Arendt - Lavoro Opera Azione

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Hannah Arendt, Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva Ombre corte, Verona 1997

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Hannah Arendt, Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva

Ombre corte, Verona 1997

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LAVORO, OPERA, AZIONE LAVORO, OPERA, AZIONE 19

cuí sembrav ano caralterizzale dalla non-quiete, da

qualcosa di negativo: da a-scbolia o da nec-otiurn, da

^un un"u dí tempo libero, dunque dall'assenza di

quelle condizioni che rendono possibile la contem-plazione. Messe a comento di quiete tutte Iterne alla uita actiua si

sta della contemplazione non è importante sapere

che cosa dísturbí la necessaria quíete, ma il fatto che

sia disturbata.

Tradizionalmente dunque Iauita actiua ha ricevu-

to il suo significato dalfauita conternplatiua.La con-

siderazione ínvero molto limitata di cui godeva le

era riconoscíuta ín quanto stava aI servizio dei biso-

gni ed esigenze della contemplazione in un corpo vi-vente. Con la sua fede in un aldilà, le cui gioie si

preannunciano nei piaceri della contemplazione, ilcristianesimo ha conferito una sanzione religiosa al-

I'umiliazione della uita actiua,mentre d'alttaparte ilcomandamento dí amare il prossímo formava un

contrappeso, sconosciuto agli antichi, rispetto a vnasimile rrãlutuzione. Ma la determinazione dell'ordinegerarchico

^zione costituiva

la più alta i origine gre91.e

non cristia la scoPerta della

che il cristianesimo, contrariamente a quanto è stato

spesso affermato, non ha assegnato aIIa vita attiva

'B

zioneo che considera I'azione dí fatto solo come un

Ã.r"roche ha come suo vero fine la contemplazione'

;;;;. indubbio - e nessuno mai ne ha dubitato -che gli esseri umani possono benissimo trascorrere

l^ ,îru senza mai indulgere alla contemplazione'

mentre å'altta parte nessuno può permanere per

llinr..u sua vita in stato contemplativo' In altre paro-

le la vita attívanon è soltanto ciò che tiene impegna-

omini, ma anche ciò cui

te sottrarsi' Giacché aP-

ondizione umana che la

rice di tutti i generi di at-

tività - del lavoro, in quanto produce tutto ciò che è

necessario a mantenere idell'oPera, che crea tuttouna dimora al corPo umquanto essa organizzala c

ái .rr.ri t-u.ri in modo tale åa garantite la pace'

condizione necessaria per la calmu della contempla-

zione.

ProPrio Perché sono P

ne, ho descritto in modo

articolazioni della vita att

me soggette ai fini dnaturale che la vita

da coloro che Per conto

di vita contemPlativo' Pe

sPecie di attività umana

i ProPrio nelia misura in

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I

LAVORO, OPERÀ, AZIONE

40

iore, non ne ha conte-

no" 1'h" considerata -

cafe.

LAVORO, OPERÂ, AZION' O'

Mi si consenta di spíegare brevemente come que-

sta identità si riveli ttt'Jil nostro contesto' Quando

ho enumerato le fottãu*tt"ali attività umâne: Lavo-

ne come Punto supremo.

per effetto la ristrutturazt

ie, anche se non semPre 1

erà stata ormai rovesclata

o dei fiiosofi)' Dal Punto

à Politica, intesa :oT'uiå d"[^ contemPlazio-

i cambiamento'

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'-"- ' tI

Lavoro

seconsiderde$ïi,'î1,i,îj.î-i;i'îiilt'"'i:vi rendetete immeo--' :tto, è la glorifi

ritíma cosa cne

xä:Ï:::'äi;di una Posízionetrarsi maggiormconto che a occu

lavoro come tale

e soltanto iI con-

\nche qui il crite-

odello dei risulta-

tí duraturi' Perc riù grande tra 111-

losofi del lav

terPretare illworkingactlitica. Certoca non era Più

LAVORO, OPERA, AZIONE

lesei immutabili che avtebbe fat to :una comunità po-'lt,"iäï':'h;;;bd; u"rlto 'å-' risultato finale un

progetto che¿veva in m

riteneva ora invece che

storia" - un modo di dire

volta in Vico - e non una

q*rru storia avesse' co r'è generalmente noto' un

;'""-o-¿"tto fi"Jt, U 'cieià sefiza classi' che sa-

rebbe stata la fine del

modo in cui il tavolo cost

ne del Processo difabbúcazi<;",".,i;;.r.. "

il;ll; reorico i grandi ri-valutatori

ä.1-t"..tti valori non avevano fatto altro che capo-

;;i*.;. Ë..*, i^ utttttiu gerarchia interna alla aita'o1îi

no^rubì p"tt"'baziãni' I vecchi modi di pen-

sare contínuarono a dom

divenne estremamente P

iå"i. .lr. effettivamente cârattetizza sotto questo

;ö;. i;;ta -odttt'u è che ia contemplazione stessa

.rä diu.ttnta Priva di senso'

che dobbiamo occuparcl

ssumere la gerarchia Piùercare di Penetrare all'in-

. E la Prima cosa che avrete

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LAVORO, OPER,{, AZIONE LAVORO, OPEM, AZIONE 45

o faccio ffala-Åarà Ploþabil-un'osservazl0-

sni deila vita"). I-levidenza fenomenica che mllita a

F^i"iãîi'q".át^ distinzione è troppo schiacciante

)rare; epPure e un fatto che

se e saivo I'imPortante te-

ria sociale e istituzionaie'che la convalidi'

A questa mancaîzamente il semPlice fatto

sia antiche che moderne,

etimologicamente irrelat

abbiamo finito Per con

Così il greco distinguetino tra laborare e facyauailler e ouurer, i' tIn tutti i casi citaii gli equivalenti del iavoro hanno

,rn "

lonrro tazíone iñconfondibile di. esp e rienze cor -

;;;.., di pena e tormento' e in qolti casi vengono

usatí significativaãånit p"t tt doglie del parto' I-lul-

tim rrresta connessione originale è.stato

Ma avoro come la "riProduzio-

ne 'eilgenerate'la-Produzio-

ne di "vita altruí", come la prãduzione della specie'

teorie moderne del lavoro dopo Marx, e se ci limitia-mo a seguire esclusivamente Ia testimonianza di na-

tura etimologica e storica, risulta owio che il lavoroè un'attività che corrisponde ai processí biologici delcorpo, owero, come scrisse il giovane Matx, esso è í1

metabolismo tra l'uomo e la nattrra, o il modo uma-no di questo metabolismo che condividiamo con

tutti gli organismi viventí. Lavorando l'uomo produ-ce quanto necessario per la vita, che deve nutrire ilprocesso vitale del corpo umano. E dal momentoche questo processo di vita, che pure ci conduce dal-

la nascita alla morte lungo una progressione lineare

di decadimento, è in se stesso circolare, anche I'atti-vità lavorativa deve seguire il ciclo della vita, il movi-mento circolare delle nostre funzíoni corporee. Ciòsignifica che I'attivitàIavorativanon giunge mai a-un

teimine fintanto che dura Ia vita umana; significache è infinitamente rípetitiva. A differenza dall'ope-nrelusorl<ing7, che perviene a un termine non appe-

na l'oggetto è compiuto, pronto ad aggirtngersi al

mondo comune delle cose e degli oggetti, I'attività

I1 lavoro, ín altre parole, produce beni di consu-

mo. E lavorare e consumare non sono che le due fa-

si del ciclo sempre ricorrente della vita biologica. Le

due fasi del processo vitale si susseguono così dap-

presso da costituire quasi un unico e medesimo mo-

,rim.nto. Questo non fa a tempo afinfte che dev'es-Se tralasciamo tutte le teorie e specialmente le

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46 LAVORO'OPERA,AZIONE LAVORO, OPERA, AZIONE

Benché fatte dall'uomo, vanno e vengono, sono pro-- dotte e consumate, in conformità con il movimentociclico sempre ricorrente della natura. Per conse-guenza non possono essefe accumulate e "messe daparte", come sarebbe necessario qualora dovesseroservire all'intento fondamentale di Locke, quello dífondare Tavaltdità della proprietà privata sui dirittidegli uomini a possedere il loro proprio corpo.

Ma mentre il lavoro appare del tutto "improdut-tivo" e inaffidabile nel senso di produrre qualcosa diduraturo - qualcosa che soprawiva all'attività stessa

e anche all'arco di vita del produttore - esso è inve-ce altamente produttivo in un altro senso. La forzaIavoratíva dell'uomo è tale da produrre più beni diconsumo di quanto sia necessario alla soprawivenzasua e della sua famiglia. Questa abbondanzanalt:l.a-le del processo lavorativo ha consentito a degli uo-mini di rendere schiavi o di sfruttare i loro simili, li-berandosi così dal peso della víta. E se è vero che

questa liberazione dei pochi è sempre stata ottenutada una classe dominante con l'uso della fotza, essa

non sarebbe mai stata possibile senza questa impli-cita fertilità dello stesso lavoro umano. Peraltro an-

che questa "produttività" specificamente umana è

parte integrante della natuta)partecipa della sovrab-bondanza che notiamo ovunque nel mondo natura-le. Non è altro che una diversa modalità del "Cre-scete e moltiplicatevi" con cui è come se ci parlasse

la voce stessa della natura.

Dal momento che il lavoro corrisponde alla con-

47

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48 LAVORO, OPERA, AZIONE

esso partecib.l "otl,¡gltanto

delle su ti, ma ancheldi quell,zi inten-

sa gioia di esperire il fatto di essere

vivi. La Iu gråía del lavoro"' che ha

i"*" pr". nelle teorit -odt"" del lavoro' non è

una nozione vuota. I.luomo, l,autore dí quell,artifi-

;J;;;; che chiamiamo mondo distinguendolo

á^U^ "ã*ta, e gli uomini, che sono sempre coinvol-

ti gli uni con gligio, non sono iniaturali. Ma nellche delle creature viventi,

cui possiamo muoverci e sostare soddi

p..å¿i""ro della natura, faticando e

,rorundo e consumando, con la stessa.

)o con cul 51

la morte. Il comPenso che

.ormenti, benché non lasci

Le Píù reale e meno futile di

ogni altra forma di contenie zza' F*qs,o si fonda sulla

fertilità detlu nut'-tra, sulla serena fiducia che chi ha

f.attola sua Parte, in qua

mane paffigli dei s

renza åaIe che perciò non considerav a nêIamorte né il lavo-

.o .oÀ. un male (e certamente non come un argo-

mento contro la vita) mtriarchi quanto Poco e

morte e come la morte

forma familiare della n

"i.rrro,"i.t tardissíma età e sazi di anni"'

LAVORO, OPER,A., AZIONE

Quella gioia della vita nel suo insieme che è íne-rente al lavoro non si incontra mai nell'opera e nondovrebbe essere confusa con il momento di gioia,inevitabilmente breve, che ne segue il compimento e

che accomp^gna iI risultato. La gioia del lavoro sta

nel fatto che lo sforzo eIa gratlficazione si succedo-no dappresso proprio come la produzione e il con-sumo, sicché la soddisfazíone è un momento conco-mitante del processo medesimo. Non v'è durevolegioia né soddisfazione per gli esseri umani al di fuoridel ciclo prescritto di penoso esaurimento e piacevo-le rigenerazione. Qualsiasi cosa sbilanci un taie ciclo

- I'infelice condízione per cui I'esaurimento è ac-

compagnato dalla desolazione, o una vita completa-mente sf.aticata in cui Ia noia prende il posto della

stanchezza e in cui Ia ruota della necessità o quella

del consumo e della digestione macinano spietata-mente a morte un corpo umano incapace di difen-dersi - dístrugge quella elementare felicità che civiene dall'essere vivi. Un elemento dí lavoro è pre-

sente in tutte le attività umane, anche le più alte, ínquanto vengano intraprese come impieghi di routinecon cui ci guadagnamo da vivere e ci manteniamo invita. La loro stessa rípetitività, che assai spesso av-

vertiamo come un peso esautorante, è ciò che forni-sce quel minimo di contentezza animale che í grandie significativi momenti di gioia, rari e prowísori,non possono mai sostituire, e senza di cui nemmenoi momenti più durevoli, benché altrettanto rari, divero dolore e rammarico porebbero verificarsi.

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Opera

LAVORO, OPERA, AZION1 51

riale su cui lavorare e con cui costruire. Però se è ve-

ro che I'uso è destinato a usurare gli oggetti, non si

trattz- di una fine pianificat^ e non è questo il fineper cui sono stati fatti, come invece è il fine inerenteãel pan.la sua "distruzione" owero il suo immedia-to cãnsumo; cíò che l'uso logora è la durevolezza'Inaltre parole la distruzione, anche se inevitabile, è ac-

ciderrtale rispetto all'uso ma inerente invece al con-

sumo. Ciò che distingue il più logoro paio di scarpe

dai generi di puro consumo è che le scarpe non si

guastano se non sono indossâte: sono ogg,etti, e- pos-

ri.do.to perciò una certâ "oggettiva" indipendenza

ioro propria, anche se modesta. Usati o no, permar-

ranno per un certo tempo nel mondo, salvo non

vengano deliberatamente distrutti.

È questa capacità di durata che dà alle cose del

mondã la loro rclativa indípendenza åagIi uominiche le producono e le usano, quell'oggettività che fa

sì che contrastino, che "stiano contro" e sopportinoalmeno per un certo tempo i voraci bisogní e deside-

ri dei loio viventi tulizzatorí. Da questo punto di vi-

sta le cose del mondo hanno la funzione di stabiliz-

zarcIavita tmana e la loro oggettívità consiste nel

fatto che gli uomini, nonostante la loro natura co-

stantemente mutevole, possono ricuperare la loropropria degli og-

gettì, h Po anche

l" ,t.rru I'indiffe-renza della natur

^, mal'artificio costruito dall'uomo

è ciò che contrasta con la soggettività umana' Solo

perché abbiamo elevato un mondo di oggetti a p^r'

L-opera delle nostre mani' che distinguiamo 'dal

lavoro dei nostri ttrpi' lubb'lt'ula molteplicità dav

;;;;fi;ìo ã.ll' 'åi'''h' danno ! o.eo'nel loro in-

;;;;iñtificio umano' il mondo. in cui viviamo'

Ñä"li;;il ii u."i-ãi 'o""*o bensì di oggetti

d'uso. Il loro,rro, "-uppropriato' on ne determina

;;;;;e. Essi Ã"ÏåtitË""o al mondo quella so-

lidità e stabilità tt;;;;it"i il mondo non darebbe

la sannzia¿i po"' ã'pì;";; quella creatura instabile

" riortale che è i'uomo'

Certo la durevole zza delmondo delle cose non è

assoluta' Noi non tåt*-iu*o le cose ma ne faccia-

ä.,iä ^il;;"

le usiamo, finiranno per deperire'

per ritornare entro ii proto'o naturaie complessivo

da cui erano state tra¿e e in contrasto con ii quale le

avevamo costruite' lu"iutua sé o espulsa dal mon-

do umano Ia sedia tã*tta a esserelegno e il legno si

corrornperà ritornand o alfa ærta åa cui i'albero era

;;;;;;ptt"tu di .,"it taglíato per diventare il mate-

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LAVORO. OPERA, AZIONE LAVORO, OPEM, AZIONE 53

cui viola e distrugge paruialmente ciò che gli è statodato.

Il processo della fabbricazione è ínteramente de-terminato dalle categorie di mezzo e fine. La cosafabbúcataè un prodotto finale nel duplice senso chein esso il processo di produzione giunge a un fine e

che è soltanto unmezzo per produrre questo fine. Adlffcrenza dall'attività lavorativa, dove lavoro e con-sumo sono solo due fasi di un identico processo - ilprocesso vitale dell'individuo o della società - il fab-bricare e l'usare sono due attività del tutto differen-ti.La fine del processo di fabbrícazione si ha quan-do la cosa è compiuta e si tratta di un procedimentoche non ha bisogno di essere ripetuto. Limpulso a

ripetere viene dal bisogno dell'artígiano di guada-gnarsi da vivere, cioè dall'elemento di lavoro cheinerisce alla sua opera. Può veníre anche dalla ú-chíesta di moltiplicazione da parte del mercato. Inentrambi i casi l'attività viene ripetuta per ragioniche le sono estrinseche, a dlff.erenza da quella rípeti-zione forzata che inerisce all'attività lavorativa, dovesi deve mangiare per lavorare e lavorare per mangia-re. Non si dovrebbe confondere la moltiplicazionecon la ripetizione, quand'anche possa essere âwertí-ta dal singolo artigiano come mera ripetizione, cheuna macchina potrebbe compiere meglio e in modopiù produttivo. La moltiplicazione infatti moltiplicadelle cose, mentre la Åpetizíone si limita a seguire ilciclo ricorrente della vita, ín cui i suoi prodotti sva-

niscono quasi altrettanto rapidamente quanto sonoapparsí.

,2

dre da quanto Ia natuta ci ha datò, t *dbi^*o o9-

struito nella naturu qnesto ambienieiàrtiflCtalei ehe'

ci protegge dalla natura a-

mo guardare a quest'ult g-

gettivo". Senza un mon 1^

vi sarebbe eterno movime g-

gettívità.

Durata e oggettività sono il prodotto del fabbri-

care, l'opet u {J['ho*o faber' Essa consiste nella rei-

iiruio"Z.Quella solidiià che è presente anche nelle

cose più fragili viene in ultima analisi åalla mateúa'

trasfJrmata l.t -ut.ti^le. I1 materiale è già un pro-

¿.i. ã.U" mano dell'uo no, che lo ha rimosso dalla

sua colloca zione naturale, o sacríficando un proces-

,o rritrt., come nel caso dell'aibero che dà la legna' o

irrt..--p.ndo quaicuno dei processi naturali più

l*ti, .o-. per ilierro,la pietra o il marmo che ven-

gorrá .tt."tti dal grembo della terra' Un tale elemen-

ío di violazione e di violenza è presente in ogni fab-

bricare e l'uomo, in quanto creatore dell'artificio

umano, è sempre stato un distruttore della natura'

L.rp.ri.rtra ái questa víolenza þ l'esperienza più

elerientare áellanorzaumana e con ciò stesso è ple-

cisamente iI contrario di quello sforzo penoso e de-

bilitante che sperimentiamo nel lavoro vero e pro-

orio. Non si tratta più qui del guadagnarsi il panei.ol sudore della fronte", con cuí l'uomo può invero

essere signore e padrone di tutte le creature viventi

ma resta ancora al servizio della natura, dei propri

birogti naturali e della terfz.' Homo faber diviene si-

;;.t= e padrone della natura stessa nella misura in

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LAVORO, OPERA, AZIONE

Il fatto di avere un inizio ben definlto le un ter¡ni-

ne altrettanto definito e prevedibile è il contrasse-

to, homo re così come - sem-

p* .o.tf Prodotto delle sue

mani - è

Ho detto in precedenza che tutti i processí di

fabbricazione sono determinati ð'aila categoria di

LAVORO, OPERA, AZIONE 5'

mezzi e fine. Ciò si rívela con la massima chíarczzanel ruolo enorme che vi hanno gli arnesi e gli stru-menti. Dal punto di vista delf'horno faber,l'uomo è

effettivamente quel che díceva Benjamin Franklin,un "tool-maker". Certo gli arnesí e gli strumentivengono impiegati anche nel processo lavorativo,come ben sa qualsiasi donna di casa, orgogliosamen-te atttezz^ta di tutti gIi aggeggi di una cucina mo-derna. Ma queste atttezzafi)le, quando vengonousate per il lavoro, assumono un cârattere e una fun-zione diversa; servono ad alleviare il peso e a mecca-nizzarele fatiche di chi lavora, sono - per cosi dire -antropocentriche, mentre gli arnesi di fabbrícazionesono progettatí e inventati per fabbricare cose, Ia lo-ro idoneità e precisione sono dettate da scopi "og-gettivi" piuttosto che da bisogni e desideri soggetti-vi. Inoltre, ogni processo di fabbúcazione producecose che durano considerevolmente più a lungo chenon íl processo che le ha portate ali'esistenza; men-tre in un processo lavorativo che allestisce deí benidi "breve dtJrata" , arnesi e strumenti sono le sole co-se che soprawivono allo stesso processo lavorativo.Sono le cose d'uso per lavorare e come tali non sonoil risultato della stess a attività lavorativa. Ciò chepredomina nel lavorare con il proprio corpo, e im-plicitamente in tutte le attività dell'operare eseguitenella modalità del lavorare, non è 1o sforzo intenzio-nale né il prodotto stesso, ma iI meccanismo del pro-cesso e il ritmo che esso impone ai lavoratori. Glistrumenti del lavoro vengono trascinati in questoritmo in cui corpo e strumento obbediscono allostesso movimento ripetitivo - fino al punto che, nel-

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LAVORO, OPERA, AZIONE LAVORO, OPERA, AZ]ONE 57

gíudicati nei termini deila loro adeguatezz e utilitàin vista del prodotto finale desiderato, e nient'altro.

Cosa sorprendente, la validità della categoria

mezzi-fininon si esaurisce con il prodotto finito, per

il quale ogni cosa e persona díventa un mezzo. An-che se l'oggetto è un fine in rapporto aí mezzi con

cui è stato prodotto, nonché il fine effettivo del pro-

cesso di f.abbÅcazione, esso non diventa mai - per

così dire - un fine in sé, o almeno non fintanto che

resta un oggetto destinato all'uso. Esso assume im-mediatamente íl suo posto entro un'aItta catena

mezzo-fine in virtù della sua stessa utílità; in quanto

mero oggetto d'uso, diventa unmezzo per - diciamo

- una .rita comod a; o in quanto oggetto di scambio,

cioè in quanto un valore determinato sia stato confe-

rito al materiale impiegato per la fabbricazione, esso

diventa un mezzo per ottenere aitri oggetti' In altre

parole, in un mondo strettamente utilitaristico, tuttii fíni ro.ro destinatí ad avere breve åtxata; vengono

ffasformati in mezzi per determinati ulteriori fini'limbarazzo dell'utilitarismo - quella che potrem-

mo dire la filosofía deII'honao faber - deriva dal tro-

varsi catturato entro una catena infinita di mezzi e

fini senza anivare mai ad alcun principio che possa

giustificare la categoria, cioè la stessa utílità.

II modo consueto per uscire da questo dilemma

consiste nel fare dell'utente, I'uomo stesso, il termi-ne ultimo su cui arrestare Ia catena infinita dei fini e

åei mezzi.I-luomo è un fine in sé e non dovrebbe

maí essere usato come ûnmezzo per conseguire altri

loro movimento so-

ell' attívità lävorativa'

Po che dêtPrminaimento della mac-

i del corPo' o addirit-

tura - ad uno stadio ptù avanzato - li sostituísce' Mi I

,.ÀUtu moito carattåristico il fatto che la questione

tu.rto dirprrtata se sia I'uomo a dover essere " aggiu-

rîä'äirã -acchina o piuttosto le macchine allana-

tura dell'uo*o, ,,o" sia mai stata sollevatain riferi-

;äìå-; ;pii.i u"tt'i e strumenti'La ragione.è

.iî'i",d i f"tä ã¿ *t'tittt restano al servizio della

;;;;, ;"tre le macchine esigono che sia il lavora-

,åî.ã'r.rtitle, ad aggiustare iliitmo n¿turale del suo

.*pã "ir"ro *o',iå"tnto meccanico' In altre parole ' '

;;;i. l'arnese più raffinato rimane un servitore in-

.*;. ãi gìt¿ätt å-ãi 'o'tit"ire la mano; anche ia

-ã.Ji"" iiù primitiva guida e idealmente sostitui-

sce il lavoro del corPo'

I-lesPerienza Piùproposito di strumen

ãti*rion.. Qui vale '

mezzi;fa ancor i

ne giustifica la I

re il materiale, t

che si uccida l'albero e il tcrifichi il legno' Allo stesso

orsanizza il Processo stesso (

ääíilãr"i*i r" -isura della cooperazione e Ia

l"ã"*a åi assistenti o cooperatori che sono neces, ,'

J*ì. 6i"¿i ogni cosa e ogni persona vengono qul

Page 12: Arendt - Lavoro Opera Azione

'8 L,ryORO, OPERA, AZIONE

ano essere: tufto ciò ci è

rale di Kant e non v'è

nanzitutto relegare

a filosofia dell'utili-e, imPedendole di go-

,ro*ã invece del raP-

avia 4nche la formula

teriale Pressoché " seÍrza

operare e a cui conferire ta-

ceva Locke, ma Ie stesseef-

^-eilentâ unsé e Perossa an-

che essere'

fabbticazione il P ro dotto

in sé, un'entità indiPen-

strumentalità in quanto

seguire un fine, ma Piut

LAVORO, OPERA, AZIONE 59

I'esperienza di fabbrícazione, per cuila vantaggiosi-

tà e l'utilità sono posti come gli standatd ultimi per

il mondo come anche per la vita degli uomini agenti

che nel mondo si muoïono. Possiamo dire chel'bo-

rno faber ha trasgredito i limiti della sua attività nel

momento in cui, sotto le vesd dell'utílitarísmo, pro-

pone che la strumentalità governi I'ambito del mon-

äo finito in rnodo così esclusivo come governa I'atti-

vità attraverso cui tutte le cose che vi sono contenu-

te vengono in essere. Questa genenlízzazione satà

,.-prã larcntazione dell' bomo faber anche se, in ul-

tima^ analisi, sarà la sua stessa rovina: nel bel mezzo

della vantaggiosità si troverà confinato nell'insignifi-

caîz^;l'utiiiiarismo non è mai in grado di rísponde-

re alfadomanda posta una volta da Lessing ai filoso-

fi utilitaristi del suo tempo: "E qual è, se permettete'

I'utile dell'utile?"

Nella stessa sfera della fabbricazione c'è soltanto

un tipo di oggetti a ctila caten infinita ði mezzi e

fini non .otrri".t., e si tratta deli'opera d'arte' la co-

;pìJ inutile e al tempo stesso-ia più duratura che

mano umana possa produrre' La sua caratteristica

più proPria è l'estraneità all'ilizzazione ordinaria' E quest

che già fu d'uso, ad esemPio

un'epoca Passâta, che vienesiva un "capolavoro", messo in rtrn

così da ogii ttlizzazione possibile'

finalità di una sedia è assolta quan-

opta, la finalità inerente all'opera

d'arte - che I'artisia lo sappia o no' e che tale finali-

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LAVORO, OPER,A, AZIONE

tà sia raggiunta o meno - è

di permanenza atÍraveßo.u* l" pura capacità di dfatto dall'uomo appare co

za e perciò in nessun altro

le si rivela in modo così sP

.ror, -orrule per esseri mortali' E benché ia fonte

reale di ispirapensiero, ciòprocesso delgibile più dioggettí non 1

verifica quanmaqine, si comPone tn Pezz

f.i,-i*á."te fa-del pensiero una realtà' E per pro-

durre queste .or. di pensiero. che generalmente

.fti"r"i"-. col nome diopt" d'arte è necessaria la

;;.t;" abilità tecnica che attraverso lo strumento prl-

ä.tã^f. delle mani dell'uomo costuisce tutte le al-

tre cose, meno i"'ut"" e più utili' dell'artificio

umano.

Azione

Il mondo delle cose prodotte dalia mano dell'uo-mo diventa una dimora per i mortali; una dimora lacui stabilità è in grado di durare e dí soprar,vívere al

movimento e ai mutamenti continui delle loro vite e

azíoni solo nella mísura ín cui sia in grado di tra-scendere il mero funzionalismo dei beni di consumoe la mera utilità degli oggetti d'uso. Lavita nel suo

senso non biologico, I'arco temporale concesso ad

ogni uomo tra la nascita elamorte, si manifesta nel-

I'azione e nel discorso, ai quali dobbiamo ora rivol-gere la nostra attenzíone. Con la parola e l'azione ciinseriamo nel mondo umano: inserimento che equi-vale a una second a nascita, con cui confermiamo e ciassumiamo il nudo fatto del nostro fisico apparite.Da quando attraverso la nascita abbiamo avuto ac-

cesso all'Essere, condividiamo con tutti gli altri entila qualità dell'Alterità, un importante aspetto dellapluialità che comporta lI fatto che ci sia possíbiledefinire solo mediante distinzione, e che siamo inca-paci di dire che cosa è una cosa senza distinguerla

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LAVORO, OPER,T, AZIONE

62 LAVORO, OPERA, AZIONE

da qualcos'alro. fn piÌ, condividiaÏo con tutti gli

ãtgr="it*i viventi q"at" specie di. tratto distintivo

che ne fa un'entita'i"ãi"i¿i^le' Solo-l'uomo pe-r al-

it" i"i ,tpr¡ir,, ult'ritàe individualità' egli soltan-

;J;-d"iínguersi e comunicare se stesso' e non soi-

tanto qualcoru - .oLã"tt o fame'simpatia o ostili

ä;;;;;;. Ñ.["-'oÀo alterítà e distinzione diventa-

no unicità..rni.ltiã ^ff"n'o ciò che.l'uomo con la

oarola e l'azione il;;:åt nella socialità propria del

il;enï* Questo inserimento non ci è imposto

dalla necesrita tonit 111'uo1o e non è stimolato da

;tt.s;ì;ã.rid.'i lo-t lo è I'op.era' È incondiziona-

;;;ìf;; i-p,-'l,o sorge da q'eli'inizio che è venuto

;î';;d" õdo ti^åo natie a cui corrisnondial¡

con l'iniziare qualcosa di nuovo su nostra proprla

iniziativa.Agire, ;;i;;t senso più generale' signifi-

;;;;;Ã ;.'un' ínoiuiu u' in c o min t i a r e' c o m e in di c a

iu purotu grec? archein o mettere. in movimento

q"it.oru, .l¿ .h. t lsignificato originario del latino

4gere.

Tutte le attività umane sono condizionate åalfat-

. å;l;pluralità umana, ð'alfatto. cioè che non Un

;;;; ¿g[ '-'o*ini

aipi"r^lt abitano la terra e in

un modo o.ttU'¿üo to""iuotto' Ma soltantol'azío-

ne e il discorso J;ìit;;t"o specificamente al fatto

:î"";t;;;rigt'ifitu sempre vivere tra uomini' tra co-

loro che sono i miei eguäli' Per conseguenzaquan^do

-iit*tit.o nel monão' si tratta di un mondo in cur

sono già presenti degli altri' Azion-e e discorso sono

così stretta*."" ;;;;h'i ;trché l'atto primordiale

e specificamente umano då"t sempre anche rispon-

dere alla domanda che si pone per ogni nuovo venu-

to: "Chi sei?" IJapertura del "chi si è" è implicita ne1

fatto che tn'azioÁe priva di discorso in certo modonon esiste, o se esíste è irrilevante' Senza il discorso,

l'azione perde il suo attore e l'agente ði azioni è pos-

sibile soio nella misura in cui è al tempo stesso chi

pronuncia parole, chi identifica se stesso come atto-

i. . utt.rrrãia ciò che sta facendo, che ha fatto e che

intende fare.Esattamente come ha detto Dante, con

una concisione che non saprei eguagliare (De Mo-

narchia,t,I3): "Giacché in ogni azione ciò che è pri-

mariamente inteso dall'agente t...] è Ia tíveIazíone

della propria immagine. Da ciò deriva che ogni

agent; ne[a misura in cui agisce, ne prende diletto'

dd *o-.nto infatti che ogni cosa che è appetisce ilpr nell'azione l'esse-

re odo intensificato'

il egue ["'1' Perciò

nulla agisce se non in quanto agendo rende patente

il proprio sé latente" 2'

2 Questa versíone dal latino ricalca intenzionalmente quella inglese

della Arendt tN.d.C.l.

Page 15: Arendt - Lavoro Opera Azione

64 LAVORO' OPERA, AZIONE

la prima guerra mondiale' Essi testt

genzadi trovare "1t;;thi" identificabile che quattro

anní di massacro oi*"tt"ãou"bbtto aver rivelato'

l.indisponibilità ";;ä;;;;i aljatto bruto che I'a-

sente della guerr" f;;ã;*ero.Nessuno ha ispirato

i'.r.rione di *t";;;;ti ã q"tgli sconosciuti' cioè a

tutti coloro che Ia guerra aveva- qalcato di rendere

noti, derubando[ åï;iò;t" delle loro rcalizzazio'

.ri, *u della loro dignità umana'

Dovunque gli uomini conducano insieme la loro

vita esiste un tessuto di raP

sì dire intrecciato degli atii me-

ärù;'."tt*t sia v''iventi to e

ogni nuovo."""o-'itude su un tessuto già esistente'

dove tuttav'u t"á ãa i"i'io in certo modo a un nuo-

vo processo che i"äit*t Áoi'i uitti' anche al di Ià

di åoloro con "ii''g'n" *t:i Ï'.'å?i?.dåiiï-

È r'3 n'io ¡' ::ï'T,:i^',"li lilf üå;;ru Ji uor..i'

åilHii"ttt'"tol'u"one non to""g'-tt quasi mai il

ProPrio obiettãin- e delia

proPriatenzioncon cui la fQueste storie Possono Pot v.ellt

menti e monumenti' raccontate

,iãtiogtufia e elaborate in ognr

I

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i

I

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{l

LAVORO, OPERA, AZIONT' 6J

Esse tuttavia, per conto proprio, sono di natura del

tutto diversa da questerctftcazioni: ci dicono più co-

se sui loro soggetti, sull"'eroe" presente ín ogni sto-

ria, di quanto qualsiasi altro prodotto dí mano uma-

na ci possa mai dire sul suo artefice, ma non sono

dei prodotti in senso proprio. 4"9þ. se ciascuno dà

inizio alla propriu ,toiíu, almeno alla sua storia di vi-

tu, ,r.rr.rrrã nã è l'autore o il produttore' Eppure è

precisamente in queste storie che in definitiva si ri-

ielu il sígnificato effettivo di una vita umana' Che

ogni vita individuale ffala nascita e la morte possa

aia fíne essere raccontata come una storia con un

inizio e una fine, è la condizione prepolitica e prei-

storica della storia, la grande storia che non ha inizio

né fine. Mala ragíonã per cui ogni vita umana dice

l" prop.iu storia-e per-cui in definitiva la storia di-

,r.itu il libto di stoiia dell'umanità, con tanti agentr

e parlanti e tuttavia senza

è che entrambe sono il riria effettiva in cui siamo ila nostra vita non ha un "invisibile, perché non è fattalmadef '

lassenzadi un produttore lmaþerf in questo am-

bito spiega la s*aàrdinaúa ftag1lítà e inaffidabilità

delle iucãende strettamente umane' Dal momento

che agiamo sempre entro una rete di rapporti' le

.onr.!,r.rrze dí ogni atto sono sconfinate, ogni azío-

ara paodrae non soltanto una reazione, ma una fea-

zione a c tena, ogni processo è causa di nuovi pro-

cessi imprevedibili. Questa sconfinatezza è inevita-

bl; . nån pott.bbe eìs.r. esorcizzata restringendo

Page 16: Arendt - Lavoro Opera Azione

LAVORO, OPERA, AZIONE LAVORO, OPERA, AZIONE 67

completano a vicenda: il perdonare si riferisce alpassato e serve a disfare ciò che esso ha fatto, men-re il vincolarsi con delle promesse giova a creare,nell'oceano d'incertezza del futuro, delle isole di si-arrezza senza di cui neppure la continuità, per nonparlare di una qualche capacità di durata di qualsia-si genere, sarebbe mai possibile nelle relazioni inte-rumane. Privati delia possibilità di essere perdonati,di essere liberati dalle conseguenze di quanto abbia-mo fatto, la nostra capacità di agire sarebbe per così

dire confinata ad un singolo atÍo, daI quale non po-tremmo mai più ríprenderci; rimarremmo per sem-

pre vittime delle sue conseguenze)rrn po' come I'ap-prendista stregone che non conosceva la formulamagicaper rompere I'incantesimo. E se non fossimovíncolati all'adempimento di promesse non sarem-

mo mai in grado di rcalizzare quel grado di identitàe di continuità che, insieme, producono la "perso-

na" intorno alla quale può essere raccontata una sto-ria; ognuno di noi sarebbe condannato avagate di-sperato e senza meta nel buio del proprio cuore soli-tario, irretito nei propri mutevoli umori, nelle pro-prie contraddízioní e ambiguità. (Questa identitàsoggettiva, che si conquista con il legarsi a delle pro-messe, dev'essere distinta da quella "oggettiva", cioè

riferita ad oggetti, che emerge dal confrontarsi con ilpermanere uguale a se stesso del mondo, di cui hoparlato trattando dell'opera). Sotto questo aspetto,perdonare e f.arc promesse sono come meccanismidí controllo congegnâti nella nostra stessa facoltà diðareinizío a sviluppi nuovi e infíniti.

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