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DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE AZIENDALI E STATISTICHE Via Conservatorio 7 20122 Milano tel. ++39 02 503 21501 (21522) - fax ++39 02 503 21450 (21505) http://www.economia.unimi.it E Mail: [email protected] Presentazione del volume L. Tomaz, I confini d’Italia in Istria e Dalmazia, Ediz. Think, Conselve, 2007 LA PRESENTAZIONE DI UNA STORIA DELLE FRONTIERE ORIENTALI ITALIANE: UNA OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLE DETERMINANTI STORICHE, ECONOMICHE E GEOPOLITICHE DEI CONFINI ARNALDO MAURI Working Paper n. 2007-41 NOVEMBRE 2007

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE AZIENDALI E STATISTICHE

Via Conservatorio 7 20122 Milano

tel. ++39 02 503 21501 (21522) - fax ++39 02 503 21450 (21505) http://www.economia.unimi.it

E Mail: [email protected]

Presentazione del volume L. Tomaz, I confini d’Italia in Istria e Dalmazia, Ediz. Think, Conselve, 2007

LA PRESENTAZIONE DI UNA STORIA DELLE FRONTIERE ORIENTALI ITALIANE: UNA

OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLE DETERMINANTI STORICHE, ECONOMICHE E

GEOPOLITICHE DEI CONFINI

ARNALDO MAURI

Working Paper n. 2007-41 NOVEMBRE 2007

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LA PRESENTAZIONE DI UNA STORIA DELLE FRONTIERE

ORIENTALI ITALIANE: UNA OCCASIONE PER RIFLETTERE SULLE DETERMINANTI STORICHE,

ECONOMICHE E GEOPOLITICHE DEI CONFINI

ARNALDO MAURI

Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche Università degli Studi di Milano

1. Introduzione Nel 2003 scrissi la presentazione per il libro di Luigi Tomaz, intitolato “In

Adriatico nell’Antichità e nell’Alto Medioevo. Da Dionigi di Siracusa ai dogi Orseolo”. L’opera di Tomaz fu segnalata prontamente da numerosi ed importanti quotidiani e periodici. Successivamente su riviste culturali, anche accademiche, apparvero ampie recensioni che ne illustravano i contenuti riconoscendo sia l’interesse delle tematiche affrontate sia la validità della metodologia di ricerca adottata dall’Autore. Il libro, pur nella specificità del tema trattato, ha riscosso anche successo nella diffusione per il fatto di coniugare sapientemente il rigore del metodo storico con la piacevolezza dello stile narrativo e per la circostanza di essere corredato da belle fotografie, pregevoli disegni dell’Autore ed interessanti documenti in latino con ottima traduzione italiana a fronte. Anche grazie a queste preziose dotazioni oggi l’opera di Tomaz appare nei cataloghi di prestigiose biblioteche universitarie e non, sia italiane sia straniere, pur se scritta in italiano, una lingua che all’estero sembra incontrare sempre meno cultori.

Luigi Tomaz pubblica con il medesimo editore (Think ADV di Conselve, PD), un volume intitolato “Il confine d’Italia in Istria e Dalmazia”, anch’esso corredato da una ricca serie di carte storiche disegnate dall’Autore. Alla luce della nostra precedente fruttuosa collaborazione e soprattutto in virtù dell’interesse che ho da sempre provato per il tema dei confini, ed in particolare per quelli dell’Italia, ho accettato con entusiasmo l’invito rivoltomi da Luigi Tomaz a scrivere la presentazione anche per questa sua ultima fatica pur nei tempi piuttosto stretti che mi sono stati imposti. Anche in questo caso, non differentemente dal libro pubblicato nel 2003 e in precedenza citato, si tratta di una ricerca di carattere eminentemente storico e più precisamente di una storia adriatica, nella quale, tuttavia, l’attenzione dello studioso si focalizza sul tema dei confini.

L’opera si presenta come uno studio storico che abbraccia un arco temporale assai più ampio rispetto a tutte le opere precedentemente pubblicate dall’Autore. Essa parte dall’evo antico ed arriva al Trattato di Pace firmato a

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Parigi il 10 febbraio del 1947, che, non a torto, Luigi Tomaz indica come un vero e proprio diktat imposto all’Italia dalle potenze vincitrici.

2. I confini, un tema ancora scottante Affrontare lo spinoso tema dei confini non manca oggi di suscitare, anche in

Italia, giustificati timori, comprensibili perplessità sulla sua opportunità e dolorosi ricordi. Negli ultimi due secoli l’Europa, infatti, è stata periodicamente devastata da sanguinosi conflitti causati da nazionalismi che, nell’ottica del mito dello stato-nazione chiedevano confini “adeguati” rispetto alla visione del loro paese riflessa non infrequentemente nella sua massima espansione territoriale storica,1 che, nel caso dell’Italia, poteva arrivare, come ipotesi estrema, a corrispondere a quella dell’Impero romano.

Ricordiamo in particolare le due guerre mondiali, che hanno coinvolto, volenti o nolenti, quasi tutti i popoli europei. I vincitori dei conflitti si sono poi spesso appropriati, senza validi motivi e senza molti scrupoli in merito all’autodeterminazione delle popolazioni che li abitavano, di territori in precedenza indipendenti o appartenuti ad altri Stati. L’obiettivo di rendere stabili e possibilmente definitivi i confini artificiali per questa via acquisiti ha poi indotto non infrequentemente i governi a perseguire politiche di snazionalizzazione ricorrendo talora ad interventi di assimilazione forzosa e, nei casi estremi, alle deportazioni ed alla pulizia etnica.

L’Italia non è rimasta immune in un recente passato dai fermenti nazionalistici, i quali tuttavia, come osserva giustamente Luigi Tomaz, non debbono essere confusi con l’irredentismo,2 un movimento che egli considera la naturale continuazione del nostro Risorgimento, dal momento che mirava a ricongiungere alla madrepatria territori sottoposti alla dominazione straniera, i cui abitanti, almeno in maggioranza, aspiravano alla riunificazione.

Il nazionalismo, nella sua proiezione imperialistica e colonialistica, ci condusse anche alle guerre coloniali e alla conquista di terre a noi remote (terre che non erano state neppure incluse in passato entro i pur vasti confini dell’Impero romano) e prive di reali interessi sia strategici sia economici per l’Italia. Queste conquiste coloniali, pur sottraendo preziose risorse agli investimenti strutturali necessari per lo sviluppo del nostro paese, soprattutto del Mezzogiorno, non rappresentavano uno sbocco significativo per la nostra emigrazione. Si toccò poi con il fascismo il culmine dei sogni del nazionalismo con il mito imperiale del Mare Nostrum, che rivendicava all’Italia contemporanea la potenza dell’antica Roma ed il dominio sull’intera area mediterranea3 e che ci

1 Non tutti gli studiosi, tuttavia, esprimono un giudizio esplicitamente negativo sul nazionalismo. Secondo Lecours (2005), ad esempio, il nazionalismo è “una forma di politica identitaria” che “comporta la definizione dei confini tra i gruppi, con la conseguente attribuzione di un significato soggettivo a indicatori oggettivi come il linguaggio”. Sulla base della citata definizione il nazionalismo si limiterebbe a chiedere una corrispondenza fra confini dello Stato-nazione e confini etnici. Desidereremmo allora sapere come qualificare chi rivendica territori abitati a maggioranza da altre etnie, comportamento assai diffuso fra i nazionalismi europei e non europei. 2 Suscita sconcerto il costatare che non infrequentemente gli autori stranieri affrontano il tema dell’irredentismo italiano con sufficienza e superficialità e, con riferimento alla storia dell’Italia, fanno di ogni erba un fascio mescolando disinvoltamente irredentismo, nazionalismo, imperialismo e colonialismo. 3 E’ interessante ricordare a questo riguardo che gli arabi, quando nella loro campagna di conquista nel VII secolo, arrivarono alle sponde del Mediterraneo, usavano chiamarlo “Mare dei Romani” (King 2004).

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poneva irrimediabilmente in rotta di collisione con l’Inghilterra, gelosa custode della sua supremazia sui mari.

In precedenza, tuttavia, molti italiani si erano sentiti ingannati e defraudati dagli alleati per il mancato rispetto della totalità degli impegni previsti dal Patto di Londra del 1915, pur se l’Italia aveva potuto beneficiare di non trascurabili acquisizioni territoriali a spese del dissolto Impero austro-ungarico.4 Il nostro bottino era stato infatti giudicato inadeguato sia rispetto all’enorme contributo di sangue e di sacrifici offerto dall’Italia durante la guerra sia in relazione ai guadagni ottenuti da altri paesi in termini di territorio e di disponibilità di preziose risorse naturali, come il petrolio del Medio Oriente. Si diffuse quindi, malauguratamente, l’idea dannunziana della “vittoria mutilata” che concorse a spianare la strada all’ascesa al potere del fascismo.

3. I confini nell’Europa orientale Ancora oggi in quella parte dell’Europa, rimasta ibernata per quasi mezzo

secolo oltre la cortina di ferro, ostaggio dell’arcigno potere sovietico e retta talora da ferrei regimi nazional-comunisti come quelli di Hoxa in Albania, di Tito in Iugoslavia e di Ceausescu in Romania, i discorsi sui confini hanno l’effetto di surriscaldare gli animi e di creare tensioni nei rapporti con i paesi limitrofi. A chi parla di una grande Ucraina o di una grande Bulgaria, risponde chi evoca una grande Romania o una grande Ungheria. Chi aspira ad una grande Slovenia contesta il confine con la Croazia e rimette in discussione le frontiere con altri due stati confinanti: l’Austria e l’Italia.

Il sogno di una grande Serbia si scontra inevitabilmente a nord con gli ambiziosi progetti di una grande Croazia, che mira ad incorporare gran parte della Bosnia ed Erzegovina, e a sud con le arroganti pur se non immotivate aspirazioni degli Albanesi all’unità nazionale. Ma la sagoma minacciosa della grande Albania

4 Le condizioni previste dal Patto di Londra del 1915 non furono interamente rispettate dagli alleati anche a seguito della posizione assunta dagli Stati Uniti tendente a privilegiare gli interessi della compagine serbo-croata-slovena a spese delle aspirazioni italiane. Se il principio dell’autodeterminazione valeva a demolire le richieste italiane sulla Dalmazia fondate sul Patto di Londra, lo stesso principio doveva essere applicato, questa volta a favore dell’Italia, anche nel caso di Fiume, città con popolazione a maggioranza italiana, ma non promessa all’Italia nel citato patto. Nel sottolineare a questo riguardo la singolarità dell’atteggiamento poco coerente degli Stati Uniti sulla questione adriatica non possiamo non segnalare un altro caso di incoerenza della stessa diplomazia statunitense. Nei medesimi anni la Romania era avversata dal governo di Washington in linea di principio per la contestazione di tutti i patti segreti stipulati prima dell’entrata in guerra (Patto di Bucarest 1916) e, secondariamente anche per le sue acquisizioni territoriali. In particolare gli Stati Uniti si rifiutavano di riconoscere l’annessione della Bessarabia, una regione etnicamente e storicamente romena, decisa il 27 marzo 1918 dal parlamento di Chişinau con il 97% dei voti in presenza del 64% dei suoi membri (Musgrave 1999) argomentando che era inaccettabile uno spostamento dei confini a danno di uno Stato, la Russia, che nel 1914 era entrato in guerra a fianco degli alleati e nel quale era in corso una guerra civile di esito ancora incerto. In palese contraddizione, nel caso della Dobrugia meridionale acquisita dalla Romania al termine delle guerre balcaniche, la diplomazia statunitense caldeggiava , invece, la restituzione alla Bulgaria sulla base della composizione etnica del territorio in questione, dimenticandosi di considerare il fatto che la Romania, schierata anch’essa a fianco degli alleati, possedeva questo territorio dal 1913 e quindi già al momento dell’entrata in guerra nel 1916 (Motta 2006). Infine, nel caso del Banato, gli Stati Uniti richiedevano ed ottenevano un arretramento a danno della Romania della frontiera pattuita a Bucarest adducendo ragioni di sicurezza dal momento che il confine etnico serbo-romeno lambiva Belgrado (Dragan 1996). Si deve, tuttavia, riconoscere che il prevalere de principio della sicurezza su quello dell’autodeterminazione aveva avvantaggiato anche l’Italia con il confine del Brennero e con quello delle Alpi Giulie.

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si sovrappone anche ai presuntuosi disegni per una grande Macedonia slava, che contemplano l’appropriazione della Macedonia greca e di una fetta della Bulgaria al fine di ricostruire dopo più due millenni l’antico Stato macedone costruito dalla dinastia degli Argeadi, gli avi di Alessandro.5

Tra i paesi che dovrebbero sentirsi maggiormente appagati (e che talora non lo sono affatto a causa delle sfrenate ambizioni del nazionalismo) dall’assetto attuale delle frontiere nell’ambito quelli citati ricordiamo in primo luogo l’Ucraina, la quale, grazie all’incontenibile forza negoziale della vittoriosa Unione Sovietica, fondata sulle solide basi della conquista militare, al termine del secondo conflitto mondiale, ha visto spostare considerevolmente verso ovest i propri confini sino a pervenire addirittura al delta del Danubio, alla pianura pannonica, travalicando i Carpazi, e nel cuore della Polonia, appropriandosi della parte orientale della Galizia e dell’intera Volinia. Tra i paesi maggiormente penalizzati si segnala, invece, l’Ungheria, che in entrambi i conflitti mondiali ha avuto la cattiva sorte di schierarsi dalla parte soccombente. La Croazia, non differentemente dall’Ungheria, si è trovata schierata nei due conflitti mondiali dalla parte sbagliata, ma la sorte le è stata meno avversa, o forse persino benigna. A ben vedere, la Croazia non ha conseguito l’obiettivo di incorporare la Bosnia Erzegovina, ma in compenso è riuscita ad appropriarsi della Slavonia, della città di Fiume e di tutte le isole del Quarnaro, di gran parte della Dalmazia e dell’Istria e dell’arcipelago di Pelagosa.6 Del resto non è andata certamente meglio per l’antagonista Serbia, che pure aveva indovinato le sue scelte, schierandosi nelle due guerre mondiali a fianco dei paesi che, alla fine, sarebbero usciti vincitori. Una Serbia oggi priva di sbocchi al mare, una Serbia che ha perso a sud il controllo della provincia del Vardar, che ha subito il divorzio dal Montenegro e che pare destinata ad uscire soccombente nell’aspro confronto con i secessionisti albanesi del Kosovo.7

A proposito di Croazia, parlando dei sogni egemonici dei nazionalisti balcanici, ricordiamo proprio le aspirazioni del nazionalismo croato. La grande

5 Nella suddivisione amministrativa della Jugoslavia in sei repubbliche, Tito si era proposto scopi precisi. La Serbia ottenne la Voivodina, regione dove vivevano consistenti minoranze ungheresi e romene, ed il Kossovo, popolato in larga maggioranza da Albanesi, ma si vide amputare la parte meridionale, la provincia del Vardar, abitata da una pluralità di etnie, fra le quali il gruppo etnico più numeroso, quello slavo-macedone, sulla base di stime attendibili, superava di poco la metà della popolazione, per creare la Repubblica macedone (Mauri 1995). 6 In realtà la Croazia è riuscita a conseguire alcuni suoi importanti obiettivi di espansione territoriale per la circostanza di essersi trovata per ben due volte, al termine delle due guerre mondiali, inserita in una compagine statuale plurinazionale nella quale la posizione dominante era detenuta dalla Serbia. Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel primo dopoguerra e la Repubblica Federale di Iugoslavia nel secondo dopoguerra.. 7 E’ interessante ricordare che, nella contesa in corso per l’indipendenza del Kosovo, l’etnia albanese porta a suo favore i medesimi argomenti a suo tempo addotti dagli Alleati a sostegno delle richieste slave per la Dalmazia durante la fase preparatoria del Trattato di Saint Germain dopo la fine della prima guerra mondiale. La Serbia, invece, fa proprie le argomentazioni formulate allora dall’Italia che si batteva per il rispetto di quanto previsto dal Patto di Londra. Contro le aspirazioni italiane si sosteneva che la decisione in merito all’attribuzione di un territorio non deve dipendere né dalla storia (appartenenza secolare e con pieno consenso alla comunità veneziana e strenua difesa contro le invasioni turche) né dalle pietre (chiese, palazzi, monumenti, sepolcri e gli onnipresenti leoni di San Marco), ma dagli abitanti e l’etnia maggioritaria al momento in Dalmazia era indubbiamente quella slava. L’Italia uscì soccombente nella contesa pur se ottenne la città di Zara, l’unico lembo di Dalmazia in cui gli italiani rappresentavano la maggioranza. La medesima sorte subirà ineluttabilmente la Serbia, pur se la soluzione più equa anche in questo caso risiederebbe nella spartizione del Kosovo fra Albania e Serbia sulla base della distribuzione etnica sul territorio.

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Croazia, nella mente dei suoi propugnatori sin dal secolo XIX, avrebbe dovuto trovare fondamento nella congiunzione di due elementi: la storia e l’etnia. Un’interpretazione estensiva e disgiunta, che alla fine prevalse, condusse alla formulazione delle seguente tesi aberrante: si sarebbero dovuti includere nella grande Croazia non solo tutti i territori che in un certo periodo storico erano stati sottoposti, anche solo nominalmente e transitoriamente, alla sovranità di uno Stato croato o ungherese-croato, ma anche tutte le terre che, pur non avendo mai fatto parte in passato di tale compagine statale, ospitavano comunque una consistente, ma non necessariamente maggioritaria, presenza di popolazione croata.8

Come di vede, l’area geografica dell’Europa caratterizzata ancora oggi da maggior turbolenza è rappresentata indubbiamente dai paesi in precedenza inclusi nella Federazione Iugoslava, che ne hanno ereditato le politiche improntate all’espansione territoriale ad ogni costo, portate avanti con spietata determinazione e alternando l’astuzia all’arroganza.

Evidentemente i confini pretesi o semplicemente auspicati dai vari nazionalismi spesso si sovrappongono. Le ragioni alla base delle rivendicazioni territoriali appaiono eterogenee dal momento che ognuno sceglie e propaganda gli argomenti, non sempre validi e non sempre coerenti fra loro, di volta in volta reputati più opportuni in funzione di determinati obiettivi (la geografia fisica, la geopolitica, la storia, l’economia, la genetica, la presenza di etnie nazionali, pur se rappresentano solo minoranze, la toponomastica, l’idioma parlato e le sue radici vicine o lontane).

Non infrequentemente, poi, si ricorre disinvoltamente ad argomentazioni prive di logica o ad interpretazioni pretestuose di eventi storici e di dati e, nei casi estremi, a veri e propri falsi come quando si sostiene che i popoli che abitavano nell’antichità l’area danubiano-balcanica come gli illiri, i macedoni ed i traci appartenessero alla grande famiglia slava o ne fossero strettamente apparentati. Non diversa è la linea seguita dai nazionalisti in Turchia, dove si pretende falsamente che gli ittiti, antichi abitatori della penisola anatolica, appartenessero, come i turchi, alla famiglia altaica. Senza dubbio mostrano maggiore ragionevolezza a questo riguardo i nazionalisti ungheresi quando sostengono che il popolo magiaro si è insediato su terre spopolate9 in seguito a precedenti calamitose invasioni, senza avere l’impudenza di considerare i celti, gli illiri ed i daci, precedenti abitatori di queste terre, come popoli appartenenti alla famiglia uralica.

Il mondo accademico in alcuni di questi paesi è stato coinvolto in questi scontri tra nazionalismi e gli storici, i geografi, gli etnologi ed i filologi si sono sentiti spesso in dovere di mobilitarsi al servizio della politica per supportare e legittimare in qualche modo le rivendicazioni territoriali formulate dai nazionalismi. Questa strumentalizzazione della storia e di altre discipline accademiche ha portato talora ad una riprovevole dequalificazione del livello degli studi.

E’ preoccupante costatare che anche i libri di testo scolastici nei paesi indicati riportano spesso stereotipi farneticanti improntati a queste pulsioni di

8 In realtà l’odierna Croazia incorpora anche territori, come ad esempio la costa occidentale dell’Istria, nei quali l’etnia croata, anche sotto l’amministrazione austriaca, rappresentava solamente un’esigua minoranza. 9 Si avrà modo di costatare in seguito che, sulla base dei risultati di indagini genetiche, anche l’idea di un territorio spopolato all’arrivo dell’immigrazione-invasione ungherese non trova riscontri attendibili.

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nazionalismo.10 Maria Donkova (2000) lamenta ad esempio che in Bulgaria si parli costantemente di “terre bulgare” anche con riferimento ad avvenimenti storici svoltisi nell’antica Tracia molti secoli prima della calata dei Bulgari verso la penisola balcanica. Non diversamente in Croazia si rivendicano all’arte croata opere d’arte di diverse epoche che non hanno origini croate e persino statue risalenti all’antichità greco-romana. Potremmo presentare come arte veneziana i cavalli di San Marco e come arte romana gli obelischi egizi di piazza San Pietro e di piazza Navona a Roma senza cadere nel ridicolo? Purtroppo questi esempi non sono casi isolati, ma sono il frutto di atteggiamenti generalizzati in quasi tutta l’area balcanica e nella penisola anatolica.

4. Tipologie di confini L’analisi storica della dinamica dei confini orientali italiani nel vasto arco

temporale di due millenni compiuta da Luigi Tomaz è di ben altra stoffa, il metodo è rigoroso, non vi è posto né per animosità né per interpretazioni distorte o di fantasia. L’Autore, pur non nascondendo i propri sentimenti di profugo dall’isola di Cherso, una delle terre irrimediabilmente perdute dall’Italia, si sforza di essere sereno ed obiettivo, anche se, ovviamente, non si può ragionevolmente pretendere da lui un assoluto e freddo distacco dai temi trattati. La sua opera non mira suscitare polemiche ed a seminare odio ed incomprensione fra i popoli, ma, semmai, a conferire chiarezza a certi episodi meno noti, spesso negletti o volutamente mantenuti oscuri delle complesse vicende storiche dell’area adriatica.

Un discorso generico sui confini genera facilmente confusione di idee, in quanto vi sono non trascurabili differenze, anche concettuali, fra i confini fisici (i cosiddetti confini naturali), i confini fra Nazioni, i confini fra Stati, per non parlare poi anche di confini etnici e di confini storici. Dal momento che i confini etnici e quelli storici sono strettamente legati al tema dei confini nazionali e dei confini statali, ci sembra opportuno focalizzare l’attenzione su questi ultimi due. Riteniamo, tuttavia, che a questo punto sia necessaria una premessa di ordine semantico. Si deve, infatti, distinguere fra i seguenti concetti:

(a) la regione geografica, talora denominata con un aggettivo che si riferisce ad una specifica nazione o ad un popolo e che può risultare talora fuorviante;11

(b) lo Stato; (c) la Nazione.12

10 Fra le numerose prese di posizione degli studiosi in questi paesi che suscitano perplessità ricordiamo la singolare accusa di tradimento dei fratelli slavi rivolta con astio all’Unione Sovietica dallo sloveno Joze Pirjevec ad un convegno di studi storici tenutosi a Zagabria nel dicembre 2007. Secondo la tesi del relatore citato, l’iniquità rappresentata dal ritorno di Trieste all’Italia e del conseguente mancato ricongiungimento di questa città alla Slovenia sarebbe imputabile soprattutto al governo di Mosca (v. “Storici croati sul trattato di pace del ‘47”, Coordinamento Adriatico”, n. 4, 2007, p. 9). 11 Si pensi, ad esempio, alla parte orientale della Turchia odierna, che nelle tavole di geografia fisica è indicata frequentemente sotto il nome di Armenia, suscitando nei vari paesi occidentali le proteste della diplomazia turca. Egualmente fuorviante è il nome di Macedonia che appare nelle carte geografiche fisiche e che include territori appartenenti a cinque diversi Stati (Albania, Bulgaria, Grecia, Macedonia ex iugoslava e Serbia) ed abitati da diverse etnie (bulgari, greci, macero-slavi, albanesi, aromani, serbi, zingari e turchi). Anche la Moldavia delle carte fisiche è suddivisa fra tre Stati (Repubblica Moldava, Romania e Ucraina) nelle carte politiche, ma gli abitanti nelle tre componenti sono in maggioranza di etnia romena.

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Innanzitutto osserviamo la regione geografica delimitata da confini fisici e possiamo rilevare come la sua individuazione non sia in molti casi né agevole né incontrovertibile. I confini fisici sono rappresentati dalle coste marine o lacustri, dal corso dei fiumi, dalle catene montuose, o per meglio dire dallo spartiacque e quindi sempre dall’acqua. L’importanza di questi confini, vale la pena di ricordarlo, è all’origine maturata in un’ottica difensiva, dal momento che questi confini erano visti come un baluardo alle invasioni di altri popoli. Si deve inoltre pensare che questi confini naturali erano in passato indispensabili in assenza di carte, di barriere e di demarcazioni evidenti sul territorio.

Le grandi isole e gli arcipelaghi rappresentano casi di facile identificazione di regioni geografiche: si pensi in Europa alla Gran Bretagna, all’Irlanda, all’Islanda. Anche le grandi penisole, quando sono delimitate nel punto di attacco all’area continentale da catene montuose, sono agevolmente identificabili. Si possono citare al riguardo in Europa le penisole iberica e italiana, e, con qualche perplessità, quella ellenica e, in Asia, la penisola anatolica, quella indiana e quella coreana. Più difficile risulta l’individuazione di regioni geografiche interne nel continente europeo ad eccezione, forse della regione gallica, una regione istmica situata fra Mare del Nord e Oceano Atlantico da una parte e Mare Mediterraneo dall’altra, saldata ad oriente al corpo dell’Europa e ad occidente alla penisola iberica, delimitata dai Pirenei. I confini orientali di questa regione sono tradizionalmente indicati nelle vette delle Alpi Occidentali, nel Giura elvetico e nel corso del Reno. Nell’Europa orientale si possono forse attribuire confini fisici d’acqua alla regione dacica seguendo i corsi dei fiumi Tibisco, Danubio, un piccolo tratto di costa del Mar Nero e Dnestr (Nistro).

L’analisi dei limiti naturali della regione italiana, segnati dallo spartiacque alpino e dal mare, rivela confini che, in complesso, sono tra i più chiari e meno discutibili del nostro continente. Le uniche serie incertezze riguardano i confini orientali, dove tradizionalmente si indicano la catena delle Alpi Giulie ed il golfo del Quarnaro (a cui fa riferimento anche Dante Alighieri), ma che lasciano spazio ad una gamma di altre tesi, racchiusa tra l’ipotesi minimale di una frontiera lungo il corso dell’Isonzo (propugnata in passato dall’Austria), che escluderebbe l’intera Venezia Giulia, ed un’ipotesi all’estremo opposto, che contemplerebbe la continuazione dello spartiacque dalle Alpi Giulie, attraverso i monti Capella, fino alle catene delle Alpi Bebie e delle Alpi Dinariche e che racchiuderebbe anche la Dalmazia nella regione fisica italiana. All’interno di questi due estremi si collocano vari confini storici, diligentemente elencati da Tomaz, fra i quali, nell’assetto regionale augusteo dell’Italia romana, il limes di natura amministrativa lungo il fiume Arsa segnava la fine della X Regione, denominata Venetia et Histria .

5. I confini dello Stato Se in genere i confini fisici sono spesso incerti, discutibili o del tutto assenti,

ben definiti e riconosciuti da accordi internazionali sono, invece, i confini statali. Lo Stato è, infatti, un’entità giuridico-politica che ha sovranità su un territorio dai confini certi. Il suo territorio ed il tracciato dei suoi confini sono sanciti da atti ufficiali di diritto internazionale. Alla base dello Stato vi deve essere, infatti, la

12 La scuola anglosassone, con il consueto pragmatismo, differenzia frequentemente i tre seguenti concetti: (a) Nation = cultural entity; (b) State = Law-Political entity; (c) Country = geographical entity.

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presenza congiunta di tre elementi fondamentali: la popolazione, il territorio, la sovranità. Salvo casi particolari, come quelli rappresentati dalla Repubblica turca di Cipro del Nord e dalla Transnistria, gli Stati europei e le loro frontiere hanno riconoscimento internazionale. I due stati-fantasma appena citati possono sopravvivere solo grazie agli aiuti e alla presenza militare di un altro Paese: la XIV armata russa bivacca dal momento della dissoluzione dell’URSS nella parte della Moldavia situata ad est del corso del Dnestr mentre i militari turchi presidiano dal 1974 la porzione settentrionale dell’isola di Cipro da loro conquistata e nella quale è confluita l’intera popolazione turca dell’isola cui si sono aggiunti molti turchi immigrati dalla vicina Anatolia dopo che dall’isola era stata espulsa la popolazione indigena di etnia greca.13 Vi è quindi una notevole differenza fra le due situazioni dianzi menzionate.

Lo Stato turco-cipriota, riconosciuto solamente dalla Turchia, registra una popolazione omogenea, quasi interamente turca (98% sul totale), mentre i pieds-noirs russi presenti in Transnistria, una compagine che si definisce Stato, ma che neppure la Russia riconosce ufficialmente, rappresentano solo una minoranza anche nella stretta fascia di territorio di cui si sono impadroniti con la forza e nel quale é stato imposto l’uso della lingua russa come idioma ufficiale.14

6. I confini della Nazione Al contrario dei confini statali, i confini delle Nazioni sono nebulosi e

controversi. Anzi, a ben vedere, è lo stesso concetto di Nazione a non essere affatto chiaro, pur se ognuno di noi pensa, invece, di averlo lucido in mente.

13 L’interesse della Turchia per la vicina Cipro è evidente e l’appoggio determinante, anche militare, alla secessione della parte settentrionale dell’isola non necessita quindi di particolari spiegazioni. Meno agevole è invece comprendere la posizione della Moldavia nei disegni strategici di Mosca, pur se non vi sono dubbi sulla continuità della politica russa in questo scacchiere a partire dalla dissoluzione dell’URSS, indipendentemente dai cambiamenti registrati nei palazzi del Cremlino. La comprensione del gioco russo diventa forse meno difficile osservando la politica seguita dalla Russia in Transcaucasia, dove si è costatato un costante appoggio fornito alle regioni secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale che si sono autoproclamate indipendenti dalla Georgia allo scopo di indebolire e condizionare le autorità centrali di questa repubblica ex sovietica che vorrebbe ottenere un’indipendenza non solo formale da Mosca. Un altro potente strumento di pressione sulle repubbliche ex sovietiche è rappresentato dal controllo russo sulle forniture di energia. La sobillazione alla secessione della Transnistria, l’intervento militare a suo favore ed il costante sostegno fornito a questo pseudo-stato possono essere interpretati come uno strumento di pressione non solo sulla Moldavia (per impedirle una riunificazione con la Romania), ma anche su un’area più vasta che abbraccia anche la Romania e l’Ucraina. La stessa Unione Europea si è trovata in difficoltà dal momento che le trattative per l’ingresso della Moldavia facendo seguito all’ingresso delle tre repubbliche baltiche ex sovietiche di Estonia, Lettonia e Lituania, hanno trovato in questa vicenda un ostacolo insormontabile. 14 La Transnistria, che occupa la parte orientale, oltre il Dnestr (Nistro), della Moldavia, è una repubblica che si è proclamata indipendente, priva di democrazia e di riconoscimenti internazionali, ma dotata di confini ben delimitati e saldamente presidiati e di propri poteri. Questo pseudo-stato è governato con metodi polizieschi da una cupola di vetero-comunisti russi dediti ad ogni sorta di traffici. Il nome ufficiale russo è Pridnestroskaja Moldovskaja Respublika, abbreviato in Pridnestrovie e la bandiera è simile a quella della ex Unione Sovietica con inclusi falce, martello e stella. Da notare che i pieds noirs russi che controllano il piccolo Stato, sulla base delle stime più attendibili, ma non ufficiali, rappresenterebbero solamente meno di un terzo della popolazione complessiva mentre la maggioranza relativa spetterebbe ai moldavo-romeni. Nell’intera Moldavia (Transnistria compresa), invece, l’etnia russa rappresenta solo il 13% della popolazione totale contro quasi il 65% dell’etnia autoctona moldavo-romena e poco meno del 14% dell’etnia ucraina.

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Ulteriore complessità nel problema in questione deriva dai flussi migratori, transnazionali e transcontinentali, in corso in ambito europeo o che si dirigono dai continenti extraeuropei verso l’Europa. Flussi migratori che incidono, talora anche pesantemente sulla composizione etnica delle popolazioni.

La Nazione è definita convenzionalmente come insieme di genti che condividono in tutto o in parte vari elementi come origine, lingua, cultura, etnia, religione, razza, identità, storia e che abitano in un dato territorio. Il territorio, secondo alcuni autori, sarebbe un elemento essenziale per connotare una Nazione, mentre secondo altri, non sarebbe indispensabile. Questa tesi è stata sostenuta soprattutto con riferimento ai periodi storici delle grandi migrazioni. Si cita spesso a questo riguardo il caso del popolo “rom” che avrebbe una propria identità nazionale pur essendo sempre stato privo, almeno in Europa, di un proprio territorio.

Recentemente fra i parametri oggettivi si è cercato di inserire anche quelli offerti dalla genetica traendo spunto dai notevoli progressi compiuti nelle indagini condotte recentemente da questa scienza. Tuttavia, prescindendo da casi particolari come quello della Nazione basca15 o dei citati rom,16 i risultati ottenuti sono stati deludenti e comunque assai diversi dalle aspettative di coloro che strumentalmente avevano promosso le indagini. In certi casi poi una loro errata interpretazione ha provocato singolari equivoci. Con riferimento ai casi di risultati deludenti citiamo l’Ungheria. Questo paese, anche a seguito di un significativo ridimensionamento territoriale imposto dal Trattato del Trianon del 1920, detiene il primato dell’omogeneità etnico-linguistica nell’intera area danubiano-balcanica (i magiari rappresentano, infatti, quasi il 97% della popolazione complessiva di questo Stato), ma un’indagine genetica ha rivelato che i geni uralici (riferibili non solo ai magiari, ma anche ad altri popoli della medesima famiglia uralica che hanno abitato questo territorio come avari, cumani, pecceneghi e unni) rappresentano solo il 12% circa del totale ( Cavalli-Sforza 1996).

Curioso, se non umoristico, è poi il caso della presunta origine turca dei toscani (e quindi dei grandi personaggi del Rinascimento). Recentemente un corrispondente della RAI da Istanbul riferiva, tra l’incredulo e l’ironico, una notizia riportata enfaticamente dalla stampa locale, secondo la quale, sulla base di rigorose indagini genetiche, la popolazione odierna della Toscana non trarrebbe origine dagli antichi etruschi, come comunemente si ritiene, ma dai turchi (sic!). Stupito per questa inverosimile notizia, ho cercato attendibili conferme. Si è trattato di un equivoco. Alberto Piazza, genetista dell’Ateneo torinese, aveva comunicato nel corso di una conferenza tenutasi a Nizza, i risultati dei suoi studi indirizzati a verificare la tesi di Erodoto sull’origine in Asia Minore, e precisamente il Lidia, del popolo etrusco. Tali risultati sembrano confermare questa tesi. Si dimostrerebbe quindi che i toscani odierni discendono dagli antichi etruschi e che questi ultimi, almeno parzialmente, abbiano origine in Asia Minore. La migrazione si colloca alcuni millenni prima dell’arrivo dei turchi nella penisola

15 Nella regione situata nella parte occidentale della frontiera pirenaica tra la Francia e la Spagna, racchiusa fra i fiumi Ebro e Garonna, è riscontrabile una traccia genetica evidente che si ricollega alla presenza dell’etnia basca. Orbene è interessante ricordare che questa traccia genetica si estende in territorio spagnolo, ma soprattutto in territorio francese, ben oltre i limiti dell’area dove è tuttora in uso corrente la lingua basca (Cavalli-Sforza 1996, pp. 181-182).

16 La genetica evidenzia chiaramente la comune origine indiana dei rom (zingari), un’etnia numerosa e diffusa in numerosi paesi non solo europei, la quale tuttavia, anche a causa della scarsa propensione alla sedentarietà e alla necessità di vivere in simbiosi con altre etnie maggioritarie, non dispone di un proprio territorio nazionale.

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anatolica e conseguentemente non vi è un collegamento genetico, come pretenderebbero invece i media di Istanbul, con questo popolo originario dell’Asia centrale. Del resto un’indagine nella Turchia attuale mostrerebbe una traccia appena rilevabile di geni altaici riferibili agli invasori turchi. E’ interessante riportare quanto afferma a questo riguardo l’illustre genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza (1996, p. 191) “Quando la superiorità militare ha permesso a una forza d’occupazione numericamente piccola di soggiogare grandi masse di popolazione, l’effetto genetico degli occupanti sulla popolazione dei territori occupati è stato spesso modesto o nullo, mentre l’effetto culturale è stato di solito importante”.

Potremmo aggiungere che l’effetto culturale importante di cui fa menzione Cavalli-Sforza non necessariamente rappresenta un progresso nella cultura dei popoli soggiogati. Nella fattispecie, l’invasione turca che ha imposto, fra l’altro, la lingua e la religione, ha segnato indubbiamente un regresso culturale in quest’area che in precedenza aveva rappresentato, senza soluzione di continuità, per molti secoli un punto di forza nella civiltà del Mediterraneo orientale con importanti riflessi sull’intera area balcanica e su buona parte del Medio-Oriente.

7. Le incertezze nella definizione di Nazione E’ doveroso ricordare che nella definizione di Nazione il ruolo di ognuno

degli elementi oggettivi citati nel precedente paragrafo è differentemente ponderato e interpretato dai vari autori. E’ nota, ad esempio, la contrapposizione fra il concetto di Nazione incentrato sulla popolazione e sull’etnia e quello legato, invece, al territorio ed alla storia. Sono, tuttavia, entrati in gioco successivamente altri elementi che potremmo definire non oggettivi e quindi di difficile e soggettiva valutazione, e che a tali elementi viene attribuito particolare rilievo anche da parte alcuni di autorevoli cultori della geopolitica. In sostanza si ha l’impressione che ogni autore dotato di fantasia e creatività si costruisca liberamente un concetto di Nazione in funzione dei propri obiettivi scientifici o politici, della propria ideologia e delle proprie convenienze.

Quando si esce dagli elementi oggettivi (a loro volta non privi di incertezze) per entrare nella sfera che potremmo definire soggettiva si parla ad esempio di consapevolezza da parte delle popolazioni di condividere i connotati oggettivi menzionati o, più vagamente, di desiderio di appartenenza alla Nazione stessa, di sentimenti di volta in volta di soddisfazione, di orgoglio, di solidarietà, di sicurezza anche economica, cui si possono talvolta contrapporre rassegnazione, disaffezione, ribellione. Talora viene enfatizzata la circostanza di essere considerati dagli altri, cioè dai popoli esterni, come una Nazione.

Ernest Renan é stato in passato il sostenitore più famoso di questi innovativi connotati di appartenenza, per loro natura imponderabili, che furono illustrati nella famosa conferenza tenuta alla Sorbona l’11 marzo del 1882 sul tema “Qu’est-ce qu’une nation?” Ne è emersa la sua geniale idea di Nazione fondata sui sentimenti più che su elementi e circostanze oggettive come comunanza di etnia, di lingua e di religione. Vale a dire una Nazione intesa come un plébiscite de tous les jours, definizione, tuttavia, che è stata subito contestata e giudicata in tempi successivi da altri autori come “pirandelliana”.

In Germania, dove il concetto di Nazione è tradizionalmente fondato sull’etnia e dove autorevoli contributi di insigni studiosi hanno evidenziato la centralità del rapporto fra lingua e Nazione (si fa riferimento in particolare agli

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scritti di Johan Gottlieb Fichte e J.G. Herder), si attribuì la presa di posizione non convenzionale di Ernest Renan ad un nazionalismo che si arrampica sui vetri in cerca di giustificazioni per rivendicare alla Francia l’Alsazia, terra ceduta alla Germania al termine del conflitto franco-prussiano, dopo la sconfitta di Sedan del 1870. Dato che non si poteva far conto su elementi oggettivi era giocoforza puntare su elementi soggettivi difficilmente confutabili. L’Alsazia, che si estende sul lato sinistro del Reno, rientra, infatti, sicuramente nell’ambito dei confini fisici della regione geografica gallica, ma la larga maggioranza della sua popolazione per lingua e cultura apparteneva indiscutibilmente al mondo germanico; in sostanza una situazione, quella alsaziana, non molto dissimile da quella altoatesina, ma con in più una pregnante e recente dominazione francese.

Renan parlava di “plebisciti quotidiani”, ma nel secolo XIX di plebisciti se ne facevano pochi e frequentemente questi plebisciti erano manipolati da chi li organizzava. Anche oggi i plebisciti, non certo quotidiani, ma una tantum, rappresentano una possibilità remota per la quasi totalità delle popolazioni europee e le drammatiche vicende che hanno portato alla dissoluzione della Iugoslavia scoraggiano tentativi di emancipazione di Nazioni che non siano concordate tra le parti in modo pacifico e riconosciute a livello internazionale come nel caso della divisione della Cecoslovacchia con la contestuale nascita della Repubblica Ceca e della Slovacchia.

L’incertezza, come si è affermato, riguarda l’esistenza stessa di una Nazione prima ancora che il tracciato dei confini nazionali. Pochi hanno dubbi sul fatto che Stati come Francia, Italia, Spagna, siano anche Nazioni, pur se i confini dello Stato non corrispondono quasi mai a quelli della Nazione.17 Seri dubbi sorgerebbero invece nell’attribuire la qualifica di Nazione a paesi come l’Austria, il Belgio, Cipro, la Moldavia, la Svizzera, se si adottassero parametri oggettivi, come ad esempio quelli basati sulla lingua e la cultura. Anche il Kosovo, nell’ipotesi di ottenimento dell’indipendenza, sarebbe uno Stato senza Nazione.

Chi poi esiterebbe a negare la qualifica di Nazione a ministati come Andorra, Liechtenstein, Monaco e San Marino? Eppure non mancano autori che sostengono il contrario (Hass 2004). Negli Stati Uniti, poi, si attribuiscono la qualifica di Nazione anche piccole tribù indiane. Nel mondo arabo si parla sia di “Nazione araba” (che estendendosi dal Golfo Persico/Arabo all’Oceano Atlantico comprenderebbe anche il popolo palestinese) sia di “Nazione palestinese”. Si tratta di due affermazioni che ci sembrano inconciliabili fra loro sul piano della logica. Tuttavia alla base di queste sconcertanti dichiarazioni potrebbe emergere il problema delle traduzioni e del diverso significato attribuito ai termini nei vari contesti culturali.

8. Uno Stato senza Nazione: la Moldavia Un caso meno noto di Stato senza Nazione (nationless State) è

rappresentato dalla citata Moldavia (Moldova), uno Stato, membro della Comunità degli Stati Indipendenti, che ha una superficie di 33.700 kmq. ed una popolazione non trascurabile dal momento che è grosso modo corrispondente a quella della Croazia od a quella della Norvegia. A questo punto è necessario aprire una breve parentesi storica per spiegare la singolare recente nascita di questo Stato dell’Europa orientale che porta il nome di uno storico principato

17 Alcuni autori si riferiscono, invece, ai citati Stati definendoli come agglomerati abbastanza omogenei di nazioni.

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danubiano. Orbene, al termine della seconda guerra mondiale la Romania dovette cedere all’Unione Sovietica la Bessarabia e la Bucovina settentrionale.18

In un primo momento si era pensato a Mosca di assegnare all’Ucraina l’intero bottino territoriale strappato alla Romania (circa il 20% del suo territorio), ma il timore di concentrare qualche milione di romeni in questa repubblica sovietica fece prevalere l’idea di dividere le terre romene acquisite. L’Ucraina sovietica ottenne così la Bucovina settentrionale, che oggi costituisce il Chernivtsi Oblast, il territorio di Herţa e parte (circa un terzo) della Bessarabia, compresa la fascia costiera che le consentiva di accedere al delta del Danubio e di partecipare al controllo della navigazione su questo importante fiume che collega il cuore dell’Europa con il Mar Nero.19 Fu così creata a tavolino una nuova repubblica sovietica land-locked, la Moldavia,20 aggregando alla Bessarabia centrale il lembo occidentale della preesistente Repubblica Autonoma Sovietica Socialista Moldava (sorta nel 1924), mentre la restante parte di detta repubblica autonoma, compresa la vecchia capitale Balta, fu inghiottita dalla Repubblica Sovietica dell’Ucraina che si era vista attribuire, oltre alla già citata Bucovina settentrionale ed al territorio romeno di Herţa, anche cospicue porzioni della Polonia in Galizia, Podolia e Volinia, e della Cecoslovacchia. Questo nuovo assetto territoriale consentiva di dividere l’etnia romena presente in seno all’URSS nel modo seguente: un quarto circa all’Ucraina ed il resto alla Moldavia. E’ interessante ricordare che, a seguito del nuovo tracciato dei confini in questa parte dell’Europa, la fortificazioni romane a difesa della Dacia sono oggi divise fra tre Stati: Moldavia, Romania e Ucraina (Bessarabia costiera, denominata anche Bugeac, e Podolia).

Orbene, durante mezzo secolo di dominazione sovietica si confrontarono in Moldavia due differenti politiche adottate da parte delle autorità di Mosca.21 La prima si poneva brutalmente come obiettivo la snazionalizzazione con l’adozione di un sistema di misure russificatrici.22 Si puntava da un lato sul mutamento forzoso della composizione etnica ottenuto a mezzo di deportazioni e di immigrazione di altre etnie dell’impero sovietico (politica seguita anche in Bucovina) e dall’altro sull’assimilazione della popolazione autoctona moldava

18 E’ opportuno precisare che già nel giugno del 1940, in forza di un diktat imposto dal governo di Mosca a quello di Bucarest, la Bessarabia e la Bucovina settentrionale erano state occupate dall’armata rossa ed annesse all’Unione Sovietica. Le aspirazioni sovietiche sulla Bessarabia, regione appartenuta sino al 1918 all’Impero russo, erano contemplate da uno dei protocolli segreti allegati al Patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 in merito alla spartizione delle zone di controllo nell’Europa orientale mentre la rivendicazione della Bucovina, regione mitteleuropea già sotto sovranità austriaca, era stata una sorpresa anche per il governo di Berlino. Successivamente, a seguito dell’entrata in guerra a fianco della Germania contro l’URSS, la Romania aveva recuperato i territori che le erano stati sottratti. Questi territori furono poi nuovamente incorporati nell’Unione Sovietica al termine del conflitto. 19 Nella fascia costiera della Bessarabia vi era la mitica città bianca, l’antica Leukopolis (in romeno Cetatea Alba). La città nel medioevo era frequentata dai genovesi che vi caricavano i cereali sulle loro navi e la chiamavano Moncastro. Oggi la città è stata ribatezzata dall’Ucraina con il nome di Bilhorod Dnistrovsky. 20 La Moldavia, con il suo lembo sud-orientale arriva in prossimità del Mar Nero, ma con grande rammarico delle autorità di Chişinau non lo raggiunge. Il singolare ed irragionevole tracciato del confine deciso da Mosca aveva essenzialmente lo scopo di concedere all’Ucraina la continuità territoriale nella fascia costiera sino al Delta del Danubio. 21 In realtà queste due politiche apparentemente inconciliabili seguite da Mosca si erano già confrontate in Transnistria durante il periodo interbellico. 22 Tale politica era stata già attuata in questa regione a partire dagli inizi del secolo XIX, quando era stata inserita nell’impero zarista. A seguito della rivoluzione russa, la Bessarabia aveva potuto ottenere l’indipendenza per poi ricongiungersi con la patria romena.

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attraverso la diffusione della lingua russa, resa obbligatoria in tutte le scuole. Anche toponimi e nomi e cognomi delle persone vennero spesso russificati in quest’ottica.

Una seconda, forse più intelligente e sicuramente meno violenta linea politica, intrapresa in un secondo momento e alla fine, tuttavia, prevalente al Cremlino, mirava invece a blandire i moldavi per differenziarli dal resto dei romeni convincendoli di appartenere alla Nazione moldava, una Nazione diversa dalla Romania (King 1999). Innanzitutto si intervenne sulla lingua. Fu creata una lingua autonoma, denominata ufficialmente “moldavo”, per contrapporla al “romeno” e si rese obbligatorio l’uso dell’alfabeto cirillico in sostituzione di quello latino allo scopo di enfatizzare graficamente la differenza tra le due lingue. Lavorando su questa nuova lingua si eliminarono tutti i neologismi del “romeno”, attinti soprattutto dal francese, e si introdussero in abbondanza parole russe. Nei testi scolastici, sino agli anni ’70, si sosteneva spudoratamente che la lingua moldava apparteneva alla famiglia delle lingue slave. Si poi ebbe l’espunzione dai libri scolastici di molti autori romeni, sostituiti da autori russi, e si riscrissero i testi di storia presentando ingannevolmente la Moldavia non più come regione incontestabilmente romena per etnia, storia e geografia, ma come Nazione-preda, arbitrariamente risucchiata nel 1918 dalla Romania (che già ne possedeva una parte dal secolo XIX) grazie ai loschi e spregiudicati intrighi dell’imperial-capitalismo internazionale ed in particolare di quello francese (Dima 1991).

Non mancava in questa sottile opera di differenziazione culturale promossa dalle Autorità sovietiche una visione decisamente “razzista”, del tutto inattesa in un regime comunista, ma che non sarebbe spiaciuta a Gobineau. Tale politica mirava a creare una identità nazionale moldava anche su basi biologiche, facendo sentire i moldavi diversi dai romeni anche in base ad ipotetiche differenze razziali, pur nel riconoscimento delle comune matrice latina, della quale anche i moldavi andavano fieri. Si individuava l’origine dei moldavi nell’incontro del ceppo latino con l’etnia pura degli slavi, mentre i romeni apparivano come il frutto del meticciato dei daco-romani con le varie etnie balcaniche sia autoctone (albanesi e greci) sia immigrate dall’Asia (magiari, slavi meridionali, armeni, turchi e zingari). Si distinguevano perciò i moldavi, dotati di un’indole franca e laboriosa, e qualificati come razza superiore anche per le caratteristiche somatiche slavo-nordiche (carnagione ed occhi chiari, capelli biondi, alta statura) dai romeni, razza inferiore, infingardi e caratterizzati da tratti somatici mediterranei (occhi e capelli scuri, colorito bruno, bassa statura) e da temperamento levantino (Dima 1991).

Accettando la tesi della Moldavia-nazione si sarebbe rovesciata la posizione della Romania, da paese vittima di un’ingiusta mutilazione territoriale a paese usurpatore della parte di Moldavia non ceduta all’URSS.23 Si sarebbero in tal modo create le basi per una futura conflittualità tra due Stati e per rivendicazioni territoriali al fine di riunificare la “Nazione moldava”. Si forniva quindi all’Unione Sovietica un ottimo pretesto per mettere le mani sulla Moldavia romena alla prima occasione. A seguito della dissoluzione dell’URSS, la Moldavia ex-sovietica diventava uno Stato indipendente nel 1991, ma a causa di una serie di fattori che condizionavano una scelta, non si ricongiungeva alla Romania.

Ancor oggi l’Ucraina, al fine di ridimensionare il peso dell’etnia romena in seno alla propria popolazione, ha adottato un singolare metodo di classificazione

23 La nascita della Romania si ha con la contemporanea investitura del principe Cuza al vertice dei due principati di Moldavia e di Valacchia (v. WP Storia della banca in Romania)

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su base etnica introdotto a suo tempo nelle statistiche sovietiche, con il quale si differenziava il gruppo etnico romeno da quello moldavo, ed ha motivato questa scelta con la presenza di due Stati distinti: la Romania e la Moldavia. Seguendo lo stesso criterio l’Italia potrebbe paradossalmente suddividere, nelle proprie statistiche sulla popolazione, le minoranze alloglotte tedesche in due gruppi: austriache e germaniche. Sulla base della differenziazione etnica imposta dalle autorità, il sistema scolastico dell’Ucraina prevede scuole separate per le minoranze romene e moldave. Nelle prime, accanto alla lingua ucraina, si insegna il romeno, mentre nelle seconde si insegna il “moldavo” (romeno scritto in caratteri cirillici).

9. La Macedonia, uno Stato con un nome contestato Ed infine non si può omettere di ricordare un altro caso singolare di Stato

europeo oggetto di controversie internazionali. Si tratta della Repubblica di Macedonia, uno Stato riconosciuto a livello internazionale con il nome di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Parlando di questo nuovo Stato, alcuni studiosi, soprattutto bulgari, sollevano dubbi in merito all’esistenza di una specifica Nazione. Tuttavia il vero problema nei rapporti internazionali non dipende dalle incertezze sull’esistenza di una compagine nazionale, ma è rappresentato dal prestigioso nome “Macedonia” che questo Stato si è arbitrariamente attribuito come titolo nobiliare e che è stato subito contestato dalla Grecia. Il governo di Skopje fa quadrato attorno al nome “Macedonia” sostenendo che è pienamente legittimo in quanto sancito dalla Costituzione, mentre autorevoli studiosi greci ribattono che una Costituzione, pur se approvata da un parlamento democraticamente eletto, non ha il potere di creare una Nazione ex novo (ma solo di creare uno Stato), di attribuirle un nome a sua discrezione e di alterare i dati della storia e della geografia (Desopotopoulos 2008).

In realtà per trovare le radici del problema si deve risalire al secolo scorso e precisamente al secondo dopoguerra. Tito nell’organizzare sul piano politico-amministrativo la Federazione Iugoslava aveva staccato dalla Repubblica Serba la sua provincia meridionale denominata Vardar, dal fiume che l’attraversa per creare una nuova repubblica alla quale aveva attribuito il nome di Macedonia, dal momento nasceva su territorio che aveva fatto parte della Macedonia ottomana e che incorporava oltre a parti di territori denominati nell’evo antico Dardania e Peonia anche un lembo dello storico regno di Macedonia.24 In realtà questa scelta per una nuova repubblica federata si proponeva il duplice scopo in primis di conferire all’interno della federazione maggior equilibrio fra le repubbliche componenti, ridimensionando la popolosa Serbia, e secondariamente, mediante l’attribuzione del nome “Macedonia”, di creare i presupposti per una rivendicazione dell’omonima regione settentrionale della Grecia con l’obiettivo finale di acquisire uno sbocco al Mare Egeo (Mauri 1995, Desopotopoulos 2008).

Il nuovo Stato sorto nel 199.. a seguito della dissoluzione della Federazione Iugoslava ha ritenuto opportuno mantenere il nome di “Macedonia” e si sono rese esplicite le aspirazioni verso un obiettivo di “unità nazionale” che implicava rivendicazioni territoriali a spese dei due Stati confinanti e vedeva come preda

24 La Serbia con Trattato di Bucarest del 1913, al termine della guerra balcanica, aveva partecipato con la Bulgaria e la Grecia alla spartizione del territorio macedone. La Grecia aveva acquisito la parte maggiore.

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prioritaria la regione settentrionale greca denominata Macedonia.25 La popolazione di questo Stato è composta da una molteplicità di etnie fra le quali prevale quella slavo-macedone che parla un idioma slavo e le cui origini non sono da ricercare fra gli antichi macedoni.26

La Grecia ha immediatamente contestato non la nascita di questo Stato, ma il suo nome, ottenendo nelle sedi internazionali che il nome ufficiale fosse il citato FYROM e gli studiosi ellenici hanno formulato proposte per nomi alternativi come ad esempio “Vardaroslavia” o “Dardanoslavia”, il primo fondato sulla geografia fisica ed il secondo sulla storia (Desopotopoulos 2008).27 Anche la consistente minoranza albanese (circa un terzo della popolazione complessiva della repubblica macedone) che vive nella parte occidentale del paese contesta il nome “Macedonia”, ma per un differente motivo. Essa aspira, infatti, a far parte di un ipotetico grande Stato albanese che comprenda tutte le terre dell’area abitate in maggioranza da albanesi.

10. Confini naturali, confini statali e confini nazionali A commento dei concetti sinteticamente enunciati nei precedenti paragrafi,

appare chiaro, guardando la realtà geopolitica, che i concetti di Regione fisica, Stato e Nazione difficilmente in concreto coincidono. L’Islanda rappresenta in Europa la fortunata eccezione, dato che offre una coincidenza perfetta fra regione geografica, Stato e Nazione. L’Irlanda è un’isola divisa tra due Stati (Eire e Ulster del Regno Unito), come del resto lo sono Hispaniola (Haiti e Repubblica Dominicana), Timor (Indonesia e Timor Est), la Nuova Guinea (Indonesia e Papua Nuova Guinea) e Samoa (Samoa e Stati Uniti), mentre il Borneo è diviso fra tre Stati (Indonesia, Malaysia e Brunei). La penisola coreana è una sola Nazione, oltre che una regione fisica, divisa, tuttavia, in due Stati (Corea del Nord e Corea del Sud). La Turchia, sia come Stato che come Nazione, si estende oltre la regione fisica anatolica, comprendendo anche la Tracia sud-orientale in Europa. La Gran Bretagna è un’isola-Stato divisa in tre Nazioni (Inghilterra, Galles e Scozia). La penisola iberica contiene in toto o parzialmente quattro Stati (Spagna, Portogallo, Andorra e Gibilterra B.O.T.) ed almeno quattro Nazioni delle quali due, Paese Basco e Catalogna, travalicano sia il confine di Stato sia quello fisico con la Francia. Talora il differente tracciato dei confini statali rispetto a quelli naturali suscita non poche perplessità. Basti pensare allo Stato moldavo che giunge quasi a lambire il Mar Nero, ma non ha uno sbocco su questo mare od al confine di Stato fra Estonia e Russia, che privilegia il secondo paese soprattutto

25 E’ facile intravedere una similitudine con il caso della Moldavia sovietica il cui nome corrisponde a quella di una regione storica della Romania, già principato di Moldavia. 26 A seguito conformismo dominante in una certa tipologia di pubblicazioni che attingono acriticamente dati dalle fonti ufficiali dei vari stati, si sta diffondendo l’uso scorretto dell’aggettivo “macedone” anche con riferimento al gruppo etnico maggioritario in questo stato plurietnico. Non esiste oggi un’etnia macedone come non esiste un’etnia istriana, ma esistono nella regione geografica denominata Macedonia (suddivisa fra più stati) diverse etnie come gli slavo-macedoni, gli aromani (romeno-macedoni), i greci (elleno-macedoni), ecc. 27 Riteniamo che il nome più opportuno da attribuire a questo nuovo Stato sia Macedoslavia, un nome che richiama congiuntamente: (1) la regione geografica (la Macedonia), (2) l’etnia maggioritaria appartenente alla famiglia slava e (3) lo Stato federale dal cui grembo la FYROM è nata (la Iugoslavia).

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all’altezza del Lago Pskov.28 Parlando di Nazioni alle quali non corrisponde uno Stato (stateless Nations) oltre ai casi citati si può pensare al Kurdistan ed al Tibet.

A partire dalla seconda metà del ‘700 si è poi diffuso in Europa il mito dello Stato-nazione, uno Stato che fa esplicito riferimento ad una Nazione e che anzi aspira ad identificarsi in essa. Tuttavia i confini dello Stato non necessariamente coincidono con quelli della Nazione. Se guardiamo la Francia, l’esempio classico di Stato nazionale, sulla base dei parametri enunciati e non di sondaggi d’opinione, possiamo osservare che i confini fisici francesi in Europa, che escludono sostanzialmente solo la Corsica (compresa come le altre grandi isole del Tirreno nella regione fisica italiana), sono più ampi sia di quelli dello Stato sia di quelli della Nazione transalpina. Se adottiamo per la Nazione francese il modello fondato sulla lingua, pur non considerando come entità nazionali separate (data l’affinità linguistica) l’Occitania e l’area linguistica franco-provenzale, si dovrebbero escludere i territori dello Stato francese abitati originariamente da baschi, catalani, italiani (compresi i corsi), tedeschi, fiamminghi e bretoni, ma si dovrebbero includere, invece, regioni di lingua francese o franco-provenzale appartenenti ad altri Stati come la Vallonia belga, la Svizzera Romanda e la Valle d’Aosta italiana.

L’Italia fisica, nella sua conformazione tradizionalmente e più largamente accettata, presenta una superficie di circa 324.000 kmq., decisamente superiore rispetto a quella occupata dalla Repubblica Italiana (poco più di 301.000 kmq.), dal momento che le vengono ascritti anche territori che fanno parte oggi di altri Stati come Francia, Svizzera, Slovenia e Croazia e che comprende anche quattro piccoli Stati indipendenti come Malta, la Repubblica di San Marino, il Principato di Monaco e la Città del Vaticano. Lo Stato italiano, tuttavia, ingloba aree linguistiche diverse come la Sardegna, la Valle d’Aosta e l’Alto Adige, con l’esclusione delle valli ladine (analogamente a quanto si à fatto nel caso della Francia per occitani e franco-provenzali, si possono considerare come parte della Nazione italiana anche ladini, reto-romanci e friulani). Sono invece fuori dallo Stato italiano, ma non dalla Nazione italiana, territori di lingua italiana e reto-romancia che fanno parte della Confederazione Elvetica e che in gran parte si collocano a sud dello spartiacque alpino. Non si è fatto cenno di proposito ai territori tradizionalmente attribuiti alla Nazione italiana ceduti alla Iugoslavia in base ai Trattati di Parigi (1947) e di Osimo (1975) e che oggi fanno parte della Slovenia e della Croazia. Territori che al presente, a seguito di drammatici avvenimenti (le foibe e l’esodo) che hanno notevolmente ridotto la presenza dell’etnia italiana, sono abitati in maggioranza da genti slave. Questo tema sarà infatti discusso in seguito quando verrà affrontata la questione delle variazioni dei confini.

11. Le variazioni dei confini I confini naturali sono immutabili, almeno nell’arco storico considerato.

Variano, invece, sia i confini statali sia quelli nazionali. Le frontiere fra Stati hanno subito nell’Europa continentale frequenti e sensibili cambiamenti a seguito di guerre, di trattati internazionali, di scissioni, di fusioni e di secessioni di Stati, avvenute sia pacificamente sia in forma cruenta. Paradossalmente le frontiere statali più stabili d’Europa sono quelle che dividono la Spagna dal Portogallo,

28L’Estonia si affaccia sul lago in questione, ma non ne ha l’accesso.

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immutate da secoli, pur se non seguono confini naturali e se tengono poco conto delle situazioni etniche. Anche i confini svizzeri sono fra i più stabili d’Europa, invariati dal 1815, pur se non trovano riscontro né nella geografia fisica né in quella antropica.

Tra i confini statali che hanno subito nell’ultimo secolo maggiori variazioni ricordiamo quelli polacchi. A seguito della seconda guerra mondiale la Polonia è slittata di circa 200 km. verso ovest cedendo all’Unione Sovietica la sua porzione orientale per una superficie complessiva pari a circa 188.000 kmq. ed aggregandosi, in compenso, ad occidente territori in precedenza germanici sino alla linea Oder-Neisse per complessivi 112.000 kmq. Anche la Nazione polacca si è spostata assieme allo Stato polacco dal momento che parte della popolazione dei territori ceduti (che anteguerra corrispondeva a circa 15 milioni) si è riversata sul resto del paese per non finire sotto il regime sovietico e che dai territori acquisiti è stata espulsa la popolazione germanica (nel medesimo periodo abitata da circa 5 milioni di persone) per far posto ai profughi (Toschi 1959).

A questo punto si è passati dall’esame delle variazioni dei confini statali a quello dei mutamenti dei confini della Nazione. In passato i monarchi europei ricorrendo spesso alle guerre, ma non infrequentemente ai matrimoni, miravano esclusivamente ad ampliare i propri possedimenti territoriali disinteressandosi totalmente delle popolazioni che li abitavano, delle loro eredità culturali, delle etnie e quindi delle Nazioni. Dopo l’ascesa dello Stato-nazione si è attribuita sempre più importanza nel secolo scorso ai confini della Nazione anche al fine rendere più stabili i confini dello Stato evitando gli irredentismi.

I confini della Nazione sono decisamente meno variabili di quelli dello Stato. Occorrono tempi più lunghi per modificarli, non bastano di certo poche firme apposte frettolosamente su un documento ufficiale, un tratto di penna su una carta geografica ed alcune strette di mano tra i rappresentanti degli Stati coinvolti.

I confini nazionali possono variare spontaneamente ed in modo pacifico oppure a seguito di azioni più o meno violente. Quali sono i fattori di variazione dei confini nazionali? Si suole dire “o cambiano gli abitanti o la loro mente”. Quindi sono essenzialmente due i fattori di cambiamento: la demografia e l’assimilazione. In certi casi, poi, non si ha solo una modificazione del tracciato confinario della Nazione, ma è la Nazione stessa che sparisce, annichilita e fagocitata vuoi da un’altra Nazione vuoi da più Nazioni o infine smembrata fra nuove Nazioni sorte al suo interno.

Il primo fattore, ovvero la demografia, ha un impatto (attraverso la somma algebrica di nascite decessi, emigrazione ed immigrazione) non solo sulla popolazione complessiva di un territorio, ma anche sulla composizione per etnie. La composizione etnica di un territorio può variare per cause naturali quali la diversa prolificità dei vari gruppi etnici che convivono fianco a fianco, l’immigrazione e l’emigrazione spontanee oppure a seguito di interventi di forza come deportazioni ed espulsioni o con metodi sanguinari di pulizia etnica sino al genocidio (si pensi al genocidio del popolo armeno29 ad opera dei turchi). Il secondo fattore, ovvero l’assimilazione, può anch’esso operare in modo naturale, ma sono necessari tempi lunghi. Si può, tuttavia, accelerare il fenomeno ricorrendo a metodi autoritari o violenti.

29 Il genocidio ebraico ad opera dei nazisti, pur se determinato dal nazionalismo germanico nella sua dissennata proiezione razzista, non viene menzionato a questo riguardo dal momento che, a differenza del genocidio armeno, non fu deciso ed attuato in funzione di obiettivi di stabilizzazione o di espansione dei confini nazionali.

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Un’etnia minoritaria, anche se dominante sul piano politico, è frequentemente assorbita da un’etnia maggioritaria, soprattutto se la seconda possiede una cultura superiore; è il caso degli invasori germanici di Francia (franchi, burgundi, normanni), Italia (ostrogoti e longobardi) e penisola iberica (vandali e visigoti) dopo la caduta della porzione occidentale dell’Impero romano. Lo stesso fenomeno si è manifestato in Mesia e Tracia (oggi Bulgaria) con gli invasori bulgari che hanno perso la loro lingua, ma in precedenza nello stesso territorio la popolazione indigena era stata sopraffatta da invasori slavi portatori di una cultura decisamente inferiore così come si è verificato in gran parte dei territori già facenti parte della Iugoslavia.

Di contro, un’etnia subalterna, anche se preponderante sul piano numerico, può abbandonare spontaneamente e gradualmente la propria lingua, la propria cultura e talora anche la propria religione per abbracciare quelle dell’etnia dominante oppure si possono abbreviare i tempi di assimilazione con incentivi economici o con interventi d’imperio (in altri termini, il bastone e la carota) che inducono i componenti dell’etnia subalterna a rinunciare ai propri valori nazionali.

Gli incentivi offerti agli “apostati-collaboratori” nella politica di snazionalizzazione possono essere rappresentati da un trattamento fiscale agevolato e dalla possibilità di accedere alla proprietà immobiliare o a certe professioni e carriere ambite. I provvedimenti restrittivi o punitivi possono contemplare, invece, la chiusura o la distruzione degli edifici di culto, delle scuole e dei centri religiosi e culturali, l’obbligo di adottare nelle scuole, negli uffici pubblici nelle funzioni religiose e nella stampa di ogni tipo l’uso della lingua della Nazione dominante, la sottrazione dei bambini alle loro famiglie per allevarli e formarli presso istituzioni statali nel culto della nuova patria oppure per affidarli in adozione a famiglie appartenenti all’etnia ed alla religione dominanti. Spesso i due fattori citati e le modalità di intervento agiscono in modo concomitante producendo effetti sinergici.

L’azione più efficace in questa direzione, che purtroppo è stata, anche recentemente, assunta come modello a cui ispirarsi in altri contesti, è stata condotta dalle autorità turche, le quali, in tempi relativamente brevi, sono riuscite a creare una Nazione turca omogenea nei territori anatolici ed in quelli della Tracia sud-orientale dove gli invasori provenienti dalle steppe dell’Asia centrale rappresentavano originariamente una esigua, pur se bellicosa e spietata, minoranza.30 Questi interventi sono stati in prevalenza compiuti durante una fase critica dello Stato turco caratterizzata dalla transizione da impero multietnico a uno Stato-nazione. Transizione non generata da una libera scelta di decolonizzazione, ma risultato delle sconfitte subite nelle guerre balcaniche e nel primo conflitto mondiale.

Se invece si ritiene che alla base di una Nazione non vi siano elementi oggettivi come quelli citati, ma semplicemente sentimenti, convincimenti e convenienze, l’analisi muta completamente e gli interventi di snazionalizzazione possono essere più rapidi e spesso quasi indolori. Ma, di contro, si deve ricordare che ci si trova di fronte in questo caso a scelte non irreversibili e non sempre

30 Dati questi precedenti, si sono lette con grande stupore le recenti dichiarazioni del capo del governo turco durante una visita ufficiale in Germania che qualificano come criminale una politica di assimilazione degli immigrati turchi in Europa. Evidentemente o la Turchia ha mutato radicalmente indirizzo in questo campo, ed in questo caso si attendono per coerenza provvedimenti tempestivi e concreti a favore delle minoranze che stentatamente sopravvivono in questo Stato, oppure le autorità di Ankara usano sfrontatamente due pesi e due misure per i turchi residenti all’estero e per le minoranze etniche ancora presenti in Turchia..

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durature nel tempo, dal momento che, spostandosi l’ago della bilancia nella valutazione della convenienza economica o sulla base di altre considerazioni legate ai tempi, vi è il rischio di ripensamenti. In questi casi vi può essere contrapposizione fra ragione (scelte di convenienza) e sentimenti (legati all’idioma parlato, a tradizioni, alla storia, alla fede religiosa). In certe situazioni sarebbe forse opportuno definire le aspirazioni con chiarezza e senza ipocrisie parlando di desiderio di appartenenza a uno Stato per motivi di convenienza pur nella consapevolezza di far parte di una diversa Nazione.

Oggi rivestono particolare importanza nelle scelte di appartenenza le considerazioni di ordine economico ed in quest’ottica della convenienza assistiamo in Italia ad esempi di comunità che spontaneamente rinuncerebbero a legami secolari di cultura e di storia con la regione di appartenenza pur di passare ad altre regioni, ed in particolare alle regioni a statuto speciale, al fine di beneficiare di non trascurabili vantaggi economici.

La popolazione del Canton Ticino, seppur gelosa della propria cultura italiana, non accetterebbe sicuramente di spostare verso nord la frontiera di Stato tra Svizzera e Italia sino a raggiungere il confine fisico e quello etnico, entrambi collocati al San Gottardo. Di contro, gli abitanti delle province lombarde di frontiera guardano con sempre maggior interesse misto ad invidia i vicini svizzeri di etnia italiana con i quali vorrebbero condividere oltre alla parlata, alla cucina e alla cultura anche la meno pesante pressione fiscale, la facilità nell’ottenere tempestivamente le opere pubbliche necessarie allo sviluppo del territorio e la più efficace protezione contro la criminalità.

E occupiamoci ora dell’Italia e dei suoi confini nazionali. Lo Stato italiano contemporaneo è sorto in tempi relativamente a noi vicini, nel XIX secolo, ciò non significa affatto, come alcuni, soprattutto all’estero, ritengono (confondendo forse il concetto di Nazione con quello di Stato-nazione), che anche la Nazione italiana sia nata recentemente.31 In realtà la Nazione italiana, secondo autorevoli testimonianze è, grosso modo, coeva di altre Nazioni dell’Europa occidentale le quali riuscirono ad ottenere assai prima l’unificazione politica (Messori 2009). Nell’Italia dei secoli passati conviveva il convincimento, diffuso non solo tra gli intellettuali, di appartenere ad un unico popolo e di spartire un’unica cultura, convincimento coniugato con l’accettazione della presenza di una pluralità di Stati, ai quali in molti casi la popolazione era leale e sinceramente affezionata: si pensi alla Repubblica di Venezia od alla monarchia Sabauda in Piemonte.

L’Italia nel secolo XIX non era quindi una mera espressione geografica (nel senso di geografia fisica) come sosteneva, non disinteressatamente, ancora nel 1847 il cancelliere austriaco Clemens von Metternich32 e la stessa Austria avrebbe pagato a caro prezzo l’errore commesso nel confondere i propri desideri con la realtà. L’Italia inoltre non era solo la terra del passato come commentava amaramente Alphonse de Lamartine: “ce nom d’Italie est une abstraction…il n’y

31 Evidentemente la datazione dell’inizio di un processo formativo di una Nazione dipende dalla definizione concettuale di Nazione adottata e dai parametri scelti. 32 E’ interessante riportare quanto scrive a questo riguardo Angelo Ara (2007): “Questa formula, che ha acquistato anch’essa un valore emblematico. Non risale all’inizio della Restaurazione, ma si colloca –– circostanza che è frequentemente dimenticata o trascurata – nel 1847, cioè quasi alla fine del quarantennio del governo metternichiano. Davanti ad una penisola ormai scossa dalle riforme il cancelliere scrivendo ai suoi principali rappresentanti all’estero, vuole ricordare alle corti europee, e in particolare a quella parigina, che il nome Italia appartiene soltanto alla geografia, mentre la realtà politica della penisola mediterranea è caratterizzata da stati sovrani ed indipendenti, la cui esistenza trova fondamento nei principi di diritto pubblico generale e soprattutto nelle “transazioni politiche” del congresso di Vienna”.

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a plus d’Italie que sur les anciennes cartes” (Ara 2007). Non si può, di contro, dimenticare che nel 1813 il generale austriaco Johann von Hiller si era rivolto in lingua italiana da Trento a tutti gli italiani invitandoli ad insorgere contro un oppressore tirannico e ad unirsi ad un sovrano, Francesco I d’Asburgo-Lorena, che combatteva per la pace in Europa e per l’indipendenza della Penisola (Ara 2007). Del resto, già nel 1806, il generale francese Mathieu Dumas da Zara aveva lanciato il proclama di Napoleone ai dalmati, con il quale si annunciava la riunificazione della Dalmazia con la patria, il Regno d’Italia, di cui era sovrano lo stesso Napoleone (Talpo 1987).

Ed infine, se oggi volgiamo lo sguardo all’Europa, indipendentemente dall’appartenenza dei singoli paesi all’Unione Europea, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di ben più consistente di una semplice espressione geografica, a qualcosa di cui noi, volenti o nolenti, facciamo parte e nella quale gli abitanti di altri continenti ci identificano, pur se abbiamo tuttora ordinamenti legislativi differenti, parliamo lingue diverse e molti europei sono ancora sentimentalmente legati alle loro patrie piccole o grandi, ai loro vessilli, ai loro inni ed ai loro campanili.

12. I confini orientali dell’Italia Luigi Tomaz ha focalizzato la propria attenzione sull’area adriatica ed in

particolare sull’Istria e la Dalmazia e quindi non si occupa degli altri confini italiani che in passato sono stati oggetto di discussione, di rivendicazioni territoriali e di tensione nei rapporti internazionali. Le grandi isole del Tirreno, l’arcipelago maltese, la parte del confine naturale italo-francese prospiciente la costa, i confini settentrionali della Nazione italiana non fanno, quindi, parte del suo campo di studi.

L’Autore individua dapprima un’Italia fisica che, a suo avviso, si estende sull’altra sponda dell’Adriatico, delimitata dallo spartiacque alpino che scende parallelamente alla costa dalmata e che è egregiamente evidenziato in una sua tavola e nella stessa copertina del volume. Si tratta di un’interpretazione suggestiva e per nulla infondata, che, tuttavia, Tomaz prospetta come un punto di vista personale ma che non impone al lettore: una posizione, quindi, che può non essere condivisa. La sua attenta disamina riguarda la dinamica dei confini statali in Istria e Dalmazia in un arco temporale che abbraccia oltre duemila anni. In tale arco temporale la presenza dell’Italia, come Stato-nazione, è circoscritta in uno spazio ristretto di circa un secolo e mezzo. Dapprima si ebbe il Regno d’Italia napoleonico del 1805 che comprendeva solo una parte della Penisola, ma che abbracciava i territori istriani e dalmati per secoli fedeli al leone di San Marco. Questo Stato-nazione fu cancellato alla caduta dell’imperatore francese. Fece seguito il Regno d’Italia dei Savoia, proclamato nel 1861, che acquisì al termine della prima guerra mondiale la Venezia Giulia, Fiume, alcune isole del Quarnaro, Zara, Lagosta e Pelagosa sino al diktat di Parigi del 1947. Si tratta di vicende storiche che tutti gli italiani conoscono o che dovrebbero conoscere; una storia iniziata con i grandi ideali dai padri del Risorgimento, portata avanti con sacrifici non sempre ripagati da congrui accrescimenti territoriali e finita drammaticamente, con una dissennata partecipazione al secondo conflitto mondiale a fianco della Germania nazista seguita dalla disfatta militare, con un

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insuccesso politico nella definizione del Trattato di pace,33 che ha comportato una pesante mutilazione territoriale, e con una pulizia etnica effettuata dai partigiani di Tito, iniziata nel 1943 dopo la firma dell’armistizio da parte dell’Italia e continuata anche nel dopoguerra. Una pulizia etnica che ha sensibilmente ridotto o cancellato la presenza dell’etnia italiana nelle terre situate sulla sponda orientale dell’Adriatico a sud di Muggia e che ha fornito un modello cruento di consolidamento dei confini al quale si sono successivamente ispirate alcune delle repubbliche nate dalla dissoluzione della Federazione Iugoslava (Mauri 1995).

13. Il contributo di Tomaz agli studi sul confini orientali italiani Il contributo maggiormente significativo apportato da Luigi Tomaz

riguarda, a mio avviso, i periodi storici meno conosciuti. Si apprendono molte notizie che invano si cercherebbero nei testi scolastici di storia. E’ noto che la conquista, la colonizzazione e la plurisecolare presenza dei romani unificarono le due sponde del Mare Adriatico sotto il profilo etnico-linguistico, amministrativo ed economico trasformando questo mare in un vero e proprio golfo italiano, le cui genti rivierasche si sentivano parte di un unico popolo, essendo accomunate da lingua, cultura, religione, legislazione e dall’economia oltre che appartenere alla medesima entità statuale, condizione quest’ultima, peraltro non esclusiva, in quanto riguardava anche altri popoli dell’impero (ad esempio i greci, gli egizi, i siriaci) con i quali gli adriatici non spartivano una comune identità.

E’ meno noto che la caduta della porzione occidentale dell’Impero romano non produsse una rottura di questa comunione culturale e che anche dopo l’invasione dell’area balcanica da parte di ondate successive di popoli barbarici di diversa origine (germani, uralici, slavi) le città della costa orientale rimasero latine. Di conseguenza, nel periodo tardo-medioevale in cui si intravede l’avvio del graduale e lento processo formativo della Nazione italiana e che anticipa l’avvento del dominio della Repubblica di San Marco, l’identità comune delle genti rivierasche sulle due sponde dell’Adriatico si trasforma gradualmente da latina in italiana. Indipendentemente dalla sovranità cui erano sottoposte, straniera con i Regni di Croazia e d’Ungheria, italiana con Venezia o italo-dalmata con la Repubblica di Ragusa (oggi Dubrovnik), queste genti si sentivano “italiane”.

All’interno e nelle campagne erano presenti massicciamente gli immigrati slavi, affiancati da popolazioni egualmente di origine latina come quelle costiere, ma portatrici di una diversa identità nazionale, quella balcanica degli illiro-romani, dei traco-romani e dei daco-romani. Queste genti, spesso non sedentarie e dedite alla pastorizia, attività che avevano adottato in una strategia di mobilità per la sopravvivenza di fronte alle invasioni in ondate successive delle loro terre da

33 In termini di mutilazioni al territorio nazionale, l’Italia pur dopo aver deposto le armi nel 1943 ed essere stata presente come cobelligerante nell’ultima fase del conflitto, ha subito un trattamento peggiore di quello riservato al Giappone, il paese che per ultimo aveva cessato le ostilità. Al Giappone-nazione sono, infatti, state sottratte (dall’Unione Sovietica) solo quattro piccole isole dell’Arcipelago delle Curili dalle quali vi è stato un esodo di alcune migliaia di abitanti. Si potrebbe citare anche l’insuccesso delle rivendicazioni territoriali della Iugoslavia a spese dell’Austria. La mancata realizzazione del Territorio libero, la cui costituzione era stata prevista dal Trattato di pace del 1947 (spartizione avvenuta di fatto a seguito Memorandum di Londra del 1954 e sancita dal Trattato di Osimo del 1975) se da un lato ha riconsegnato la città di Trieste all’Italia, dall’altro ha causato un’ulteriore amputazione della Nazione italiana in conseguenza dell’esodo della popolazione indigena anche dalla Zona B.

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parte di popoli barbarici di diversa origine, erano distribuite a macchia di leopardo su una vasta area racchiusa fra le Alpi Dinariche, il Pindo, il Rodope, il Mar Nero ed i Carpazi.34 Ancor oggi nelle Alpi Dinariche montenegrine domina il Massiccio del Durmitor e, sempre in terra montenegrina, si riscontrano numerosi toponimi come i monti Visitor e Cipitor che attestano inequivocabilmente una presenza, protratta sino a tempi a noi prossimi (Ivic 1995), di nuclei di pastori di lingua neolatina, probabilmente morlacchi (da mauro-valacchi o valacchi neri).

Queste genti di origine latina presenti nell’area della ex-Iugoslavia sono state assimilate gradualmente negli ultimi secoli dal mondo slavo, salvo un limitato nucleo nell’interno dell’Istria (i Cici), ed una non secondaria componente della popolazione della Repubblica macedone (gli Aromani). Nella parte meridionale della penisola balcanica gli Aromani sopravvivono come minoranze in Albania, Bulgaria sud-occidentale e sopprattutto in Grecia.35 Il massimo sviluppo del mondo latino orientale si è invece registrato ad est, in un’area che si estende dai fiumi Morava e Timoc sino ad oltre il medio corso del Bug meridionale. In quest’area vivono oggi quasi 25 milioni di romeni (in origine daco-romani), distribuiti in cinque Stati: Romania e Repubblica moldava, dove costituiscono la maggioranza della popolazione e poi Ucraina, Serbia, Ungheria e Bulgaria,36 paesi nei quali rappresentano una più o meno consistente minoranza. Lungo il crinale dei Carpazi settentrionali ed occidentali si sono inoltre insediate nei secoli scorsi popolazioni dedite alla pastorizia, presumibilmente di origine daco-romana, le cui parlate tuttavia, si sono nei secoli distaccate dalla lingua originaria per avvicinarsi agli idiomi slavi delle genti li circondavano. Ci si riferisce a popolazioni come gli Huzuli della Galizia, i Goral dei Monti Tatra, su entrambi i versanti polacco e slovacco, ed i valacchi della Moravia nella parte orientale della Repubblica Ceca. E’ interessante osservare che il territorio abitato da questi ultimi è denominato Vlassky.37

14. I mutamenti intervenuti nella composizione etnica in Istria e

Dalmazia Sotto il dominio veneziano il benessere diffuso nella costa dalmata richiama

immigrazione dall’interno slavo e la stessa Venezia incoraggia l’immigrazione, specialmente in Istria, di agricoltori di varia etnia provenienti sia dalla Penisola che da alcune aree balcaniche al fine di ripopolare e rimettere a coltura le

34 Non dimentichiamo che nell’Impero romano buona parte dell’area danubiano-balcanica era stata latinizzata anche a seguito di immigrazione di coloni dalla Penisola. Basti pensare che la romanità orientale, che si estendeva tra l’Adriatico ed il Mar Nero, aveva dato i natali a 40 imperatori (fra i quali tutti i componenti della tetrarchia di Diocleziano) ed a quattro pontefici nel periodo racchiuso fra gli inizi del terzo secolo e gli inizi del settimo secolo dell’era cristiana (Dragan 1996). 35 Nella Grecia settentrionale vi è la città di Florina; si tratta di un nome chiaramente di origine latina. Da notare che i latini di Grecia, dei quali non si conosce l’esatta consistenza che (secondo stime attendibili dovrebbe corrispondere ad alcune centinaia di migliaia di persone), contrariamente a quanto sostengono le fonti ufficiali elleniche, proverrebbero da territori situati più a nord. Vi sarebbe stato un esodo da territori latinizzati di fronte alla calata di popolazioni slave. E’ risaputo infatti che la lingua latina non riuscì a prevalere su quella greca nella parte meridionale della penisola balcanica, ovvero entro i confini dell’odierna Grecia. 36 Un esempio di continuità della cultura latina si trova nella parte nord-occidentale della Bulgaria, dove vi è una città, Montana, che presta il nome anche alla regione della quale è capoluogo. 37 I popoli slavi hanno chiamato le genti latine dei territori in cui si sono insediati con il termine di Vlach o Vlas (questa ò anche l’origine del nome Valacchia attribuito ad una regione della Romania) . Ancor oggi i polacchi chiamano Vlochy l’Italia.

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campagne incolte e svuotate da epidemie e continue guerre. La composizione etnica tende a modificarsi anche a seguito del più elevato tasso di prolificità degli immigrati slavi. Il processo di slavizzazione delle popolazioni costiere è tuttavia rallentato dall’assimilazione di una parte degli immigrati slavi attratti dalla cultura italiana e aspiranti ad una promozione sociale. L’Istria e la Dalmazia rimangono, tuttavia, parte integrante della Nazione italiana.

Con l’avvento dell’Austria, dopo l’effimera presenza napoleonica (dapprima con il Regno d’Italia e poi con le Province Illiriche), le condizioni degli italiani mutano. Le guerre e le insurrezioni risorgimentali rendono l’Austria sospettosa verso gli irredentismi, ed i particolare quelli italiano e romeno, e si avviano politiche di snazionalizzazione (non condotte, tuttavia, con metodi violenti) sulla costa adriatica così come in Bucovina ed in Transilvania a vantaggio di etnie, come tedeschi, ungheresi, croati, sloveni e ruteni, che sono considerate leali verso l’Impero e maggiormente affidabili. In particolare il governo di Vienna attribuisce fondamentale importanza sia strategica sia economica al controllo dell’Adriatico, l’unico mare a disposizione di un grande impero continentale ed è proprio in quest’area che si intensifica l’intervento di snazionalizzazione.

La politica di snazionalizzazione a vantaggio di etnie allogene ha tuttavia un effetto, per l’Austria imprevisto e indesiderato. Tale politica, infatti, concorre ad alimentare a sua volta il fuoco dell’irredentismo. I triestini sono attratti dall’irredentismo per questo motivo e per il timore di essere sommersi da un’esondazione migratoria slava che cancelli per sempre la loro cultura, non certo nel ricordo del Leone di San Marco, che a Trieste, a differenza che in Istria e in Dalmazia, come osserva giustamente Tomaz, per motivi concorrenziali nei traffici marittimi, non aveva mai riscosso simpatia. Di contro, ad esempio, i lombardi del Ticino svizzero non avvertono il pericolo di perdere la loro lingua e la loro cultura e non si sentono minacciati da un’improbabile immigrazione alemanna proveniente dal nord delle Alpi. Si spiega quindi come in questo cantone elvetico di lingua e cultura italiane, che pure aveva indubbiamente offerto un appoggio non solo morale al Risorgimento (Cattaneo 1849), non attecchisca l’irredentismo.

In Istria e Dalmazia viene da un lato incoraggiata dall’Austria l’immigrazione croata e slovena e dall’altro si provvede ad arrestare la spinta all’assimilazione degli immigrati slavi e di altre etnie balcaniche, generata dall’attrazione esercitata dalla cultura italiana, mediante una politica che alterna durezza ed astuzia. Si chiudono le scuole italiane, si impone l’uso della lingua croata come lingua ufficiale in Dalmazia e si favorisce l’accesso alle carriere pubbliche per croati e sloveni in tutti i territori tradizionalmente italiani. Al fine di eliminare la presenza italiana al vertice delle amministrazioni comunali delle città costiere si ricorre disinvoltamente anche alla modificazione delle circoscrizioni elettorali aggregando territori dell’entroterra abitati prevalentemente da popolazioni slave. Si manipolano di conseguenza anche i censimenti etnici.

Si tende, soprattutto per motivi di ordine militare facilmente intuibili, a ridurre drasticamente ed a selezionare la presenza dell’etnia italiana negli equipaggi della flotta austriaca. In certi casi, poi, per la prima volta, il fenomeno dell’assimilazione spontanea procede in senso inverso. Non sono più gli slavi a voler diventare italiani, ma sono invece gli italiani di Dalmazia (non diversamente da quanto sta avvenendo fra le altre popolazioni non slave), vuoi per timore o prudenza vuoi per mero opportunismo, a scegliere di abbandonare l’etnia originaria per diventare croati. Aggiungasi che molti italiani sono costretti, per motivi di lavoro, ad apprendere la lingua croata. I giovani poi debbono studiare la

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lingua croata nelle aule scolastiche sin dagli inizi del loro corso di studi. In sostanza la politica di croatizzazione seguita dal governo di Vienna non si muove controcorrente, ma tende solo ad assecondare e ad accelerare un fenomeno già in atto per cause naturali connesse principalmente con la dinamica demografica. Si deve, tuttavia, ricordare che l’Austria è sorda di fronte alle pressanti e reiterate richieste croate di aggregare sotto il profilo amministrativo la Dalmazia alla Croazia.

Ben prima della grave ed umiliante sconfitta subita dalla flotta italiana ad opera della flotta austriaca nello scontro navale di Lissa (1866) gli slavi iniziano a prevalere numericamente anche nella fascia costiera dalmata e ad aumentare sensibilmente in Istria, a Fiume e nelle isole del Quarnaro.

La composizione etnica in tutti questi territori sta rapidamente mutando, ma i nuovi governanti italiani, così come in passato i padri del Risorgimento, non sembrano accorgersene e continuano a considerare la costa orientale dell’Adriatico come massicciamente e saldamente italiana. Nelle trattative che precedono il Patto di Londra il governo di Roma chiede per Italia la Dalmazia, inconsapevole o incurante del fatto che in quelle terre, con l’eccezione della città di Zara, gli italiani sono ormai solo una minoranza. L’Istria, soprattutto nella fascia costiera, conserva una maggioranza dell’etnia italiana e verrà riunita all’Italia, così come la città di Fiume ed una parte delle isole del Quarnaro, ma con la pulizia etnica del 1943-1947 anche queste terre usciranno dall’orbita della Nazione italiana, sempre che ci si muova in un’ottica di Nazione incentrata sull’etnia prevalente nella popolazione di un territorio.38

14. Conclusioni Prima di terminare la presentazione è interessante tracciare un parallelismo

fra il ridimensionamento della Nazione italiana e quello della Nazione ellenica. Come l’Adriatico era un golfo italiano, l’Egeo era un mare interno greco, anche quando l’intera area era sottoposta a sovranità turca. Elleniche a maggioranza, talora assoluta talora relativa, erano, infatti, le popolazioni delle due coste, europea ed anatolica, così come greci erano gli abitanti delle numerose isole disseminate in questo mare.39 La disfatta della spedizione militare greca sbarcata in Anatolia a difesa di Smirne e la successiva inarrestabile avanzata dell’armata turca di Kemal verso la costa portarono ad una gigantesca pulizia etnica sancita dal Trattato di Losanna del 1923 che ha fatto tramontare per sempre la Megali Idea ellenica. Dopo una presenza greca durata quasi tre millenni, 1.500.000 greci dovettero abbandonare precipitosamente le coste dell’Asia Minore e della Tracia meridionale per riversarsi nella penisola ellenica. Molti successivamente emigrarono negli Stati Uniti.

Anche la diaspora di 350.000 italiani dalle terre adriatiche perdute ha alimentato l’emigrazione dall’Italia verso le due Americhe e l’Australia. Due tragici destini paralleli di due Nazioni che si ricollegano alle origini della stessa

38 Evidentemente, se si adottano interpretazioni diverse del concetto di Nazione, come ad esempio quella di Renan, questi territori potrebbero, invece, essere ancora considerati componenti della Nazione italiana. 39 Erano inoltre a larga maggioranza greci, circa il 75% della popolazione totale secondo King (2004) ancora agli inizi degli anno ’20, immediatamente prima dell’espulsione in base al Trattato di Losanna, gli abitanti di Trebisonda sul Mar Nero e delle valli immediatamente a sud di questa città portuale.

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civiltà europea. La Grecia è tuttavia riuscita a mantenere il possesso di quasi tutte le isole dell’Egeo,40 anche di quelle a prossime alla costa anatolica, mentre l’Italia ha perduto tutte le isole dalmate e persino l’Arcipelago di Pelagosa che la geografia fisica attribuisce inequivocabilmente alla nostra penisola. In un Mare Adriatico ricco di centinaia di isole, l’Italia ha mantenuto solamente l’Arcipelago delle Tremiti, che gli Alleati, bontà loro nel 1947 le hanno lasciato.41

* * * Nel congedarmi dal lettore, sento il dovere di rivolgere un caldo

ringraziamento all’instancabile ed appassionato studioso Luigi Tomaz per questo suo ennesimo pregevole contributo di approfondimento e di diffusione delle conoscenze storiche sulla millenaria civiltà adriatica. Non può, tuttavia, mancare anche un incitamento a continuare questo difficile e faticoso, ma anche gratificante, cammino di ricerca.

40 Con l’eccezione di Imbro e Tenedo rimaste in mano turca. 41 A proposito di protervia dei vincitori nell’impadronirsi di isole già possedute dai vinti e di confini contestati è interessante ricordare il modo singolare con cui la Romania ha perso l’unica sua isola in mare aperto. E’ il caso dell’Isola delle Serpi o dei Serpenti (Insula Serpilor), un’isola rocciosa situata a meno di 50 km. dalla costa romena sul Mar Nero. Un’isola ben conosciuta nell’antichità dai naviganti greci e successivamente anche dai romani (ne parla anche Ovidio) e frequentata nel Medioevo anche dai genovesi, ai quali si deve anche il nome attuale. I militari sovietici si accorsero dell’importanza strategica di quest’isola dopo l’avvento della guerra fredda, ma nel frattempo era stato firmato il Trattato di pace con la Romania e l’isola in parola, mai rivendicata da Mosca, non figurava tra i territori romeni ceduti. La circostanza non fermò i comandi militari sovietici, che, senza indugi, decisero la sua occupazione e trasformazione in una base militare. A seguito della dissoluzione dell’URSS la Romania chiese, senza successo, la restituzione dell’Isola delle Serpi, ma l’Ucraina se ne impadronì. Oggi l’isola, con il nuovo nome di Ostriv Zmiyiny, appartiene all’Ucraina. Tuttavia, la sua piattaforma continentale, potenzialmente dotata di giacimenti di idrocarburi, è oggetto di una disputa internazionale fra ll’Ucraina e la Romania davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia.

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ABSTRACT

HISTORICAL, GEOPOLITICAL AND ECONOMIC FACTORS AFFECTING STATE AND NATION BOUNDARIES: FOREWORD ON ITALYS’S BORDERS IN ISTRIA AND DALMATIA

Boundaries of states are often taken as given although they seem, in not a few instances, to be quite arbitrary. They origins and changes through the centuries need to be examined and interpreted in order to explain why some state boundaries are frozen (often for tiny states) whilst others are highly volatile. The paper introduces and discusses a book by Luigi Tomaz concerned with Italy’s eastern borders (Il confine d’Italia in Istria e Dalmazia, Edizioni Think ADV, Conselve, PD, 2007). Tomaz thoroughly traces the history of Italian boundaries on the eastern shores of the Adriatic, particularly of the boundaries in Istria and Dalmatia, and contends that for almost two millennia these territories were, for the most part, a natural appendix of the Peninsula and that this sea (named in the old maps “Gulf of Venice”) was actually an Italian gulf. Main emphasis is given to the fact that strong and steady linguistic, political, economic, religious, ethnic and cultural ties had linked – as a consequence also of two-way migration flows across the sea - the inhabitants of the two opposite seaboards.

The paper’s approach to the subject involves some preliminary reflections on the very concepts of Nation and State as these two terms are commonly considered near-synonyms and are often used interchangeably. They have, instead, definitely different meanings. The meaning of State is clear and doesn’t need to be further explored. Nation, instead, is an ambiguous term; it doesn’t overlap with State and may be defined by a variety of different criteria. Once a set of fundamental parameters designed to define what can be considered a Nation, has been selected (according, however, to personal views) and established, stateless nations as well as nation-less states may be easily detected by studying a world map.

Last two centuries have witnessed large-scale map redrawing also in Europe, mainly because of winners taking, in peace settlements, war booty from defeated countries. On the other hand, artificial states have been sometimes unified or, instead, broken up. Secessions of one country from another or of a region from the rest of the country may occur also spontaneously when borders do not match a division of nationalities. Furthermore, mergers of countries which are geographically close as well as secessions of a region from the rest of the country may be the outcome of purely economic factors: the latter, perhaps, according to some authors, might be, in a near future, the case of some territories of Northern Italy if the central government of Rome will not manage to cut down the debt burden by reducing substantially wasteful public expenditure. Often, but not always, national borders’ changes have reflected redrawing of state borders. Geopolitical and economic factors affecting changes of nation and state borders are analysed and discussed at the end also by mentioning specific examples.

JEL Classification Codes: A 14, D 70, H 77, K 33, N 40.

Keywords: Italy, Istria, Dalmatia, Boundaries, Nation Formation, State, Genetic Diversity, Ethnic Diversity, Economic Diversity.

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