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AREE INDUSTRIALI DISMESSE LA SITUAZIONE NELLE AREE URBANE ITALIANE G. SGORBATI, N. DOTTI, G. CAMPILONGO, G. RICCHIUTI ARPA Lombardia ABSTRACT Il contenuto del presente contributo descrive il terzo anno di raccolta dati inerenti i siti inte- ressati da attività industriali ora dismesse esistenti nelle aree urbane oggetto del presente Rapporto e di esempi di riconversione degli stessi, caratterizzate da particolari soluzioni van- taggiose e ambientalmente sostenibili. Dai dati raccolti emerge evidente la diversa impostazione che le regioni hanno adottato per la gestione delle problematiche inerenti i siti contaminati, per cui è doveroso sottolineare la scar- sa confrontabilità dei dati. Anche la gestione delle Anagrafi regionali è risultata molto diversificata ed i dati raccolti non consentono l’auspicata elaborazione di indicatori, utili a monitorare l’evoluzione dei sistemi. Per quanto riguarda il riuso delle aree dismesse segnaliamo la presenza di numerosi progetti da cui si può verificare come il tema dell’ambiente sia tenuto sempre più in considerazione. 1. INTRODUZIONE Nelle precedenti edizioni del rapporto, si è sottolineata l’enorme importanza, che, al giorno d’og- gi, hanno assunto le aree industriali dismesse all’interno del contesto urbano, soprattutto dal punto di vista delle potenzialità legate alla sostenibilità ambientale ed all’innalzamento degli standard della qualità dell’ambiente urbano e della sua fruizione da parte della comunità. Si è anche già evidenziato come queste aree, per la maggior parte inserite nel cuore del tes- suto cittadino, siano spesso soggette a rischio di speculazioni edilizie e vadano dunque tute- late. Vi è la necessità di concretizzare il riuso delle medesime, con azioni e politiche di svilup- po condivise da enti pubblici e privati, che convergano su obiettivi e strategie da perseguire. La presenza di eventuali inquinanti diffusi nelle aree, può talvolta comportare un innalzamen- to dei costi necessari al loro riuso. La valorizzazione dell’area può essere un incentivo al pri- vato a farsi carico dei costi di bonifica che gli competono. Il loro riuso deve soprattutto mirare a contribuire alla riqualificazione della città attraverso l’in- sediamento di funzioni necessarie per lo sviluppo economico, la dotazione di servizi e di aree verdi, senza intaccare ulteriori aree libere, tutelando in questa maniera la risorsa suolo, sem- pre più scarsa e delicata nei contesti urbani delle aree metropolitane. In questo modo il riuso delle aree industriali dismesse può rientrare a pieno titolo tra le attività rivol- te allo sviluppo sostenibile, in termini di ottenimento di vantaggi economici, sociali ed ambientali. Per rendere conto di questa problematica nella precedenti edizioni del rapporto era stata effet- tuata una prima analisi inerente le aree industriali dismesse esistenti nell’ambito delle aree metropolitane italiane. L’analisi era stata in quell’ambito approfondita sull’area metropolitana milanese, attraverso l’elaborazione dei dati raccolti ed inseriti dal Dipartimento Provinciale ARPA di Milano nel data base predisposto dalla Direzione Centrale ARPA Lombardia. Da tale analisi era emerso come in Lombardia, grazie anche alle indagini preliminari che sono richie- ste al momento della riconversione ad altri usi di aree già soggette ad attività produttiva, è stata avviata da tempo un’attività di controllo capillare, effettuata dall’ARPA, che ha portato e porta anco- ra all’individuazione di aree dismesse contaminate, da sottoporre a procedimento ex D.M. 471/99. 719

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AREE INDUSTRIALI DISMESSELA SITUAZIONE NELLE AREE URBANE ITALIANE

G. SGORBATI, N. DOTTI, G. CAMPILONGO, G. RICCHIUTIARPA Lombardia

ABSTRACT

Il contenuto del presente contributo descrive il terzo anno di raccolta dati inerenti i siti inte-ressati da attività industriali ora dismesse esistenti nelle aree urbane oggetto del presenteRapporto e di esempi di riconversione degli stessi, caratterizzate da particolari soluzioni van-taggiose e ambientalmente sostenibili.Dai dati raccolti emerge evidente la diversa impostazione che le regioni hanno adottato per lagestione delle problematiche inerenti i siti contaminati, per cui è doveroso sottolineare la scar-sa confrontabilità dei dati.Anche la gestione delle Anagrafi regionali è risultata molto diversificata ed i dati raccolti nonconsentono l’auspicata elaborazione di indicatori, utili a monitorare l’evoluzione dei sistemi.Per quanto riguarda il riuso delle aree dismesse segnaliamo la presenza di numerosi progettida cui si può verificare come il tema dell’ambiente sia tenuto sempre più in considerazione.

1. INTRODUZIONE

Nelle precedenti edizioni del rapporto, si è sottolineata l’enorme importanza, che, al giorno d’og-gi, hanno assunto le aree industriali dismesse all’interno del contesto urbano, soprattutto dalpunto di vista delle potenzialità legate alla sostenibilità ambientale ed all’innalzamento deglistandard della qualità dell’ambiente urbano e della sua fruizione da parte della comunità.Si è anche già evidenziato come queste aree, per la maggior parte inserite nel cuore del tes-suto cittadino, siano spesso soggette a rischio di speculazioni edilizie e vadano dunque tute-late. Vi è la necessità di concretizzare il riuso delle medesime, con azioni e politiche di svilup-po condivise da enti pubblici e privati, che convergano su obiettivi e strategie da perseguire.La presenza di eventuali inquinanti diffusi nelle aree, può talvolta comportare un innalzamen-to dei costi necessari al loro riuso. La valorizzazione dell’area può essere un incentivo al pri-vato a farsi carico dei costi di bonifica che gli competono.Il loro riuso deve soprattutto mirare a contribuire alla riqualificazione della città attraverso l’in-sediamento di funzioni necessarie per lo sviluppo economico, la dotazione di servizi e di areeverdi, senza intaccare ulteriori aree libere, tutelando in questa maniera la risorsa suolo, sem-pre più scarsa e delicata nei contesti urbani delle aree metropolitane.In questo modo il riuso delle aree industriali dismesse può rientrare a pieno titolo tra le attività rivol-te allo sviluppo sostenibile, in termini di ottenimento di vantaggi economici, sociali ed ambientali.Per rendere conto di questa problematica nella precedenti edizioni del rapporto era stata effet-tuata una prima analisi inerente le aree industriali dismesse esistenti nell’ambito delle areemetropolitane italiane.L’analisi era stata in quell’ambito approfondita sull’area metropolitana milanese, attraversol’elaborazione dei dati raccolti ed inseriti dal Dipartimento Provinciale ARPA di Milano nel database predisposto dalla Direzione Centrale ARPA Lombardia.Da tale analisi era emerso come in Lombardia, grazie anche alle indagini preliminari che sono richie-ste al momento della riconversione ad altri usi di aree già soggette ad attività produttiva, è stataavviata da tempo un’attività di controllo capillare, effettuata dall’ARPA, che ha portato e porta anco-ra all’individuazione di aree dismesse contaminate, da sottoporre a procedimento ex D.M. 471/99.

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Nella scorsa edizione si è estesa l’analisi, oltre che a Milano, alle altre tredici aree metropoli-tane italiane allora individuate, con il duplice obiettivo di verificare lo stato di messa in attodell’Anagrafe regionale dei siti contaminati, allegando anche tutti gli elementi relativi alle nor-mative vigenti nel campo dei rifiuti e delle bonifiche, e di segnalare eventuali casi di riuso ditali aree nelle fasi successive alla bonifica, che implementassero in maniera sensibile la qua-lità ambientale urbana.Tali progetti, definiti col nome di “buone pratiche”, prevedevano di volta in volta, o vaste areeverdi, o una serie di tecnologie bioambientali all’avanguardia, dal teleriscaldamento, allepompe di calore, agli impianti per l’utilizzo di energie alternative rinnovabili.Con l’attuale rapporto e con la contemporanea entrata in vigore del D.Lgs 152/2006, si con-clude questo ciclo di studio sulle aree dismesse.Nell’arco di un anno nell’elenco delle aree metropolitane sono state inserite tutte le provincefacenti capo a capoluoghi con almeno centocinquantamila abitanti e si evidenzieranno le carat-teristiche che differenziano le aree subentrate da quelle già esistenti.Si evidenzieranno le modifiche apportate dal decreto all’impianto normativo e proseguendo lalinea tracciata dal rapporto precedente si pubblicherà l’aggiornamento dei dati relativiall’Anagrafe dei siti contaminati.Infine il rapporto anche quest’anno segnalerà alcuni esempi di “buone pratiche”, cercando trai principali progetti approvati in Italia, quelli che massimizzino le suddette esigenze di valoriz-zazione ambientali delle differenti aree.

2. RIFERIMENTI NORMATIVI

Con l’avvento del D.Lgs. 152/2006, il sistema normativo nazionale si trova ora in fase di revisione.Per quanto riguarda invece la normativa regionale si segnala, a completamento del quadro nor-mativo contenuto nella precedente edizione del rapporto, la legge 26/1975 della RegioneCalabria, entrata quest’anno nel Rapporto.Per ulteriori informazioni si rimanda al Rapporto 2005.

3. MATERIALI E METODI

Anche quest’anno, è stato richiesto alle ARPA territorialmente competenti di compilare, o aggior-nare, questionari piuttosto dettagliati, finalizzati alla raccolta dei dati, con l’obiettivo di avviare l’at-tività di elaborazione di alcuni indicatori, così come ci si era prefissi all’inizio della ricerca.Tali questionari sono stati formulati fondendo in un unico blocco modelli precedentemente uti-lizzati dall’APAT: quello per l’indagine sui brownfields (“Studio finalizzato alla redazione dilinee guida per il recupero ambientale e la valorizzazione economica di siti definibili comebrownfields” APAT in collaborazione con ARPA Lombardia, CTN TES, Sviluppo Italia AreeProduttive S.p.A. e Università IUAV di Venezia) e le linee guida dell’Anagrafe dei siti contami-nati (Documento APAT pubblicato sul sito).Dopo aver scremato i numerosi campi ottenuti, si sono conservati esclusivamente quelli mag-giormente utili al nostro studio, anche al fine di ridurre il lavoro di raccolta degli enti destina-tari dei questionari.In aggiunta, o in alternativa a tale questionario, è stato prodotto un altro modello da compila-re ulteriormente semplificato, destinato a raccogliere dati già rielaborati in indicatori.Questi due questionari, proposti in formato excel hanno obiettivi differenti.Il primo è stato redatto per valutare la situazione dei siti contaminati nelle diverse aree metropoli-tane e per poter eventualmente creare delle carte tematiche di dettaglio o dei grafici di confronto.Il secondo propone un indagine di dettaglio sicuramente inferiore, ma ugualmente utile per for-mulare importanti valutazioni relative alla situazione dei siti contaminati e/o dismessi, con-

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sentendo confronti di dati tra comuni, tra comuni e capoluoghi, ma anche tra differenti areemetropolitane, utilizzando lo strumento degli indicatori.Questi due questionari se compilati possono dunque consentire numerosi tipi di valutazioni dif-ferenti tra la realtà urbana e il suo rapporto, per altro molto complesso, con le aree dismessee i siti contaminati.Indirettamente il diverso grado di compilazione dei questionari consente di valutare lo stato diavanzamento dell’Anagrafe e quindi in generale dell’informazione su questa tematica.Scendendo nel dettaglio, il primo questionario è stato organizzato in quattro diversi gruppi diinformazioni, assegnati ognuno ad un foglio excel:

- Individuazione dell’area o del sito- Localizzazione geografica- Iter di bonifica- Notizie sull’eventuale riutilizzo.

Vengono nel primo gruppo richieste informazioni basilari, come il codice di identificazione del sito,l’indirizzo, i comuni interessati. Nel secondo vengono invece richieste le coordinate geograficheper l’eventuale individuazione dei siti su mappe georeferenziate. Nel terzo viene richiesta qualcheinformazione sulla storia dell’area: stato di attività, stato di bonifica, eventuale normativa e desti-nazione successiva alla bonifica (sempre qualora questi steps fossero stati già determinati).Infine, nell’ultimo gruppo si chiede, nel caso sia già stata eseguita la bonifica, di fornire qual-che dato sui progetti futuri previsti per quella determinata area.Per aiutare ulteriormente nella compilazione sono state inserite delle istruzioni e dove possibile, delleprecompilazioni, al fine di facilitare il compito della compilazione, inserendo dati forniti da APAT.Il secondo questionario si compone di due fogli excel: il primo consente, qualora fosse già dis-ponibile, di inserire il valore dell’indicatore richiesto.Il secondo consente di compilare lo schema con i dati raccolti, che permetteranno di otteneregli indicatori qualora questi non fossero già stati calcolati, eseguendo poche facili operazioni.Gli indicatori individuati come utili allo scopo del presente lavoro sono:

- Nr. aree dismesse per sup. comunale- Rapporto tra superficie occupata dalle aree dismesse e sup. comunale- Nr. aree dismesse per tipologia di attività produttiva- Nr. aree dismesse per matrice ambientale contaminata- Nr. aree dismesse per fase della procedura di legge (DM 471/99)- Nr. aree dismesse per tipologia di bonifica- Nr. aree dismesse per tipologia di riuso- Percentuale aree bonificate sul totale delle aree dismesse- Percentuale aree dismesse contaminate sul totale aree dismesse- Percentuale di sup. contaminata rispetto sup. comunale- Nr. aree ind. dismesse nella città centrale dell’area metropolitana- Rapporto tra superficie occupata dalle aree ind. dismesse e superficie della città centrale

dell’area metropolitana- Rapporto tra superficie contaminata e superficie area metropolitana- Rapporto tra superficie contaminata e superficie della città centrale dell’area metropolitana.

I questionari sono stati inviati a tutte le sedi ARPA competenti per le diverse aree metropoli-tane, alla Regione Liguria e alla Provincia di Torino.Congiuntamente, è stata inoltrata la richiesta di un file compatibile GIS, con un layer relativoai confini comunali delle aree, per successive elaborazioni cartografiche.

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4. SITI DI INTERESSE NAZIONALE

Le aree che presentano situazioni di particolare criticità ambientale possono essere dichiarate“siti di interesse nazionale” (SIN). Per questi siti l’attuazione delle procedure di bonifica è asse-gnata al Ministero dell’Ambiente che, per tale compito, si avvale delle ARPA, dell’APAT e dialtri enti di livello nazionale, in concertazione con gli Enti locali competenti caso per caso. I sitiattualmente dichiarati di interesse nazionale sono in tutto 53, di cui 15 individuati con L.426/1998, 3 con L.388/2000, 23 con D.M. Ambiente 468/2001, 9 con L.179/2002, 2 con laL.266/05 e 1 con il D.Lgs 152/06. Il perimetro del sito da sottoporre a indagini e, in caso diinquinamento, ad attività di messa in sicurezza e di bonifica, è individuato con apposito decre-to e, in alcuni casi con successiva sub-perimetrazione.I dati relativi allo stato di avanzamento degli interventi di bonifica all’interno dei siti d’interesse nazio-nale compresi nelle aree metropolitane sono stati forniti dal Dipartimento Difesa del Suolo dell’APAT.Tali dati, ricavati dai verbali delle Conferenze dei Servizi Decisorie, riportano per ciascuno dei siti d’in-teresse nazionale il numero di progetti formalmente approvati nel corso del 2005. In particolare sonostate prese in considerazione le fasi progettuali principali quali: il piano di caratterizzazione, il pro-getto preliminari di bonifica, il progetto definitivo di bonifica e il decreto d’approvazione (che rappre-senta la definitiva via libera alla bonifica). L’ultima fase comprende lo svincolo dei terreni, dimostra-tisi non contaminati a seguito della caratterizzazione del sito, e/o la loro bonifica.La tabella mostra la complessità dell’iter, evidenziato dall’elevato numero di documenti relati-vi alle prime fasi di progettazione (piani di caratterizzazione e progetti preliminari), che scendecon l’avanzare delle successive fasi quali il progetto definitivo e il decreto di approvazione.Per alcune delle aree segnalate, sono disponibili ulteriori dati nelle precedenti versioni del rapporto.

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Tavola 1: Elaborati progettuali approvati nel corso del 2005.

SIN Piano di caratterizzazione

Progettopreliminare

Progettodefinitivo

Decreto diapprovazione

Svincoloe/o

bonifica

Totale per sito

Basse di stura (To) 12 0 0 0 0 12Sesto San Giovanni 2 4 3 5 0 14Pioltello - Rodano 1 1 0 0 0 2Cerro al Lambro 0 0 0 0 0 0Milano - Bovisa 0 0 0 0 0 0Venezia (Porto Marghera) 31 2 1 1 35Trieste 13 2 2 1 7 25Cogoleto - Stoppani 0 0 0 0 0 0Sassuolo Scandiano 3 0 0 0 5 8Napoli Orientale 53 3 0 0 0 57Litorale Domizio Flegreo 7 0 0 0 0 7Napoli Bagnoli - Coroglio 1 0 0 0 0 1Bari - Fibronit 0 0 0 0 0 0Sulcis - Iglesiente - Guspinese 4 1 0 0 0 5Brescia - Caffaro 4 2 0 0 0 6Fidenza 3 0 1 0 1 5Piombino 1 1 0 0 0 2Livorno 1 0 0 0 0 1Litorale vesuviano 1 0 0 0 0 1Manfredonia 0 0 1 0 0 1Taranto 9 0 0 0 0 9Milazzo 0 0 0 0 0 0Totale per elaborato 146 16 8 6 14

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5. SITUAZIONE ATTUALE NELLE AREE METROPOLITANE ITALIANE

La richiesta di dati, formulata alle Arpa territorialmente competenti per le varie aree metropo-litane, ha fatto emergere un quadro estremamente diversificato da regione a regione riguardoall’Anagrafe dei siti contaminati. È risultato che un’unica Regione (Liguria) ha adottato in totola Linea guida ed il software predisposti e messi a disposizione da APAT (tramite il CTN TES).In questo caso l’Anagrafe risulta pressochè completa e viene periodicamente aggiornata. Inaltri casi le Regioni, o le ARPA là dove delegate, hanno sviluppato strumenti informatici diver-si per poter inserire altri dati, spesso più propriamente di tipo gestionale e non solo di tipotematico. In questi casi si rileva però un ritardo nella implementazione dell’Anagrafe, dovutosia al tempo necessario per la realizzazione del database dell’Anagrafe stessa sia al temponecessario per il caricamento/trasferimento di dati da altri database esistenti o da altri Enti. Inmolte situazioni è stato infatti riferito che l’Anagrafe è ancora in corso di completamento/vali-dazione e quindi non è stata inviata risposta. È risultato per quanto sopra, ancora molto difficile reperire dati adatti alla formulazione di indi-catori interessanti, mentre sono stati archiviati ed elaborati i dati sino ad oggi pervenuti chevengono qui di seguito commentati in modo più o meno diffuso a seconda della quantità e tipo-logia delle informazioni ricevute. Per le aree metropolitane a cui non si fa riferimento in questa sezione, i dati o non sono statiaggiornati rispetto alle precedenti edizioni del rapporto, oppure non sono pervenuti.

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Tavola 2: Esempio di questionario compilato.

Milano e BresciaA due anni dal primo rapporto, si è scelto di ricontrollare i dati messi a disposizione da ARPALombardia.La Regione Lombardia infatti, non è attualmente ancora in possesso di una Anagrafe comple-

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ta, quindi ancora una volta si è dovuto ricorrere ai dati ARPA.I dati per queste due province possiedono caratteristiche comuni, essendo raccolti ed omoge-neizzati dal medesimo ente.Il database comprende la totalità dei siti contaminati, verificati da ARPA e dei siti sui qualisono ancora in corso analisi di verifica.Il censimento è di per se piuttosto completo se si eccettua qualche lacuna relativa alle super-fici contaminate ed alle coordinate di localizzazione di alcune aree.Le aree prese in considerazione nell’elenco sono molte; solo per la Provincia di Milano ne ven-gono segnalate più di millecinquecento, di cui circa settecento realmente contaminate.Nella sola città di Milano risultano localizzate più di seicento aree industriali dismesse.Emerge tuttavia un dato estremamente confortante, ossia che quasi la metà delle aree sonogià state bonificate, mentre le rimanenti sono quasi tutte in corso di bonifica.Per quanto riguarda la Provincia di Brescia, i numeri sono inferiori, ma è altresì evidente ildiverso background storico delle due aree metropolitane.Nella provincia bresciana risultano segnalati circa centoventi siti contaminati e trentadue nellacittà capoluogo.A differenza del caso dell’area milanese, la quantità di siti già bonificati è molto inferiore.Permangono tuttavia delle perplessità sui dati, che al momento della verifica risultano essereancora in fase di completamento.

PadovaI dati relativi alla Provincia di Padova confermano la bontà e l’ottima organizzazione del data-base veneto.Nell’area padovana si possono contare centosette siti contaminati ed una decina di siti poten-zialmente contaminati.Le aree interessate sono per lo più contaminate dalla presenza di sversamenti di idrocarburi.I siti contaminati non sono concentrati esclusivamente sul territorio di Padova, ma sono diffu-si abbastanza omogeneamente su tutto il territorio provinciale, con circa il 15% di aree pre-senti nella città principale dell’area metropolitana.Nel database non vengono segnalati metodi e tecniche di bonifica, ma vi è una vasta docu-mentazione relativa all’avvio ed alla chiusura delle differenti fasi di bonifica.

Firenze, Prato, Pistoia e LivornoCome nelle passate edizioni, i database relativi all’Anagrafe della Regione Toscana, raccolti edelaborati da ARPAT, risultano essere tra i più completi. I siti contaminati segnalati all’internodelle province di Firenze, Pistoia, Prato e Livorno sono oltre cinquecentocinquanta, suddivisi perla maggior parte nell’area fiorentina, ed in quantità inferiori, nel livornese con le sue zone por-tuali ed industriale e poi via via nel pratense e nel pistoiese.Oltre il 50% dei siti contaminati presenti nella Provincia di Livorno, ricadono all’interno dei con-fini della città capoluogo.La maggior parte di questi siti è strettamente legata alle attività petrolifere; in particolar modoalla vendita ed allo stoccaggio.In quasi tutti i siti, laddove ritenuto necessario, l’iter di bonifica è già stato avviato; in molti casiè già concluso con la certificazione di avvenuta bonifica, negli altri si è già in attesa dell’appro-vazione del progetto di bonifica o quantomeno si è alla fase del piano di caratterizzazione.Tra le tecniche di bonifica maggiormente utilizzate citiamo:- biorisanamento- asportazione di terreno- pump & treat- SVE- Barriere idrauliche- Air sparging

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Per quanto concerne il riuso, le aree dismesse bonificate, sono per la maggior parte ridestinatead ospitare attività commerciali, verde pubblico o come accade spesso quartieri residenziali.

NapoliAnche per questa edizione del rapporto i dati sono stati raccolti da Arpa Campania.L’Anagrafe che ci viene presentata, seppur ancora decisamente incompleta in diverse sue parti,risulta notevolmente implementata rispetto allo scorso anno.I siti, anche quest’anno, risultano essere solo potenzialmente inquinati; il totale risultante siaggira attorno alle cento unità. Le aree in analisi sono quindi pressocchè raddoppiate dall’an-no precedente e ci si avvia ad avere una visione della situazione napoletana oggettivamentepiù credibile. Tuttavia la mancanza di un dato certo sulla contaminazione effettiva rende taleraccolta ancora di base.Le aree segnalate, sono in prevalenza, da quanto risulta, occupate da industrie del settore chi-mico-plastico e metalmeccanico.Vi è comunque una discreta varietà nelle tipologie produttive, mentre per ciò che concerne ilsettore bonifiche le notizie non sono buone.Sono molto poche le aree che sembrano già entrate nell’iter procedurale; queste vedono tutteun piano di caratterizzazione già approvato.

Palermo, Catania e MessinaI dati relativi alle aree della Regione Sicilia provengono da ARPA Sicilia e sono relativi sola-mente a pochi siti all’interno dei comuni, città centrali delle differenti aree metropolitane.I siti segnalati sono circa una ventina, quasi tutti con contaminazione accertata.La matrice maggiormente contaminata è il suolo ed in alcuni casi le acque sotterranee.Elementi inquinanti sono per lo più idrocarburi, derivati da lavorazione e commercio di prodot-ti petroliferi.Un ulteriore aggiornamento di questo database si dovrebbe avere entro breve da parte delCommissario straordinario per l’emergenza rifiuti.È stato poi inviato un documento che censisce tutte le attività produttive inquinanti ed oggi dis-messe.Dall’elenco emergono un’ulteriore ventina di siti contaminati appartenenti ad attività siderur-giche e chimiche.

6. STATO E TENDENZE DELLA QUALITÀ DELL’AMBIENTE

L’aggiornamento effettuato quest’anno sulla base dell’estrazione dei dati delle diverseAnagrafi regionali, o censimenti, dei siti contaminati è da considerarsi un momento conclusivodi attività, in quanto, nel corso del 2006 è stato emanato il decreto legislativo 152/06, che haprofondamente modificato le norme in materia di siti contaminati.L’Anagrafe è stata confermata come strumento di raccolta dei dati, ma le informazioni, che ver-ranno raccolte in futuro avranno significati estremamente diversi, quindi non più confrontabilicon l’attuale raccolta.Si fa riferimento in particolare alle modalità con cui verrà identificato un “sito contaminato”,sulla base di una analisi di rischio e quindi non più sulla base del mero superamento di con-centrazioni limite ammissibili.Per quanto riguarda l’attività sinora svolta, emerge che la diversa organizzazione adottata dalleregioni in materia di siti contaminati ha determinato una evidente disparità nella quantità disiti individuati.In particolare nelle regioni in cui viene prescritto per qualsiasi modifica di destinazione d’usodelle attività produttive una verifica preliminare, che può dar luogo all’avvio della procedura exD.M. 471/99 (ora D.Lgs 152/06), si registra una notevole quantità di siti contaminati.

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Negli altri casi invece, si è verificato l’inserimento dei siti di maggiore complessità ed in par-ticolare dei siti di interesse nazionale.Per quanto sopra non è stato possibile completare la prevista elaborazione di indicatori, cheavrebbero dovuto consentire di seguire nel tempo l’evoluzione del fenomeno a livello nazionale.Dalle raccolte dati regionali più complete si registra, comunque il dato positivo di una buonapercentuale di aree bonificate su aree totali.

7. LE BUONE PRATICHE

Come già fatto nel precedente rapporto, anche quest’anno concludiamo, dopo aver svolto ilmonitoraggio dello stato dell’Anagrafe, proponendo casi di riuso di aree dismesse dove la qua-lità dell’ambiente viene considerata un obiettivo importante.Segnaliamo, tra i diversi progetti di cui siamo venuti a conoscenza, quelli che, per dimensioneo per l’impatto sull’intorno, risultano essere maggiormente interessanti.Riteniamo significativi quegl’interventi che, oltre a garantire la bonifica dell’area, comportanoun valore aggiunto in termini di risparmio di risorse non rinnovabili, di utilizzo di materiali nondannosi per l’uomo e l’ambiente e di salvaguardia della biodiversità.Alcuni progetti infatti prevedono interventi di realizzazione di parchi urbani, di sistemi di coge-nerazione per teleriscaldamento, teleraffrescamento, l’adozione di sistemi per il risparmioenergetico e la riduzione dell’inquinamento.A differenza della scorsa edizione del rapporto, quest’anno la ricerca è stata effettuata anchenelle pubbliche amministrazioni. Ne risulta un mosaico di interessanti progetti dai quali si può scoprire la considerazione che iltema dell’ambiente ha assunto nei nuovi programmi di sviluppo urbano.Precisiamo anche in questa edizione, che non è nostra intenzione attribuire giudizi di valore aivari interventi di riuso, ma semplicemente rilanciare, all’attenzione di tutti, proposte e soluzio-ni a cui poter fare riferimento in casi analoghi di riuso di aree industriali dismesse.

TorinoLe Olimpiadi invernali del 2006 sono state un’occasione per la città di Torino di rinascere dalleceneri del suo glorioso trascorso industriale, come città moderna, del verde e dell’innovazione.Il progetto “Spina Centrale” si è posto come primo obiettivo proprio quello di ridisegnare lacittà partendo proprio dalla spina dorsale cittadina, costituita dall’asse ferroviario, per poi toc-care le decine di aree dismesse e riconsegnare alla città strutture essenziali, spazi verdi emolto altro.Dei progetti che costituiscono la Spina, ci soffermiamo sul terzo, già esposto lo scorso anno inquesto rapporto, sebbene con un numero di informazioni nettamente inferiori.L’area denominata Spina 3, comprende la zona industriale dimessa localizzata lungo la DoraRiparia, contenente le aree ex Fiat, ex Michelin, Savigliano e Paracchi, per una superficie tota-le di circa 1.000.000 mq.Già alla fine del XVIII sec. numerose industrie si inserirono in questa zona di Torino, ma il cul-mine della produzione industriale si raggiunse verso la metà del 1800.Dopo la chiusura delle fabbriche negli anni ’80, questo territorio venne abbandonato, sino aquando nel 1998 si diede il via al PRU di Spina 3.La Dora, già nel corso dell’età industriale, era un punto di attrazione essenziale, questo pro-getto vorrebbe oggi farle ritrovare tale centralità.La presenza di edifici dismessi è dunque la principale caratteristica dell’area che il piano desti-na a parco; quelli ritenuti maggiormente rappresentativi della storia industriale torinese saran-no conservati per ospitare varie funzioni.I due obiettivi principali del progetto sono dunque, rirelazionare la zona con la città e tutelarel’area del fiume, come elemento unificante tra quartieri.

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La riappropriazione degli argini della Dora Riparia e la loro sistemazione ambientale e pae-saggistica diventa nel complessivo disegno una priorità.Ampi spazi liberi dovranno caratterizzare la progettazione degli spazi verdi a prato, delle areepavimentate e delle piazze.Grandi prati, protetti da una quinta vegetale verso la città ed aperti verso il fiume, sarannodedicati allo svago ed alla passeggiata.Il progetto del verde prevede ampie porzioni trattate a prato e differenti tipologie di essenzearboree, le quali individueranno i percorsi pedonali, faranno da ombreggiamento e maschera-mento per le aree destinate a parcheggio e zone pavimentate.La vegetazione presente verrà concepita secondo due impostazioni: le aree a prato avrannomateriali e superfici differenti, con una grande varietà di fiori ed atmosfere, prati sfalciati enon, per usi differenti.I giardini vengono pensati per venire incontro alle esigenze dei cittadini; la scelta delle specieavviene in questo caso in base a criteri estetici.La Dora Riparia, che attualmente è coperta, sarà stombata per creare un lungo fiume accessi-bile al pubblico, con ponti, sentieri, superfici inondate.Canali, bacini e pozzi raccoglieranno poi l’acqua piovana che verrà utilizzarla per irrigare, men-tre le pompe che muovono l’acqua dei canali e nei bacini, saranno alimentate dall’energia foto-voltaica, così come, anche se solo in parte, avrà medesima origine, l’impianto di illuminazionedel parco.L’area di Torino risulta tra le più dinamiche in ambito progettuale, anche al di fuori di questiinterventi.Tra i progetti che interessano la realtà Torinese e che possiamo annoverare tra le buone prati-che, spicca anche il PRUSST 2010, con la sua Tangenziale Verde, un atto pianificatorio che inte-ressa, oltre a Torino, gli adiacenti comuni di Settimo Torinese e Borgaro Torinese.Questo piano, tramite numerosi interventi, riordina e riqualifica una fascia di diversi chilometridi territorio, riorganizzando gli spazi verdi, le attività produttive ed il sistema infrastrutturale.Tra gli interventi di maggior interesse, l’innesto di una rete di tubazioni per il teleriscaldamen-to, che con tre milioni di metri cubi di gas, ottenuto dalla raccolta differenziata, riscalderà l’in-tera area urbana. Segnaliamo, inoltre, la bonifica di aree interessate da fenomeni di dismis-sione di attività industriale, il cui ciclo di lavorazione ha comportato l’abbandono di sostanzenocive ed inquinanti.

MilanoUn importante progetto di riuso di aree dismesse è recentemente stato presentato a Sesto SanGiovanni, comune dal passato industriale situato alle porte di Milano.Si tratta di un piano di riqualificazione dell’area industriale che oggi separa, in maniera netta,Sesto dal capoluogo lombardo.Il territorio interessato dal progetto si estende per circa 1,3 milioni di metri quadrati, di questavasta superficie un milione di metri quadrati saranno destinati a verde, pubblico e privato.Le numerose strutture saranno per lo più a torre progettate secondo criteri di risparmio ener-getico, mentre importanti assi viari attraverseranno l’area. Il sistema dei trasporti verrà rior-ganizzato e integrato con le reti esistenti, inoltre viene previsto un sistema di bus alimentatida fonti energetiche alternative.

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8. CONCLUSIONI

Dall’attività svolta nell’arco di tre anni sulla situazione delle aree industriali dismesse ubicatenelle aree metropolitane italiane, emerge con chiarezza l’opportunità che tali aree rappresenta-no come superfici riutilizzabili in contesti ormai completamente inglobati nel tessuto urbano.Le problematiche relative alla contaminazione sono ormai state affrontate ed in buona parterisolte. Notevoli ormai sono le esperienze sui metodi di risanamento di tali aree e la quantitàdi aree bonificate si avvia a rappresentare una buona percentuale sul totale. Risulta ancora difficoltosa invece la raccolta delle informazioni connesse alle procedure ine-renti i siti contaminati, sia in termini di completezza dell’informazione sia in termini di con-frontabilità dei dati. Si auspica pertanto per il futuro un richiamo all’utilizzo da parte di tutte leregioni degli standard individuati a livello nazionale, che comunque saranno a breve oggetto direvisione a seguito del D.Lgs 152/06. Senza tale standardizzazione non sarà mai possibile l’e-laborazione di indici ed indicatori utili al monitoraggio dell’evoluzione del sistema.Il lavoro presentato potrebbe quindi considerarsi un momento conclusivo di attività in quanto il nuovodecreto legislativo 152/06 ha profondamente modificato le norme in materia di siti contaminati.Per quanto riguarda il riuso delle aree dismesse segnaliamo la presenza, su tutto il territorio presoin considerazione di numerosi progetti che, pur non essendo stati tutti citati, formano un mosaicoda cui si può verificare come il tema dell’ambiente sia tenuto sempre più in considerazione.

SITI INTERNET VISITATI

http://www.prusst2010plan.it/http://www.urban-s3.it/programma.htmwww.regione.calabria.itwww.rpbw.com

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Figura 1: Il Masterplan di Sesto San Giovanni (dal sito RPBW).

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www.comune.torino.itContributo realizzato con la collaborazione di:APAT: L. D’Aprile, F. PascarellaComune di TorinoARPA Lombardia: R. RacciattiARPA Veneto: S. Patti, G. MazzettoRegione Liguria: E. De StefanisARPA Toscana: R. Francalanci, V. PallanteARPA Campania: M. Vito, G. AndrisaniARPA Sicilia: P. Nania, F. D’urso

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IMPATTO DELL’INQUINAMENTO AMBIENTALESUL PATRIMONIO STORICO - ARTISTICO:DEFINIZIONE DI CARTE TEMATICHE DIPERICOLOSITÀ AMBIENTALE - ARIA

P. BONANNI*, C. CACACE**, R. DAFFINÀ*, R. GADDI*, A. GIOVAGNOLI***APAT - Dipartimento Stato dell’Ambiente e Metrologia ambientale, servizio Inquinamento Atmosferico;**ICR - Istituto Centrale per il Restauro

ABSTRACT

La collaborazione tra l’APAT e l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma è finalizzata, da anni,ad approfondire e sviluppare la tematica degli effetti causati dall’inquinamento atmosferico suibeni di interesse storico- artistico italiano.Attraverso l’utilizzo della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale redatta dall’ICR e i dati diqualità dell’aria e di emissioni degli inquinanti aerodispersi a disposizione dell’APAT, i due entistanno lavorando ad uno studio mirato alla determinazione di mappe tematiche di pericolositàambientale – aria per i 24 comuni di interesse del presente rapporto.Il lavoro di seguito presentato, mostra i passaggi che hanno portato ad una prima definizionedella mappa del rischio ambientale – aria relativa al comune di Roma.

INTRODUZIONE

Il problema dell’inquinamento atmosferico e dei suoi effetti sul patrimonio storico- artistico ita-liano sta diventando da alcuni anni sempre più significativo e preoccupante.Nel II Rapporto APAT sulla “Qualità dell’ambiente urbano” [1] sono stati presentati i risultati del pro-getto di ricerca che l’APAT e l’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) di Roma hanno condotto, neglianni 2000-2006, per correlare sperimentalmente il danno subito dal patrimonio culturale alla con-centrazione dei principali inquinanti atmosferici e per studiare gli effetti delle sostanze aggressiveaerodisperse e dei fattori ambientali sui beni di interesse storico- artistico esposti all’aperto [2].Tale attività trova una sua logica collocazione tra le tematiche affrontate dal Tavolo interagen-ziale “Inventari delle emissioni e piani di risanamento della qualità dell’aria”, uno dei 13 Tavoliavviati da APAT1.La gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale è affidata agli enti locali regionali.Mancano però ancora dispositivi adeguati per la programmazione territoriale degli interventi diconservazione e restauro dei beni. Tra gli strumenti fondamentali di innovazione, appaiono ido-nei per superare le difficoltà di gestione, i sistemi di supporto alle decisioni. In questo senso la Carta del Rischio del Patrimonio Culturale rappresenta uno strumento inno-vativo utilizzabile per la pianificazione degli interventi di tutela; il principio guida si basa infat-ti su un approccio di tipo qualitativo e conoscitivo attraverso l’analisi del rischio territoriale. Lafinalità del sistema, se realizzato a livello territoriale regionale, permette di approfondire erazionalizzare le conoscenze archiviate a livello nazionale raccogliendo informazioni puntuali e

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1 Il Tavolo si propone, con la messa in rete delle migliori competenze ed esperienze del Sistema delleAgenzie Ambientali, di fornire supporto tecnico-scientifico ai decisori politici sulla tutela e risanamentodell’ambiente atmosferico. Tutto ciò con un approccio orientato all’integrazione, alla trasparenza, allaaccessibilità e alla fruibilità dell’informazione. Speciale attenzione viene rivolta all’analisi delle misureper il risanamento, in particolare per quanto concerne il monitoraggio delle performance in un’ottica disuperamento della logica del comando e controllo.

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correlando i beni al contesto ambientale in cui si trovano. Il sistema, così come è stato conce-pito, permette di mettere a punto con un maggiore livello di precisione, la valutazione dei costi,le criticità e le possibili soluzioni a medio e lungo raggio. Rappresenta cioè uno strumento persostenere a scala territoriale la responsabilità di garantire una relazione stretta tra tutela, pia-nificazione urbanistica ed impatto ambientale. Si configura come uno strumento di supportoper la conservazione programmata, ma può anche fornire informazioni relative alla qualità del-l’ambiente nell’intorno del bene culturale; esso cioè può essere utilizzato come un indicatorefisso (bene immobile) per il piano di risanamento della qualità dell’aria territoriale.

La collaborazione APAT e ICR è finalizzata a verificare la validità delle mappe di pericolositàambientale – aria della Carta del Rischio del Patrimonio Culturale [3] redatta dall’ICR e a valu-tare e definire la correlazione tra in quinamento e danno subito dal bene al fine di una sua effi-cace e ottimale conservazione.In particolare, attraverso le informazioni provenienti dalla Carta del Rischio del PatrimonioCulturale e i dati di qualità dell’aria forniti dall’APAT, ci si propone di redigere le carte di peri-colosità tematica del rischio ambientale - aria di alcune delle 24 aree urbane di interesse delpresente rapporto.Nell’articolo verrà illustrato il lavoro svolto utilizzando i dati elaborati dal Sistema InformativoTerritoriale (S.I.T.) [4] della Carta del Rischio e i dati di qualità dell’aria, nel caso del comune di Roma.

1. LA SCHEDATURA DEI BENI CULTURALI NELLE 24 CITTÀ

Il progetto Carta del Rischio permette di individuare, con dati certi, la distribuzione territorialedel patrimonio archeologico e monumentale e di focalizzare l’attenzione su differenti aree delterritorio nazionale. Il processo metodologico della Carta del Rischio nasce dall’insieme delle esperienze che neglianni l’Istituto Centrale per il Restauro ha attuato nel rispetto della tutela dei beni culturali. Ilsistema Carta del Rischio non è uno strumento tecnologico: si serve della tecnologia come stru-mento di rappresentazione, di valutazioni diverse relative alla salvaguardia dei beni culturali,concepite attraverso lo studio, la ricerca e l’analisi.Dalla sua banca dati è stato possibile determinare la distribuzione dei beni culturali schedati2 nellearee comunali di interesse della presente relazione (tabella 1 e figura 1) e la corrispondente suddi-visione (tabella 2 e figura 2) nelle tipologie fondamentali (beni architettonici, archeologici, musei).

7322 Dati aggiornati al 2006.

Tabella 1: Numero dei beni culturali schedati nelle 24 città di interesse del presente rapporto.

COMUNE TOT BENI COMUNE TOT BENITorino 557 Livorno 123Milano 1203 Prato 116Brescia 633 Roma 3695Verona 994 Napoli 946Venezia 2167 Foggia 54Padova 535 Bari 408Trieste 326 Taranto 80Genova 1954 Reggio Calabria 75Parma 330 Palermo 367

Modena 251 Messina 192Bologna 909 Catania 223Firenze 1440 Cagliari 209

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Tabella 2: Distribuzione delle tipologie dei beni schedati.

N. B.: Nella distribuzione delle tipologie, alcuni musei possono essere schedati indifferentemente secon-do una o l’altra delle due tipologie principali (architettonica o archeologica).

MUSEI ARCHEOLOGICI ARCHITETTONICITorino 5 6 546Milano 2 67 1134Brescia 1 38 594Verona 1 80 913Venezia 0 1 2166Padova 0 12 523Trieste 1 21 304Genova 0 11 1943Parma 0 34 296

Modena 0 1 250Bologna 2 15 892Firenze 1 2 1437Prato 0 0 116

Livorno 2 3 118Roma 7 726 2962Napoli 0 54 892Foggia 0 3 51

Bari 2 13 393Taranto 0 25 55

Reggio Calabria 2 18 55Palermo 0 8 359Messina 0 2 190Catania 0 28 195Cagliari 1 18 190

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2. IL SISTEMA INFORMATIVO TERRITORIALE (S.I.T.)

Il rischio di perdita del patrimonio culturale ha determinato la ricerca di un criterio per l’indi-viduazione delle priorità d’intervento e per lo sviluppo di una politica di settore che porti allaprogrammazione delle azioni e alla pianificazione di tutte le attività di manutenzione, conser-vazione, restauro e infine di tutela e fruizione.L’Istituto Centrale per il Restauro si è proposto di giungere a questo risultato attraverso il SistemaInformativo Territoriale (SIT) [5], che rappresenta lo strumento tecnico più adatto per raggiunge-re lo scopo rendendo possibile la visualizzazione dei fenomeni in forma cartografica e creando i pre-supposti per produrre una mappa aggiornabile del rischio di perdita del patrimonio culturale. Il SIT è il sistema di banca dati in grado di esplorare, sovrapporre ed elaborare informazioniintorno ai potenziali fattori di rischio che interessano il patrimonio culturale italiano.La metodologia seguita prevede il calcolo del Rischio attraverso la combinazione di due com-ponenti principali: la Vulnerabilità (V) di ogni bene e la pericolosità (P) del territorio in cui ilbene si trova [6].La vulnerabilità indica il livello di esposizione di un dato bene agli agenti di degrado; la perico-losità (P) indica il livello di potenziale aggressione caratteristica di una data area territoriale.

I dati che vengono utilizzati per il calcolo del rischio (distribuzione geografica) sono organizza-ti all’interno della banca dati secondo tre categorie [7]:

1. Statico strutturale (sisma, frane inondazioni per la pericolosità; elementi costitutivi del beneper la vulnerabilità)

2. Ambientale Aria (inquinamento, clima per la pericolosità; elementi caratteristici della super-ficie del bene per la vulnerabilità)

3. Antropica (turismo, concentrazione, popolazione spopolamento per la pericolosità; presenzadi impianti di sicurezza, antifurti per la vulnerabilità)

Il rischio è quindi espresso come una funzione generale delle componenti di vulnerabilità epericolosità relative ad ogni area territoriale su cui il bene può esistere:

Rji = f (V1i, V2i, V3i; P1j, P2j, P3j)dove

Rji = rischio

V1i = vulnerabilità superficiale del bene i-esimo per il rischio ambientale ariaV2i = vulnerabilità strutturale del bene i-esimo per il rischio strutturaleV3i = uso e sicurezza del bene i-esimo per il rischio antropico

P1j = pericolosità ambientale nel comune j-esimo per il rischio ambientale ariaP2j = pericolosità strutturale nel comune j-esimo per il rischio strutturaleP3j = pericolosità antropica nel comune j-esimo per il rischio antropico

Nel SIT, inoltre, il Rischio viene definito in tre domini fondamentali:

Rischio Territoriale = F(P,PC) è il rischio che prende in considerazione la pericolosità a livello comunale (P) e la concentra-zione di beni (PC) presenti sul territorio in quel dato comune.

Rischio individuale = F(V,P)è il rischio che prende in considerazione la pericolosità a livello di comune (P) e la vulnerabili-tà (V) dei beni presenti nel comune.

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Rischio locale = f(Vj,Pj)è il rischio[8] di maggior dettaglio in quanto scende alla scala territoriale locale (via, strade,piazze, ecc.) prendendo in considerazione la pericolosità (Pj) nell’intorno del bene e la vulnera-bilità (Vj) del bene stesso.

In generale per la costruzione del Rischio Locale, il progetto propone la sezione di censimentodell’ISTAT3 come unità minima di spazializzazione per i dati utilizzati nella costruzione degliindicatori di pericolosità.

In particolare per la pericolosità ambientale - aria, si propone il reticolo EMEP4 o EMEP com-patibile che utilizzi la risoluzione spaziale adottata dal Ministero dell’Ambiente.

Utilizzando le informazioni presenti nella banca dati, il GIS di gestione del Sistema InformativoTerritoriale costruisce cartograficamente i tematismi di interesse (es. pericolosità ambientale -aria) attraverso la sovrapposizione delle carte del rischio territoriali dei comuni e la consisten-za dei beni culturali in essi registrati.

3. PRIMO CASO STUDIO: LA CARTA TEMATICA DEL RISCHIO TERRITORIALE‘AMBIENTALE-ARIA’ DELLA CITTÀ DI ROMA

Nell’applicazione che viene presentata, per costruire la carta del Rischio Territoriale ambien-tale-aria nel comune di Roma, è stata utilizzata, in un primo passaggio, la copertura geografi-ca delle sezioni di censimento della Regione Lazio (fig. 3). Successivamente è stata riprodotta la rappresentazione cartografica del Rischio territorialeambientale aria del Comune di Roma.I dati sulla qualità dell’aria, relativi alle concentrazioni dei principali inquinanti aerodispersi diRoma sono stati forniti dall’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente5 (APAT) mentre la concen-trazione dei beni che cadono nelle singole sezioni di censimento è stata estratta dalla bancadati “Oracle” della Carta del Rischio. Le diverse tonalità di colore rappresentano il rischio ter-ritoriale delle varie zone di Roma (fig. 4).Nella figura 5 è rappresentata la sovrapposizione dei beni georeferiti sulle zone di rischio chepermette di avere, quindi, la distribuzione puntuale della loro posizione nel territorio in riferi-mento alle zone a maggiore rischio della città. Le informazioni che possono essere estratte dal sistema permettono di approfondire semprepiù la conoscenza della composizione del territorio, infatti, osserviamo in (fig. 6) la sovrappo-sizione alle carte tematiche realizzate, dei fiumi e delle strade.

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3 La sezione di censimento dell’ISTAT è la porzione del territorio comunale delimitata da evidenti elementi“fisici” come strade, ferrovie, corsi d’acqua ecc., definita al fine di far riconoscere chiaramente al rileva-tore la zona a lui assegnata. La sezione di censimento assume particolare importanza come unità territo-riale minima. Per soddisfare le esigenze conoscitive sulle località abitate, o sulle aree subcomunali qualile circoscrizioni, i quartieri, ecc., o su altre aree di interesse statistico, deve essere possibile infatti otte-nere queste stesse aree come somma di unità territoriali minime ovvero di sezioni di censimento.4 L’EMEP (Enviromental Monitoring European Program) è il Programma concertato di sorveglianza conti-nua e di valutazione del trasporto a lunga distanza degli inquinanti atmosferici in Europa - E.M.E.P.) perla valutazione dell’inquinamento transfrontaliero oggetto della Convenzione ECE-ONU del 13.11.1979. Ilprogramma E.M.E.P. ha previsto, per i paesi partecipanti, l’installazione di una rete di stazioni per la rac-colta di campioni di aerodispersi e di precipitazioni sui quali rilevare la presenza di particolari inquinantiatmosferici.5 “L’inquinamento atmosferico nei principali agglomerati urbani” in Qualità dell’ambiente urbano IIRapporto Agenzia per la Protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici. edizione 2005.

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Questo permette di localizzare, in modo più significativo, sul territorio le zone che ricadono neivalori più alti di rischio (fig. 7) e di giungere ad un elevato livello di dettaglio aggiungendo stra-ti informativi successivi come le ortofoto (fig. 8). Come esempio, in questa applicazione, è stata estratta la chiesa di S. Stefano del Cacco,oggetto di due campagne di rilevamento schedografico della vulnerabilità; il sistema consentela consultazione puntuale del bene selezionato e la possibilità di utilizzare le schede memoriz-zate nel data base della Carta del Rischio (fig. 9). Nel caso specifico, osserviamo come l’indi-ce di vulnerabilità della chiesa si sia modificato (la vulnerabilità superficiale risulta diminuita)fra il 1995, anno della prima schedatura, e il 2001, anno dell’ultima schedatura, a seguito pro-babilmente dei restauri condotti nel 2000 (fig. 10).

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CONCLUSIONI

Il Sistema Informativo Territoriale sembra essere oggi la strada più facile per rendere possibi-le la visualizzazione e l’analisi dei fenomeni in forma cartografica e per permettere di costrui-re, di volta in volta, approfondimenti sempre più dettagliati utilizzando tutte le informazionipresenti nel vasto data base alfanumerico e geografico della Carta del Rischio. La possibilitàdi associare il livello di pericolosità attribuibile all’inquinamento atmosferico ricavato diretta-mente per via sperimentale, alle forme di degrado rilevate sulla superficie del bene, può forni-re informazioni relative alla qualità dell’ambiente utilizzando il bene come un indicatore fisso(bene immobile) per il piano di risanamento della qualità dell’aria.

BIBLIOGRAFIA

[1] II Rapporto APAT “Qualità dell’ambiente urbano” Edizione 2005

[2] Rapporto APAT “L’impatto dell’inquinamento atmosferico sui beni di interesse storico – arti-stico esposti all’aperto” Edizione 2006

[3], [4] Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archeologici,architettonici, Storici ed Artistici - Istituto Centrale per il Restauro - Carta del Rischio delPatrimonio Culturale - A.T.I. Maris 1996.

[5] Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archeologici, archi-tettonici, Storici ed Artistici - Istituto Centrale per il Restauro - Carta del Rischio del PatrimonioCulturale - Il Sistema Informativo della Carta del Rischio - A.T.I. Maris 1996.

[6] G. Accardo, E. Giani , A. Giovagnoli, The risk map of italian cultural heritage, Journal ofarchitectural conservation, n° 2 July 2003, pp. 41-57.

[7] G. Accardo, A. Altieri, C. Cacace, E. Giani, A. Giovagnoli, Risk map: a project to aid decision-making in the protection, preservation and conservation of Italian cultural heritage,Conservation science 2002, pp. 44-49.

[8] Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali - Ufficio Centrale per i Beni Archeologici, archi-tettonici, Storici ed Artistici - Istituto Centrale per il Restauro - Carta del Rischio del PatrimonioCulturale - Il Rischio Locale: Modulo Sperimentale di Ravenna - A.T.I. Maris 1996.

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SENSIBILITÀ ALLE DEPOSIZIONIINQUINANTI: UN PRIMO APPROCCIO NELCONTESTO DI STUDIO DELLE AREE URBANE

P. BONANNI*, A. BUFFONI°, R. DAFFINÀ*, V. SILLI**APAT, Via V. Brancati 48, 00144 Roma; ° Consulente APAT

ABSTRACT

La Convenzione sull’Inquinamento Atmosferico Transfrontaliero a Lunga Distanza (Long-RangeTransboundary Air Pollution, Ginevra 1979) ha rappresentato negli ultimi 25 anni il principale stru-mento per il controllo e la riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici in Europa. LaConvenzione ha tra i suoi obiettivi la protezione dell’ambiente dall’azione degli inquinanti atmo-sferici (SO2, NOx, precursori dell’ozono, metalli pesanti, composti organici persistenti) e la suaattuazione avviene mediante l’adozione di Protocolli di riduzione dell’emissioni dei singoli Paesi.Tale attività è sotto il patrocinio dalla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite(UN/ECE) e prevede l’applicazione di metodologie di calcolo e modelling modellizzazione stan-dardizzate proposte dal Centro per il Coordinamento per gli Effetti (CCE) di Bilthoven (Olanda). In questo ambito, nel corso di questi ultimi anni, l’APAT si è impegnata per la raccolta di infor-mazioni territoriali disponibili a livello nazionale e nello sviluppo di metodologie volte alla pro-duzione di cartografia inerente la sensibilità degli ecosistemi naturali alle deposizioni di com-posti acidificanti ed eutrofizzanti (composti dell’azoto) e dei metalli pesanti. Tali informazionirappresentano la base tecnico-scientifica utilizzata ai tavoli negoziali internazionali, per le dis-cussione dei Protocolli comunitari atti all’individuazione delle quote di riduzione delle emissio-ni di inquinanti in atmosfera. Le aree metropolitane, pur non contenendo recettori specifici,rappresentano delle regioni particolarmente critiche poiché caratterizzate da forti emissioniantropiche di inquinanti e da elevata densità abitativa umana.

INTRODUZIONE

L’APAT supporta il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nella mappatura deicarichi critici relativi alle deposizioni atmosferiche con effetto acidificante ed eutrofizzante sindagli anni 90. Questa attività nasce a valle di un impegno assunto in sede internazionale conl’adesione da parte italiana alla Convenzione sull’Inquinamento Atmosferico Transfrontaliero aLunga Distanza (CLRTAP-Long-Range Transboundary Air Pollution1), Convenzione di Ginevra peril contenimento e l’abbattimento delle emissioni inquinanti transfrontalieri. Questo accordointernazionale è stato promosso nel 1979 dalla Commissione Economica delle Nazioni Uniteper l’Europa (UN/ECE2), un organismo i cui obiettivi istituzionali sono quelli di stimolare esostenere le relazioni economiche tra gli Stati membri, rafforzando la cooperazione intergo-vernativa in vari settori, tra cui l’ambiente. Su quest’ultimo tema l’attività condotta negli ulti-mi 20 anni dagli organi della Convenzione è stata particolarmente energica e volta ad una mag-giore protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo dall’azione dei diversi inquinanti atmo-

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1 La Convenzione di Ginevra è di fatto entrata in vigore il 16 marzo 1983 e, il 1 maggio 1994, è stata rati-ficata da 38 Paesi. La legge di ratifica del Parlamento italiano è la n. 289 del 27 aprile 1982.2 UN/ECE è l’acronimo di “United Nations Economic Commission for Europe”. La Commissione Economicaper l’Europa, ECE, è una commissione regionale delle Nazioni Unite a cui aderiscono i Paesi Europei piùgli Stati Uniti d’America, il Canada ed Israele, per un totale di 54 Paesi.

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sferici (ossidi di zolfo e di azoto, ammoniaca, composti organici volatili, metalli pesanti e com-posti organici persistenti). Tali inquinanti aerodispersi sono oggetto, infatti, di fenomeni di tra-sporto a lungo raggio, oltre i confini dei singoli paesi (da cui il termine transfrontaliero). Moltidei provvedimenti che negli ultimi decenni hanno portato alla riduzione in Italia e in larga parted’Europa delle emissioni in atmosfera di diversi composti nocivi per la salute umana e per l’am-biente derivano infatti da impegni assunti nell’ambito della Convenzione.A partire dal 2004 l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici haavviato una estesa revisione del proprio database nazionale per il calcolo dei carichi critici per gliecosistemi terrestri e delle relative procedure, aggiornando ed integrando i dati già disponibili,con nuove informazioni di carattere meteo-climatico, pedologico, geochimico, vegetazionale.Parallelamente è stata pure avviata la predisposizione di strumenti di calcolo più aggiornati alfine di produrre delle carte quanto più possibile dettagliate ed affidabili della sensibilità degliecosistemi terrestri presenti sul territorio nazionale alle deposizioni di composti con azione aci-dificante/eutrofizzante ed ai metalli pesanti quali piombo e cadmio.Di seguito viene illustrata la metodologia applicata e le informazioni utilizzate per il calcolo deicarichi critici di acidità, azoto nutriente e metalli pesanti e la situazione presente sul territorioitaliano, in particolare nelle aree delle province delle città considerate.

1. CONTESTO ISTITUZIONALE INTERNAZIONALE: LA CONVENZIONESULL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO TRANSFRONTALIERO

Gli inquinanti atmosferici una volta emessi dalle sorgenti possono ricadere nelle loro imme-diate vicinanze o essere trasportati dai venti anche per distanze considerevoli (Figura 1).La Convenzione sull’Inquinamento Atmosferico Transfrontaliero a Lunga Distanza (Long-RangeTransboundary Air Pollution) ha rappresentato negli ultimi 25 anni lo strumento di maggior suc-cesso per la riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici in Europa. Tale convenzione hatra i suoi obiettivi la protezione dell’ambiente dall’azione degli inquinanti aerodispersi (SO2,NOx, precursori dell’ozono, metalli pesanti, composti organici persistenti) e la sua attuazioneavviene mediante l’adozione di Protocolli per la riduzione delle emissioni dei singoli Paesi.

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Figura 1: sorgente e trasporto degli inquinanti aerodispersi

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La Convenzione di Ginevra è strutturata in una serie di organi distribuiti su tre livelli (Figura 2): l’OrganoEsecutivo (Executive Body), i Gruppi di Lavoro (Working Groups) e le Unità Operative (Task Forces).

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Nell’ambito di questo processo la mappatura degli ecosistemi sensibili rappresenta uno degliaspetti cruciali ed è demandata alle autorità competenti: in Italia l’Agenzia Nazionale per laProtezione dell’Ambiente e i Servizi Tecnici (APAT). Da un punto di vista operativo tale mappa-tura prevede l’acquisizione di un ampio database secondo modalità descritte in un Manualepredisposto dal Centro di Coordinamento Europeo ma il cui livello di approfondimento dipendedai dati disponibili presso i singoli Paesi.A partire dal II° Protocollo riguardante i composti dello zolfo (Oslo, 1994) i tassi di riduzionedelle emissioni sono stati determinati secondo un approccio basato sulla selezione e mappa-tura dei recettori sensibili identificati sulla base del criterio del carico critico.A tal fine è stato necessario predisporre una procedura articolata che prevede l’individuazionee quantificazione delle fonti, la determinazione delle ricadute e dei fenomeni di trasporto, lamappatura delle deposizioni e degli ecosistemi sensibili e l’individuazione delle aree di supe-ramento (o eccedenza) del carico critico.La realizzazione delle mappe dei carichi critici di inquinanti per il territorio nazionale scaturiscequindi da precisi obblighi politici ed economici comunitari e prevede, tra le altre misure, l’ap-plicazione di metodologie di calcolo e modellazione standardizzate messe a punto dal Centroper il Coordinamento per gli Effetti (CCE) di Bilthoven (Olanda).L’APAT ha tra le sue principali funzioni istituzionali la raccolta, l’elaborazione e la diffusione deidati e delle informazioni sullo stato e la dinamica dell’ambiente.Tale compito si è andato intensificando nel tempo anche alla luce delle tendenze su scala euro-pea che impongono sempre maggiore rilievo al diritto di accesso all’informazione ambientale.In questo ambito l’APAT, dal 1999, fornisce ufficialmente supporto al Ministero dell’Ambientee del territorio per gli adempimenti inerenti gli obblighi derivanti dalla Convenzione di Ginevra

Figura 2: organizzazione della Convenzione di Ginevra Figura.

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sull’Inquinamento Transfrontaliero. Le informazioni di base ed i risultati dei modelli applicati, vengono quindi inviati periodica-mente al Centro Coordinamento olandese per gli Effetti e, insieme a quelle provenienti daglialtri paesi, costituiscono la base tecnica e negoziale per gli accordi internazionali concernentii limiti alle emissioni degli inquinanti in atmosfera.

2. CARICHI CRITICI: LA DEFINIZIONE

Il carico critico costituisce un’importante categoria di indicatori di stato che esprimono la sen-sibilità dei recettori ambientali (suoli, acque, materiali) alle deposizioni di sostanze inquinanti.Il carico critico di un inquinante è definito come la stima quantitativa della deposizione di unoo più inquinanti sul territorio, al di sotto della quale non vengono osservati effetti avversi signi-ficativi sugli elementi sensibili dell’ambiente, in accordo con le attuali conoscenze. Il carico cri-tico corrisponde quindi alla deposizione massima che un territorio caratterizzato da specificiecosistemi sensibili (recettori) può sostenere senza che vi siano danni significativi sui recetto-ri stessi, con conseguente compromissione dell’intero ecosistema. Il carico critico viene con-frontato con le deposizioni reali di inquinante/i che giungono al suolo, per il calcolo delle cosid-dette eccedenze. Se vi sono eccedenze significa che le deposizioni superano il carico critico eche occorre intervenire per la salvaguardia degli ecosistemi presenti imponendo, in qualchemodo, una riduzione delle deposizioni attraverso una limitazione delle emissioni.

3. I RECETTORI INDIVIDUATI: GLI ECOSISTEMI FORESTALI

Per poter osservare degli effetti occorre definire oggetto e intervallo delle variazioni. All’internodegli ecosistemi naturali vengono così individuati delle componenti sensibili definite come recet-tori. Viene quindi monitorata ogni variazione significativa dei recettori e stabilita, in accordo contipo di vegetazione, suolo e caratteristiche climatiche, una soglia di deposizione ammissibile. Gliecosistemi (recettori) considerati sono rappresentati da foreste, praterie, pascoli e terre arabili.

4. LE METODOLOGIE PER IL CALCOLO DEI CARICHI CRITICI: IL BILANCIO DI MASSAE I MODELLI DINAMICI

Le metodologie disponibili per il calcolo del carico critico sono sostanzialmente tre:- empiriche, dove con pochi dati di base è possibile calcolare degli intervalli di carico critico

per il suolo considerato- primo livello, il cosiddetto bilancio di massa (SMB), che consente di avere una fotografia

della situazione ambientale riguardo i carichi critici- modelli dinamici (VSD) che, al prezzo di grandi quantità di dati di base necessari, consento-

no di conoscere la sensibilità del territorio verso quell’inquinante, al variare del tempo.Tutte le equazioni adottate e le metodologie seguite per il calcolo del carico critico (attraverso lametodologia SMB) sono incluse nel Mapping Manual 2004 redatto dal CCE - RIVM, Bilthoven.

4.1 Bilancio Semplice di Massa (SMB)

Il bilancio di massa semplificato è alla base di un modello per la definizione e la mappatura deicarichi critici. Si basa sulla relazione tra un parametro ambientale, considerato indicatore dellostato dell’ecosistema, e la deposizione di composti inquinanti. Diversi sono i parametri di tipochimico che possono essere considerati (il pH del suolo, la concentrazione di nitrati nell’acquache raggiunge la falda acquifera ed altro) anche se ciò che si intende evitare, mantenendo il

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livello delle deposizioni al di sotto del valore di carico critico, è un alterazione di parametri bio-logici, (ad esempio la crescita legnosa o la biodiversità dell’ecosistema) elementi che tuttaviarisulterebbero di difficile e complessa valutazione.Il parametro prescelto deve avere la caratteristica di rispondere al variare del tasso di deposi-zione e di riflettere lo stato dell’ecosistema. Il rispetto di un valore-soglia di questo parametrocorrisponde a condizioni di equilibrio del bilancio di massa. Questo tipo di approccio “fotogra-fa” le condizioni del suolo in un dato momento e non consente di prevedere la futura evoluzio-ne delle condizioni di un suolo sulla base di futuri scenari di deposizione. L’equazione alla basedel bilancio di massa considera una serie di fattori interni ed esterni all’ecosistema in grado diincrementare o diminuire la sensibilità alle deposizioni di composti inquinanti.

4.2.1 Carico critico di aciditàL’equazione prevede un bilancio tra carico di acidità e la somma della capacità di neutralizzazione acidadovuta alla disgregazione del suolo (ANCw) e alla lisciviazione di cationi basici dal suolo stesso (ANCle).I fattori che agiscono positivamente, garantendo una più elevata capacità di neutralizzare ledeposizioni atmosferiche di zolfo e azoto responsabili dell’acidificazione sono:- le deposizioni atmosferiche di cationi basici (BCdep) - il rilascio, sempre di cationi basici, da parte dei minerali del suolo (BCw)

Il primo rappresenta un apporto di calcio (Ca), magnesio (Mg) e potassio (K) dovuto al risolle-vamento e caduta di polveri dai suoli o dal trasporto di particelle alcaline (come ad esempio lecosiddette sabbie del Sahara). Il secondo è il prodotto dell’alterazione dei minerali del suolo che disgregandosi ad opera deifattori ambientali, mettono a disposizione numerosi elementi tra cui Ca, Mg e K. Il processo biologico principale che invece determina una maggiore sensibilità del suolo alledeposizioni di composti acidificanti e quindi conduce a valori di carico critico inferiori, è datodall’assorbimento di cationi basici da parte delle specie vegetali (Bcu), in particolare da quel-le arboree, in questo caso infatti, i cationi basici vengono sottratti al suolo per un lungo perio-do. Con il taglio del bosco solo una parte di essi ritorno al suolo, mentre con il prelievo dellamassa legnosa una quota significativa viene definitivamente sottratta all’ecosistema.

4.2.2 Carico critico di azoto nutrienteAnche per ciò che concerne il carico critico di azoto nutriente si applica l’equazione di bilanciodi massa. I fenomeni che, sottraendo azoto al suolo, ne accrescono la capacità di tollerarneulteriori apporti con le deposizioni sono in particolare:- l’immobilizzazione di azoto nel suolo (Ni) mediante la formazione di humus e il prelievo di

azoto legato all’accrescimento delle specie vegetali (Nu) - le perdite di azoto per processi di denitirificazione (Nde), dove l’azoto nitrico, che rappre-

senta la forma utilizzata dagli organismi vegetali, viene ridotto ad azoto gassoso e dispersonell’atmosfera.

4.2.3 Carico critico di metalli pesanti (Cd e Pb)Il bilancio di massa si applica anche al calcolo del carico critico di metalli pesanti. In questocaso viene considerato sia la quantità netta di metalli sequestrati nella biomassa raccolta dellapianta (Mu, uptake di metallo della pianta), sia il flusso di lisciviazione di metallo dal profilodel suolo considerato (Mle, lisciviazione di metallo dal suolo). Per il calcolo del primo termine(Mu) occorrono in particolare la resa della biomassa vegetale ed il contenuto di metallo nellabiomassa stessa raccolta. Mle, il metallo lisciviato dal suolo, viene invece stimato a partire dalflusso di drenaggio dell’acqua di percolamento e dalla concentrazione totale di metallo in solu-zione nell’acqua di drenaggio stessa (Mtotdisc). La stima di quest’ultimo termine riveste unpeso cruciale nel calcolo del carico critico di metallo pesante. Mtotdisc può essere ricavatoattraverso il modello tipo WHAM (modello W6S-MTC2, prof. Ed Tipping ,CEH, Lancaster).

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5. LE INFORMAZIONI NECESSARIE PER IL CALCOLO DEI CARICHI CRITICI:IL DATABASE

La mappatura dei carichi critici avviene applicando alle singole unità di territorio, corrispon-denti ad aree ritenute omogenee per gli ecosistemi presenti, l’equazione del bilancio di massa.È quindi necessario disporre di un database aggiornato per il calcolo (meteorologia, dati podo-logici e geochimici, ecc) e soprattutto di una cartografia che, con adeguato dettaglio, forniscaun quadro della distribuzione degli ecosistemi sull’intero territorio nazionale.

5.1 Mappatura dei recettori: distribuzione degli ecosistemi sul territorio

Per quanto concerne gli ecosistemi terrestri, le fonti disponibili sono sostanzialmente due: - la Carta della vegetazione reale d’Italia in scala 1:1.000.000 (Ministero dell’Ambiente, 1992)- il database Image&Corine Land Cover 2000 con unità minima cartografata pari a 25 ha (APAT,

2004)

La Carta della vegetazione reale d’Italia presenta un elevato numero di tipologie di vegetazione maun dettaglio spaziale relativamente modesto, mentre Corine Land Cover 2000 risulta più aggior-nata ma anche piuttosto sintetica per quel che concerne la copertura vegetale; si è quindi cercatodi giungere ad una sintesi tra le due fonti di informazioni attraverso un’operazione di intersezionedei diversi tematismi. Successivamente le informazioni cartografiche sono state trasformate inuna carta costituita da celle di uguali dimensioni (in questo caso 1 km x 1 km) trattate nelle suc-

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Tabella 1: habitat EUNIS consideratiLivello 1 Livello 2 Habitat

A4 A4.5 Sedimenti poco profondi dominati da Angiosperme, del piano infra- e circalitoraleB1 B1.4 Comunità erbacee delle dune costiere stabiliB3 B3.3 Habitat rocciosi (scogliere, spiagge ed isolette) con vegetazione alofitaC1 C1.2 Laghi, pozze e stagni mesotroficiC3 C3.2 Comunità di alofite di grandi dimensioni e canneti marginaliE2 E2.3 Prati da sfalcio montani

E1

E1.2 Prati perenni calcofili e steppe basofileE1.3 Praterie xeriche mediterraneeE1.5 Praterie montane supra-mediterraneeE1.8 Praterie aride mediterranee, da acidofile a neutrofile, fitte

E4E4.3 Praterie acidofile alpine e sub-alpineE4.4 Praterie calcicole alpine e sub-alpine

F2 F2.3 Comunità arbustive sub-alpine e boreali di caducifoglie

F3F3.1 Arbusteti e cespuglieti delle regioni temperateF3.2 Cespuglieti montano-mediterranei di latifoglie decidue

F5 F5.2 Macchie arbustive, con assenza di specie decidueF7 F7.4 Lande montane di cespugli a pulvino

G1

G1.1 Bodcaglie ripariali di Salix sp., Alnus sp. e Betulla sp. delle regioni temperateG1.5 Boschi igrofili di latifoglie su torbiere acidofileG1.6 Boschi e foreste di Fagus sp.G1.7 Boschi e foreste termofile di latifoglieG1.8 Boschi e foreste acidofile a Quercus sp. dominante

G2 G2.1 Boschi e foreste mediterranee di Quercus sp. sempreverdi

G3

G3.1 Boschi e foreste temperate di Abies sp. e Picea sp.G3.2 Boschi e foreste alpine di Larix decidua e Pinus cembraG3.4 Boschi e foreste di Pinus sylvestris a sud della taigaG3.5 Boschi e foreste di Pinus nigra e specie affinaG3.7 Boschi e foreste di Pinus sp. (escluso Pinus nigra) dell’area mediterranea

G4 G4.6 Boschi e foreste miste di Abies sp., Picea sp. e Fagus sp.

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Figura 3: Carta dell’uso del suolo (APAT, 2004)

cessive operazioni, come singole unità. In questa carta il cui formato a griglia è detto raster, letipologie vegetali sono state inizialmente definite sulla base della legenda della Carta della vege-tazione reale d’Italia. Tuttavia per rispondere ad esigenze di omogeneità a livello europeo è statasuccessivamente adottata la classificazione EUNIS (European Nature Information System) svilup-pata dal Centro tematico per la protezione della natura e della biodiversità presso l’AgenziaEuropea per l’Ambiente (EEA). La nomenclatura complessiva degli habitat EUNIS è consultabilesul sito http://eunis.eea.eu.int/habitats-annex1-browser.jsp. Il grado di approfondimento raggiun-to corrisponde al secondo livello della classificazione EUNIS. La cartografia realizzata è stata inseguito sintetizzata e riclassificata sulla base di 7 categorie principali: agricolo, boschi di latifo-glie, boschi di conifere, boschi di sclerofille, cespuglieti, praterie, aree prive di vegetazione.

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5.2 Mappatura del suolo: parametri pedologici e geochimici

Le migliori informazioni disponibili sulle tipologie di suoli presenti sul territorio italiano, acqui-site nel database per i carichi critici, derivano dalla Carta dei suoli d’Europa (Soil Map ofEuropean Communities - CEE, 1985). Il database sviluppato a partire da questi dati è riferito adunità territoriali di 1 km x 1 km alle quali è associato l’attributo “classe di suolo”, individuatosulla base della nomenclatura FAO (http://www.fao.org/ag/agl/agll/key2soil.stm).La Carta dei suoli d’Europa riporta, per le diverse tipologie di suolo, anche un’indicazione sulla tessi-tura prevalente, cioè la distribuzione dimensionale delle particelle che compongono il suolo stesso.La codifica FAO, è stata sintetizzata in 6 classi di tessitura, ordinate dalla più grossolana alla più fine.Tra i più importanti parametri fisico-chimici calcolati relativi al suolo calcolati ricordiamo:

- rilascio di cationi basici (calcio, magnesio e potassio) nel suolo (BCw):è capacità di rilasciare cationi basici da parte dei suoli. Viene determinata dalla combinazionedel tipo di suolo e della classe di tessitura, secondo un approccio definito in sede UN/ECE. I pro-cessi fisici e chimici possono provocare rispettivamente disgregazione e alterazione delle rocce.I minerali nei suoli a loro volta rilasciano con il tempo elementi che rappresentano i nutrientiprincipali del comparto vegetale, in particolare calcio, magnesio e potassio. Questi cationi pro-prio perché basici contrastano l’acidità e rimpiazzano progressivamente quelli utilizzati sia perl’accrescimento della componente vegetale che quelli persi attraverso la lisciviazione. Il rilascio di cationi basici è legato non solo alla natura dei minerali del suolo ma anche alle condi-zioni ambientali, in particolare all’ammontare delle precipitazioni e alle temperature presenti nelsuolo. Temperature elevate favoriscono l’alterazione dei minerali e quindi il rilascio di cationi basici.

- profondità del suoloDescrive la profondità dei suoli fino al substrato roccioso; i valori sono stati estratti dal data-base europeo sui suoli EUSOILS (http://eusoils.jrc.it/) e da valori di default suggeriti nelManuale del RIVM di Bilthoven (UBA, 1994). I valori di profondità dei suoli per il territorio ita-liano sono risultati compresi tra 10 e 120 cm. I valori più modesti si riscontrano nella regionealpina e più in generale nelle zone di montagna.

- contenuto di carbonio negli orizzonti superficiali dei suoliI dati relativi al contenuto di carbonio nei suoli (Cpool) sono stati estratti dal data base euro-peo dei suoli EUSOLIS. I valori rilevati sul territorio italiano risultano compresi tra il 6% (datoassai elevato e limitato a poche aree di pianura) e meno dell’1%. In generale le aree di mon-tagna mostrano valori più modesti di quelle di pianura.

- saturazione basica e capacità di scambio cationicaI dati sono stati ricavati dallo stesso database europeo EUSOILS. La saturazione basica è defi-nita come la quantità di cationi scambiabili espressi come percentuale della capacità di scam-bio cationica (ossia la somma dei cationi scambiabili per unità di volume).

- pressione parziale di anidride carbonica nella soluzione del suoloQuesto parametro viene introdotto per descrivere le perdite di bicarbonato con la percolazionedi acqua del suolo. La pressione parziale di CO2 in aria ambiente (circa 370 ppm) può raggiun-gere valori sensibilmente più elevati nel suolo per i processi ossidativi della materia organicae di respirazione. Questi ultimi sono fortemente dipendenti dalla temperatura del suolo.

5.3 Mappatura dei parametri meteoclimatici

Le informazioni necessarie riguardano sostanzialmente le temperature e le precipitazioni. Nonessendo disponibile un database nazionale completo e sufficientemente dettagliato relativo

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alle principali grandezze climatiche, l’aggiornamento su base puntuale dei dati disponibili risul-ta ad oggi complesso.I dati sono state inizialmente ricavati dalla “Carta delle temperature medie annue vere in Italiaper il trentennio 1926-1955”, in scala 1:1000000 del Consiglio Superiore del ServizioIdrografico (Ministero dei Lavori Pubblici, 1956) e dalla “Carta della precipitazione media annuain Italia per il trentennio 1921-1950”, in scala 1:1.000.000 (Ministero dei Lavori Pubblici, 1951).Le carte sono state digitalizzate e ricampionate a 1 x 1 km secondo procedure già adottate peri parametri fisico-chimici relativi al suolo.I dati di temperatura e precipitazione sono stati quindi aggiornati sulla base di informazioni sue ampia scala fornite dall’Università dell’East Anglia (UK), relativi al periodo 1921-2000. Laserie di dati storici impiegata per questa operazione, fa riferimento al periodo 1921-2000.

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Figura 4: carico critico di acidità (eq*ha-1*anno-1). Figura 5: carico critico di N nutriente (eq*ha-1*anno-1).

Figura 6: carico critico di cadmio (g*ha-1*anno-1). Figura 7: carico critico di piombo (g*ha-1*anno-1).

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Figura 8: Particolare del carico critico di acidita, N nutriente e metalli pesanti delle 24 città

6. LE CARTE TEMATICHE DEI CARICHI CRITICI

Le applicazioni del modello forniscono per acidità ed azoto nutriente valori puntuali di caricocritico con risoluzione di 1 km x 1 km per tutto il territorio italiano. Da tali informazioni è poipossibile calcolare i corrispondenti valori del 5° percentile3 sulla maglia EMEP 50 x 50 km. Perquanto concerne il carico critico di metalli pesanti (Pb e Cd), sono disponibili direttamente lecarte del 5° percentile del reticolo nazionale EMEP 50 x 50 km.

3 Il 5° percentile rappresenta un valore di carico critico calcolato a partire dal quello di tutti gli ecosiste-mi presenti nella maglia e che assicura la protezione del 95% dei recettori presenti nel territorio.

ACIDITÀ EUTROFIZZAZIONE PIOMBO CADMIO[eq.H+*ha-1*anno-1] [eq.N+*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1]

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ACIDITÀ EUTROFIZZAZIONE PIOMBO CADMIO[eq.H+*ha-1*anno-1] [eq.N+*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1]

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ACIDITÀ EUTROFIZZAZIONE PIOMBO CADMIO[eq.H+*ha-1*anno-1] [eq.N+*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1]

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ACIDITÀ EUTROFIZZAZIONE PIOMBO CADMIO[eq.H+*ha-1*anno-1] [eq.N+*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1] [g.*ha-1*anno-1]

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7. ANALISI PRELIMINARE DEI CARICHI CRITICI NELLE 24 CITTÀ

7.1 Acidità

L’analisi dei risultati ottenuti evidenzia una sensibilità medio bassa del territorio italiano alledeposizioni acide, con piccole aree di maggiore sensibiltà dislocate nelle province sulle Alpi esull’Appennino. Numerose province presentano ampie porzioni di territorio non sensibili.

7.2 Azoto nutriente

Per quel che concerne l’azoto nutriente si osserva una situazione analoga, con una sensibilitàperò di tipo medio-alta evidenziata per estese aree delle isole pricipali (Sardegna e Sicilia) edalcune aree della Toscana e del centro-sud. Anche in questo caso compaiono ampie zone di ter-ritorio non sensibile.

7.3 Metalli pesanti

Il suolo italiano si presenta moderatamente sensibile alla deposizione di metalli pesanti, qualipiombo e cadmio. Aree critiche sono rappresentate dalle province a nord-est del paese(Venezia, Trieste, milanese, bresciano e pianura padana) con particolare riferimento al piombo.Ma anche le isole e limitate aree del centro e del sud della penisola (Roma, Taranto, Bari eFoggia) evidenziano una elevata sensibilità alle deposizioni di Piombo e Cadmio.

8. CONCLUSIONI

I risultati ottenuti, evidenziano, in generale, la scarsa sensibilità del territorio italiano alledeposizioni acide. Ampie porzioni del territorio, per lo più ecosistemi forestali, risultano inve-ce sensibili agli apporti atmosferici di azoto, con conseguente rischio eutrofizzazione. Per quelche concerne Pb e Cd le carte mostrano una moderata sensibilità, in linea con quanto osser-vato dai paesi confinanti, sensibilità da approfondire rispetto alla mobilità del metallo.Recentemente, un grande passo avanti è stato compiuto con i cosiddetti modelli dinamici, chepur essendo onerosi per quanto riguarda i dati di input, permetterebbero di superare le sem-plificazioni ed i limiti dell’approccio SMB. Uno dei più semplici, impiegato dal Centro diCoordinamento Europeo (CCE) per la realizzazione di mappe a livello continentale, è il VerySimple Dynamic Model o VSD, il quale permette di effettuare analisi della sensibilità del ter-ritorio alle deposizioni inquinanti tempo dipendenti e permetterebbe di valutare in anticipo lavalidità di politiche ambientali volte alla riduzione dell’inquinamento atmosferico.Lo scenario che emerge risulta quindi complesso ed estrememente eterogeneo; questo dovreb-be comunque invitare ad un impegno continuo per la riduzione delle emissioni di compostiantropogenici e ad una gestione ambientale particolarmente attenta all’equilibrio dell’ecosi-stema, anche e soprattutto nell’ambiente metropolitano.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO

• Convenzione sull’Inquinamento Transfrontaliero a Lunga Distanza (Ginevra, 1979)• Protocollo sul finanziamento a lungo termine del Programma EMEP (Ginevra, 1984);• Protocollo sulla riduzione delle emissioni di zolfo o dei loro flussi transfrontalieri (Helsinki,

1985);• Protocollo sulla riduzione delle emissioni degli ossidi di azoto o dei loro flussi transfronta-

lieri (Sofia, 1988);762

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• Protocollo sulla riduzione delle emissioni dei composti organici volatili non metanici o deiloro flussi transfrontalieri (Ginevra, 1991);

• Protocollo per un’ulteriore riduzione delle emissioni di zolfo o dei loro flussi transfrontalieri(Oslo, 1994);

• Protocollo sui metalli pesanti (Aarhus, 1998);• Protocollo sui composti organici persistenti (Aarhus, 1998);• Protocollo per la riduzione dell’acidificazione, eutrofizzazione e dell’ozono troposferico

(Gothenburg, 1999).

SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

http://www.gsf.dehttp://www.emep.inthttp://www.icpmapping.org http://eusoils.jrc.it/http://www.mnp.nl/cce/http://www.oekodata.com/icpmapping/index.htmlhttp://www.unece.org/env/wge/welcome.htmlhttp://www.unece.org/env/lrtap/http://eunis.eea.europa.eu/habitats.jsp

BIBLIOGRAFIA

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