinale Wyszyński.

In realtà i miei ricordi più privati sono difficili da condivi-dere, Sarebbe impossibile raccontare i tantissimi episodi, leparole, gli sguardi... Sicuramente se penso a Giovanni PaoloII lo “vedo” in preghiera. Stava ore in ginocchio e quando lecondizioni fisiche glielo hanno impedito assumeva propriocon naturalezza l’atteggiamento dell’uomo che prega sempreper tutto. Per tutti. Senza dubbio una devozione del tuttoparticolare l'aveva per la Madonna e credo avesse sempre consé, in tasca, la corona del rosario.

Per tutto il suo pontificato ho messo la sveglia alle 5.15 inpunto. Alle 6.20 entravo a «L’Osservatore Romano» per pre-parare le macchine fotografiche e alle 7 ero pronto per la ce-lebrazione della Messa nella sua cappella privata.

Da lì partiva una giornata che, a volte, sembrava non fini-re mai. Però iniziava sempre con la preghiera. Con la Messa.Mi ha sempre impressionato l'atteggiamento con cui Giovan-ni Paolo II celebrava la Messa nella sua cappella privata odavanti a milioni di persone. Anche come fotografo lo osser-vavo attentamente, per cogliere il momento giusto per scatta-re. Non sono certamente solo io a testimoniare che lui era,come dire, “a tu per tu” con il Signore, al di là del contestoin cui avveniva la celebrazione.

Alla Messa mattutina Giovanni Paolo II invitava semprequalcuno e dopo c’era la colazione insieme come momentodi incontro. I pasti sono stati per lui sempre un’opp ortunità

di dialogo, di conoscenza. Sapeva parlare ma soprattutto sa-peva ascoltare. Sicuramente, credo fosse abituato fin da ra-gazzo, sapeva organizzare molto bene la sua giornata tra pre-ghiera, studio, scrittura — scriveva tanto e sempre a mano —oltre agli impegni e agli appuntamenti ufficiali. Questo suc-cedeva anche nelle cosiddette “vacanze” che erano comunquesempre un tempo di lavoro.

Un altro insegnamento — di cui sono testimone — vienedal suo stile di vita. Molto sobrio. Molto essenziale. Tuttointorno a lui e in lui era modesto: dall’appartamento al cibo.

Confesso però che è difficile raccontare una vita. Riassu-merla in qualche scatto fotografico o in qualche ricordo diun evento particolarmente significativo.

Credo di poter dire che la fotografia più significativa èquella che gli ho scattato il giorno del suo ultimo Venerdìsanto. Le sue condizioni di salute gli avevano impedito diandare al Colosseo per la Via crucis. Ma aveva comunquevoluto partecipare a quel rito, per lui così significativo, incappella. Seguendolo attraverso la televisione. A un certopunto ha chiesto che gli fosse data una croce. Ricordo cheguardava quel crocifisso come in contemplazione. Lo ha ba-ciato e lo ha poggiato prima sulla fronte e poi sul cuore. Loha abbracciato divenendo letteralmente un tutt’uno con quelcrocifisso. Come a dire: abbraccio la mia croce fino fondo eporto la croce come ho sempre fatto.

Credo che in questa immagine ci sia tutta la sua vita. Tut-to il suo amore per Cristo, anche nella sofferenza. Ma sì, lafoto si poteva scattare anche in un altro modo, da un altropunto, più vicino più lontano... Ma fra le tante cose che hoimparato nel servizio con Giovanni Paolo II c’è che quandosuccedono “cose” veramente grandi meno ti muovi e meglioè. Non devi creare un set. Non devi essere tu il protagonista.E in quel suo incontro con Cristo io, fotografo, non potevocerto disturbarlo.

La conversionedel generale Jaruzelski

di PAW E Ł PTA S Z N I K

Il Signore mi ha dato l’immensa grazia di poter trascorrerequasi dieci anni vicino a san Giovanni Paolo II. Ho potutoincontrarlo ogni giorno per lavorare con lui e condividere, avolte, momenti di vita pubblica e privata. Era per me comeun padre buono, sensibile, attento, non tanto esigente, sicu-ramente riconoscente. Nel discorso di inizio pontificato luirivolse a tutti l’invito: «Non abbiate paura! Aprite, anzi spa-lancate le porte a Cristo! Permettete a Cristo di parlareall’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna».

Questo appello sgorgava dal profondo del suo cuore, dallasua fede vissuta come intimo rapporto con Cristo: lo ascolta-va attentamente. La Parola di Dio era per Giovanni Paolo II

un punto di riferimento nella ricerca delle risposte alle que-stioni e delle soluzioni di tutti i problemi, grandi e piccoli.Questo ascolto si tramutava in preghiera costante, assidua.Qualsiasi fosse la situazione in cui si trovava, faceva le solitepreghiere quotidiane: il rosario, il breviario, la meditazione,le litanie, la Via crucis e soprattutto l’adorazione eucaristica.Lo faceva sempre, anche durante i viaggi o durante i ricoveriin ospedale. Ed era la sua una preghiera concreta. Ogni gior-no riceveva richieste inviate dalla gente comune da tutto ilmondo. Lui ci ha espressamente chiesto di segnalargliele per-sonalmente. Perciò gli preparavamo un elenco e una cartellacon le lettere. Lui le teneva nella cappella, sull’ingino cchia-toio. Le sfogliava e pregava.

Giovanni Paolo II guardava ogni uomo nella prospettivadella sua innegabile dignità, che deriva dal fatto che è stato«creato a immagine e somiglianza di Dio» ed è stato redentoda Cristo. Diceva che ognuno — malgrado i suoi limiti, de-bolezze o peccati — va rispettato. Con questo presuppostopoteva incontrare ogni persona. Alcuni si scandalizzavanoquando il Papa accoglieva alcune persone “pubbliche”, dellequali si sapeva che avevano coscienza e mani “sp orche”. Malui, incontrandoli, non dimenticava il male da loro compiuto:lo smascherava, a volte con parole e gesti assai eloquenti, masempre cercava di conquistare l’uomo, di fargli riflettere, dicambiarlo (se non di convertirlo). Ho visto alcune persone,apparentemente forti, sicure di sé e del proprio potere, chedavanti al Papa tremavano, ma poi uscivano affascinatidall’incontro con lui. Non è un segreto che grazie a tali in-contri si è convertito il generale Jaruzelski, presidente comu-nista della Polonia, nemico della Chiesa, ed è morto dopoaver ricevuto i sacramenti.

Nella vita quotidiana l’amore del Papa per l’uomo si di-mostrava nella delicatezza e nell’interessamento per chi glistava vicino, per il suo interlocutore, come se nel mondo esi-stesse solo lui e i suoi problemi. Quante volte l’ho sperimen-tato anche io. Ecco una situazione che, particolarmente, è ri-masta nel mio cuore. All’inizio del 1997 partecipai al viaggiodel Papa a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale delle fa-miglie. La cerimonia di congedo si svolse nella residenzadell’arcivescovo a Sumaré, alla presenza di oltre di cinque-cento persone. Ognuna voleva avvicinarsi al Papa, dire qual-cosa, salutarlo. C’era anche un gruppo dei sacerdoti dellamia diocesi di Cracovia, che svolgevano la loro missione inBrasile, e altri venuti apposta per l’incontro. Monsignor Dzi-wisz li presentò al Papa che volle salutarli e fare una foto conloro. Osservavo la scena stando un po’ da parte e ecco che ilPapa domanda: «E Paweł dov’è?». Ebbene, in quella situa-zione, avendo intorno tante persone, si è ricordato di me,giovane collaboratore, originario di Cracovia.

Giovanni Paolo II amava ripetere la frase di sant’I re n e oGloria Dei vivens homo. Era preoccupato per la qualità dellavita umana, fisica e soprattutto spirituale. Da qui deriva la

sua sensibilità alla miseria umana. Egli stesso veniva incontroai bisogni degli altri, di solito in modo tale che «la destranon sapesse che faceva la sinistra». In quanti sanno, peresempio, che Giovanni Paolo II dispose di devolvere tutti iproventi dei suoi libri per la costruzione della Città dei bam-bini orfani in Rwanda e per la ricostruzione delle strutture diassistenza sociale nei Balcani, dopo le guerre fratricide?

In questo contesto bisogna menzionare un’altra dimensio-ne della sua personalità: la povertà. Come ha scritto nel te-stamento non aveva cose personale. Basta ricordare che,quando in una favela brasiliana aveva donato il suo anelloper le necessità dei poveri, lo ha motivato proprio così: «Del-le cose personali che hanno un valore, ho solo questo anel-lo... Vendetelo e aiutate questa gente». Nell’appartamentodel Palazzo apostolico il Papa aveva per sé stesso solo unacamera di quattro metri per cinque con il bagno. Era divisain due con un separé: da una parte la scrivania, dall’altra illetto. Tutto qui. Le altre stanze erano di uso pubblico.

Il quadro della sua personalità e della santità non sarebbecompleto senza il raggio del modo di vivere la sofferenza cheha segnato il suo pontificato: l’attentato, le malattie più omeno gravi, il morbo di Parkinson che sempre di più lo limi-tava non solo nei movimenti ma nella sua stessa missione;prima il tremore delle mani, poi il passo bloccato fino allanecessità di una sedia a rotelle e, infine, la perdita della vocee l’agonia.

Non nascondeva mai la sofferenza e non si lamentava. Celo ricorda la sua ultima Via crucis ma anche la visita al Cal-vario, a Gerusalemme, nel 2000 che volle compiere prima dirientrare in Vaticano.

E una croce di benedizione ha concluso il periodo dellamia storia accanto a lui. Il 2 aprile, a mezzogiorno per l’ulti-ma volta l’ho incontrato, ancora pienamente cosciente. Nellasua camera pregammo insieme alcuni minuti. Ero in ginoc-chio: lui pose la mano sulla mia testa e fece un segno dellacroce che rimarrà per sempre nella mia memoria e nel mioc u o re .

«L’Osservatore Romano»in polaccotra un ombrelloe un impermeabile

di ADAM BONIECKI

Può sembrare ovvio che Giovanni Paolo II, il Papa venutodalla Polonia, abbia pensato poco dopo la sua elezione diaggiungere alle edizioni settimanali de «L’Osservatore Ro-mano» già esistenti in lingua italiana, francese, inglese, tede-sca, spagnolo e portoghese, anche l’edizione polacca. L’im-portanza di questa iniziativa si può capire solo se si conside-rano le circostanze dell’epoca ovvero l’intero contesto. Ebbe-ne, in Polonia, come negli altri Paesi del blocco sovietico, erain vigore la censura preventiva. Qualunque testo, per esserestampato, doveva ottenere il permesso dell’Ufficio centrale dicontrollo sulle pubblicazioni e spettacoli.

Stampare qualunque cosa senza il consenso della censuraera un reato, così come era reato la distribuzione delle pub-blicazioni illegali cioè quelle che non avevano un tale con-senso. Le autorità polacche, come quelle dell’Unione Sovieti-ca e di altri Paesi del blocco comunista, non facevano entraredall’estero sul territorio nazionale, senza un permesso specia-le, nessun libro, periodico o pubblicazione (ad eccezione dialcuni giornali dei partiti comunisti occidentali). Ogni baga-glio che varcava le frontiere polacche veniva passato al setac-

cio nella ricerca di materiali stampati “p ericolosi”. Si confi-scavano perfino i libri di storia.

Era quindi inconcepibile il libero ingresso per un settima-nale edito in Vaticano e in più in lingua polacca. Ma conquesto Pontefice la posizione delle autorità diventava diffici-le: come spiegare all’opinione pubblica mondiale il divietod’ingresso per un periodico edito da un Papa polacco? Nellostesso tempo il potere temeva la potenziale pericolosità deicontenuti pubblicati.

Dopo lunghe trattative, l’Episcopato polacco ottenne ilpermesso — seppur limitato da numerose condizioni — di im-portare e distribuire in Polonia (tramite le parrocchie) il pe-riodico vaticano che doveva avere la cadenza mensile e pub-blicare unicamente i testi del Papa, i documenti della SantaSede e dell’Episcopato polacco, le informazioni sulle attivitàdel Papa.

E così «L’Osservatore Romano» cominciò ad arrivare inPolonia. La tiratura, definita in base agli ordini delle parroc-chie, era imponente: circa 60.000 copie. Poiché l’edizionepolacca era mensile (mentre le altre erano settimanali) non viera spazio per tutti i documenti e discorsi del Papa, così laredazione decise di dare la priorità nella selezione dei testi aquelli che si riferivano alla Polonia e ai Paesi vicini, interessa-ti anch’essi all’edizione. Da qui cominciarono problemi ecomplicazioni. La censura tratteneva interi trasporti del pe-

Karol Wojtyła cent’anni La fabbrica fu per me un vero seminario, anche se clandestino. La mia fu esperienza di “seminarista operaio”. Feci amicizia con molti operai. In seguito,come sacerdote, battezzai i loro figli e nipoti, benedissi i matrimoni

Nella foto a sinistra, Karol Wojtyła da cardinalecon il primate di Polonia Stefan WyszyńskiIn basso: un momento del pellegrinaggio compiuto nel 1979 nella terra natale

riodico non sapendo che cosa fare con alcuni interventi delSanto Padre. Per esempio il numero che conteneva il discor-so, in un contesto internazionale, di un rappresentante dellaSanta Sede contro lo scioglimento di Solidarność voluto dalpotere comunista, fu trattenuto e, nonostante gli interventidell’Episcopato polacco e del Vaticano, le 60.000 copie furo-no distrutte.

Le autorità polacche facevano di tutto per costringere laredazione ad adottare una sorta di censura interna per nonpubblicare i discorsi di Giovanni Paolo II che muovevano cri-tiche alle azioni delle autorità della Polonia. Cercavano diconvincere i diplomatici del Vaticano che un tale sistema fos-se giusto; si adoperavano per far cambiare il redattore capodell’edizione polacca.

Di tutto ciò si discuteva nella Segreteria di Stato. Alcuni,per paura del taglio netto alla possibilità di far arrivare inPolonia il periodico, erano disposti ad accettare la soluzionedella censura interna. Durante uno dei dibattiti su questo te-ma — in presenza del Papa — argomentarono che se, durantela pioggia, a qualcuno che ha un impermeabile e un ombrel-lo si toglie l’ombrello almeno l’impermeabile gli rimane. Diopinione opposta erano quelli che conoscevano meglio lamentalità dei comunisti sovietici. Se cediamo sull’ombrello —ammonivano — in un secondo tempo si prenderanno anchel’impermeabile. Alla fine dei conti la redazione polacca nonha mai ricevuto una tale raccomandazione per iscritto.

L’OSSERVATORE ROMANOpagina VI L’OSSERVATORE ROMANO pagina VII

Page 5: AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una nuova tradizione visitando ufficialmente il Patriarcato ecumenico poco dopo la sua

G u a rd a n d oa Orientedi LEONARD O SANDRI

Sono veramente lieto di poter esprimere il mioricordo affettuoso e cordiale alla cara personadi san Giovanni Paolo II. L’ho seguito standoin Segreteria di Stato fin dall’inizio del suopontificato e, dal giorno della sua elezione, ho

potuto vivere quotidianamente il suo mirabile percorso eitinerario come Pontefice.Penso all’apertura a Cristo che ha lanciato al mondo,penso all’attentato subito e del quale abbiamo ricordatoil 39° anniversario il recente 13 maggio, ai suoi viaggiapostolici, alla sua malattia e interventi chirurgici, alsignificato trascendente della sua fermezza di fronte airegimi e alla epocale caduta del muro di Berlino,presagio, forse oggi alquanto appannato, di un mondonuovo rinato dalle rovine della persecuzione e delladittatura.E, alla fine del suo pontificato, gli ero vicinoaccompagnandolo nei suoi ultimi giorni, ammirandolonella sua oblazione, nella sua consacrazione a Dio. Hosperimentato come il suo ministero, sorprendente anchegrazie alla sua ricchissima umanità e profondissimaspiritualità, sia stato coronato dalla fecondità dellasofferenza, quasi come un silenzioso Ma g n i f i c a t per tuttele grandi cose per la Chiesa e per il mondo fatte comesuccessore di Pietro.Sì, lo ricordo come una figura familiare e cara, come loera per tutti quelli che lo avvicinavano e hanno ricevutodal suo limpido sguardo una scossa spirituale etrascendente.Il suo primo e forte grido — «Aprite le porte a Cristo!»— fu diretto al mondo devastato dalle guerre, dallepersecuzioni, dalle dittature, dalle oppressioni, a unOccidente tentato anche dall’insidia della violenza. SanGiovanni Paolo II chiamò a costruire un mondomigliore, di giustizia, pace, libertà, dignità umana egiustizia sociale, richiamandosi a Cristo, Redentoredell’uomo.Quale mondo nuovo si poteva costruire senza aprire leporte a Cristo? Anche le dinamiche piene di entusiasmodel dopo Concilio dovevano rinnovarsi nell’autenticoritorno a Dio per difendere la vita, i poveri, iperseguitati, gli innocenti. Questo ritorno al Signore èstato il leit-motiv di tutto il suo pontificato per la Chiesacattolica, come pure per i fratelli ortodossi e protestanti,per tutti i fratelli in umanità e di buona volontà, apertial dialogo, all’incontro, alla solidarietà. Queste note letroviamo in tutti i suoi incontri a Roma, in Italia e nelmondo.Impressionava in lui la sua dedizione agli uomini edonne di oggi, con tutti i “gesti-omelia” che hacompiuto: l’abbraccio alla povera ragazza tutta bagnatadalla pioggia in Brasile, l’incontro, ornato dal casco deiminatori, in Bolivia, quando il loro portavoce, con vocestraziante, lo chiamò amico e fratello.San Giovanni Paolo II aveva l’immagine dell’uomochiamato alla libertà, chiamato a formare la propriafamiglia, a essere oggetto di un modello di educazione eprosperità nel contesto di una società edificata sullagiustizia sociale e la dignità del lavoro. Questo essereumano imago Dei era uno dei capisaldi del suopontificato: la dignità dell’uomo e della donna, ilrispetto dovuto a colui che non era stato chiamato aessere spazzatura, ma a manifestare il volto del Creatore.Questa sua profonda convinzione lo portava a offrirecriteri di condotta e di vita a quanti hanno un ruolospeciale, ai governanti, ai leader e ai potenti di questomondo perché costruissero un mondo nuovo nellagiustizia e nella dignità della persona umana.Vorrei ricordare l’attentato del 1981 che segnò il suosposalizio con la sofferenza. Tutti abbiamo presentealcune immagini che lo ritraggono giovane studente esacerdote, cappellano degli universitari, giovane vescovo

a Cracovia, in contatto con tutte le frange del popolo diDio e gioioso nella lode del Signore, in mezzo allabellezza della creazione, nella neve, nei mari e lemontagne: lo stesso uomo fu chiamato nel suo solidocorpo a sposare la sofferenza, che lo ha accompagnatolungo gli anni in diverse tappe fino al Venerdì Santo deisuoi ultimi giorni.Ricordo la corsa in ambulanza al Policlinico Gemelli colPapa dissanguato e tutto quello che è seguito fino allasua rinascita con nuova forza ed energia per affrontareancora tanti viaggi ed essere vicino a tanti popolinonché a seguire il governo della Chiesa universale.Con tanta gratitudine ricordo la pace custodita da unTrattato tra il Cile e l’Argentina per la questione delBeagle e tutta la passione evangelica per portare la pacea tante parti del mondo ricordando a tutti il diritto deipopoli alla loro dignità e sovranità.La sua malattia è stata una intensa e mistica SantaMessa in obbedienza alla volontà di Dio e portando inGesù purificazione e salvezza al mondo. Il suo percorsoè stato una luce importantissima per comprendere ilvalore redentore del dolore umano.Mi è caro ricordare il suo grande amore per l’O riente,essendo lui venuto dall’Est europeo e conoscendo larealtà e le tradizioni orientali. Come prefetto dellaCongregazione per le Chiese orientali, desideromenzionare il suo importante documento OrientaleLumen, il Codice dei Canoni delle Chiese orientali, laproclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatronidi Europa, l’espressione — divenuta famosa — dellaChiesa che deve respirare “a due polmoni”. E, ancora,l’Assemblea speciale per il Libano del Sinodo deivescovi e, dal punto di vista artistico, la CappellaRedemptoris Mater nel Palazzo Apostolico, chequalcuno ha definito la “Sistina orientale in Vaticano”.Come non ricordare con quale venerazione e devozioneil Papa incontrò i “martiri viventi” usciti dallecatacombe e dalle carceri della persecuzione delventesimo secolo. Egli li segnalò al popolo cristianocome veri testimoni del nostro tempo, seme di unarinascita spirituale per quelle Chiese.Il tributo di gratitudine dell’Oriente a san GiovanniPaolo II deve oggi essere l’impegno a essere sempre piùfedeli all’annuncio e testimonianza del Vangeloattraverso la spiritualità, la liturgia, la disciplina propriedelle Chiese orientali, aperte sempre alla volontà delSignore per l’unità di tutti i cristiani.Vorrei riferirmi all’ultimo viaggio a Lourdes, il 14 e il 15agosto 2004. Molti pensavano che, viste le suecondizioni di salute, la visita sarebbe stata difficile pernon dire impossibile. Ma prima di andare al Padre, ilPapa ha voluto visitare Maria a Lourdes. Ed ecco lì lameraviglia: a Lourdes ha trovato forza ed energieimpensabili per la celebrazione della Santa Messa,l’omelia, la preghiera. Allora ho capito nella suapienezza quel Totus tuus della sua appartenenza allaMadonna, ricordato a memoria dell’attentato subito, nelmosaico di Maria Madre della Chiesa in piazza SanPietro. Ora che siamo nel mese di maggio, ricordoanche il rosario dei primi sabati nell’aula Paolo VI.Vedo in questo filiale rapporto con Maria Santissima e,in concreto, nel santo rosario, lo strumento di grazia checi porta a Gesù e al suo mistero Pasquale e ci apre leporte del cielo. La devozione a Maria ha sempre portatoil Papa a mettere in risalto la dignità delle donne, dellereligiose e consacrate e delle mamme. Per quello il Papasi spendeva per la famiglia come scuola di umanità e didifesa, a protezione soprattutto degli innocenti, vittimedell’ab orto.In questi tempi difficili, con tante difficoltà di ogni tipo,aggravate dalla terribile pandemia del coronavirus,Giovanni Paolo II ci indica di correre sotto la protezionedella Madonna, in particolare assumere il messaggio diFátima, conversione e penitenza, preghiera e opere dim i s e r i c o rd i a .Mi sento commosso quando ricordo questo grandePapa, non solo per aver annunciato la sua morte inpiazza San Pietro, il 2 aprile 2005, ma per avergliprestato umilmente la mia voce, condivisione che mi fasentire vicino a lui che guarda a noi e intercede per noidalla finestra del Cielo. Alla sua intercessione affidiamoPapa Francesco, la Chiesa e il mondo.

Vedere il PapaEssere visti dal Papa

di FEDERICO LOMBARDI

Quando si è al seguito del Santo Padre nei suoi viaggi e lo sisegue nel suo corteo lungo le strade, una delle cose che piùtoccano il cuore sono i volti delle persone che lo salutanolungo la strada. Sono tanti, tantissimi, innumerevoli, ma nonsono una massa, sono volti, ognuno con la sua personalità,con la sua anima che brilla negli occhi; sguardi tesi a coglierela figura del Papa che passa e benedice, e soprattutto — ed èquesto ciò che più colpisce — sono volti che si aprono al sor-riso, alla gioia sincera.

Non raramente si velano di lacrime, ma sono lacrime dicommozione gioiosa. Io non riuscivo mai a staccare i mieiocchi da questi volti che pochissimi attimi prima avevano vi-sto il Papa passare davanti a loro.

Ricordo in particolare l’ultimo viaggio di Giovanni PaoloII a Città del Messico, nel 2002, per la canonizzazione diJuan Diego. In due giorni abbiamo traversato più volte l’im-mensa città, e sempre, sempre, da una parte e dall’altra, supiù file, volti e volti. Avevo calcolato che il Papa, e noi conlui, aveva percorso ben più di cento chilometri. Cento dauna parte della strada e cento dall’altra. Duecento chilometrie più, di volti sorridenti e gioiosi, uno presso l’altro, uno die-tro l’altro. Non ho mai visto nulla di simile. Tanta gente con-tenta, milioni e milioni... in questo mondo.

Come mai vedere il Papa portava tanta gioia? A quale at-tesa rispondeva già con la sua sola figura? Chi altro era capa-ce — in questo nostro mondo confuso e impaurito — di por-tare tanta gioia con la sua presenza e la sua vista? Perché ri-vederlo — ancor oggi, anche solo in immagine — ci tocca cosìp ro f o n d a m e n t e ?

Anche il Papa guardava i volti che gli venivano incontro,guardava i loro problemi, guardava i loro paesi.

Gli sguardi si incrociavano. Lo sguardo del Papa era pro-fondo e pensoso, andava al di là degli occhi di chi lo guar-dava ed entrava nelle anime. Le gioie e le speranze, le tristez-ze e le angosce degli uomini d’oggi sono pure quelle del Pa-pa e della Chiesa.

Quando sant’Ignazio di Loyola ci accompagna a meditaresul mistero dell’Incarnazione del Signore, ci invita a far no-stro lo sguardo con cui le tre divine persone guardano la su-perficie del mondo, nella sua ampiezza e rotondità, e vedonosu di essa tutti gli uomini che ridono e piangono, lavorano eriposano, si amano e si ammazzano... Guardare l’umanitàcon lo sguardo di Dio, che ne vede le necessità drammatichee perciò decide di incarnarsi per salvarla...

Con questo sguardo Giovanni Paolo II è passato per ilmondo, ha guardato le nostre città e i nostri personalissimivolti. Probabilmente nessun altro uomo che è passato su que-sta terra ha guardato tanti volti e ne ha suscitato il sorriso.Attraverso il suo sguardo abbiamo intuito lo sguardo di amo-re di un Altro, che guidava i suoi atti e le sue parole, oradolci ora forti, di perdono per il suo attentatore e di monitoper gli assassini, atti e parole sempre intesi alla verità e allagiustizia, alla misericordia, alla riconciliazione, alla speranza,alla pace.

Alla sorgente della pace, che è questo Altro, GiovanniPaolo II, come ogni Papa, voleva ricondurre, al di là di sé, aldi sopra di sé, gli sguardi pieni di attesa di chi guardava ver-so di lui in ogni angolo della terra. Il passaggio del Papa du-rava un attimo, ma per tutti coloro che erano accorsi restavaindimenticabile, un ricordo per la vita, un momento di gioiae commozione inspiegabile. Possiamo dire: una grazia diD io!

Emozioniin Polonia

di ALBERTO GASBARRI

Molto è stato scritto e raccontato sulla straordinaria persona-lità e sulla vita di san Giovanni Paolo II in questi 15 anni tra-scorsi dalla sua scomparsa e sicuramente è tutt’altro che esau-rita la narrazione della sua grande figura e del suo lungopontificato. Alcuni fatti e vicende sono ormai largamente co-nosciuti e condivisi perché ampiamente descritti attraversonumerose cronache e testimonianze.

Dal bagaglio dei miei più intimi ricordi, legati al lungocammino percorso intorno al mondo per oltre 25 anni al se-guito di questo instancabile Pontefice, vorrei in questa occa-sione brevemente rievocare alcune emozioni e stati d’animovissuti in due particolari momenti, con immeritato privilegio,

nel corso di altrettante visite di san Giovanni Paolo II allasua amata Nazione.

La prima, che definirei il “silenzio del pianto”, si verificònel giugno 1979: era il primo viaggio apostolico in Polonia.Eravamo solo al secondo viaggio internazionale, dopo quelloin Messico del gennaio 1979, ma si era subito capito che lostile e l’intensità dei viaggi sarebbero stati a dir poco impe-gnativi. Il viaggio di 9 giorni nella sua terra natìa prevedevala visita in 7 località terminando nell’arcidiocesi di Cracovia.L’itinerario fu particolarmente suggestivo data la situazionepolitica e sociale del momento e il ritorno in patria del primoPontefice polacco.

Ma il momento per me più coinvolgente fu la celebrazionedella Santa Messa nel parco di Błonie a Cracovia dove emer-se il commovente vincolo che legava il popolo polacco al suopastore. Oltre un milione di persone si raccolsero nel parcoper assistere alla liturgia e il numero per l’epoca rappresenta-va già un elemento impressionante. Dal momento dell’arrivocon la “papamobile” a Błonie e fino al termine della celebra-zione i fedeli furono invasi da una incontenibile commozio-ne. Mescolandomi tra la folla potei vedere da vicino che tuttiindistintamente erano travolti dal pianto con gli occhi gonfidalle lacrime, ma nel più assoluto silenzio. Non solo non siavvertiva alcun gemito, cui in genere si accompagna il pian-to, ma non era percepibile neanche il respiro di quella im-mensità di persone. L’unico rumore era quello delle fogliemosse dal vento! Una sensazione unica e indimenticabile.

Il secondo momento particolarmente toccante fu in occa-sione della sua settima visita in Polonia, nel giugno 1999.San Giovanni Paolo II era già molto provato nel fisico mavolle ugualmente affrontare un viaggio massacrante di 13giorni visitando 21 località diverse. L’unica “concessione” chefece a noi organizzatori fu quella di accettare l’inserimento diuna mezza giornata di riposo nel corso del viaggio. Cosa chespesso avevamo tentato di proporre già in altri impegnativiviaggi, ma sempre fermamente respinta.

La pausa di viaggio fu programmata in prossimità di Ełk,nella regione dei laghi Masuri, zona piuttosto familiare a Pa-pa Wojtyła poiché da lui frequentata nel corso del suo mini-stero episcopale. Convincemmo il Santo Padre a fare un bre-ve giro del lago a bordo di una piccola imbarcazione con po-chissime persone di servizio. Fu un momento di intensa emo-zione perché san Giovanni Paolo II suggestionato dai luoghia lui cari ci confidò i suoi ricordi di quando guidava ritirispirituali con i giovani in riva al lago soggiornando in tendae facendo escursioni in canoa. Dai suoi intimi racconti emer-geva la passione del suo impegno per la formazione dei gio-vani, la necessità di condividerne ansie, incertezze e aspettati-ve per comprenderne le intime necessità spirituali.

Ecco, in quella occasione compresi il suo istintivo traspor-to verso il mondo dei giovani che lo accompagnò fino alla fi-ne della sua vita e che credo costituì, subito dopo l’inizio delsuo pontificato, il “germoglio delle Gmg”, cioè l’intuizioneper l’istituzione delle Giornate Mondiali della Gioventù, cheancora oggi si celebrano in tutto il mondo.

Da un Paeselontano

di KRZYSZTOF ZANUSSI

Il giudizio della Storia cambia presto, la memoria ha i suoicapricci. Noi, contemporeanei di Giovanni Paolo II, possia-mo testimoniare questo processo. Dopo il lunghissimo ponti-

ficato, il giudizio comune attribuiva al Papa il ruolo princi-pale nella vittoria nella lotta contro il comunismo. Ma il Pa-pa stesso, per primo, si distanziava da questo parere. Credoche il suo grande merito stia nel fatto che, essendo un filoso-fo e avendo vissuto nel regime del socialismo reale, vedevachiaramente che la proposta marxista si era esaurita rimanen-do vuota, aveva perso la sua forza ispiratrice.

Già negli anni ’40, nel suo testo teatrale “Fratello del no-stro Dio”, il giovane sacerdote Karol Wojtyła pone la doman-da a un personaggio — Lenin — che rappresenta la rivoluzio-ne bolscevica: che cosa potete offrire quando i bisogni mate-riali saranno soddisfatti, qual è la vostra offerta sul piano spi-rituale? Lenin non risponde.

Papa Wojtyła, alla vigilia del terzo millennio del cristiane-simo, ha iniziato una riflessione sui peccati della Chiesa, pec-cati commessi in nome di Dio. Questo gesto di penitenza hauna grande importanza. L’uomo è fallibile e la Chiesa, com-posta da peccatori, ha da confessare e chiedere perdono. Unatto simbolico che apre un orizzonte nuovo. Rompe con lanostalgia, frequente tra i cattolici, di sognare una civiltà cri-stiana con la Chiesa dominante e in possesso del potere ter-re n o .

Lo spirito del pontificato di Giovanni Paolo II guarda alfuturo, non idealizza il passato. Il cristianesimo ritrova le sueorigini e si rivolge ai giovani. I Papi che gli sono succedutihanno continuato le Giornate mondiali della gioventù. Unaltro punto di merito del pontificato, a mio parere, si manife-sta nelle visite nella sinagoga, nella moschea e nell’i n c o n t rodi Assisi. Nel rispetto delle altre religioni e nel riconoscimen-to che possono avere dei frammenti di verità.

Giovanni Paolo II era un uomo sportivo. Nel suo insegna-mento si trova una ricerca della riconciliazione tra spirito ecorpo umano, un’accettazione della sessualità. Il Papa rimaneintransigente quando parla della famiglia, degli anticoncezio-nali e dell’aborto, ma sempre si rifà al Vangelo come una sfi-da eroica in contrasto con il “tiepido” spirito dell’epoca at-tuale. Sono un artista e per me la sua Lettera agli Artisti con-ferma il suo sforzo per ricomporre una rottura (se non un di-vorzio) tra Cultura e Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II haanche istituito un Pontificio Consiglio della Cultura ed es-sendo artista egli stesso capiva l’importanza della cultura so-prattutto laddove oggi manca l’ispirazione metafisica.

Un altro ambito nel quale il pontificato di Giovanni PaoloII ha lasciato tracce enormi è il rapporto con la scienza. Nonpenso solo all’enciclica Fides et ratio, ma hanno avuto ungrande peso anche i molti contatti con gli scienziati e il sim-bolico atto di riabilitazione di Galileo Galilei. Tra i testi me-no ricordati ma, a mio parere, di importanza capitale è la let-tera del Papa al direttore della Specola Vaticana, padre Geor-ge V. Coyne, il 1° giugno 1988 con un suggerimento per iteologi moderni e chissà se questa intuizione di GiovanniPaolo II non sia uno dei meriti maggiori del pontificato.Questi sono, secondo me, i suoi meriti anche se si può, nellaprospettiva dei due pontificati successivi, vedere anche errorie debolezze.

Oggi sarebbe certo più difficile realizzare un film su Gio-vanni Paolo II, alla luce di tutto quello che è successo. Ricor-do benissimo quei giorni seguiti all’elezione del cardinaleWo j t y ła. Ci conoscevamo, ma milioni di polacchi assicuranodi aver conosciuto il cardinale Wojtyła intimamente e io nonvoglio entrare in questo elenco. Giovanni Paolo II non ap-partiene solo alla Polonia ma al mondo intero. Quando sonostato contattato per il film “Da un paese lontano — GiovanniPaolo II”, ho detto subito “no”. Non ero solamente spaventa-to, ma trovavo che fosse un’idea impossibile da realizzare.Mi ha aiutato molto nell’ispirazione il film Andrej Rublëv diAndrej Tarkovskij. L’idea di fare una biografia nella quale il

personaggio centrale è un testimone del tempo e il tempo ela storia costruiscono la sua biografia, mi sembrava l’unicometodo possibile.

Ka ro l ,mi ami tu?

di MARINA RICCI

Se penso a lui, vedo scorrere davanti agli occhi centinaia diimmagini. L’ho visto tremare di freddo in Georgia, sommersoda una pioggia di fiori a Beirut, accolto nel silenzio di unapiazza, a Vilnius, piena di uomini e donne in ginocchio e inlacrime. Io inviata della tv, sempre a rincorrere l’attualità, macon la sensazione ogni volta di essere trascinata nel profondodella storia.

Di Giovanni Paolo II ricordo, e continua ad affascinarmiancora, il mistero dell’uomo che si chiamava Karol Wojtyła.La sua capacità di affrontare a mani nude il mondo e di ab-bracciare gli uomini e le donne di un secolo terribile che èstato anche lo scenario drammatico della sua vita. E nonpenso soltanto all’esperienza del nazismo e del comunismoche hanno segnato la sua giovinezza e la sua maturità di uo-mo, ma anche al confronto con l’ingiustizia e la violenza dis-seminate in ogni continente di quella terra che ha instanca-bilmente percorso anche nella sua difficile vecchiaia, dandoalla fine l’impressione che tutto il male e il dolore incontratifossero stati assunti e avessero deformato il suo stesso corpo.

Giovanni Paolo II non è stato soltanto il Pontefice che hasconfitto il comunismo, il polacco che ha acceso la miccia diun cambiamento storico, ma anche il Papa costretto a con-frontarsi, alla fine del ventesimo secolo e all’inizio del nuovo,con l’inesorabile e inesauribile ripetersi del male in altre for-me atroci, in altri luoghi del mondo e alla fine ancora nellasua stessa Europa e nella sua stessa Chiesa.

L’ho ascoltato tuonare dalla finestra di piazza San Pietrocontro il genocidio del Rwanda e poi contro la guerra in Bo-snia ed Erzegovina. L’ho seguito a Sarajevo, lungo le stradeche costeggiavano cimiteri improvvisati nella città, fino allostadio dove lo attendeva sull’altare il Cristo con le bracciaspezzate e una folla, soprattutto donne dal volto scavato dal-la sofferenza, memore di quelle tre parole «Non siete soli»pronunciate a Roma con l’angoscia e la rabbia di un padreche assiste impotente alla morte dei suoi figli. Ho sentito lui,che aveva cantato sorridente nel Central Park di New York,pronunciare con voce spezzata, all’indomani dell’attentato al-le Torri Gemelle, parole amare sul mistero del cuore dell’uo-mo capace di tanto male.

E ho in mente l’ultimo Venerdì Santo, il Papa seduto dispalle che a fatica regge la Croce, ascoltare quel passaggiodrammatico delle meditazioni della Via Crucis che denunciala “sp orcizia” nella Chiesa. Per capire ho dovuto ripercorrerela sua storia da un’altra ottica, andare a cercare le ragionidella sua fede in Dio nonostante tutto quello che aveva vistoe vissuto. E ho dovuto ricordare quel viaggio in Polonia, l’ul-timo, per consacrare il nuovo Santuario alla Divina Miseri-cordia. Noi giornalisti tutti concentrati sull’addio alla patriapolacca. Lui a ricordare sorridendo quel giovanotto con glizoccoli ai piedi che, durante la guerra, a Cracovia, andandoa lavorare, incrociava sulla strada la chiesa di suor Faustyna esi fermava a pregare, implorando la Misericordia di Dio.

In quegli anni contemporaneamente all’aprirsi della vora-gine del male in Europa, si spalancava davanti al giovaneKarol Wojtyła l’abisso della Misericordia infinita di Dio, li-mite ultimo del male come dirà poi lui stesso. Quella Miseri-cordia sperimentata per tutta la sua vita, lo portava a crederefermamente nella possibilità per gli uomini di essere perdo-nati, di rialzarsi sempre e di scegliere quel Bene che nessunMale riesce a distruggere definitivamente.

Credeva in noi perché Gesù Cristo aveva creduto in lui eci credeva capaci, nonostante l’apparenza, di grandi cose. Perquesto non è stato sconfitto dal ripetersi amaro della storia edallo stesso male fisico che lo ha aggredito. Per questo quelladomanda che è risuonata nell’omelia dei suoi funerali, para-frasando quella di Gesù a Pietro, “Karol mi ami tu?”, dise-gna l’identità di un pontificato e di un uomo difficili da di-m e n t i c a re .

A tu per tu con ClémentŠpidlík e Rupnik

di MICHELINA TENACE

Poco prima di Natale, il 12 dicembre 1993, Giovanni Paolo II

nella visita che farà al Pontificio Istituto Orientale, sorpren-dendo molti, fa includere una sosta al vicino Centro Aletti,

modesta opera della Compagnia di Gesù appena avviata. Frai tre gesuiti che componevano la comunità, due erano di ori-gine slava: uno dalla Slovenia — il direttore, padre MarkoRupnik — e uno dalla Repubblica Ceca — padre Tomáš Špi-dlík che, proprio dieci anni dopo, nel 2003, sarà creato cardi-nale dallo stesso Papa. Karol Wojtyła è stato il primo ponte-fice della storia proveniente da un paese di lingua slava.L’enciclica Slavorum apostoli (2 giugno 1985) aveva ricordatoall’Europa che un terzo della sua popolazione è di origineslava e che il Vangelo lì portato dai santi Cirillo e Metodioaveva seminato frutti di santità ancora da scoprire.

Nell’arco di questi dieci anni, 1993-2003, ci sono stati mo-menti in cui la vita del Centro Aletti è stata direttamente in-trecciata con il pontificato di Giovanni Paolo II. Per la spiri-tualità dell’Oriente cristiano e per l’arte. Nel 1995 padre Špi-dlík, guida gli esercizi spirituali in Vaticano e, nel 1996, Gio-vanni Paolo II affida a padre Rupnik l’elaborazione del pro-gramma iconografico e i lavori di ristrutturazione della Cap-pella Redemptoris Mater, nella seconda loggia del Palazzoapostolico. Verrà inaugurata il 14 novembre 1999.

Proprio in quegli anni Giovanni Paolo II manifesta nel suomagistero una cura particolare per il cammino dell’unità del-la Chiesa. Il 2 maggio 1995 esce la lettera apostolica Orientale

lumen, che invita i cristiani a “girarsi” verso la luce dell’orien-te; il 25 maggio 1995 è pubblicata l’enciclica Ut unum sint do-ve è ribadita l’urgenza di una testimonianza di unità fra i cri-stiani e dove è esplicitata la richiesta di un cammino “insie-me” che rimuova una delle difficoltà storiche di questa unità:il primato giuridico (numeri 88-96).

Nello stesso anno, il 13 settembre 1995, «L’Osservatore Ro-mano» pubblica una nota, «Le tradizioni greca e latina a ri-guardo della processione dello Spirito Santo» o, in terminipiù espliciti, “Sul Filioque. Perché la fede cattolica sullo Spiri-to Santo non si oppone a quella ortodossa”. Questo testo sa-rà poi pubblicato dal Pontificio Consiglio per la promozionedell’unità dei cristiani, documento di cui pochi hanno notatol’importanza. Riportare l’Oriente nella vita della Chiesa, dia-logare sul primato, risolvere la questione del “Filioque”, consi-derata ostacolo da 10 secoli: cosa poteva fare di più un Papaper la causa dell’unità?

Una “Giornata del perdono e della riconciliazione” saràcelebrata il 12 marzo 2000, durante la quale Giovanni PaoloII chiederà perdono “per i peccati commessi dai suoi figli”anche contro l’unità dei cristiani, affinché una volta purifica-ta la memoria sia riaperta la via della comunione. Alla finedel 2000, uscirà il documento della Commissione TeologicaInternazionale dal titolo Memoria e riconciliazione: la Chiesa e

gli errori del passato. Come il documento sul “Filioque”, anchequesto non ha avuto l’attenzione che meritava.

Ci furono delle eccezioni. Olivier Clément (1921-2009) fuuno degli ortodossi più particolarmente colpiti dalla perso-nalità di Giovanni Paolo II e dal suo magistero sull’unitàdella Chiesa. Questo professore della famosa scuola teologi-ca di Parigi, l’Institut de Théologie Orthodoxe Saint-Serge,abitava al Centro Aletti durante il tempo del suo insegna-mento al Pontificio Istituto Orientale dove, una voltaall’anno, dava una serie di lezioni nel percorso formativoper gli studenti provenienti dalle Chiese orientali. Il Papaera al corrente di questa iniziativa e, in un incontro con al-cuni membri del Centro Aletti, chiese notizie su Clément.Gli parlai allora del libro appena pubblicato che stavo leg-gendo — Corps de mort et de gloire (Parigi 1995) — e, siccomelo avevo con me, glielo mostrai. Era interessato all’a rg o m e n-to: come per l’unità della Chiesa, l’unità dell’uomo passaattraverso il corpo (istituzione) trasfigurato. Il Papa mi dis-se che avrebbe voluto leggere questo libro. Promisi di far-gliene avere presto una copia. Il libro che avevo era ormaisottolineato, annotato. «Mi dia il suo. È più semplice, etanto meglio se è già sottolineato». Pochi mesi dopo, Gio-vanni Paolo II ha invitato Clément a un incontro con lui.Quel giorno, prima di salire nel Palazzo apostolico, Clé-ment aveva chiesto di potersi recare sulla tomba di san Pie-tro, negli scavi, per la prima volta. Al suo ritorno dall’i n-contro con il Papa mi disse: «Oggi lo Spirito Santo ha per-messo a me, povero peccatore, di visitare il Pietro della sto-ria, del presente e del futuro». E, per tutto il viaggio di ri-torno in macchina, non pronunciò più una parola, tanto eraforte la sua commozione. Rientrato a Parigi, si mise a scri-vere un libro che verrà pubblicato l’anno successivo, dal ti-tolo: Rome autrement. Un orthodoxe face à la papauté ( Pa r i s1997; «Roma diversamente. Un ortodosso di fronte al papa-to», Milano 1998). Una risposta ortodossa esplicita all’e n c i-clica Ut unum sint, forse frutto del suo incontro di quelgiorno con il Pietro del presente.

Nel 1998, Giovanni Paolo II affidò a Clément le medita-zioni della Via crucis al Colosseo. Il cammino verso l’unitàdella Chiesa è il cammino dell’unità fra cristiani, personeprecise che si incontrano e creano insieme, edificano insiemeil corpo unico del Figlio con i doni diversi dello Spirito che icristiani si scambiano per vederli fiorire nel campo dell’a l t ro ,più belli perché fortificati dal perdono e dalla carità. Giovan-ni Paolo II, a cento anni dalla sua nascita è ormai ricordatofra i santi che «con le fatiche della semina spirituale detteroinizio alla costruzione della civiltà dell’amore» (enciclica Sla-

vorum apostoli, 31)

Karol Wojtyła cent’anni La storia della mia vocazione sacerdotale? La conosce soprattutto Dio. Nel suo strato più profondo, ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero,è un dono che supera infinitamente l’uomo. Ognuno di noi sacerdoti lo sperimenta chiaramente in tutta la sua vita

L’incontro con l’attentatore nel carcere di Rebibbia, 1983 Basilica Vaticana, memoria della Beata Vergine di Lourdes, 1980

L’OSSERVATORE ROMANOpagina VIII L’OSSERVATORE ROMANO pagina IX

Sulla Collina delle Crociin Lituania, 1993

In Polonia, 1979

Page 6: AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una nuova tradizione visitando ufficialmente il Patriarcato ecumenico poco dopo la sua

Casa Wojtyładi SL AW O M I R ODER

Grazie alla testimonianza di uno storico diWadowice, che conosceva personalmente lalevatrice che aveva assistito alla nascita diKarol Wojtyła, sappiamo che nella stanzadove la signora Emilia stava dando alla

luce il figlio risuonavano le note del canto delle litanielauretane. Infatti, nella chiesa parrocchiale che si trovadi fronte alla casa della famiglia Wojtyła, la genteradunata quel 18 maggio 1920, per la liturgia vespertinadel mese di maggio, con il canto invocava la Madre diDio (cfr. Milena Kindziuk, Matka papieża, wyd. Znak2013, pagine 8-9). I primi suoni percepiti dal neonatorimarranno per sempre nel suo cuore e come unritornello accompagneranno tutta la sua vita.C’è una foto che rappresenta la madre e suo figlio. Lamamma, una donna giovane con un sorriso un po’misterioso ma pieno di tenerezza, avvicina la suaguancia alla testa del suo piccolo Lolek. I suoi occhibrillano come due stelle. Sono pieni di gioia, bontà esperanza, anche se celano la sofferenza e il dolore cheaccompagnarono la gravidanza e che non l’avrebb erolasciata più fino alla morte precoce.Gli occhi del bambino sembrano guardare verso lastessa direzione. Il suo volto è pieno di serenità, dicuriosità e di stupore. Non si guardano tra loro, masono fissi verso la stessa direzione, e si percepisce chenello sguardo del piccolo si riflettono gli occhi dellam a d re .Sembra che lei gli stesse sussurrando: «Guarda, guardail mondo! È tanto bello, tanto misterioso! C’è tanto dascoprire, tanto da imparare, tanto da amare!».Alla mamma Emilia e al suo Karol è stato dato pocotempo per guardarsi. Solo per nove anni gli occhi dellamadre avrebbero potuto riflettersi negli occhi delbambino. Quando era in attesa del terzo figlio, Karol, lesue condizioni di salute divennero precarie. Decise diportare a compimento la gravidanza, ma non recuperòmai più le forze.C’è anche un’altra foto che ritrae Karol nel giorno dellasua prima comunione. Lo sguardo è lo stesso, eppuresul volto è visibile un’ombra di tristezza. Accanto a luinon c’è più la mamma. È deceduta qualche settimanaprima. È andata via, in paradiso. La lunga, insidiosamalattia e la morte hanno spento il brillare dei suoi

occhi. Ma negli occhidi Karol c’è un fuoco.Nei suoi occhi èrimasto impresso losguardo della mamma.Gli occhi del piccoloKarol, ancoraluccicanti di lacrime,hanno ritrovato laconsolazione, lasapienza, la sicurezzae l’amore negli occhidi Colei davanti allacui immaginel’accompagnò il padre.Maria, la Madre diDio, venerata nellachiesa dei carmelitania Wadowice, presentenella icona di Jasna

Góra, invocata nel santuario di Kalwaria Zebrzydowskae in tanti santuari sparsi nella terra della PiccolaPolonia, la piccola patria di Karol, continuò a guardareil giovane “servo orante”, come egli stesso si definì inuna poesia giovanile intitolata Ma g n i f i c a t .Molto spesso la dimensione mariana della suaspiritualità è stata associata alle drammatiche vicendeche privarono il giovane Karol, in tenerissima età,dell’affetto materno. La sua spiritualità venne, tuttavia,formata in un clima profondamente virile. Infatti, il suoprimo maestro nella fede fu il padre, Karol JózefWo j t y ła, un militare di profonda e provata fede. Comeha ricordato lo stesso san Giovanni Paolo II, la primascuola della sua formazione spirituale e religiosa fu lasua famiglia.Dopo la morte della madre, Emilia, avvenuta nell’aprile1929, il rapporto tra Karol e suo padre si approfondìulteriormente. La figura paterna divenne fondamentaleper la crescita umana e spirituale del giovane. L’umiltà,la laboriosità, l’onestà e la pietà del genitore inciseroprofondamente sulla personalità del figlio. Fu il padread inculcare a Karol la devozione allo Spirito Santo, allaquale, insieme a quella della Madonna, rimase semprefedele. Fu il padre ad avviare il cuore del figlioall’amore della tradizionale pietà mariana.Nell’intimo incontro col Signore, fu sempre la figura diMaria Santissima a occupare un posto privilegiato. LaBeata Vergine è stata presente nelle vicende del giovaneKarol come una costante stella di riferimento. Questorapporto ha decisamente inciso sulle sue scelte, sul suostesso modo di essere e di porsi nei confronti di personeed eventi. Alla scuola della pietà popolare assorbita infamiglia, in un vivo dialogo con Dio, guidatodall’affetto per Maria, desideroso di crescere con Leinella fede e plasmando la propria vita sul suo esempio,il futuro Pontefice, come Giovanni evangelista, volleprendere Maria nella sua casa (cfr. Giovanni 19, 27).Questo vivere con Maria contribuì in manierafondamentale alla crescita umana e spirituale di Karol,alla formazione della sua sensibilità e, col tempo, lo reseun autentico “apostolo della fede”, pescatore di uominie guida di anime per il nostro tempo, oltre le soglie delterzo millennio.Wo j t y ła aveva una grande stima della pietà popolare,come elemento della tradizione cristiana, carica distraordinario dinamismo religioso. La vera pietà mariananon può prescindere dallo sforzo di imitare laTuttasanta in un cammino di perfezione personale,fuggendo da ogni forma di superstizione e vana

credulità. La vera devozione mariana è sempre radicatanella contemplazione del mistero della SantissimaTrinità, nello sforzo di risalire sempre alla sorgente dellagrandezza di Maria, cantando con Lei l’incessanteMa g n i f i c a t di lode al Padre, al Figlio e allo SpiritoSanto, ricordava nell’omelia pronunciata durante lamessa conclusiva del XX Congresso Mariologico –Mariano Internazionale, il 24 settembre 2000.Come figlio della terra polacca con tutto il cuorepraticava varie forme della devozione rivolte alla Madredi Dio, di cui è permeata la pietà popolare dei polacchi.Ciò che aveva imparato dai genitori a casa e poi anchenella comunità parrocchiale di Wadowice è rimastoimpresso nella sua anima. È rimasto dunque fedele allepreghiere, ai canti, alle forme di devozione semplice, avolte intessute di fili sentimentali e melanconici, cheripeteva con l’innocenza e semplicità di un bambinofino alla fine della sua vita. Amava molto le litanie allaMadonna. Fino alla fine della sua vita ogni anno, nelmese di maggio, insieme alle persone che abitavano conlui, cantava tutti i giorni, sulla terrazza del palazzoapostolico, le litanie alla Vergine, davanti ad una statuadella Madonna di Fátima posta su un piccolo altare.Anche il rosario non lo lasciava mai cadere dalle suemani. Lo vedeva sempre nelle mani di suo padre.Incontrando i fedeli, la gente semplice, sacerdoti,religiosi, intellettuali, politici, chiunque, stringendo lemani di tutti vi lasciava quello che riteneva di piùpersonale e più significativo da offrire, la corona delrosario. Subito, all’inizio del suo pontificato fece unaconfidenza pubblica, dicendo che il rosario era la suapreghiera prediletta, una preghiera meravigliosa nellasua semplicità e nella sua profondità, perché permette alcuore umano racchiudere nelle decine del Rosario tutti ifatti che compongono la vita dell’individuo, dellafamiglia, della nazione, della Chiesa e dell’umanità. Èuna preghiera che batte al ritmo della vita umana.Insieme al rosario e le litanie recitati con pietà, anchealtre forme di espressione popolare della pietà marianacostituiscono il tessuto sul quale Giovanni Paolo II hadipinto il quadro più bello e maturo del suo amore perla Madonna. Il canto del breviario della Vergine Maria,in polacco Godzinki, conosciuto sin dal medioevo comeOfficium parvum B. V. Mariae, oltre alle Lamentazionicantate nel periodo di Quaresima e ai numerosissimicanti natalizi, con la loro semplice forma di espressionedei misteri divini più profondi nonché la tradizione diindossare lo scapolare carmelitano, scandivano loscorrere del tempo del giovane Karol, segnando le tappedella sua crescita spirituale.Il quadro della spiritualità mariana di san GiovanniPaolo II ha uno dei suoi componenti particolarmentesignificativi nelpellegrinare aisantuari mariani.Quante volte con lasua piccola mano dibambino nella manodel padre, camminavaverso la casa di Maria:Wadowice, Kalwaria,Często chowa...In questo incontrocon la Madre di Dionei suoi santuari,spesso lontano datutto, ma nello stessotempo spesso vicinoalla natura, cercava unautenticoconfidenziale incontrocon Dio stesso. Con gli occhi dell’anima spalancati almistero della Prima Discepola del Signore sentivanell’intimo quella che è la chiamata personaledell’uomo. Wojtyła, circondato dalla bellezza dellanatura, alla presenza della Madre di Dio, chiaramentepercepiva l’urgenza di dar gloria a Dio Creatore eR e d e n t o re .Immedesimandosi con il mistero di Maria sentivaintimamente di dover, in qualche modo, diventare vocedi tutto il creato per dire in suo nome: Ma g n i f i c a t , perannunziare i magnalia Dei, le grandi opere di Dio e,nello stesso tempo, esprimere se stesso in questa sublimerelazione con Dio. Per Wojtyła i santuari mariani eranoessenzialmente luoghi di preghiera. Percepivachiaramente che di fronte alla estrema necessità edattesa per il risveglio spirituale dell’uomo moderno, laChiesa e il Papa dovevano dare una autenticatestimonianza di preghiera.Quest’ultimo aspetto della spiritualità mariana rendetangibile la dimensione itinerante della vita umana.Siamo in cammino. L’origine umana è la nostra famigliama il traguardo è la pienezza della gioia nella famigliadei figli di Dio nella casa del Padre.In occasione del compleanno, san Giovanni Paolo II erasolito rispondere agli auguri con la frase moltosignificativa, propria dell’uomo di fede: «Grazie! Orasono più giovane per il paradiso!».È una cosa molto bella il fatto che il centenario dellanascita di Karol coincida con l’apertura delle cause dibeatificazione e canonizzazione dei suoi genitori. Nellafamiglia Wojtyła, Maria era sempre presente.In questa regìa divina è possibile percepire ancora unavolta l’importanza della famiglia dove si ama, si crede, siimpara a guardare verso il paradiso e a vivere, allascuola di Maria. L’intera esistenza di san GiovanniPaolo II era un costante attingere dalla Madre di Dio,leggere nei suoi occhi e amare con Lei. Alla scuola dellaVergine Santa ha imparato e ha annunciato al mondocome è bello credere in Dio, anche in mezzo alledifficoltà e al dolore. Ha testimoniato con la propriaesistenza come è bella la vita umana, quando è tuttapenetrata dal mistero divino. Ha dimostrato comel’uomo sorretto dalla fede e sostenuto dalla grazia, sia ingrado di vincere le paure del male e di godere la paceinteriore, consolato dalla speranza della vita eterna.San Giovanni Paolo II durante la Messa dicanonizzazione di santa Kinga disse che «i santi nonpassano, si nutrono dei santi e chiamano alla santità».La storia della sua famiglia ne è la più bella conferma.

Testimone del celebrare

di PIERO MARINI

Ho avuto modo di conoscere da vicino san Giovanni Paolo II

come vescovo diocesano nella Chiesa particolare di Cracovia,nel mese di maggio 1973, quando ho passato alcuni giorni nelpalazzo arcivescovile, ospite dell’allora cardinale KarolWo j t y ła. Ricordo in particolare due celebrazioni: la grandeSanta Messa all’aperto nella solennità di san Stanislao, patro-no della Polonia, e la Santa Messa in mezzo alle impalcatureall’interno della chiesa parrocchiale di Nowa Huta, non an-cora terminata. Ho visto il cardinale esercitare l’azione delpresiedere la celebrazione dei santi misteri con il suo popolocircondato dai suoi presbiteri, l’ho visto nell’atto di predicarecon la forza dello Spirito Santo il Vangelo e di confermarenella fede il gregge a lui affidato, l’ho visto intrattenersi con ifedeli al termine della celebrazione sia all’aperto che nellachiesa parrocchiale e anche nel palazzo arcivescovile.

La sensibilità pastorale di Karol Wojtyła conosciuta a Cra-covia è confermata da un fatto avvenuto quindici anni prima.Per la sua ordinazione episcopale, avvenuta il 28 settembredel 1958, Wojtyła avrebbe voluto che il lungo e complesso ri-to fosse spiegato ai fedeli, durante il suo svolgimento, da un“c o m m e n t a t o re ” liturgico, ma l’arcivescovo ordinante Baziakrifiutò questa concessione al rinnovamento della liturgia. Al-lora Wojtyła si procurò una traduzione del rito latino e reclu-tò una squadra di donne che si offrirono di preparare a manodegli opuscoli da distribuire ai presenti. Di lui mi è rimastal’immagine del vescovo descritta dal Concilio: «Il vescovodeve essere considerato come grande sacerdote del suo greg-ge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fe-deli in Cristo» (Costituzione Sacrosanctum Concilium, numero41; cfr. Decreto conciliare Christus Dominus, numero 15).

L’immagine di vescovo conosciuta a Cracovia è stata mes-sa ancora meglio a fuoco più tardi, quando ho potuto assi-stere e conoscere da vicino, per tanti anni, Giovanni Paolo II

come vescovo di Roma: ha continuato a essere «dispensatoredei misteri di Dio» nella Chiesa universale. I pellegrini che sirecavano a Roma prima del Concilio Vaticano II, nei pochigiorni in cui sostavano in città, quasi mai riuscivano ad assi-stere a una celebrazione presieduta dal Sommo Pontefice. Al-lora, infatti, il Papa era solito celebrare per i fedeli solo inpoche solenni occasioni nel corso dell’anno.

Durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, invece,quasi nessuno dei vescovi e degli innumerevoli pellegrini chehanno compiuto la loro visita “ad limina Apostolorum” han-no lasciato Roma senza aver avuto la possibilità di partecipa-re almeno a una celebrazione eucaristica presieduta dal suc-cessore di Pietro. Non solo, ma mai come prima nella storiadella Chiesa il Papa stesso si è recato a visitare di personatante Chiese particolari sparse per il mondo, quasi a restituirela visita ai singoli vescovi e ai loro fedeli.

Insieme con Giovanni Paolo II, e con i sacerdoti e i pelle-grini giunti a Roma, ho avuto la grazia di celebrare per ben18 anni i misteri della salvezza dell’anno liturgico e ho potu-to organizzare e partecipare alle varie celebrazioni previste inognuno dei viaggi pastorali compiuti in Italia e nelle varieparti del mondo. Nei 27 anni del Pontificato le celebrazionida lui presiedute a Roma e nei viaggi pastorali sono state in-numerevoli. Veramente la celebrazione dei divini misteri pre-sieduta dal Papa è diventata a Roma, e in tutte le parti dellaterra, una bella e autentica manifestazione della Chiesa (cfr.Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, n. 41).

San Giovanni Paolo II ha compreso, nella prassi celebrati-va, le potenzialità della liturgia rinnovata dopo il Conciliocome fonte di evangelizzazione e di comunione nella Chiesa,e quindi come luogo privilegiato di esercizio del ministeropetrino. Per questo egli ha valorizzato, arricchito, e aggiorna-to alle necessità dei tempi l’Ufficio delle celebrazioni liturgi-che pontificie. Era convinto che «la riforma della liturgia vo-luta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta inatto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegnopermanente per attingere sempre più abbondantemente dallaricchezza della liturgia quella forza vitale che dal Cristo sidiffonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa» (Letteraapostolica Vicesimus Quintus Annus, 4 dicembre 1988, n. 10).Solo in questa prospettiva si comprendono le innumerevolicelebrazioni presiedute dal Papa a Roma, in Italia e in tuttoil mondo.

Giovanni Paolo II ha aperto ogni giorno le porte della suacappella privata ai fedeli perché potessero partecipare alla ce-lebrazione eucaristica da lui presieduta. La concelebrazionecon il Papa inoltre era uno dei momenti forti delle visite “adlimina” dei vescovi. Il calendario delle celebrazioni del Papaprevedeva ogni anno svariate celebrazioni. Anzitutto quelledell’anno liturgico nei due momenti forti: le celebrazioni deltempo di Natale e le celebrazioni della Settimana Santa. Ol-tre a quelle elencate nel Calendario dell’Anno liturgico, pre-vedeva regolarmente altre numerose celebrazioni, insieme an-

che a vari esercizi di pietà come il rosario ogni primo sabatodel mese.

Le visite pastorali alle varie Chiese locali sono state unadelle caratteristiche principali del pontificato. Basti ricordareche i viaggi internazionali sono stati ben 104, i viaggi in Ita-lia 146 e le visite pastorali alle parrocchie di Roma 301. Nonsi deve dimenticare che per Giovanni Paolo II le azioni litur-giche che egli ha compiuto insieme con il popolo santo diDio hanno sempre costituito il cuore delle visite pastorali:«Ricordando ancora, con emozione, i momenti di alta inten-sità spirituale che ho vissuto... durante le celebrazioni liturgi-che che costituivano il punto culminante delle mie visite allevarie Chiese locali, desidero ricordarvi l’importanza e il ruolodella liturgia nelle vostre comunità, e la necessità di incre-mentare sempre più fra i fedeli la formazione liturgica dellospirito di preghiera» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovidel Brasile in visita “ad limina Apostolorum”, 20 marzo 1990,n. 3). Oltre al numero, è significativo sottolineare la grandevarietà di celebrazioni presiedute dal Papa: l’Eucaristia, glialtri Sacramenti, la Liturgia delle Ore, la Liturgia della Paro-la, celebrazioni di vari riti di benedizione, celebrazioni ecu-meniche. Tali celebrazioni inoltre si sono svolte in tante lin-gue e culture diverse e hanno avuto luogo nelle basiliche ro-mane e in ogni parte della terra, in piccole comunità o ingrandi assemblee. Si tenga inoltre presente che proprio attra-verso l’azione del presiedere le celebrazioni liturgiche, ovveroattraverso l’elemento misterico, le grandi tematiche ecclesialidel pontificato di Giovanni Paolo II innestate sul ConcilioVaticano II — quali il rinnovamento della Chiesa, la nuovaevangelizzazione, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, lapace fra i popoli e, non ultima, l’attuazione stessa della rifor-ma liturgica — sono diventate eventi di grazia portati a cono-scenza di tutti i credenti e inseriti nella vita concreta del po-polo santo di Dio.

Giovanni Paolo II vedeva bene lo stretto legame che inter-corre tra liturgia e vita ecclesiale. «Esiste infatti un legamestrettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e ilrinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non so-lo agisce, ma anche si esprime nella liturgia, vive della litur-gia e attinge alla liturgia le forze della vita. E perciò il rinno-vamento liturgico, compiuto in modo giusto nello spirito delVaticano II, è, in un certo senso, la misura e la condizionecon cui mettere in atto l’insegnamento di quel Concilio Vati-cano II, che vogliamo accettare con fede profonda, convintiche mediante esso lo Spirito Santo “ha detto alla Chiesa” (Ap

2, 7.11.17.29; 3, 6.13.22) le verità e ha dato le indicazioni cheservono al compimento della sua missione nei confronti degliuomini di oggi e di domani» (Dominicæ Cenæ, numero 13).

Veramente san Giovanni Paolo II attraverso il modo dipresiedere, cioè la forma esemplare di celebrare la liturgia vo-luta dal Concilio, ha dato forma per tanti anni a innumere-voli comunità ecclesiali e pertanto alla stessa Chiesa universa-le. Egli, più che con l’insegnamento e le parole, ha formatoattraverso la celebrazione concreta della liturgia, sacerdoti efedeli a partecipare al mysterium fidei con tutta la persona:corpo, sentimenti, intelligenza e ha educato tutti alla cattoli-

cità. Egli ha mostrato nella realtà che la «Chiesa fa l’Eucari-stia e l’Eucaristia fa la Chiesa».

Particolarmente significative sono queste sue parole: «Findal giorno dell’elezione a vescovo di Roma, il 16 ottobre1978, è risuonato nel mio intimo con particolare intensità eurgenza il comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo epredicate il Vangelo a ogni creatura” (Ma rc o 16, 15). Mi sonosentito quindi in dovere di imitare l’apostolo Pietro che “an-dava a far visita a tutti” (Atti degli apostoli 9, 32), per confer-mare e consolidare la vitalità della Chiesa nella fedeltà allaParola e nel servizio della verità; per “dire a tutti che Dio liama, che la Chiesa li ama, che il Papa li ama; e per ricevere,altresì, da essi l’incoraggiamento e l’esempio della loro bontà,della loro fede” (25 gennaio 1979). Anche attraverso i viaggiapostolici, si è reso manifesto uno specifico esercizio del mi-nistero che è proprio del Successore di Pietro, quale “princi-pio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede edella comunione” (Lumen gentium, n. 18). In tutti questi viag-gi mi sono sentito pellegrino in visita a quel particolare san-tuario che è il popolo di Dio. In tale santuario ho potutocontemplare il volto di Cristo volta a volta, sfigurato sullacroce o splendente di luce come nel mattino di Pasqua... Legrandi assemblee multicolori del popolo di Dio, raccolte perla celebrazione dell’Eucaristia, rimangono impresse nella miamemoria e nel mio cuore come il ricordo più alto e commo-vente delle mie visite. In profonda sintonia con esse ho ripe-tuto la professione di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Fi-glio del Dio vivente” (Ma t t e o 16, 16)» (Giovanni Paolo II, Di-scorso ai partecipanti ai viaggi apostolici in occasione del100° viaggio, 12 giugno 2003, numeri 2-3).

Giovanni Paolo II era favorevole all’inculturazione perchéconsiderava la liturgia fonte di comunione non solo all’inter-no della Chiesa cattolica ma anche con le altre Chiese sorellee le altre Comunità ecclesiali. È questo il motivo che ha spin-to il Papa a presiedere tante celebrazioni ecumeniche. «IlConcilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un precisodovere, in adempimento del ruolo del vescovo di Roma aservizio della comunione. Queste mie visite hanno quasi sem-pre comportato un incontro ecumenico e la preghiera comu-ne di fratelli che cercano l’unità in Cristo e nella sua Chie-sa... Non soltanto il Papa si è fatto pellegrino. In questi annitanti degni rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesia-li mi hanno fatto visita a Roma e con loro ho potuto prega-re... Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci guida.Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine epagine del nostro “Libro dell’unità”, un “L i b ro ” che dobbia-mo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e spe-ranza» (Ut unum sint, 25 maggio 1995, numeri 24-25). Le ce-lebrazioni ecumeniche sono pertanto diventate prassi abitualenel calendario delle celebrazioni papali. Nei 27 anni del suopontificato Giovanni Paolo II ha presieduto 77 celebrazioniecumeniche, la maggior parte delle quali durante i viaggiap ostolici.

La figura di Giovanni Paolo II, i ricordi di una esperienzavissuta con lui, la sua partecipazione e il suo amore per ilConcilio Vaticano II, il suo entusiasmo per le celebrazioni e

l’annuncio del Vangelo sono un invito per tutti, credenti enon credenti, a “i n c o n t r a re ” di nuovo Karol Wojtyła nel cen-tesimo anno della sua nascita, a riflettere sulla sua vita e sullasua azione per comprendere il senso delle sue parole, rilegge-re i suoi gesti e gli avvenimenti che hanno accompagnato lasua esistenza. Dobbiamo di nuovo vederlo vivere, agire, rea-gire, rivivere le sue passioni e gli ideali che ha proposto. Sì,dobbiamo lasciar parlare di nuovo Giovanni Paolo II per do-mandarci: chi è stato? Che cosa ha rappresentato per noi?Che cosa insegna ancora oggi? Ciascuno è chiamato a riflet-tere sui valori che ci ha trasmesso, per cui egli si è battutocome uomo, come cristiano e come vescovo. Il centesimo an-niversario della sua nascita è invito a fare nostri tali valori e acalarli nella quotidianità della nostra vita.

L’Angelicum non dimenticae... rilancia

di BENEDICT CROELL

dell’Istituto inizieranno le lezioni nel prossimo anno accade-mico, anche con un programma di borse di studio per giova-ni ricercatori.

Tutto nasce dalla constatazione che la vita e l’insegnamen-to di san Giovanni Paolo II sono importanti punti di riferi-mento per milioni di persone in tutto il mondo. «Questonuovo Istituto accademico internazionale — spiega il domeni-cano padre Michał Paluch, rettore dell’Angelicum — è un’ini-ziativa dei laici cattolici polacchi: ospiterà studiosi di eccel-lenza e condurrà ricerca e istruzione interdisciplinari; influen-zerà la riflessione sui problemi significativi del mondo mo-derno, affrontandoli dalla prospettiva intellettuale e spiritualedi Giovanni Paolo II».

L’obiettivo principale dell’Istituto è rilanciare gli insegna-menti di Karol Wojtyła come punto di riferimento continuoper riflettere sugli attuali problemi che la Chiesa deve affron-tare nel mondo moderno. «L’importanza del pensiero diGiovanni Paolo II non si limita al periodo del suo pontifica-to» afferma Dariusz Karłowicz, presidente della FondazioneSan Nicola. Wojtyła «ha molto da dire sui problemi contem-poranei riguardo la fede, la filosofia, la cultura, la scienza, lapolitica e una vasta gamma di questioni sociali. Pertanto nonè sufficiente esaminare i “risultati” di questo grande pontefi-ce. Dobbiamo anche riflettere con lui sulle questioni più ur-genti dei nostri giorni, sul ruolo della Chiesa nel mondo mo-derno e la crisi spirituale che deve affrontare l’E u ro p a » .

È proprio all’Angelicum che il giovane sacerdote Wojtyła,tra il 1946 e il 1948, perfezionò la sua formazione intellettualee spirituale. La sua ricerca lo ha portato alla tesi di dottoratosu san Giovanni della Croce. Pertanto, spiega il rettore,«l’Angelicum è il luogo naturale per l’Istituto ispirato all’e re -dità di Giovanni Paolo II. Qui gli studenti, provenienti daquasi un centinaio di paesi, vengono per completare la loroistruzione. Se possiamo aiutarli a entrare nel pensiero di Gio-vanni Paolo II attraverso l’attività dell’Istituto di Cultura, ilsuo insegnamento sarà in grado di raggiungere ancora tuttigli angoli della terra».

Per Jolanta Gruszka «le generazioni future trarranno note-voli benefici dallo studio del pensiero e della filosofia di que-sto santo Papa, il cui ruolo ha un significato incredibile per ilfuturo della Chiesa, così come per quello del mondo». El’Istituto «è il nostro umile tentativo di ripagare un debitonon pagabile che dobbiamo a Giovanni Paolo II».

Verso nuovi orizzonti

di CHIARA AMIRANTE

Il 18 maggio per tutti noi è un giorno di grande festa: 100anni fa nasceva Giovanni Paolo II. Un uomo e un santo cheè stato una delle figure più luminose del nostro tempo. Unpadre e pastore per tutti noi, un faro di luce che ha saputocon forza indicare al mondo la via da percorrere. Mi piaceinoltre definirlo un grande rivoluzionario. Anche i grandi

storici hanno riconosciuto il suo fondamentale contributo al-la fine del regime sovietico, al crollo del muro di Berlino e alcambiamento della storia.

San Giovanni Paolo II è stato un grande rivoluzionarioperché è stato fedele al Vangelo e il Vangelo racchiude ilmessaggio più rivoluzionario che ci sia: le parole dell’uomo-Dio Gesù, se vissute con serietà, sono infatti in grado di rin-novare la nostra vita e la storia dell’umanità. Papa GiovanniPa o l o II è stato inoltre, come l’apostolo Giovanni, un con-templativo capace di tenere il suo capo sul cuore di Gesù perascoltarne i battiti e i suggerimenti, e come san Paolo ungrande apostolo delle genti capace di portare con la forza delprofeta la verità del Vangelo fino agli estremi confini delmondo.

Le parole che ci ha regalato al suo primo saluto in piazzaSan Pietro ci hanno conquistato subito e riecheggiano ogginei nostri cuori più attuali che mai, tanto più in questa oracosì buia che stiamo vivendo: «Non abbiate paura! Aprite,anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quellipolitici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Nonabbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui losa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nelprofondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incertodel senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbioche si tramuta in disperazione. Permettete, quindi, vi prego,vi imploro con umiltà e con fiducia, permettete a Cristo diparlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! Di vita eter-na!». Con Cristo non c’è nulla che dobbiamo temere perchéniente può separarci dal suo amore e Lui ci ha promesso diessere con noi tutti i giorni, Lui ha vinto il mondo! Se per-mettiamo a Cristo di parlare al nostro cuore e ci lasciamomettere in crisi dal Vangelo sperimentiamo quella pace pro-fonda che solo Lui può donarci e che il mondo non può ru-barci. Con Giovanni Paolo II ho avuto l’inaspettata sorpresadi essere nominata da lui consultrice del Pontificio Consigliodella pastorale per i migranti e gli itineranti e questo mi hadato la splendida possibilità di incontrarlo in più occasioni.Le sue parole, il suo sguardo penetravano l’anima in profon-dità e ogni volta lasciavano un segno indelebile. Più volte nelsalutarlo, guardando i suoi occhi così intensi e luminosi, hoavuto l’impressione di vedere in lui Gesù crocifisso e risorto.Davvero lui viveva in prima persona, con un’intensità unicala frase di san Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e oranon sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

Il mio primo incontro personale con lui è stato particolar-mente emozionante. Il cardinale Ruini mi aveva chiesto diportare la mia testimonianza all’incontro del Papa con i gio-vani che faceva nell’aula Paolo VI in preparazione alla Gior-nata mondiale della gioventù che si celebra la Domenica del-le Palme. Lui non stava bene con la salute in quel giorno equindi sarebbe dovuto arrivare solo alla fine del nostro in-contro per dare un saluto a tutti i giovani presenti e a tuttiquelli collegati tramite i media.

Avevo iniziato da pochi minuti a condividere qualcosa del-la mia esperienza con i ragazzi di strada che mi aveva porta-to ad aprire la primissima comunità di accoglienza “NuoviO rizzonti”, quando ecco un incredibile fuori programma. Ilmicrofono con cui stavo parlando si spegne perché il Papaall’ultimo momento aveva deciso di anticipare la sua venutain mezzo a noi e così il conduttore della diretta televisivaaveva preso la linea per annunciare a tutti la grande notizia:il Papa era già in mezzo a noi con un notevole anticipo ri-spetto a quanto programmato! Ho così lasciato il microfonoper scendere dal palco e lasciare che salisse il Papa ma subitoil cardinale Ruini è venuto da me e mi ha detto resta: conti-nua a raccontare la tua testimonianza anche al Papa che oraviene a sedersi qui sul palco.

Potete immaginare la mia incredulità ed emozione... noncapita tutti i giorni di essere interrotti dall’arrivo anticipatodel Papa e dover poi proseguire in ciò che si stava dicendo.Non ero neanche sostenuta come tutti gli altri da un foglioscritto perché avevo preferito non leggere il mio interventoper essere più libera di parlare da cuore a cuore ai giovanipresenti. Non nascondo che ho ripreso a parlare ai giovanipresenti con un certo sacro timore e un’emozione fortissima.Appena ho finito ho potuto ricevere l’abbraccio del Papa chemi ha ringraziato, parlato, con quel suo amore unico di pa-dre. In quel momento ho sentito che era Gesù che mi parla-va, mi abbracciava e non ci sono parole per descrivere lacommozione vissuta in quel momento che è rimasto impressoa fuoco nel mio cuore.

Tante poi le Giornate mondiali della gioventù vissute conlui, tutti momenti di grande grazia. E anche se sono tantissi-me le parole di san Giovanni Paolo II che mi porto nel cuo-re, quella che più mi è rimasta incisa nell’anima è la conse-gna che ci ha lasciato alla Gmg del 2000 prendendo spuntoda una frase di santa Caterina: «Se sarete quello che doveteessere metterete fuoco in tutto il mondo». Lui davvero que-sta parola l’ha vissuta fino in fondo: è stato un grande santoe ha saputo portare il fuoco dello Spirito Santo in tutto ilmondo per illuminare e riscaldare le notti di molti.

Karol Wojtyła cent’anni La mia riconoscenza va soprattutto a mio padre, rimasto precocemente vedovo. Il suo esempio fu per me in qualche modo il primo seminario.Non avevo ancora fatto la Prima Comunione quando perdetti la mamma: avevo appena nove anni

Anche in tempo di pandemia è giusto onorare il centesimocompleanno di un Papa, uomo di speranza. La Facoltà di Fi-losofia della Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino(Angelicum) inaugura, proprio il 18 maggio, l’Istituto di Cul-tura “San Giovanni Paolo II” in collaborazione con due orga-nizzazioni non governative polacche: la Fondazione San Ni-cola e la Fondazione Futura-Iuventa. I primi studenti

Spagna, 1989

L’OSSERVATORE ROMANOpagina X L’OSSERVATORE ROMANO pagina XI

Page 7: AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una nuova tradizione visitando ufficialmente il Patriarcato ecumenico poco dopo la sua

Il profilodel Novecento

di MARCO IM PA G L I A Z Z O

La figura di Karol Wojtyła si è intrecciata con imomenti chiave della storia del Novecento: ilsorgere e lo svilupparsi dei totalitarismi nazista e

comunista, la seconda guerra mondiale, la Shoah, laguerra fredda con la divisione in due dell’Europa, ilcrollo dell’Est comunista, il passaggio di millennio, lamanifestazione del terrorismo internazionale con l’11settembre 2001 e altro ancora.Karol Wojtyła è stato un testimone esemplare dellastoria del Novecento e una figura emblematica delpassaggio di due secoli. Ha avuto un’esperienza unicadel mondo: 127 Paesi visitati (alcuni più volte) durante ilpontificato hanno fatto di lui l’uomo che ha avuto unacomunicazione diretta con più persone e con più folle,come ha sostenuto l’allora cardinale Joseph Ratzinger.Un Papa carismatico — così lo ha definito AndreaRiccardi — che ha sempre connesso la responsabilità disuccessore dell’apostolo Pietro al martirio, a rischio dellasua stessa vita come nell’attentato subìto il 13 maggio1981. Wojtyła ha avuto ampie visioni ideali ma sempre apartire da una conoscenza degli uomini e dei popoli neiloro diversi contesti. Non ha cessato di stupire con isuoi richiami alla necessità della pace mentre la guerra siè riaffacciata nel mondo come strumento di risoluzionedei conflitti. Ha sorpreso con i suoi gesti spiritualiprofetici e le sue mistiche coordinate geopolitiche. Hastupito con la forza apostolica dimostrata finnell’estrema debolezza della malattia, giunta quasi asfigurarlo.La sua vita va letta in una prospettiva non soloteologica o interna alla realtà ecclesiale, ma nel quadroampio della storia contemporanea e della geopolitica.Giovanni Paolo II appare come un Papa con duecaratteristiche particolarmente originali. La prima: uncarisma dell’incontro umano, connesso in buona misuraa un’ascesi interiore; la seconda: una visione geopoliticaplanetaria, espressa plasticamente con i tanti viaggi, cheesorbitava i confini e le visioni tradizionali della Chiesacattolica.Giovanni Paolo II è stato anche il Papa del dialogo.Dialogo con le Chiese cristiane, con le altre religioni econ le culture. Un esempio per tutti: l’incontro di Assisidell’ottobre del 1986 con le grandi religioni mondiali.Quella giornata di preghiera per la pace si collocastoricamente sul crinale di cambiamenti epocali, la cuiportata e i cui effetti si stanno valutando ancora oggi.Le vicende del mondo contemporaneo hanno subìto daallora un’accelerazione incredibile, con esitiimprevedibili come è stata la fine dell’impero sovietico,lo sfaldamento di quello che veniva definito il “Te r z oMondo”, l’avanzata del processo di globalizzazione. Ilquadro internazionale, oggi, mostra come il rapporto trale religioni sia un elemento di vitale importanzageop olitica.Il 27 ottobre 1986 rimane, ancor più di ieri, icona delfuturo in un mondo in cerca di pace. Restaun’indicazione anche quando lo sconcerto e ildisorientamento divengono più forti a opera dei conflittie della stessa globalizzazione. Si è parlato di questainiziativa straordinaria come di una svoltadell’atteggiamento del cattolicesimo contemporaneoverso le religioni, ma, allo stesso tempo, di una svoltaper la visione che le religioni non cristiane hanno delcristianesimo. Va anche ricordato che per GiovanniPa o l o II il dialogo interreligioso non scolora leappartenenze. Al contrario aiuta ad andare alle radicidella propria identità.Il dialogo ecumenico ha fatto molti passi avanti neglianni del pontificato wojtyliano. Per la prima volta unPapa si è recato in visita a un paese a maggioranzaortodossa: la Romania nel 1999. A questo viaggio dicarattere ecumenico ne sono seguiti altri: in Georgia, alMonte Sinai, in Grecia, Siria, Ucraina, Armenia eBulgaria.Un ecumenismo fatto di incontri, ma anche di gesti. Traquesti la grande idea lanciata da Papa Wojtyła diraccogliere, in occasione del Giubileo del Duemila, letestimonianze dei “nuovi martiri” cristiani, quindi diogni Chiesa, che nel Novecento hanno dato la loro vitaper la fede. Il martirio per Giovanni Paolo II non è solouna storia antica, bensì una realtà contemporanea. Luistesso ha subìto un violento attentato, che poteva conmolte probabilità condannarlo a morte.La sua biografia di cattolico vissuto in un paesecomunista si intreccia con il martirio del Novecento,tanto che ne trae la convinzione che il martirio sia unarealtà del cristianesimo contemporaneo.

di EMMA FAT T O R I N I

Lasciò veramente di stucco, il 29 giugno 1995, laLettera di Papa Wojtyła alle donne, in vista della IVConferenza mondiale sulla donna che si sarebbe

tenuta a Pechino due mesi dopo. Con un linguaggio che fudefinito laico e moderno, prossimo addirittura a un certomondo femminista, sembrava persino simile a esso anchenel pensiero. Come rivendicarono autorevoli femministe delpensiero della differenza.Wo j t y ła elogiava come mai prima “il genio della donna”, lequalità intrinseche all’essere donna a partire non più (solo etanto) dalla sua parità con l’uomo ma da un’ontologicadifferenza da lui. In questa differenza starebbe la forza delgenio femminile e, come scriveva, «della sua cultura,capace di coniugare ragione e sentimento, una concezionedella vita sempre aperta al senso del “m i s t e ro ”». Nel suoessere madre, reale e simbolica, nella sua disposizioneall’oblatività verso il mondo, secondo il modello marianoinfatti albergherebbe il genio femminile. Si trattava di unaacquisizione rivoluzionaria, perché andava oltre il pianoparitario per affermare la potenza dell’alterità femminile, laforza delle donne così fondata nella differenza della donnadall’uomo? Oppure, diversamente, era conservatrice questaidealizzata riscoperta delle specificità femminili? Unessenzialismo arcaico, una differenza ontica tra maschio efemmina non si configurava come l’ennesimo, più sottileescamotage, per riaffermare che le donne hanno valore soloin funzione del loro ruolo materno oblativo?Ragionare con lo schema progressista o conservatore, però,non ha mai aiutato a decodificare e a interpretare ilpontificato di Wojtyła, caratterizzato da quella sorta dicomplexio oppositorum che, su tanti temi, teneva insiemepiani spesso opposti. E così, mentre espresse una profondaammirazione per il “genio femminile” Giovanni Paolo IInon arrivò a tradurlo, all’interno della Chiesa, in adeguateriforme istituzionali che onorassero le predisposizionifemminili da lui stesso individuate: la donna aveva sìspiccate doti e capacità sul piano relazionale ma nonavrebbe ancora ottenuto spazi gestionali, ad esempio, nelleCongregazioni di curia; aveva sì speciali doti didiscernimento ma gli ordini religiosi femminili, ad esempio,restavano ad “autonomia controllata”. E altro ancora, làdove si decide la donna non c’è.Se guardiamo invece “fuori”, vediamo come per il primoPapa globale i diritti umani siano stati il cuore della suamissione: dalla strategia internazionale fino al discorsocontenuto nella famosa Lettera alle donne del mondoquando ammette «che il grazie non basta, lo so. Siamopurtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti,in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile ilcammino della donna, misconosciuta nella sua dignità,travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata epersino ridotta in servitù… Certo molto ancora resta dafare perché l’essere donna e madre non comporti unadiscriminazione. È urgente ottenere dappertutto l’effettivauguaglianza dei diritti della persona e dunque parità disalario rispetto a parità di lavoro, tutela della lavoratrice-madre, giuste progressioni nella carriera, uguaglianza fra iconiugi nel diritto di famiglia, il riconoscimento di tuttoquanto è legato ai diritti e ai doveri del cittadino in regimedemo cratico».Parole pesanti che andrebbero messe in pratica. E che mierano tornate alla mente con forza in tempi recentiquando, alla fine della legislazione scorsa, partecipai a unincontro del Parlamento europeo sulla ratifica dellaConvezione di Istanbul contro la violenza alle donne. Untesto nuovo e molto importante per due ragioni: perchéper la prima volta la violenza alle donne venivastigmatizzata in quanto violazione dei diritti umani. Eperché su questo vincolava giuridicamente gli Stati, nonlimitandosi cioè ad una generica minaccia di sanzioni.Prima di me erano intervenuti alcuni colleghi polacchi chetuonavano contro chi minacciava il diritto della patriapotestà del marito sulla moglie, potestà «voluta da Dio» ein base alla quale il marito «ha il diritto di imporre condecisione la sua volontà alla moglie anche con la forza».Le leggi contro la violenza in famiglia limitando il poteredel capo famiglia, ne minerebbero la stabilità.Letteralmente.Misi via il mio intervento preparato e mi rivolsi direttamentealle colleghe parlamentari polacche, perché non restasseroinermi e ricordassero le parole del loro Papa che proprio innome dei diritti umani difendeva la dignità delle donne. Laviolenza, deprecabile sempre, lo era ancora di più, e non dimeno, nelle relazioni affettive dove fiducia e affidamentorendono vulnerabili in quanto segno di amore e non disottomissione. Chiedevo loro come non sentissero ribollire laloro coscienza pensando proprio alle parole della Mulierisdignitatem; come potevano ripudiare così il loro Papa, quelPapa che in nome di quegli stessi diritti umani avevacontribuito a liberare la Polonia.Mano a mano che parlavo si fece sempre più silenzio,molte e molti erano commossi e al termine diverseparlamentari polacche vennero a ringraziarmi.L’Europa è diventata schizofrenica sul piano dei diritti. Sinegano quelli basilari, persino la parità tra uomo e donna,e si consentono “lib ertà” che tali non sono. In questesettimane mi hanno colpito due notizie apparentementedistanti: l’Ungheria ha votato definitivamente contro laConvenzione di Istanbul e in Ucraina 50 neonati, partoritida madri surrogate, sono “in giacenza” in un albergo diKiev perché, causa coronavirus, le madri committentieuropee non possono andare a ritirarli.Sul piano dei diritti c’è una sorta di verità postuma diGiovanni Paolo II: una eterogenesi dei fini di due grandimalintesi su cui è urgente riflettere, da una parte unacultura che si maschera di cattolicesimo ma finisce perusare l’identità come un randello rivelando la sua naturaxenofoba e misogina e dall’altra una malintesa idea deidiritti che stravolge la stessa idea di libertà, che non èlibertà, ma rischia di trasformare il desiderio soggettivonella rivendicazione di un diritto.

Quel giorno con i roma Tor Bella Monaca

di MAT T E O ZUPPI

Il ricordo di Giovanni Paolo II che desidero condividere èuno dei suoi tanti incontri fuori programma che in realtà nerivelano il programma e l’umanità. Ogni incontro per lui di-ventava speciale, unico, generativo a iniziare dallo sguardo,pieno di interesse, comunicativo, penetrante. Anche il mioprimo incontro con il nuovo vescovo di Roma avvenne inuna periferia, il 3 dicembre 1978, pochi giorni dopo la suaelezione, a Garbatella, quartiere che lui conosceva bene e og-getto della sua prima visita pastorale alla città. Fuori pro-gramma visitò l’asilo che la Comunità di Sant’Egidio avevaaperto pochi anni prima per rispondere alle esigenze dellemadri della borgata che dovevano andare a lavorare. Si se-dette sui sedili piccolissimi e rise dicendo che “mi fate torna-re bambino!”.

Il secondo fuori programma e il mio secondo incontro conGiovanni Paolo II fu dopo pochi mesi, a seguito di un episo-dio di cronaca terribile: l’uccisione nel pieno centro della cit-

comprensione». Moussa parlò in uno stentato italiano pienodi commozione, presentando il loro regalo, un cestino di uo-va, un disegno fatto dai bambini della scuola, alcuni vasi dirame con dentro due fiori finti. Giovanni Paolo II b enedissee strinse tante mani, sorridendo a persone che vedevano solovolti ostili, impauriti e aggressivi rivolgersi a loro.

Fu il primo incontro con il quartiere: quello con gli ultimi,“quelli” verso cui così poca era ed è la comprensione e la so-lidarietà. Il Papa si augurò che la carità, l’amore non mancas-se mai a chi viveva in condizioni disumane, nell’i n d i f f e re n z ao nell’aperta ostilità della gente e nell’incapacità delle ammi-nistrazioni di offrire soluzioni. La carità, disse, «è sempre piùveloce ad arrivare della giustizia. Sappiamo bene che i siste-mi della giustizia, dello Stato, sono molto lenti, a volte anchetroppo lenti; ma la carità deve essere svelta; e tra voi si è di-mostrato che la carità è svelta, è rapida». Era l’incontro conil rom, cioè l’uomo. I suoi occhi erano pieni di Dio, di quel«Tu, in cui ognuno trova il suo spazio», aveva scritto con ilsuo animo poetico e mistico. Ecco uno di quelle migliaia diuomini incontrati, nei quali Giovanni Paolo II riconobbe einsegnò a contemplare il volto del fratello e di Dio.

Serenata romanae quel “se” bello grande

di CL AU D I O BAGLIONI

Per un cittadino di Roma, non credo possano esserci onorené emozione più grandi dell’essere chiamato dal proprio ve-scovo — l’uomo che, in quanto tale, il resto del mondo chia-ma Papa — ad accompagnare, con le sue note e le sue parole,una notte così importante come quella nella quale due epo-che si passano il testimone — cambiavano anno, secolo e, ad-dirittura, millennio — e al di là della quale, si apre un eventocosì ricco di significati per la cristianità come un Anno San-to. Viviamo in un tempo nel quale i superlativi si sprecano.Ogni evento diventa “unico”, “s t r a o rd i n a r i o ”, “irrip etibile”,“indimenticabile”.

Il concerto con il quale, la notte del 31 dicembre 1999, unaPiazza San Pietro, piena all’inverosimile, attese — assieme aquello che sarebbe diventato san Giovanni Paolo II — loscoccare della mezzanotte, unico, straordinario, irripetibile eindimenticabile lo fu davvero. Letteralmente. Per il mondo,naturalmente. E anche per me. Sia sul piano artistico — erala prima volta che piazza San Pietro ospitava un concerto dimusica popolare; sia sul piano personale, per gli incontri, leemozioni e le riflessioni che avevano accompagnato quella vi-gilia. Ma anche per la vivificante illusione di aver cantatouna serenata al Papa.

Sono un semplice cristiano. E un cristiano semplice.Un’anima con più dubbi che certezze; una coscienza nellaquale si affollano più domande che risposte. L’incontro conPapa Wojtyła, però, fu uno di quei rarissimi incontri che rie-scono a far cambiare l’equilibrio tra i piatti della bilanciadell’interiorità. Stringendogli le mani, infatti, avevi la sensa-zione che se, fino a quel momento, la tua fede era stata figliadella speranza, lentamente la speranza cominciava a diventa-re figlia della fede. Una fede che il calore di quella stretta

stata la vicenda umana — in un momento storico tutt’a l t roche facile per il Paese dal quale proveniva — a temprare la fe-de o la fede a temprare l’uomo e a rendere la sua vicenda co-sì esemplare? Chi aveva reso incrollabile chi?

Ricordo la sera della sua elezione, quando — dopo chel’insolita pronuncia del suo cognome, per un istante avevafatto pensare alla piazza che si trattasse di un Papa di originiafricane — arrivò quel “se mi sbalio, mi corrigerete” che lo re-se, istantaneamente, “umano” e romano. Vivevamo gli “annidi piombo”; anni segnati, in particolare, dal destino di perso-nalità dolorose come Paolo VI e Aldo Moro, e quel sorrisoebbe il potere di cambiare intonazione al tempo, come unvento che spazza via le nubi e restituisce il cielo a sé stesso.Col tempo, Roma e il mondo impararono che quel “se (misbalio)” era un se bello grande. Non tanto per l’infallibilitàdogmatica, quanto per la lucidità nel vedere e la determina-zione nel fare di quell’uomo, il cui contributo si sarebbe rive-lato determinante nell’orientare il corso della Storia, verso li-bertà, democrazia e umanità.

Quella notte in piazza San Pietro, mentre cantavo “Fr a t e l -lo sole, sorella luna”, pensai che quel Papa veniva da una ter-ra che avevo amato in modo particolare. Anche se pochi losanno, infatti, la mia carriera di artista era cominciata proprioin Polonia, dove, neanche ventenne, mi ero recato per unalunga serie di concerti. Concerti, sorprendentemente, trionfa-li, l’ultimo dei quali proprio a Wadowice, città natale di PapaWo j t y ła. In Italia, ero uno sconosciuto del quale le case di-scografiche non volevano sentir parlare: in Polonia ero diven-tato una star, con teatri pieni, tifo da stadio e fan in coda perfoto e autografi. Era stata quella terra a restituirmi quella fi-ducia che, qui, avevo perso, e a farmi rinunciare al propositodi mollare tutto e smettere di essere ciò che sentivo di essere:un musicista.

Fu in piazza Rynek Główny a Cracovia — dove, anche seall’epoca non lo sapevo, Wojtyła era arcivescovo — che, dopouna sorta di concertino improvvisato al pianoforte di un lo-cale all’aperto, ebbi, per la prima volta, la netta sensazioneche l’aria intorno fosse del tutto diversa e che qualcosa stessecambiando. Aspettai l’alba in piazza, circondato da centinaiadi ragazzi uguali a me, come covando la segreta consapevo-lezza che sarebbe stata la prima di un tempo nuovo.

Come nuovo sarebbe stato il tempo che si apriva in PiazzaSan Pietro, la notte nella quale il Novecento lasciava il postoal Duemila e io suonavo e cantavo — voce, anima e cuore —per il mondo riunito lì, sotto la finestra accesa e la benedi-zione fiduciosa e forte di Giovanni Paolo II.

La “generazione GPII”che salta in alto

di AN T O N I E T TA DI MARTINO

Non ho mai incontrato personalmente Giovanni Paolo II. Masono una donna, un’atleta — sono una saltatrice in alto — cheha fatto parte della “generazione GPII”. Sono cresciuta conlui. Per questo potrei dire che in fondo, sì, anche io l’ho co-nosciuto. Sono nata in quel 1978 che per me si è rivelato par-ticolarmente significativo. In quello stesso anno, pochi mesidopo, Karol Wojtyła è stato eletto Papa. Mia nonna me lo ri-corda sempre: Sei nata quando hanno eletto il Papa!». Maproprio nel 1978 Sara Simeoni saltò 2 metri e un centimetro:superare quel record è stato l’obiettivo di tutta la mia vita diatleta, fino a quando ho saltato 2 metri e 4 centimetri.

Ma tutto parte dal 1978, dunque. È come se il pontificatodi Giovanni Paolo II e la mia vita avessero camminato insie-me, per ventisette anni. Ha accompagnato la mia “carriera”di donna e di atleta. E non è una frase fatta. Noi sportivinon facciamo retorica.

Il salto in alto mi ha dato tante soddisfazioni, medagliemondiali. Ma per arrivare a quei livelli ho fatto tanti sforzi eho avuto tantissimi infortuni. Tantissimi. Più di una volta hoavuto la tentazione di lasciar perdere. Ricominciare daccapoogni volta... Ma come potevo io lamentarmi dei miei infortu-ni sportivi vedendo il Papa che, pur soffrendo, non rinuncia-va mai a portare la sua testimonianza ovunque nel mondo?Se non si arrendeva lui, perché avrei dovuto arrendermi io,nel mio piccolo, davanti all’ennesima operazione? Con chefaccia potevo lamentarmi?

Ricordo perfettamente il suo “grido” contro la mafia nellaValle dei Templi ad Agrigento. Era il 1993. Rimasi fortementeimpressionata dal suo coraggio, dalla sua forza. E certo nonposso dimenticare le immagini del funerale, quel libro deiVangeli collocato sulla sua bara e “sfogliato” dal vento.

In tutta la mia vita ho continuato a seguirlo, da lontano.Mi affascinava molto l’idea che fosse stato uno sportivo, ap-passionato di canoa, e che sapesse sciare. Una considerazioneche lo rendeva più vicino a me. Per questo la sua testimo-nianza mi ha veramente aiutata nei momenti bui. Mi ha fatto

ritrovare, con le sue parole, quei valori di fondo dello sportche sono, per certi versi, profondamente spirituali.

Insomma, posso dire che Giovanni Paolo II ha reso piùforte la mia fede. Mi ha reso più consapevole di dover dareuna testimonianza anche nel mio lavoro di atleta. Ricordouna bellissima amicizia con un’atleta etiope al Meeting diLondra: parlammo a lungo delle nostre esperienze religiose.Le regalai un’immaginetta di sant’Antonio, che è il mio pa-trono visto che mi chiamo Antonietta. Penso anche a BlankaVlasic, croata, una delle saltatrici più forti di tutti i tempi,che piano piano si è aperta e ora testimonia la sua fede cri-stiana con forza.

L’esempio di Giovanni Paolo II, che ci ha mostrato comesi perdona, mi ha aiutato anche a vivere l’ingiustizia del do-ping: ci sono voluti dieci anni perché mi fosse data una me-daglia dei Campionati mondiali che era stata assegnata aun’atleta positiva al doping. In tante occasioni GiovanniPaolo II ha ripetuto, soprattutto ai giovani, di non prenderescorciatoie, di guardare dentro se stessi e costruire quello chesi è. Di tutti questi insegnamenti io lo ringrazio, perché mihanno aiutato nello sport come atleta e oggi anche come ma-dre e nel mio servizio di appuntato scelto della Guardia di fi-nanza.

Il gol più bello

di ABEL BALBO

Giovanni Paolo II è stato innanzitutto per me un testimone.Il 30 gennaio 1996 ho partecipato alla Messa da lui celebrataalle 7 nella sua cappella privata insieme con i calciatori ar-gentini che in quel momento giocavano in Italia e con tutti inostri familiari. Ricordo che qualche giorno dopo il Papa sa-rebbe partito per il Guatemala, il Nicaragua, El Salvador e ilVenezuela. Dopo la Messa gli ho chiesto di pregare insiemeper le nostre famiglie e anche per i nostri popoli latinoameri-cani, soprattutto per le persone più sfortunate. Ma non credodi poter trovare le parole giuste per descrivere ciò che ha si-gnificato per me, per tutti noi, quell’incontro centrato anzi-tutto sulla celebrazione dell’Eucaristia.

Le parole che ci ha rivolto familiarmente Giovanni PaoloII in quella occasione ci hanno richiamato, come calciatoriconosciuti, a una grande responsabilità. Lui ci ha dato fidu-cia ricevendoci nella sua casa. Ci ha detto di essere testimoninel nostro particolare mestiere. Con me c’erano amici primaancora che colleghi: Gabriel Batistuta, Javier Zanetti, NestorSensini, Antonio Chamot e anche Daniel Fonseca che è uru-guaiano ma in quel momento era mio compagno di squadranella Roma.

Qualche mese dopo ho partecipato, alla presenza di Gio-vanni Paolo II, a un incontro dei giovani cristiani di Romanell’aula Paolo VI. Con accanto mia moglie e mio figlio, hoparlato pubblicamente della nostra esperienza come famigliacristiana. Confesso di aver sentito, mentre parlavo, di appar-tenere veramente, fino in fondo, alla grande famiglia dellaChiesa. Mi sono commosso più che per un gol: è persino ba-nale e retorico affermarlo. Ho sentito la mia indegnità comepersona e una grande responsabilità. Poi ho avuto di nuovol’opportunità di tornare dal Papa, nel febbraio 1998, per chie-dere una benedizione per mio figlio Federico.

Ho pensato, in questi anni, di aver avuto in comune conGiovanni Paolo II anche il fatto che, in fondo, siamo diven-tati romani “di adozione” tutti e due: lui polacco, io argenti-no. Lui come vescovo di Roma e io, molto più modestamen-te, come centravanti della squadra di calcio. Ma credo cheanche questa “ro m a n i t à ”, che fa rima con universalità, mi ab-bia unito a lui, in qualche modo.

Sono nato in un piccolo paesino dell’Argentina, in una fa-miglia molto semplice che mi ha insegnato a vivere la fede, esono cresciuto tirando calci a un pallone nel campetto dellaparrocchia. Ricordo che quando Giovanni Paolo II venne inArgentina, nell’aprile 1987, andai per strada a vederlo conLucila, che poi è diventata mia moglie. Ero molto giovane,

ma ho sentito subito forte l'impegno di testimoniare la fedeanche con il mio essere calciatore, senza ostentazioni ma nep-pure vergognandomi di mostrarmi cristiano. Credo debba es-sere un fatto naturale. Devo dire che, soprattutto nell’ambitodella nazionale argentina, questo sentimento religioso l’hosempre vissuto molto bene. Insomma, non ho mai trascinatonessuno a messa e non ho mai costretto nessuno a pregare:ma alcuni miei compagni, vedendomi, mi chiedevano di veni-re con me in chiesa o si univano spontaneamente alla miap re g h i e r a .

Certo, qualche volta sono stato anche preso in giro per lamia fede: perché ho sempre pregato prima di una partita —mai, però, per avere la “grazia” di segnare un gol... — e per-ché sono sempre andato a Messa anche quando giocavo intrasferta, cercando una chiesa vicino all’albergo dove allog-giava la mia squadra. Ma non è mai stato un problema esserepreso in giro.

In questa mia testimonianza, mai forzata, mi ha sostenutoproprio l’esempio di Giovanni Paolo II che invitava sempre anon aver paura di testimoniare Cristo in ogni ambiente. Loso, ci sono colleghi che amano farsi vedere in giro con topmodel o rockstar mentre io nelle interviste ho sempre parlatodella Madonna, soprattutto della Vergine di Luján patronadell’Argentina. Capisco che non andrò mai di moda, ma cia-scuno ha il proprio stile di vita. E a me il mio va benissimo.

Nella bottegadell’o re f i c e

di GABRIELLA GAMBINO

Il centenario della nascita di san Giovanni Paolo II si collocain un momento dell’anno molto speciale: a pochi giorni dallaGiornata internazionale per la famiglia celebrata dalle Nazio-ni Unite e nel mese dedicato a Maria, che nell’esortazioneFamiliaris consortio, il Papa aveva proclamato “Madre dellaChiesa domestica”. A Lei aveva affidato questa prima celluladella società, consapevole che il futuro del mondo e dellaChiesa stessa passassero attraverso la famiglia.

Con passione ha dedicato ampi capitoli del suo magisteroper mostrare al mondo la bellezza e la centralità della fami-glia. Nel 1993 ebbe la straordinaria intuizione di istituire gliIncontri mondiali per le famiglie che, dal 1994, ogni tre anni,si svolgono in un Paese diverso, per alimentare con un incon-tro ecclesiale e pastorale il cuore pulsante delle famiglie nellaChiesa. «Famiglia, cuore della civiltà dell’amore» il tema delprimo Incontro; sulla stessa scia, dopo 28 anni, il prossimoIncontro indetto da Papa Francesco a Roma nel 2022 sarà su«Amore familiare: vocazione e via di santità».

In fondo il magistero di san Giovanni Paolo II, con la let-

tera ai bambini, la lettera alle donne, le sue indimenticabili ca-techesi sull’amore umano, sul matrimonio, sul ruolo insosti-tuibile dei padri e delle madri è stato un inno alla vita, allamaternità di ogni donna, al compito generativo delle famigliee di ogni persona umana che dice di sì alla propria vocazio-ne. Ed è a questa vocazione che ancor oggi dobbiamo far ap-pello per rendere felici i nostri giovani, i nostri figli.

Le prime righe della Familiaris consortio le aveva rivolteproprio a loro, ai giovani che stanno per mettersi in camminoper realizzare un progetto di famiglia, per aiutarli a scoprirela bellezza e la grandezza della vocazione all’amore (numero1). Un messaggio non solo attuale, ma continuamente ribadi-to da Papa Francesco quando ci ricorda che le famiglie cri-stiane non sono chiamate a proporre un ideale astratto e ir-raggiungibile di sé, ma a dare una semplice e diretta testimo-nianza della Grazia che attraversa le nostre vite quotidiane,con le fatiche, i dolori, le gioie e le conquiste di ogni giorno,di cui le fedi nuziali sono segno e simbolo.

Karol Wojtyła, in quella raffinata opera teatrale che è La

bottega dell’o re f i c e , spiegava che le fedi sono espressione dellafedeltà alla propria vocazione, nonostante tutte le difficoltàdella vita, non perché così decidono gli sposi, ma perché so-no “forgiate dall’o re f i c e ”, da Dio. È Lui l’autore della Graziache sostiene, ed è Lui il primo a essere fedele all’amore cheunisce gli sposi e le famiglie. È questa la potenza del sacra-mento che ancor oggi dobbiamo riproporre. Nell’antichità, ils a c ra m e n t u m era il sigillo militare stampato col fuoco sullamano del soldato, che apparteneva all’esercito e che maiavrebbe potuto abbandonare. In maniera analoga, la famigliacristiana porta in sé il segno di Dio.

È questa una delle eredità che san Giovanni Paolo II ci halasciato. Abbiamo il privilegio di poterla raccogliere per resti-tuire — diceva — alla famiglia cristiana di oggi, tentata dallosconforto e angosciata per le difficoltà, ragioni di fiducia insé stessa, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna chele famiglie del nostro tempo riprendano quota!». Questo an-niversario sia l’occasione per accendere nei cuori di tutti noie, specialmente dei nostri pastori, l’amore per le famiglie,adoperandoci per loro, prendendocene cura e sostenendolecome il Signore fa con il suo popolo.

Karol Wojtyła cent’anni I laici sono stati per me un dono singolare, per il quale non cesso di ringraziare la Provvidenza. Li porto tutti nel cuore, perché ciascuno di loroha offerto il proprio contributo alla realizzazione del mio sacerdozio

Il geniodella donna

Valle d’Aosta, 1997

tà, a due passi da piazza Navona, di un somalo senza fissadimora, Alì Jama, morto per le ustioni provocate da alcunigiovani. Ricevette la delegazione della Comunità di Sant’Egi-dio nella sacrestia della Chiesa Nuova dove era andato persan Filippo Neri. Il desiderio di san Giovanni Paolo II èsempre stato quello di incoraggiare tutte le risposte capaci diportare l’annuncio evangelico da parte dei laici vicine alledomande delle persone e alle loro sofferenze. Cristiani nellastoria senza paura e con tanto cuore.

Siamo al 10 aprile 1988, durante una delle visite a una del-le sue parrocchie, incontro emozionante, senza filtri con larealtà umana ed ecclesiale della città, con i problemi concretiche questa presentava. Il quartiere di Tor Bella Monaca erastato terminato da poco, con le sue “torri” che davano casa amigliaia di cittadini ma che contenevano anonimamente sto-rie di povertà umana e materiale. Nel quartiere, in realtà an-cora in costruzione, vi era un grande insediamento di rom,quasi 600 persone, che si erano stabiliti nelle zone in cui ver-de e terreni incolti si sovrapponevano in un’urbanizzazioneancora largamente incompleta. Il quartiere era stato segnatoda episodi di intemperanza nei confronti degli zingari. Letensioni sociali trovavano, come spesso avviene, un nemicoche veniva incolpato di essere la causa delle difficoltà, il ca-pro espiatorio, che finisce per non aiutare a identificare le ve-re responsabilità e i veri responsabili. Quanto antigitanismoallora e ancora oggi!

Pochi giorni prima della visita del Papa era morto, brucia-to nel rogo della sua roulotte, proprio accanto alla parroc-chia, il piccolo Elvis, di 9 mesi. Probabilmente sarebbe basta-ta una fontanella alla quale attingere acqua per domare lefiamme e salvare il bambino dalla morte. Il suo grido di giu-stizia, purtroppo, era coperto dal pregiudizio e, come peral-tro anche in troppe occasioni simili, non ha portato a un’as-sunzione del problema da parte delle istituzioni per garantirecondizioni di vita umane al popolo rom e da parte di tuttiper piangere di una morte così.

Il Papa doveva recarsi subito nella parrocchia e invece, ve-dendo i rom, don Bruno Nicolini, loro amico da sempre e ungruppo della Comunità di Sant’Egidio che già si impegnavaostinatamente alla scolarizzazione dei bambini, fece fermarela macchina e scese a salutarli. «Noi chiediamo solo di viverein pace e di essere accolti come tutti gli altri» disse Moussa,il più anziano, al Papa. «Siamo usciti dalla Jugoslavia tantianni fa. I nostri figli sono nati e chiediamo solo di essere aiu-tati a vivere e di essere accettati perché siamo cittadini. Vor-remmo poter lavorare come tutti e vorremmo che i nostri fi-gli potessero avere un’istruzione. Non abbiamo nulla: né ac-qua, né luce, né, a volte, riparo. Ma soprattutto non abbiamo

aveva il potere di tirare fuori, chiarire e rinvigorire, come peruna sorta di proprietà transitiva del credere.

Di lui colpiva soprattutto la solidità. Solidità di sguardo,di postura, di portamento, di voce. Guardandolo, lo “senti-vi”. E “sentendolo”, provavi l’istinto di fidarti di ciò che sen-tivi e, dunque, di affidarti alla persona che incarnava quelsentire. Dopotutto, se un uomo come quello aveva fede, chieri tu per non credere o, almeno, non riflettere sul valore esulla forza di quella fede? Mentre parlava, mi chiedevo qualedelle due forze avesse forgiato l’altra: la fede o l’uomo? Era

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Page 8: AROL Karol Wojtyła - Vatican News · 2020-05-16 · Papa Giovanni Paolo II ha dato inizio a una nuova tradizione visitando ufficialmente il Patriarcato ecumenico poco dopo la sua

Rimane nostrocontemp oraneo

Il chinarsi di Diosulla storia degli uomini

Cosa significasolidarietà

L’OSSERVATORE ROMANOpagina XIV L’OSSERVATORE ROMANO pagina XV

di HANNA SUCHO CKA

In questo anno, che segna il centenario dellanascita di Karol Wo j t y ła, ritorna constraordinaria forza il ricordo del suo pontificato.E, in modo speciale, questo giorno del 16 ottobre1978 quando Karol Wojtyła fu scelto come Papa.

In quel tempo in noi ci fu la gioia, l’emozione,l’orgoglio per il fatto che fosse un polacco.In quello specifico periodo si trattava di un simbolodella liberazione dall’indottrinamento comunista.Percepivamo questo avvenimento secondo le categorieumane. Oggi intravediamo un’altra dimensione diquesto pontificato. Oggi vediamo chiaramente in tuttociò quasi un tocco diretto di Dio, anche nei nostritempi, proprio tramite quell’avvenimento. Lo sguardo daquesta prospettiva ci libera dal pensiero sulla casualitàdegli avvenimenti. Ci accorgiamo come tutto siapianificato, progettato dalla mano di Dio. Quando ciapriamo all’azione dello Spirito ed esprimiamo il nostro“sì” allora tutto è possibile, perfino gli avvenimenti chesono più improbabili secondo la prospettiva umana.Vorrei sottolineare quattro ipotesi chiave rilevanti per ilpontificato di Giovanni Paolo II: una chiamata asuperare la paura; una chiamata per l’apertura; la libertàe la dignità umana come valori; la solidarietà come ideaorganizzativa della società.Giovanni Paolo II, dall’inizio del suo pontificato, ci hachiamati a respingere la paura: “Non abbiate paura!”.Lui che proveniva da un Paese comunista sapeva beneche cosa fosse la paura. Le sue parole sono da noi benconosciute. Ma la sua esortazione continuava così:“Aprite i confini degli Stati, i sistemi economici comequelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, disviluppo. Non abbiate paura!”.Le parole “aprite i confini degli Stati” sono un invito aspezzare la divisione esistente all’epoca, creata in seguitoalla seconda guerra mondiale e conseguentementeconsolidata durante tutto il periodo del dopoguerra.Queste parole di Giovanni Paolo II possono essereconsiderate le fondamenta sulle quali, in seguito, verràcostruita tutta la concezione del nuovo ordine mondiale.Questo è un richiamo all’apertura. Il Papa non invitaperò ad abolire il sistema, il Papa non dà un giudiziosul sistema esistente, non invita ad abbattere le autoritàdi allora. Il Papa ci chiama a rinnovare il volto di questaterra.Giovanni Paolo II era un visionario. Su questo nonabbiamo dubbi. Nell’ultimo quarto del ventesimo secoloha potuto presentare una visione che mancava ai leaderpolitici dell’epoca. Questa visione è caratterizzata dalfatto che non è vincolata dagli accordi esistenti. Va oltreuna prospettiva temporale breve. E così Giovanni PaoloII non ha avuto paura di chiedere soluzioni chesembravano irrealistiche e immutabili per i politici,collegati da una rete di vari accordi internazionali.Per Giovanni Paolo II era ovvio che una nuova “qualità”europea poteva essere creata solo combinando le dueparti dell’Europa a pieno titolo. L’europ eizzazionesignifica fare riferimento ai valori comuni, raggiungendotutta la nostra profonda tradizione cristiana che haplasmato sia l’Oriente che l’Occidente. Da questopensiero nacque l’idea di proclamare i santi Cirillo eMetodio come patroni europei. Il desiderio della libertà,infiammato da Giovanni Paolo II, ha portato aisuccessivi cambiamenti, anche politici, in tutta Europa.A Gniezno, il 3 giugno 1997, ha detto che “la storiadell’Europa è un grande fiume nel quale sboccanonumerosi affluenti. Non ci sarà l’unità dell’Europa finoa quando essa non si fonderà nell’unità dello spirito...Le fondamenta dell’identità dell’Europa sono costruitesul cristianesimo. E l’attuale mancanza della sua unitàspirituale scaturisce principalmente dalla crisi di questasua autocoscienza cristiana”.Il legame tra dignità e libertà era particolarmenteimportante per Giovanni Paolo II. Ha lottato per lalibertà. Un messaggio importante di Giovanni Paolo II èil monito, l’appello alla consapevolezza dei pericoli dellalibertà incompresa, una minaccia alla dignità umanastessa. Diceva che il difficile dono della libertà umana cifa essere ancora tra il bene e il male. Tra la salvezza e ilrifiuto. Dopotutto, la libertà può trasformarsi in unaspavalderia. Per ogni passo che facciamo, siamotestimoni di come la libertà diventi il lievito di varie“schiavitù” dell’uomo, delle persone, delle società.Giovanni Paolo II sottolineava fortemente il significatodi “solidarietà” in quanto principio che deve guidare lecomunità di persone. Nel 1987 — sempre nell’epoca delcomunismo — formulò a Danzica questa definizionedella solidarietà: la solidarietà deve anticipare la lotta. Èun modo di vivere la polisemia umana come peresempio la nazione, nell’unità, nel rispetto di tutte ledifferenze che possano esistere fra gli uomini. Lasolidarietà suscita a volte anche la lotta. Ma non è maiuna lotta contro il prossimo.In queste parole vi è anche un avvertimento: se lasolidarietà verrà usata nella lotta contro l’altro, e quindistrumentalizzata, perderà il suo vero significato. Diconseguenza la politica sia a livello statale sia europeonon può essere ridotta al livello del gioco “tutti controtutti” nel quale si scorda la solidarietà. Non è unaparola che ormai fa parte soltanto della storia, è tuttoramolto attuale.Ancora oggi risuonano nelle nostre orecchie le paroledel Papa e la determinazione con la quale sono stateespresse. Erano chiaramente indirizzate a ciascuno dinoi. Non si possono scordare. Ritornavano e ritornanodi continuo. In queste parole Giovanni Paolo II harinchiuso l’invito concreto di rinnovo spirituale diognuno di noi, dell’intera nazione polacca, ma anchedel mondo intero.

di MIKHAIL GORBACIOV

Negli anni di “p erestroyka”, e anche successiva-mente, ho incontrato persone eccezionali, trale quali c’erano personalità davvero storiche.Ma, tra loro, pochi hanno lasciato nella miamemoria un segno così luminoso come Papa

Giovanni Paolo II. È stato un momento cruciale nella storiamondiale quando abbiamo cominciato a comunicare. Dopotanti anni di alienazione e ostilità tra Oriente e Occidente, ileader degli Stati principali finalmente hanno capito che ab-biamo un nemico comune, cioè la minaccia di una catastrofenucleare. Da allora con sforzi congiunti abbiamo cominciatoil movimento del confronto alla cooperazione e anche in fu-turo a un partenariato.

Giovanni Paolo II ha sostenuto pienamente questo proces-so. Oggi mi sembra simbolico che il nostro primo incontro sisia svolto nel dicembre 1989, alla vigilia del mio incontro conil presidente degli Stati Uniti. Allora a Malta, George Bush eio, abbiamo dichiarato che i nostri Paesi non si considerava-no più nemici. Devo dire che anche prima di questo io osser-vavo con grande attenzione le attività e le dichiarazioni delcapo della Chiesa cattolica. E lui, a sua volta, come mi riferi-vano, seguiva con interesse i cambiamenti nel nostro Paese.Abbiamo stabilito dei contatti che poi hanno contribuitoall’incontro. Quando il nostro incontro si è svolto, ho dettoal Papa che nelle sue e nelle mie dichiarazioni si trovavanospesso le stesse parole che comunque erano simili. “Vuol direche ci deve essere qualcosa in comune, a partire dai pensieri”ho suggerito. Oggi, più di trent’anni dopo, noto che quellacomunione non solo persisteva, ma si approfondiva anchenegli anni successivi alla nostra comunicazione.

Penso di poter dire con buona ragione: durante quegli an-ni siamo diventati amici. Credo che tante altre persone pos-

sano dire lo stesso perché lo caratterizzava un interesse ge-nuino e caldo per ogni persona.

Giovanni Paolo II riusciva a coniugare l’alta missione delleader spirituale con una sottile compressione dei processi so-ciali e politici in tutto il mondo. Lui considerava la “p ere-s t ro y k a ” come un fenomeno di grande importanza non soloper il nostro Paese ma anche per tutto il mondo come “la ri-cerca di una nuova dimensione di vita delle persone, che cor-risponde di più alle esigenze di una persona e agli interessidi popoli diversi”. Quelle sue parole me le sono ricordate.

Particolarmente profonda era la sua comprensione dellastoria europea e del ruolo dell’Europa nel mondo di oggi.Nella stessa conversazione, il Papa disse: “Non si può preten-dere che i cambiamenti in Europa e in tutto il mondo vada-no secondo il modello occidentale. Tutto ciò contraddice lemie profonde convinzioni. L’Europa, come partecipante allastoria mondiale deve respirare con due polmoni.”

È un’immagine molto precisa. Ho sostenuto quel pensieroe dopo l’ho citato più di una volta parlando del presente edel futuro dell’Europa. Oggi queste parole sono estremamen-te rilevanti.

E c’è ancora un pensiero di Giovanni Paolo II che suonaoggi non solo attuale, ma come un appello e come un pro-memoria a tutti i leader mondiali e a tutti noi. Le sue parolesono che noi oggi abbiamo davvero bisogno di un nuovo or-dine mondiale, più stabile, equo e più umano.

Sono certo che se dopo la fine della “guerra fredda” taleidea fosse stata usata come base per lo sviluppo della politicamondiale, e se la stessa politica si avvicinasse alla moralità esi facesse ispirare da essa, sarebbe stato possibile evitare mol-ti errori e fallimenti, per i quali il mondo ha pagato un prez-zo troppo alto negli ultimi decenni.

L’eredità spirituale e intellettuale di Giovanni Paolo II de-ve essere presente nelle nostre riflessioni sul destino dell’uma-nità e sulle nuove sfide messe davanti al mondo da affrontarenel millennio attuale. Il Papa ha riflettuto profondamente sulmondo globale, sulle nostre responsabilità comuni di conser-vare la vita sul pianeta e salvare lo stesso pianeta terra.

Oggi, come non mai, deve risultare evidente che tutti iproblemi riscontrati ultimamente dall’umanità non possonoessere risolti con mezzi e metodi che sembravano adeguati ederano utilizzati prima. Ne ho già parlato nel 1988 nel mio di-scorso davanti all’Assemblea generale dell’O nu.

Mi sono permesso di citare queste parole in quanto sonoconvinto che nuove sfide e nuove minacce richiedono unanuova mentalità, basata sui valori che vengono condivisi datutte le confessioni mondiali, da tutte le correnti principalidel pensiero moderno.

Attualmente il mondo sta vivendo una crisi acuta e travol-gente causata dalla pandemia del nuovo coronavirus. In que-ste condizioni siamo proprio costretti a rivedere tante cose.Sono sicuro che Giovanni Paolo II avrebbe sostenuto l’app el-lo di demilitarizzare i rapporti internazionali e la mentalitàpolitica, e di ridurre le spese militari.

Al primo posto nella politica di tutti gli Stati deve essereaffrontata la questione della sicurezza dell’uomo, della prote-zione della sua salute e dell’ambiente, della creazione dellegiuste condizioni per una vita dignitosa di ogni singolo indi-viduo che vive sulla nostra terra.

Il mondo sta attraversando un periodo difficile e sta po-nendo dei quesiti particolari a tutti noi ma soprattutto da-vanti ai politici. Oggi diventa ancora più importante e pienodi responsabilità il ruolo dei leader spirituali. Vorrei sperareche riescano a gestire questa responsabilità seguendo e ispi-randosi all’esempio di Papa Giovanni Paolo II. Lui continuaa rimanere nostro contemporaneo anche oggi.

di LECH WAŁĘSA

Qualcuno si chinò lungamente su di me.

L’ombra non pesava sull’orlo delle sopracciglia.

Come la luce colma di verde,

come il verde, ma senza sfumature,

un indicibile verde posato su gocce di sangue.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura

che cala dentro di me, eppure mi resta sopra,

anche se passa poco lontano — proprio allora diviene fede

e pienezza.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura

è silenziosa reciprocità

Chiuso in quella stretta — come a una carezza sul volto

dopo la quale vi è stupore e silenzio, silenzio senza parole

senza nulla comprendere o bilanciare

in quel silenzio sento, sopra di me, il chinarsi di Dio.

(Karol Wojtyła — Canto del Dio Nascosto).

La strada comune, la storia comune, i sogni comuni, le azioni comuni, unsolo obiettivo: il bene dell’uomo. E poi il nostro destino, il destino dellaPolonia così vicina al nostro cuore e — alla luce di questa vicinanza — ildestino del mondo che cambia per opera degli uomini, ma non sempre peril loro bene. Cambiare il volto di questa terra, restituirla, rispettarla, amarla

con fede, speranza e carità. Ci ha dato il verbo e noi l’abbiamo tradotto in vittoria.

Fede e solidarietà insieme fanno miracoli. Il comunismo agiva secondo una filosofiasemplice: non permettere alla gente di unirsi, di organizzarsi intorno a un’idea comune,nella lotta pacifica. Il mondo intero ci diceva: smettete di fare sciocchezze, ogni vostropasso è controllato nel vostro Paese da duecentomila militari sovietici, intorno alla Po-lonia ce ne sono più di un milione, ci sono i silos pieni di armi nucleari.

I movimenti per la libertà non avevano nessuna possibilità di sconfiggere il comuni-smo, ma proprio allora è arrivato Giovanni Paolo II. L’elezione del Papa polacco e ilsuo primo pellegrinaggio in Polonia nel 1979 cambiarono il corso degli eventi, di colpoci siamo resi conto di quanti eravamo e che tutto era possibile.

Questo risveglio spronò i polacchi a farsi guidare da piccoli gruppi di opposizioneche confluirono poi in un movimento molto forte come Solidarność. Senza il Papa po-lacco mai saremmo stati in grado di organizzarci, non avremmo vinto.

Grazie al Santo Padre siamo insorti con fede e integrità morale, sempre fedeliall’idea della lotta pacifica. Dobbiamo moltissimo al Papa. Come sarebbero andate lecose, se il cardinale Karol Wojtyła non fosse diventato Papa? Un giorno il comunismosarebbe caduto comunque, ma probabilmente con spargimento del sangue.

Giovanni Paolo II ha contribuito alla caduta del muro di Berlino e al rovesciamentodell’intero sistema. Ha esortato la società a protestare, ma anche a farlo in un modo in-telligente, pacifico e onesto. Ha sempre difeso i poveri e gli oppressi, si opponeva conforza e convinzione ai conflitti armati, alle guerre e ingiustizie, alla repressione dei po-poli e dei singoli. Per lui ognuno era unico e importante.

Ho incontrato il Santo Padre molte volte. Questi incontri erano sempre emozionantie commoventi, ma non mancavano mai di un sostanziale scambio di opinioni. Devo di-re francamente che ci capivamo senza parole e su questioni che gli altri discutevano persettimane senza mettersi d’accordo, noi riuscivamo a intenderci in pochissimo temponella piena comprensione, accettazione reciproca e soddisfazione per entrambe le parti.

Sono convinto che lo Spirito Santo ha sempre guidato e guida tuttora le azioni dellaChiesa e delle persone grazie alle quali si possono fare cose che sembrano imp ossibili,cambiare confini, cambiare persone, cambiare il volto della terra, questa terra. GiovanniPaolo II è un personaggio assolutamente eccezionale che rimarrà per sempre nel mioc u o re .

Karol Wojtyła cent’anni Mai più la guerra! La guerraè un’avventura senza ritorno! Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono

Monte NeboTerra Santa, 2000

Viaggio in America centrale, 1983

1° dicembre 1989 15 gennaio 1981

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Udienza generale, 1997

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Le più belle foto di Giovanni Paolo II

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 111 (48.435) Città del Vaticano domenica 17 maggio 2020

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OLTRE LA CRISI/5

Una Chiesa umile per un’umanità provatadi FEDERICO LOMBARDI

Al termine del Grande giubileodel 2000, che egli aveva vissu-to e ci aveva invitato a vivere

come un grande appuntamento frala grazia di Cristo e la storiadell’umanità, Giovanni Paolo IIscrisse alla Chiesa una bella Letteraintitolata: «All’inizio del Terzo Mil-lennio», in cui risonavano le paroledi Gesù a Pietro: «Duc in altum…Prendi il largo e gettate le reti per lapesca» (Lc 5, 4). Il Papa invitava a«fare memoria del passato, viverecon passione il presente, aprirci confiducia al futuro», perché «GesùCristo è lo stesso ieri, oggi e nei se-coli». Come sappiamo, Papa France-sco ha ripreso e rilanciato il temaparlando fin dall’inizio del suo pon-tificato della “Chiesa in uscita”, unaChiesa evangelizzatrice animata dal-lo Spirito donatole da Cristo risorto.

La sera del 12 ottobre 2012 Bene-detto XVI aveva fatto un breve discor-so dalla stessa finestra da cui 50 anni

prima Giovanni XXIII aveva salutato,sotto lo sguardo benevolo della Lu-na, la folla accorsa in piazza San Pie-tro al termine del giorno dell’ap ertu-ra del concilio. Benedetto, con losguardo rivolto in alto, fece una ri-flessione che colpì molto, perché nonsollevava il desiderato facile entusia-smo, ma piuttosto — pur nella fiducia— ispirava una grande umiltà, carat-teristica della fine del suo pontificato.Ricordava come nei 50 anni prece-denti la Chiesa aveva fatto l’esp erien-za del peccato, della zizzania mista algrano nel campo, della tempesta edel vento contrario. Ma anche delfuoco dello Spirito, fuoco di Cristo.Però come fuoco non divoratore maumile e silenzioso, piccola fiammache suscita carismi di bontà e caritàche illuminano il mondo e testimo-niano la sua presenza con noi.

Mentre si avvicina la Pentecosteripenso alle parole dei nostri tre Pa-pi del Terzo millennio. In realtà,questo nuovo millennio in cui ormaici stiamo addentrando da vent’anni

non si è manifestato nel complessoun’epoca di progressi luminosi perl’umanità. Si è aperto con l’11 set-tembre 2001 e con la guerra del Gol-fo, poi abbiamo avuto la grande cri-si economica e la guerra mondiale “ap ezzi”, la distruzione della Siria edella Libia, l’aggravarsi della crisiambientale, tanti altri problemi, eora una pandemia globale con le sueconseguenze, esperienza inedita chesegna questo papato. Non mancanocertamente nuovi successi scientificie progressi nella sanità, nell’i s t ru z i o -ne, nelle comunicazioni, per cui nonsarebbe giusto fare affrettati bilancinegativi. Ma certamente non possia-mo parlare di un cammino lineare esicuro dell’umanità verso il meglio.L’esperienza della pandemia, anchese sarà superata, è certamenteun’esperienza comune di incertezza,di insicurezza, di difficoltà di gover-no del cammino sempre più com-plesso della società contemporanea.Non sappiamo se in futuro la legge-remo come un’occasione di crescita

nella solidarietà o di nuove tensioniinternazionali e interne e di squilibrisociali. Probabilmente tutte e due ledimensioni saranno mescolate: ilgrano e la zizzania.

La Chiesa di questo inizio millen-nio dal punto di vista umano non èforte. La sua fede è messa alla provadalle desertificazioni spirituali deinostri tempi. La sua credibilità èmessa alla prova dall’umiliazione edall’ombra degli scandali. La storiacontinua e la Chiesa continua a im-parare che la sua unica vera forza èla fede in Cristo Gesù Risorto e ildono del suo Spirito. Un fragile va-so di terra in cui è contenuto il teso-ro di una potenza di vita che va ol-tre la morte. Saremo una Chiesaumile capace di accompagnare fra-ternamente una umanità provata,con carità e bontà? Con una caritàcosì pervasiva da animare anche leintelligenze e le forze sociali a cerca-re e trovare le vie del bene comune edella vita migliore? Una Chiesa del-la “lavanda dei piedi” nel nostro

tempo, come dice Papa Francesco?Al largo, in un mare ancora e sem-pre sconosciuto per tutti noi, mamai estraneo per l’amore di Dio…

Nella meravigliosa Sequenza diPentecoste invochiamo il dono delloSpirito come padre dei poveri e lucedei cuori, come consolatore e con-forto, come forza che risana le col-pe, le aridità, le ferite, che scalda ciòche è gelido, drizza ciò che è sviato.Offrire allo Spirito del Signore unospazio aperto di attesa e di deside-rio, uno spazio concreto di menti edi cuori, di anime e di carne umana,perché possa operare e manifestarsinel tessuto profondo della nostraumanità — quella delle guerre e dellapandemia — come potenza di salvez-za dalla fragilità e dalla solitudine,dall’aridità, dalla confusione, dagliinganni delle illusioni e dalla dispe-razione, come potenza di speranzadi vita eterna. Questo può ben fareuna Chiesa umile, sorella, compagnae servitrice di un’umanità provata.Ed è la cosa più importante.

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza gliEminentissimi Cardinali:

— Marc Ouellet, Prefettodella Congregazione per i Ve-scovi;

— Luis Francisco LadariaFerrer, Prefetto della Congre-gazione per la Dottrina dellaFe d e ;

— Luis Antonio G. Tagle,Prefetto della Congregazioneper l’Evangelizzazione dei Po-p oli.

Provvista di ChiesaIl Santo Padre ha nominato

Vescovo di Fajardo-Humacao(Porto Rico) il Reverendo Pa-dre Luis Miranda Rivera, O.Carm., Vicario episcopale dellazona pastorale San Juan - San-turce e Parroco della parroc-chia “Santa Teresita” nell’A rc i -diocesi di San Juan de PuertoRico.

Nominadi Vescovo Ausiliare

Il Santo Padre ha nominatoAusiliare dell’Arcidiocesi Me-tropolitana di Portoviejo(Ecuador) il Reverendo Vicen-te Horacio Saeteros Sierra, delClero della medesima Arcidio-cesi Metropolitana, VicarioGenerale e Parroco della Cat-tedrale, assegnandogli la Sedetitolare di Rusuccuru.

Nella messa a Santa Marta nuovo monito contro il pericolo della mondanità spirituale

La preghiera del Papaper le persone che seppelliscono i morti«Per le persone che si occupano diseppellire i defunti in questa pande-mia» da covid-19, il Papa ha offertola messa del mattino, celebrata alle 7di sabato 16 maggio nella cappelladi Casa Santa Marta. Introducendoil rito Francesco ha ricordato comedare sepoltura ai morti sia «una del-le opere di misericordia». Ma si èanche detto consapevole che, oltre anon essere «una cosa gradevole, na-turalmente», è un’attività che mettea repentaglio «la vita» di chi la svol-ge, esponendolo al rischio di «pren-dere il contagio». Da qui l’invito ri-volto ai fedeli collegati in direttastreaming a pregare il Signore affin-ché protegga le persone che svolgo-no i servizi funebri, come aveva giàchiesto lo scorso 25 aprile.

Successivamente all’omelia, il ve-scovo di Roma ha spiegato che Cri-sto morto e risorto per gli uomini èl’unica medicina contro lo spiritodella mondanità. Come di consuetoha preso spunto per la meditazionedalle letture del giorno, sofferman-

dosi in particolare sul brano evange-lico di Giovanni (15, 18-21) per sotto-lineare come «Gesù parecchie volte,e soprattutto nel suo congedo congli apostoli», parli «del mondo». Espiegando cosa sia questo «spiritodel mondo», cui fa riferimento Ge-

sù, il Papa ha affermato che è «unmodo di vivere, una cultura dell’effi-mero che non conosce la fedeltà».Francesco ha confidato in propositoche, nel leggere il libro di Henry deLubac Meditazione sulla Chiesa, resta«sempre» colpito dalle «ultime trepagine, dove» il teologo gesuita«parla proprio della mondanità spi-rituale. E dice che è il peggiore deimali che può accadere alla Chiesa; enon esagera — ha asserito il Pontefi-ce — perché poi dice alcuni mali chesono terribili, e questo è il peggiore:la mondanità spirituale, perché èun’ermeneutica di vita, è un modo divivere; anche un modo di vivere ilcristianesimo. E per sopravvivere da-vanti alla predicazione del Vangelo,odia», addirittura «uccide». Come«quando si dice dei martiri che sonouccisi in odio alla fede». Da quil’esortazione conclusiva di Francescoa invocare dallo Spirito Santo «lagrazia di discernere cosa è mondani-tà e cosa è Vangelo», senza «lasciar-ci ingannare, perché... il mondo haodiato Gesù e Gesù ha pregato per-ché il Padre ci difendesse dallo spiri-to del mondo».

PAGINA 8

Karol Wojtyłacent’anni

Un’edizione specialee una app gratuita de «L’Osservatore Romano»

A cento anni dalla nascita di Gio-vanni Paolo II, lunedì 18 maggio,alle 7, Francesco celebrerà la messasulla tomba del Pontefice santonella basilica Vaticana.

Papa Bergoglio ha voluto ricor-dare Karol Wojtyła anche con unapreghiera pubblicata sulla coperti-na dell’edizione speciale dedicataalla ricorrenza da «L’O sservatoreRomano».

Lo speciale, disponibile on linedalle prime ore di domenica 17, po-trà essere letto anche sull’App gra-tuita — scaricabile già a partire daoggi, sabato 16, dagli store digitali(Apple e Google) — attraverso laquale è possibile sfogliare anchesui dispositivi mobili le pagine delquotidiano della Santa Sede e leg-gerne tutti gli articoli.

Nelle 16 pagine dell’edizione sipuò ripercorrere la testimonianzadi Giovanni Paolo II per rilanciar-ne l’attualità. Tra ricordi non for-mali e autografi inediti, hanno con-tribuito a far rivivere la memoriastorica e spirituale del suo straordi-nario pontificato, tra gli altri, il Pa-triarca ecumenico di Costantinopo-li Bartolomeo, il cardinale segreta-rio di Stato Pietro Parolin, MikhailGorbaciov e Lech Wałęsa.

Non mancano le testimonianzedelle persone che sono state parti-colarmente vicine a Karol Wojtyłae con lui hanno più direttamentecollaborato. Particolari chiavi dilettura sono suggerite, inoltre, dalregista polacco Krzysztof Zanussi edal cantautore romano Claudio Ba-glioni.

La copia cartacea dello specialesarà presto messa a disposizione

dei lettori che già da ora potrannoprenotarla indirizzando la richiestaalla casella di posta elettronicainfo.or@sp c.va.

Sul sito del Servizio fotograficovaticano (www.photovat.com) sonopoi disponibili, anche per l’acqui-sto, tutte le immagini del pontifica-to di Papa Wojtyła. Una specialeraccolta delle foto più belle saràmessa in vendita a luglio.

Nessun intesa su una risoluzione per chiedere il cessate il fuoco globale per la pandemia

Consiglio di sicurezza senza accordoNEW YORK, 16. Un stallo politicomolto grave e del tutto inspiegabile.Nel pieno della pandemia di corona-virus, con milioni di contagi e mi-gliaia di morti, il Consiglio di sicu-rezza delle Nazioni Unite non riescea trovare un accordo per una risolu-zione congiunta per un appello alcessate il fuoco globale.

L’ultimo tentativo di negoziato èavvenuto ieri e ha registrato un nuo-vo fallimento. Anche la bozza pre-sentata dalla Germania assiemeall’Estonia, che ha la presidenza diturno del Consiglio, si è arenata.Sembra che a paralizzare i lavori siasoprattutto lo scontro diplomaticotra Stati Uniti e Cina: lo hanno det-to fonti diplomatiche all’agenziastampa tedesca Dpa. Questa volta èstata la Cina a respingere la nuovaipotesi di compromesso.

Al centro della risoluzione su cuisi lavora vi è l’appello del segretariogenerale António Guterres per uncessate il fuoco globale, in tutto il

mondo, in modo da concentrare glisforzi sulla lotta alla pandemia e laricerca del vaccino. Un appello im-portantissimo, visto che, in paesi co-me la Siria, la Libia, lo Yemen ol’Afghanistan, conflitti armati hannodistrutto le principali infrastrutture egli ospedali, rendendo quindi impos-sibile l’assistenza alla popolazione.Le violenze del conflitto si unisconodunque ai rischi del contagio: moltiesperti temono il peggio nei prossi-mi mesi. I combattimenti, inoltre,impediscono l’afflusso di aiuti. Cen-tinaia di migliaia di rifugiati e sfolla-ti rischiano la vita.

Ma qual è il nodo dello scontropolitico in atto? Secondo fonti di-plomatiche, Pechino vuole che nellarisoluzione venga menzionata la ri-chiesta di sostenere l’operato del-l’Organizzazione mondiale della sa-nità (Oms). Gli Stati Uniti si op-pongono decisamente a questa ipo-tesi. Il presidente Donald Trump hainterrotto i finanziamenti all’O ms

accusandola di aver mal gestito lapandemia. La settimana scorsa Wa-shington aveva respinto una bozzadi risoluzione franco-tunisina che ci-tava l’Oms in maniera indiretta. Vadetto anche che pochi giorni fa eracircolata la notizia in base alla qualeil presidente americano sarebbe in-fatti pronto a riprendere l’e ro g a z i o n edi fondi all’Oms. Ma da Washing-ton non è arrivata nessuna confer-ma.

Intanto, ieri, un gruppo di ong halanciato un appello affinché le po-polazioni più povere del mondo ab-biano in futuro un accesso priorita-rio al possibile vaccino contro il co-ro n a v i ru s .

Secondo le ong, per vaccinarecontro il coronavirus la metà più po-vera della popolazione mondiale (3,7miliardi di persone) servirebbe menodi quanto le dieci maggiori multina-zionali del farmaco guadagnano in 4mesi.

PUNTI DI RESISTENZA

D all’arte la forzaper ripartire

SI LV I A GUIDI A PA G I N A 5

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

Il virus e nuovo mondonel pensiero del filosofoSlavoj Žižek

LORENZO FAZZINI A PA G I N A 3

Nelle Filippine

Emergenza carceri

PAOLO AF FATAT O A PA G I N A 7

Si apre questa settimana

Un anno specialeper celebrarela «Laudato si’»

PAGINA 8

ALL’INTERNO

Il codice Qr per scaricare l’app gratuitade «L’Osservatore Romano»

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 domenica 17 maggio 2020

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Lavoro e filiera alimentare

Le sfide per l’agricolturain tempo di pandemia

La Germania entra in recessione

Italia: intesa tra Governoe Regioni per le riaperture

Il presidente Trump presenta un pianoper avere un vaccino entro la fine dell’anno

Emissioni ridotteper effetto

del lockdown

HELSINKI, 16. Il lockdown impo-sto per il contenimento dellapandemia ha avuto un significa-tivo impatto positivo sulle emis-sioni di anidride carbonica (CO2)in sette città europee: Firenze,Pesaro, Basilea, Berlino, Helsin-ki, Heraklion e Londra. Emissio-ni ridotte fino al 75 per centonelle città caratterizzate da altadensità di attività commerciali etraffico. Gli effetti delle misurerestrittive sono stati osservatidall’infrastruttura europea Inte-grated Carbon ObservationSystem (Icos).

Lo studio, condotto da unteam internazionale e coordinatodalla Fondazione Cmcc (CentroEuro-Mediterraneo sui Cambia-menti Climatici) e dall’Universi-tà della Tuscia, rileva una chiaraconnessione tra le misure restrit-tive e la riduzione delle emissio-ni, la cui entità dipende dalle ca-ratteristiche delle aree campiona-te e dalla rigidità delle restrizio-ni. Sebbene questa riduzionenon sia abbastanza forte da esse-re visibile a livello globalenell’atmosfera, è invece osserva-bile su scala locale. Lo studio,ancora in fase di preparazione,sarà sottoposto ad una revisioneda parte di esperti indipendenti.Gli scienziati, tuttavia, intendo-no svolgere ulteriori analisi basa-ti sui dati generati da queste tor-ri cittadine.

di FERNAND O CHICA ARELLANO

In questo periodo di pandemiatutto sembra essersi fermato,fuorché la natura che continua il

suo inarrestabile corso. Con essa,anche i terreni rivelano una capacitàproduttiva importante, che per il2020 è addirittura aumentata rispet-to agli anni precedenti.

Il capo economista della Fao, Ma-ximo Torero, ha infatti evidenziato,in un articolo recentemente pubbli-cato sulla prestigiosa rivista «Natu-re», che si è avuto un raddoppia-mento della scorta mondiale di maisrispetto ai siccitosi anni 2007-2008,quando le carenze alimentari neiPaesi esportatori condussero ad unacrisi alimentare globale. Allo stessomodo, egli ha sottolineato come sia-no aumentate dell’80 per cento e del40 per cento circa le scorte di riso edi semi di soia.

Tuttavia, la fertilità dei terreninon aiuterà ad evitare la carenza dicibo se non sarà consentito ai brac-cianti e ai lavoratori stagionali dioperare in sicurezza per garantire ilcibo sulle nostre tavole. Si tratta diun problema generale, che accomu-na paesi europei come la Francia, laGermania, la Spagna e l’Italia, connazioni di altri continenti, come gliStati Uniti, il Canada e l’Australia:molti fanno affidamento su brac-cianti stranieri, che rimangono i solidisposti a queste umili e faticosemansioni.

Se da un lato, alcuni paesi del-l’Est Europa, come Romania, Polo-nia e Bulgaria, stanno concludendoaccordi con Stati, come Germania,Francia e Spagna, al fine di assicu-rare la manodopera necessaria perfar fronte alla raccolta, dall’altro latonumerosi braccianti provenienti dalNord Africa o dall’America latina edai Caraibi non potranno varcare iconfini nazionali per raggiungere iterritori contigui.

Il covid-19 ha, infatti, impostomaggiori restrizioni alla libertà dicircolazione delle persone, da cui èdipesa la sospensione, da parte dialcune ambasciate, dei visti di brevedurata per lavoro stagionale.

Si teme che i lavoratori stranieripossano propagare la malattia e perquesto viene impedito il loro acces-so, mentre la coltivazione si guastanelle campagne.

Plurime conseguenze sono stateinnescate dal coronavirus, che puòdirsi effettivamente come una malat-tia globale per la prima volta nellastoria dell’umanità, considerato ilgrande numero di paesi coinvolti neicinque continenti.

Prima fra tutte, la Fao rileva comele catene globali di approvvigiona-mento alimentare stiano vacillandodi fronte all’impossibilità di garanti-re il trasporto di merci e, in partico-lar modo, di prodotti deperibili dalluogo di produzione a quello diconsumo effettivo. Le navi carichedi cereali, frutta e verdura frescheattraccano in ritardo e i loro equi-paggi non possono sbarcare in tem-po; non riescono a raggiungere tem-pestivamente i mercati all’ingrosso ei consumatori finali, causando unospreco di cibo sempre maggiore el’impoverimento della qualità dellediete alimentari.

Lo si vede, ad esempio, in conte-sti come l’India, in cui gli agricoltorialimentano le mucche con le fragoleperché non possono trasportare lafrutta ai mercati delle città; negliStati Uniti e in Canada, in cui gliallevatori hanno dovuto sversare illatte per il medesimo motivo o inPerú, dove i produttori sono costret-ti a svuotare tonnellate di cacaobianco in discarica perché i luoghidi ristorazione che normalmentecomprerebbero sono chiusi. Nelcontinente africano, invece, la perdi-ta di cibo si registra in tutte le fasi:dalla produzione, allo stoccaggio eal trasporto, a causa di infrastrutturee tecnologie carenti, oltre alla man-canza di risorse.

Allo stesso modo, la paura e l’an-sia generale causata dalla pandemia,spinge i consumatori finali in nume-rosi Stati a comprare quanto piùpossibile, senza tener conto delle ef-

fettive necessità, lasciando moltospesso guastare il cibo nei frigoriferidi casa: non per niente, la Fao harecentemente denunciato che il piùgrande spreco avviene durante la di-stribuzione e nell’ultimo anello dellacatena di approvvigionamento, quel-lo dell’utente finale.

Elementi, questi, che erano giàstati denunciati dal Santo Padre nelmessaggio per la Giornata mondialedell’alimentazione del 2019, in cuiEgli affermava: «È crudele, ingiustoe paradossale che, al giorno d’oggi,ci sia cibo per tutti e, tuttavia, nontutti possano accedervi; o che vi sia-no regioni del mondo in cui il ciboviene sprecato, si butta via, si consu-ma in eccesso o viene destinato adaltri scopi che non sono alimentari».Ed aveva rincalzato, nel messaggioinviato all’apertura della secondasessione ordinaria del Comitato ese-cutivo del Pam del 2019: «Lo sprecoalimentare lede la vita di tanti indi-vidui e impedisce il progresso di po-p oli».

Altro ambito di forte ripercussio-ne della presente pandemia è rap-presentato dal mondo del lavoro, dicui si è discusso molto in questo pe-riodo. L’Organizzazione internazio-nale del lavoro (Ilo) a riguardo rife-risce che i lavoratori agricoli speri-mentano il più alto tasso di povertàlavorativa, considerato che un quar-to di essi si trova in uno stato di po-vertà estrema. Pur avendo un ruoloimportante nelle economie naziona-li, perché forniscono il collegamentocon le strutture globali della produ-zione e del commercio agricolo ealimentano, di fatto, il mondo inte-ro, molti braccianti e le loro famigliesoffrono di povertà e insicurezza ali-m e n t a re .

La Chiesa, dal canto suo, ha piùvolte richiamato l’attenzione su taletema. Basti pensare al recente moni-to del Pontefice, che nell’udienzagenerale del 6 maggio scorso avevafatto riferimento al dramma di tantibraccianti che operano nelle campa-gne italiane: «Purtroppo, tante voltevengono duramente sfruttati. È veroche c’è crisi per tutti, ma la dignitàdelle persone va sempre rispettata.Perciò accolgo l’appello di questi la-

voratori e di tutti i lavoratori sfrutta-ti e invito a fare della crisi l’o ccasio-ne per rimettere al centro la dignitàdella persona e la dignità del lavo-ro » .

Ed enfatizzava, nella lettera invia-ta a suo nome dal sostituto alla Se-greteria di Stato vaticana, l’A rc i v e -scovo Peña Parra, al segretario gene-rale di Fai-Cisl, Onofrio Rota: «Ècertamente condivisibile la necessitàdi venire incontro a quanti, privatidi dignità, avvertono in modo piùacuto le conseguenze di un’integra-zione non realizzata, venendo oramaggiormente esposti ai pericolidella pandemia. È dunque auspica-bile che le loro situazioni escano dalsommerso e vengano regolarizzate,affinché siano riconosciuti ad ognilavoratore diritti e doveri, sia contra-stata l’illegalità e siano prevenute lapiaga del caporalato e l’insorgere diconflitti tra persone disagiate».

Un appello recentemente richia-mato da alcune Conferenze episco-pali. Tra queste, i responsabili dellapastorale per i migranti della Confe-renza episcopale degli Stati Unitihanno chiesto, per mezzo di unmessaggio riportato nei giorni scorsida questa testata, che: «Tutti gli al-loggi e i trasporti siano conformi al-le attuali linee guida dell’o rg a n i s m ofederale della sanità. […] Che la dif-fusione di informazioni per una cor-retta igiene della salute sia facilmen-te accessibile in più lingue e infogra-fiche per i lavoratori analfabeti. […]Che venga onorata la dignità del la-voro dei braccianti e assicurato chevenga loro versato uno stipendiosufficiente per coprire i rispettivi bi-sogni offrendo più particolarmentein questo momento la possibilità diottenere aiuti per proteggere la lorosalute e la loro sicurezza, così comequella delle loro famiglie».

Allo stesso modo, la Conferenzaepiscopale italiana, nelle parole delsuo presidente, il cardinale Bassetti,ha sostenuto: «Chiediamo a chi hail compito di promuovere il bene co-mune di non dimenticare questepersone, questi nostri fratelli e sorel-le, e di indicare le vie per una lororegolarizzazione, non solo di quelliche possono esserci “utili”, ma di

tutti coloro che sono nel nostro Pae-se, come premessa indispensabile al-la tutela della salute di tutti e al ri-pristino della legalità».

Si tratta di moniti che non devo-no lasciarci indifferenti, anzi, inizia-tive concrete, come quella della dio-cesi e del comune di San Severo inPuglia in favore dei braccianti deighetti della Capitanata nel foggianoo come il recente DL Rilancio delgoverno italiano, che vanno nella di-rezione di togliere le persone da unacondizione di irregolarità e sfrutta-mento, scoraggiando il caporalato.

In ogni caso, molto resta ancorada fare affinché le richieste di tuteladei diritti della persona si concretiz-zino universalmente in una salva-guardia della dignità del lavoro perquanti, mai come in questo periodo,svolgono un ruolo essenziale per lacollettività, pur in assenza di ade-guate protezioni.

Giova, in questo senso, sottolinea-re che ovunque le riforme legislativedevono considerare la centralità diogni persona, che necessita di esseremessa al centro di ogni riflessione edibattito politico. Solo tutelando lalegalità di ogni rapporto lavorativosi potrà meglio garantire il bene in-tegrale della persona, che si manife-sta nel riconoscimento dei diritti edei doveri che sono propri del lavo-ratore e che consentono un suo po-sitivo inserimento nella società.

A questo riguardo, riaffiorano allamente le parole di Papa BenedettoXVI, nell’omelia alla celebrazione eu-caristica che Egli tenne per i lavora-tori nella solennità di San Giuseppedel 2006, in cui affermava: «Il lavo-ro riveste primaria importanza per larealizzazione dell’uomo e per lo svi-luppo della società, e per questo oc-corre che esso sia sempre organizza-to e svolto nel pieno rispetto del-l’umana dignità e al servizio del be-ne comune».

In presenza di tutte queste emer-genze, un unico approccio a livellointernazionale può preservare il flus-so di cibo e tamponare l’evidentegrave crisi economica e sociale colle-gata alla pandemia: quello dellacooperazione internazionale. Comericordava il dottor Torero nell’artico-lo che si citava in apertura: «[Posi-zioni contrarie alla globalizzazione]ignorano quante nazioni, anche ric-che, dipendono l’una dall’altra peringredienti di base, pesticidi, fertiliz-zanti, alimenti per animali, persona-le ed esperienza. Quello che accadràdopo la pandemia dipenderà dal fat-to che le nazioni resistano alle pres-sioni isolazioniste».

Il Santo Padre Francesco lo ebbea ricordare nell’udienza generale del22 aprile 2020, dedicata alla giorna-ta della Terra: «La tragica pandemiadi coronavirus ci sta dimostrandoche soltanto insieme e facendoci ca-rico dei più fragili possiamo vincerele sfide globali».

Una di queste grandi sfide è cer-tamente quella di tornare ad infon-dere la dovuta attenzione sul settoreprimario: primario e fondamentalenell’assicurarci il nostro stesso stiledi vita sano, ma troppo spesso ulti-mo e negletto nei complessi sistemidell’economia globale, dimenticadella terra e dei suoi lavoratori.

ROMA, 16. Governo, Regioni e Co-muni italiani hanno raggiunto ierisera in videoconferenza un’intesa dimassima su un documento con lelinee guida per riprendere le attivi-tà. Il testo contiene le nuove regoledella fase 2 per la riapertura di ri-storanti, balneazione, strutture ri-cettive, servizi alla persona, com-mercio al dettaglio, mercati e fiere,uffici aperti al pubblico, piscine,palestre, manutenzione del verde,musei e biblioteche. Lo hanno resonoto fonti di Palazzo Chigi.

A partire da lunedì 18 maggio2020, le attività economiche e pro-duttive potranno riaprire secondo lelinee guida regionali che assicuranoil contenimento del contagio, in as-senza delle quali valgono le lineeguida nazionali.

Gli spostamenti delle personeall’interno del territorio della stessaregione non saranno più soggettiad alcuna limitazione.

Stato o Regioni potranno adotta-re o reiterare misure limitative dellacircolazione all’interno del territorioregionale relativamente a specifichearee interessate da un particolareaggravamento della situazione epi-demiologica.

Fino al 2 giugno 2020 restanovietati gli spostamenti, con mezzi ditrasporto pubblici e privati, in unaregione diversa rispetto a quella incui attualmente ci si trova, così co-me quelli da e per l’estero, salvoche per comprovate esigenze lavo-rative, di assoluta urgenza o permotivi di salute; resta in ogni casoconsentito il rientro presso il pro-prio domicilio, abitazione o resi-denza, chiarisce ancora il Governo.

Palazzo Chigi ha anche spiegatoche le funzioni religiose si potrannosvolgere con la partecipazione dipersone nel rispetto dei protocollisottoscritti dal Governo e dalle ri-spettive confessioni, contenenti lemisure idonee a prevenire il rischiodi contagio.

E mentre il Governo tedesco siappresta ad allentare le norme sullaquarantena per i viaggiatori in in-gresso nel paese provenienti dal-l’Unione europea, dall’area Schen-gen e dal Regno Unito, la Germa-nia è entrata ufficialmente in reces-sione tecnica. A confermarlo i datidi ieri sul prodotto interno lordodel primo trimestre 2020 — scesodel 2,2 per cento —, i quali sono

stati accompagnati da una revisione(al ribasso) dei dati sugli ultimi tremesi del 2019.

La contrazione del 2,2 per cento,determinata dalle misure di conte-nimento messe in atto da Berlinoper evitare la diffusione del covid-19, è stata in linea con le attese de-gli analisti economici, ma ha co-munque rappresentato il crollo piùsignificativo per la Germania — dasempre nota come la “lo comotivad’E u ro p a ” — dalla crisi finanziaria,più nello specifico dai primi tre me-si del 2009.

È intanto «globalmente positivo»il primo bilancio delle riaperture inFrancia. Ad affermarlo è stato ilportavoce del Governo di Parigi,Sibeth Ndiaye, parlando di «misuredi fine confinamento molto ben ri-spettate», con riferimento, in parti-colare, all’uso delle mascherine suimezzi di trasporto pubblico. AMarsiglia, però, un bambino di 9anni è morto per una miocardite si-mile alla sindrome di Kawasaki, pa-tologia che gli scienziati ipotizzanoavere un legame con il covid-19 esul quale sono in corso molti studi.Il piccolo, deceduto per dannoneurologico legato ad arresto car-diaco, sebbene non fosse positivo aSars-Cov-2, risultava dai test siero-logici essere venuto in contatto conil virus. Si tratta del primo caso delgenere in Francia.

WASHINGTON, 16. Il presidente sta-tunitense Donald Trump ha presen-tato ufficialmente ieri pomeriggio,nel corso del consueto briefing allaCasa Bianca, il progetto di renderedisponibili centinaia di milioni didosi di un vaccino contro il corona-virus entro la fine dell’anno. DalGiardino delle Rose Trump ha de-scritto l’operazione, denominataWarp Speed, come qualcosa di«mai visto dalla seconda guerramondiale», smentendo che gli Usavogliano procedere da soli nella spe-rimentazione.

Il presidente ha affidato l’op era-zione a Moncef Slaoui, l’ex capodella divisione vaccini della Glaxo-SmithKline, che durante il suo in-tervento è apparso condividere l’ot-timismo di Trump per un vaccino intempi brevi. I dati che arrivano suitest, ha detto, «mi fanno sentire piùche fiducioso sulla possibilità di po-tere distribuire alcune centinaia dimilioni di dosi entro la fine del2020».

Un obiettivo che gli esperti inmateria definiscono irrealistico. Sa-rebbe infatti pericoloso fissare un

calendario, date le incognite scienti-fiche e il pericolo di eseguire proveaffrettate. Un eventuale insuccessopoi minerebbe la fiducia nei vacciniin modo più ampio. In settimana ildottor Fauci, capo dell’Istituto na-zionale per le allergie e le malattieinfettive, aveva affermato che sareb-bero serviti dai 12 ai 18 mesi, manon c’era alcuna garanzia che il vac-cino avrebbe funzionato.

Da più parti, studi scientifici han-no stabilito che il calendario più ra-gionevole per dimostrare che unvaccino sia sicuro ed efficace sareb-

be la seconda metà del prossimo an-no, e anche quello sarebbe un re-cord assoluto visti gli elevati stan-dard di sicurezza ed efficacia impo-sti dalla comunità scientifica.

Intanto ieri la Camera Usa ha ap-provato un pacchetto di nuove mi-sure e aiuti per l’economia del Paeseper un valore di tremila miliardi didollari. Il provvedimento, passatocon appena 9 voti di scarto tra sì eno, dovrà essere sottoposto al Sena-to, a maggioranza repubblicana, do-ve potrebbe arenarsi. Non sarà dun-que scontata la sua approvazione.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 17 maggio 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo

eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della gene-

razione che viene» (D. Bonhoeffer)

La vicinanzaè nei nostri occhi

di SL AV O J ŽIŽEK

«N on toccarmi»: questo, secondo il vangelo di Giovanni (20,17), fu ciò che Gesù disse a Maria Maddalena quando que-sta lo riconobbe dopo la risurrezione. In che modo io, che

sono notoriamente un ateo cristiano, comprendo queste parole? Per pri-ma cosa, le metto insieme alla risposta di Cristo alla domanda dei suoidiscepoli riguardo al modo in cui conosceremo il fatto che lui tornerà,una volta risorto. Cristo dice che egli sarà presente se ci sarà amore tracoloro che credono in lui. Egli non sarà presente come una persona datoccare ma come un legame di amore e solidarietà tra le persone. Così,quando dice «Non toccarmi», è come se dicesse: «Non toccarmi, tocca eabbi a che fare con le altre persone in spirito di amore».

Oggi, comunque, in mezzo alla pandemia da coronavirus, siamo tuttibombardati appunto dalle richieste di non toccare gli altri, anzi di iso-larci per mantenere una giusta distanza corporea. Cosa significa questaingiunzione, «Non toccarmi», in una situazione simile? Le mani nonpossono raggiungere l’altra persona; è solo dall’interno che possiamo ap-procciarci all’altro. E la finestra di questo «dentro» sono i nostri occhi.Questi giorni, quando incontriamo qualcuno a noi vicino (ma anche unestraneo) e manteniamo una giusta distanza, uno sguardo profondo ne-gli occhi dell’altro può dischiudere molto più di un approccio fisico inti-mo. In uno dei suoi frammenti giovanili, Hegel scrisse: «L’amato non èopposto a noi, egli è uno con il nostro proprio essere; noi vediamo noistessi in lui, ma ancora una volta egli non è più solo un “noi” — è unenigma, un miracolo, qualcosa che non possiamo raggiungere».

È cruciale non leggere queste due affermazione come opposte, comese l’amato fosse parzialmente un «noi», una parte di me stesso, e par-zialmente un enigma. Non è forse il miracolo dell’amore il fatto che tusei parte della mia identità precisamente fino a quando tu rimani un mi-racolo che non posso raggiungere, un enigma non solo per me ma ancheper te stesso? Cito un altro passaggio molto noto del giovane Hegel:«L’essere umano è questa notte, questo vuoto nulla, che contiene ognicosa nella sua semplicità — una ricchezza infinita di molte rappresenta-zioni, immagini delle quali nessuna appartiene a lui e che non sono pre-senti. Una persona coglie una visione di questa notte quando guarda gliesseri umani negli occhi».

Nessun coronavirus può privarci di tutto questo. Per tale motivo ab-biamo la speranza che il distanziamento corporeo rafforzerà l’intensitàdel nostro legame con gli altri. È proprio adesso, nel momento in cuidevo evitare molti di coloro che mi sono cari, che sperimento pienamen-te la loro presenza e la loro importanza per me.

Posso sentire già nelle mie orecchie la risata del cinico, a questo pun-to: “Ok, forse vivremo momenti di prossimità spirituale, ma in che modoquesto ci aiuterà ad affrontare la catastrofe che stiamo vivendo?”, “Impa-reremo qualcosa da tutto questo?”

Hegel scrisse che tutto quello che possiamo imparare dalla storia è ilfatto che non impariamo niente da essa, per questo dubito che l’epide-mia renderà qualcuno di noi più saggio. La sola cosa chiara è il fatto cheil virus manderà in frantumi le nostre esistenze fin dalle loro fondamen-ta, causando non solo un’immensa quantità di dolore ma anche un caoseconomico peggiore persino della grande depressione. Non esiste un «ri-torno alla normalità», la nuova «normalità» dovrà essere costruita sullerovine delle nostre vecchie esistenze, o ci troveremo immersi in un nuovobarbarismo i cui segnali sono già chiaramente intuibili adesso. Non è ab-bastanza affrontare l’epidemia come un accidente sfortunato, far frontealle sue svariate conseguenze e ritornare ai modi tranquilli con cui untempo facevamo le cose, magari con qualche aggiustamento nel nostrosettore sanitario. Dobbiamo sollevare la domanda-chiave: cosa è andatostorto nel nostro sistema al punto che siamo stati colti impreparati dauna catastrofe sebbene gli scienziati ci abbiano da anni avvertiti dellasua possibilità? (traduzione di Lorenzo Fazzini)

Il virus e nuovo mondo nel pensiero del filosofo Slavoj Žižek

Egoisticamente, la solidarietàè l’unica scelta che abbiamo

Nemmeno un mese dopo la nomina per forti divergenze con Bolsonaro nella gestione della pandemia

Si dimette in Brasileil ministro della Salute

BRASÍLIA, 16. Ventotto giorni: tantoè durato in Brasile il nuovo ministrodella Salute, Nelson Teich. Entratoin carica il 17 aprile, ieri ha presen-tato le dimissioni. Le motivazioninon sono state rese note, ma proba-bilmente il motivo è quello addottodal suo predecessore, Luiz HenriqueMandetta: forti divergenze con ilpresidente Jair Bolsonaro nella ge-stione dell’emergenza sanitaria lega-ta alla pandemia di covid-19. Si trat-ta del terzo ministro saltato durantel’emergenza coronavirus. La pande-mia sembrerebbe quindi aver fatto

cadere il Paese in una crisi non solosanitaria ed economica, ma anchep olitica.

Negli ultimi giorni il ministro, si-multaneamente a un forte incremen-to del numero di contagi e di deces-si riconducibili al nuovo coronavi-rus, era entrato in rotta di collisionecon Bolsonaro. Il presidente infatti,ininterrottamente, continua a chie-dere un allentamento delle misuredi distanziamento sociale, e, soprat-tutto spinge all’utilizzo della cloro-china per curare i malati di covid-19. Quest’ultimo fattore sarebbe

quello che più di ogni altro ha de-terminato la decisione di Teich.

«La clorochina ha effetti collate-rali e la prescrizione deve essere fat-ta in accordo tra il paziente e il me-dico. Tra i principali effetti collate-rali vi sono complicanze cardiache;inoltre, recenti studi dimostrano chenon è stato efficace contro il corona-virus», aveva scritto recentemente ilministro sul proprio profilo twitter,facendo intuire di voler mantenereun approccio basato sulle conoscen-ze scientifiche. Secondo i media in-fatti Teich non avrebbe avallato larichiesta presidenziale di un cambiodel protocollo sanitario previsto perla cura del covid-19, imponendol’uso del farmaco sin dai primi sin-tomi della malattia.

Il ministro aveva inoltre espressola propria preoccupazione sull’allen-tamento delle misure restrittive perprevenire la diffusione del virus —alcune delle quali sono state decisein questi giorni senza il suo consen-so — vista la «chiara ascesa» dellacurva dei contagi e dei decessi avve-nuti negli ultimi giorni.

Il Paese è il più colpito dalla pan-demia nella regione e nella gradua-toria globale dei contagi è sesto. Iltotale dei casi positivi, con gli oltre15.000 registrati ieri, ha superato le220.000 unità e le vittime comples-sive sono quasi 15.000, con oltre le800 morti conteggiate nelle ultime24 ore. Secondo il ministero dellaSanità sono poi ancora da accertarele cause che hanno portato al deces-so di altre 2.000 persone.

C o n t ro f f e r t edei creditori

internazionalisul debito argentino

BUENOS AIRES, 16. Non si ferma ilconfronto sulla ristrutturazionedel debito argentino. Il governodi Buenos Aires ha ricevuto ieridai creditori tre controfferte all’of-ferta di ristrutturazione del debitoformulata lo scorso aprile. Lohanno riferito fonti governative.

«Il ministro dell’economia(Martín Guzmán, ndr) insieme alsuo team e ai consulenti finanziaridella repubblica stanno analizzan-do le caratteristiche di queste pro-poste e le loro implicazioni conl’obiettivo di ripristinare la soste-nibilità del debito pubblico» haindicato il ministero dell’economiain una dichiarazione. In questomodo, i dirigenti e i creditori«proseguono il dialogo costruttivoalla ricerca di un accordo sosteni-bile nel processo di ristrutturazio-ne del debito pubblico esterno»dell’A rg e n t i n a .

Lunedì scorso il presidente ar-gentino, Alberto Fernández, avevaesortato i creditori a presentareuna controfferta, dichiarando chenessuno avrebbe «piegato» l’Ar-gentina nella negoziazione. Vener-dì, nel corso di una videoconfe-renza con i rappresentanti degliStati Uniti, il ministro Guzmán hadichiarato che la pandemia di co-ronavirus «sta avendo un impattosul negoziato» per ristrutturare undebito di 66.239 milioni di dollarie impedire all’Argentina di caderein un nuovo default.

Nella città yemenita molti ospedali sono stati chiusi

Ad Adenquintuplicati i decessi

SANA’A, 16. Dalla città yemenita diAden, fonti ufficiali riferiscono dialmeno 385 persone morte negli ul-timi giorni con sintomi compatibilicon il coronavirus. Una frequenzadi cinquanta decessi al giorno, cin-que volte superiore a quella regi-strata prima del 7 maggio. L’allar-me è stato lanciato dall’o rg a n i z z a -zione umanitaria Save the childrensottolineando come molti ospedalinella città sono stati chiusi e la me-tà del personale medico si rifiuta diprestare servizio senza le adeguatemisure di protezione personali.

Da qualche giorno, si legge inuna nota, i due principali ospedaliaperti forniscono solo servizi diemergenza e trattano pazienti confebbre, ma non quelli con sintomidi deficit respiratorio.

L’ammissione dei pazienti è so-spesa, anche per i servizi pediatrici,e sono operativi solo i servizi di ur-genza ginecologici o di ostetricia,come l’assistenza al parto. Moltiospedali privati sono chiusi o trat-tano solo casi cronici, ma senza sin-tomi respiratori o febbre. Ci sonogià ripetuti casi di persone chemuoiono perché non hanno potutoricevere le cure necessarie. «I nostrivolontari sul campo assistono a casidi pazienti respinti dagli ospedali,che respirano a fatica o muoiono»,hanno indicato gli operatori umani-tari. Ci sono anche persone chemuoiono perché non possono rice-vere le cure che in una normale si-tuazione li avrebbero salvati, chevagano da un ospedale all’altro sen-za potere essere ammessi.

Ma è tutto lo stremato Yemen —in guerra dal 2015 — a soffrire dellecarenze sanitarie. Nel Paese, giàcolpito dalla peggiore crisi umani-taria del mondo, l’80 per cento cir-ca della popolazione, circa 24 mi-lioni di persone, dipende dagli aiutiumanitari, e dieci milioni di bambi-ni sono sulla soglia della fame, condue milioni di minori gravementemalnutriti. Con la minaccia delloscoppio dell’epidemia di covid-19 —che per molti esperti potrebbe esse-re devastante — ci sono stati varitentativi di stabilire un cessate ilfuoco, ma i combattimenti non sisono fermati, con crescenti tensionitra le parti in conflitto nel sud.

Il sistema sanitario nazionale,sottolinea l’organizzazione, è equi-paggiato a malapena per gestirel’epidemia, solo la metà delle strut-ture sanitarie erano rimaste funzio-nanti e ora sono ancora meno pergli ospedali che stanno chiudendo.Nello Yemen, sono solo 500 i venti-latori disponibili e solo quattro la-boratori sono in grado di effettuareil test sul coronavirus. Al 2 maggio,i test covid-19 eseguiti erano 2.004.Alcune strutture sanitarie sono stateconvertite in centri di isolamentoper covid-19 che in tutto sono 38nel Paese, e i posti letto in terapiaintensiva per i pazienti sono 520.

Il covid-19 sta, dunque, spingen-do ancora di più lo Yemennell’abisso. Il rapido aumento deidecessi ad Aden suggerisce che ilvirus si stia diffondendo velocemen-te e ben oltre i numeri confermati.

L’Ue torna a criticarele trivellazioni turche nel Mediterraneo

BRUXELLES, 16. Dopo l’ennesimoinvio da parte della Turchia di unanave da trivellazione nella zonaeconomica esclusiva di Cipro, l’Ueè intervenuta ieri per condannare ladecisione di Ankara. I ministri de-gli esteri dell’Ue hanno «deplora-to» il fatto che Ankara non abbiaancora risposto ai «ripetuti appellia cessare tali attività» di trivellazio-ne. Come si legge in una nota, iministri tornano a invitare il gover-no di Recep Tayyip Erdogan ad«astenersi da azioni simili e a ri-spettare la sovranità di Cipro, in li-nea con il diritto internazionale».L’Ue condanna inoltre «l’escalation

di violazioni dello spazio aereo gre-co commesse dai turchi». Ankaradeve — prosegue la nota — « e v i t a redi minacciare e di agire in mododannoso alle relazioni di buon vici-nato», smettendola di violare «lasovranità degli Stati dell’Ue sul lo-ro spazio aereo» sottolineano i mi-nistri degli Esteri.

Due giorni fa Ankara aveva an-nunciato l’intenzione di proseguirele trivellazioni nel Mediterraneo al-la ricerca di petrolio. Il ministerodell’Energia turco ha inoltre preci-sato che la nave da perforazioneFatih avvierà da luglio le sue primeattività anche nel Mar Nero.

Stallonei negoziatip ost-Brexit

BRUXELLES, 16. Stallo profondonei negoziati sul futuro delle rela-zioni tra Regno Unito e Unioneeuropea. Ieri, al termine di una vi-deoconferenza, il negoziatore bri-tannico David Frost ha parlato di«pochi progressi registrati sullequestioni importanti». Dal cantosuo, il negoziatore Ue MichelBarnier ha dichiarato che, qualeche sia l’esito dei negoziati, ilcommercio tra le parti «non saràpiù fluido come prima». Il prossi-mo incontro è previsto per il pri-mo giugno.

Il ministro dimissionario durante una conferenza stampa (Ansa)

di LORENZO FAZZINI

Ripete più volte quell’afferma-zione che Papa Francescoaveva fatto risuonare nella

memorabile preghiera pubblica inpiazza San Pietro, il 27 marzo scor-so: «Siamo tutti sulla stessa barca».Slavoj Žižek, filosofo, intellettualepoliedrico e conosciuto per i suoi ri-chiami marxisti, inframmezzati daforti debiti con Jacques Lacan, nonha dubbi: «Adesso siamo tutti sullastessa barca». Lo ribadisce almenotre volte nel suo recentissimo volu-me Pandemic! Covid-19 Shakes TheWorld (OrBooks, New York – Lon-dra), appena pubblicato, di cui (pergentile concessione dell’e d i t o re )pubblichiamo qui uno stralcio innostra traduzione.

Ed è una situazione precisamentecristiana, questa della sofferenza co-mune, secondo il pensatore sloveno.Facendo eco a Catherine Malabou,Žižek scrive che «una sospensionedella socialità è qualche volta il soloaccesso all’alterità, un modo persentire vicine tutte le persone isolatesulla Terra. Questa è la ragione per-ché sto cercando di essere solidaleper quanto possibile nella mia soli-tudine. E questa è un’idea profon-damente cristiana: quando mi sentosolo, abbandonato da Dio, in quelmomento sono come Cristo sullacroce, in piena solidarietà con lui».

Il filosofo sloveno, che non ha re-more nell’autopresentarsi come «unateo cristiano» — famosi i suoi testisu san Paolo e la teologia, scritti in-sieme al teologo anglicano JohnMilbank e pubblicati in Italia daTranseuropa — nota come il sorgeredel coronavirus abbia funzionato co-me amplificatore di alcune tendenzepositive e altre negative della nostrasocietà. Sul fronte negativo, «l’at-tuale diffusione dell’epidemia di co-ronavirus ha portato ad un’a l t re t t a n -to vasta epidemia di virus ideologiciche erano dormienti nella nostra so-cietà: fake news, teorie cospiratorieparanoiche, esplosioni di razzismo».Ma anche, e soprattutto, tanta, tan-ta solidarietà. Slavoj Žižek ne è con-vinto, e usa un termine a lui caro —un nuovo «comunismo» — per iden-tificare le possibilità di bene chepossono sorgere dalle conseguenzedella pandemia: «Non mi riferiscoad un’idealizzata solidarietà tra lepersone: al contrario, la crisi attualedimostra chiaramente come la soli-darietà e la cooperazione globali so-no nell’interesse della sopravvivenzadi tutti e di ciascuno di noi, comeesse siano la sola scelta razionale edegoistica da fare». La pandemia ciha convinto di una questione, ahi-mè, troppo dimenticata: «Il nostroprincipio fondamentale non dovreb-be consistere nell’economizzare l’as-sistenza, ma assistere tutti coloroche ne hanno bisogno, in manieraincondizionata, senza guardare infaccia i costi». Ricordando ancheche «le decisioni sulla solidarietà so-no eminentemente politiche».

Il mondo consumeristico tipicodel capitalismo globalizzato, affer-ma Žižek, sta subendo gravi colpi.E il pensatore di Lubiana sintetizzaquesta sconfitta identificandola inalcuni simboli: «I parchi diverti-menti si stanno trasformando in cit-tà fantasma: perfetto, non posso im-maginare un luogo stupido e piùnoioso di Disneyland. La produzio-ne di automobili è seriamente colpi-ta: bene, questo ci costringerà apensare ad alternative alla nostra os-sessione di veicoli individuali. La li-sta potrebbe continuare».

Di fronte a quanti cercano (anco-ra) un capro espiatorio nei migrantiche provano ad attraccare in Euro-pa, Žižek ha parole sferzanti: «Èdifficile capire il loro livello di di-sperazione se un territorio messo inquarantena da un’epidemia è ancorauna destinazione attraente per lo-ro?». E anche rispetto ad un’altracategoria di quella «cultura delloscarto» che Francesco ha varie voltestigmatizzato — gli anziani — Žižekha parole quanto mai decise, chefanno riferimento a quel «nuovobarbarismo» cui fa cenno nel testoche presentiamo qui. L’annotazioneriguarda le decisioni sanitarie percui si sarebbero lasciati morire le

persone più in là con gli anni, con-siderandole sacrificabili: «La sola al-tra occasione in tempi recenti in cuiè stato assunto un approccio simile,a mia conoscenza, è stato negli ulti-mi anni del regime di Ceauşescu in

Romania, quando le persone anzia-ne semplicemente non venivano ac-cettate in ospedale, qualunque fosseil loro stato, perché venivano consi-derate di nessun utilizzo per la so-cietà».

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 domenica 17 maggio 2020

di RI TA N N A ARMENI

Fra le foto tristi del tristeperiodo del coronavirus cen’è una che vienedall’Ucraina. Mostra deci-ne di culle, una accostata

all’altra, e bambini appena nati av-volti in coperte colorate. Allo sguar-do estraneo sembrano uguali, bam-bolotti prodotti in serie. Solo unamamma riconoscerebbe il suo. Mamamme non ce ne sono. E neppurepadri.

I bambini sono nati secondo le re-gole della maternità surrogata odell’utero in affitto, che dir si voglia.In Ucraina Paese povero ce n’è unfiorente commercio. Una donnaucraina — racconta la foto — ha por-tato per nove mesi nella sua panciaquel fagottino e l’ha partorito peruna coppia di estranei che aveva pa-gato. Solo che i compratori, causacoronavirus, non possono andare aprendere quel che è di loro proprietàmentre la pancia delle donne che lihanno partoriti era in affitto e l’affit-to è scaduto. Così bambini sono ri-masti soli in una stanza di un gran-de albergo di Kiev. Senza un genito-re, senza carezze, senza ninna nanne,senza coccole. Il biberon — immagi-niamo — glielo daranno. Li manter-ranno in vita perché sono merce pre-ziosa. Ognuno di loro vale dai 30mila ai 50 mila euro. Si tratta solo difar arrivare i clienti che devono pre-levarli. La fabbrica ha sfornato buo-ni prodotti.

S’intitola La fabbrica il romanzodi Joanne Ramos edito da Ponte alleGrazie (Milano, 2020, pagine 412,euro 18). La fabbrica si trova aGolden Oaks, una bella residenzaimmersa nel verde, attrezzata e benarredata, come una lussuosa beautyfarm, sulle rive dell’Hudson. La ge-stisce una moderna manager di ori-gine cinese che si dedica con abne-gazione professionale alla produzio-ne di bambini. Ospiti della casa so-no donne povere, immigrate, filippi-ne, asiatiche o afroamericane dispo-nibili a sfornare figli per ricche, desi-derose di un bambino, ma non di-sponibili a “s p re c a re ” tempo e faticaper metterli al mondo.

Jane, la protagonista principaledel romanzo, è una ragazza madrecon molte difficoltà economiche. Havissuto in un dormitorio del Queensinsieme a sua cugina Evelyn, che fala tata per ricche famiglie americanee ha una figlia, Amelia. Perde il la-

vegliata. La giornata prevede buonipasti, ginnastica, meditazione, visitedei migliori medici. I cibi sono preli-bati, i vestiti confortevoli e raffinati.Tutto deve svolgersi nel migliore deimodi perché il prodotto sia perfettoe i clienti siano soddisfatti. I nuovi

co. Jane non può vedere per mesisua figlia.

Moderna maternità o antica schia-vitù? Semplice — e non è un giocodi parole — quella descritta in Lafabbrica è una moderna schiavitù.Che si mostra come corpo femminilemercificato, privato di sentimenti edesideri ridotto a macchina che pro-duce per vendere. Sono queste don-ne le nuove schiave.

Joanne Ramos ha scritto un belromanzo ricco di tensione, di inquie-tudine, di domande, di suggestioni.L’autrice non giudica, racconta. Imeccanismi del bisogno, l’illusionedi farcela, la lusinga, l’illusione.

Avviene che le figure femminilidiverse fra loro, per quanto costrette,non riescano a uniformarsi e ad ac-cettare completamente quel che èstato deciso. Aspettative, desideri ri-mangono. E rimane in agguato lasorte che per quanto addomesticataè sempre in grado di intervenire. Siale povere immigrate sia le riccheamericane per quanto vittime (anchese in modo diverso lo sono anche lericche americane che non riescono aliberarsi dai modelli estetici e dalle

aspettative sociali della società delconsumo) mantengono contraddizio-ni, immaginari, sentimenti, desideri.Così la libertà di produrre, di com-perare e consumare senza limiti (ilsogno americano) nelle pagine diJoanne Ramos, prima impercettibil-

siderio di uscirne che, malgrado tut-to, rimane. E soprattutto l’ambienta-zione distopica, la società in cui ledonne sono schiave e totalmente di-p endenti.

C’è, tuttavia, una differenza pro-fonda. La società descritta da At-

Realtà e finzione a partire dal romanzo «La fabbrica» di Joanne Ramos

Bimbi come pacchiin attesa del ritiro

Le conseguenze del virus sul business dell’utero in affitto

Lungo la «via matris» della preghieraLe beate del Sacro Monte di Varese Caterina da Pallanza e Giuliana da Busto

Fra le foto tristi del triste periodo del coronavirusce n’è una che viene dall’U c ra i n aMostra decine di culle, una accostata all’a l t rae bambini appena nati avvolti in coperte colorateSembrano bambolotti prodotti in serieSolo una mamma riconoscerebbe il suoMa mamme non ce ne sono. E neppure padri

Furono due donne animateda intensa e fertile spiritualitàLontane nel tempoma prossime nello spiritoAccomunate dall’opera di conversione

Varese esse abitano altri tre monasteri tra laLombardia e il Piemonte. Infatti risale al1962 la scelta (appoggiata da Paolo VI) dellasuora romita Maria Candida Casero che, conaltre due consorelle, lascia il Sacro Monte diVarese per fondare il Monastero della Berna-ga (Mb) dove nel 1967 sarà eletta Madre Ab-badessa. A lei — che definiva la beata Cateri-na «un vero gigante, un colosso di santità,di penitenza e di sacrificio» — si deve la fon-dazione di altre due comunità monastiche:ad Agra (Varese) nel 1977 e a Revello (Cu-neo) nel 1986. Luoghi in cui oggi si fa festanel ricordo di donne di fertile spiritualità,lontane nel tempo ma prossime nello spiritoe incoraggianti quel cammino di conversioneche il sentiero della via matris simb oleggianel suo elegante percorso sacro tra terra ecielo.

Antonio Busca, «La strage degli innocenti» (particolare)

di ANTONELLA CAT T O R I N I CAT TA N E O

C’è una strada, sopra Varese, det-ta via matris e dedicata alla Ver-gine. Più nota come via del Sa-cro Monte, si snoda in salita traquattordici cappelle che raccon-

tano il percorso di Maria. Chi la percorre,nel verde e nel silenzio con affacci su montie laghi circostanti, può sostare a ogni cap-pella e assistere a quel «teatro montano»(come lo chiamava Giovanni Testori) andatoin scena in epoca di Controriforma.

Negli spazi interni di ogni piccola chiesasono visibili statue e dipinti risalenti al XVIIsecolo che rappresentano le tappe della vitadella Vergine: episodi “misteriosi” e scanditinella triade dei misteri del rosario — gaudio-si, dolorosi e gloriosi. I primi introdotti e se-parati dai secondi e i secondi dai terzi da ungrande arco che fa da porta di passaggio peril pellegrino. Dalla «segreta cameretta diNazaret in cui avvenne l’improvviso sfavilla-re della Luce universale, cattolica, sul mon-do» (Von Balthasar, Il Rosario) alla XIV cap-pella dedicata all’Assunzione c’è un che difemminile nel sinuoso sentiero, ben descritto

in una raffinata incisione della Fabbrica da-tata 1656 che lo illustra ricordando un po’ ilgioco dell’o ca.

Ma ancor più segnato dalla storia della re-ligiosità femminile è il luogo in cui questopercorso fu progettato nei primi anni del1600 e da chi ancora oggi abita il monasterosituato sulla vetta di questa strada. Infatti,accanto al Santuario mariano (la XV capp elladedicata all’Incoronazione di Maria) vive lacomunità monastica delle Romite Ambrosia-ne. Santuario e monastero, due case di pre-ghiera attigue che dominano un piccolo vil-laggio appoggiato al monte e affacciato sullacittà di Varese. In questa zona il culto dellaVergine ha un’origine antica e nelle grotteintorno al Monte di Velate (poi Sacro Mon-te) in epoca medievale si aggrega una comu-nità eremitica primitiva a cui, attorno al1450, si unisce Caterina, nata a Pallanza(Novara) verso il 1437. Qualche anno piùtardi arrivano altre donne tra cui Giulianada Busto (o da Verghera — località attiguaalla città di Busto Arsizio — secondo alcunetestimonianze contrastanti).

La loro esperienza religiosa interessa pre-sto anche i potenti del tempo. Il 10 novem-bre 1474 Sisto IV, su richiesta di GaleazzoMaria Sforza, autorizza l’erezione di un mo-nastero secondo i desideri di Caterina con laregola di sant’Agostino e le costituzionidell’Ordine abbaziale milanese di Sant’Am-brogio ad Nemus. Il 10 agosto 1476 le reli-giose emettono i voti, ricevono il velo mona-cale nero come le Clarisse ed eleggono comeprima badessa Caterina, che tenne la caricafino alla morte (6 aprile 1478). La festa litur-gica è celebrata dal 1769 quando la SacraCongregazione dei Riti la riconobbe e Cle-mente XIV la confermò proclamando beateCaterina e Giuliana. Ancora la liturgia am-brosiana fa memoria del coraggio e dellaforza spirituale di queste donne.

La badessa Benedetta Biumi, biografa diGiuliana (1427-1501), parlò della sua fuga dacasa a 26 anni dove un padre “c ru d e l a z o ” lamaltrattava e della sua scelta di rifugiarsi

presso le Romite. Ci dice inoltre che fu pro-prio Caterina a proporre il nuovo nome diGiuliana ricordando la martire di Nicomediafatta tormentare e perire dal genitore paga-no. Una vicenda non proprio rara in epocatardo-medioevale, poiché la scelta di vivereda selvatiche, lontano dal contesto famiglia-re, fu di diverse donne, anche nobili, che intal modo poterono optare per una vita alter-nativa a quella dei modelli tradizionali. Unascelta motivata sia dalla ribellione sia da una

chissime rappresentazioni della vergine, lostato verginale «era visto come un mediumdi trascendenza dei limiti tra la natura e ilsoprannaturale, tra il dentro e il fuori, tra ilproprio e l’estraneo, tra l’uomo e la donna».A proposito di Giuliana è anche documenta-ta la sua dedizione ai poveri: offriva loro ac-qua e ristoro e «si impegnò con tanta solle-citudine e gioia che arrivò a trascorrere piùdi 200 notti vegliando nel parlatorio da do-ve si distribuiva l’acqua». Ancora oggi una

in un muretto addossato al sentiero si scor-gono due statue che rappresentano le duedonne in preghiera: è un ricordo della pri-mitiva vita eremitica che esse vissero primadella edificazione del monastero. Nel San-tuario invece troviamo una cappella a lorodedicata dove, in una teca sopra l’altare so-no deposte le loro salme. Piccoli, fragili cor-pi, che ci appaiono in sintonia con l’a f f re s c odel lato destro della cappella raffigurante lastrage degli innocenti, eseguito dal pittoremilanese Antonio Busca (1625-1686). Sonomolte le statue e le opere artistiche che le ri-cordano e soprattutto quelle dedicate a Giu-liana a cui la città di Busto Arsizio ha tribu-tato memoria fin dal Settecento presso chie-se e cappelle.

Ricordiamo qui altre figure femminili vi-venti e denominate Romite Ambrosianedell’Ordine di Sant’Ambrogio ad Nemos.Oltre che nel Monastero del Sacro Monte di

nati devono essere belli, forti e robu-sti. Quando le madri surrogate lipartoriranno, riceveranno uno sti-pendio e un bonus.

C’è un brutto lato della medaglia,un’altra parte della realtà che perquanto oscurata diventa sempre piùpesante: le donne devono rimanereisolate, non possono ricevere visite,indossano un braccialetto che segna-la tutto, spostamenti, battito cardia-

voro, il futuro è incerto e lei si affidaalla cugina che la indirizza a GoldenO aks.

Farne un altro, di bambino, e ven-derlo risolverebbe i problemi e ga-rantirebbe un futuro a lei e allabambina già nata.

Nella dimora di Golden Oaks tut-to sembra semplice, ordinato, con-fortevole, opulento. Le ospiti sonoaccudite, il loro corpo è curato, lamaternità monitorata, la psiche sor-

wood per quanto alluda a questionireali non esiste. Quella di JoanneRamos è attorno a noi. Cliniche,contratti, intermediari, madri surro-gate, ricchi che comprano bambinioggi sono la realtà. La fabbrica lodescrive e la racconta. Come la terri-bile foto dei neonati di Kiev.

Per quanto alluda a questioni reali, non esistela società descritta da Margaret Atwood nei suoi romanziMentre quella descritta nel romanzo d’e s o rd i odella scrittrice nata nelle Filippine e cresciuta negli Usaè già attorno a noi tra cliniche, contratti, intermediarimadri surrogate e ricchi acquirenti

mente poi sempre più chiaramente,si trasforma in un incubo.

La fabbrica è stato paragonato alRacconto dell’ancella di Margaret At-wood. E, in effetti, le similitudini cisono. Protagoniste sono le donne, lamancanza di autodeterminazione edi libertà, il dominio maschile anchequando è gestito al femminile. Il de-

ricerca spirituale in cui la verginità simbo-leggiava anche la libertà rispetto a matrimo-ni combinati o claustrazioni imposte. Inoltre— come scrive la storica E. Schulte van Kes-sel — nel tempo del risveglio della religiositàe in un periodo di poco precedente alla Ri-forma luterana, su esempio di Caterina daSiena (scomparsa nel 1380) “nuove Caterine”puntavano a una riforma radicale. In anti-

scritta sulla porta esterna del monastero invi-ta i pellegrini assetati a richiedere un bic-chiere d’acqua.

Chi ascende sul sentiero e raggiunge ilcolle è accompagnato dalle vicende che so-prattutto riguardano la storia di Maria maanche quella delle Beate. Sulla via matris enel Santuario due spazi ricordano Caterina eGiuliana. In una piccola grotta incastonata

La diffusione di un video, pubblicato sul sito web diuna clinica di Kiev specializzata in maternitàsurrogata, che mostra 46 neonati piangenti nelle loroculline senza il calore di un genitore, ha spintol’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, SviatoslavShevchuk, e l’arcivescovo di Lviv dei Latini,Mieczysław Mokrzycki, a inviare alle autorità unalettera congiunta nella quale chiedono di vietarequesta pratica. «La maternità surrogata, cioè trattarele persone come un prodotto da ordinare, fabbricare evendere, rappresenta un problema, calpesta la dignitàumana. È difficile immaginare peggiore dimostrazionedi disprezzo», scrivono i presuli, sollecitando piùattenzione alla politica familiare e un rafforzamentodel sistema delle adozioni.

I cattolici ucraini contro la maternità surrogata

La cappella delle beate Caterina e Giuliana

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 17 maggio 2020 pagina 5

lo. Non un toro. Non un leone. Unagnello: è proprio l’ultimo animalecon il quale si identificherebbe unsovrano o un vincitore. E, ribadisco,sacrificato. Non un vincitore, mauna vittima. È l’agnello a propositodel quale troviamo nel D e u t e ro - I s a i aqueste parole che la Chiesa legge

to letterale, non un’illustrazione deltesto biblico, ma proprio una gigan-tesca rievocazione della visione checonclude il testo. Di quel che ci at-tende tutti quando la sofferenza saràstata espiata e tutto sarà compiuto.È l’ultima pagina delle Scritture.

Nella prima, quando Dio crea ilmondo, si parla di un giardino. Ungiardino magnifico, nel quale pas-seggiano Adamo ed Eva. Ma il giar-dino non si è conservato. Essi hannoricevuto la missione di essere fertili edi moltiplicarsi. È solo allora che co-mincia la storia: quando la Terra co-mincia a essere abitata e la vita devesvolgersi nella condivisione con glialtri. Allora, l’immagine del giardinosi trasforma in quella della città do-ve molti vivono insieme.

Così, la natura diventa cultura.Un’impresa appassionante, ma an-che tanto pericolosa. Lo si vede finda Caino e Abele. Vivere insieme èstata la sfida più grande nel corsodella storia.

In genere, si è trattato di una sto-ria di potere e di dominazione, enon più della passeggiata di unacoppia spensierata nel giardino. Ènecessario lasciare il paradiso perdare inizio all’avventura e condivide-re la vita con gli altri, altri che sonodiversi, che apprezzo e rispetto, coni quali sto costruendo un vivere-in-sieme più umano. È ancora la nostragrande sfida di oggi. Ed è la convin-zione dell’Ap o c a l i s s e : vi è in effetti unduro combattimento.

Ma anche, in questa sua ultimapagina, la situazione non è priva diprospettive. Non è per niente che sicombatte, che si ama e si muore.«Egli asciugherà ogni lacrima dai lo-ro occhi e non ci sarà più la morte,né cordoglio, né grido, né dolore,perché le cose di prima sono passa-te» (21, 4).

Proprio allora, alla fine, nell’Ap o -calisse, non si parla più di un giardi-no, ma di una città. Una città im-mensa. Non vi è più soltanto una

Finora mi sono riferito alla vistadella polittico quando è aperto. Maanche quando i due pannelli lateralisono chiusi a coprire il pannello cen-trale, si è sconvolti dalla bellezza

fiamminghi, e anche in questo casoil restauro ha fatto miracoli) e i duesanti, Giovanni Battista e GiovanniEvangelista. E sopra, il dipinto delmessaggio dell’Angelo.

È soprattutto questo dipinto a su-scitare il silenzio. Tutto l’ambiente ècosì raccolto, così sereno. Anche ilmagnifico interno della camera. Lospazio è meno chiuso di quanto sipensi. È piuttosto uno spazio conuna veduta in profondità che apreanche, sul fondo, la finestra sulla cit-tà. La tonalità stessa è raccolta. Ilrosso e il verde li vediamo soltantonei donatori e il verde, benché mol-to temperato, nella Sibilla di Cumae nel profeta Michea nella parte alta.Ma essi annunciano già quello che,poi, nel pannello interno, sarà abba-gliante. Non soltanto l’annuncio del-la nascita del Salvatore, ma tutto ciòche diventerà possibile grazie a quel-la nascita. Il mondo e tutta la crea-zione non sono condannati ascomparire nel nulla, ma chiamati auna vita nuova e imperitura. Sono leultime parole di Dio: «Ecco, io fac-

cio nuove tutte le cose» (Ap o c a l i s s e ,21,5).

Solo in quel momento, la paroladell’inizio può essere pronunciatadefinitivamente: «Dio vide tuttoquello che aveva fatto, ed ecco, eramolto buono» (Genesi 1, 31). È quelche viene annunciato qui: non sol-tanto la nascita di Colui che devevenire, ma l’avvenire di tutta la crea-zione nella sua destinazione glorio-sa. Non sono solo i profeti ad avervisto la salvezza in lontananza. La siosserva anche in alto, dove, insiemea Zaccaria e Michea, è rappresentataproprio la Sibilla cumana, d’altraparte citata nel Dies irae.

Il messaggio non vuole significareche solo alcuni saranno salvati, sfug-gendo alla massa dannata. Una cosasorprendente: qui non si vede nes-sun dannato. Proprio come nel Giu-dizio finale di Rogier van der We-yden all’Hôtel-Dieu di Beaune o inquello di Memling a Danzica. Là, ilCristo è anche attorniato da Maria eda Giovanni Battista, in atteggia-mento di preghiera perché supplica-no per i peccatori. Qui, Maria eGiovanni hanno un libro in mano.Non si tratta più di supplicare. Tut-to è compiuto. Non sono unicamen-te alcuni che possono essere salvati.Si tratta, come viene detto in manie-ra così forte nell’Ap o c a l i s s e : «Dopociò, apparve una moltitudine im-mensa, che nessuno poteva contare,di ogni nazione, razza, popolo e lin-gua. Tutti stavano in piedi davanti altrono e davanti all’Agnello» (7,9).

Il restauro del Polittico dell’Agnello mistico di van Eyck

Se la naturadiventa cultura

Adorazione dell’Agnello (particolare)

D all’arte la forza per ripartireUn nuovo polo museale custodirà i tesori dell’arcidiocesi di Camerino - San Severino Marche

Anticipazioneda «Vita e Pensiero»

Il capolavoro non contiene soltantol’annuncio della nascita del Salvatorema anche tutto ciò che diventerà possibile dopo quell’eventoIl mondo e tutta la creazionenon sono condannati a scomparire nel nulla

di JOZEF DE KESEL

Sono nato a Gand e ho ser-vito come sacerdote perdiciotto anni in quella dio-cesi. Ho abitato in città,all’ombra della sua catte-

drale. Diventato vescovo ausiliariodi Bruxelles, ben presto venneroscelti i colori dello stemma episcopa-le: il verde e il rosso, che sono i co-lori della città. Ma che cosa mettereancora? Io non volevo e non potevodimenticare Gand. Fu così che ilmio pensiero andò spontaneamenteall’Agnello mistico. Ma vi erano an-che altre ragioni importanti, ragioniche hanno a che vedere con la miafede e la mia missione di vescovo.

La prima è l’immagine stessadell’agnello. La grande composizio-ne è centrata su di lui. L’agnello èferito e sanguina. Ma non comequello dipinto in maniera così strug-gente da Zurbarán, mentre giace alsuolo, morto, con le zampe legate.Nulla di tutto questo qui. L’agnellosì è sacrificato, ma si regge in piedi.È quel che dice l’Ap o c a l i s s e .

È un’immagine del Cristo: respin-to e condannato, messo a morte eassassinato, ma risorto. È un agnel-

Se, dopo aver cercato a tastoni, siè trovata la Verità e se tale Verità èdiventata un’evidenza, allora si pale-sa il pericolo di prendersela con glialtri. È il pericolo che corrono sem-pre la Chiesa e le religioni. È perquesto motivo che l’immaginedell’agnello mi è così cara.

Nel simbolismo biblico e cristia-no, si tratta dell’agnello pasquale. Sobene che il polittico ci pone di fron-te anche agli splendori della corte diBorgogna e alla ricchezza delle no-stre regioni in quei tempi: una bel-lezza stupefacente. Ma in mezzo atutto sta l’agnello sacrificato e san-guinante. E ora che il restauro hatolto gli strati di pittura sovrapposti,la cosa diventa ancor più potente.Non sono più tanto gli occhi di unagnello, ma è lo sguardo di coluiche mi guarda con intensità e mi di-ce: «Eccomi, come un agnello, eccehomo». È per questo che ho scelto diporre l’immagine dell’agnello nellaparte alta del mio stemma.

Ma vi è anche una ragione perso-nale per la quale ho pensato allaparte inferiore della pala dei fratellivan Eyck. Quello che ci troviamo èla rappresentazione della visione fi-nale dell’Ap o c a l i s s e . Non un resocon-

coppia umana, ma una moltitudineche nessuno può calcolare, a imma-gine di quella città dalle dimensioniimpensabili. Larghezza, lunghezza eanche altezza: ogni volta dodicimilastadi. Una città dalle dimensioni co-smiche. Una città grande come ilmondo, come la Terra stessa. Unacittà magnifica, edificata con i mate-riali più preziosi che la maggioranzadei mortali non ha neppure mai vi-sto. Giovanni non cessa di rincararela dose: cristallo e oro, perle e pietrepreziose tutte identificate. Non cisono parole per dire come è belloabitarvi e condividerne la vita.

È per questo che nella parte infe-riore del mio stemma è raffiguratauna città. Essa rimanda evidente-mente a Bruxelles. Ma rimanda an-cor più a quell’altra città che ci èpromessa e di cui l’Ap o c a l i s s e dice:«Ecco la dimora di Dio con gli uo-mini! Egli dimorerà tra di loro edessi saranno suo popolo ed egli saràil Dio-con-loro» (21, 3).

straordinaria di quel che si può ve-dere. Si scorgono, sotto, nelle nic-chie, i due donatori (appartengono aquanto vi è di meglio e di più anticonell’arte del ritratto dei primitivi

Giovanni Angelo d’Antonio, «Annunciazione e Cristo in pietà» (1455, particolare)

La parte superiore del Polittico chiuso

Anticipiamo stralci dall’editorialedel numero di «Vita e Pensiero» inuscita giovedì 21 maggio, ilsecondo del 2020 (marzo-aprile).L’autore è l’arcivescovo diMalines-Bruxelles. Il testo, nellatraduzione di Mario Porro, si rifàall’allocuzione tenuta l’11 ottobre2019 nella cattedrale di SanBavone di Gand per l’ap erturadell’anno dedicato a van Eyck, inoccasione del restauro del Politticodell’Agnello mistico.

ancora il Venerdì santo: «Non aprìla sua bocca; era come agnello con-dotto al macello, come pecora mutadi fronte ai suoi tosatori, e non aprìla sua bocca (...). sebbene non aves-se commesso violenza né vi fosse in-ganno nella sua bocca» (53, 7.9).

Questo mi fa pensare a quel chedice Gesù nel vangelo di Matteo: «Icapi delle nazioni, voi lo sapete, do-minano su di esse e i grandi esercita-no su di esse il potere. Non così do-vrà essere tra voi; (...) appunto comeil Figlio dell’uomo, che non è venu-to per essere servito, ma per servire edare la sua vita in riscatto per mol-ti» (20, 25-26.28).

Madonna lignea del Santuario di Macereto(XV secolo)

PUNTI DI RESISTENZA

di SI LV I A GUIDI

«D a terremotati, siamoabituati a essere chiu-si, siamo già temprati

— spiega con un sorriso BarbaraMastrocola, direttrice del museodiocesano di Camerino —. Ma ilnostro motto è “chiusi per agibili-tà, aperti per vocazione”. Un mu-seo non è solo un edificio, uncontenitore, è anche, anzi, soprat-tutto, il suo contenuto. E qui ab-biamo collezioni splendide». Dicui fanno parte autentici gioielli,come la statua lignea della Ma -donna con Bambino di Macereto(«l’abbraccio più tenero del Rina-scimento, con la manina del bim-bo che si aggrappa al mantellodella mamma» chiosa con legitti-mo orgoglio la direttrice del mu-seo), e una delicata Santa Anato-lia che fonde finezza gotica e pla-sticità mediterranea («sembra unaregina francese, elegantemente in-tagliata e splendidamente nostal-gica»). Oltre a capolavori di qua-

lità indiscussa, come l’An n u n c i a -zione e Cristo in Pietà di GiovanniAngelo d’Antonio, pittore cheprobabilmente raffigura se stessonel dettaglio della foto riprodottain pagina, e scruta lo spettatorecome a volerlo coinvolgere nellascena di morte e redenzione chesi sta svolgendo sul Golgota.

Il motivo della telefonata alladirettrice del museo diocesano,stavolta, non è un bilancio deidanni del sisma del 2016, a quat-tro anni di distanza. E nemmenoun cahier de doléance per gli effettidella quarantena anti covid-19 sultessuto sociale di una zona giàmolto provata. A Barbara Mastro-cola abbiamo chiesto i dettagli diun progetto che renderà la cultu-ra un volano di sviluppo e offriràconcrete possibilità di lavoro atante persone. Finalmente unabuona notizia, in mezzo a calami-tà e disagi di ogni genere, perquello scrigno di tesori, spessopoco noti al grande pubblico, cheè la provincia camerte: le opered’arte dell’arcidiocesi di Cameri-no e San Severino, attualmenteprovvisoriamente “p a rc h e g g i a t e ”in vari depositi, ritroveranno pre-sto una casa. Una casa virtuale cel’hanno già: il profilo Instagramcamerinomusei, che ha moltissimif o l l o w e rs . Ma arriverà presto ancheuna casa “vera”.

Un nuovo museo sorgerà nellasede del Palazzo arcivescovile diSan Severino e sarà allestito gra-zie a un progetto dalla RegioneMarche approvato e finanziatodalla Commissione europea conuno stanziamento di 1 milione e100 mila euro.

Il palazzo, già oggetto di risa-namento conservativo e adegua-mento sismico dopo il terremotodel 1997, non ha subito danni si-gnificativi dall’ultimo sisma del2016 ed è la sede ideale per alle-stire spazi espositivi funzionali esicuri.

«Questo per noi è segno digioia e speranza» ha detto l’a rc i -vescovo di Camerino - San Seve-rino Marche Francesco Massara,

all’indomani della notizia dellostanziamento. «Sarà il Museodella Rinascita, perché conterràtutte le opere della diocesi, unpatrimonio immenso e preziosissi-mo, purtroppo fortemente dan-neggiato dal sisma, che potrà es-sere conservato e che costituiscela storia e l’identità del nostro ter-ritorio». Cinque piani che ospite-ranno anche sale multimediali —che permetteranno al visitatore diricostruire il contesto in cui leopere sono nate — spazi didatticie ambienti per lo studio e la con-sultazione, con particolare riferi-mento al patrimonio archivistico,alla catalogazione e al monitorag-gio del patrimonio storico artisti-co. L’idea del progetto si fondasul riutilizzo dei locali a funzioneespositiva, ma anche come sededi laboratori di restauro di qua-dri, tavole, affreschi e sculturedanneggiate dal sisma. Non solo:avere le opere così “a portata dimano”, e una vicino all’altra, aiu-terà gli storici dell’arte a studiarein modo più approfondito e inte-grato le singole opere.

Un assaggio di questa riparten-za c’è già stato: dal maggio al no-vembre scorso l’esposizione «Dal-

la polvere alla luce» ospitata inparte nella chiesa del seminario,unica chiesa agibile di Camerino,in parte in un deposito attrezzato,ha mostrato al pubblico trentaopere recuperate grazie anche aiCarabinieri del Nucleo Tutela Be-ni Culturali e ai Vigili del Fuoco,che hanno messo in salvo capola-vori provenienti dalle oltre cin-quecento chiese della diocesi.«Impegnarsi nel progettare unevento, piccolo ma enorme se siconsidera la devastazione del si-sma, che possa mostrare pochema importanti opere, simbolodella volontà di ricominciare — hadetto Mastrocola — è un segnoforte e molto significativo per lanostra comunità, nonostante lachiusura dei musei e di tutte lechiese della città». In quell’o cca-sione è tornata a Camerino anchela Macchina Processionale (notacome “La Nuvola”) della Madon-na del Santuario di Santa Mariain Via dopo essere stata restaurata— gratuitamente — da Sante Gui-do e Giuseppe Mantella a ReggioCalabria. In mezzo a tanti crolli,che fanno, giustamente, scalpore,una foresta di solidarietà e culturasta silenziosamente crescendo.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 domenica 17 maggio 2020

In ogni angolo del pianeta le religiose in prima linea nell’aiutare le fasce deboli a contrastare il coronavirus

Risposta del cuore

L’impegno della comunità Nuovi Orizzonti non si ferma in tempo di pandemia

Tutto concorre al bene

Una visione comunesull’etica della cura

Le religioni monoteiste in Argentina e il covid-19

di GI O VA N N I ZAVAT TA

Cinque principi fondamentalia partire dai quali far deriva-re altre procedure — come la

parità di trattamento, i tempi di at-tesa, la distribuzione e l’adeguataassegnazione delle risorse, il nonabbandono, una comunicazione ef-ficace e chiara tra il professionista eil paziente — tese all’ottimizzazionedell’intero processo e a evitare so-prattutto il degrado della qualitàdelle cure, compromettendo la sicu-rezza fisica e morale della persona:«È proprio in questi principi che siproduce un incontro tra scienza efede, salvaguardando la dignità diogni essere umano, assicurandonela custodia e la difesa dei dirittifondamentali». L’Istituto di bioeti-ca della Pontificia università cattoli-ca argentina ha riunito un gruppodi riconosciuti bioeticisti apparte-nenti a varie confessioni monotei-ste, al fine di elaborare un docu-mento quadro che stabilisca i prin-cipi guida e le loro applicazioni inrelazione alla presente pandemia dicoronavirus. Il risultato è il testoMarco bioético de las religiones mono-teístas en ocasión del covid-19, firma-to il 13 maggio a Buenos Aires dapadre Rubén Oscar Revello, diret-tore dell’istituto, dal rabbino FishelSzlajen, dall’imam Marwan SarwarGill, dal pastore evangelico GabrielBallerini e da Benjamín De HoyosEstrada, per la comunità mormone.

È la prima volta nella storiadell’Argentina che prestigiosi esper-ti di bioetica del cristianesimo,dell’ebraismo e dell’islam sottoscri-vono una dichiarazione accademicanon teologica congiunta su questamateria. Le tre religioni condivido-no una visione comune dell’e s s e reumano e dei diritti e doveri deri-vanti dalla sua condizione umana.Perciò «abbiamo deciso di redigerequesta dichiarazione congiunta co-me contributo in questi tempi dipandemia e incertezza, sia per colo-ro che condividono la nostra opi-nione, sia per ogni persona di buo-na volontà che desideri aprirsi aldialogo». L’importanza del docu-mento sta nell’univocità raggiuntadalle fedi riguardo le norme bioeti-che e la loro messa in pratica in si-tuazioni limite, garantendo principietici fondamentali condivisi anchedalla scienza. «L’attuale situazionedi pandemia — si legge nell’i n t ro -duzione — solleva per la medicina ela bioetica un dibattito sulla giustapianificazione delle risorse per l’as-sistenza sanitaria pubblica di massa.Entrano in collisione i diritti indivi-duali e collettivi, rispetto ad altridiritti particolari e all’insieme socia-le. Considerando tali conflitti, qual-siasi pianificatore di politiche volteal contenimento, al controllo e allacura della salute pubblica deve pre-parare in anticipo procedure che ot-timizzino le scarse risorse sanitarie.Questo è ciò che viene definitotriage, dove concorrono l’urgenza, ilsovraffollamento, l’angoscia fisica epsicologica, insieme alla carenza dirisorse sanitarie sufficienti in termi-ni di attrezzature, infrastrutture epersonale, di fronte all’accelerazio-ne del numero di casi di pazientipotenzialmente mortali».

Tale situazione, secondo i firma-tari, richiede una comprensionefondamentale dell’etica e della suaapplicazione, per ottenere le misurepiù appropriate che si concretizza-no in un protocollo di azione. Inaltre parole, «quando le risorse di-sponibili non sono in grado di sod-disfare le necessità esistenti, occorreun sistema di classificazione per mi-gliorare la qualità dell’assistenza edare priorità ai casi secondo lineeguida basate su principi bioetici».Nel documento se ne individuanocinque: protezione di ogni vitaumana e sua integrità fisica; princi-pio di totalità o terapeutico; libertàresponsabile; principio di giustizia;sussidiarietà. «Il diritto fondamen-tale di ogni persona è il rispetto e

la protezione della sua vita e inte-grità fisica. Se questo è sopraffatto,manca la base per tutti gli altri di-ritti; da qui il suo primato in ogniconsiderazione etica. Questa affer-mazione forte e chiara nelle religio-ni millenarie è condivisa dallascienza che conosce il danno di an-nullarla». Altro principio importan-te è il rispetto della libertà indivi-duale, perché difende l’autonomiasia del paziente sia del personalesanitario, «superando il conflitto trale parti, promuovendo l’alleanzamedico-paziente, bilanciando il di-ritto di ogni persona di prenderedecisioni sulle proprie cure medicheproteggendo i propri valori, convin-zioni e credenze, con quello delpersonale sanitario». Questo rispet-to, si sottolinea, «non costituisce unmero atteggiamento di tolleranzanei confronti del paziente o delpersonale sanitario, ma implicapiuttosto un’azione in modo chepossano decidere autonomamente».

Uno degli aspetti più delicati è lascelta del medico su chi curare. Alriguardo, si afferma, «il sistema ditriage deve cercare di salvare lamaggior parte delle vite, senza con-siderare in modo vincolante alcunaregola per età, qualità della vita odi sopravvivenza, condizioni socio-economiche, religione, nazionalità.La strumentazione medica non puòessere tolta a un paziente che ne habisogno a favore di un altro cheeventualmente abbia maggiore vita-lità o possa aggravarsi». Nel casoin cui le procedure mediche non ri-sultino terapeutiche, il paziente«non deve essere abbandonato oindotto ad alcuna pratica di eutana-sia» ma essere indirizzato a un’uni-tà di cure palliative poiché «quan-do non è possibile curare è semprepossibile prendersi cura».

delle suore anziane della Casa gene-ralizia. «In Polonia — sottolineasuor Jolanta — più di 300 consorelledi varie congregazioni stanno ren-dendo servizio volontario nei centriospedalieri e nelle residenze per glianziani data la mancanza del perso-nale».

Molte religiose che svolgono ser-vizio pastorale nel sud del mondohanno trovato estremamente difficilel’approvvigionamento di attrezzaturecome ventilatori, guanti e mascheri-ne. «Di conseguenza — aggiunge

«In India — prosegue — le religiosehanno tracciato delle linee con lasabbia nei centri di distribuzione dicibo per garantire la distanza di si-curezza ed evitare il contagio». Nonsolo, «molte lavorano con le onluslocali e altre organizzazioni per di-stribuire cibo e vestiario, altre condi-vidono il proprio cibo con i poverio vanno per strada e offrono ciò chepossono ai senza tetto».

Inoltre, le religiose hanno prestatomolta attenzione anche all’offertaformativa degli istituti scolastici

rogandosi seriamente sulla sostenibi-lità presente e futura».

Le suore che lavorano nelle scuoleo nelle parrocchie hanno trovato“modi creativi” per continuare i loroprogrammi. Non solo hanno lancia-to corsi online, ma offrono disponi-bilità nell’accompagnamento onlinee animazione dei tempi di preghierae ritiri. «Le consorelle, inoltre —prosegue suor Marray — stannocompiendo enormi sforzi per rima-nere in contatto con gli anziani, as-sicurandosi che non restino soli.Quelle che lavorano con rifugiati,migranti e vittime della tratta di es-seri umani, hanno trovato il mododi rimanere in contatto e assicurarsiche queste persone stiano bene».

In tutto il mondo, le religiose, co-me testimonianza evangelica dellaloro vocazione, non solo fornisconocibo, assistenza, forniture mediche eformazione, ma, insieme a tutto que-sto, cercano anche di essere «unapresenza orante, una presenza disupporto, una presenza di speran-za». «Tutte, nei limiti della mobilità— dichiara la presidente dell’Uisg —stanno facendo il possibile per ga-rantire il miglior sostegno pratico eanche pastorale ai bisognosi, nono-stante la crisi sanitaria, senza distin-zione di etnia o religione. Si creauna collaborazione ancora più forte,ma non tutte le congregazioni han-no le possibilità di far fronte allemolteplici esigenze. Abbiamo costi-tuito un fondo, da noi gestito —puntualizza — che si occupa di aiu-tare le congregazioni in maggioredifficoltà, dislocate in zone remote enei villaggi dove sono carenti i servi-zi o perché hanno subito grandip erdite».

A livello mondiale in tutte le con-gregazioni religiose stanno cercandodi impedire il diffondersi della pan-demia all’interno degli istituti. Stan-no seguendo le normative nei Paesiin cui vivono. Mentre quelle che la-vorano negli ospedali, nei centri diassistenza ai disabili, nelle cliniche enelle case di riposo stanno facendodel loro meglio per autoisolarsi, pergarantire prevenzione dalla possibili-tà di contagio.

Per dare supporto alle oltre circaduemila congregazioni sparse in tut-to il mondo l’Uisg sta promuovendonumerose videoconferenze e webinardi informazioni e codici comporta-mentali di fronte al covid-19; rifles-sioni sulle implicazioni psicologicheed economiche delle conseguenzedella pandemia e spunti sulla spiri-tualità per questo tempo. «La Uisg,inoltre, cerca di accompagnare le su-periore generali, creando fori di con-divisione di esperienze, di iniziative,ma anche di prospettive di fronte aicambiamenti che il confinamento stacausando nell’organizzazione deinostri calendari, di visite e riunioniinternazionali, capitoli e progetti».L’“oggi” è il primo imperativo daaccudire, ma pensando al futurosuor Jolanta è convinta che questapandemia cambierà radicalmente ilnostro modo di vivere e ci farà com-prendere l’importanza dell’essenzia-le. «Sarebbe bello poter riflettereprofondamente insieme ad altri.Quante volte abbiamo inseguito l’ef-fimero, il guadagno, la sicurezza atutti i costi! Molti Stati hanno pen-sato ad arricchire il loro arsenale mi-litare per difendersi, ma non hannopensato alla vulnerabilità della per-sona; nessun’arma — ricorda la pre-sidente dell’Unione internazionaledelle superiore generali — è in gradodi difenderci da questo piccolo vi-rus, invisibile agli occhi, che sta col-pendo la vita di tanti, e in modospeciale delle fasce deboli». Secon-do la religiosa clarettiana è dunquegiunto il momento di decidere uncambiamento delle nostre abitudini,riflettere sui nostri legami umani, esul valore che diamo all’esistenza.«Siamo in contatto con il segretaria-to della Uisg, per condividere il vis-suto e insieme interrogarci sullanuova fedeltà alla sequela di Gesùin questo contesto e trovare nuovimodi di vivere che promuovano ilbene dei più poveri e del pianeta.Vorrei pensare che, al termine diquesto isolamento, la nostra primacorsa sia all’incontro di qualcuno enon a recuperare i nostri budget in-deboliti. Spero — ha concluso — chepotremo dare un rinnovato impetoal valore della presenza umana e chequesta esperienza ci serva e ci inco-raggi nella ricostruzione di ponti.L’umanità ferita, lo ripeto con tantialtri che lo esprimono in questi gior-ni, non deve sprecare questa oppor-tunità: “Vivo con fiducia in Dio e inogni persona umana”. Il tempo cidirà quanto tesoro ne abbiamo fattodi questa esperienza».

di FRANCESCO RICUPERO

Dall’Asia all’Europa, dall’Afri-ca all’Oceania: è stata imme-diata e corale l’opera di soli-

darietà delle congregazioni religiosefemminili in tutto il mondo in que-sto tempo di pandemia che sta col-pendo milioni di persone e mieten-do centinaia di migliaia di vittime.«È stata una risposta che è partitadal cuore di ognuna di noi e che havisto il coinvolgimento degli istitutireligiosi e di tantissime nostre con-sorelle che si stanno impegnandoquotidianamente in tutti i modi perfar fronte ai bisogni e alle esigenzedi poveri, ammalati, anziani e senzatetto. Non esiste congregazione, nécomunità, che non abbia risposto ef-ficacemente a questa pandemia. Lacompassione è stata pronta e imme-diata», confida all’Osservatore Ro-mano suor Jolanta Maria Kafka, su-periora generale delle Religiose diMaria Immacolata (missionarie cla-rettiane) e presidente dell’Unione in-ternazionale delle superiore generali(Uisg). Nella sua testimonianza, unpensiero particolare la religiosa lo ri-volge alle centinaia di consorelle chehanno perso la vita a causa del co-vid-19. «Sono veramente tante. Almomento non abbiamo un numeropreciso, però ci sono alcune congre-gazioni in Italia, Spagna, in Francia,Stati Uniti, che hanno perso fino aventi-trenta consorelle. Dietro a unasuora deceduta — spiega — c’è il do-lore e il dramma di un’intera comu-nità e di una famiglia».

Per combattere il diffondersi delcoronavirus, molte religiose stannolavorando come medico o infermie-re, spesso in piccoli ospedali ruralidell’Africa e dell’Asia, in cliniche,centri sanitari, ospedali da campo,unità mobili che forniscono istruzio-ne e assistenza medica ai bisognosi ea quanti hanno contratto il virus.Altre si sono messe dietro a unamacchina da cucire per realizzaremascherine o hanno creato laborato-ri “fatti in casa” per preparare deter-genti per l’igiene personale e la sani-ficazione degli ambienti; altre anco-ra cucinano e preparano pasti caldiper i senza fissa dimora. In Italia,per esempio, le Piccole suore missio-narie della Carità (suore di donOrione) si stanno prendendo curadei bambini disabili del PiccoloCottolengo, delle disabili di CasaSerena, delle comunità di minori diCusano Milanino, di Palermo, diCastelnuovo Scrivia e di tutti gliospiti delle case di riposo, nonché

suor Pat Marray, dell’Istituto dellaBeata Vergine, segretaria esecutivadell’Uisg — molto spesso si sono re-cate nelle abitazioni dei malati peraiutare le famiglie a realizzare in ca-sa le mascherine per la protezione.Sono tantissime le consorelle attivenei bassifondi e nei piccoli villaggidei Paesi poveri, dove conduconocampagne educative sui servizi igie-nico-sanitari adeguati e distribuisco-no volantini sulle precauzioni daprendere». In particolare, suor Mur-ray loda l’operato delle consorelleafricane che in alcuni villaggi, dovec’è carenza di pompe idriche, hannoraggiunto le popolazioni locali por-tando delle brocche d’acqua perspiegare come lavarsi bene le mani.

provvedendo a sopperire la didatticafrontale con quella on-line. Le scuo-le cattoliche in alcune regioni di Ita-lia per esempio «hanno costituitouna rete di comunicazione — spiegasuor Jolanta Kafka — per confron-tarsi sulle modalità e le problemati-che di questo periodo. Ci sono le fi-glie di Maria Ausiliatrice, le france-scane, le clarettiane, le oblate, le pas-sioniste, le pie discepole e altre con-gregazioni per fare fronte alle conse-guenze sociali, educative ed econo-miche del covid-19. In altre parole,stanno cercando di dare risposta aquesta situazione realizzando piatta-forme tecnologiche in oltre tredici-mila istituti paritari in Italia, e inter-

di IGOR TRABONI

Più volte al giorno, lo sguardoma soprattutto il cuore volgeverso quell’ulivo piantato da

Papa Francesco il 24 settembrescorso durante la sua visita alla Cit-tadella Cielo di Frosinone. È qui,in quello che è il centro internazio-nale di Nuovi Orizzonti, che lafondatrice Chiara Amirante, il di-rettore spirituale don Davide Ban-zato e un centinaio di persone han-no trascorso queste settimane diforzato isolamento, pur se costante-mente in contatto, soprattutto at-traverso i social, con le tante realtàdella grande famiglia dei settecen-tomila “cavalieri della Luce” e deicirca sei milioni di amici in Italia enel mondo.

«Abbiamo cercato come sempredi restare in ascolto del grido di chisoffre — racconta Chiara Amirante— e ogni giorno siamo in contattocon tante persone che vivono que-sto dramma, compreso quello diperdere i propri cari e non poterlisalutare. Questa impossibilità ancheio, che ho perduto una persona ca-ra, l’ho vissuta come una spada nelcuore. Però abbiamo anche la con-sapevolezza che questa è l’ora piùbuia della nostra storia, un drammache ci rende tutti più vulnerabili,anche per altri aspetti: da quelloeconomico a come abbiamo inqui-nato la “casa comune”, fino alle al-tre malattie che comunque vannoavanti e che ora è difficile curare.Tutti siamo un po’ a un bivio — ag-giunge — ecco perché è importantenon chiudersi in se stessi, non ve-dere nell’altro un nemico. Cerchia-mo di comprendere che questaguerra possiamo vincerla se com-

battiamo tutti insieme, se trasfor-miamo questo in un tempo dellasolidarietà, della fraternità, se cam-miniamo con chi soffre come noi».Più volte, in questa riflessione, lafondatrice di Nuovi Orizzonti sot-tolinea inoltre il passaggio del “far-si cirenei” per aiutare chi ha biso-gno, le tante famiglie in difficoltà.E il tutto sospinto con la forza del-la preghiera. «È tempo di stare inginocchio, perché abbiamo bisognodi Dio. Questo è un momento perriscoprire la forza e il tempo dellapreghiera, per custodire la pace, maanche per vedere che se tutto nonandrà bene, la Parola di Dio è lì adirci che tutto concorre al bene.Preghiamo per dare luce, per af-frontare le salite, guidati dalla stelladel mattino». Oltre all’ulivo pianta-to a Cittadella Cielo, il legame conil Pontefice è quanto mai forte:«Siamo in comunione con PapaFrancesco, sentiamo fortissimo il le-game con questo padre pieno di

amore, faro unico in questa nottedell’umanità. Ho avuto anche lagioia di ricevere una sua letterapersonale, che ha trasmesso la vici-nanza di padre a me e a tutta lafamiglia di Nuovi Orizzonti. Èbello sentire ancora una volta comeil suo amore arriva anche a dei pic-coli come noi», conclude la Ami-rante.

E da questo grande dono parteanche la riflessione di don DavideBanzato, «perché qui adesso tuttigli ambienti respirano della suapresenza, delle parole di resurrezio-ne che ci ha lasciato quel giornodella visita a sorpresa, ascoltando letestimonianze dei ragazzi, rispon-dendo loro, celebrando messa».Viatico indispensabile per questigiorni niente affatto facili nella Cit-tadella Cielo di Frosinone e nellealtre realtà di Nuovi Orizzonti inItalia e all’estero: «Siamo stati chia-mati ad attuare misure di emergen-za particolari, considerato che molti

nostri ragazzi accolti vanno tutelatiperché soggetti a rischio. Proprio ilPontefice ci ha sollecitati a non es-sere dei don Abbondio. E così stia-mo moltiplicando gli sforzi davantialle tante richieste di aiuto da partedi famiglie bisognose, soprattuttoin Italia, mentre all’estero abbiamotrasformato la Cittadella in Bosniaed Erzegovina con novanta postiletto per malati di covid-19. Dram-matica è anche la situazione in Bra-sile, nelle due strutture dove aiutia-mo centinaia di famiglie delle fave-las: mancano adeguati supporti sa-nitari e stiamo registrando ancheun aumento dei casi di violenza.Davanti a tutto questo siamo chia-mati, e lo siamo stati in particolarenella Pasqua trascorsa, a custodirela speranza e la gioia pasquale, adesserne testimoni, a tornare sempreall’incontro con quel fuoco».

Sia don Banzato che la Amirantehanno vissuto e superato anche unisolamento particolare, dopo esserestati a contatto con alcune personepoi risultate positive: «All’inizio siprova umanamente un senso di co-strizione — racconta il sacerdotescavando nella sua esperienza per-sonale — ma poi ho capito che do-vevo dare una sorta di accelerata almio cammino verso la santità. Ildramma umano che mi ha toccatomi ha spinto ancor di più a metter-mi in ginocchio, a chiedermi “versodove sto puntando la mia vita og-gi”? Tutto è stato una grande sve-glia del cuore per rimettere a fuocoil mio cammino», conclude donDavide volgendo ancora una voltalo sguardo, il cuore e la preghiera aquell’ulivo che intanto continua acrescere nel giardino di CittadellaCielo.

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L’OSSERVATORE ROMANOdomenica 17 maggio 2020 pagina 7

I leader religiosi indiani uniti per combattere il covid-19

Cellule di un solo corpo

Nelle Filippine presuli e organizzazioni cattoliche denunciano la precarietà del sistema detentivo minacciato dalla pandemia

Emergenza carceridi PAOLO AF FATAT O

L’emergenza covid-19 rischiadi far esplodere il già preca-rio sistema carcerario filippi-

no. Anche perché «l’atteggiamentopoco compassionevole ed eccessiva-mente severo delle forze dell’o rd i n e ,nel far rispettare il blocco totale im-posto dal governo per il covid-19,non fa che aggravare la situazione. Ipoveri, esasperati e in cerca di cibo,vengono etichettati e trattati comecriminali», riferiscono all’O sservato-re Romano i sacerdoti lazzaristi chea Manila hanno organizzato un ser-vizio di assistenza e consegna di ali-menti agli indigenti e sono testimonidi fermi e arresti operati dalle forzedell’ordine. A Quezon City, una del-le città che compongono la MetroManila, fioccano arresti di personeche hanno infranto le regole dellaquarantena imposta dal governo.Ma in celle di cinque metri per cin-que, si arriva ad ammassare fino a30 detenuti, denunciano gli attivisti.Nelle stanze di detenzione tempora-nea, alle stazioni di polizia, quantonelle carceri, il distanziamento risul-ta impossibile, come è problematicol’accesso ai servizi igienici, il lavag-gio frequente delle mani, e vi è ca-renza o assoluta mancanza di disin-fettanti o mascherine protettive.

Oltre 20.000 arresti sono stati ef-fettuati dalle forze di polizia in po-che settimane, per violazione dellaquarantena e del coprifuoco. «Se lapolizia continua a compiere arrestiindiscriminati, la popolazione di de-tenuti continuerà a crescere e peg-giorerà la sua situazione», notaRaymund Narag, docente filippinoalla Southern Illinois University ne-gli Stati Uniti e studioso del sistemacarcerario nel suo paese di origine.«I nostri centri di detenzione della

polizia sono estremamente conge-stionati e non hanno la capacità diseparare, tanto meno di isolare, lepersone infette».

La lente di ingrandimento delleistituzioni si è spostata sulle prigionidi stato perché gli istituti rischianodi diventare cluster incontrollati perla diffusione del coronavirus. I peg-giori focolai finora si sono verificatiin due carceri nell’isola di Cebu,nelle Filippine centrali, dove sonostati denunciate 348 infezioni tra gli

oltre 8000 detenuti. Per cercare dicontenere il fenomeno, la Corte su-prema delle Filippine ha impartitouna direttiva ai tribunali, ordinandodi disporre il rilascio dei detenuti inattesa di processo e tuttora in carce-re perché impossibilitati a pagareuna esigua cauzione. In seguito alprovvedimento, 9731 detenuti sonostati rilasciati nella speranza di limi-tare il sovraffollamento.

Tuttavia, nonostante i recenti in-terventi, i cronici problemi struttura-

li rischiano di vanificare ogni sforzo:nelle carceri filippine, secondo l’In-stitute for Crime & Justice PolicyResearch (Icpr) della University ofLondon il tasso di sovraffollamentoè il più alto al mondo: tocca il 500per cento e risulta in crescita dal2016, quando il presidente RodrigoRoa Duterte ha dato il via alla vio-lenta “guerra alla droga”, che hacontribuito a congestionare ulterior-mente gli istituti di pena. Le struttu-re già versavano in condizioni inso-stenibili: edifici rudimentali, carenzedi cibo e assistenza sanitaria, bruta-lità, maltrattamenti denunciati dalleorganizzazioni per i diritti umanicome l’Ong filippina “Ka r a p a t a n ”(“Alleanza per il progresso dei dirittidel popolo”). Va notato che il codi-ce penale nazionale risale agli anni‘30 del secolo scorso, mentre il siste-ma carcerario è improntato a una lo-gica essenzialmente punitiva. Nume-rosi penitenziari sono plurisecolari,costruiti dai colonizzatori spagnoli apartire dal XVI secolo. «Inoltre, i ra-gazzi dai 15 anni in su sono ospitatiin carceri con gli adulti, e il governovorrebbe perfino abbassare l’età del-la responsabilità penale, comminan-do pene carcerarie a ragazzi dai 12anni in su. La mescolanza di adultie ragazzi rende più facili gli abusisessuali sui minori», segnala preoc-cupato il missionario cattolico irlan-dese padre Shy Cuellen, che hacreato nelle Filippine la Fondazione“P re d a ”, impegnata per la tutela deiminori. Si aggiunga, poi, che oltre il90 per cento dei detenuti (la popo-lazione carceraria complessiva supe-ra i 200.000 elementi) proviene da-gli strati più poveri della popolazio-ne e che, data la corruzione endemi-ca, prosperano dietro le sbarre iltraffico di droga e alcolici.

Oggi, allora, la diffusione dellapandemia di covid-19 è un elementoche può far potenzialmente defla-grare l’intero sistema. Gli attivistiper i diritti umani e i religiosi catto-lici impegnati nel ministero della pa-storale carceraria concordano nelchiedere al governo di mettere in at-to misure per decongestionare il si-stema. «Si potrebbero in primis li-berare tutti i prigionieri politici e dicoscienza», afferma Karapatan,mentre Human Rights Watch chiededi liberare i detenuti in carcere perreati minori e quelli in precarie con-dizioni di salute per creare spazio.

La preoccupazione è confermatadal gesuita padre Eli Rowdy Y.Lumbo, direttore esecutivo dellaFondazione della Compagnia di Ge-sù per la pastorale dei detenuti ecappellano alla New Bilibid Prison,a Muntinlupa City, nella Metro Ma-nila. Nell’istituto, lo scorso gennaiovi erano oltre 29.000 detenuti, suuna capacità dichiarata di 6400 po-sti. «Le condizioni sono difficili —afferma il religioso al nostro giorna-le — ma vediamo anche segni di spe-ranza: ho appena ricevuto da anoni-mi donatori 500 materassini per idetenuti che dormono per terra, 250mascherine protettive e flaconi di di-sinfettante. La nostra certezza è cheDio ama i carcerati. Dio conosce leloro difficoltà e il loro dolore. Sonosuoi figli. Così li consideriamo ediamo loro ogni attenzione». Sullapaura per la diffusione del coronavi-rus, il gesuita afferma: «Nelle carcerisi deve fare il possibile, ma la preca-ria situazione è sotto gli occhi ditutti. Quanto possiamo fare ora èaspettare e pregare. Facciamo delnostro meglio, ma sappiamo cheDio provvede davvero. Avverto —prosegue il cappellano — la loropaura e le loro ansie. Ma sento an-che che Dio non li abbandonerà.Ho spesso detto loro durante la ce-lebrazione eucaristica che i momentiin cui hanno fame, provano paura otristezza sono in realtà occasioni digrazia. Questi sono i momenti in cuiDio darà loro conforto e forza,asciugherà le loro lacrime e restituiràloro una speranza».

«La nostra attenzione e solidarie-tà, in questo tempo difficile — affer-ma monsignor Joel Z. Baylon, ve-scovo di Legazpi e presidente dellaCommissione per la pastorale carce-raria della Conferenza episcopale fi-lippina — si concentra sulle condi-zioni dei nostri fratelli e sorelle chesono in prigione, privati della libertàe dei più elementari diritti umani.Siamo tutti consapevoli del fatto chein molti dei penitenziari le condizio-ni di vita sono disumane. Chiedia-mo ai nostri leader di adottare misu-re per alleviare le sofferenze, garan-tire protezione, rispettare la dignitàumana dei detenuti. A loro doniamola misericordia e la compassione diD io».

Di nuovo comunitàBassetti sulla ripresa delle messe con il popolo

ROMA, 16. «Non si tratta semplice-mente della riapertura di un luogosacro, delle nostre chiese che sonosempre rimaste aperte. Si trattapiuttosto di ritornare a manifestareil nostro essere comunità, il nostroessere famiglia. Del resto, è l’eucari-stia che fa di noi una comunità,una famiglia, perché, come dice sanPaolo, noi che ci nutriamo di ununico pane siamo chiamati a forma-re un solo corpo». In un videomes-saggio intitolato Ritorniamo a mani-festare il nostro essere comunità, ilpresidente della Conferenza episco-pale italiana (Cei), cardinale Gual-tiero Bassetti, condivide con il po-polo di Dio la gioia per la ripresadella celebrazione, da lunedì 18maggio, delle messe aperte ai fede-li. Il porporato lo definisce «unevento di grazia»: ritrovare l’eucari-stia significa tornare a «fare espe-rienza di questa forza immensa checi viene da Lui risorto, dal suo Spi-rito, perché possiamo continuare ilnostro cammino».

Il periodo vissuto è stato caratte-rizzato dalla sofferenza, dal doverrestare chiusi a casa, «e qui pensoin particolare alle famiglie numero-se, con tanti bambini». Tuttavia —sottolinea Bassetti — «in tante no-stre famiglie non sono mancati lapreghiera, l’ascolto attento della Pa-rola di Dio e quel servizio, soprat-tutto alle persone più anziane, chediventa autentica carità. Dobbiamochiedere al Signore la grazia di po-ter tornare a essere la grande fami-glia di Dio, anche se abbiamo spe-rimentato il nostro essere Chiesanella piccola famiglia domestica,dove abbiamo vissuto tanti valoristando gli uni accanto agli altri.Adesso però è il momento di torna-re nella grande famiglia».

Per la salvezza dell’anima, attra-verso l’eucaristia, e per la salute delcorpo, avverte il presidente dellaCei, «dovremo usare tutti quegli ac-

corgimenti che diventano una for-ma di amore e di rispetto per gli al-tri»: le mascherine e i contatti ri-dotti «possono essere letti simboli-camente come un invito a riscoprirela forza dello sguardo». Ricordache durante la messa quotidianadelle 7 dalla cappella di Casa SantaMarta, Papa Francesco non ha maimancato di dire: «Scambiatevi unsegno della pace». Qualcuno, com-menta il cardinale, «gli ha dettoche non ci si può scambiare il se-gno della pace, ma il Papa ha ri-sposto che non ci si può scambiarela pace avvicinandosi e dandosi lamano, ma lo si può fare anche a di-stanza con un sorriso, uno sguardodolce e benevolo, che diventano unmodo di comunicare pace, gioia eamore. E così, pur restando a debi-ta distanza, cercheremo di scam-biarci la pace».

Il videomessaggio si concludecon l’invito a lodare e a ringraziareil Signore perché «siamo di fronte aun evento grande e importante: laprima domenica che ci ritroveremoinsieme, cantiamo — io lo farò e lopropongo a tutti — il Te Deum chediventa il nostro inno, la nostra lo-de perfetta alla santissima Trinità»perché «tutto ci viene dal cuore diD io».

Da lunedì in Italia non solo icattolici torneranno nei luoghi diculto. Ieri pomeriggio a PalazzoChigi sono stati infatti siglati i pro-tocolli tra le rappresentanze dellecomunità di fede e il Governo chepermetteranno la ripresa delle cele-brazioni liturgiche e religiose — inossequio alle disposizioni di sicu-rezza stabilite per scongiurare ladiffusione del contagio da covid-19— anche alle comunità ebraiche emusulmane, nelle chiese ortodosse,protestanti, evangeliche, anglicane,per i mormoni, e alle confessioniinduista, buddista, bahai e sikh.

ROMA, 16. Un gesto simbolico chevuole provocare un “rumore educa-tivo”, e un “rumore costruttivo”.Con questa motivazione per la pri-ma volta le scuole pubbliche parita-rie annunciano un’astensione dalleattività scolastiche per il 19 e 20maggio. È il grido d’allarme che glioltre trecento, tra superiori e supe-riore maggiori d’Italia, in qualità diprimi responsabili delle loro scuole,hanno lanciato al termine di una ta-vola rotonda organizzata dalle pre-sidenze nazionali dell’Usmi e dellaCism. Un confronto dove è emersala drammatica situazione di tantescuole paritarie che non sono più ingrado di pagare gli stipendi dei do-centi e del personale amministrati-vo. «Il nostro grido di allarme — silegge in un comunicato — insieme aquello della Conferenza episcopaleitaliana e del mondo associativo,nasce dalla verifica del disagio civi-co ed economico di tante famiglie.

Un gesto, è scritto nel documen-to, volto anche a coinvolgere i geni-tori dei 900 mila allievi delle scuoleparitarie, i sette milioni di allievidelle scuole statali, i docenti, il per-sonale della scuola italiana, «maanche gli amici e tutti i cittadiniitaliani»; con un invito alle forzepolitiche a non lasciare indietronessuno «perché il nostro Paese oriparte dalla scuola, da questogrembo dove si entra bambini e si

esce cittadini di uno stato democra-tico, o non ripartirà». È fondamen-tale infatti, prosegue il comunicato,essere consapevoli «che c’è qualco-sa che viene prima dei programmi,degli esami, del distanziamento so-ciale, che è quel di più della rela-zione educativa che può rendereadulto un ragazzo».

Il testo entra poi nel dettaglio espiega come gli istituti si organizze-ranno nei giorni dell’astensione.«Le nostre scuole interromperannole lezioni e per questi due giorni al-lievi, docenti e famiglie esporrannol’hashtag #Noisiamoinvisibilip er-questogoverno. Ciascuna delle no-stre scuole, con il coinvolgimentodelle famiglie, dei docenti, deglistudenti organizzerà gli eventi chedesidera con lezioni, video, diretteFb dalle pagine delle scuole che sa-ranno aperte a tutti: conferenze, di-rette, disegni, flash mob, eccetera,tutto in diretta social per fare quelrumore costruttivo e responsabileche solo la scuola sa fare». L’obiet-tivo, oltre che ricordare alla classepolitica le difficoltà in cui versanole scuole pubbliche paritarie, è ri-chiamare i temi della libertà di scel-ta educativa, il diritto di apprende-re senza discriminazione, la paritàscolastica tra pubblica statale epubblica paritaria, la libera scuolain libero stato perché sopravviva ilpluralismo culturale in Italia.

Il 19 e 20 maggio in sciopero simbolico le scuole paritarie

Rumore costruttivo

Lutti nell’episcopato

Il vescovo redentorista CzesławStanula, emerito di Itabuna, èmorto in Brasile giovedì 14 mag-gio. Il compianto presule era na-to in Szerzyny, nella diocesi po-lacca di Rzeszów, il 27 marzo1940 ed era stato ordinato sacer-dote della Congregazione delSantissimo Redentore il 19 luglio1964. Missionario in Brasile dal12 aprile 1972, aveva svolto il mi-nistero a Bom Jesus da Lapa e aSão Salvador da Bahia. Eletto al-la sede residenziale di Floresta,nello stato di Pernambuco, il 17giugno 1989, aveva ricevuto l’or-dinazione episcopale il successivo5 novembre. Il 27 agosto 1997 erastato trasferito a Itabuna, rinun-ciando al governo pastorale delladiocesi il 1° febbraio 2017. Si eraritirato nella sua comunità reli-giosa di Santo Afonso a São Sal-vador da Bahia, dove le esequiesono state celebrate venerdì 15maggio nel «Ceméterio Jardimda Saudade em do Bairro deB ro t a s » .

Il vescovo Gérard Dionne,emerito di Edmundston, è mortoin Canada la sera di mercoledì 13maggio all’età di cento anni. Erainfatti nato il 19 giugno 1919 aSaint-Basile, diocesi di Edmun-dston, ed era stato ordinato sa-cerdote il 1° maggio 1948. Elettoalla sede titolare di Garba e alcontempo nominato ausiliare diSault Sainte Marie il 23 gennaio1975, aveva ricevuto l’o rd i n a z i o n eepiscopale il successivo 8 aprile.Trasferito alla sede residenziale diEdmundston il 13 novembre 1983,aveva rinunciato al governo pa-storale il 20 ottobre 1993. Il com-pianto presule sarà sepolto nellacattedrale di Edmundston marte-dì prossimo, 19 maggio.

GIAN CARLO ST O P PA

nato nella Città del Vaticanoil 28/04/1934

Addetto di Anticameradi Sua Santità

è salito in cielo lasciando, con l’esem-pio della sua fede, l’adorata Gabriella egli amati figli Giulio, Viviana e Gaiacon le loro famiglie.

NEW DELHI, 16. Un patto di lealecollaborazione che ricopra «unruolo costruttivo per il bene comu-ne, unendo le persone di tutte lefedi». È quello stretto dai leaderreligiosi indiani — indù, cristiani,musulmani, sikh — e da diverse or-ganizzazioni interreligiose che sisono riuniti il 14 maggio in varistati del paese per la giornatamondiale di preghiera invocandola cessazione del contagio. In unadichiarazione congiunta si esprimela volontà di voler «parlare conuna sola voce», concentrando glisforzi sul servizio al prossimo esull’unità mentre l’India affronta ilcontagio ed evitando «il pregiudi-zio, un senso di esclusione, la su-perstizione e il fanatismo diffusoin nome della religione».

Nel documento si ritiene neces-sario un doveroso «approccioscientifico per combattere il virus»,continuando nel proprio impegnospirituale e materiale in quanto «lareligione è probabilmente il mezzopiù potente per mobilitare la co-scienza umana a servire il bene co-mune: ci uniamo come una forzaunica per dare slancio all’azioneper superare la pandemia». In unmondo sconvolto dagli effetti dellapandemia proprio «la religione èstata spesso citata in contesti siapositivi che negativi. Da un lato —si osserva — in questo momento diincertezza le persone si sono rivol-te a essa per speranza, forza e resi-lienza spirituale», in quanto la fe-de ha ispirato nei cuori un sensodi solidarietà e un desiderio di ser-vire gli altri, specialmente i piùvulnerabili; e dall’altro, «il nomedella religione è stato anche usatoper enfatizzare un senso di separa-zione ed esclusività, per coltivare ilpregiudizio, per respingere lascienza e sposare la superstizione».

Di fronte a tale ambivalenza ileader religiosi si fanno portatoridi un «imperativo urgente»: riba-dire «quei principi comuni a tuttele religioni che incidono maggior-mente sulla nostra risposta all’at-tuale crisi» non omettendo di con-siderare che «gli insegnamenti spi-rituali e morali essenziali di ogniconfessione sono identici». Pertan-

to, soprattutto nel perdurare dellacrisi pandemica, «tutte le religioni— viene rimarcato — devono cerca-re modi per promuovere l’unità ela solidarietà in modo che l’umani-tà combatta questa sfida colletti-va». Un esempio è rappresentatonel paese dal team interconfessio-nale di consulenza psicologica gra-tuita ideato dal “Forum di comu-nione religiosa” per le persone col-pite dal covid-19 o in isolamentoforzato, al fine di combattere pau-re, ansie e disorientamento avva-lendosi dell’esperienza di profes-sionisti. Ciò perché, prosegue ladichiarazione, al centro di ognicredo vi è «una concezione spiri-tuale dell’essere umano che tra-scende il corpo materiale. Questarealtà spirituale, definita anima, èla fonte di attributi e virtù divineche consentono agli esseri umanidi dimostrare comportamenti al-truistici. La religione insegna chetutta l’umanità è interconnessa einterdipendente: è una famiglia egli uomini sono cellule di un solocorpo», concludono i rappresen-tanti delle confessioni religioseesortando all’azione coordinata esolidale con le forze sociali e politi-che per il bene dell’umanità. Unasola voce, si legge nel documento,ma in realtà tante voci il cui appel-lo non è rimasto inascoltato. Comeè accaduto nello stato di AndhraPradesh dove il primo ministro, Ja-gan Mohan Reddy, ha annunciatolo stanziamento di fondi destinati atempli, moschee e chiese: un rico-noscimento sostanziale per l’op eramateriale e spirituale che tutte lecomunità religiose stanno portandoavanti per contenere l’e m e rg e n z asanitaria. Ma anche un ulteriore in-tervento governativo che si affiancaal contributo economico e alla di-stribuzione di pasti assegnati allefamiglie più bisognose. Reddy haribadito che la sua amministrazioneintende contribuire ancora al sup-porto di tutti coloro che, persone eorganizzazioni, stanno portandoavanti programmi per la salvaguar-dia dei cittadini in tempi difficilicome questi, indipendentemente dareligione, casta e area geografica.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 domenica 17 maggio 2020

Nella messa a Santa Marta nuovo monito contro il pericolo della mondanità spirituale

La preghiera del Papaper le persone che seppelliscono i mortiCon una preghiera «per le personeche si occupano di seppellire i de-funti in questa pandemia» PapaFrancesco ha iniziato la celebrazionedella messa nella cappella di CasaSanta Marta sabato mattina, 16 mag-gio. Dare sepoltura ai morti, ha spie-gato, «è una delle opere di miseri-cordia»; e oltre a non essere «unacosa gradevole, naturalmente»,quanti compiono ciò «rischiano lavita e di prendere il contagio». Daqui l’invito del Pontefice affinché ifedeli preghino per queste persone,come aveva già chiesto lo scorso 25aprile.

Successivamente il vescovo di Ro-ma ha pronunciato l’omelia, esortan-do a riflettere sul fatto che Cristomorto e risorto per gli uomini è

l’unica medicina contro lo spiritodella mondanità. Come di consuetoFrancesco ha preso spunto per lameditazione dalle letture del giorno,osservando come «Gesù parecchievolte, e soprattutto nel suo congedocon gli apostoli», parli «del mondo(cfr. Gv 15, 18-21). E qui dice: “Se ilmondo vi odia, sappiate che primadi voi ha odiato me” (v. 18)».

«Chiaramente — ha commentato ilPapa — parla dell’odio che il mondoha avuto verso Gesù e avrà verso dinoi. E nella preghiera che fa a tavolacon i discepoli nella Cena», Cristo«chiede al Padre di non toglierli dalmondo, ma di difenderli dallo spiri-to del mondo (cfr. Gv 17, 15)». Eccoallora la possibiltà, ha aggiunto, di«domandarci: qual è lo spirito del

mondo? Cosa è questa mondanità,capace di odiare, di distruggere Ge-sù e i suoi discepoli, anzi di corrom-perli e di corrompere la Chiesa?» .Infatti, ha raccomandato il Pontefi-ce, «come è lo spirito del mondo,cosa sia questo, ci farà bene pensar-lo». Del resto «è una proposta di vi-ta, la mondanità. Ma qualcuno pen-sa che mondanità è fare festa, viverenelle feste... No, no. Mondanità puòessere questo, ma non è questo fon-damentalmente». Al contrario «lamondanità è una cultura; è una cul-tura dell’effimero, una cultura del-l’apparire, del maquillage, una cultu-ra “dell’oggi sì domani no, domanisì e oggi no”. Ha dei valori superfi-ciali. Una cultura che non conoscefedeltà, perché cambia secondo le

circostanze, negozia tutto. Questa èla cultura mondana, la cultura dellamondanità».

Ecco perché, ha rimarcato il Pon-tefice, «Gesù insiste a difenderci daquesto e prega perché il Padre ci di-fenda da questa cultura della mon-danità». E di nuovo Francesco è tor-nato a descrivere tutti gli elementinegativi che la caratterizzano: «Èuna cultura dell’usa e getta, secondoquello che convenga. È una culturasenza fedeltà, non ha delle radici».Eppure, purtroppo, «è un modo divivere, un modo di vivere anche ditanti che si dicono cristiani. Sonocristiani ma sono mondani».

Attingendo ai testi biblici il vesco-vo di Roma ha ricordato in proposi-to come «Gesù, nella parabola delseme che cade in terra», dica «che lepreoccupazioni del mondo — cioèdella mondanità — soffocano la Pa-rola di Dio, non la lasciano crescere(cfr. Lc 8, 7)»; così come Paolo, ri-volgendosi ai Galati, afferma: «Voieravate schiavi del mondo, dellamondanità» (cfr. Gal 4, 3).

E trasfondendo gli insegnamentibiblici nella propria esperienza per-sonale il Papa ha confidato in pro-posito: «A me sempre, sempre» col-piscono «quando leggo» il «librodel padre [Henry] de Lubac (cfr.Meditazione sulla Chiesa, Milano1955), le ultime tre pagine, dove par-la proprio della mondanità spiritua-le. E dice che è il peggiore dei maliche può accadere alla Chiesa; e nonesagera, perché poi dice alcuni maliche sono terribili, e questo è il peg-giore: la mondanità spirituale, per-ché è un’ermeneutica di vita, è unmodo di vivere; anche un modo divivere il cristianesimo. E per soprav-vivere davanti alla predicazione delVangelo, odia», addirittura «ucci-de». Il riferimento è a «quando sidice dei martiri che sono uccisi inodio alla fede, sì, davvero — ha fattonotare il vescovo di Roma — per al-cuni l’odio era per un problema teo-logico; ma non erano la maggioran-za. Nella maggioranza [dei casi] è lamondanità che odia la fede e li ucci-de, come ha fatto con Gesù».

Per questo non bisogna mai mini-mizzare con «la mondanità». Qual-cuno potrebbe obiettare: «Ma padre,questa è una superficialità di vi-

ta”...». E invece «non inganniamo-ci», perché — è stata l’amara consta-tazione di Papa Bergoglio — «lamondanità è per niente superficiale!Ha delle radici profonde, delle radiciprofonde», ha ripetuto due volte perrimarcare il concetto. Anzi, peggio:la mondanità «è camaleontica, cam-bia, va e viene a seconda delle circo-stanze, ma la sostanza è la stessa:una proposta di vita che entra dap-pertutto, anche nella Chiesa. Lamondanità, l’ermeneutica mondana,il maquillage, tutto si trucca per esse-re così».

Lo testimonia anche la vicendadell’apostolo Paolo ad Atene (cfr. At17, 22-33), dove rimane colpito quan-do vede «nell’areopago tanti monu-menti agli dei. E lui — ha dettoFrancesco — ha pensato di parlare diquesto: “Voi siete un popolo religio-so, io vedo questo... Mi attira l’at-tenzione quell’altare al ‘dio ignoto’.Questo io lo conosco e vengo a dirvichi è”. E incominciò a predicare ilVangelo. Ma quando arrivò» ai temiscottanti «alla croce e alla risurrezio-ne, si scandalizzarono e se ne anda-rono via». Difatti «c’è una cosa chela mondanità non tollera: lo scandalodella Croce. Non lo tollera. E l’unicamedicina contro lo spirito dellamondanità è Cristo morto e risortoper noi, scandalo e stoltezza (cfr. 1Cor 1, 23)». Ed è per lo stesso moti-vo «che quando l’apostolo Giovanninella sua prima Lettera tratta il temadel mondo dice: “È la vittoria cheha vinto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5, 4). L’unica: la fede in Gesù

Cristo, morto e risorto. E questo —ha assicurato il vescovo di Roma —non significa essere fanatici»; névuol dire «tralasciare di avere dialo-go con tutte le persone, no»: si devedialogare, «ma con la convinzione difede, a partire dallo scandalo dellaCroce, dalla stoltezza di Cristo e an-che dalla vittoria di Cristo. “Questaè la nostra vittoria”, dice Giovanni,“la nostra fede”». Da qui l’invo ca-zione che il Papa ha suggerito di fa-re «allo Spirito Santo in questi ulti-mi giorni, anche nella novena delloSpirito Santo, negli ultimi giorni deltempo pasquale», affinché conceda«la grazia di discernere cosa è mon-danità e cosa è Va n g e l o », senza «la-sciarci ingannare, perché il mondo ciodia, il mondo ha odiato Gesù eGesù ha pregato perché il Padre cidifendesse dallo spirito del mondo(cfr. Gv 17, 15)».

È con la preghiera di sant’AlfonsoMaria de’ Liguori che Francesco haquindi invitato «le persone che nonpossono comunicarsi» a fare «ades-so» la comunione spirituale. Per poiconcludere la celebrazione con l’ado-razione e la benedizione eucaristica.Infine, il Pontefice ha affidato le suepreghiere alla Madre di Dio sostan-do — accompagnato dal cantodell’antifona del Regina Caeli — da-vanti all’immagine mariana nellacappella di Casa Santa Marta.

A mezzogiorno, nella basilica Va-ticana, il cardinale arciprete AngeloComastri ha rilanciato le intenzionidel Papa guidando la recita del rosa-rio e del Regina Caeli.

Si apre questa settimana ed è organizzato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale

Un anno speciale per celebrare la «Laudato si’»Bilancio del primo mese di attività della Commissione vaticana covid-19

Nomineepiscopali

Le nomine di oggi riguardanoPorto Rico ed Ecuador.

Luis Miranda Riveravescovo di Fajardo

Humacao (Porto Rico)Nato il 24 gennaio 1954 in San-

turce, arcidiocesi di San Juan dePuerto Rico, è entrato nell’o rd i n edei carmelitani dopo aver fre-quentato il liceo locale. Ha com-piuto gli studi di filosofia pressol’Università centrale di Bayamón,in patria, e quelli di teologia inSpagna alla Pontificia universitàdi Salamanca. Nel 1983 ha emessola professione perpetua e nel 1984è stato ordinato presbitero carme-litano. È stato viceparroco e par-roco a Madrid, Mayagüez e aSan Juan de Puerto Rico; attual-mente è vicario episcopale dellazona pastorale di San Juan - San-turce e parroco di Santa Teresitaa Santurce. È anche membro deiconsigli presbiterale, pastorale edesecutivo dell’arcidiocesi di SanJuan de Puerto Rico.

Vicente HoracioSaeteros Sierra

ausiliare di Portoviejo(Ecuador)

Nato a Santa Ana, arcidiocesidi Portoviejo, il 6 aprile 1968, èentrato nel locale seminario mag-giore per gli studi di filosofia eteologia. Ordinato sacerdote il 25marzo 2000, ha conseguito la li-cenza in storia della Chiesa pres-so la Pontificia università Grego-riana a Roma. Parroco in diversecomunità, è stato professore, for-matore e rettore del seminario ar-cidiocesano e vicario episcopaledella zona Nord-Chone. Attual-mente è vicario generale dell’a rc i -diocesi e parroco della cattedrale.

Una tentazione che rinasce sempre

Il pericolo più grande per laChiesa che noi siamo, la tentazionepiù perfida, quella che semprerinasce, insidiosamente, allorchétutte le altre sono vinte, alimentataanzi da queste stesse vittorie, èquella che Dom Vonier chiamava«mondanità spirituale». Con questonoi intendiamo, diceva, «unatteggiamento che si presentapraticamente come un distaccodall’altra mondanità, ma il cuiideale morale, nonché spirituale,non è la gloria del Signore bensìl’uomo e la sua perfezione. Unatteggiamento radicalmenteantropocentrico; ecco la mondanitàdello spirito. Essa diverrebbeimperdonabile nel caso —supponiamolo possibile — di unuomo che sia dotato di tutte leperfezioni spirituali, ma che non leriferisca a Dio» (L’Esprit e l’Epouse,tr. fr., p. 144).Se questa mondanità spiritualedovesse invadere la Chiesa elavorare a corromperla intaccandoil suo principio stesso, sarebbeinfinitamente più disastrosa di ognimondanità semplicemente morale.Peggio ancora di quella lebbra

infame che, in certi momenti dellastoria, sfigurò così crudelmente laSposa diletta, quando la religionepareva introdurre lo scandalo nel«santuario stesso e, rappresentatada un papa indegno, nascondevasotto pietre preziose, sotto bellettied orpelli, il volto di Gesù» (A.Valensin S J, «Le sourire de Léonardde Vinci», in Etudes, t. 274, p. 47).

Nessuno di noi è totalmenteimmune da questo male. Unumanesimo sottile, avversario delDio Vivente, e sotto sotto nonmeno nemico dell’uomo, puòinsinuarsi in noi attraverso mille vietortuose. La curvitas originale non èmai in noi definitivamenteraddrizzata. Il «peccato contro loSpirito» è sempre possibile.Per fortuna, nessuno di noi siidentifica con la Chiesa. Nessunnostro tradimento può consegnareal nemico la Città che il Signorestesso custodisce. «Il Ma g n i f i c a tnon è stato detto una sola volta nelgiardino di Ebron: è stato messoper tutti i secoli sulle labbra dellaChiesa» (P. Claudel, Lettera a G.Frizeau, 25 settembre 1907, op. cit,p. 111. J. De Saussure, Méditationsur la Vierge, figure de l'Eglise:«Povertà di Tua madre, solaricchezza della Chiesa! Umiltà diTua madre, sola grandezza dellaChiesa!»), dove conserva tutta lasua forza.

(HENRI DE LUBACMeditazione sulla Chiesa

in Opera omnia, vol. 8, 2017, p. 269)

«Prendiamoci cura del creato, dono del nostrobuon Dio Creatore. Celebriamo insieme la“Settimana Laudato si’”»: con un tweet sull’ac-count @Pontifex il Papa ha lanciato la settegiorni celebrativa che da oggi, sabato 16, finoa domenica 24 maggio, ricorda in tutto ilmondo il quinto anniversario dell’enciclica diFrancesco sulla Casa comune. La “settimana”a sua volta inaugura l’intero anno speciale —una sorta di tempo “g i u b i l a re ” dedicato allaTerra — scandito da diverse iniziative, che siconcluderà il 24 maggio 2021. L’o rg a n i z z a z i o -ne è affidata al Dicastero per il servizio dellosviluppo umano integrale (Dssui), che sempresabato mattina ha tracciato un primo positivobilancio delle attività svolte dalla Commissio-ne vaticana istituita per contrastare le conse-guenze della pandemia, presentandolo in di-retta streaming nella Sala stampa della SantaSede, durante la conferenza sul tema «Covid-19, crisi alimentare ed ecologia integrale:l’azione della Chiesa».

Molto è stato fatto, ma molto resta ancorada fare a un mese dall’attivazione dell’o rg a n i -smo voluto da Papa Francesco, al fine di sti-molare la riflessione sulle sfide socio-economi-che e culturali del futuro e la proposta di lineeguida per affrontarle. Moderati dal direttoredella Sala stampa Matteo Bruni, sono interve-nuti il cardinale Peter Kodwo Appiah Tur-kson, prefetto del Dssui, con il segretariomonsignor Bruno Marie Duffé, e il segretarioaggiunto don Augusto Zampini-Davies; e il se-gretario generale del braccio caritativo dellaChiesa, Aloysius John.

Il porporato ha esordito facendo notare cheil coronavirus, iniziato come problema sanita-rio, ha avuto ripercussioni drastiche su econo-mia, occupazione, stili di vita, sicurezza ali-mentare, scienza, ricerca e politica. «Quasinessun aspetto della cultura umana è rimastoesente» ha commentato. E ciò conferma inpratica quanto insegna il Pontefice nell’encicli-ca sulla cura della casa comune, quando affer-ma che «tutto è interconnesso».

Quindi il cardinale prefetto ha parlato dellepeculiarità dei cinque gruppi di lavoro (cfr.«L’Osservatore Romano», 16-4-2020) in cui èarticolata la Commissione, che il Dssui coordi-na in collaborazione con Caritas internationa-

lis e con realtà della Curia romana, come ilDicastero per la comunicazione e la secondasezione della Segreteria di Stato. Infine il por-porato ha annunciato che la Commissione do-vrebbe durare un anno, a meno che non di-venga necessario estenderne le attività.

Da parte sua Aloysius John ha spiegato co-me la Caritas stia ampliando la propria azioneadattando alcuni dei programmi in corso perrispondere più efficacemente alla pandemia.Attraverso il «fondo» attivato «per la rispostaall’emergenza sanitaria», sono stati già finan-ziati 14 progetti e su 32 presentati. Grazie a es-si a numerose famiglie vengono assicurati ali-mentari di base, kit per l’igiene, articoli comesapone e pannolini, ma anche sovvenzioni indenaro per pagare gli affitti e altre scadenzeurgenti. «Ai fini della prevenzione è importan-te anche sensibilizzare le persone a rischio,fornendo informazioni affidabili sulla pande-mia e sul modo in cui le comunità possonoproteggersi» ha detto il segretario generale ac-cennando al lavoro di Caritas India Tamil Na-du. Beneficiarie del fondo sono al momentooltre 7,8 milioni di persone in 14 Paesi, tra cuiEcuador, India, Palestina, Bangladesh, Libanoe Burkina Faso. Inoltre circa altri 2 milioni diindividui vengono seguiti finanziando altri tipidi programmi per un totale di oltre 9 milioni

di euro. «Ma sfortunatamente ce ne sono cen-tinaia di migliaia in più che hanno bisogno»ha commentato, facendo l’esempio del SudAfrica, dove la Caritas nazionale non ha abba-stanza cibo da distribuire alle migliaia di mi-granti che si mettono in fila ogni giorno da-vanti ai suoi uffici. Da ultimo John ha rilan-ciato l’appello di Caritas alla comunità inter-nazionale per rimuovere le sanzioni economi-che contro Iran, Libano, Siria, Libia e Vene-zuela e per cancellare il debito dei Paesi piùsottosviluppati, o almeno estinguere il paga-mento degli interessi per il 2020.

Monsignor Duffé, da parte sua, ha appro-fondito un aspetto fatto emergere dalla pande-mia: quello della vulnerabilità, che è fisica esociale, politica e ideologica, e anche economi-ca: «Fino a ora abbiamo considerato la salute— ha detto in proposito — come un semplicestrumento per produrre sempre di più, in unalogica miope. Oggi stiamo riscoprendo la salu-te e la solidarietà come pilastri della nostraeconomia». A partire da questa esperienza, ilsegretario del Dssui ha individuato tre urgen-ze: condividere i mezzi a disposizione per sal-vare vite umane senza alcuna discriminazione(giovani e anziani, migranti e poveri); amplia-re i progetti di assistenza congiunta e concede-re aiuto ai Paesi bisognosi; mostrare che alla

base dell’azione solidale c’è l’idea che «siamouna sola famiglia umana». In particolare lamissione della Chiesa è ascoltare e accompa-gnare le persone nella sofferenza, proporreuna riflessione sul legame tra dimensione sani-taria, ecologica, economica e sociale della crisi;sostenere nuove opzioni per prendersi curadella natura, della biodiversità e degli esseriumani; aprire le porte alla speranza.

Infine il segretario aggiunto Zampini-Daviesha ripetuto l’allarme di Papa Francesco sul fat-to che molte persone sono morte negli ultimiquattro mesi non per coronavirus, ma per fa-me. Secondo la Fao, 800 milioni di individuisono cronicamente affamati, mentre la doman-da di cibo è in vertiginoso aumento. «La crisialimentare, come quella da Covid, è interna-zionale — ha affermato — e le conseguenze so-cioeconomiche crescono in modo sproporzio-nato, catastrofico, una volta superate determi-nate soglie: le restrizioni all’import-export dialimenti vanno a incidere sulle catene di ap-provvigionamento; problemi e conflitti socio-economici persistono e potrebbero peggiora-re». Basti pensare, ha denunciato, che il Pamstima che 370 milioni di bambini rischiano diperdere i pasti a causa delle chiusure dellescuole; inoltre le questioni climatiche conti-nuano a turbare la produzione alimentare congravi conseguenze per i piccoli agricoltori. In-somma c’è un’insicurezza diffusa, che potreb-be sfociare in violenze. Eppure, ha detto il se-gretario aggiunto aprendo alla speranza, è an-cora possibile cambiare, sia i modelli di pro-duzione e consumo sia le azioni pubbliche eprivate, come raccomanda la Laudato si’. Ètempo di migliorare la produttività agricola,ma collegandola alla protezione degli ecosiste-mi e a pratiche sostenibili; inoltre bisogna de-viare i fondi pubblici dalle armi al cibo e svi-luppare una serie di misure d’emergenza perl’occupazione. Ma, ha affermato Zampini-Da-vies, si può fare anche molto individualmentein materia di riduzione degli sprechi, «inizian-do a modificare le nostre diete, mangiando ci-bi stagionali ed evitando prodotti ad alto in-quinamento». Perché, ha concluso citandosanta Teresina di Lisieux, «qualsiasi piccologesto conta».