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Prof. Remo Caponi 17/11/2009 0.40.13 - 1 - DISPENSA N. 5 CONTENUTO DELLE SENTENZE 1. Premessa. – Nel processo a cognizione piena si chiede che il giudice emani, riguardo al diritto fatto valere in giudizio, un prov- vedimento giurisdizionale di tutela che, secondo una tripartizione tradizionale, può avere contenuto di mero accertamento, di con- danna o costitutivo. L’elemento comune alle tre ipotesi è l’accertamento del diritto dedotto in giudizio (art. 2909 c.c.). 2. Mero accertamento. – Tale espressione si riferisce alle ipote- si in cui l’attore chiede un provvedimento giurisdizionale che accer- ti che un proprio diritto esiste (accertamento positivo) o che non e- siste un diritto che il convenuto vanta sul piano stragiudiziale (ac- certamento negativo; sull’onere della prova in tale ipotesi, v. indie- tro). Il bisogno di tutela giurisdizionale è soddisfatto dalla sola au- torità di cosa giudicata, dalla sola immutabilità dell’accertamento contenuto nella sentenza in tutti i futuri giudizi fra le stesse parti (eredi, aventi causa). A differenza di ordinamenti stranieri (v., ad es., il § 256 ZPO tedesca), l’ordinamento italiano non contiene alcuna disposizione esplicita che ammetta in via generale la tutela di mero accertamen- to, ma contempla numerose ipotesi tipiche (v., ad es., artt. 949, 1079, 2653, n. 1 c.c.; lo stesso art. 34 c.p.c. prevede, su istanza di parte o per legge, il mero accertamento di un rapporto pregiudiziale rispetto a quello dedotto in giudizio). Si tratta di ipotesi significative, alcune molto ampie, per cui non vi è difficoltà a ritenere, contro i dubbi sollevati da un settore minoritario della dottrina, che la tutela di mero accertamento rive- sta un carattere atipico anche nel nostro ordinamento. La prassi giurisprudenziale sottolinea che il problema princi- pale della forma di tutela in esame non è la sua ammissibilità in via generale, oltre i casi esplicitamente previsti, ma l’individuazione dei suoi concreti limiti di ammissibilità. Per pretendere una senten- za che accerti l’esistenza o l’inesistenza del diritto, non è sufficiente Commento [RC1]: 2909. Cosa giudica- ta. — 1. L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa Commento [RC2]: § 256 ZPO te- desca - Azione di accertamento (1) È possibile promuovere un’azione di accertamento riguar- dante l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico, di riconosci- mento di un documento o di accer- tamento della sua falsità se l’attore ha un interesse giuridico affinché il rapporto giuridico, l’autenticità o la falsità del documento venga accer- tato il prima possibile con decisione giudiziale. (2) Fino al termine dell’udienza che precede la pronuncia della sentenza l’attore può chiedere attraverso un ampliamento della domanda e il convenuto attraverso una domanda riconvenzionale che venga accertato con decisione giudiziale un rapporto giuridico, divenuto controverso nel corso del processo, dalla cui esi- stenza o inesistenza dipende in tut- to o in parte la decisione della con- troversia. Commento [RC3]: 949 c.c. Azione ne- gatoria. — 1. Il proprietario (c. 10122 , 1079) può agire per far dichiarare l'inesi- stenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. 2. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarci- mento del danno. Commento [RC4]: 1079 c.c.. Accerta- mento della servitù e altri provvedimenti di tutela. — 1. Il titolare della servitù (c. 10122) può farne riconoscere in giudizio (c. 2653 n. 1) l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio (c. 949) e può far cessare gli e- ventuali impedimenti e turbative. Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni (c. 2933). Commento [RC5]: art. 2653, c.c. 2653. Altre domande e atti soggetti a tra- scrizione a diversi effetti. — 1. Devono pa- rimenti essere trascritti (c. 2654, 2668, 2691; att. c. 225 ss.) : 1) le domande dirette a rivendicare la pro- prietà o altri diritti reali di godimento su be- ni immobili e le domande dirette all'accer- tamento dei diritti stessi (c. 948, 949, 1079). La sentenza pronunziata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acqui- stato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda (c. 2644); [..]

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Prof. Remo Caponi 17/11/2009 0.40.13

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DISPENSA N. 5 CONTENUTO DELLE SENTENZE

1. Premessa. – Nel processo a cognizione piena si chiede che

il giudice emani, riguardo al diritto fatto valere in giudizio, un prov-vedimento giurisdizionale di tutela che, secondo una tripartizione tradizionale, può avere contenuto di mero accertamento, di con-danna o costitutivo.

L’elemento comune alle tre ipotesi è l’accertamento del diritto dedotto in giudizio (art. 2909 c.c.).

2. Mero accertamento. – Tale espressione si riferisce alle ipote-

si in cui l’attore chiede un provvedimento giurisdizionale che accer-ti che un proprio diritto esiste (accertamento positivo) o che non e-siste un diritto che il convenuto vanta sul piano stragiudiziale (ac-certamento negativo; sull’onere della prova in tale ipotesi, v. indie-tro).

Il bisogno di tutela giurisdizionale è soddisfatto dalla sola au-torità di cosa giudicata, dalla sola immutabilità dell’accertamento contenuto nella sentenza in tutti i futuri giudizi fra le stesse parti (eredi, aventi causa).

A differenza di ordinamenti stranieri (v., ad es., il § 256 ZPO tedesca), l’ordinamento italiano non contiene alcuna disposizione esplicita che ammetta in via generale la tutela di mero accertamen-to, ma contempla numerose ipotesi tipiche (v., ad es., artt. 949, 1079, 2653, n. 1 c.c.; lo stesso art. 34 c.p.c. prevede, su istanza di parte o per legge, il mero accertamento di un rapporto pregiudiziale rispetto a quello dedotto in giudizio).

Si tratta di ipotesi significative, alcune molto ampie, per cui non vi è difficoltà a ritenere, contro i dubbi sollevati da un settore minoritario della dottrina, che la tutela di mero accertamento rive-sta un carattere atipico anche nel nostro ordinamento.

La prassi giurisprudenziale sottolinea che il problema princi-pale della forma di tutela in esame non è la sua ammissibilità in via generale, oltre i casi esplicitamente previsti, ma l’individuazione dei suoi concreti limiti di ammissibilità. Per pretendere una senten-za che accerti l’esistenza o l’inesistenza del diritto, non è sufficiente

Commento [RC1]: 2909. Cosa giudica-ta. — 1. L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa

Commento [RC2]: § 256 ZPO te-desca - Azione di accertamento (1) È possibile promuovere un’azione di accertamento riguar-dante l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico, di riconosci-mento di un documento o di accer-tamento della sua falsità se l’attore ha un interesse giuridico affinché il rapporto giuridico, l’autenticità o la falsità del documento venga accer-tato il prima possibile con decisione giudiziale. (2) Fino al termine dell’udienza che precede la pronuncia della sentenza l’attore può chiedere attraverso un ampliamento della domanda e il convenuto attraverso una domanda riconvenzionale che venga accertato con decisione giudiziale un rapporto giuridico, divenuto controverso nel corso del processo, dalla cui esi-stenza o inesistenza dipende in tut-to o in parte la decisione della con-troversia.

Commento [RC3]: 949 c.c. Azione ne-gatoria. — 1. Il proprietario (c. 10122 , 1079) può agire per far dichiarare l'inesi-stenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. 2. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarci-mento del danno.

Commento [RC4]: 1079 c.c.. Accerta-mento della servitù e altri provvedimenti di tutela. — 1. Il titolare della servitù (c. 10122) può farne riconoscere in giudizio (c. 2653 n. 1) l'esistenza contro chi ne contesta l'esercizio (c. 949) e può far cessare gli e-ventuali impedimenti e turbative. Può anche chiedere la rimessione delle cose in pristino, oltre il risarcimento dei danni (c. 2933).

Commento [RC5]: art. 2653, c.c. 2653. Altre domande e atti soggetti a tra-scrizione a diversi effetti. — 1. Devono pa-rimenti essere trascritti (c. 2654, 2668, 2691; att. c. 225 ss.) : 1) le domande dirette a rivendicare la pro-prietà o altri diritti reali di godimento su be-ni immobili e le domande dirette all'accer-tamento dei diritti stessi (c. 948, 949, 1079). La sentenza pronunziata contro il convenuto indicato nella trascrizione della domanda ha effetto anche contro coloro che hanno acqui-stato diritti dal medesimo in base a un atto trascritto dopo la trascrizione della domanda (c. 2644); [..]

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affermarsene titolari, poiché il processo è funzionale alla tutela dei diritti e quindi presuppone un bisogno di tutela, che emerge dalla violazione, dalla contestazione, o dal pericolo di violazione.

Sotto il profilo della tutela di mero accertamento, acquista un rilievo distinto (sebbene non esclusivo) la crisi di cooperazione che si esplica nella mera contestazione del diritto altrui. Alla presenza di ciò (ad es., vanto del nome altrui non seguito da uso del nome stesso; vanto della titolarità del diritto di servitù non seguito da atti materiali di esercizio; contestazione del diritto assoluto o obbligato-rio altrui in genere), e in mancanza di adeguate dichiarazioni o manifestazioni stragiudiziali riparatorie provenienti dall’autore del vanto o della contestazione, il bisogno di tutela giurisdizionale si esaurisce nell’esigenza di restaurare quella certezza nelle relazioni sociali e giuridiche, infranta dal vanto o dalla contestazione.

In tale ipotesi, il titolare del diritto può mettere in moto il processo per ottenere un provvedimento di mero accertamento del suo diritto ed eliminare pertanto il danno che gli deriva dalla incer-tezza.

3. Segue: interesse ad agire in mero accertamento. – La norma

che consente al giudice di valutare la concreta ammissibilità di una domanda di mero accertamento è l’art. 100 c.p.c., secondo cui «per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse».

Il requisito soggettivo o extraformale dell’interesse ad agire (v. avanti) si atteggia con carattere di generalità, ma esso opera so-prattutto nel settore delle azioni di mero accertamento.

La vera difficoltà che presentano le azioni di mero accerta-mento risiede nella determinazione dell’interesse sufficiente a giu-stificarne la proposizione. È difficile infatti indicare criteri direttivi utili a circoscrivere l’ampio margine di discrezionalità attribuito al magistrato nell’applicazione di una norma in bianco, quale l’art. 100 in tema di interesse ad agire.

Innanzitutto, oggetto della tutela di mero accertamento, come di ogni forma di tutela giurisdizionale contenziosa, possono essere solo diritti, situazioni giuridiche soggettive concrete, e non meri fat-ti (anche se giuridicamente rilevanti) o norme giuridiche astratte.

In particolare, l’ammissibilità di azioni di accertamento di meri fatti o di norme astratte lederebbe il diritto di difesa del con-

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venuto, poiché in tal caso egli non potrebbe previamente valutare, nemmeno in modo approssimativo, l’entità dei possibili effetti van-taggiosi o dannosi derivanti dall’accertamento richiesto, ed in rela-zione ad essi commisurare l’entità del suo sforzo difensivo.

Peraltro, nella prassi la distinzione tra un inammissibile ac-certamento di un mero fatto o di norma giuridica astratta e un ammissibile accertamento di un diritto soggettivo concreto non è semplice, poiché è raro che l’attore sia così sprovveduto da chiedere in giudizio unicamente l’accertamento di una norma o di un fatto, ma cerca sempre di affermare l’esistenza di una qualche situazione soggettiva concreta.

La distinzione tra diritto, norma e fatto non può costituire da sola un criterio sufficiente per contenere la discrezionalità affidata al giudice nel ritenere ammissibile o meno la singola azione di mero accertamento. Entrano in gioco criteri ulteriori, quali l’esigenza di tutelare il convenuto contro azioni vessatorie (cioè contro un uso del processo che ha il solo scopo di arrecare danno al convenuto o di limitare la garanzia costituzionale del diritto di difesa); nonché l’esigenza di salvaguardare l’economia dei giudizi e l’effettività della tutela giurisdizionale.

Tali criteri richiedono di evitare che la tutela di mero accer-tamento si traduca in un peso ingiustificato per gli organi giurisdi-zionali, quando il bisogno di tutela è meramente fittizio o quando l’attore può già utilizzare una più incisiva forma di tutela giurisdi-zionale (ad es., la tutela di condanna). Sotto quest’ultimo profilo, è opportuno che, proposta una domanda di mero accertamento quando sono già maturi i presupposti per la condanna, il giudice prospetti all’attore nel corso della prima udienza l’opportunità di estendere la domanda alla condanna.

È un’impresa difficilmente realizzabile il tradurre queste esi-genze in una disposizione che individui, in modo specifico, i requi-siti per l’ammissibilità dell’azione di mero accertamento. È ancora attuale il pensiero di Giuseppe Chiovenda, secondo il quale l’interesse ad agire «consiste in una situazione di fatto tale che l’attore senza l’accertamento giudiziale soffrirebbe un danno, di modo che la dichiarazione giudiziale si presenta come il mezzo ne-cessario per evitare il danno». Egli aggiunge poi che «è soltanto l’oculatezza del magistrato nella valutazione di questa necessità, caso per caso, che può garantire contro eventuali abusi, quali pos-

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sono essere i giudizi collusivi o fittizi, le azioni inconsiderate o ves-satorie».

Sotto il profilo delle azioni di mero accertamento l’art. 100 non si rivela una disposizione inutile, poiché rimette alla valutazio-ne del giudice, con una formula necessariamente generica, «il vede-re se il ricorso agli organi giurisdizionali sia veramente necessario». Si tratta di una valutazione da effettuare con riferimento a ciascun singolo caso concreto, diretta a cogliere la differenza fra le azioni di mero accertamento, ammesse dal nostro ordinamento, e le azioni vessatorie (o di iattanza) o le azioni che aspirano alla risoluzione di questioni meramente accademiche, inammissibili.

Casistica giurisprudenziale 4. Tutela di condanna. – Rispetto alla sentenza di mero accer-

tamento, la sentenza di condanna offre le seguenti tre utilità ulte-riori.

5. Segue: titolo esecutivo. – In primo luogo, essa costituisce ti-

tolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, n. 1. È cioè titolo idoneo a met-tere in moto il processo di esecuzione forzata (v. avanti).

Nell’ordinamento italiano, l’efficacia esecutiva della sentenza di condanna è sempre anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato: la sentenza di primo grado è sempre provvisoriamente esecutiva (artt. 282, 337).

6. Segue: ipoteca giudiziale. – In secondo luogo, la sentenza di

condanna è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 c.c.

Tale disposizione è riferibile ad ogni sentenza, anche non passata in giudicato, che porta condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione e precisa che costi-tuiscono titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale anche le senten-ze che contengono condanna «al risarcimento dei danni da liqui-darsi successivamente» (è il caso della condanna generica prevista dall’art. 278, 1° comma: v. avanti, n. 22).

Al secondo comma si aggiunge che sono titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale anche gli altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto (fra questi provvedimenti è da ricor-

Commento [RC6]: Cass., sez. lav., 21-02-2008, n. 4496. In tema di interesse ad a-gire con un’azione di mero accertamento, non è necessaria l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente rispetto al processo, sull’esistenza di un rap-porto giuridico o sull’esatta portata dei dirit-ti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se con l’intervento del giudice; ne consegue, in materia di lavoro subordinato, che l’azione di accertamento può riguardare l’esatta determinazione dei compensi spet-tanti, anche laddove non siano ancora matu-rati i presupposti di fatto di tutte le voci del-la retribuzione ed il lavoratore non chieda alcuna condanna a carico del datore di lavo-ro.

Commento [RC7]: 282. Esecuzione provvisoria (p.c. 431, 447) . — La sentenza di primo grado (p.c. 321, 4314 , 447, 474 n. 1) è provvisoriamente esecutiva tra le parti (p.c. 337).

Commento [RC8]: art. 337, c.p.c. 337. Sospensione dell'esecuzione e dei pro-cessi. — L'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell'impugnazione di es-sa, salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407 (1). Quando l'autorità di una sentenza è invoca-ta in un diverso processo, questo può essere sospeso (p.c. 295 ss. ) se tale sentenza è im-pugnata.

Commento [RC9]: art. 2818, c.c. 2818. Provvedimenti da cui deriva. — 1. Ogni sentenza che porta condanna al paga-mento di una somma o all'adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da liquidarsi successivamente è titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore (c. 1565 , 2828, 2830, 2874). 2. Lo stesso ha luogo per gli altri provvedi-menti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto (c. 2836; p.c. 186-III 6 , 655) (1).

Commento [RC10]: art. 278, c.p.c. 278. Condanna generica. Provvisionale. — Quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su i-stanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla pre-stazione, disponendo con ordinanza (p.c. 280) che il processo prosegua per la liquida-zione. In tal caso il collegio, con la stessa sentenza e sempre su istanza di parte, può altresì condannare il debitore al pagamento di una provvisionale nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova (c. 2818; att. p.c. 129).

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dare innanzitutto il decreto ingiuntivo ex art. 655; v. anche l’art. 186-ter, ult. comma).

Se la sentenza di condanna ha per contenuto il pagamento di una somma di danaro, l’ipoteca si iscrive per la somma determina-ta dalla sentenza (art. 2838 c.c.) e la sua funzione è di creare a fa-vore del creditore un diritto reale di garanzia su alcuni beni del de-bitore, sui quali egli è soddisfatto con preferenza rispetto ai credito-ri chirografari e a quelli successivamente iscritti (artt. 2741 e 2808 c.c.).

Se la sentenza di condanna ha per contenuto «l’adempimento di altra obbligazione» (cioè obblighi di consegnare, di rilasciare, fare o non fare), l’ipoteca si iscrive, al pari di quanto avviene in caso di condanna generica ex art. 278, 1° comma c.p.c., per la somma «de-terminata dal creditore nella nota di iscrizione» (art. 2838 c.c.), ma il debitore può chiederne la riduzione (art. 2872 c.c.).

Ciò significa che il creditore può commisurare l’entità dell’ipoteca giudiziale non solo all’equivalente monetario «dell’altra obbligazione», bensì anche al danno da minacciare al debitore per premere sulla sua volontà e provocare l’adempimento spontaneo. Oltre alla funzione tipica di munire il creditore di un diritto reale di garanzia, l’ipoteca giudiziale può assolvere anche la funzione di mi-sura coercitiva diretta a provocare l’adempimento da parte dell’obbligato.

L’impiego dell’art. 2818 c.c. in funzione di misura coercitiva incontra due notevoli limiti, intrinseci all’ipoteca: è necessario che l’obbligato sia un soggetto benestante e titolare di un patrimonio immobiliare; è necessario che il creditore sia fornito di disponibilità economiche sufficienti ad anticipare le rilevanti spese per l’iscrizione d’ipoteca (art. 2846 c.c.).

7. Segue: trasformazione della prescrizione breve. – In terzo

luogo, l’art. 2953 c.c. collega esplicitamente «alla sentenza di con-danna passata in giudicato» l’effetto di sostituire la prescrizione or-dinaria all’eventuale originaria prescrizione breve.

8. Assenza di relazione necessaria tra condanna ed esecuzione

forzata. – La tutela di condanna è (o dovrebbe essere) la forma di tutela giurisdizionale civile dotata di maggiore forza coercitiva.

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Essa assolve funzioni diverse in relazione alla diversità dei bisogni di tutela delle singole situazioni sostanziali o delle peculia-rità della crisi di cooperazione da cui ciascuna situazione sostan-ziale può essere colpita.

Peraltro, dagli artt. 474, n. 1, 2818 c.c., 2953 c.c., una parte della dottrina ha desunto una correlazione normale o necessaria fra sentenza di condanna ed esecuzione forzata. Intesa in modo ri-goroso, tale correlazione imporrebbe di ritenere ammissibili senten-ze di condanna solo se eseguibili attraverso i processi di esecuzione forzata. Pertanto, i diritti il cui godimento è assicurato da obblighi (originari o derivati) non suscettibili di esecuzione forzata potrebbe-ro essere tutelati solo tramite la forma dell’equivalente monetario. In particolare, la tutela di condanna potrebbe esercitare solo una funzione repressiva della violazione già effettuata e mai una fun-zione preventiva.

In realtà, né l’art. 474 n. 1 c.p.c., né l’art. 2818, né l’art. 2953 c.c. impongono di instaurare una correlazione necessaria tra con-danna ed esecuzione forzata. Al contrario, numerose disposizioni di legge prevedono esplicitamente la condanna (anche) ad obblighi non suscettibili di esecuzione forzata, v. ad es. gli artt. 7, 9, 10, 949, 2° comma, 1079, 2599 c.c.; l’art. 156 l. 633/1941; l’art. 28 l. 300/70; l’art. 15 l. 903/77; l’art. 4, 8° comma l. 125/91; l’art. 3 l. 281/98; l’art. 44 d.lgs. 286/98; artt. 124, 131 d. lgs n. 30/2005 (codice della proprietà industriale); art. 140 d. lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo)

Da ciò segue che, sul piano strutturale, la tutela di condanna può avere ad oggetto sia l’adempimento di obblighi già violati, che l’adempimento di obblighi, la cui violazione è soltanto minacciata.

Se la condanna ha ad oggetto obblighi già violati, la sua at-tuazione è garantita dai processi di esecuzione forzata se l’obbligo (originario o derivato dalla violazione dell’obbligo originario) è fun-gibile. Tale attuazione è garantita dalle misure coercitive se l’obbligo è, totalmente o parzialmente, infungibile o di difficile ese-cuzione da parte di un terzo.

Ove poi l’obbligo violato consista in un’attività che produce semplicemente una modificazione ideale della realtà (ad es., obbligo di emanare una dichiarazione di volontà), la sua attuazione è assi-curata dalla tecnica di collegare all’accertamento del giudice della

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cognizione l’effetto giuridico che sarebbe dovuto sorgere dall’adempimento spontaneo dell’obbligo (v. indietro).

Nel caso in cui la condanna abbia ad oggetto obblighi non ancora violati, la sua attuazione è assicurata dalla tecnica delle misure coercitive.

9. Funzioni della condanna. – La tutela di condanna può as-

solvere diverse funzioni. 10. Segue: funzione repressiva. – In primo luogo, essa può es-

sere diretta ad eliminare gli effetti della violazione già effettuata (funzione repressiva).

In tal caso, essa fornisce al titolare del diritto un titolo idoneo a fargli ottenere le stesse utilità pratiche garantitegli dal diritto so-stanziale o quanto meno utilità equivalenti.

In particolare, la condanna offre una tutela solo per equiva-lente, nella forma del risarcimento del danno, se la violazione si è concretata nella distruzione del bene oggetto dell’obbligazione (ad es., distruzione o dispersione del bene oggetto dell’obbligazione di consegnare, illecito extracontrattuale concretatosi in un danno permanente alla persona) oppure il debitore non ha la disponibilità del bene che si era impegnato a consegnare o rilasciare.

Solo nel caso in cui non si rinvengono nel patrimonio del de-bitore beni sufficienti a soddisfare, tramite il processo di espropria-zione forzata, il credito pecuniario, originario o derivato dalla viola-zione dell’obbligo originario, il processo civile non è in grado di as-sicurare alcuna tutela giurisdizionale, neanche per equivalente, a meno che un terzo non si sia obbligato a garantire l’adempimento della obbligazione del debitore principale o personalmente (ad es., fideiussione) o con taluni suoi beni (ad es., beni gravati da pegno o ipoteca, beni la cui alienazione sia stata revocata per frode ai credi-tori, o beni di cui sia stata dichiarata la simulazione dell’alienazione).

11. Segue: funzione preventiva. Condanna inibitoria – In se-

condo luogo, la tutela di condanna può essere diretta ad impedire che la violazione sia compiuta, continuata o ripetuta (è la funzione preventiva, a cui si è già accennato indietro).

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Fra i rimedi preventivi, assumono un ruolo preponderante i provvedimenti di condanna ad astenersi nel futuro dal violare un diritto (inibitoria). Essi aspirano a provocare l’adempimento perso-nale da parte dell’obbligato. Pertanto la loro attuazione non può es-sere garantita dal processo di esecuzione forzata, ma dalla predi-sposizione di misure coercitive (v. avanti).

È giunto il tempo di considerare ammissibile in via generale, al di là dei casi esplicitamente previsti, la tutela inibitoria, intesa come condanna ad astenersi dal violare un diritto, cioè ad un non fare, in quanto tale infungibile. In tal caso, la tutela di condanna non avrebbe più solo la funzione di reprimere violazioni già com-piute, ma anche di prevenire la commissione, la continuazione, la ripetizione di violazioni future.

Questo principio dovrebbe essere affermato esplicitamente dalla legge per eliminare le resistenze che tuttora esso incontra, specie in dottrina.

La legge dovrebbe esplicitare inoltre i limiti della tutela inibi-toria, a salvaguardia dei valori attinenti alla dignità ed alla libertà della persona, già attualmente desumibili in via di interpretazione sistematica. La tutela inibitoria dovrebbe essere ammissibile solo in presenza di un diritto soggettivo leso o minacciato di lesione.

Se la situazione giuridica soggettiva minacciata di lesione non è un diritto soggettivo in senso tecnico, ma è ad esempio un interesse legittimo, dovrebbe escludersene l’ammissibilità in via a-tipica. In quest’ultimo caso si dischiude se del caso la prospettiva di una tutela risarcitoria ex post (nel caso che si verifichi la lesio-ne), poiché l’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c. si concreta an-che attraverso la lesione di situazioni giuridiche soggettive diverse dal diritto soggettivo. In altri termini, la concessione della tutela i-nibitoria non potrebbe essere collegata genericamente alla sussi-stenza di un «pericolo di danno ingiusto».

12. Segue: funzione repressiva e preventiva. – In terzo luogo,

la tutela di condanna può essere diretta ad eliminare gli effetti della violazione già effettuata, nonché a prevenire violazioni future.

13. Segue: funzione di condanna in futuro (rinvio). – Infine la

tutela di condanna può essere diretta a premunire il titolare del di-

Commento [RC11]: Attenzione: la mi-naccia di lesione può derivare anche dal mancato adempimento tempestivo di un ob-bligo di fare, cioè di eliminare la fonte di pe-ricolo. Ripensiamo all’esempio dell’albero del nostro fondo che sta per cadere sul fondo del vicino. Se il vicino può agire in questo caso con la denuncia di danno temuto (art. 1172 c.c.), ciò significa che noi abbiamo un obbligo di attivarci per eliminare la fonte di pericolo (nell’esempio: dobbiamo ancorare l’albero al terreno o tagliarlo). Quindi i provvedimenti di condanna con funzione preventiva possono avere anche un contenu-to più complesso del semplice ordine di non fare, di astenersi dal violare il diritto.

Commento [RC12]: Tuttavia questa non è l’ultima parola sul tema, che dovrebbe essere approfondito, specialmente nei rap-porti con la pubblica amministrazione.

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ritto di un titolo idoneo a reprimere la violazione non appena que-sta si sia verificata (è la funzione della condanna in futuro, v. avan-ti).

14. Misure coercitive. – I provvedimenti aventi come contenuto

l’ordine di adempiere obblighi non suscettibili di esecuzione forzata sono da eseguirsi tramite la tecnica delle misure coercitive.

Come si è già anticipato (v. indietro), esse consistono in un inasprimento della sanzione contro l’obbligato, nella minaccia di una lesione del suo interesse più grave di quella che gli cagiona l’adempimento, allo scopo di indurlo ad adempiere.

Le misure coercitive sono indispensabili per assicurare l’attuazione degli obblighi infungibili, ma possono impiegarsi anche per l’attuazione di obblighi che, pur essendo fungibili, possono comportare particolari difficoltà nell’esecuzione da parte di un ter-zo.

L’ordinamento italiano impiega la tecnica delle misure coerci-tive in singole ipotesi, che sono assimilabili a diversi modelli, vigen-ti in altri ordinamenti europei.

Con la riforma del 2009, si è aggiunta la norma generale dell’art. 614-bis c.p.c.

15. Segue: modello francese delle astreintes. – Un prima ipo-

tesi è stata offerta nell’ordinamento italiano dall’art. 86, 1° comma r.d. 1127/39, sui brevetti per invenzioni industriali e dall’art. 66, 2° comma r.d. 929/42, sui brevetti per marchi d’impresa, adesso trasfusi nell’art. 131, 2° comma d. lgs n. 30 del 2005 (codice della proprietà industriale).

Nel disciplinare l’azione di contraffazione del brevetto per in-venzioni industriali o per marchi d’impresa, la legge dispone che la sentenza, accertata la violazione del diritto, oltre a condannare il convenuto alla distruzione, rimozione, ecc., degli oggetti prodotti o delle parole, figure e segni con i quali la violazione è stata commes-sa, possa «fissare altresì una somma dovuta per ogni violazione successivamente contestata e per ogni ritardo nella esecuzione dei provvedimenti contenuti nella sentenza stessa».

Accanto a provvedimenti di condanna di contenuto repressi-vo e preventivo (inibitorio), si prevede esplicitamente il ricorso ad

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una tecnica di misure coercitive, che risponde al modello delle a-streintes.

In base a questo sistema, frutto di una elaborazione di natu-ra pressoché esclusivamente giurisprudenziale avvenuta in Francia nel secolo scorso e recepito dalla legislazione solo in epoca recente, il giudice è autorizzato, nel momento in cui pronuncia una con-danna all’adempimento di obblighi di fare o di non fare, a determi-nare la somma di danaro che l’obbligato è tenuto a pagare al credi-tore per ogni giorno di ritardo nell’attuazione del provvedimento giurisdizionale. La somma di denaro non è commisurata ai danni eventualmente subiti dal creditore, ma all’entità ritenuta dal giudi-ce idonea ad eliminare l’interesse dell’obbligato all’inadempimento e a spingerlo all’adempimento.

Altro esempio. 16. Segue: modello tedesco dello Zwangsgeld. – Secondo e-

sempio: l’art. 18, ult. comma l. 300/1970, per l’ipotesi di reintegra di un sindacalista interno illegittimamente licenziato, prevede che il datore che non ottemperi alla sentenza di condanna o al provvedi-mento sommario emesso al termine del procedimento disciplinato dall’art. 18, 7° comma, come modificato dall’art. 1, l. 108/ 90, sia tenuto, oltre alla retribuzione, a pagare al Fondo adeguamento pensioni una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nella reintegra.

Questo secondo esempio esibisce un’analogia con il modello tedesco dello Zwangsgeld, espresso dai §§ 888 e 889 ZPO (ma v. anche i §§ 354 e 355 EO austriaca). Come le astreintes anche que-ste misure sono utilizzate per l’adempimento di obblighi di fare e di non fare.

Le differenze rispetto al modello precedente sono dovute al segno più marcatamente pubblicistico delle misure coercitive ope-ranti nell’ordinamento tedesco, come risulta dalla previsione di una sanzione limitativa della libertà personale (arresto), nonché dalla circostanza che le pene pecuniarie sono devolute allo Stato e non al privato-creditore (in ciò risiede l’analogia esibita dall’art. 18, u. c. l. 300/1970).

17. Segue: modello inglese del contempt of Court. – Terzo e-

sempio: l’art. 28 l. 300/70, nel disciplinare il procedimento di re-

Commento [RC13]: Art. 140, comma 7 del d. lgs. n. 206 del 2005 (codice del con-sumo).

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pressione della condotta antisindacale, dispone che il giudice, una volta accertato il comportamento antisindacale denunciato, ordini «la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli ef-fetti». Per quanto riguarda l’attuazione del provvedimento, sia re-pressivo che preventivo, si prevede che, in caso di inottemperanza da parte del datore di lavoro, questi venga punito ai sensi dell’art. 650 c.p. Sulla stessa linea dell’art. 28 l. 300/70, v. anche gli artt. 15 l. 903/77 e 4, 8° comma l. 125/91 sulla parità tra uomo e don-na in materia di lavoro.

Inoltre, l’art. 44 d. lgs. 286/98 t.u. sull’immigrazione e sulla disciplina dello straniero, prevede una speciale azione civile contro la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, a seguito della quale il giudice può «ordinare la cessazione del com-portamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento i-doneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discrimi-nazione» e dispone altresì che l’elusione del provvedimento del giu-dice sia punita ai sensi dell’art. 388, 1° comma c.p.

In tutti questi esempi è utilizzata, in funzione di misura coer-citiva, la comminatoria di sanzioni penali.

In ciò essi non sono distanti da un terzo modello di misure coercitive, che è quello anglosassone del contempt of court: l’inasprimento della sanzione consiste nel consentire al creditore, in caso di mancato adempimento spontaneo della sentenza civile, di chiedere allo stesso giudice che l’inadempiente sia dichiarato colpevole di contempt e condannato all’arresto (che può essere in-flitto però «solo a chi era nella concreta possibilità di adempiere l’obbligazione, cioè in particolare abbia la cosa che deve consegna-re, possegga il denaro che deve versare») e/o al pagamento di una multa di cui normalmente è beneficiario il creditore.

18. Segue: assenza di un sistema generale nell’ordinamento i-

taliano. – La riforma del 2009 ha introdotto la seguente norma di carattere generale (art. 614-bis, c.p.c. - Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare): «Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni viola-zione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecu-zione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni vio-

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lazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409./Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, del-la natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile».

Dalla dispensa di aggiornamento del manuale: la nuova norma colma un vuoto del nostro ordinamento processuale che la dottrina aveva evidenziato già dai primi decenni del secolo scorso. La disciplina introdotta lascia però molto a desiderare: a) in primo luogo il suo non applicarsi “alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato” rappresenta una scelta tipicamente classista. In tema di misure coercitive da sempre vi è stato il limite del loro non applicarsi all’adempimento di obblighi consistenti nella prestazione di lavoro subordinato o autonomo: e ciò a garanzia della libertà personale del lavoratore, per non reintrodurre surrettiziamente forme moderne di schiavitù. Non si comprende invece perché gli obblighi infungibili del datore di lavoro pubblico o privato debbano godere di una simile esenzione: si consideri in senso contrario quanto previsto dal giudizio di ottemperanza e dall’ultimo comma dell’art. 18 l. 300/1970; b) si attribuisce al giudice un incontrolla-bile potere discrezionale, consentendogli di escludere le misure co-ercitive quando “ciò sia manifestamente iniquo”; c) si elude il pro-blema gravissimo, già postosi e pi risolto in Francia relativo al se le somme dovute a titolo di misura coercitiva si sommano o no con quelle dovute a titolo di risarcimento del danno; d) si afferma che il provvedimento di condanna “costituisce titolo esecutivo” per il pa-gamento delle somme dovute a titolo di misura coercitiva “per ogni violazione o inosservanza”, prima che sia anche solo possibile pre-vedere se la violazione o la inosservanza vi sarà: si elude cioè il re-quisito della liquidità proprio del titolo esecutivo.

19. Condanna in futuro. – Con tale provvedimento il titolare

del diritto è premunito, prima che l’obbligo sia inadempiuto, di un titolo esecutivo di natura giudiziale, cosicché il titolare può mettere in moto il processo di esecuzione forzata se (e non appena) l’inadempimento si verifica.

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Diversamente dalla condanna inibitoria, la condanna in fu-turo non mira tanto a prevenire la violazione del diritto, quanto ad eliminare il divario temporale tra il momento della violazione e la possibilità di iniziare il processo di esecuzione forzata, cosicché ap-pare più corretto inserirla tra le ipotesi in cui la condanna assolve una funzione repressiva.

L’ordinamento italiano non contiene una norma che ammetta la condanna in futuro in via generale, ma prevede ipotesi specifi-che, come quelle indicate nel paragrafo seguente.

20. Segue: ipotesi tipiche. – L’art. 657 c.p.c. consente al loca-

tore (o al concedente) di intimare al conduttore (o all’affittuario col-tivatore diretto, al mezzadro, al colono) «licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la contestuale citazione per la convalida». Il locatore può procurarsi così un titolo esecutivo, con cui ottenere il rilascio coattivo dell’immobile, in caso di inot-temperanza all’obbligo, una volta scaduto il termine contrattuale.

L’art. 664, 1° comma c.p.c., in ipotesi di sfratto per morosità, consente al locatore di ottenere «decreto d’ingiunzione per l’ammontare dei canoni scaduti e da scadere fino all’esecuzione dello sfratto». Anche in questo caso la condanna è richiesta per crediti futuri (i canoni da scadere), ma a differenza dell’ipotesi pre-cedente l’inadempimento è già in atto con riferimento ai canoni scaduti. Ciò rende verosimile o probabile che l’inadempimento si estenda ai crediti futuri.

L’art. 148 c.c. disciplina una interessante forma di tutela ur-gente diretta ad assicurare il concorso dei genitori negli oneri pa-trimoniali relativi all’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. In presenza di un’obbligazione normalmente periodica, il le-gislatore presuppone che l’obbligato svolga una attività oppure sia titolare di diritti che gli garantiscano un reddito a sua volta perio-dico e prevede quindi l’emanazione di un provvedimento contro il terzo debitor debitoris. Esso ha come contenuto l’ordine di versare direttamente, a chi sostiene le spese per il mantenimento, una quo-ta della somma che il terzo è tenuto periodicamente a versare al debitore inadempiente. La condanna in futuro è in questo caso giustificata dal carattere periodico degli obblighi, dall’inadempienza attuale che lascia presagire quella futura, nonché dall’importanza vitale che tali obblighi siano tempestivamente adempiuti.

Commento [RC14]: 657. Intimazione di licenza e di sfratto per finita locazione. — Comma 1. Il locatore o il concedente può in-timare al conduttore (c. 1571 ss., 1607 ss.), all'affittuario coltivatore diretto (c. 1647 ss.), al mezzadro (c. 2141 ss.) o al colono (c. 2164 ss.) licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la conte-stuale citazione per la convalida, rispettando i termini prescritti dal contratto, dalla legge o dagli usi locali (c. 1574, 1596, 29234). [..]

Commento [RC15]: 148. Concorso ne-gli oneri. — 1. I coniugi devono adempiere l'obbligazione prevista nell'articolo prece-dente in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro profes-sionale o casalingo (c. 1432). Quando i ge-nitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano a-dempiere i loro doveri nei confronti dei figli (c. 147, 3242). 2. In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in pro-porzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole (c. 1932). 3. Il decreto, notificato (p.c. 137 ss.) agli in-teressati ed al terzo debitore, costituisce tito-lo esecutivo (p.c. 474 ), ma le parti ed il ter-zo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica. 4. L'opposizione è regolata dalle norme re-lative all'opposizione al decreto di ingiun-zione (p.c. 645), in quanto applicabili. 5. Le parti ed il terzo debitore possono sem-pre chiedere, con le forme del processo ordi-nario, la modificazione e la revoca del prov-vedimento.

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21. Segue: problema dell’ammissibilità in via generale. –

Dall’esistenza delle predette tipiche ipotesi di condanna in futuro, alle quali potrebbero forse aggiungersi l’art. 156, 6° comma c.c. e l’art. 8 l. 898/70, nonché l’art. 18, 4° comma della l. 300/1970, nel testo modificato dalla l. 108/90, non è possibile desumere un ar-gomento decisivo a favore dell’ammissibilità in via generale di que-sta forma di tutela di condanna.

In senso contrario si solleva l’obiezione che il titolo esecutivo creato dalla condanna in futuro non attesta che l’inadempimento è attuale.

A ciò si può replicare che, in generale, il titolo esecutivo dà un certo grado di certezza dell’esistenza dei fatti costitutivi del dirit-to, mai dell’attualità dell’inadempimento.

Il problema è da affrontare bilanciando i motivi di opportuni-tà che militano a favore o contro l’ammissibilità della condanna in futuro.

A favore sono: esigenze di economia di giudizi, di evitare cioè giudizi reiterati per conseguire ciò che è dovuto periodicamente, qualora vi sia ragione di ritenere che tali giudizi si renderebbero in ogni modo necessari (ad es., debitore moroso nel pagamento di al-cune rate); esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, affin-ché, in tutte quelle ipotesi in cui l’intervento giurisdizionale deve essere rapido, la tutela esecutiva non sia frustrata dall’eccessivo divario temporale tra il momento della lesione e quello della concre-ta soddisfazione coattiva del diritto.

In senso contrario giocano invece il rischio della strumenta-lizzazione del processo, utilizzato con finalità vessatorie nei con-fronti del debitore, nonché il rischio che una tanto estesa possibili-tà di ricorrere al processo possa costituire un peso ingiustificato per gli organi giurisdizionali.

Si tratta di rischi effettivi, che però non dovrebbero condurre a negare l’ammissibilità della condanna in futuro, bensì a sottopor-la ad una valutazione rigorosa dell’interesse ad agire ex art. 100, come accade per l’azione di mero accertamento.

Inoltre non è da sottovalutare la capacità di dissuasione che potrebbe esercitare una prassi diretta a mettere a carico dell’attore vittorioso la condanna alle spese giudiziali, nel caso in cui la ri-

Commento [RC16]: 100. Interesse ad agire. — Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse (p.c. 81, 105).

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chiesta di una condanna in futuro non trovi giustificazione nel comportamento del debitore (art. 92, 1° comma, seconda parte).

22. Condanna generica. – Essa è disciplinata dall’art. 278, 1°

comma c.p.c.: «quando è già accertata la sussistenza di un diritto, ma è ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, il collegio, su istanza di parte, può limitarsi a pronunciare con sen-tenza la condanna generica alla prestazione, disponendo con ordi-nanza che il processo prosegua per la liquidazione»; nonché dall’art. 2818 c.c., secondo cui è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale anche la «sentenza che porta condanna [..] al risarcimen-to dei danni da liquidarsi successivamente».

23. Segue: distinzioni dalla sentenza di condanna. – La con-

danna generica si distingue sotto il profilo strutturale dalla senten-za di condanna, poiché non ha ad oggetto un diritto in senso stret-to, ma solo un segmento della situazione giuridica esistente tra le parti, cioè l’illegittimità dell’atto e la sua portata dannosa. A tale proposito si parla anche di condanna sull’an, cioè sul «se» il diritto esista, in contrapposizione alla successiva condanna sul quantum, che contiene la liquidazione del danno. Solo l’esplicita disposizione dell’art. 278, 1° comma consente eccezionalmente che tale segmen-to della situazione giuridica venga tratto ad oggetto (autonomo) di sentenza.

La condanna generica si distingue anche sotto il profilo fun-zionale dalla sentenza di condanna: mancando il requisito della li-quidità richiesto dall’art. 474, 1° comma, essa non costituisce titolo esecutivo e quindi non è diretta a reprimere la violazione (né a pre-venirla), ma ha lo scopo (in senso lato cautelare) di costituire anti-cipatamente un titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale ex art. 2818 c.c. Pertanto, la condanna generica può essere strumento di pressione psicologica sul soccombente affinché transiga sul quantum (si ricordi la possibile funzione coercitiva dell’ipoteca giu-diziale, v. indietro,).

Inoltre la giurisprudenza della Corte di cassazione, dopo un primo orientamento negativo, si è più volte espressa in senso favo-revole all’applicazione dell’art. 2953 c.c. alla condanna generica.

Commento [RC17]: 92. Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese. — Il giudice, nel pronunciare la con-danna di cui all'articolo precedente, può e-scludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rim-borso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte. Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensa-re, parzialmente o per intero, le spese tra le parti (p.c. 216; att. p.c. 152; c. 2877) . [..]

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24. Segue: distinzioni dalla sentenza di mero accertamento. – D’altra parte la sentenza di condanna generica si distingue anche dalla sentenza di mero accertamento, poiché l’ammissibilità di quest’ultima è sostanzialmente rimessa al potere discrezionale del giudice (art. 100), mentre la condanna generica è ammissibile sol che si rilevi l’idoneità strutturale dell’atto illegittimo ad arrecare un danno patrimoniale risarcibile. Inoltre, la sentenza di mero accer-tamento non è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

25. Segue: disciplina. – Poiché la condanna generica accerta

eccezionalmente un fatto giuridicamente rilevante, e non un diritto, nell’ulteriore corso del processo può accadere che si accerti in con-creto l’inesistenza del danno, cosicché la successiva sentenza sulla liquidazione privi di valore la precedente sentenza di condanna ge-nerica.

La sentenza di condanna generica è soggetta ad impugnazio-ne immediata o differita (artt. 340 e 361) e mantiene la sua effica-cia anche in caso di estinzione dell’ulteriore fase del processo diret-ta alla liquidazione del quantum (artt. 310, 2° comma c.p.c. e 129, 3° comma disp. att.).

Forzando il dato normativo, dottrina e giurisprudenza hanno ammesso la domanda avente ad oggetto la sola richiesta di con-danna generica. Ciò solleva un problema di tutela del diritto di di-fesa del convenuto: la pericolosità dell’ipoteca giudiziale iscritta in base a sentenza di condanna generica impone di consentire al de-bitore di ottenere, il più rapidamente possibile, una sentenza di li-quidazione per poter chiedere la riduzione dell’ipoteca. In tal senso, secondo la giurisprudenza, il convenuto può chiedere l’accertamento dell’entità dei danni, se l’attore ha chiesto unica-mente la condanna generica. Inoltre, l’attore può ridurre, durante il corso del processo, l’oggetto della domanda originaria, limitandolo alla sola condanna generica, se il convenuto non vi si oppone e-spressamente.

La condanna generica può essere pronunciata anche dal giu-dice penale in caso di azione civile esercitata in sede penale (art. 539, 1° comma c.p.p.).

26. Condanna provvisionale. – Qualora nel corso del processo

venga raggiunta la prova non solo dell’illegittimità dell’atto e della

Commento [RC18]: 340. Riserva fa-coltativa d'appello contro sentenze non defi-nitive. — Contro le sentenze previste dall'art. 278 e dal n. 4 del secondo comma dell'art. 279, l'appello può essere differito (att. p.c. 123-bis ), qualora la parte soccom-bente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza dinanzi al giudice istruttore successiva alla comunicazione del-la sentenza stessa (att. p.c. 129). Quando sia stata fatta la riserva di cui al precedente comma , l'appello deve essere proposto unitamente a quello contro la sen-tenza che definisce il giudizio (p.c. 2792 nn. 1, 2, 3) o con quello che venga proposto, dalla stessa o da altra parte, contro altra sen-tenza successiva che non definisca il giudi-zio. La riserva non può più farsi, e se già fatta rimane priva di effetto, quando contro la stessa sentenza da alcune delle altre parti sia proposto immediatamente appello.

Commento [RC19]: 129. Riserva d'ap-pello. Estinzione del processo. [..] Se il processo si estingue (p.c. 307) in pri-mo grado, la sentenza di merito contro la quale fu fatta la riserva acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa irrevocabile l'ordinanza, o passa in giudicato la sentenza, che pronuncia l'estinzione del processo (p.c. 310). Da questa data decorro-no i termini stabiliti dall'art. 325 del codice per impugnare la sentenza già notificata, e, se questa non è stata notificata, decorre il termine di decadenza stabilito dall'art. 327 del codice stesso.

Commento [RC20]: 539. Condanna generica ai danni e provvisionale. — 1. Il giudice, se le prove acquisite non consento-no la liquidazione del danno (p.p. 5382), pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile (p.c. 7 ss.). 2. A richiesta della parte civile, l'imputato e il responsabile civile sono condannati al pa-gamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la pro-va (p.p. 5402 , 574 s., 578).

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sua potenzialità dannosa (an), ma venga provata anche una parte dell’ammontare del danno (una parte del quantum), su istanza di parte, il giudice può accoppiare alla sentenza di condanna generica anche una sentenza parziale, di condanna in senso stretto, con cui inizia la liquidazione del danno (condanna provvisionale: art. 278, 2° comma).

Al contrario della condanna generica, la condanna provvisio-nale ex art. 278, 2° comma è un provvedimento di condanna vero e proprio. In quanto tale, esso è titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474, n. 1; è titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, per la somma in essa indicata; produce gli effetti disciplinati dall’art. 2953 c.c. Qua-le che sia l’esito dell’ulteriore fase del processo diretta alla liquida-zione definitiva del quantum, la condanna provvisionale non perde la sua efficacia, ma è modificabile solo mediante l’esperimento dei normali mezzi di impugnazione. Essa è soggetta ad autonoma im-pugnazione immediata o differita ex artt. 340 e 361 e, essendo sog-getta al regime delle sentenze non definitive di merito, sopravvive all’estinzione del processo ex art. 310, 2° comma.

La condanna provvisionale assicura all’attore, prima dell’emanazione della pronuncia definitiva di merito, almeno quella parte di quanto gli spetta, per la quale è stata già raggiunta la pro-va. Essa può sopperire quindi alle lungaggini patologiche del pro-cesso, nonché alla difficoltà di accertare il danno nel suo completo ammontare.

27. Tutela costitutiva. – Secondo l’art. 2908 c.c., «nei casi pre-

visti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».

Questa disposizione non recepisce solo un’elaborazione dog-matica dei primi decenni del XX secolo, ma rende tassative le ipote-si di tutela costitutiva. Ciò rischia di ostacolare l’effettività della tu-tela giurisdizionale, qualora una tutela effettiva sia realizzabile at-traverso forme di tutela dogmaticamente da qualificarsi come costi-tutive, che però la legge non abbia espressamente previsto. Da ciò il possibile contrasto dell’art. 2908 c.c. con i valori della atipicità del diritto di azione e della effettività della tutela giurisdizionale.

Commento [RC21]: In tal caso il colle-gio, con la stessa sentenza e sempre su i-stanza di parte, può altresì condannare il de-bitore al pagamento di una provvisionale nei limiti della quantità per cui ritiene già rag-giunta la prova (c. 2818; att. p.c. 129).

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28. Segue: norma-fatto-potere sull’an-accertamento giudiziale-effetto. – Ciò rivela l’importanza di determinare le caratteristiche proprie della tutela costitutiva e le sue differenze rispetto alla tutela di mero accertamento e di condanna.

Secondo la ricostruzione tradizionale, dovuta soprattutto alla dottrina tedesca degli inizi del XX secolo e, in Italia, a Chiovenda, le azioni costitutive si caratterizzano in quanto l’effetto giuridico so-stanziale (di costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici sostanziali, nei termini dell’art. 2908 c.c.) è collegato all’accertamento giudiziale dell’esistenza di un diritto potestativo che può essere esercitato solo in giudizio (diritto potestativo a ne-cessario esercizio giudiziale).

Questa ricostruzione deve essere inserita nel quadro delle tecniche di produzione degli effetti giuridici.

a) vi è innanzitutto lo schema norma-potere-effetto, che in-quadra il potere di autonomia privata e il potere amministrativo (v. il Manuale).

b) vi è poi lo schema norma-fatto-effetto; alla stregua di que-sta tecnica, la norma (se del caso non solo la norma contenuta in una legge, ma anche il precetto contenuto in un atto negoziale) det-ta la disciplina degli interessi in conflitto in ordine ai beni, colle-gando la nascita, la modifica o l’estinzione di situazioni giuridiche soggettive (poteri, doveri, facoltà) a determinati fatti (costitutivi, im-peditivi, modificativi, o estintivi).

L'effetto giuridico si produce sol che si verifichi il fatto previsto dalla nor-

ma, senza che sia necessario l’esercizio di alcun potere che attribuisca rilevanza giuridica a tale fatto.

Primo esempio: l’art. 922 c.c. collega immediatamente il sorgere del dirit-

to di proprietà a determinati fatti costitutivi (ad es., usucapione, accessione), senza che sia necessario l’esercizio di un potere di attribuire rilevanza a tali fatti.

Secondo esempio: l’art. 1230 c.c. collega immediatamente l’estinzione dell’obbligazione originaria all’accordo con cui le parti sostituiscono ad essa una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso (novazione oggettiva), senza che una delle parti debba successivamente dichiarare di attribuire rilevanza a tale accordo.

Terzo esempio: il diritto al risarcimento del danno consegue automatica-mente all’esistenza di un fatto illecito e all’inesistenza di cause di legittima difesa o di stato di necessità, senza che il danneggiato debba dichiarare di attribuire ri-levanza al fatto illecito.

Questo schema inquadra alcuni fra i più comuni fenomeni di

nascita, modifica o estinzione di diritti o obblighi sul piano del di-

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ritto sostanziale. In effetti esso ha valore di regola generale: se la norma non prevede qualcosa di diverso, sol che si verifichi il fatto previsto dalla norma sorge (si modifica o si estingue) l’effetto giuri-dico.

Questo schema può convenzionalmente denominarsi: norma – fatto – effetto.

Se viene dedotto in giudizio un effetto che corrisponde a que-sto schema, il giudice deve dichiararne l’esistenza o l’inesistenza sol che dagli atti del processo emergano i correlativi fatti rilevanti, senza che tale rilevanza sia loro attribuita da una dichiarazione delle parti.

Se si tratta di fatti costitutivi, si può parlare di fatti costituti-vi che operano ipso iure.

Se si tratta di fatti impeditivi, modificativi o estintivi, avremo il fenomeno delle eccezioni di merito rilevabili anche d’ufficio.

Riprendiamo in considerazione il primo esempio: dedotto in giudizio il di-

ritto di proprietà, il giudice ne accerta l’esistenza se dagli atti del processo emer-ge l’esistenza del fatto costitutivo, senza che la sua rilevanza debba essere fatta valere dall’attore: è sufficiente che egli abbia fatto valere il diritto, non già anche i relativi fatti costitutivi (con il potere processuale di azione si fanno valere in giudizio diritti e non la rilevanza giuridica dei fatti che ne costituiscono il fonda-mento). Se invece dagli atti del processo emerge l’esistenza di un fatto che giusti-fica la proprietà del convenuto, il giudice rigetta la domanda dell’attore, senza che la rilevanza giuridica di tale fatto (impeditiva o estintiva rispetto al diritto vantato dall’attore) debba essere fatta valere dal convenuto.

Riprendiamo in considerazione il terzo esempio: se deduce in giudizio il diritto al risarcimento del danno aquiliano, l’attore deve allegare il fatto illecito perché ciò è necessario per individuare il diritto (che è eterodeterminato) e non già perché il sorgere del diritto sia condizionato all’esercizio di un potere di attri-buire rilevanza al fatto illecito. Viceversa, il giudice dichiara l’inesistenza dell’obbligo e rigetta la domanda se dagli atti del processo emerge l’esistenza di un fatto impeditivo (ad es., lo stato di necessità), proprio perché la rilevanza di tale fatto non è subordinata all’esercizio di un potere da parte del convenuto.

Il carattere di regola generale dello schema norma – fatto - ef-

fetto consente di cogliere nell’art. 112 l’espressione del principio della rilevabilità d'ufficio degli effetti giuridici scaturenti da fatti modificativi, impeditivi o estintivi allegati al processo.

c) vi è inoltre lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto, 13.

Segue: norma-fatto-potere sull’an-effetto. – Le eccezioni in senso stretto, in cui il prodursi dell’effetto impeditivo, modificativo o e-stintivo è subordinato all’esercizio di un potere unilaterale di parte di attribuire rilevanza al fatto, rispondono invece a quella tecnica di

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produzione di effetti giuridici sul piano del diritto sostanziale in ba-se alla quale

Alla stregua di tale tecnica, la norma detta la disciplina degli inte-ressi in conflitto in ordine ai beni, individuando le situazioni giuridiche soggettive (poteri, doveri, facoltà) che si ricollegano a determinati fatti (impeditivi, modificativi o estintivi)

gli effetti si producono (le situazioni soggettive nascono, si modificano, si estinguono), solo se è esercitato un potere unilatera-le di parte di attribuire rilevanza al fatto.

Se concesso a un privato, un potere di questa specie presuppone

sempre, tra chi esercita il potere e il destinatario passivo, una relazione sostanziale, sulla quale incidono gli effetti dell’esercizio del potere. Tale esercizio produce la nascita, la modifica o l’estinzione di situazioni sog-gettive, le quali non possono che avere rilevanza impeditiva, modificativa o estintiva di tale relazione sostanziale.

La discrezionalità del titolare del potere non si spinge fino al-

la determinazione del contenuto della disciplina, come accade inve-ce in occasione dell’esercizio del potere di autonomia negoziale. In questo caso, tale contenuto è fissato tutto dalla norma. Il titolare del potere valuta unicamente se attribuire rilevanza al fatto. Per-tanto i poteri di questa specie possono convenzionalmente definirsi come poteri sull’an, cioè poteri relativi al «se» l’effetto giuridico si produca o meno (in contrapposizione al potere di autonomia nego-ziale, in cui l’esercizio del potere individua anche il contenuto della disciplina: v. indietro).

Questo schema si può sinteticamente definire come: norma-fatto-potere sull’an-effetto.

Primo esempio: ai sensi dell’art. 1500 c.c., il venditore può «riservarsi il

diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono». Con il cosiddetto pat-to di riscatto sorge a favore del venditore il potere unilaterale di trasferire di nuovo a sé la proprietà della cosa venduta, che può essere esercitato entro un termine di decadenza (contestualmente alla restituzione del prezzo al compratore e al rimborso delle spese e dei pagamenti legittimamente fatti per la vendita).

Secondo esempio: in ipotesi di inadempimento grave di una delle parti di un contratto a prestazioni corrispettive, l’art. 1454 c.c. consente alla controparte di provocare unilateralmente, in via stragiudiziale, la risoluzione del contratto tramite un procedimento complesso (cosiddetta diffida ad adempiere). Elemento ne è la dichiarazione, atto di esercizio di un vero e proprio potere sostanziale, che, decorso inutilmente il termine assegnato, il contratto si intende risolto.

Terzo esempio: l’art. 1456 c.c. prevede che i contraenti di un contratto a prestazioni corrispettive «possono convenire espressamente che il contratto si ri-solva nel caso che una determinata obbligazione (indipendentemente dal requisi-

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to dell’importanza dell’inadempimento di cui al precedente art. 1455 c.c.) non sia adempiuta secondo le modalità stabilite». In tal caso però la risoluzione si verifi-ca solo se «la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva»: essa si verifica, cioè, solo se è esercitato il potere sostanziale di attri-buire rilevanza al fatto inadempimento dedotto nella clausola.

Quarto esempio: nelle società di persone con più di due soci, l’art. 2286 c.c. attribuisce alla maggioranza dei soci il potere di escludere il socio responsa-bile di gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal con-tratto sociale. Anche in questo caso il fatto «grave inadempimento» determina la risoluzione del rapporto sociale a danno del socio inadempiente solo se la mag-gioranza dei soci esercita il potere di attribuire rilevanza a tale fatto.

Quinto esempio: ai sensi della l. 604/1966, il fatto «giusta causa» ex art. 2119 c.c. o «giustificato motivo» ex art. 3 l. 604/1966 determina la risoluzione del rapporto di lavoro in danno del lavoratore, solo se il datore di lavoro esercita il potere di attribuire rilevanza a fatti di tale specie: solo a seguito dell’atto di li-cenziamento.

Negli esempi precedenti la legge adopera un linguaggio so-stanziale, ma il fenomeno non muta in modo alcuno allorché la legge adoperi il linguaggio processuale della eccezione in senso stretto, ponendosi dall’angolo visuale del processo nel quale si vo-glia fare valere la rilevanza giuridica di un fatto idoneo a produrre effetti solo a seguito dell’esercizio di un potere riservato alla parte interessata.

Esempi. L’effetto estinzione del diritto per prescrizione non consegue au-

tomaticamente, secondo lo schema norma-fatto-effetto, al fatto decorso del tem-po, ma si produce ex art. 2938 c.c. solo se il debitore esercita il potere sostanzia-le di attribuire rilevanza al fatto estintivo prescrizione.

Lo stesso accade per l’estinzione o l’impedimento del diritto, in forza del verificarsi del fatto decorso del termine previsto a pena di decadenza, se si versa in materia non sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2969 c.c.).

Lo stesso accade per l’estinzione dell’obbligazione per compensazione ex art. 1242 c.c.

Si pensi infine all’annullabilità del contratto fatta valere dalla parte obbli-gata che non abbia ancora adempiuto: anche in questo caso l’effetto estinzione o impedimento dell’obbligazione inadempiuta non consegue automaticamente all’incapacità, al dolo, all’errore o alla violenza, ma si verifica solo in forza dell’esercizio del potere, riservato alla parte interessata, di attribuire rilevanza giuridica a tali fatti estintivi o impeditivi.

In tutte queste ipotesi l’effetto giuridico della modificazione, dell’impedimento o dell’estinzione della relazione sostanziale tra le parti non consegue automaticamente ai fatti modificativi, impeditivi o estintivi previsti dalla norma, ma si verifica solo a seguito dell’esercizio di un vero e proprio potere sostanziale, riservato alla parte interessata, di attribuire rilevanza giuridica a tali fatti (se del caso tramite eccezione in senso stretto nel corso del processo).

Ne segue che dedotto in giudizio, ad es., il diritto alla consegna di un be-

ne oggetto di compravendita, il giudice non può respingere la domanda sol che emerga dagli atti del processo l’esistenza di un patto di riscatto, del decorso del

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termine di prescrizione, dell’inadempimento dell’attore dedotto in una clausola risolutiva espressa, ecc. Ciò perché tali fatti assumono rilevanza giuridica solo in forza dell’esercizio del potere sostanziale riservato alla parte di attribuire loro ri-levanza.

È questo, in generale, il settore dei diritti potestativi sostan-ziali, in cui la rilevanza giuridica di determinati fatti modificativi, impeditivi o estintivi di una relazione sostanziale è subordinata all’esercizio di un potere di parte.

In ipotesi di questa specie l’esigenza di ricorrere al processo sorge dalla incertezza nelle relazioni sociali causata da contesta-zioni da parte del destinatario passivo circa l’esistenza dei fatti cui l’esercizio del potere pretende di dare rilevanza, oppure circa la le-gittimità formale (o procedimentale se del caso) delle modalità di esercizio del potere.

Attore può essere la parte che ha esercitato il potere: in tal caso essa mira ad ottenere tramite il processo l’accertamento im-mutabile degli effetti che la legge collega ai singoli fatti modificativi, impeditivi o estintivi, se vi è stato l’esercizio del potere.

Attore può essere anche la controparte (destinataria passiva dell’esercizio del potere): in tal caso essa mira ad ottenere un accer-tamento immutabile della esistenza ed efficacia delle situazioni soggettive che chi ha esercitato il potere pretende modificate, impe-dite o estinte.

A questa seconda ipotesi si può assimilare il caso in cui il convenuto sollevi un’eccezione in senso stretto: l’unica differenza specifica in questo caso è che il potere è esercitato nel corso del processo.

. Segue: sintesi sulla rilevabilità d’ufficio dell’efficacia dei fatti

allegati. – In sintesi, dall’esame dei due schemi norma-fatto-effetto e norma-fatto-potere sull’an-effetto scaturisce il principio della rileva-bilità d’ufficio dell’efficacia giuridica dei fatti (costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi) allegati in giudizio.

Ciò dipende dal carattere di regola generale dello schema norma-fatto-effetto, cioè dalla normale operatività dei fatti giuridici ipso iure, senza la intermediazione necessaria dell’esercizio di un potere riservato alla parte.

Eccezionali sono quelle ipotesi, come le eccezioni in senso stretto, nelle quali l’efficacia giuridica di un fatto allegato non è ri-levabile d’ufficio da parte del giudice, poiché è subordinata all’esercizio di un potere riservato alla parte.

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L’espressione «proporre» eccezioni (oltre all’art. 112, v. anche gli

artt. 180, 2° comma e 345, 2° comma) comprende quindi sia l’allegazione ad opera della parte del fatto impeditivo, modificativo, estintivo, sia il po-tere processuale (della sola parte nelle eccezioni in senso stretto, anche del giudice nelle eccezioni in senso lato) tramite il quale si fa valere in giudizio la rilevanza giuridica del fatto allegato.

Poiché la proposizione delle eccezioni di merito rilevabili an-che d'ufficio non è sottoposta a preclusione, il convenuto può non solo far valere la rilevanza giuridica di fatti operanti ipso iure tem-pestivamente allegati, ma anche allegare i relativi fatti (o fatti-diritti) impeditivi, modificativi, estintivi, fino al momento di precisa-zione delle conclusioni.

d) vi è infine lo schema di produzione degli effetti giuridici:

norma-fatto-potere sull’an-accertamento giudiziale-effetto, al quale ri-sponde la tutela costitutiva.

La norma detta la disciplina degli interessi in conflitto in or-dine ai beni, individuando le situazioni giuridiche soggettive (poteri, doveri, facoltà) che si collegano a determinati fatti. Tali effetti si producono (le situazioni soggettive nascono, si modificano, si estin-guono) non solo se è esercitato un potere unilaterale di parte di at-tribuire rilevanza al fatto, ma anche se è previamente accertata in giudizio l’esistenza dei fatti.

L’effetto giuridico è collegato ad una fattispecie complessa, di cui sono elementi costitutivi, oltre ai fatti e all’esercizio del potere, anche il previo accertamento giudiziale dell’esistenza dei fatti.

29. Segue: distinzione dall’autonomia privata. – Come il diritto

potestativo che può essere esercitato sul piano sostanziale, anche il diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale è un vero e pro-prio potere caratterizzato dalla discrezionalità del titolare nel suo esercizio o meno.

Esso si distingue dalla autonomia privata, perché si inserisce in una preesistente relazione sostanziale tra le parti, il suo eserci-zio costituisce uno degli elementi della fattispecie impeditiva, modi-ficativa, estintiva di tale relazione, e la discrezionalità non si spinge fino alla determinazione del contenuto degli effetti giuridici, che è previsto dalla norma giuridica.

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30. Segue: distinzione dal diritto di azione. – All’affermazione dell’esistenza del diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale si collega l’esistenza del diritto di azione.

Come in ogni altra ipotesi, anche in questa il diritto di azione è distinto dal diritto dedotto in giudizio e collegato alla mera affer-mazione della esistenza di quest’ultimo (configurandosi come aspi-razione ad un provvedimento di merito quale che sia e non ad un provvedimento di merito favorevole all’attore).

31. Segue: esempi. – Nella categoria delle azioni costitutive la

dottrina tradizionale comprende un eterogeneo complesso di ipote-si: a) azioni dirette ad ottenere la cosiddetta esecuzione specifica dell’obbligo contrattuale o legale di concludere un contratto ex artt. 2932, 1706, 2° comma c.c., ecc., o comunque dirette ad ottenere gli stessi effetti che si sarebbero potuti conseguire tramite una dichia-razione di volontà della controparte ex artt. 269, 1032 c.c., ecc.; b) azioni di annullamento, rescissione, risoluzione per inadempimento dei contratti ex artt. 1441 ss., 1447 ss., 1453 c.c.; c) azioni di nulli-tà del matrimonio ex art. 117 c.c., di scioglimento del matrimonio ex l. 898/1970, di disconoscimento della paternità ex art. 244 c.c., o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 c.c., ecc.

La categoria delle azioni costitutive è unitaria solo all’apparenza. Al suo interno si devono distinguere le azioni costi-tutive dirette a produrre effetti conseguibili anche in via di auto-nomia privata dalle azioni costitutive dirette a produrre effetti non conseguibili in via di autonomia privata.

All’interno della prima sottocategoria, sono poi da considera-re distintamente le ipotesi di attuazione coattiva di pretese all’adempimento di obblighi di rilasciare dichiarazioni di volontà.

Da tali operazioni scaturisce un ridimensionamento della ca-tegoria delle azioni costitutive e della rilevanza del diritto potestati-vo a necessario esercizio giudiziale.

32. Segue: attuazione giudiziale di obblighi di rilasciare dichia-

razioni di volontà. – Il primo gruppo di ipotesi è quello dell’attuazione coattiva di obblighi di rilasciare dichiarazioni di vo-lontà (v. già indietro).

Commento [RC22]: 2932. Esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un con-tratto. — 1. Se colui che è obbligato a con-cludere un contratto (c. 2504 , 1032, 1351, 1679, 17062 , 2597)non adempie l'obbliga-zione, l'altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (c. 2643 n. 14, 2652 n. 2, 2684 n. 6, 2690 n. 1, 2908). 2. Se si tratta di contratti che hanno per og-getto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasfe-rimento di un altro diritto, la domanda non può essere accolta, se la parte che l'ha pro-posta non esegue la sua prestazione (c. 1208 ss.) o non ne fa offerta nei modi di legge, a meno che la prestazione non sia ancora esi-gibile (att. c. 246).

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Esso rinviene il suo archetipo nell’art. 2932 c.c.; comprende fattispecie come quella ex art. 1032 c.c. (costituzione di servitù co-attive; tale disposizione può interpretarsi come previsione di un obbligo legale a contrarre), nonché come la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale ex art. 269 c.c., poiché essa può agevolmente sottendere, anche sulla base dell’art. 30, 3° e 4° com-ma Cost., un obbligo legale del genitore a riconoscere ex art. 250 c.c. il figlio naturale.

In questo primo gruppo è assente il potere sostanziale di at-tribuire rilevanza a fatti (è assente il diritto potestativo), ma vi è il potere processuale di agire per la attuazione coattiva della pretesa insoddisfatta al rilascio della dichiarazione di volontà. Occasione del ricorso al processo non è la necessità di accertare previamente in giudizio i fatti per conseguire gli effetti, bensì, come accade di re-gola, la crisi di cooperazione e la necessità di ottenere tramite il processo il bene che non si è riusciti ad ottenere in via di adempi-mento spontaneo (in questo caso, l’effetto della dichiarazione di vo-lontà). È rispettata pertanto la strumentalità del processo nei con-fronti del diritto sostanziale.

La peculiarità dell’obbligo di rilasciare una dichiarazione di volontà non è affatto di essere infungibile (l’art. 2932 c.c. dimostra al contrario la fungibilità), bensì di essere un’attività che non si ri-solve in un’opera materiale, per cui non si può impiegare l’esecuzione forzata degli obblighi di fare ex art. 612 ss.

Da ciò scaturisce la necessità di predisporre un processo che, accanto alla funzione cognitiva di accertamento della pretesa in-soddisfatta al rilascio di una dichiarazione di volontà, assolva an-che la funzione esecutiva di attribuire all’avente diritto il bene che avrebbe dovuto ottenere dall’adempimento dell’obbligo.

L’effetto che sarebbe dovuto scaturire dall’adempimento spontaneo è collegato direttamente alla sentenza emanata al ter-mine del processo di cognizione. Il carattere «costitutivo» della sen-tenza attiene solo alla funzione esecutiva che il processo è chiama-to ad assolvere, non è altro che il carattere costitutivo proprio di ogni esecuzione forzata: l’attribuzione al creditore del bene che a-vrebbe dovuto conseguire in via di adempimento spontaneo della pretesa insoddisfatta.

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Ne discende la correttezza sistematica della collocazione dell’art. 2932 c.c. nella sezione della esecuzione forzata in forma specifica.

Se questo è vero, non ha senso parlare, in relazione a questo primo gruppo di ipotesi, di azioni costitutive di cognizione.

33. Segue: attuazione giudiziale di effetti conseguibili anche in

via di autonomia privata. – Una volta escluse dall’ambito delle azioni costitutive ex art. 2908 c.c. le azioni volte all’attuazione coattiva di obblighi di rilasciare dichiarazioni di volontà, da tale ambito ven-gono sostanzialmente espunte le ipotesi di azioni dirette a costitui-re nuovi rapporti giuridici.

Rimangono solo le ipotesi di azioni costitutive dirette ad im-pedire o estinguere rapporti giuridici tra le parti.

Seguendo la distinzione prima indicata, si esaminano a que-sto punto le altre ipotesi di azioni costitutive dirette a produrre un effetto conseguibile anche in via di autonomia privata.

Si tratta dei casi di annullamento, rescissione, risoluzione giudiziale dei contratti e dei negozi unilaterali, di risoluzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni per inadempimento dell’onere ex artt. 648 e 793 c.c., di revocazione delle donazioni per ingratitudine o per sopravvenienza dei figli ex artt. 800 ss. c.c., di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie ex artt. 554 ss. c.c., di azione revocatoria ex art. 2901 c.c., ecc.

In tutte queste ipotesi l’annullamento, la rescissione, la riso-luzione, la revocazione, la riduzione è conseguibile anche in via di autonomia privata. Alla presenza di un contratto viziato da incapa-cità, errore, violenza, dolo o concluso in stato di pericolo o in stato di bisogno, le parti possono accordarsi non solo per ridurre ad e-quità, ma anche per annullare o rescindere il contratto. Con oppor-tuni adattamenti, esempi si potrebbero proporre riguardo a ciascu-no dei casi sopra elencati.

L’esercizio, nella forma della proposizione della domanda in giudizio, del potere sostanziale di attribuire rilevanza al fatto impe-ditivo o estintivo (l’errore, lo stato di pericolo, ecc.) è la modalità predeterminata legalmente tramite la quale l’annullamento, la re-scissione segue all’esercizio unilaterale del potere (cioè ad opera della sola parte colpita da errore, dallo stato di pericolo, ecc.).

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Anche in queste ipotesi si può scorgere una crisi di coopera-zione sul piano del diritto sostanziale. La stipulazione di un con-tratto alla presenza di uno stato di incapacità, errore, violenza o dolo costituisce un turbamento di quel libero potere di autodeter-minazione che è l’essenza e il fondamento della autonomia privata. Lo stesso vale per la conclusione di un contratto a condizioni ini-que, per la necessità nota alla controparte di sottrarsi ad uno stato di pericolo o ad uno stato di bisogno. L’inadempimento grave turba l’equilibrio del sinallagma funzionale.

Sebbene la crisi di cooperazione non consista nella violazione di un dovere generale di astensione posto a garanzia del godimento di un diritto reale o di un diritto della personalità, né nell’inadempimento di un obbligo, si può individuare un elemento, quanto meno oggettivo, di antigiuridicità, di inosservanza di una regola di condotta. Anche in queste ipotesi il processo assolve la funzione di assicurare al titolare del diritto tutto quello e proprio quello che gli è garantito dal diritto sostanziale, se si intende che tale funzione comprenda la repressione di fenomeni di antigiuridi-cità che turbano le relazioni tra privati.

Peraltro un’attenta analisi della disciplina sostanziale delle singole ipotesi di azioni dirette ad impedire o estinguere rapporti giuridici tra le parti condurrebbe probabilmente ad espungere mol-te di esse dall’ambito della tutela costitutiva e ad inserirle nell’ambito dello schema norma-fatto-potere sull’an-effetto, cui è correlata la tutela di accertamento.

34. Segue: azioni costitutive necessarie. – Questo ultimo grup-

po di azioni costitutive sono dirette a un effetto non conseguibile in via di autonomia privata (v. indietro): es., nullità del matrimonio, divorzio, disconoscimento della paternità o maternità, ecc.

L’effetto sostanziale «impedimento del sorgere della qualità di coniuge», collegato alle cause di nullità del matrimonio, l’effetto scioglimento del rapporto di coniugio, collegato alle cause di divor-zio, ecc. non è conseguibile in via di autonomia privata, tramite di-chiarazioni di volontà unilaterali o bilaterali, bensì solo a seguito dell’accertamento giudiziale della sussistenza di uno dei fatti previ-sti dalla legge.

Solo in queste ipotesi viene meno pressoché del tutto la strumentalità delle utilità assicurate dal processo nei confronti del

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diritto sostanziale. Il processo si presenta come elemento costituti-vo indispensabile della fattispecie cui è collegato il prodursi di un dato effetto giuridico. Perciò si tratta di ipotesi eccezionali, situate ai confini estremi della giurisdizione contenziosa, poiché non sem-pre è dato ravvisarvi una effettiva controversia tra le parti.

Si pensi ai molti processi di divorzio in cui entrambi i coniugi sono favorevoli o hanno interesse ad ottenere lo scioglimento del matrimonio; oppure, per fare un esempio che ha sempre suscitato perplessità, al giudizio di interdizione o inabilitazione.

Il ricorso al giudice è utilizzato in funzione di controllo pre-ventivo della sussistenza del fatto che giustifica un determinato ef-fetto. Ciò in considerazione della delicatezza delle materie e dell’eccezionale rilievo dato agli interessi in esse coinvolti.

35. Sentenze determinative: una critica. – Accanto alle senten-

ze di mero accertamento, di condanna e costitutive, una parte della dottrina ha elaborato una quarta categoria, le sentenze determina-tive. Essa inquadra le ipotesi in cui il giudice, in assenza di inte-grazioni determinate consensualmente dalle parti, è chiamato a de-terminare o specificare in via equitativa l’oggetto di obbligazioni in-dividuate dalla legge o dal contratto, attraverso criteri altamente elastici (ad es., la correttezza professionale di cui all’art. 2598, n. 3 c.c.; le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro di cui all’art. 3 l. 604/1966; la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi, di cui all’art. 844, 1° comma c.c.; il contemperamento tra le esigenze della produzione e le ragioni della proprietà, di cui all’art. 844, 2° comma, ma gli e-sempi sono molti).

In realtà, non sembra che vi sia ragione di raggruppare tali ipotesi in un’apposita categoria, che forse si giustificherebbe solo per casi eccezionali, che si situano nell’ambito della giurisdizione non contenziosa o ai margini della giurisdizione contenziosa, ad es. artt. 1349 c.c., 1183 c.c., 749 c.p.c.

Nelle altre ipotesi che vengono raggruppate in questa catego-ria, il giudice compie pur sempre un’attività interpretativa di cano-ni preesistenti, seppure risultanti da complesse ricostruzioni tipo-logiche della realtà sociale. In tali ipotesi si accentua il carattere creativo, valutativo che è sempre inerente all’interpretazione di norme giuridiche, in quanto attività ermeneutica (v. indietro).

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Non sembra quindi che vi sia spazio per ammettere un parti-colare potere determinativo in capo al giudice e, quindi, un ulterio-re schema di produzione degli effetti sostanziali, che si aggiunga a quelli già presi in considerazione (v. indietro).