APUNTES MANZONIANOS

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http://www.arte.it/poi.php?id=1741&lang=it&q=&show=bib&p=3&t = De esta página salen multiples enlaces, algunos muy interesantes. Risultati della ricerca SCHEDA COMPLETA Diodata Saluzzo Roero: Carteggio di Alessandro Manzoni . Dalla Villa di Brusuglio, presso a Milano, il 30 luglio 1824 . Illustre Signora, . La lettera [...] quale Ella si era degnata di giustificare, anzi di premiare la liberta' da me presa di [p . 155] [...] presentare una copia dell'Adelchi, non m'e altrimenti pervenuta; e la seconda, data fino dai 9 di ... Link: http://www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/texts/htmlfiles/A0044-T001/ Principio del formulario Vota: Final del formulario Devi essere loggato per effettuare questa operazione. Devi essere loggato per effettuare questa operazione. Alessandro Manzoni . opera omnia . studio biografico . letteratura italiana testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere letterarie in prosa parafrasi [...] . (1) Che la mia venerazione pel Manzoni sia oramai antica, ne rechero' qui un breve documento . Ero [...] nella Universita' di Torino; nella Facolta' di lettere si era disegnata la fondazione di un giornale ...

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Risultati della ricerca

SCHEDA COMPLETA

Diodata Saluzzo Roero: Carteggio di Alessandro Manzoni

. Dalla Villa di Brusuglio, presso a Milano, il 30 luglio 1824 . Illustre Signora, . La lettera [...] quale Ella si era degnata di giustificare, anzi di premiare la liberta' da me presa di [p . 155] [...] presentare una copia dell'Adelchi, non m'e altrimenti pervenuta; e la seconda, data fino dai 9 di ...

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Alessandro Manzoni . opera omnia . studio biografico . letteratura italiana

testo integrale brano completo citazione delle fonti commedie opere letterarie in prosa parafrasi [...] . (1) Che la mia venerazione pel Manzoni sia oramai antica, ne rechero' qui un breve documento . Ero [...] nella Universita' di Torino; nella Facolta' di lettere si era disegnata la fondazione di un giornale ...

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manzoni alessandro

. . Enrico Manzoni . . . Nasce nel 1819 a Brusuglio . Sposa nel 1843 Emilia Redaelli una ricca [...] di Renate, che gli dara' nove figli . . Poco versato negli affari, dilapidera' il patrimonio della [...] riducendosi a una vita di stenti . . . . . . . LA VILLA MANZONI-REDAELLI A RENATE . di Luigi ...

Link: http://www.cassiciaco.it/navigazione/cassiciaco/vexata/ottocento/manzoni_renate....

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Emily dickinson . Autori romantici . Wikideep

nonno, Samuel Fowler Dickinson, era uno dei fondatori dell Amherst College, mentre il padre [...] la funzione di legale e tesoriere dell Istituto; inoltre, ricopriva importanti incarichi presso il [...] Generale del Massachusetts, il Senato dello Stato e alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ...

Link: http://www.wikideep.it/cat/autori-romantici/emily-dickinson/

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Alessandro Manzoni : Riassunti Promessi Sposi

. Alessandro Francesco Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 Milano, 22 maggio 1873) e' stato uno scrittore [...] poeta italiano . E considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di sempre, principalmente per il [...] I promessi sposi, la sua opera piu' conosciuta e ancora oggi un caposaldo della letteratura italiana ...

Link: http://promessisposi.myblog.it/archive/2009/01/16/alessandro-manzoni.html

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Personaggi Famosi di Milano

. Molte personalita' principali della vita culturale italiana, intellettuali, giornalisti, politici, [...] o autori, hanno un collegamento con Milano . Il romanziere Alessandro Manzoni (1785 . 1873) nacque a [...] e molti altri vennero qui per avere un po' di fortuna (come Giuseppe Verdi) o per lavorare . L ...

Link: http://www.aboutmilan.com/it/personaggi-famosi-milano.html

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Chiesa di San Fedele (Milano) . Wikipedia

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. Chiesa di Santa Maria della Scala in San Fedele Paese Regione Localita' Religione Diocesi Anno [...] Architetto Stile architettonico Inizio costruzione Completamento Demolizione Sito web . La Chiesa di [...] Fedele e' la chiesa dei Gesuiti nella diocesi di Milano . Situata nel cuore di Milano , fra Palazzo ...

Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Fedele_(Milano)

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Ezio Raimondi . Wikipedia

. Ezio Raimondi ( Lizzano in Belvedere , 22 marzo 1924 ) e' un filologo , saggista e critico [...] italiano . Raimondi comincia la sua carriera accademica nel 1955 presso la Facolta' di Magistero . [...] anni sessanta, contemporaneamente all'insegnamento alla Facolta' di Magistero, ha la cattedra di ...

Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Ezio_Raimondi

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Il nostro istituto entra nella casa del Manzoni a Milano

. Nel 2006 la Banca Popolare di Sondrio, popolare di nome e di fatti, con atto mecenatesco acquisto' [...] dono' al Centro Nazionale Manzoniano di Milano tre acquerelli, usciti dalla

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bottega di Francesco [...] raffiguranti Massimo d'Azeglio, Giulietta Manzoni e Alessandro Manzoni, e un quadro, olio su tela, ...

Link: http://www.popso.it/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/531

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Cimitero Monumentale di Milano . Wikipedia

. Cimitero Monumentale di Milano Ubicazione Costruzione . Il Cimitero Monumentale e' il grande [...] situato vicino al centro di Milano nella piazza omonima . Progettato dall architetto Carlo [...] ( 1818 . 1899 ), e' stato aperto nel 1866 e da allora e' stato arricchito da molte sculture italiane ...

Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Cimitero_Monumentale_di_Milano

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Cartas de Manzoni con Diodata Saluzzo - Revisar enlaces.

http://www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/texts/htmlfiles/A0044-T001/

Approfondimento sui Promessi Sposi

Analisi dei capitoli dei Promessi Sposi

Sotto-categorie

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Titolo Autore Visite

Promessi Sposi - Analisi capitolo 1 Scritto da François Burgay 12807

Promessi Sposi - Analisi capitolo 2 Scritto da François Burgay 9684

Promessi Sposi - Analisi capitolo 3 Scritto da François Burgay 6153

Promessi Sposi - Analisi capitolo 4 Scritto da François Burgay 5559

Promessi Sposi - Analisi capitolo 5 Scritto da François Burgay 8865

Promessi Sposi - Analisi capitolo 6 Scritto da François Burgay 4508

Promessi Sposi - Analisi capitolo 7 Scritto da François Burgay 5112

Promessi Sposi - Analisi capitolo 8 Scritto da François Burgay 6328

Promessi Sposi - Analisi capitolo 9 Scritto da François Burgay 6083

Promessi Sposi - Analisi capitolo 10 Scritto da François Burgay 6787

Promessi Sposi - Analisi capitolo 11 Scritto da François Burgay 4195

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Titolo Autore Visite

Promessi Sposi - Analisi capitolo 12 Scritto da François Burgay 4434

Promessi Sposi - Analisi capitolo 13 Scritto da François Burgay 3157

Promessi Sposi - Analisi capitolo 14 Scritto da François Burgay 2093

Promessi Sposi - Analisi capitolo 15 Scritto da François Burgay 2081

Promessi Sposi - Analisi capitolo 16 Scritto da François Burgay 1717

Promessi Sposi - Analisi capitolo 17 Scritto da François Burgay 3297

Promessi Sposi - Analisi capitolo 18 Scritto da François Burgay 1972

Promessi Sposi - Analisi capitolo 19 Scritto da François Burgay 1786

Promessi Sposi - Analisi capitolo 20 Scritto da François Burgay 1686

Promessi Sposi - Analisi capitolo 21 Scritto da François Burgay 2528

Promessi Sposi - Analisi capitolo 22 Scritto da François Burgay 1485

Promessi Sposi - Analisi capitolo 23 Scritto da François Burgay 1911

Promessi Sposi - Analisi capitolo 24 Scritto da François Burgay 1234

Promessi Sposi - Analisi capitolo 25 Scritto da François Burgay 1022

Promessi Sposi - Analisi capitolo 26 Scritto da François Burgay 931

Promessi Sposi - Analisi capitolo 27 Scritto da François Burgay 950

Promessi Sposi - Analisi capitolo 28 Scritto da François Burgay 896

Promessi Sposi - Analisi capitolo 29 Scritto da François Burgay 566

Promessi Sposi - Analisi capitolo 30 Scritto da François Burgay 561

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Biografia (+algún enlace a resúmenes Promessi Sposi)

http://promessisposi.myblog.it/archive/2009/01/16/alessandro-manzoni.html

specialeeee!!!! »

Alessandro ManzoniAlessandro Manzoni

Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez (1841), Pinacoteca di Brera, Milano.

« Di libri, basta uno per volta, quando non è d'avanzo. »(A. Manzoni)

Alessandro Francesco Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è stato uno scrittore e poeta italiano.

È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di sempre, principalmente per il romanzo I promessi

sposi, la sua opera più conosciuta e ancora oggi un caposaldo della letteratura italiana.

 

La famiglia

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Il nonno materno di Manzoni, Cesare Beccaria marchese di Beccaria-Bonesana, era un autore ben conosciuto (scrisse il trattato Dei delitti e delle pene posto nell'indice dei libri proibiti), ed anche la madre Giulia Beccaria (1762-1841) era una donna con ottime qualità letterarie.

Il padre ufficiale del Manzoni – Don Pietro (1736-1807) – era ormai sulla cinquantina quando il futuro scrittore e poeta nacque, ed era membro di un'antica famiglia stabilitasi a Lecco nel 1612 con Giacomo Maria Manzoni. La prepotenza dei Manzoni era tale che sia a Lecco che a Barzio, in Valsassina, circolavano proverbi che li paragonavano alla Pioverna, un torrente che conosceva piene violente ed impetuose. Il suo vero padre potrebbe essere stato Giovanni Verri (fratello minore di Pietro e Alessandro Verri), come confermerebbe una lettera a lui inviata da Giuseppe Gorani ritrovata recentemente.

 

Biografia

Nacque a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria autore "Dei delitti e delle pene", e dal conte Pietro Manzoni (esponente della piccola nobiltà lecchese). In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni dal 1790 al 1803 viene educato in collegi religiosi, prima dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Lugano, poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, egli, da tali studi deriva una buona formazione classica e un gusto letterario. A quindici anni sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall'osservazione del reale, conclusioni rigorose ed universali.

Il giovane Manzoni dal 1803 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo, ma ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, il Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici, nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzonesco di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.

Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) ed assiste all'evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche.

Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario; l'altro, invece, una elegia in versi liberi, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, compresa la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.

Per mezzo del Fauriel il Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca, prima ancora che Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non scriverà mai più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale la poesia non deve essere destinata ad una élite colta e raffinata, bensì deve essere di interesse generale ed interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia debba

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essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento ed a una controllata espressione formale, caratteristica di tutto il romanticismo italiano.

Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.

Nel 1810 Manzoni, già anticlericale per reazione all'educazione ricevuta ed indifferente più che agnostico o ateo riguardo al problema religioso, si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinista Henriette Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di 9 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro ad un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[2].

Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell' 800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la fermezza intellettuale.

La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste,ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre ad un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia), in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.

Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto del Manzoni, a cui lascerà il testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere.

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Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, compresa la villa di famiglia del Caleotto dove aveva trascorso l'infanzia. Intendeva trasferirsi definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma le trattative con Gian Giacomo Poldi Pezzoli furono interrotte perché le autorità austriache gli negarono il passaporto.

Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su di una importante rivista letteraria lo criticò severamente; d'altronde fu addirittura Goethe che replicò in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.

La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni, ed il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici in cui cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.

Intanto, attorno all'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti, iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I Promessi sposi, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1825 ed il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando ad un tratto una grande fama letteraria all'autore.

Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia, e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca.

In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì per lungo tempo a Firenze, così da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. Rielaborò quindi I promessi sposi dopo la "risciacquatura in Arno"[3] facendo uso dell'italiano nella forma toscana, e nel 1840 pubblicò questa riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva una excursus storico.

Tomba di Alessandro Manzoni

Milano, Cimitero Monumentale

La vita di Manzoni fu rattristata da molti dolori. La perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei suoi figli tra cui la primogenita Giulia, moglie di Massimo D'Azeglio, della madre e dell'amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò la seconda moglie, Teresa Borri, vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse pure a quest'ultima, mentre dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.

Nel 1860 fu nominato senatore nel Primo Parlamento dell'Italia Unita: con questo incarico votò, nel 1864, a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, un breve trattato sulla lingua italiana: Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla.

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La morte del figlio maggiore, Pier Luigi, il 28 aprile 1873, fu il colpo finale che accelerò la fine di Manzoni, dopo una caduta all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano, in cui subì un trauma cranico: le sue condizioni ebbero un rapido crollo ed egli cadde ammalato immediatamente; morì di meningite cerebrale, il 22 maggio, a Milano. Nella città ambrosiana si tenne il solenne funerale, nel Cimitero Monumentale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nell'anniversario della morte, Giuseppe Verdi compose la Messa di requiem per onorarne la memoria e che diresse personalmente nella chiesa di San Marco. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza (storico) nel 1882.

 

 

by WIKIPEDIA

Page 13: APUNTES MANZONIANOS

LA VILLA MANZONI-REDAELLI A RENATE

di Luigi Viganò

pubblicato in BRIANZE anno IX n. 44 Luglio 2007  pag. 40 - 43

sotto il titolo SQUISITEZZE E FALLIMENTI DEL MANZONI DI RENATE

http://www.cassiciaco.it/navigazione/cassiciaco/vexata/ottocento/manzoni_renate.html

villa Redaelli-Manzoni a Renate

   

LA VILLA MANZONI-REDAELLI A RENATE

 Ezio Flori quando illustra le vicende dei Manzoni di Renate descrive la Magnifica Villa signorile che li ospitò. Spettacolare lo scalone, i gradini sono di un sobrio grigio rosa compatto. Sui soffitti campeggiano ancora dipinti ottocenteschi, di cui due vagamente sul floreale, nel tipico stile che ostentavano le ville lombarde a metà dell'Ottocento. A lato del salone si trova un ampio camino, che Gozzano immortalerà nella sua ironica poesia. Il giardino non conserva più la piantumazione originaria. La struttura ricorda altre simili ville neoclassiche, sparse qua e là in Brianza.

Di Emilia Redaelli, la moglie di Enrico Manzoni restano pochi ricordi. E' scomparso anche lo splendido orto-frutteto, dove si coglievano le fragole che i golosi Manzoni gustavano freschissime.

Page 14: APUNTES MANZONIANOS

La genealogia:

Alessandro Manzoni sp. Enrichetta Blondel

* Sofia

* .....

* Enrico sp. Emilia Redaelli

* Enrichetta

* .....

* Alessandrino

ENRICO MANZONI

Nasce nel 1819 a Brusuglio (Brusù), fattoria di campagna di Manzoni, vicino a Milano. Eredita il nome dello zio materno Blondel, quasi a sottolineare una ritrovata concordia tra il Manzoni e i suoceri di Casirate, dopo la rottura dell'abiura al calvinismo della moglie Henriette. Buon ragazzo, si applica pure nello studio, ma non deve essere una cima, se la madre Henriette scrive di lui, in rigoroso francese: "Sì; cresce e studia parecchio, ma per ora non migliora neppur un poco nel modo di esprimersi e non ha comunicativa". In casa Manzoni si parlano due lingue "franche": il francese ed il dialetto meneghino. Quando i famigliari si esprimono in italiano, sgrammaticano alla più bella. A vent'anni è spedito a Lione a impratichirsi nell'arte della seta.

Nel 1843 sposa un'ereditiera brianzola, pure del ramo della seta, Emilia Redaelli. La sposina gli porta in dote la villa, il cui parco ed il frutteto comprendevano almeno la metà dell'attuale comune di Renate, più di dieci ettari, e 300.000 lire austriache, una ricca cascata di miliardi delle vecchie lire. L'anno dopo il matrimonio, emerge già l'incompetenza di Enrico nella compravendita dei bozzoli, un settore, quello serico, che, a metà Ottocento, era commercialmente assai scaltrito. Incontra i primi guai finanziari, chiede al cognato Trotti, allo zio Beccaria, al padre.

Enrico ha nove figli, come il padre, e soldi sempre mancanti. I cattivi affari travolgono presto anche il patrimonio della moglie e il declino finanziario sembra non aver mai fine. Per lenire il dissesto, il padre Alessandro studia la sistemazione in collegio dei due figli grandicelli e invia una sarta che provveda a vestire tutti i nipoti, subito rispedita a casa dall'altezzoso Enrico. Gli interventi di Alessandro sono però semplici palliativi per quel figlio scialacquatore. Ora gli anticipa parte dell'eredità della nonna Giulia, ora gli invia cataste di legna per l'inverno, ora sussidi non poi tanto occulti. E poi: pollastre, oche, cesti di frutta, perfino cesti di ciliegie, di cui Enrico era golosissimo, e che papà Alessandro acquista apposta per lui al mercato.

IL PIANOFORTE DI CASATENOVO

Page 15: APUNTES MANZONIANOS

Alessandro Manzoni cerca in vari modi di aiutare il figlio. In una lettera del 10 febbraio 1851, all'epoca delle prime burrasche finanziarie, il padre così si rivolge al figlio: "Mio caro Enrico, Enrico mio tu sai ch'io sono alieno, e forse troppo alieno, dal far rimproveri ... Quando tu mi parlasti delle tue strettezze, confessando che venivano da tua colpa, io mi limitai a farti delle raccomandazioni per l'avvenire. Ma non posso ora passare sotto silenzio, che, quando poco tempo fa, ti proposi un'economia che mi pareva e mi pare ... evidentissima, il mio consiglio non fu accolto da te. Io non potevo entrare ne' particolari delle tue spese: ti parlai solamente d'una che credevo e credo che si potesse risparmiare. Tu m'opponesti ch'era piccola: non mi persuade ...".

Appena il grande Alessandro riceve dallo stato un vitalizio annuo di 12.000 lire per le benemerenze acquisite in campo culturale (1859), il primo provvedimento è in favore del figlio Enrico: fa inviare a sue spese in collegio i suoi figli grandicelli. Alessandro risparmia, ma il figlio, già in piena miseria, a Casatenovo tiene un pianoforte a noleggio in casa. Naturalmente non paga il nolo dello strumento. Nel 1863 Enrico deve vendere la villa di Renate.

L'acquista un certo Giovanni Mazzucchelli che abitava in via San Vittore 2 a Milano; la proprietà prende tuttora il nome di costui (Villa Mazzucchelli - Cagnola - Stucchi). La famiglia di Enrico, vieppiù cresciuta, va ad abitare a Torricella, in comune di Monticello Brianza (Lecco). Quindi si trasferisce a Milano in condizioni precarie, in una casa di ringhiera alla periferia (allora) della città, in via San Vittore, oltre Sant'Ambrogio. Le figlie non escono di casa non avendo vestiti decenti da indossare ... Poi ritorna in Brianza, a Casatenovo (Lecco). Ma in queste strettezze, Enrico, con tutta la famiglia, va a pigione presso un oste di Bizzarone, per la cura delle acque, e a Stabio, appena al di là della frontiera (Canton Ticino, Svizzera).

Non paga; l'albergatore scrive, inevitabilmente, a Milano al gran padre Alessandro. In un momento di desolazione, Alessandro scrive al prevosto di Casatenovo don Saulle Miglio, suo confidente circa i guai della famiglia di Enrico che si era stabilita colà. Nella lettera da Milano del 6 maggio 1864, "buttata giù in momento di troppa dolorosa commozione", Alessandro produce una distinta delle spese sostenute l'anno innanzi per Enrico. Ha voluto percentualizzarle in modo contabile: ammontano al 51% dell'intero vitalizio che lo Stato gli versava. Di quando in quando, lo sovvenzionano anche il rude fratello Pietro e il fratellastro Stefano. La cugina Enrichetta Garavaglia invia vestiti leggeri per le figlie.

Tutto invano. Enrico prova a trasferirsi a Firenze, poi di nuovo a Milano, dove grazie al nome del padre ottiene un modestissimo impiego, presso la Biblioteca Braidense: in pratica, fa il commesso. Ma la cattiva vista, ereditata dalla madre, peggiora: sono più frequenti i giorni di malattia che quelli dediti al lavoro. I figli, nel frattempo, trovano mogli e mariti. Si spegne nel 1881 a sessantadue anni. Lo sciagurato è stato il più acerbo dolore della vita del grande Alessandro. L'epistolario paterno ne è un'eco rovente.

EMILIA REDAELLI

Tutti ne parlano bene. È intelligente, colta; anzi, il Flori la definisce "brillantissima". Ispira in chi le sta attorno un vif sentiment de sympathie - sono le cognatine a sottolinearlo - ed esprime, a prima vista, dolcezza e bontà. In particolare, Sofia, la bellina dei figli di Manzoni, colei che trascina civettuola l'erre moscia, la ritiene charmante (incantevole).

La vorrebbe sempre con sé nella vicina Verano. Non sono coetanee: Sofia è del 1817, Emilia del 1824 ed ha solo diciannove anni. Dunque, Sofia, sposata felicemente già da alcuni anni con Lodovico Trotti Bentivoglio dei marchesi di Fresonara, le scrive: "Sii pur certa che troverai sempre in mèl (proprio così: mél) una vera e sincera amica". Non solo, si firma anche v. aff soeur (Vostra affezionatissima sorella). Conclude ogni lettera con uno schiocco affettuoso: Tua amica, o, Tua sorella. Quando poi la sposina è incinta per la prima volta, Sofia, che ha tanta esperienza in materia, tre figli in tre anni ed è in attesa del quarto, la riempie di consigli. Dopo il parto di Enrichetta (1844), cuffie e cuffiette e ... la balia, di rigore nella nobiltà milanese. Sarà la stessa di Tonino, il primogenito di Sofia.

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Camino della villa

Vorrebbe essere a Renate per il parto: "Vorrei aver le ali per volare a Renate", ma ahimè la salute di Sofia non è delle migliori e poco dopo partorirà anche lei. E poi c'è il battesimo: si preoccupi la cognatina di far mettere acqua calda nel battistero di Renate: "questo s'usa anche a Milano ...", per la precisione nel battistero di San Francesco da Paola. Addirittura Sofia si sente un po' la parente povera e nei primi anni lo è; quando manderà non so che capo d'abbigliamento per il carnevale dei bambini. La coppia di Renate non bada a spese. Al piccolo di Sofia piacciono gli agnellini? Per il compleanno arriva da Renate un agnellino! Anche da parte di Matilde, l'ultima nata di casa Manzoni, la simpatia è vivissima e vicendevole. Dopo il suo soggiorno a Renate, ecco il biglietto affettuoso: "Ti ringrazio con tutto il cuore per la premura che ti sei presa per me e per tutte le cose che mi hai mandato" (15 aprile 1844).

A sottolineare la corrispondenza affettuosa, Emilia darà il nome di Matilde alla terzogenita (1848). L'incanto durerà pochi anni, perché le difficoltà economiche del marito renderanno prioritarie le difficoltà economiche, sciupando l'idillio. Come Emilia abbia potuto poi appassire in una vita di stenti e di privazioni è un mistero. Come abbia potuto trascinarsi sugli scalini delle case di ringhiera è impensabile. Figuriamoci perfino la fame. La fine è ancora più triste: a Mombello, in manicomio. Conserviamo una missiva, tanto angosciata quanto lucida, che la sfortunata madre invia alla figlia Bianca, dopo essere stata internata in manicomio:

"11 aprile 1896.

Carissima mia Bianca,

Ti ringrazio proprio di cuore delle tue belle nuove che mi dai, colla lettera del 3 corrente; spero che non dubiterai mai del mio vero affetto per te, e tuo marito, e che se le parole mi mancano per dirti l'ebbrezza del mio cuore, pure esso ne è tutto compreso. Credilo, cara mia. Voglia il cielo che la prossima promozione di Pietro, dopo l'onorificenza accodatagli a premio de' suoi meriti reali, possa avvicinarlo a Milano, e meglio ancora in Milano stesso (si tratta del marito Pietro Fregonara, ispettore delle Finanze); è l'augurio di tua mamma che molto ti ama. Vorrei non funestare la tua giusta e santa gioia ... ma l'anima mia è troppo angosciata; e prepotente è il mio bisogno d'aprirmi teco! Dona tu una lacrima alla sventurata tua madre! ... il primo dello scorso mese col più schifoso inganno mi si tolse dalla Casa di Salute ... e venni portata senza un cenno d'avviso al Manicomio di Mombello ! Mai saprò dirti cosa ho sofferto! e tu mai potrai fartene un'idea ... Vivere nell'infermeria fra spasimi crudeli; fra sgraziati sventurati è orribili."

Morirà un mese dopo di emorragia cerebrale. Ma Emilia non è pazza. Lo testimonia il direttore sanitario del manicomio. Lo testimonia l'analisi grammaticale, sintattica, della punteggiatura stessa della lettera. Lucida anche nel dolore. Abbandonata nella morte.

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ZIA SOFIA MANZONI

Sofia è l'elemento che unisce la famiglia Manzoni ed i due di Renate; i rapporti sono facilitati dal fatto che Sofia soggiorna volentieri nella casa di campagna di Verano a nemmeno una decina di chilometri da Renate: due ore di andatura svelta a piedi. Sofia verso il fratello Enrico ha una spiccata predilezione: "Avrei voglia d'insaponarti un po' ...".

Gli racconta come trascorre le giornate ai bagni di Prè S. Didier, presso Courmayeur. Oppure s'incanta e fa incantare il lettore con le belle giornate sul lago di Como. Inventa perfino un neologismo: faccio delle lagate, per dire che fa splendide escursioni in barca sul lago. Quelli di Renate contraccambiano le affettuosità: inviano frutta e verdura che un agile calesse porta in poco più di un'ora a Verano. Apprezzati in particolare les magnifiques marrons que vous m'envoyez (letterina dell'ottobre 1842). L'orto di Renate produce squisitezze; tra l'altro le belle fragole che, a metà mattina sono già in mostra sui vassoi a Verano. "I miei ragazzi se ne fanno una gran festa .." e la frutta fresca arriva anche sulla tavola di Via Morone a Milano e papà Alessandro ringrazia. E poi i dolci confezionati da un'abile cuoca, o dalla madre di Emilia, Luigia Martinez, o da Emilia stessa: a Verano arrivano anche i dolcetti di cui " ... Enrico mi ha fatto una descrizione che tenta veramente ..."

Quando i guai incominciano, è Sofia a mediare con il padre e l'arcigno fratello maggiore Pietro per liquidare ad Enrico un sostanzioso anticipo della famosa eredità della nonna Giulia.

L'uragano che investe casa Manzoni non risparmierà neppure la graziosa Sofia. Muore per una banale pleurite pochi mesi dopo, nel 1845. Ha soltanto vent'otto anni e lascia quattro bambini: il più grandicello non tocca ancora i sei anni. Anche l'altro scialacquatore di casa Manzoni, Filippo (settanta giorni di galera per un debito di 400 lire austriache non onorato; una miseria, ma nel secolo scorso non si scherzava) sarà a Renate con moglie e figlioletto per qualche mese.

ENRICHETTA

Enrico ebbe nove figli. Enrichetta, la primogenita, nata nel 1844, porta il nome dell'angelica nonna, Henriette, prima moglie di Manzoni, la "diletta e venerata che era stata la silenziosa ispiratrice di tutti i capolavori. Rimarrà forse la sola a ricordare con nostalgia le gioie della residenza a Renate. A lei decenne Manzoni dedica una copia de I Promessi Sposi che è tutta un canto d'amore per la moglie, ormai perduta da vent'anni (nel Natale del 1833):

ALLA MIA CARA NIPOTINA ENRICHETTA MANZONI.

- ENRICHETTA! NOME SOAVE, SACRO, BENEDETTO PER ANNI HO POTUTO CONOSCERE QUELLA IN NOME DI CUI FU DATO; NOME CHE SIGNIFICA FEDE, PURITA', SENNO, AMOR DE' SUOI, BENEVOLENZA PER TUTTI, SACRIFIZIO, UMILTA', TUTTO CIÒ CHE È SANO, TUTTO CIÒ CHE È AMABILE. POSSA QUESTO NOME, CON LA GRAZIA DEL SIGNORE, ESSERE PER TE UN CONSIGLIERE PERPETUO, E COME UN ESEMPIO VIVENTE.

La celeberrima dedica è stata riportata in bronzo sulla tomba della nipote nel cimitero di Casatenovo. Enrichetta, giovanissima, s'innamora del segretario comunale di Casatenovo, Giambattista Preti, che è pure l'organista della chiesa e le impartisce lezioni di pianoforte. Il matrimonio avviene nel 1862. L'amore era stato contrastato, forse perché lo sposo aveva vent'anni più di lei.

Il nonno Alessandro, in una lettera del 1 gennaio 1863, ha tuttavia espressioni affettuose per i freschi sposini: "La felicità che hai trovata nella compagnia del tuo ottimo marito ... una concordia già felicemente stabilita ...".

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Prima della cerimonia religiosa, al ricevimento è presente anche il nonno don Lisander ...

ALESSANDRINO

L'atto di battesimo è conservato nella parrocchia di Renate ed è firmato da don Giuseppe Masnaga, parroco a Renate dal 1827 al 1857. Alessandrino nasce nel 1846; gli è imposto il prestigioso nome del nonno; come nomi, a seguire, quelli dello zio Pietro (Pedrin), fattore tuttofare nel latifondo di Brusuglio. Madrina di battesimo la moglie di costui, quella Giovannina Visconti, ballerina della Scala, che Pedrin aveva impalmata all'insaputa del grande padre. Diverrà una nuora adorabile e accudirà Manzoni negli ultimi anni della vita, stabilendosi nella casa avita in via Morone. Stranamente, assiste al parto del bimbo non l'ostetrica "patentata" di Renate, ma quella di Besana.

Alessandrino è adorato da zii e di zie. La diciassettenne Matilde lo divora di baci, in una lettera alla cognata Emilia, di cui subiva fortemente il fascino, scrive: "Un milionone (sic!) di baci ai tuoi e miei angeli ..." Nella Casa del Manzoni a Milano esiste tuttora il probabile ritratto di Alessandrino sui dieci anni, eseguito da Giuseppe Molteni, ritrattista principe nella Milano risorgimentale. Il riconoscimento, abbastanza recente, spetta a Jone Riva, segretaria della Casa del Manzoni, che appunta: "il bambino veste una casacca a quadri sopra una camicia bianca ed un paio di pantaloni che coprono il ginocchio, mentre lasciano scoperte le calze rosse. Tiene sotto il braccio sinistro un frustino e nella mano destra il filo legato ad un carretto che sta sul pavimento, sotto ad una sedia rivestita di seta gialla, insieme ad altri giochi ".

Quel che Jone Riva non dice è che dal ritratto non pare proprio promani perspicacia o intelligenza. Anche la vita da adulto sarà del tutto anonima. Alessandro junior sposa a Milano nel 1872 una Elvira Costa, quando è ancora in vita il nonno Alessandro (che morirà nel 1873). Lavora come impiegato statale a Roma. Probabilmente è lui a chiamare nella capitale il padre Enrico malato e in disastrosa povertà. Lo accoglierà per un anno intero tra il 1878 ed il 1879.

Muore a Lecco nel 1910. Aleggia il sospetto che questo figlio "esemplare" sia il responsabile dell'internamento in manicomio della madre Emilia. Ezio Flori, conoscitore non pettegolo del clan Manzoni, supporta l'invereconda accusa. Dopo mezzo secolo, è proprio svanito il sapore delle rosse fragole di Renate !

Una cerchia inesausta di dolori colpisce e conclude l'esistenza dei discendenti del grande Alessandro.

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Chiesa di San Fedele (Milano)Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Coordinate: 45°28′01″N 9°11′29″E 45.466804°N 9.191473°E (Mappa) Chiesa di Santa Maria della Scala in San

Fedele

La facciata della chiesa

Paese Italia

Regione Lombardia

LocalitàMilano

Religione Cristiana Cattolica di Rito Ambrosiano

Diocesi Arcidiocesi di Milano

Anno consacrazione XVIII secolo

Architetto Pellegrino Tibaldi

Stile architettonico manierismo

La chiesa di San Fedele è la chiesa dei Gesuiti nella diocesi di Milano.

Indice

[nascondi] 1 Storia 2 Descrizione

3 Opere principali

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4 Bibliografia

5 Voci correlate

6 Altri progetti

7 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Situata nel cuore di Milano, fra Palazzo Marino e la Galleria Vittorio Emanuele II, nell'omonima piazza, la chiesa fu dedicata in origine a san Fedele, protomartire della diocesi di Como, e destinata ai Gesuiti. Dopo la soppressione dell'ordine nel 1773, la chiesa fu affidata ai canonici provenienti dalla vicina chiesa trecentesca di Santa Maria alla Scala, abbattuta (1776) per far posto al Teatro alla Scala. La chiesa assunse allora il titolo di Santa Maria della Scala in San Fedele e si arricchì di molti degli addobbi e delle opere d'arte provenienti dal distrutto edificio.

La realizzazione dell'edificio, prima casa dei Gesuiti a Milano, si inseriva nel programma di riordino della diocesi voluto da Carlo Borromeo, che incaricò del progetto Pellegrino Tibaldi (1569). L'artista si attenne alle esigenze liturgiche stabilite dal Concilio di Trento e fatte proprie dall'ordine, prevedendo un edificio a navata unica, che esaltasse la centralità dell'altare per la celebrazione eucaristica e prevedesse un pulpito laterale per facilitare la predicazione. Il Pellegrini assicurò fasto e monumentalità architettonica al complesso strutturando l'ambiente in due grandi campate, coperte da volte a tazza, poggianti su sei grandi colonne corinzie addossate alle pareti e poggianti su alti plinti. Un grande arco trionfale separa l'aula dal presbiterio.

L'elegante facciata fu completata solo nel 1835, sempre rispettando i disegni del Tibaldi

Descrizione [modifica]

L'eleganza dell'interno è ottenuta grazie agli effetti cromatici dei materiali utilizzati per le membrature architettoniche, ed in particolare la pietra d'angera, proveniente dal Lago Maggiore, le cui tonalità rosee sono state recuperate dal recente restauro.

Le pareti risultano fortemente ritmate ed articolate su due ordini di archi minori, corrispondenti ad un matroneo in quello superiore, e in quello inferiore ad otto confessionali intagliati (Giovanni, Giacomo e Gianpaolo Taurini, 1596-1603), con scene dal Vecchio e Nuovo Testamento. Sono presenti quattro cappelle laterali, contenute nello spessore delle mura, le cui decorazioni testimoniano momenti vicini nel tempo ma già diversi. Di particolare interesse la seconda cappella sulla parete destra, intitolata alla Ascensione di Cristo, e realizzata su progetto del Tibaldi, che presenta un raro caso di colonne dislocate, in cui l'architrave è retto dalle vicine mezze figure di angelo: forse un'intenzionale metafora dell'abbandono in cui versava la diocesi milanese quale la trovò il Borromeo. La pala originaria con l'Incoronazione di Maria del Ambrogio Figino (1581-1587) fu poi sostituita dalla Trasfigurazione e Santi firmata da Bernardino Campi in collaborazione con Carlo Urbino (1565), proveniente da Santa Maria della Scala; entrambe si trovano oggi nell'antisagrestia, per far posto al Sacro Cuore in ceramica di Lucio Fontana (1956), mentre sono rimasti in loco i quattro pannelli sulle pareti laterali. Il Figino aveva anche dipinto per San Fedele la Madonna del Serpe, oggi nella chiesa di Sant'Antonio, di cui si ricorderà Caravaggio a Roma.

L'interno

Nella prima cappella a destra troviamo invece la Visione di Sant'Ignazio di Loyola di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, di poco successiva alla beatificazione del Loyola (1622), e la cui decorazione in stucco presenta una ricchezza già barocca. Nelle due cappelle della parete sinistra si trovano altre due

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opere provenienti dalla trecentesca Santa Maria della Scala, cioè la Deposizione di Simone Peterzano (1591), il cui drammatico uso della luce dovette influenzare il suo allievo Michelangelo Merisi da Caravaggio, in procinto di trasferirsi a Roma; e, nella seconda cappella, un affresco quattrocentesco di Madonna con Bambino, fortemente ridipinto in tempi successivi. Nel presbiterio si trova, sempre proveniente dalla chiesa della Scala, un coro cinquecentesco a stalli lignei decorati con prospetti di edifici, mentre l'altare maggiore fu realizzato solo nel XIX secolo da Pietro Pestegalli sul progetto del Tibaldi per quello del Duomo.

La stessa elegante facciata riflette lo spazio unico dell'interno, ed appare dominata dal grande frontone triangolare che riconduce ad unità il dinamico ed articolato prospetto. La facciata appare infatti divisa in due ordini, con un grande portale con timpano centinato, sovrastato da una finestra a timpano triangolare; quest'alternanza delle cornici si ripete in quella delle quattro edicole decorate con statue tra coppie di colonne.

Il fianco sinistro della chiesa può essere considerato un prospetto autonomo, con un ordine superiore di finestre ed uno inferiore di nicchie incorniciate da colonne corinzie e sovrastate da timpani triangolari e centinati.

San Fedele ha conosciuto diverse fasi di costruzione: principale artefice fu Pellegrino Tibaldi, ma dopo la sua partenza l'edificio fu continuato da Martino Bassi e poi da Francesco Maria Richini, cui si devono anche l'abside con le tre grandi finestre (1633), il coro e lo scurolo nella cripta, le cui volte a vela sono sorrette da diciotto colonne, e la sagrestia. La cupola fu invece realizzata dopo la morte del Richini, avvenuta nel 1658.

Alla sinistra dell'Altare Maggiore vi è una lapide in bronzo che ricorda il punto dove si recava a pregare Alessandro Manzoni, che abitava in via Gerolamo Moroni 1, a circa 200 metri dalla chiesa. Lo scrittore morì a seguito di una caduta con la quale batté il capo contro la balaustra e che gli sarà fatale. Per tale motivo sulla piazza antistante la Chiesa venne eretta una statua in memoria di Manzoni.

Opere principali [modifica]

Deposizione (Peterzano)

Simone Peterzano : Deposizione Giovanni Battista Crespi detto il Cerano: Sant'Ignazio

Bernardino Campi : Quattro santi

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Lucio Fontana : Sacro Cuore

Ambrogio Figino : Madonna della serpe (oggi collocata nella chiesa di Sant'Antonio Abate)

Bibliografia [modifica]

S. Della Torre, R. Schofield, Pellegrino Tibaldi architetto e il S. Fedele di Milano: invenzione e costruzione di una chiesa esemplare, NodoLibri Milano-Como 1994

A. Salvini Cavazzana, San Fedele, in "Le chiese di Milano", a cura di M.T. Fiorio, Electa, Milano, 2006

Voci correlate [modifica]

Pellegrino Tibaldi Carlo Borromeo

Compagnia di Gesù

Arte della Controriforma

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http://milano.corriere.it/arte_e_cultura/articoli/2003/07_Luglio/29/manzoni.shtml

Milano Segreta estateUna giornata a Milano con Alessandro Manzoni

Dalla casa di via Morone al Lazzaretto, dalla chiesa di San Fedele al Monumentale, un percorso tra i luoghi di Don Lisander

RITRATTO DI MANZONI - Il grande specchio rettangolare riflette l'immagine di un uomo dagli occhi azzurro chiaro, il naso lungo e sottile, le labbra fini, il mento un po' sporgente, che posa il vecchio cilindro nero sui suoi capelli bianchi e lisci. Alessandro Manzoni, don Lisander per i suoi concittadini, si prepara per una delle sue lunghe passeggiate solitarie per le vie di Milano. Nessuno riusciva a capire quali pensieri si nascondessero dietro gli occhi mobilissimi di questo padre distratto, di questo dilettante di giardini e di letteratura, di quest'ombra squisita ed elegante.

Una giornata a Milano con Manzoni clicca su una foto

LA CASA DI VIA MORONE - Lentamente, ma con passo deciso, la sua figura attraversa l'elegante salone al piano superiore dell'amata casa di via Morone. Ecco allora suo figlio Pietro muovere veloce le mani sui tasti bianchi e neri del pianoforte a muro, mentre le piccole Cristina e Sofia leggono libri sedute accanto a mamma Enrichetta. Nella stanza entra qualche amico che lo mette al corrente sulle ultime novità e con cui scambia volentieri opinione sulle recenti opere letterarie, ma sono solo ricordi di un tempo ormai lontano. Scesa l'imponente scalinata, si dirige verso il suo studio, dove i libri si arrampicano sulle pareti come l'edera sui muri esterni della casa. Si avvicina al tavolino da scrittura dove per ore sedeva curvo mentre si occupava dei giovani Renzo e Lucia, dell'irrequieto fra Cristoforo e dell'autoritario Innominato. Questi e altri personaggi lo tennero occupato per cinque anni, durante i quali la sua mano scivolava leggera sulla pagina destra di quaderni ancora bianchi. Fuori dalla finestra un timido venticello soffia tra gli abeti e le robinie del giardino. Lo sguardo del vecchio gentiluomo si perde assorto nella memoria del passato.

IL FORNO DELLE GRUCCE E L'OSTERIA DELLA LUNA PIENA - Ad Alessandro Manzoni piace girovagare per la città, ripercorrere strade e luoghi conosciuti, rievocando di tanto in tanto i

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protagonisti del suo romanzo più sofferto. Come non ricordare allora il temerario Renzo che si aggira solo per una Milano affamata, sconvolta dalla carestia, dalle sommosse popolari e dagli assalti ai forni dovuti all'aumento del prezzo del pane? A farne per primo le spese è il Forno delle Grucce (el prestin di scansc in milanese), situato nella Corsia dei Servi. Un garzone che consegna il pane in casa di alcuni signori viene avvistato dalla folla inferocita, che comincia a strappargli le pagnotte dalla gerla. Il ragazzo impaurito scappa e torna alla bottega, che presto viene raggiunta dai rivoltosi. «La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: -aspetta, aspetta,- si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il cappello, per ricever quella grazia di Dio [...]». Renzo è travolto dalla folla, sospinto in avanti da braccia e mani che scalpitano. Preso dall'euforia si rivolge alla gente che lo circonda, parlando di ingiustizie, di prepotenze e di soprusi a danno dei più deboli, con un chiaro riferimento alla sua vicenda personale. Il popolo lo applaude, poi lentamente si dirada. Stanco ed affamato, Renzo cerca solo un posto dove mangiare e dormire. Un uomo gli indica una trattoria vicina, offrendosi di accompagnarlo. L'ignaro giovane cade così nella trappola di un informatore della polizia e dell'oste della Luna Piena suo complice, che lo sommergono di domande. Il giorno seguente viene arrestato e condotto verso le carceri, ma un gruppo di uomini riesce a liberarlo in tempo.

IL LAZZARETTO - La carestia che aveva colpito Milano, non era che uno dei segnali anticipatori dell'avvento della terribile peste del 1629-1631. Denutrizione, affollamento e sporcizia favorivano il diffondersi dell'epidemia e le processioni espiatorie urbane avevano come unico risultato quello di aggravare ulteriormente la situazione. Milano seppelliva ogni giorno centinaia di abitanti, che morivano nelle case, per le strade o al Lazzaretto. «Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d'una strada di circonvallazione, e d'una gora che gira il recinto medesimo. I due lati maggiori son lunghi a un di presso cinquecento passi; gli altri due, forse quindici meno; tutti, dalla parte esterna, son divisi in piccole stanze d'un piano solo; di dentro gira intorno a tre di essi un portico continuo a volta, sostenuto da piccole e magre colonne. [...] Nel centro dello spazio interno, c'era, e c'è tuttora, una piccola chiesa ottangolare».Costruito nel 1489 con lo scopo di accogliere gli ammalati di peste, veniva utilizzato anche come deposito per le merci sospette di essere portatrici di infezioni e, quindi, in quarantena, e come ricovero per gli indigenti della città (lazzaretto da Lazzaro, mendicante lebbroso citato nel Vangelo). Gli affamati ne furono, però, allontanati quando le morti per contagio cominciarono a salire vertiginosamente. «S'immagini il lettore il recinto del lazzaretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt'ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi o sulla paglia; e su tutto quel quasi immenso covile, un brulichio, come un ondeggiamento; e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi». Mentre i monatti erano incaricati di portare al lazzaretto gli ammalati, bruciare i loro vestiti, caricare i cadaveri sui carri e gettarli nelle fosse, compiti che li esponevano ad un alto rischio di

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contagio, gli apparitori annunciavano l'avvicinarsi dei carri suonando un campanello e i commissari si occupavano di far rispettare le regole stabilite dal Tribunale della Sanità. Dottori, medicinali, cibo e cure adeguate scarseggiavano, in confronto alla portata del male. L'ignoranza della gente giocò un ruolo determinante nel diffondersi dell'epidemia, che nel giro di tre anni uccise circa quarantamila persone nella sola Milano.

LA COLONNA INFAME - Il tema della peste è particolarmente caro al Manzoni, che se ne occupa anche nel libro «Storia della Colonna infame», avanzando perplessità sul processo intentato ad alcuni presunti untori. La casa di uno di loro, tal Giangiacomo Mora, fu distrutta, lasciando il posto a una colonna, detta appunto infame, accompagnata da una lapide che rievocava i fatti e la giustizia fatta sui colpevoli (la colonna, nei pressi di piazza Vetra, fu poi demolita, mentre la lapide è conservata al Castello Sforzesco).

LE CINQUE GIORNATE - Lo scrittore milanese, in occasione dei moti che agitarono la sua città prima nel 1821, poi nel 1848, compose il poema «Marzo 1821». Uno dei suoi figli partecipò attivamente all'insurrezione antiaustriaca delle Cinque giornate, che si conclusero con la presa di Porta Tosa (da allora Porta Vittoria), ma anche con un massacro di civili insorti in nome della libertà.

LA VILLA DI BRUSUGLIO - La storia, con le sue ingiustizie e ineguaglianze, lo ha sempre confuso e tradito, costringendolo a un isolamento che durante gli ultimi anni di vita lo condurrà vicino al delirio. Quando lo sconforto diventava insopportabile, il Manzoni amava rifugiarsi nella villa di Brusuglio, che la madre, Giulia Beccaria, aveva ereditato dal conte Carlo Imbonati nel 1805.Fin da giovane aveva coltivato la passione per il giardinaggio e la botanica, trapiantando rododendri purpurei, ortensie, magnolie dai fiori bianchi, cedri e persino cotone e caffè, che rendevano ancor più profumata l'aria dolce della campagna intorno. Dalla sua camera, situata nella parte più alta della casa, ammirava le sue piante, alternando la contemplazione del paesaggio allo studio di manuali pratici di agricoltura. Amava camminare nel parco della villa in compagnia di un buon libro e spingersi fino alla collinetta che aveva fatto costruire in fondo all'immenso giardino, da cui si divertiva a contare le Alpi. Quel luogo tranquillo era per il Manzoni sinonimo di felicità e serenità familiare. Quante estati e primavere aveva trascorso lì insieme alla madre, a cui era unito da un legame che andava oltre l'affetto, sconfinando in un violento complesso edipico. La madre e il figlio non avevano segreti l'uno per l'altro: prevenivano i desideri l'uno dell'altro, si protestavano l'uno all'altro indivisibili, confondevano insieme i loro sentimenti, prima di proiettarli verso il mondo, che avvolgeva da ogni parte la loro inconscia felicità incestuosa (a tutt'oggi la villa è privata e non è possibile visitarla).

PAURE E DOLORI - Per molti anni Alessandro Manzoni soffrì di disturbi e nevrosi, dalla balbuzie al timore degli spazi aperti, che imparò a controllare seguendo una serie di regole e abitudini che lo distraevano dalle proprie angosce. Sensibile al caldo così come al freddo, pesava su di una bilancia i propri vestiti, rifiutava le visite dei suoi pochi conoscenti, preferendo loro il calore domestico del suo caminetto, non leggeva più la posta, mangiava sempre gli stessi piatti e andava a dormire alla stessa ora. A volte la tensione era così forte che si precipitava in strada e camminava ore e ore sotto il caldo o la pioggia, arrivando a percorrere

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fino a quaranta chilometri al giorno.

LA CHIESA DI SAN FEDELE - Don Lisander riprende la sua passeggiata; attraversa piazza della Scala, costeggia i muri di Palazzo Marino, e si ritrova di fronte alla vecchia chiesa di San Fedele. Chi guida le azioni del malvagio don Rodrigo, della dissoluta monaca di Monza o dello spaurito don Abbondio? Il Caso è a capo di tutto e muove con astuzia e abilità i fili delle sprovvedute marionette che sono gli uomini. Quando i dubbi lo sorprendono e abbandonarsi a meditazioni non gli è di conforto, trova riparo in quel luogo sacro.L'interno, costituito da un'unica navata, è poco illuminato e si rende quindi ideale per il raccoglimento e la preghiera, mentre le quattro cappelle che si aprono sulle pareti laterali conferiscono all'ambiente una certa solennità. La chiesa di San Fedele, costruita nel 1567, fu donata dall'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo ai Gesuiti, che, con il concilio di Trento del 1545, si assicurarono l'educazione religiosa dei giovani. Quando, nel 1776, furono disposti i lavori di costruzione del teatro della Scala e la chiesa di Santa Maria della Scala fu soppressa, quadri, sculture e altri oggetti di valore furono portati in San Fedele. Durante gli anni della dominazione austriaca, all'interno della sua cripta furono poste le tombe degli Asburgo regnanti a Milano.

UNA BRUTTA CADUTA - Il 6 gennaio 1873, mentre il Manzoni si recava a messa proprio nella chiesa di San Fedele, cadde, battendo la testa contro uno scalino. Ematoma subdurale da trauma contusivo del capo, questa fu la diagnosi. La sua capacità di ricordare fatti, episodi, luoghi e nomi diminuì drasticamente e i suoi pensieri divennero sempre più contorti. Per undici giorni farneticò, sognò, tentò di pensare e di ricordare, si riscosse per poche ore e tornò ancora a delirare in quella stanza, dove il caminetto, lo specchio, il tavolino di marmo contenevano ognuno un riflesso della sua lunghissima vita.Si spense a Milano il 22 maggio 1873, all'età di ottantotto anni. Qualche giorno più tardi si svolsero i funerali in Duomo, a cui parteciparono diverse autorità e molti letterati.

IL MONUMENTALE E IL «MIRACOLO» DEL CORPO INCORROTTO - Il corteo funebre arrivò ai cancelli del Monumentale nel tardo pomeriggio di una giornata nuvolosa. Il cimitero, realizzato pochi anni prima (1866) dall'architetto Carlo Maciachini, in stile dichiaratamente moderno, ma con chiari rimandi (la bicromia della facciata per esempio) all'arte medievale, era destinato, fin dall'inizio, ad ospitare, nel famedio, le sepolture dei Milanesi illustri.La bara fu portata lungo la scalinata, attorniata da due ali di folla, fino all'interno del famedio che domina, con la sua possente mole, gli oltre 120 ettari del cimitero vero e proprio. Le spoglie del Manzoni furono poste in un'arca di pietra, dove ancora oggi riposano accanto ad altre grandi personalità milanesi, di nascita o di adozione, come Salvatore Quasimodo e Carlo Cattaneo.L'anno seguente, nell'anniversario della morte, Giuseppe Verdi, in sua memoria, compose ed eseguì la Messa da requiem, che diresse la mattina nella chiesa di San Marco e la sera alla Scala.Nel 1959, per dare maggiore risalto alla sepoltura dello scrittore, si decise di traslare l'arca con il corpo del don Lisander dalla parete cui era addossata al centro del famedio, sotto l'imponente volta blu. Per facilitare le operazioni gli operai smontarono il monumento ma,

Page 27: APUNTES MANZONIANOS

quando sollevarono il pesante coperchio, avvenne un fatto prodigioso il cui commento affidiamo ad Enrico Nardini che, nella Settimana Incom del 24 marzo 1960, raccontava: «…d'improvviso si levò un coro di esclamazioni soffocate e alcuni balzarono addirittura verso l'urna scoperchiata: dalla tomba aperta usciva una luce abbagliante, la bara di Alessandro Manzoni risplendeva come un lampadario!»Gli stessi operai poterono costatare che la salma del grande scrittore era ancora intatta. Quando la notizia fu resa pubblica si cominciò subito a premere per avviare una causa di beatificazione, ritenendo gli episodi frutto di un miracolo. In breve gli animi si placarono e qualcuno spiegò che la salma del Manzoni era stata imbalsamata il giorno della morte e la luce sprigionata poteva semplicemente essere il riflesso del sole, entrato da uno dei rosoni, che si rifletteva sulla teca di cristallo, in cui tuttora riposa lo scrittore.

Le parti scritte in corsivo sono tratte dal libro «La collina di Brusuglio. Ritratto di Manzoni», di Pietro Citati, mentre quelle tra virgolette sono tratte da «I promessi sposi».

di Francesca Belotti e Gian Luca Margheriti

Page 28: APUNTES MANZONIANOS

BIOGRAFIA (HAY 2 QUE CREO QUE SON IGUALES (SÓLO CAMBIA UNA FOTO)

http://www.welfareitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=175:alessandro-manzoni&catid=69:storia&Itemid=100

Alessandro Manzoni W-Lombardia - Storia

Alessandro Manzoni

Parlamento italiano Senato del Regno d'Italia

sen. Alessandro Francesco Tommaso Manzoni

Luogo nascita Milano

Data nascita 7 marzo 1785

Luogo morte Milano

Data morte 22 maggio 1873

senatore a vita

Investitura 

Data 29 febbraio 1860

Alessandro Manzoni, nome completo Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (Milano, 7 marzo

1785 – Milano, 22 maggio 1873), fu uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano.

È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre

romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana.

Fu anche un senatore a vita del Regno d'Italia.

 

La famiglia

Il nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria, era un autore ben conosciuto (scrisse il

trattato Dei delitti e delle pene posto nell’Indice dei libri proibiti), la madre Giulia Beccaria (1762–

1841) era una donna di grande cultura e sensibilità letteraria.

Il padre ufficiale di Manzoni, Don Pietro (1736–1807), che era ormai sulla cinquantina quando

nacque Alessandro, era membro di un'antica famiglia stabilitasi a Lecco nel 1612 con Giacomo

Maria Manzoni e che aveva fama di esser prepotente, tanto che sia a Lecco che a Barzio, in

Valsassina, circolavano proverbi che paragonavano i Manzoni al Pioverna, un torrente che

conosceva piene violente ed impetuose. Il suo vero padre potrebbe invece essere stato Giovanni

Verri (fratello minore di Pietro e Alessandro Verri), come confermerebbe una lettera inviata allo

stesso Verri da Giuseppe Gorani, ritrovata recentemente a Milano[1].

Biografia

Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni (esponente della

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piccola nobiltà lecchese), figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante -

imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro.

I suoi primi due anni di vita li trascorre nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina

Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. In seguito alla

separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in

Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene educato in collegi religiosi; dal 1796

al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Merate e Lugano, poi presso i

Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti

anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da tali studi gli deriva una

buona formazione classica e il gusto per la letteratura. A quindici anni sviluppa una sincera

passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre

dall'osservazione del reale conclusioni rigorose ed universali.

Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo

tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo e ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico

dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le

prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento.

Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici nonché

dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si

devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini,

ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzoniano di questo

periodo è molto legato alla tradizione classica.

Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al

circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici,

in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti

Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere

seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli

permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore del lettore) e ha modo

di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in

arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la

critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi

religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) ed assiste all'evoluzione del

razionalismo verso posizioni romantiche.

Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con

due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più

strenuo avversario; l'altro, invece, un carme commemorativo in endecasillabi sciolti, sulla morte

del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole,

tra cui la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.

Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca prima ancora che

Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania,

Manzoni dichiara che non scriverà più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la

quale la poesia non deve essere destinata ad una élite colta e raffinata, bensì deve essere di

interesse generale ed interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del

realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia

dell'amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non

rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento ed a una controllata espressione formale,

caratteristica del romanticismo italiano.

Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.Nel 1811 Manzoni, già

anticlericale per reazione all'educazione ricevuta ed indifferente, più che agnostico o ateo,

riguardo al problema religioso, si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva

sposato la calvinista Enrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio

si rivelò felice, coronato dalla nascita di 10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote

Page 30: APUNTES MANZONIANOS

Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione

assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due

coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro ad un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica

(1810)[2].

Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo

atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai

dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della

religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e

diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione, concepita come

perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro

fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della

ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile

disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel

Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la

fermezza intellettuale.

La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata

nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e

La Pentecoste, ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre ad un

trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi

Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia) in

riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.

Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una

profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto di Manzoni, a cui lascerà

questo testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere.

Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, tra cui la villa di famiglia del Caleotto

dove aveva trascorso tutta l'infanzia e l'adolescenza. Intendeva trasferirsi definitivamente in

Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma dovette aspettare un

anno poiché le autorità austriache gli negarono il passaporto.

Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d'un mese di Sophie de

Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella

capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor

Cousin (1792-1867), che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano.

Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva

controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato

su una importante rivista letteraria lo criticò severamente; dall'altro lato fu addirittura Goethe a

replicare in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.

La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli

eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente

di Manzoni ed il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici, nei quali cercò

distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.

Intanto, con l'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino

Visconti (ma di recente critici come Enzo Raimondi[3] vedono nel Manzoni stesso la fonte letteraria

del personaggio), iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I

promessi sposi,ambientato nei luoghi lecchesi della sua infanzia, che fu completato nel settembre

1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1825 ed il 1827, esso fu pubblicato, un volume per

anno, portando ad un tratto grande fama letteraria all'autore.

Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento

da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia e che contiene molte velate

allusioni all'occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda ricorda quella dell'amica

d'infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale nel 1830 comporrà l'epitaffio tombale presso

lo storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino in Muggiò (Milano).

Page 31: APUNTES MANZONIANOS

In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si

trasferì a Firenze nel 1827, in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle

persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. L'11 dicembre 1827 fu

eletto socio dell'Accademia della Crusca[4]. Rielaborò I promessi sposi dopo la "risciacquatura in

Arno"[5] facendo uso dell'italiano nella forma fiorentina colta e nel 1840 pubblicò questa

riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana.

Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema

degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente

costituiva un excursus storico.

Tomba di Alessandro Manzoni nel Cimitero Monumentale di Milano.Sul piano privato, la perdita

della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli, tra cui la primogenita Giulia, già moglie

di Massimo D'Azeglio, della madre e dell'amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò Teresa Borri (11

novembre 1799 - 23 agosto 1861), vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse anche a

quest'ultima. Dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.

Nel 1860 fu nominato senatore del Regno: con questo incarico votò nel 1864 a favore dello

spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come

presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, un breve trattato sulla

lingua italiana: Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla.

La morte

Alessandro Manzoni morì di meningite il 22 maggio 1873. La malattia fu la conseguenza di un

trauma cranico che si procurò il 6 gennaio quando cadde sbattendo la testa su di uno scalino

all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano. Le sofferenze furono acuite dalla morte del figlio

maggiore Pier Luigi, avvenuta il 28 aprile.

Nel Cimitero Monumentale della città ambrosiana si tenne il solenne funerale, che vide una

grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel

1874, nell'anniversario della morte, Giuseppe Verdi diresse personalmente nella chiesa di San

Marco di Milano la Messa di requiem, composta per onorarne la memoria. Nel 1883, a dieci anni

dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879),

Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza nel 1882.

L'ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna.

Il 28 giugno 1872 Manzoni fu nominato cittadino onorario di Roma[6].

per saperne di più clicca qui:

-- http://it.wikipedia.org/wiki/Alessandro_Manzoni

Page 32: APUNTES MANZONIANOS

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Alessandro Manzoni, biografia W-Lombardia - Storia

Biografia di Alessandro Manzoni

Luogo nascita Milano

Data nascita 7 marzo 1785

Luogo morte Milano

Data morte 22 maggio 1873

Alessandro Manzoni, nome completo Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (Milano, 7 marzo

1785 – Milano, 22 maggio 1873), fu uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano.

È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo celebre

romanzo I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana.

Fu senatore a vita del Regno d'Italia.

Famiglia

Suo nonno materno era Cesare Beccaria, noto illuminista, autore del trattato Dei delitti e delle

pene posto nell’Indice dei libri proibiti; la madre, Giulia Beccaria (1762–1841), era una donna di

grande cultura e sensibilità letteraria. Il padre ufficiale di Manzoni, Don Pietro, ormai sulla

cinquantina quando nacque Alessandro, era membro di un'antica famiglia stabilitasi a Lecco nel

1612. Il suo vero padre potrebbe invece essere stato Giovanni Verri (fratello minore di Alessandro

e Pietro Verri).

Biografia

Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e da don Pietro Manzoni (esponente della

piccola nobiltà lecchese), figlio di Alessandro Valeriano, pronipote di un ricchissimo mercante -

imprenditore lecchese, Giacomo Maria Manzoni, e di Margherita di Fermo Porro.

I suoi primi due anni di vita li trascorre nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina

Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa nella cascina. In seguito alla

separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in

Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene educato in collegi religiosi; dal 1796

al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Merate e Lugano (ebbe come

insegnante Francesco Soave), poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca

educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato

Page 33: APUNTES MANZONIANOS

http://laboratorinnovazione.interfree.it/manzoni.htm

ALESSANDRO MANZONI: LA VITA E LE OPERE di Serena Scramaglia

    I PROMESSI SPOSI clicca qui

Giuseppe Manzoni nacque a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni,e da Giulia Beccaria,figlia di Cesare, famoso giurista e  autore del noto libello "Dei delitti delle pene" . Giulia aveva 26 anni meno del marito .

Giuseppe crebbe a Milano e nella villa paterna del Caleotto, presso Lecco. Dopo sette anni di matrimonio, nel 92, i due si separarono e la madre si unì al conte Carlo Imbonati, trasferendosi a Parigi.

Alessandro studiò in collegi religiosi (Somaschi e Barnabiti, a Merate, Lugano e Milano) , ma ne criticò gli ambienti e i metodi di insegnamento.

A 16 anni scrisse un poemetto di ispirazione rivoluzionaria ed anticlericale: Il trionfo della libertà. Egli era allora critico nei confronti della chiesa , era infatti razionalista e illuminista oltre che favorevole a Napoleone. Nel 1805, dopo la morte di Imbonati, Giulia tornò in Italia e Manzoni scrisse il Carme in morte di Carlo Imbonati, in cui esaltò l'arte per la sua possibilità di formare un uomo libero, virtuoso e disposto al sacrificio . Manzoni invece scrisse che doveva essere rifiutata la mitologia che era presente in molte delle poesie del suo tempo.

A Parigi, dal 1805 al 1810, egli frequentò i circoli letterari e culturali materialisti e razionalisti e diventò amico del romantico Fauriel, che lo avviò allo studio della storia. Nel 1808 sposò Enrichetta Blondel, che era di religione calvinista. Grazie alla moglie, divenuta cattolica, e ai dialoghi con due religiosi decise, lui anticlericale, di convertirsi al cattolicesimo. Dopo la conversione, Manzoni condannò a tutti i suoi scritti precedenti . Nel 1807 morì il padre che gli lasciò in eredità tutti i beni.

Subito dopo la conversione, Manzoni ed Enrichetta lasciarono Parigi.

Manzoni , romantico, era vicino ai liberali che volevano la libertà e l'unificazione d'Italia. Nel 1815 egli scrisse Il Proclama di Rimini. In quest’ opera esaltò Gioacchino Murat che da Napoli aveva risalito col suo esercito l'Italia, invitando inutilmente gli italiani a combattere contro gli austriaci per l'indipendenza . Nel 1821, quando si diffuse la notizia dei moti rivoluzionari piemontesi e con essi l’illusione che Carlo Alberto stesse per liberare la Lombardia dagli austriaci, scrisse l'ode Marzo 1821. Sempre in quell'anno, saputo che era morto Napoleone, scrisse un’altra ode: Il Cinque Maggio, nella quale ricordò le sconfitte, l'esilio e la morte del Bonaparte, alla luce della provvidenza cristiana. Per Manzoni solo la storia avrebbe potuto giudicare il grande generale corso

Nel 1812 iniziò a scrivere gli Inni sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. Scrisse anche due tragedie : Il conte di Carmagnola e l'Adelchi. Il Conte di Carmagnola è dedicato al Fauriel. Il protagonista della tragedia è Francesco Bussone, conte di Carmagnola, condottiero di ventura del primo Quattrocento, che , dopo aver servito Filippo Visconti, signore di Milano, ritenendosi poco ricompensato, passò al servizio di Venezia, rivale di Milano e sconfisse Visconti. Poiché fu generoso con i milanesi , egli divenne sospetto ai veneziani che l'accusarono, ingiustamente per Manzoni, di tradimento e lo giustiziarono. L'Adelchi (tragedia dedicata alla moglie Enrichetta) è ambientata al tempo dell''ultimo periodo della dominazione longobarda in Italia, dal momento in cui Carlo Magno ripudiò la moglie Ermengarda (figlia del re longobardo Desiderio) alla resa dei Longobardi ad Averona. Lì si era rifugiato Adelchi figlio di Ermengarda . I protagonisti della tragedia sono Ermengarda, che, vittima innocente di manovre politiche, non si rassegna al divorzio, essendo ancora innamorata del

Page 34: APUNTES MANZONIANOS

marito, e che muore nel monastero in cui era stata reclusa; e Adelchi, il cui dramma interiore è completamente inventato dal Manzoni. Adelchi è tormentato perché non sopporta l'offesa arrecata alla sorella ed è contrario alla politica di conquista del padre, anche se per obbedienza lo asseconda. Essendo cristiano, nella tragedia, non vuole combattere contro i Franchi, anch'essi cristiani. Adelchi muore perché si rende conto che nella storia c'è poco spazio per i sentimenti umani. L'eroe cristiano deve resistere agli attacchi del "male" (ingiustizia, oppressione, ecc.), ma può sperare che il suo eroismo gli venga riconosciuto solo davanti a Dio. Nell'importante coro Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, Manzoni esprime un giudizio fortemente negativo su quegli italiani che si lasciano dominare dagli stranieri senza reagire, o che sperano d'essere liberati da uno straniero con un altro straniero

Oltre a queste due tragedie si devono ricordare le due importanti Lettere sul Romanticismo indirizzate a Chauvet e a Massimo d'Azeglio e le Osservazioni sulla morale cattolica, in cui vengono esaltati i principi e il valore della morale cattolica , contro la tesi del Sismondi che sosteneva che la religione cattolica fosse fonte di molti dei mali della società moderna.

Nel 1827, dopo la prima edizione dei Promessi sposi, il Manzoni si recò a Firenze,per correggere secondo l'uso toscano la lingua usata per il romanzo. Esso , infatti, era destinato al vasto pubblico e il problema della lingua diventava fondamentale.C'era bisogno di una scrittura facilmente comprensibile, in grado di superare il distacco tra lingua parlata e scritta. La scelta cadde sul fiorentino usato dalle persone colte. Ed è così che nasce con i Promessi sposi la nostra prosa narrativa moderna .

La prima versione del romanzo s'intitolava Fermo e Lucia (1812) ed è molto diversa dalla seconda e definitiva edizione, pubblicata tra il 1840 e il '42. Vi sono differenze di contenuto e di stile anche tra la prima edizione del 1827 e la seconda: Nell'ultima edizione apparve in appendice la Storia della colonna infame, un racconto ambientato nello stesso periodo storico del romanzo. Si tratta di una specie di requisitoria contro i giudici che condannarono a terribili torture i presunti untori della peste di Milano nel 1630. "Colonna infame" era appunto chiamata la colonna che venne eretta nello spazio della casa abbattuta di uno dei due, a perenne ricordo dell'infamia e dell'esemplare condanna. Manzoni cercò di dimostrare, con l'esame degli atti del processo, l'innocenza dei due imputati, vittime soltanto della superstizione, della collera popolare e della debolezza dei giudici e delle autorità.

A partire dal 1833 una serie di disgrazie familiari colpisce Manzoni. Gli muore la moglie, nel '34 la primogenita (appena sposata con D'Azeglio), nel '41 la madre, nel '61 la seconda moglie, che aveva sposato nel '37 e con cui aveva vissuto un matrimonio poco felice; in varie date perde 6 figli su 8.

 

Nel 1848, scoppiata la rivoluzione delle Cinque giornate di Milano, Manzoni incitò i tre figli maschi a prendervi parte e benché uno di essi fosse caduto prigioniero e ostaggio degli austriaci, firmò un appello a tutti i popoli e principi italiani perché aiutassero i milanesi. Gli austriaci poi rioccuparono la città .

Nel 1849 Manzoni fu eletto deputato nel collegio di Arona in Piemonte, ma rifiutò il seggio perché non si sentiva adatto alla politica. Nel 1859, dopo la liberazione della Lombardia, Vittorio Emanuele II, viste le sue difficoltà economiche e in considerazione del suo patriottismo, gli fece assegnare una pensione annua di 12.000 lire, poi, nel 1861, lo nominò senatore. Nello stesso anno Manzoni si recò a Torino, per votare la proclamazione del Regno d'Italia. Nel '64 raggiunse nuovamente a Torino per votare il trasferimento della capitale a Firenze. Nel '70 salutò con gioia l'entrata delle truppe italiane a Roma , grazie alla breccia di porta Pia, con la quale finiva lo Stato della Chiesa.. Nel '72 fu nominato cittadino onorario di Roma. Morì a Milano, l'anno dopo, per meningite cerebrale .

 

le nostre interviste impossibili clicca qui

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http://www.liceoberchet.it/ricerche/netday98/milano/5giorfatti.htm

Le cinque giornate: i fatti

Le premesse La seconda giornata: 19 marzo La quarta giornata: 21 marzo

La prima giornata: 18 marzo La terza giornata: 20 marzo L'ultima giornata: 22 marzo

Le premesseI fatti rivoluzionari delle cinque giornate furono preceduti da alcuni momenti di tensione con le autorità austriache che è bene ricordare. Il 10 dicembre del 1846 era morto il conte Federico Confalonieri, nobile

patriota milanese che era stato imprigionato nel carcere dello Spielberg . Il conte Arese aveva raccolto tra i cittadini i fondi per il funerale che si sarebbe svolto nella chiesa di San Fedele; il 30 dello stesso mese, mentre Achille Mauri aveva curato l’epigrafe da porre sulla porta della chiesa, epigrafe che fu ridotta da un funzionario imperiale al solo: "A Federico Confalonieri", senza nemmeno il titolo di conte. Il giorno del funerale la straordinaria affluenza, singolare per quei tempi, destò preoccupazione nella polizia austriaca che tuttavia si trattenne dall’intervenire. La sera stessa, però, in segno di protesta i Milanesi si astennero dall’assistere allo spettacolo della Scala. In seguito l’episodio si sarebbe ripetuto ogni volta che la cantante fosse stata austriaca, e spesso si verificarono rimostranze antiaustriache nei teatri.

L’anno seguente alla morte dell’arcivescovo tedesco Gaisruck, il popolo e la municipalità chiesero con veemenza la nomina di un prelato italiano. La notizia dell’imminente nomina del vescovo Romilli, che rappresentava il ristabilimento della tradizione di italianità del seggio vescovile ambrosiano, e del suo arrivo a Milano fissato per il 5 settembre, diffuse grande entusiasmo nel popolo, che si preparò ad accoglierlo con un monumentale apparato scenografico. I progetti dei milanesi vennero, però, drasticamente ridotti dal governo austriaco, il quale temendo che l’accoglienza del neo-arcivescovo si trasformasse in una dimostrazione politica, addusse pretesti di tipo economico. La sera del 5 settembre si decise, comunque, per festeggiare, di illuminare piazza Fontana con luci a gas.

L'illuminazione a gas eseguita nelle notti del 5 e 8settembre 1847 in piazza Fontana, per le celebrazioniin onore dell'arcivescovo Romilli. (Civica raccolta delle

stampe Achille Bertarelli).

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In quella atmosfera d’entusiasmo, il popolo esplose in grida inneggianti a Pio IX e all’arcivescovo. Non ci furono fortunatamente contrasti con la polizia, al contrario di quello che avvenne l’8 settembre quando per il primo pontificale del Romilli, si ripeté l’illuminazione. Infatti tra l’eccitazione della folla, un gruppo di giovani intonò un coro in onore dell’arcivescovo; la polizia, intollerante, sotto la guida del

commissario Bolza , intervenne rapidamente contro i cittadini usando la forza. Questo fu il pretesto per dimostrare che qualsiasi tentativo di rivolta popolare sarebbe stato duramente represso dalla polizia imperiale.Il peggio venne quando il primo gennaio del 1848 si mise in atto lo sciopero del tabacco. Infatti verso la fine di dicembre si era svolta un’opera di propaganda a favore dell’astensione dal fumo e dal gioco del

lotto, monopoli imperiali, grazie soprattutto al professore Giovanni Cantoni . Nel volantino, che egli scrisse, si dimostrava che fumando ogni milanese avrebbe contribuito a un cospicuo aumento delle finanze austriache; con lo sciopero del tabacco l’Austria avrebbe subìto di fatto delle ingenti perdite. Lo sciopero proseguì senza complicazioni per due giorni, ma il 3 gennaio un decreto imperiale minacciò gravi punizioni per i cittadini che avessero proibito ad alcuno di fumare, ignorando quasi del tutto le proteste del podestà Gabrio Casati. Lo stesso giorno fu distribuito ai soldati tedeschi un falso volantino che riportava ingiurie contro le truppe dedite all’alcool ed al fumo. Nel pomeriggio i soldati lasciati

volontariamente in libertà si abbandonarono ad atti di violenza ingiustificati contro i civili , provocando numerosi morti. Quest’episodio di violenza suscitò terrore e odio nei milanesi verso il governo austriaco e aumentò le forti tensioni represse a cui il popolo avrebbe dato sfogo di lì a poco.

Dopo la violenta strage del 3 gennaio, a Milano regnava una calma sepolcrale per paura di nuove repressioni. I milanesi si astennero dalla vita pubblica rifiutandosi di andare a teatro o a balli di gala, ogni rapporto con gli austriaci fu interrotto, poiché i tentativi di protesta da parte del podestà erano stati del tutto inutili. Tuttavia il viceré bandì un proclama nel quale auspicava che si sarebbe mantenuto uno stato di quiete, al fine di evitare ogni ulteriore inasprimento dei rapporti col governo imperiale. L'episodio avvenuto a Milano ebbe ripercussioni: infatti a Pavia nei giorni 8 e 9 gennaio gli studenti scatenarono una rissa con alcuni poliziotti che fumavano sotto i portici dell'università, col risultato di due morti. Nel frattempo a Vienna si optava per una politica intransigente decisa a rafforzare il potere locale. Gli effetti di tale politica non tardarono a venire: il 22 gennaio si decretò l'arresto di Francesco Arese, Cesare Cantù, Gaspare Ordono de Rosales, Cesare Stampa Soncino e molti altri. Il 30 dello stesso mese fu proibito il transito di armi e di munizioni da guerra, mentre l'1 febbraio venne istituita la censura. A Pavia, di conseguenza, avvennero nuovi disordini e a Milano venivano arrestati l'8 sera Ignazio Prinetti e Linz Manfredi Camperio. Tuttavia non si ebbero sollevazioni popolari come non erano avvenute in seguito alle precedenti rivolte di Napoli e della Sicilia. Le costituzioni concesse dagli altri stati italiani,

però, e in particolare quella concessa da Carlo Alberto , destarono nei milanesi la speranza, in caso fossero insorti, di un aiuto contro l'Austria. Si andava organizzando infatti una rivolta. La notizia dell'insurrezione a Vienna, giunta la sera del 17 marzo insieme al proclama imperiale, che aboliva la censura e indiceva un'assemblea per il 3 luglio allo scopo di evitare eventuali subbugli anche a Milano, fu il pretesto per organizzare il giorno successivo una manifestazione tutt'altro che pacifica.

La prima giornata: 18 marzoI milanesi, seguendo il piano del Correnti, avevano deciso di riunirsi la mattina davanti al Palazzo del Municipio per costringere il podestà Gabrio Casati a richiedere il passaggio del governo alla municipalità. Il vice governatore O'Donnel, rimasto solo, poiché il governatore Spaur era fuggito la notte prima, preoccupato dalla gran folla nel Broletto e consultatosi col podestà sull'opportunità o meno di far

intervenire le truppe, decise di ordinare a Radetzky di tenersi a disposizione.La folla attendeva intanto l'arrivo di Casati per accompagnarlo, volente o no, fino al Palazzo del Governo in corso Monforte. Il podestà costretto andò quindi nuovamente dal vice governatore; tuttavia la folla lo

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precedette e invase il palazzo. Quando Casati arrivò, insieme a Bellati e agli assessori Bellotti, Beretta, Belgioioso e Greppi, andò direttamente da O'Donnel, il quale non si capacitava della situazione. Sotto le

pressanti richieste della delegazione municipale, il vice governatore firmò tre decreti in cui autorizzava la formazione di una guardia civica, stabiliva il passaggio del governo al Municipio e imponeva la restituzione delle armi della polizia alla municipalità. O'Donnel venne poi fatto prigioniero per iniziativa di Cernuschi e mentre i decreti venivano letti alla massa dei cittadini in tumulto, fu trasportato nel palazzo Vidiserti, ove si recò l'intera legazione. Il feldmaresciallo Radetzky faceva intervenire nel frattempo le truppe e dichiarando l'invalidità dei decreti estorti proclamava lo stadio d'assedio. Nelle strade avevano luogo, invece, i primi combattimenti e nei pressi della chiesa di San Damiano si costruiva quella che fu la prima barricata. Le campane della chiesa presero a suonare a martello per richiamare al combattimento, e presto tutte le campane della città suonarono con tale

veemenza che alcune si ruppero. Le truppe austriache mobilitatesi occuparono subito il Duomo , dall'alto del quale sparavano i cacciatori tirolesi, Palazzo Reale e l'Arcivescovado. In parte si apprestarono anche ad assaltare il palazzo del Municipio, pensando di trovarvi la legazione; Radetzky minacciò inoltre di usare i 200 cannoni che aveva a disposizione, nel tentativo di spaventare il popolo,

anche se questo ormai era travolto da un impeto irrefrenabile. Le barricate sorgevano ovunque costruite con qualsiasi cosa fosse a disposizione: carri, carrozze, mobili, barili, tappeti e perfino banchi

delle chiese.

Ma occorrevano anche le armi, per questo furono messe a disposizione le collezioni dei nobili, furono svaligiati i musei, si recuperò qualsiasi arnese contundente e se ne inventarono di nuovi; dalle finestre intanto pioveva di tutto, dall'olio bollente alle tegole. Verso sera il palazzo del Municipio fu espugnato nonostante l'eroica difesa degli assediati; ma, con gran disappunto del feld-maresciallo, non fu trovata la legazione, che era invece a palazzo Vidiserti. D’altro canto furono fatti prigionieri circa duecento uomini o forse più, tra i quali il figlio del Manzoni, Filippo. Più tardi gli austriaci furono costretti a rientrare al Castello Sforzesco, loro quartier generale, a causa dell'impeto dei rivoluzionari. Al termine della prima giornata infatti, Radetzky era profondamente sorpreso dal carattere forte e unitario della rivolta, cui partecipò indistintamente ogni ceto, tanto da dire in seguito: "Il carattere di questo popolo sembra cambiato come per il tocco di una bacchetta magica".

La seconda giornata: 19 marzoL'indomani, la domenica di San Giuseppe, Milano si presentava come una città trincerata. Le barricate sorgevano ovunque; ve n'erano alcune singolari: quella di Porta Venezia, ad esempio era fatta con i lastroni di granito dei marciapiedi, mentre quella di piazza Cordusio, la più strana, era stata costruita con i libri presi dall'Ufficio del Bollo. Gli insorti si organizzavano sempre più. Era passata parola di fare incetta di viveri e di usarli con parsimonia; nelle case venivano praticate aperture per poter creare una rete di comunicazione; il passaggio dei dispacci da una barricata all'altra fu affidato ai martinitt, (i ragazzini

dell'orfanotrofio), e le donne , se non combattevano vestite da uomo, rifocillavano gli insorti e cucivano tricolori. Intanto, poiché il podestà e la legazione nella notte si erano spostati dal palazzo Vidiserti in Casa di Carlo Taverna, facilmente difendibile, Radetzky non trovandoli nuovamente ebbe un'ulteriore delusione. La situazione per gli austriaci non era delle migliori: i loro approvvigionamenti si trovavano infatti al Castello, ma essi ritenevano troppo rischioso farseli inviare, temendo che cadessero nelle mani dei ribelli.

La celebre armeria di Uboldo degli U-boldi, situata nell'omonimo palazzoin via Pantano, dalla quale si riforniro-no d'armi gl'insorti all'inizio dei moti.

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Inoltre le barricate ostruivano le già strette vie della città, impedendo il passaggio della cavalleria. Gli scontri più

accesi quel giorno, si ebbero a Porta Tosa , Porta

Orientale, Porta Comasina e Porta Ticinese . I Milanesi, se da una parte fallirono nel tentativo di riprendere il Broletto e di convincere alla diserzione alcune truppe ungheresi, riuscirono a conquistare piazza

Mercanti e Porta Nuova . Qui risplendette l'eroismo

di Augusto Anfossi , colonnello nizzardo che si trovava a Milano per caso, il quale riuscì a vincere un gruppo di artiglieri con pochi uomini. Il feldmaresciallo, dal canto suo, minacciò di nuovo di bombardare la città; avvenne, perciò, che i consoli stranieri residenti a Milano scrissero una nota a Radetzky perché si astenesse da un atto di tale disumanità. La petizione fu firmata dai consoli di Francia, d'Inghilterra, di Sardegna, dello Stato Pontificio e della Svizzera, ma non servì a molto. Al calar della notte si verificò inoltre un'eclissi di Luna che incuté brutti presagi.

La terza giornata: 20 marzoIl lunedì seguente, invece, fu una giornata positiva per i ribelli: le truppe imperiali abbandonavano il centro di Milano: il Duomo, Palazzo Reale, il Broletto, la Direzione di Polizia. Finalmente anche le campane del Duomo poterono suonare e, grazie alla temerarietà di Luigi Torelli, sulla Madonnina sventolò il tricolore che infuse nuovo coraggio nei cittadini. L'occupazione della Direzione di Polizia permise la liberazione di molti prigionieri e l'arresto dell'odiato commissario Bolza a cui Cattaneo salvò la vita dicendo: "Se lo uccidete fate cosa giusta se lo risparmiate fate cosa santa". Mentre per le strade avvenivano questi fatti, in casa Taverna si presero importanti decisioni. La mattina si era costituito un Comitato di Guerra formato da Carlo Cattaneo, Enrico Cernuschi, Giulio Terzaghi e Giorgio Clerici; ed erano stati nominati dei collaboratori municipali. Verso mezzogiorno fu catturato sulle barricate il maggior Ettinghausen in circostanze non chiare: alcuni ricordano che, preso prigioniero, finse di aver una proposta d'armistizio da sottoporre ai capi dell'insurrezione, altri affermano che egli fosse stato realmente mandato da Radetzky per offrire la possibilità di una tregua. Fatto sta che, dopo esser stato bendato, portato a casa Taverna, dapprima discusse l'armistizio solo col podestà. Casati si dichiarò favorevole a patto che venissero accettate delle condizioni, tuttavia preferì consultarsi con gli capi. Entrarono quindi Cattaneo, Torelli, Borromeo, Correnti, Bonfadini e altri, che non riuscivano a mettersi

d'accordo sull'opportunità di accettare o meno, quando giunse la notizia dell'eccidio compiuto da soldati tedeschi nella chiesa di San Bartolomeo; allora risolsero di non accettare e il podestà se ne dolse. Al maresciallo che chiedeva una risposta il conte Borromeo disse: " I patrizi milanesi sono pronti a morire sotto le rovine dei loro palazzi". Si racconta poi che il maresciallo, aspettando di essere bendato per venir condotto fuori dalla città, poiché fu lasciato libero di vedere come combattessero i milanesi, rispose: "Addio brava e valorosa gente". Il popolo bisogna dire che fu felicissimo del rifiuto: ormai non sarebbe più stato possibile allontanarlo dalle barricate. Più tardi il Municipio assunse di fatto il governo della città. Quello stesso giorno Radetzky inviò una

lettera ai consoli stranieri dicendo che se volevano fare qualcosa per i ribelli potevano assumersi il compito di mediatori in favore di una tregua di tre giorni; i consoli l'avrebbero proposta il 21 marzo. Era stata rifiutata così una prima tregua ma ne sarebbe stata rifiutata un'altra il giorno dopo?

19 marzo: costruzione di una barricata. Litogra-fia di G. Mazzola, Milano, presso Ferd. Artaria efiglio. Lit. Vassalli.

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La quarta giornata: 21 marzoLa situazione volgeva al peggio per gli austriaci che erano stati scacciati al di fuori della cerchia dei navigli tranne che per alcuni capisaldi, fra i quali il Palazzo del Genio. Contro di questi si diresse l'azione degli insorti. Intanto nel mattino, in casa Taverna, ci fu un tentativo prima privato da parte del barone Hubner in favore di un'interruzione dello scontro armato; in seguito i consoli in qualità di mediatori presentarono la proposta di tre giorni di tregua a condizioni, però, che parvero svantaggiose per i milanesi. Ebbene, entrambe le offerte furono rifiutate dopo aver sentito non solo il parere dei capi della rivolta ma anche dei combattenti, decisamente contrari. A mezzogiorno, a portare buone notizie fu invece il conte Martini che, inviato dal re Carlo Alberto per chiedere aiuto, riferì del sicuro intervento del

re, a patto però che si fosse dichiarato il Governo Provvisorio . Dopo molte incertezze si accettò questa soluzione e insieme al Governo Provvisorio, di cui fu nominato presidente Casati e segretario Correnti, si istituirono: il Comitato di Vigilanza, il Comitato di Finanza, il Comitato di Sussistenza, il Comitato di Difesa e la Guardia Civica, il cui comando fu affidato a Pompeo Litta.

I membri del Governo erano: Luigi Anelli, Antonio Beretta, Vitalino Borromeo, Azzo Carbonera, Gabrio Casati, Cesare Correnti, Antonio Dossi, Giuseppe Durini, Giulini della Porta, Annibale Grasselli, Marco Greppi, Anselmo Guerrieri, Pompeo Litta, Pietro Moroni, Alessandro Porro, Francesco Rezzonico, Gaetano Strigelli e Girolamo Turroni.

Tornando a seguire i fatti che avvenivano nel resto della città, ritroviamo gli insorti vincitori. L'assalto al Palazzo del Genio

infatti, se pur con gravi perdite, morì anche Augusto Anfossi, portò alla cattura di 160 soldati tedeschi. Parte del

merito va però a Pasquale Sottocorno , che, senza curarsi delle fucilate, zoppicando (era storpio), uscì allo scoperto per andare a incendiare il palazzo. Si fece onore anche Luciano

Manara che sostituì Anfossi. Più tardi la caserma di San Simpliciano, il collegio di San Luca e l'ufficio di polizia a San Simone passarono nelle mani dei cittadini; e mentre Radetzky, ormai a corto di viveri, meditava la ritirata, si intensificavano i lanci di palloni aerostatici per informare le campagne e spingerle alla rivolta. Il feldmaresciallo si vedeva infatti costretto a preparare un piano per la ritirata; aveva deciso di abbandonare la città uscendo da Porta Romana, ma per far ciò era necessario, in primo luogo, abbattere gli edifici intorno alla Porta perché non vi si annidassero i milanesi, pronti ad ostacolarlo; e in seguito, tenere le Porte sud-orientali, in particolare Porta Tosa, per coprirsi la ritirata. Tuttavia Porta Tosa fu scelta anche dai ribelli come punto da forzare per poter comunicare con le campagne, e sia il feldmaresciallo che gli insorti avevano stabilito di agire il giorno successivo.

P. Bouver: Pasquale Sottocorno alloassalto del Palazzo del Genio

21 marzo: Palazzo del Genio. Litogra-fia di G. Mazzola, Milano, presso Ferd.Artaria e figlio. Lit. Vassalli.

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L'ultima giornata: 22 marzoL'assalto a Porta Tosa fu durissimo e si protrasse per tutta la giornata, poiché ribelli e austriaci avevano schierato tutte le forze disponibili. A un certo punto sembrò perfino che gli insorti stessero per cedere, ma l'impeto e il coraggio di Manara rianimarono il combattimento. Egli riuscì infatti a dare fuoco alla Porta, da cui poterono entrare i contadini, anche se, dopo poche ore, le truppe tedesche se ne impadronirono di nuovo, tenendola fino a che non fosse completata l'uscita dell'esercito dalla città, il che avvenne verso mezzanotte. Durante il giorno invece, mentre parte delle truppe difendeva Porta Tosa, l'artiglieria attaccava dal Castello con un bombardamento durato sei ore, così che i milanesi vennero effettivamente impegnati su due fronti. Con l'aiuto dei contadini che a poco a poco riuscivano a entrare, si impadronirono però dapprima di Porta Comasina, poi seguirono Porta Nuova, Porta Orientale, e infine, quando gli austriaci si furono ritirati, a mezzanotte circa, come si è già detto, presero

Porta Tosa e Porta Romana . All'alba i cittadini

poterono constatare che il nemico aveva abbandonato Milano e la città era finalmente libera.

Per ricordare la vittoria di Porta Tosa in seguito fu ribattezzata la porta stessa, Porta Vittoria per l'appunto, e si indisse un concorso per il progetto del monumento celebrativo ai caduti che sarebbe sorto in luogo della porta. Tale concorso fu vinto da Giuseppe Grandi, a cui si deve l'obelisco, tuttora esistente, che simboleggia lo sforzo di un popolo per la libertà. Per celebrare i combattenti però non si fece solo questo: se ci si sofferma sulla toponomastica delle vie intorno, si possono ritrovare tutti i nomi dei valorosi patrioti che presero parte alla cacciata dello straniero.Sembra strano quanto un avvenimento accaduto 150 anni fa in realtà sia costantemente presente, anche se apparentemente lontano dalle nostre coscienze.

Presa di Porta Tosa ora Porta Vittoria.Litografia di G. Mazzola, Milano, pressoFerd. Artaria e figlio. Lit. Vassalli.