Armonia Percettiva e di Pensiero (Wip)

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Introduzione “La facoltà di illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà di oggi è destinata a scoprire l'illusione domani.” Con questo aforisma Pirandello riesce a riassumere un concetto fondamentale presente in questo saggio, l'inclinazione dell'illusione di oggi al futuro. Questo scritto infatti si propone di analizzare l'illusione come entità che plasma totalmente il nostro modo di percepire il mondo e di ragionare, fornendo un taglio il più possibile attinente alla realtà tangibile e per questo mi riserverò la facoltà di inserire ,laddove necessario, esperienze estrapolate dal vivere quotidiano analizzate ed approfondite adottando un metodo scientifico. L'interrogativo che sorge spontaneo è come si sia giunti a sostenere una affermazione che potrebbe sembrare ai più abbastanza azzardata. Il ragionamento è frutto della riflessione sui caratteri fondamentali della creatività. La definizione più approvata è la seguente: capacità cognitiva dell'intelletto di creare ed inventare. Un'analisi più ponderata ci rileva come il concetto sia strettamente legato al “nuovo” ed “utile”: l'uomo elabora i dati che ha acquisito associandoli in un modo che soddisfi i suoi fabbisogni. Alla luce di questa riflessione ci si chiede se sia davvero possibile pensare qualcosa di nuovo se i dati originari sono già presenti nella realtà e soprattutto se i mezzi e gli schemi per una associazione di elementi sono dati dalla stessa. A questo punto la questione si decentra su una nuova via: non è più rilevante vagliare la capacità cognitiva del “creare” ma piuttosto analizzare quelli che sono i dati percepiti e mezzi di associazione che originano e forniscono gli strumenti per l'attività creativa. A questo punto è ovvio che la cultura, l'ambiente, la sorte, le condizioni geografiche e una moltitudine di altri fattori influenzano il nostro pensiero dandoci dei modelli percettivi ben predefiniti che nella maggior parte dei casi sono funzionali ma quando c'è la necessità di formulazione di un pensiero laterale ci limitano fortemente. La fondazione di questi modelli ci da degli schemi ben predefiniti ai quali i dati che ci si presentano devono adattarsi oppure l'intelletto li distorce affinché si accomodino in qualche modo a questi fornendo una visione del tutto artificiosa, simulata che ci va bene ed è funzionale. In questo scritto si utilizzerà il termine armonia per indicare appunto lo schema ai quali i dati si devono adattare per essere percepiti e sopratutto accettati (per accettazione si intende un dato che ad intuito non ci mette a disagio, si porta ad esempio un quadro che ha una composizione sbagliata, irregolare o asimmetrica, oppure un viso dai lineamenti sproporzionati). Ovviamente è necessario, al fine di una visione più completa, allargare gli orizzonti non solo alla percezione ma anche al ragionamento logico per questo si divide l'opera in due filoni: armonia logica ed armonia percettiva. Per una migliore comprensione si è deciso di scindere le due sezioni ma è evidente che gli ambiti sono legati da una fitta tessitura indistricabile, dove la logica permea i suoi dati attraverso la percezione e viceversa. Di nuovo si dividerà la sezione dell'armonia percettiva i cinque parti ognuna associata ad un senso diverso, in modo da dare, sebbene in modo limitato, una visione panoramica. La ricerca si avvarrà fondamentalmente di alcuni metodi. Il primo consiste nell'individuazione delle faglie del sistema, quindi l'indagine sulle contraddizioni, problemi ai quali il sistema stesso non è in grado di dare risposta, anomalie ed irregolarità. L'altro sull'analisi di un modello percettivo superato allo scopo di individuare una certa periodicità del mezzo utilizzato per superare il precedente modello ed utilizzare questo per raggiungere una consapevolezza maggiore del proprio stato percettivo. Ultimo ma non ultimo il tentativo di analisi del nostro metodo in modo da successivamente metterlo in relazione con ipotesi formulate grazie ai due metodi precedenti e supporre una nuova teoria. Questo percorso non intende avere un taglio filosofico ed universale, vuole semplicemente spingere la consapevolezza dei limiti dei nostri modelli percettivi oggi un po' oltre e sopratutto avere un carattere enunciativo, è una corsa ed un progresso continuo e non si ha la presunzione di 1

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Saggio su i modelli percettivi sensoriali e di pensiero. Percorso di analisi e sintesi per capire come si legge il mondo e dove i limiti ci impediscono di comprenderlo meglio.

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Introduzione

“La facoltà di illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà di oggi è destinata a scoprire l'illusione domani.” Con questo aforisma Pirandello riesce a riassumere un concetto fondamentale presente in questo saggio, l'inclinazione dell'illusione di oggi al futuro. Questo scritto infatti si propone di analizzare l'illusione come entità che plasma totalmente il nostro modo di percepire il mondo e di ragionare, fornendo un taglio il più possibile attinente alla realtà tangibile e per questo mi riserverò la facoltà di inserire ,laddove necessario, esperienze estrapolate dal vivere quotidiano analizzate ed approfondite adottando un metodo scientifico.

L'interrogativo che sorge spontaneo è come si sia giunti a sostenere una affermazione che potrebbe sembrare ai più abbastanza azzardata. Il ragionamento è frutto della riflessione sui caratteri fondamentali della creatività. La definizione più approvata è la seguente: capacità cognitiva dell'intelletto di creare ed inventare. Un'analisi più ponderata ci rileva come il concetto sia strettamente legato al “nuovo” ed “utile”: l'uomo elabora i dati che ha acquisito associandoli in un modo che soddisfi i suoi fabbisogni. Alla luce di questa riflessione ci si chiede se sia davvero possibile pensare qualcosa di nuovo se i dati originari sono già presenti nella realtà e soprattutto se i mezzi e gli schemi per una associazione di elementi sono dati dalla stessa. A questo punto la questione si decentra su una nuova via: non è più rilevante vagliare la capacità cognitiva del “creare” ma piuttosto analizzare quelli che sono i dati percepiti e mezzi di associazione che originano e forniscono gli strumenti per l'attività creativa.

A questo punto è ovvio che la cultura, l'ambiente, la sorte, le condizioni geografiche e una moltitudine di altri fattori influenzano il nostro pensiero dandoci dei modelli percettivi ben predefiniti che nella maggior parte dei casi sono funzionali ma quando c'è la necessità di formulazione di un pensiero laterale ci limitano fortemente. La fondazione di questi modelli ci da degli schemi ben predefiniti ai quali i dati che ci si presentano devono adattarsi oppure l'intelletto li distorce affinché si accomodino in qualche modo a questi fornendo una visione del tutto artificiosa, simulata che ci va bene ed è funzionale. In questo scritto si utilizzerà il termine armonia per indicare appunto lo schema ai quali i dati si devono adattare per essere percepiti e sopratutto accettati (per accettazione si intende un dato che ad intuito non ci mette a disagio, si porta ad esempio un quadro che ha una composizione sbagliata, irregolare o asimmetrica, oppure un viso dai lineamenti sproporzionati). Ovviamente è necessario, al fine di una visione più completa, allargare gli orizzonti non solo alla percezione ma anche al ragionamento logico per questo si divide l'opera in due filoni: armonia logica ed armonia percettiva. Per una migliore comprensione si è deciso di scindere le due sezioni ma è evidente che gli ambiti sono legati da una fitta tessitura indistricabile, dove la logica permea i suoi dati attraverso la percezione e viceversa. Di nuovo si dividerà la sezione dell'armonia percettiva i cinque parti ognuna associata ad un senso diverso, in modo da dare, sebbene in modo limitato, una visione panoramica.

La ricerca si avvarrà fondamentalmente di alcuni metodi. Il primo consiste nell'individuazione delle faglie del sistema, quindi l'indagine sulle contraddizioni, problemi ai quali il sistema stesso non è in grado di dare risposta, anomalie ed irregolarità. L'altro sull'analisi di un modello percettivo superato allo scopo di individuare una certa periodicità del mezzo utilizzato per superare il precedente modello ed utilizzare questo per raggiungere una consapevolezza maggiore del proprio stato percettivo. Ultimo ma non ultimo il tentativo di analisi del nostro metodo in modo da successivamente metterlo in relazione con ipotesi formulate grazie ai due metodi precedenti e supporre una nuova teoria.

Questo percorso non intende avere un taglio filosofico ed universale, vuole semplicemente spingere la consapevolezza dei limiti dei nostri modelli percettivi oggi un po' oltre e sopratutto avere un carattere enunciativo, è una corsa ed un progresso continuo e non si ha la presunzione di

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esaurire il discorso in un'operetta così breve e approssimativa.

1. Considerazioni sulla genialità

Utile a comprendere meglio lo scopo e l'intenzione.

Edwin A. Abbott, Flatlandia / Diderot Dalembert, Encyclopedie, Voce “Genio”

2. Armonia percettiva

2.1 Visione: Focale occhio e prospettiva, Geometria non euclidea, Luce/Colori → Esempio con stelle, Piet Mondrian → Bilanciamento cromatico colori, esempio di allargamento dello spettro visivo (finalizzato al sostegno della tesi, utilizzando i metodi elencati nell'introduzione)

2.2 Udito: Armonia e melodia in musica. Rapporto note, studio delle funzioni delle note e quello che succede in un accordo con il grafico. Studio sulla melodia e l'ordine delle note. Utilizzo del metodo di analisi di un modello superato: presentazione musica atonale, dodecafonica, temperamenti indiani.

2.3 Tatto: percezione del corpo, OBE (out of the body experience), Ipnosi

2.4 Olfattiva/Gusto: percezione del gusto forzata e mutata da cause politiche, sociali ed economiche

3. Armonia logica

3.1 Filosofia ?

3.2 Quando la logica è forzata dall'inconscio: atti mancati /Generazione arbitraria di dati: manifestazione di nevrosi nel formulare numeri casuali

3.3 Congetture su PNL, manifestazione di schemi predefiniti nella comunicazione

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1 Punto di partenza

1.1 Considerazioni sulla genialità

Ritengo opportuno per iniziare questo percorso fare alcune considerazioni sulla figura del genio che meglio incarna colui che è in grado di isolare ed individuare quelli che sono i limiti dell'uomo è superarli per proporre qualcosa di nuovo. Molti si sono cimentati nel teorizzare e delineare in modo definitivo tale personaggio ma meno sono quelli che sono riusciti a dare una spiegazione convincente. Tra questi si può annoverare Arthur Schopenhauer che sostiene che il genio è molto simile al folle che dimentica il suo corpo abbandonandosi a una sorta di delirio estetico affinché riesca a cogliere l'idea. Questa considerazione si avvicina molto alla corrente che sostiene che il genio riesca totalmente a sollevarsi dal nostro mondo vedendo i problemi da un punto di vista privilegiato, per ottenere questo c'è bisogno di qualcosa di illuminante che necessariamente è esterno, una sorta di Virgilio che ci guidi. Ritengo improbabile che gli strumenti per questa elevazioni possano giungere direttamente dall'esperienza comune, nella nostra realtà, con i nostri mezzi. Avverso a questa idea è, infatti, Georg Hegel che ritiene opportuno differenziare il genio dal talento. L'immaginazione del genio per il filosofo di Stoccarda non è altro che “romantica fantasticheria”, solo le competenze tecniche e un bagagli di esperienze ed emozioni governate in modo intellettuale posso rendere l'opera davvero artistica1. Possiamo notare quindi che Hegel ritiene che la produzione creativa non sia altro che un abile assemblare di dati già noti, immanenti.

Probabilmente il vero profilo del genio si trova a metà strada tra le due concezioni opposte. Il genio è colui che tramite un'ispirazione (elemento trascendente) è in grado con perizia data dal suo talento di disporre gli elementi in modo innovativo.

1.2 La versione di Flatlandia

“Racconto fantastico a più dimensioni” è questo il sottotitolo del racconti di Edwin Abbott Abbott la narrazione infatti varia ed oscilla in realtà a dimensioni diverse, prima una in meno poi una in più. Ho ritenuto fondamentale inserire una breve citazione di questo romanzo per due motivi. In primo luogo questo libro è stato di notevole ispirazione per me aprendomi gli occhi su nuovi orizzonti facendo rivalutare elementi e fatti che altrimenti avrei trascurato. Infine il testo adotta nella narrazione a più dimensioni le tecniche enumerate nell'introduzione e ci fa capire come il trascendente sia facilmente frainteso a causa della chiusura del nostro modo di percepire. L'autore per darci il sopracitato “punto di vista privilegiato” abbassa di un livello la dimensione, infatti i personaggi vivono in un mondo bidimensionale. Ogni cittadino, elemento architettonico o paesaggistico diventa in Flatlandia un poligono e con una brillante ed abile narrazione l'autore ci espone i problemi di una vita bidimensionale, esattamente come sarebbero i problemi nella nostra vita, nella nostra realtà. Rendendo il livello spaziale più basso ci rendiamo conto come le questioni bidimensionali siano banali e facilmente risolvibili con una terza dimensione, questo ci fa infine realizzare quanto la nostra realtà può essere ampia e nascosta ai nostri occhi. Per i bidimensionali un poligono non è altro che l'intersezione dello stesso con il loro mondo cioè il piano, una sfera diventa un cerchio, un cubo un quadrato e così via. Così come gli abitanti di Flatlandia non sono in grado di percepire un altra dimensione noi non abbiamo i mezzi per scoprire altro. L'autore adotta la seconda tecnica teorizzata nell'introduzione, privando lo spazio prima di una dimensione e poi di un'altra ulteriore ci fa fare un “passo indietro” noi, in tal modo, riusciamo a capire quali sono i presupposti per il salto dimensionale, di certo la letteratura non ci porterà ad una consapevolezza effettiva maggiore ma almeno ci rende consapevoli dell'incombente eventualità, ci fa rendere conto che non dobbiamo essere così superficiali ed ottusi da essere convinti che una sfera sia in realtà un cerchio solo perché non abbiamo i mezzi per percepirlo.

1 Georg Wilhelm Friedrich Hegel,La filosofia dello spirito di Giorgio G.F. Hegel, trad.it. di Alessandro Novelli, ed.F. Rossi-Romano,

1863 p.67.

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2 Armonia percettiva

2.1 Visione

La vista, un dei sensi più influenti, in ordine di importanza ho deciso che è proprio da qui che inizierà il nostro percorso. È opportuno, prima di avanzare qualsiasi sorta di ipotesi, delineare quali sono le categorie di cose che possiamo vedere. Ovviamente vengono i mente tre gruppi sostanziali che sono la percezione di spazio (anche se è un concetto derivato ho ritenuto opportuno renderlo categoria a se stante per motivi che si capiranno in seguito), la percezione cromatica ed in fine le forme che a causa della vastità dell'argomento non tratterò in questo saggio (un analisi accurata dovrebbe prendere in considerazione la curva nello spazio ed il suo legame con l'ambiente ed il corpo, questo comporterebbe lo studio della forma nella storia, i suoi legami con la matematica, la sezione aurea, i tratti somatici, condizioni storiche ed altri e molteplici fattori).

Molto importante, ai fini di una comprensione più profonda, è capire quali sono i limiti e le caratteristiche tecniche della vista. Primo di tutti è il fuoco, i nostri occhi sono dotati di un apparato ottico di lenti che hanno in media una lunghezza focale pari in media a 17 mm. Si evince facilmente che grazie a questa proprietà noi percepiamo le linee rette parallele convergenti. Più il valore della focale sale, più le rette tendono a diventare parallele, ipotizzando una lunghezza focale infinita cioè una lente neutra, piatta, le rette risulterebbero assolutamente parallele. Di rilevanza similare al fuoco c'è la vista stereoscopica, anni di evoluzione hanno fatto sì che non possiamo percepire in modo molto preciso le distanza grazie al fatto che abbiamo due occhi. In ultimo abbiamo la capacità dell'occhio di percepire una limitata gamma di radiazioni il così detto spettro visibile, di cui siamo in grado di recepire la varietà cromatica in modo diverso in base alle condizioni di luce.

Parlando di percezione spaziale di maggiore importanza ci sono le proprietà ottiche dell'occhio. Ci sono due fattori che hanno portato alla formazione di modelli secondo i quali captiamo la realtà: per primo noi abbiamo la concezione di profondità data da un sistema che rimane uguale per tutta la vita, quindi associamo ad una determinata convergenza un altrettanto determinato spazio, per ultimo la tendenza dell'uomo a costruire un ambiente prevalentemente seguendo un rigore geometrico basato su figure poligonali con un notevole parallelismo (parallelepipedo, cubo). Cosa ha comportato tutto questo? Noi abbiamo una concezione di spazio che è molto influenzata dall'architettura e di conseguenza da come la nostra lunghezza focale la distorce. Inoltre i limiti del nostro occhio ci hanno portato a ritenere geometria quello che non è influenzato dall'effetto prospettico, il che significa basati su una vista tale che la convergenza delle parallele risulti irrilevante. Per spiegare meglio questa questione utilizzerò il metodo delle faglie nel sistema, cioè casi dove il nostro modello percettivo risulta insufficiente creando contraddizioni.

Prendiamo a esempio questa opera2 di Escher. Perché la figura ci sembra impossibile? Noi automaticamente pensiamo che al culmine di una colonna ci sia un piano che è rialzato rispetto alla base della colonna stessa. Inoltre diamo per assunto che due linee parallele indichino un elemento che si protrae in profondità. Probabilmente una persona che nella vita non ha mai visto un opera architettonica non riuscirebbe a cogliere il paradosso in questa immagine. La nostra mente ha un modello percettivo che associa a determinati fattori (parallelismo, profondità, poliedri geometrici regolari) alcune proprietà spaziali. Questo è un esempio lampante di come il modello percettivo limiti la nostra capacità di apprendere da quello che vediamo e soprattutto come condizioni l'opera creativa.

2 Maurits Cornelis Escher, La cascata, 1961

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Tale modello percettivo può essere ritenuto valido per spiegare questi altri due paradossi. In questo3 caso l'artista riprende il soggetto della scala di Penrose dove l'influenza dell'elemento architettonico è lampante. Il termine della scala porta ad un livello superiore a quello di partenza.

Ed è lampante, cambiando il punto di vista, notare dov'è che il nostro sistema è insufficiente.

Importante è anche il nostro tendere a percepire le gradazione di ombre come profondità, non sempre ciò che è più scuro è necessariamente più profondo, e questo lo si nota nei disegni dei dilettanti che utilizzano le ombre senza prendere in considerazione la luce, questo a riprova della nostra concezione errata o approssimativa dello spazio.

In questo esempio si può notare come la focale dell'occhio ci abbia dato un modello percettivo. Nel primo caso possiamo essere sicuri che gli spigoli del parallelepipedo siano parallele, mentre nel secondo caso le rette sembrano divergere. Nel primo caso si è adotta una focale da 45mm (che non è la stessa dell'occhio ma simula in modo abbastanza realistico ciò che vedremo fuori dal campo di aberrazione dell'occhio che inoltre

viene tralasciato dal cervello se non per la visione periferica), nel secondo una focale all'infinito

che corrisponde ad una proiezione parallela, le rette nel secondo caso sono realmente parallele ma sembrano divergenti a causa del nostro modo di vedere la realtà.

Per esaurire questo argomento voglio porre un ultimo problema. Tenterò di mostrare un caso dove i nostri modelli percettivo non sono in grado di aiutarci e dimostrerò come una stessa immagine può avere sviluppi diversi nello spazio senza che l'immagine primaria possa darci alcun indizio. Ho voluto tralasciare volutamente, per mantenere la compattezza dello scritto, le influenze delle riflessioni e delle ombre, questi fattori nello stesso modo in cui ci posso rivelare molto sullo spazio ci possono deviare.

La prima immagine rappresenta un solido che non ha un diretto riscontro nella realtà, quindi i modelli percettivi non posso essere d'aiuto. Dal medesimo punto di vista le immagini nella pagina successiva hanno la stessa identica forma ma occupano nello spazio dei volumi totalmente diversi.

3 Maurits Cornelis Escher, Salita e discesa, 1960

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Per terminare la sezione sulla visione si prenderà in esame un argomento molto influente poiché il colore è ciò che da la materia, si fa corpo e sostanza delle forme, è mutevole e ci propone ogni volta in modo inaspettato una versione alternativa del mondo.

Similmente a come ho agito per lo spazio è opportuno individuare quali sono i fattori da prendere in considerazione parlando di colore. Intanto bisogna capire come il colore si generi, ci deve essere una fonte, questa è la luce che può essere artificiale o naturale ma vedremo come il sole ha influenzato anche la nostra scelta per la luce artificiale. Inoltre esiste un'illuminazione ambientale, derivata da quella solare ma che di nuovo costituisce una categoria autonoma. Infine esaminiamo la luce riflessa sulla superficie terrestre, che non è altro che ciò che non vediamo come i colori del mondo in modo assoluto, slegati da altre influenze.

Questa commistura di elementi fa si che noi possiamo percepire i colori della natura che hanno un ordine e delle proporzioni ben stabilite diventando un ulteriore modello percettivo. L'influenza di tale schema cromatico è molto importante, e soprattutto influenzante per la produzione creativa e la comprensione di ciò che vediamo ed è stato preso in esame da molti teorici. I primi ad intuire l'importanza della luce e a renderla centro nevralgico della pittura sono stati gli impressionisti. Cogliere la condizione atmosferica era fondamentale per loro, la pittura ein pleine aire diventa un'esigenza, l'atelier non permette più di cogliere le sfumature cromatiche nella loro essenza più pura, la ricerca del soggetto ideale, più funzionale alla rappresentazione della luce nelle sue più varie forme: bagliori, riflessioni, ombre, costringere gli autori ad utilizzare il bateau atelier4

emblema dell'ossessivo progetto di ricerca. Gli impressionisti diventano gli esploratori della natura rappresentando non più quest'ultima ma il mezzo per la quale si manifesta. Il loro studio ci fornisce degli spunti importanti sulla nostra ricerca.

Procedendo per ordine bisogna analizzare la luce diretta del sole. Gli impressionisti intuiscono che non è sempre costante, Monet ce ne da un mirabile esempio con la sua pittura seriale. Molto evidente è la variazione cromatica nei dipinti sulla cattedrale di Rouen5 oppure il ponte di Waterloo. È vero anche che in tali dipinti vi è l'influenza dell'umidità atmosferica e della luce ambientale ma ai fini della nostra analisi è sufficiente prendere in considerazione le zone non in ombra. Possiamo cominciare ad avanzare alcune ipotesi guardando tali opere. La luce sembra mutare, da tonalità fredde a più calde. Come può avvenire una fenomeno del genere se il sole rimane tale nel tempo? Ad una più attenta analisi possiamo notare che il pittore dipinge da febbraio ad aprile, proprio a ridosso di un cambiamento di angolazione dei raggi solari incidenti sull'emisfero settentrionale. I raggi si fanno meno incidenti. Poiché la luce solare è composta da uno spettro di radiazioni che hanno diversa lunghezza d'onda (da 400nm violetto a 700nm rosso) sappiamo grazie all'equazione di Cauchy n(λ) =A+B/λ^2 che maggiore è la lunghezza d'onda minore è l'angolo di rifrazione. Di conseguenza d'inverno la luce solare risulta avere una componente rossa maggiore rispetto a quella estiva. Inoltre i movimenti della terra intorno al sole fanno si che questo sistema cromatico abbia ulteriormente una maggiore componente di rosso nelle ore dell'alba e del tramonto. Abbiamo così capito come la nostra percezione del colore è fondata sul movimento del sistema solare. Se l'inclinazione dell'asse terrestre fosse stato diverso da quello attuale probabilmente avremmo visto

4 Vedi Le bateau atelier, Claude Monet

5 Nel febbraio del 1892 Monet affitta una camera che da sulla facciata ovest della cattedrale; nel corso di tre anni, da

febbraio ad aprile, dipinge la cattedrale nei diversi momenti del giorno.

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il mondo con delle sfumature cromatiche del tutto diverse.

Di nuovo gli impressionisti ci danno la chiave di lettura di un nuovo problema. Esiste il nero assoluto in natura? Sicuramente no, eppure tendiamo a ritenere che in ciò che vediamo ci siano dei punti prossimi al nero, principalmente le zone d'ombra questo perché noi percepiamo un colore in relazione a quelli che ci sono intorno, se in una immagine ricca di colori prossimi al bianco c'è un punto di grigio appena accennato questo potrebbe risultare nero. Statisticamente l'uomo tende a ritenere il punto più scuro quello d'ombra, infatti sembra un'asserzione lecita poiché il punto d'ombra non è colpito da alcun tipo di luce, ma spesso si tralascia l'influenza della luce ambientale del cielo. Gli impressionisti hanno intuito questo problema, la zona d'ombra è vero che non è illuminata da una luce diretta ma è illuminata da quella ambientale che è spesso color ciano nei momenti dove il sole è più perpendicolare e rossastra nell'alba e tramonto. La resa delle “ombre colorate” si può evincere in modo lampante nella serie de “I covoni” di Claude Monet oppure similmente la resa del bianco della neve che fondamentalmente non può essere bianca dato che è illuminata dal cielo azzurro di Sisley in “Effetto di neve a Louveciennes”.

Il cielo dunque influenza in modo determinante la percezione cromatica e quindi ci appresteremo ad effettuare degli esperimenti che tentino di farci uscire dal modello percettivo dato dai fattori terrestri. Per fare questo ci ispireremo all'artista Piet Mondrian che per primo ha tentato di dare ordine ai colori in modo scientifico. Il neoplastico nelle sue composizioni non figurative stabiliva i rapporti tra il blu, rosso, giallo e nero in modo che potessero rispecchiare l'armonia cromatica della natura. Ci appresteremo ad analizzare il bilanciamento cromatico in un paesaggio simulato neutro (si utilizza un ambiente neutro, cioè del tutto grigio, poiché risulta impossibile simulare i colori di un ambiente che non è quello terrestre considerando che lo stesso cambia a seconda di fattori climatici, ambientali, chimici, fisici ed una miriade di fattori insostenibili) prima nell'atmosfera terrestre e poi in quella di Venere6. Una volta che abbiamo considerato le differenze che sussistono nell'armonia cromatica delle due composizioni applicherò tale divario ampliando lo spettro dell'immagine di venere dando una varietà di colori simili a quella che avremmo nella prima immagine. Questo ci fa capire come un soggetto nato su venere possa percepire varia la luce che è su Venere applicando la stessa varietà che nell'illustrazione terrestre.

(Da notare in oltre che in queste simulazioni non si prenderà in considerazione l'intensità della luce in quanto il nostro intento è quello di evidenziare i rapporti cromatici).

6 Si è utilizzato per la simulazione di venere l'immagine del cielo scattata dalle sonde inviate sulla superficie.

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Terra Venere

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L'istogramma 1 rappresenta la distribuzione dei colori nella prima immagine, possiamo considerare la prima immagine lo stereotipo dell'armonia visiva nell'uomo sulla terra in condizioni standard (sono state simulate le condizioni di luce che ci sarebbero a Pescara il 10 Luglio alle ore 15:00 con cielo sgombro e valori atmosferici nella media). L'istogramma 3 rappresenta le stesse condizioni armoniche su Venere (le ombre sono limitate al minimo poiché il sole viene maggiormente riflesso dall'atmosfera, la restante parte viene diffusa). L'istogramma 2 è la risultante della distorsione cromatica dell'istogramma 3 in modo tale da essere il più simile possibile alla curva visibile nell'istogramma 1. Questo comporta una forzatura dei colori della seconda immagine ad essere ricchi quanto la prima immagine. Adattandosi al nostro modello possiamo infine capire come un ipotetico nativo di Venere possa percepire la variabilità nella seconda immagine. Ovviamente L'istogramma 2 rivela grossi deficit, come si può vedere dal grafico, questo perché la varietà di colori è limitata dall'immagine nativa.

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Per terminare questa sezione voglio provare tramite un esperimento a far intuire cosa potrebbe esserci oltre lo spettro visibile. Sappiamo bene che quello che l'occhio ci propone non è altro che una minima parte di un mondo di colori sconfinato. Ciò che è buio pesto per noi potrebbe essere un arcobaleno, un tripudio cromatico di mirabile bellezza, non so se ci sarà dato di vederlo, per ora non possiamo fare altro che immaginare, utilizzando i metodi rudimentali congetturiamo su ciò che il nostro occhio omette. L'immagine che proporrò di seguito è il risultato di una tecnica chiamata High Dynamic Range Imaging (HDRI). La fotocamera sebbene possa avere una definizione molto alta non è in grado di cogliere la variabilità cromatica dell'occhio umano, per riuscire ad avere una profondità più ampia è opportuno effettuare numerosi scatti ad esposizioni diverse, ogni scatto copre uno spettro diverso, e, sommando tutte le fotografie se ne ottiene una che è molto vicina a

quello che l'occhio può percepire. Si può notare come la seconda immagine sia molto più ricca. Ora se provassimo ad analizzare gli istogrammi delle due foto vedremmo come nella prima foto ci sarebbe un picco al centro mentre nel secondo caso

l'istogramma sarebbe pressoché pieno. Ora se provassimo a prendere il gap che c'è tra la prima e la seconda foto ed aggiungerlo davanti all'istogramma della seconda foto probabilmente ci sarebbe un miglioramento pari a quello che c'è stato tra la prima e la seconda immagine. Possiamo provare ad immaginare che dove ci siano i colori più vicini al nero in realtà potrebbe esserci qualche altro colore, e allo stesso modo ogni sfumatura potrebbe essere ricca di una varietà cromatica più ampia. Non ci resta che immaginare di che colore possa essere il mondo.

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2.2 Udito

In questa sezione ci proporremo di risolvere questioni direttamente collegate con l'ascolto cercando di focalizzarsi prettamente sulla musica. Ci atteniamo a questa tematica poiché una analisi più completa dovrebbe prendere in considerazione una quantità di materiale difficilmente gestibile in questo saggio. In ogni caso bisogna tener presente che oltre alla musica, strettamente legati all'udito ci sono inoltre problematiche inerenti al legame tra ascolto ed attenzione, alcuni schemi generati dal vivere in un determinato ambiente fanno sì che l'uomo abbia sviluppato una sordità ad alcuni suoni, le motivazioni sono tante e sarebbe interessante approfondire l'argomento per provare ad ipotizzare che suono abbia davvero il mondo7. Inoltre va considerato che tali schemi uditivi influenzano enormemente lo sviluppo del linguaggio e dell'intelletto poiché tramite l'udito passano una buona parte dei contenuti cognitivi. In questi termini un'indagine che potrebbe essere interessante e stimolante è quella dello studio della dislessia secondo i metodi esplicati nell'introduzione: attraverso la comprensione degli schemi di un dislessico si può cercare di intendere meglio i limiti di un soggetto non affetto da DSA. In modo parallelo all'apparato visivo, l'udito è sensibile solo ad uno stretto intervallo di frequenze, omettendo molte tonalità. Sarebbe inoltre interessante cercare di capire come i ciechi abbiano sviluppato un sistema uditivo che per necessità è molto più sensibile in modo da diventare un nuovo occhio sul mondo, sicuramente quello che sono in grado di ascoltare va molto oltre le capacità di un normodotato, in questo caso la strategia da adottare sarebbe quella dell'analisi del modello percettivo superato per capire dov'è che sono eradicate le nostre limitazioni.

Il primo problema che è opportuno porci è quali sono le caratteristiche di un onda sonora affinchè su possa definire un rumore o un suono? Intanto bisogna precisare che si tratterà di onde generate

non da un impulso ma da una vibrazione e da una risonanza. Tramite l'analisi di spettrogrammi e dei grafici di suoni generati artificialmente si riesce a capire che la qualità del suono è proporzionale alla periodicità dell'onda. Le onde 1 e 2 risultano essere dei suoni piacevoli, mentre l'onda 3 è un rumore molto fastidioso. Evidentemente le onde 1 e 2 sono periodiche come si può notare dal grafico mentre l'onda 3 non lo è, la sua irregolarità è inoltre ribadita dallo spettrogramma. Da questo si evince molto velocemente come si sia generato un modello percettivo fonico. L'uomo ha da sempre udito suoni generati dalla vibrazione e risonanza di oggetti, questi generano nella maggior parte dei casi un onda periodica.

7 Per approfondire vedi studi di Colin Cherry: Studioso di scienze cognitive i cui maggiori contributi sono concentrati

sull'attenzione uditiva.

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Già qui siamo riusciti ad individuare una limitazione ma ponendo il problema della percezione della musica si riesce a trovare un diretto riscontro con la produzione creativa, il nostro modello ci condiziona enormemente ed ora vedremo come.

La discussione sulla questione di ciò che suona gradevole all'orecchio risulta essere molto spinosa e soggetta di studi da parte di molti fisici e musicisti della storia. Con l'avvento della musica polifonica si sentì la necessità di dare espressione alla musica in modo similare al linguaggio parlato avendo risoluzioni diverse secondo le culture. Eppure c'è un fattore che va contro la mia tesi dell'esistenza di un modello percettivo infatti in ogni civiltà in modo universale la scala si è basata sull'intervallo di quinta giusta ed infatti la sintassi tonale si sviluppa a partire dalla triade maggiore formata dalle prime 5-6 parziali armoniche. Sottoponendo tale teoria ad una analisi più attenta si potrebbe ipotizzare che l'uomo per qualche fattore generalizzante abbia inteso tali intervalli o triadi consonanti, ribadendo di nuovo l'esistenza di un modello secondo il quale le armonie o melodie debbano accordarsi.

In ogni caso si è tentato di sottoporre a leggi ben predefinite il rapporto tra le note. Tra i primi a formulare una teoria c'è Pitagora che ha dettato le leggi del suo temperamento tutt'ora conosciuto come pitagorico fino ad arrivare al sistema odierno quello del temperamento equabile. Ma perché risulta tanto arduo trovare una regola fissa? Non basterebbe prendere un intervallo di ottava e dividerlo in un numero di parti uguali? Il problema sorge quando dividendo un intervallo in più gradini basandosi sull'intervallo di quinta giusto (3/2) si ottengono un numero infinito di note. Il ciclo delle quinte infatti non si chiude, partendo da una nota e procedendo per quinte giuste non si ottiene mai una ottava inferiore o superiore a quella di partenza. Bisogna quindi in un certo modo approssimare limitando i danni. Inoltre si aggiungono ulteriori problemi, come quelli dovuti al fenomeno del battimento. Questa commistione di eventi rende la ricerca del temperamento un cruccio nella storia della fisica delle onde. La svolta c'è stata con la scoperta del temperamento equabile da parte del fisico Andreas Werckmeister che teorizza un sistema che riduce gli errori della scala ad un valore molto scarso, quasi irrilevante, evitando di dover riaccordare lo strumento ad ogni cambio di tonalità.

Il problema di fondo non sta tanto nello sviluppo di un temperamento, ma più nel fatto che questo temperamento ormai sia consolidato nella musica occidentale da secoli. Abituati ad ascoltare determinati rapporti tra le note abbiamo costruito un modello percettivo molto consolidato che non accetta in alcun modo eccezioni. Allo stesso modo la percezione melodica è fondata sulla tensione dell'orecchio ad “atterrare” su determinate note della scala. Abbiamo sviluppato un gusto che ormai condiziona fortemente il nostro modo di sentire la musica, chissà quante armonie e melodie sono celate dietro il temperamento equabile. Non sono in grado di dire come superare queste limitazioni ma abbiamo molti e svariati esempi di come la musica abbia la potenzialità di esplorare terreni

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misteriosi. Basta guardare o meglio ascoltare l'oriente. Lì l'utilizzo di strumenti come il sitar hanno fatto si che fossero esplorate sonorità del tutto innovative. Il sitar ha i tasti mobili quindi si può variare anche in modo casuale il rapporto delle note superando l'utilizzo di un temperamento universale. Le avanguardie jazzistiche come ad esempio il free jazz si basano sul suonare nel modo più dissonante possibile, ai più questa musica potrebbe risultare sostanzialmente dolorosa ma un ascolto problematico ci fa capire come le frontiere della sonorità si siano fossilizzate su schemi che precludono sentieri del tutto inesplorati, il tutto però mantenuto sul buon temperamento.

Per esaurire l'argomento voglio infine parlare delle illusioni acustiche. L'orecchio sembra seguire adottare dei metodi per percepire il mondo che sono funzionali ma rivelano delle faglie.

La scala di Shepard è associabile all'illusione ottica della scala di Penrose. Esistono molte versioni di tale scala ma hanno in comune la sensazione di un suono complessivamente costantemente calante o ascendente. Il fonogramma evidenzia l'utilizzo di un campione periodico in cui le armoniche acute vengono reintrodotte gradualmente, l'orecchio non è in grado di focalizzare l'attenzione sulla fondamentale del suono ma solo sull'andamento complessivo discendente.

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2.3 Tatto

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2.4 Gusto/Olfatto

Ho deciso di accorpare questi due sensi in tale capitolo poiché ai fini del percorso non sarebbe stato molto rilevante prenderli in esame separatamente. Va inoltre considerato che spesso questi due sensi vanno di pari passo influenzandosi reciprocamente in modo molto diretto ed efficace. In questa sezione non si parlerà della fisiologia ed anatomia dei mezzi di percezione ma piuttosto del gusto in sé, cioè ciò che riteniamo gradevole al palato. Lo sviluppo di un sistema percettivo è lampante, diverse culture hanno tradizioni gastronomiche totalmente diverse, frutto di sviluppi, necessità e ambienti diversi. Mi propongo dunque di analizzare come la storia abbia generato un sistema percettivo di preferenze culinarie nell'epoca moderna.

Intanto è opportuno capire che la storia ha influenzato enormemente il gusto, anche a scopo evolutivo. Risultano per questo motivo, in modo abbastanza generalizzato, più gustosi piatti ricchi di grasso, oppure allo stesso modo la cottura alla brace è più gradevole di altri metodi. Rispettivamente alimenti più grassi garantiscono una migliore sopravvivenza e prima dell'avvento del gas nelle case si è sempre cucinato utilizzando carboni ardenti o il fuoco vivo. Il seguire un determinato stile di vita ha formato il gusto. L'esportazione e le invenzioni hanno giocato inoltre un ruolo fondamentale, ora ci accingeremo a capire meglio come.

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