Arel – Agenzia di Ricerche e Legislazione - Dietro un fatto di … · 2014. 10. 20. · 1995 al...

1
Corriere della Sera Sabato 18 Ottobre 2014 13 Politica Il giudice che si è dimesso per il caso Ruby: un fatto di coscienza, ci ho pensato tre mesi «Non me la sento di decidere domani per un marocchino in modo diverso rispetto a Berlusconi» MILANO Dai piani alti della Corte d’appello di Milano, nella tarda serata di giovedì, avevano pro- vato a rivolgergli un ultimo pressante appello a ripensarci, o a prendersi almeno un altro po’ di tempo per riflettere: «Ci ho già riflettuto negli ultimi tre mesi», si erano però sentiti ri- spondere dal giudice Enrico Tranfa, con un riferimento cro- nologico (appunto i 90 giorni per il deposito della motivazio- ne della sentenza del processo Ruby del 18 luglio scorso) che legava esplicitamente e inequi- vocabilmente la sue clamorose dimissioni dalla magistratura a un insanabile contrasto in ca- mera di consiglio con gli altri due colleghi sull’assoluzione di Silvio Berlusconi, e sulle moti- vazioni di questo ribaltone ri- spetto alla condanna di primo grado a 7 anni per concussione e prostituzione minorile. E del resto ieri qualcosa di analogo hanno sperimentato, se possibile ancora più nitida- mente, almeno una mezza doz- zina di magistrati milanesi che — per esprimere solidarietà e apprezzamento a Tranfa o in- vece per manifestargli incredu- lità e disappunto —, dopo aver letto la notizia delle dimissioni del presidente di quel collegio e dell’intera seconda sezione penale della Corte d’appello, l’hanno chiamato al telefono per capire che cosa lo avesse spinto a un gesto così dirom- pente da non avere precedenti nella storia giudiziaria italiana: «La mia coscienza. Non me la sento di giudicare domani un marocchino in un modo diver- so da quanto fatto con Berlu- sconi», riferiscono che Tranfa abbia risposto loro. Segno che il giudice, abbandonata la toga giovedì immediatamente dopo aver firmato le 330 pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione frutto della camera di consiglio del 18 luglio scor- so, dopo 39 anni di servizio ha scelto di andare in pensione con 15 mesi di anticipo sul pre- visto come protesta per quella che, nella sua percezione, evi- dentemente sarebbe l’incom- patibilità del metro di misura quotidiano rispetto allo stan- dard probatorio adoperato per analizzare le prove a favore o contro l’ex presidente del Con- siglio. Alle agenzie di stampa e tv che gli domandavano delle di- missioni, Tranfa si è invece li- mitato a confermarle, ribaden- do di non voler aggiungere al- tro se non il fatto che la sua sa- rebbe stata «una decisione molto meditata, perché in vita mia non ho fatto niente di im- pulso. Tutti sono utili, nessuno è indispensabile». «Ne prendo atto e mi preoc- cupo di assicurare la funziona- lità della sezione», è stato ieri mattina il commento del presi- dente dell’intera Corte d’appel- lo di Milano, Gianni Canzio, mentre anche gli altri due giu- dici del collegio (la relatrice delle motivazioni, Ketty Locur- to, e il consigliere Alberto Puc- cinelli) sono stati presi com- pletamente di sorpresa dalle dimissioni del collega, che ave- vano salutato giovedì mattina al momento del deposito e del- la firma della sentenza. Canzio ha ugualmente chiesto a Tran- fa (benché questi ormai non indossi più la toga) un collo- quio di persona nei prossimi giorni; e, per non lasciare la se- conda sezione senza guida, ha intanto diramato un interpello interno che già nel giro di po- chi giorni dovrebbe riassicu- rarne la funzionalità con un presidente supplente. Sul caso, nel frattempo, monta già la contrapposta let- tura politica: «Solidarietà e un profondo senso di vicinanza nei riguardi del giudice Tranfa che lascia la toga con un gesto fermo e dignitoso» vengono ad esempio espressi dalla vicepre- sidente del Partito democrati- co, l’onorevole Sandra Zampa (ex portavoce di Prodi), e dalla senatrice pd Donella Mattesini, per la quale «il nostro sistema giudiziario dimostra tutta la sua debolezza quando si tratta di garantire i diritti dei più in- difesi, in questo caso minori vittime di reati sessuali». Da Forza Italia rispondono l’onorevole Luca D’Alessandro («Uno così fazioso, da lasciare la toga per non essere riuscito a condannare Berlusconi in un processo farsa e guardone co- me il processo Ruby, non avrebbe mai dovuto fare il giu- dice e dovrebbe essere dimen- ticato»), e l’ex ministro della Giustizia, Nitto Palma, secondo il quale «il primo a non rispet- tare la sentenza è proprio il presidente di quel collegio che l’ha emessa: per certi versi mi ricorda il bambino padrone della palla, che se la portava via ogni qualvolta gli veniva negato un calcio di rigore». Luigi Ferrarella [email protected] Giuseppe Guastella [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ricordo La coppia Beniamino Andreatta con la moglie Giana Petronio. La coppia si è conosciuta all’Università Cattolica di Milano in cui il futuro politico dc era un giovane professore di economia mentre la moglie, nata a Trieste, studiava lettere Quei politici nei giudizi di Andreatta alla moglie «Q uando era al Tesoro, Nino fu contattato da Andreotti, che cercò in ogni modo di convin- cerlo a salvare Sindona. È or- mai storia la decisione con cui Nino respinse quelle insisten- ze. Poi prese le note disposizio- ni sullo Ior, cosa che pesò sicu- ramente sui successivi mancati incarichi ministeriali. Nono- stante questo ostracismo del suo partito e dei filo-andreot- tiani, Nino mantenne a lungo un atteggiamento distaccato, e quando qualcuno suggeriva che forse Andreotti era colluso coi mafiosi, negava che fosse possibile, ritenendola una fan- faluca stravagante. Anni dopo, tuttavia, stringendosi nelle spalle diceva: Non so, non mi sento più di escludere nien- te”». (…) «Quella della seconda stagione politica di Nino è una bella storia. Nel 1992 fu convin- to a candidarsi, per la prima volta, nel suo Trentino per so- stituire il suo amico Bruno Kes- sler, che era scomparso da po- co. Non fu eletto (nemo profeta in patria) ed era previsto che tornasse all’Università, tanto che si preparava all’insegna- mento con scrupolo e direi quasi con apprensione, come un giovane assistente. Si aspet- tava, senza recriminazioni di sorta, che la sua esperienza pubblica fosse terminata. Ven- ne Tangentopoli e la Dc aveva bisogno di ministri di spec- chiata moralità e fuori dal Par- lamento, così tornò al governo dopo un decennio. Rinacque. Fu ministro del Bilancio e chiu- se la Cassa del Mezzogiorno, poi, nel Governo Ciampi, si spostò agli Esteri e attuò molte riforme importanti. Si impe- gnò con totale dedizione. Ma ribadisco che rimase sempre presente in famiglia. Faceva di tutto per riuscire a tornare a Bologna anche per poche ore. Agli Esteri lo accompagnai in alcuni viaggi. Alcuni mi colpi- rono per gli aspetti propria- mente turistici, altri per incon- tri con persone molto speciali. Ad esempio, la famiglia impe- riale del Giappone, Bill e Hil- lary Clinton, i Boutros-Ghali. Mi colpì che in tutti i casi le donne fossero di una levatura superiore». (…) «Poi venne Berlusconi. Nino sentiva una insuperabile distanza antropologica verso quello che rappresentava. Un modo e una motivazione per fare politica incompatibile con la sua. E un programma di go- verno un po’ gaglioffo che avrebbe condotto l’Italia nella crisi in cui si trova adesso. La sera in cui Berlusconi vinse le elezioni, si rivolse ai nostri figli e disse tra lo scherzoso e il ras- segnato: «Figlioli, la prossima volta le elezioni le vincerà Pip- po Baudo, e sarà il nostro can- didato». Si impegnò perché il suo partito non venisse sedotto dal berlusconismo, contra- stando il segretario Buttiglio- ne, e si adoperò per trovare un’alternativa, convincendo Romano Prodi a farsi avanti. Quella dell’Ulivo fu una stagio- ne breve ma intensa, che gene- rò molti sogni, anche se molti non si sono poi realizzati». (…) «Dopo la crisi del gover- no Prodi ci fu però una breve stagione di amarezze, durante la quale Nino fu duramente at- taccato per aver avanzato pro- poste (ad esempio, una più stretta collaborazione tra i par- titi del centrosinistra, una più forte partecipazione dei citta- dini tramite le primarie, una più efficace azione contro il de- bito pubblico) che a posteriori sono state adottate, ma che al- l’epoca parvero troppo radicali. E invece a me pare che se fosse- ro state approvate allora sareb- bero state in tempo per fare la differenza». © RIPRODUZIONE RISERVATA Nino sentiva una insuperabi- le distanza antropo- logica da Berlusconi Renzi-Della Valle e i rumors su un incontro La telefonata, si sa, c’è stata. Mercoledì scorso. E nell’ultima puntata di Piazza pulita i toni più soft di Diego Della Valle nei confronti di Matteo Renzi si sono fatti notare. Segnali che hanno fatto pensare a un riavvicinamento tra i due dopo le critiche del patron di Tod’s al presidente del Consiglio di due settimane fa. Per ora da Palazzo Chigi si conferma solo la telefonata, senz’altro aggiungere. E dall’imprenditore arriva un altrettanto, riservato, «no comment». Ma nessuno smentisce il cambiamento di clima. Tanto che si parla di un possibile incontro nei prossimi giorni. (Roberto Zuccolini) © RIPRODUZIONE RISERVATA Dietro le quinte La campagna del premier (su Mediaset) Continua la campagna di Renzi su Mediaset. Dopo Paolo Del Debbio, a Rete 4, domani il premier andrà da Barbara D’Urso. Un programma nazionalpopolare, amato da casalinghe e una fetta dell’elettorato del centrodestra. Una mossa, l’ennesima, per conquistare anche il popolo berlusconiano, in rotta, dopo la crisi di Forza Italia. E probabilmente caldeggiata dal suo spin doctor, Filippo Sensi, che da dietro le quinte ha un ruolo importante nella sua campagna mediatica. Del resto, il premier non ha mai fatto mistero di puntare a un Partito democratico a «vocazione maggioritaria, in grado di prendere voti a sinistra come nel centrodestra». © RIPRODUZIONE RISERVATA I consigli del Cnel per salvare le indennità La legge di Stabilità azzera le indennità per il Cnel, il Consiglio per l’economia e il lavoro, che il governo vuole chiudere. Una forzatura, secondo un gruppo di consiglieri che ha fatto arrivare a Palazzo Chigi le sue osservazioni: dicono che la norma sarà impugnata perché viola la Costituzione, che si finirà per trasformare un risparmio in una spesa in più. Dalla presidenza del Consiglio la replica con un documento firmato ad aprile dai segretari di Cgil, Cisl e Uil, che al Cnel hanno diversi delegati: chiedevano di non chiuderlo, abolendo però ogni indennità fissa. La pensano ancora così? (Lorenzo Salvia) © RIPRODUZIONE RISERVATA Chi è Presidente Enrico Tranfa, 70 anni, in magistratura dal 1975. Dal 2012 ha presieduto la seconda sezione penale in Corte d’appello. Vicino alla corrente di centro dei magistrati «Unità per la Costituzione» Chi è Relatrice Ketty Locurto, 51 anni, in magistratura dal 1990. È stata giudice al Tribunale di Milano dal 1995 al 2013. Poi il passaggio in Corte d’appello. Vicina alla corrente di sinistra «Magistratura democratica» La rivista L’intervista a Giana Petronio Andreatta, di cui anticipiamo un estratto, è pubblicata nel nuovo numero della rivista Arel, in uscita il 30 ottobre. Fondata da Beniamino Andreatta nei primi anni 80, è diretta da Mariantonietta Colimberti Pubblichiamo alcune risposte di Giana Petronio Andreatta — vedova di Beniamino Andreatta (1928- 2007), economista e politico, più volte ministro per la Dc e poi nel primo governo Prodi, e tra i fondatori dell’Ulivo —, intervistata da Mariantonietta Colimberti per il nuovo numero della rivista dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione.

Transcript of Arel – Agenzia di Ricerche e Legislazione - Dietro un fatto di … · 2014. 10. 20. · 1995 al...

Page 1: Arel – Agenzia di Ricerche e Legislazione - Dietro un fatto di … · 2014. 10. 20. · 1995 al 2013. Poi il passaggio in Corte d'appello. Vicina alla corrente di sinistra «Magistratura

Corriere della Sera Sabato 18 Ottobre 2014 13

Politica

Il giudice che si è dimesso per il caso Ruby:un fatto di coscienza, ci ho pensato tre mesi«Non me la sento di decidere domani per un marocchino in modo diverso rispetto a Berlusconi»

MILANO Dai piani alti della Corted’appello di Milano, nella tardaserata di giovedì, avevano pro-vato a rivolgergli un ultimopressante appello a ripensarci,o a prendersi almeno un altropo’ di tempo per riflettere: «Ciho già riflettuto negli ultimi tremesi», si erano però sentiti ri-spondere dal giudice EnricoTranfa, con un riferimento cro-nologico (appunto i 90 giorniper il deposito della motivazio-ne della sentenza del processoRuby del 18 luglio scorso) chelegava esplicitamente e inequi-vocabilmente la sue clamorosedimissioni dalla magistratura aun insanabile contrasto in ca-mera di consiglio con gli altridue colleghi sull’assoluzione diSilvio Berlusconi, e sulle moti-vazioni di questo ribaltone ri-spetto alla condanna di primogrado a 7 anni per concussionee prostituzione minorile.

E del resto ieri qualcosa dianalogo hanno sperimentato,se possibile ancora più nitida-mente, almeno una mezza doz-zina di magistrati milanesi che— per esprimere solidarietà eapprezzamento a Tranfa o in-vece per manifestargli incredu-lità e disappunto —, dopo averletto la notizia delle dimissionidel presidente di quel collegio

e dell’intera seconda sezionepenale della Corte d’appello,l’hanno chiamato al telefonoper capire che cosa lo avessespinto a un gesto così dirom-pente da non avere precedentinella storia giudiziaria italiana:«La mia coscienza. Non me lasento di giudicare domani unmarocchino in un modo diver-so da quanto fatto con Berlu-sconi», riferiscono che Tranfaabbia risposto loro. Segno cheil giudice, abbandonata la togagiovedì immediatamente dopoaver firmato le 330 pagine dellemotivazioni della sentenza diassoluzione frutto della cameradi consiglio del 18 luglio scor-so, dopo 39 anni di servizio hascelto di andare in pensionecon 15 mesi di anticipo sul pre-visto come protesta per quellache, nella sua percezione, evi-dentemente sarebbe l’incom-patibilità del metro di misuraquotidiano rispetto allo stan-dard probatorio adoperato peranalizzare le prove a favore ocontro l’ex presidente del Con-siglio.

Alle agenzie di stampa e tvche gli domandavano delle di-missioni, Tranfa si è invece li-mitato a confermarle, ribaden-do di non voler aggiungere al-tro se non il fatto che la sua sa-

rebbe stata «una decisionemolto meditata, perché in vitamia non ho fatto niente di im-pulso. Tutti sono utili, nessunoè indispensabile».

«Ne prendo atto e mi preoc-cupo di assicurare la funziona-lità della sezione», è stato ierimattina il commento del presi-dente dell’intera Corte d’appel-lo di Milano, Gianni Canzio,mentre anche gli altri due giu-dici del collegio (la relatricedelle motivazioni, Ketty Locur-to, e il consigliere Alberto Puc-cinelli) sono stati presi com-pletamente di sorpresa dalledimissioni del collega, che ave-vano salutato giovedì mattinaal momento del deposito e del-la firma della sentenza. Canzioha ugualmente chiesto a Tran-fa (benché questi ormai nonindossi più la toga) un collo-quio di persona nei prossimigiorni; e, per non lasciare la se-conda sezione senza guida, haintanto diramato un interpellointerno che già nel giro di po-chi giorni dovrebbe riassicu-rarne la funzionalità con unpresidente supplente.

Sul caso, nel frattempo,monta già la contrapposta let-tura politica: «Solidarietà e unprofondo senso di vicinanzanei riguardi del giudice Tranfa

che lascia la toga con un gestofermo e dignitoso» vengono adesempio espressi dalla vicepre-sidente del Partito democrati-co, l’onorevole Sandra Zampa(ex portavoce di Prodi), e dallasenatrice pd Donella Mattesini,per la quale «il nostro sistemagiudiziario dimostra tutta la sua debolezza quando si trattadi garantire i diritti dei più in-difesi, in questo caso minorivittime di reati sessuali».

Da Forza Italia rispondonol’onorevole Luca D’Alessandro(«Uno così fazioso, da lasciarela toga per non essere riuscito acondannare Berlusconi in unprocesso farsa e guardone co-me il processo Ruby, nonavrebbe mai dovuto fare il giu-dice e dovrebbe essere dimen-ticato»), e l’ex ministro dellaGiustizia, Nitto Palma, secondoil quale «il primo a non rispet-tare la sentenza è proprio ilpresidente di quel collegio chel’ha emessa: per certi versi miricorda il bambino padronedella palla, che se la portava viaogni qualvolta gli veniva negatoun calcio di rigore».

Luigi [email protected] Guastella

[email protected]© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il ricordo La coppia Beniamino Andreatta con la moglie Giana Petronio. La coppia si è conosciuta all’Università Cattolica di Milano in cui il futuro politico dc era un giovane professore di economia mentre la moglie, nata a Trieste, studiava lettere

Quei politicinei giudizi di Andreattaalla moglie

«Q uando era al Tesoro,Nino fu contattatoda Andreotti, che

cercò in ogni modo di convin-cerlo a salvare Sindona. È or-mai storia la decisione con cuiNino respinse quelle insisten-ze. Poi prese le note disposizio-ni sullo Ior, cosa che pesò sicu-ramente sui successivi mancatiincarichi ministeriali. Nono-stante questo ostracismo delsuo partito e dei filo-andreot-tiani, Nino mantenne a lungoun atteggiamento distaccato, equando qualcuno suggerivache forse Andreotti era collusocoi mafiosi, negava che fossepossibile, ritenendola una fan-faluca stravagante. Anni dopo,tuttavia, stringendosi nellespalle diceva: Non so, non misento più di escludere nien-te”».

(…) «Quella della secondastagione politica di Nino è unabella storia. Nel 1992 fu convin-to a candidarsi, per la primavolta, nel suo Trentino per so-stituire il suo amico Bruno Kes-sler, che era scomparso da po-co. Non fu eletto (nemo profetain patria) ed era previsto chetornasse all’Università, tantoche si preparava all’insegna-mento con scrupolo e direiquasi con apprensione, come

un giovane assistente. Si aspet-tava, senza recriminazioni disorta, che la sua esperienzapubblica fosse terminata. Ven-ne Tangentopoli e la Dc avevabisogno di ministri di spec-chiata moralità e fuori dal Par-lamento, così tornò al governodopo un decennio. Rinacque.Fu ministro del Bilancio e chiu-se la Cassa del Mezzogiorno,poi, nel Governo Ciampi, sispostò agli Esteri e attuò molteriforme importanti. Si impe-

gnò con totale dedizione. Maribadisco che rimase semprepresente in famiglia. Faceva ditutto per riuscire a tornare aBologna anche per poche ore.Agli Esteri lo accompagnai inalcuni viaggi. Alcuni mi colpi-rono per gli aspetti propria-mente turistici, altri per incon-tri con persone molto speciali.Ad esempio, la famiglia impe-riale del Giappone, Bill e Hil-lary Clinton, i Boutros-Ghali.Mi colpì che in tutti i casi ledonne fossero di una levaturasuperiore».

(…) «Poi venne Berlusconi.Nino sentiva una insuperabiledistanza antropologica versoquello che rappresentava. Unmodo e una motivazione perfare politica incompatibile conla sua. E un programma di go-verno un po’ gaglioffo cheavrebbe condotto l’Italia nellacrisi in cui si trova adesso. Lasera in cui Berlusconi vinse leelezioni, si rivolse ai nostri figlie disse tra lo scherzoso e il ras-segnato: «Figlioli, la prossimavolta le elezioni le vincerà Pip-

po Baudo, e sarà il nostro can-didato». Si impegnò perché ilsuo partito non venisse sedottodal berlusconismo, contra-stando il segretario Buttiglio-ne, e si adoperò per trovareun’alternativa, convincendoRomano Prodi a farsi avanti.Quella dell’Ulivo fu una stagio-ne breve ma intensa, che gene-rò molti sogni, anche se moltinon si sono poi realizzati».

(…) «Dopo la crisi del gover-no Prodi ci fu però una brevestagione di amarezze, durante la quale Nino fu duramente at-taccato per aver avanzato pro-poste (ad esempio, una piùstretta collaborazione tra i par-titi del centrosinistra, una piùforte partecipazione dei citta-dini tramite le primarie, unapiù efficace azione contro il de-bito pubblico) che a posteriorisono state adottate, ma che al-l’epoca parvero troppo radicali.E invece a me pare che se fosse-ro state approvate allora sareb-bero state in tempo per fare ladifferenza».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nino sentiva una insuperabi-le distanzaantropo-logica daBerlusconi

Renzi-Della Vallee i rumors su un incontro La telefonata, si sa, c’è stata. Mercoledì scorso. E nell’ultima puntata di Piazza pulita i toni più soft di Diego Della Valle nei confronti di Matteo Renzi si sono fatti notare. Segnali che hanno fatto pensare a un riavvicinamento tra i due dopo le critiche del patron di Tod’s al presidente del Consiglio di due settimane fa. Per ora da Palazzo Chigi si conferma solo la telefonata, senz’altro aggiungere. E dall’imprenditore arriva un altrettanto, riservato, «no comment». Ma nessuno smentisce il cambiamento di clima. Tanto che si parla di un possibile incontro nei prossimi giorni.

(Roberto Zuccolini)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dietrole quinte

La campagnadel premier(su Mediaset)

Continua lacampagnadi Renzi suMediaset.Dopo PaoloDel Debbio,a Rete 4,domani il

premier andrà da Barbara D’Urso. Un programma nazionalpopolare, amato da casalinghe e una fetta dell’elettorato del centrodestra. Una mossa, l’ennesima, per conquistare anche il popolo berlusconiano, in rotta, dopo la crisi di Forza Italia. E probabilmente caldeggiata dal suo spin doctor, Filippo Sensi, che da dietro le quinte ha un ruolo importante nella sua campagna mediatica. Del resto, il premier non ha mai fatto mistero di puntare a un Partito democratico a «vocazione maggioritaria, in grado di prenderevoti a sinistracome nel centrodestra».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I consigli del Cnelper salvare le indennità La legge di Stabilità azzera le indennità per il Cnel, il Consiglio per l’economia e il lavoro, che il governo vuole chiudere. Una forzatura, secondo un gruppo di consiglieri che ha fatto arrivare a Palazzo Chigi le sue osservazioni: dicono che la norma sarà impugnata perché viola la Costituzione, che si finirà per trasformare un risparmio in una spesa in più. Dalla presidenza del Consiglio la replica con un documento firmato ad aprile dai segretari di Cgil, Cisl e Uil, che al Cnel hanno diversi delegati: chiedevano di non chiuderlo, abolendo però ogni indennità fissa. La pensano ancora così?

(Lorenzo Salvia)© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi è

Presidente Enrico Tranfa, 70 anni, in magistratura dal 1975. Dal 2012 ha presieduto la seconda sezione penale in Corte d’appello. Vicino alla corrente di centro dei magistrati «Unità per la Costituzione»

Chi è

Relatrice Ketty Locurto, 51 anni, in magistratura dal 1990. È stata giudice al Tribunale di Milano dal 1995 al 2013. Poi il passaggio in Corte d’appello. Vicina alla corrente di sinistra «Magistratura democratica»

La rivista

L’intervista a Giana Petronio Andreatta, di cui anticipiamo un estratto, è pubblicata nel nuovo numero della rivista Arel, in uscita il 30 ottobre. Fondata da Beniamino Andreatta nei primi anni 80, è diretta da Mariantonietta Colimberti

Pubblichiamo alcune risposte di Giana Petronio Andreatta — vedova di Beniamino Andreatta (1928-2007), economista e politico, più volte ministro per la Dc e poi nel primo governo Prodi, e tra i fondatori dell’Ulivo —, intervistata da Mariantonietta Colimberti per il nuovo numero della rivista dell’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione.