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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRE Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica APPUNTI SU EQUAZIONI DIFFERENZIALI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI per il corso di Complementi di Matematica B. Palumbo, novembre 2005 (ultima revisione ottobre 2007) ~~~~~~~~~~~~~~ 1. Introduzione In questi appunti ci interessiamo delle sole equazioni differenziali ordinarie, perciò utilizzeremo il termine "equazione differenziale" (o brevemente con ED) per indicare un'equazione di tale tipo. Negli ultimi paragrafi daremo un cenno sui sistemi di ED ordinarie. La più generica ED di ordine n appare nella forma . (1.1) Si tratta cioè di una relazione nota tra la variabile x, la funzione incognita y (che è funzione di x), e le sue derivate fino all'ordine n, relazione che nel caso generale è scritta in forma implicita. Se è possibile risolvere la (1.1) rispetto alla derivata di ordine più elevato y (n) , allora l'equazione assume la forma

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TRELaurea Specialistica in Ingegneria Meccanica

APPUNTI SU EQUAZIONI DIFFERENZIALI E SISTEMI DI EQUAZIONI DIFFERENZIALI

per il corso di Complementi di MatematicaB. Palumbo, novembre 2005

(ultima revisione ottobre 2007)

~~~~~~~~~~~~~~

1. Introduzione

In questi appunti ci interessiamo delle sole equazioni differenziali ordinarie, perciò utilizzeremo il termine "equazione differenziale" (o brevemente con ED) per indicare un'equazione di tale tipo. Negli ultimi paragrafi daremo un cenno sui sistemi di ED ordinarie.

La più generica ED di ordine n appare nella forma

. (1.1)

Si tratta cioè di una relazione nota tra la variabile x, la funzione incognita y (che è funzione di x), e le sue derivate fino all'ordine n, relazione che nel caso generale è scritta in forma implicita.

Se è possibile risolvere la (1.1) rispetto alla derivata di ordine più elevato y(n), allora l'equazione assume la forma

, (1.2)

e in tal caso si dice che l'equazione è scritta in forma normale(1).Ad esempio, per n = 1 si ha un'ED del primo ordine, che nella forma più generale appare

come

, (1.3)

oppure anche in forma normale

, (1.4)

1 Va osservato che il termine "equazione in forma normale", riferito alle ED lineari del secondo ordine, a volte assume in altri contesti un diverso significato.

qualora la (1.3) sia esplicitabile rispetto ad y'.In modo analogo, la più generica ED del secondo ordine si scriverà come

, (1.5)

oppure, se possibile, in forma normale

. (1.6)

Non è possibile dare un metodo generale per la risoluzione di una generica equazione come la (1.1) o la (1.2), neppure nei casi apparentemente "semplici" (1.3), (1.4), (1.5) e (1.6); si possono tuttavia descrivere alcuni metodi che consentono di risolvere classi particolari di ED. È possibile inoltre dimostrare dei teoremi che assicurano, sotto opportune condizioni, l'esistenza oppure l'unicità della soluzione: in altre parole, è possibile in alcuni casi sapere che una certa ED, con l'aggiunta di alcune condizioni, ammette una soluzione, e magari che essa è unica, pur non avendo a disposizione un metodo per determinarla esplicitamente.

2. ED risolubili mediante integrazioni dirette

In alcuni casi la risoluzione di un'ED è molto semplice, in quanto essa si effettua calcolando uno o più integrali indefiniti. È il caso dell'equazione differenziale

, (2.1)

o, più in generale,

, (2.2)

cioè i casi in cui nell'ED appare una sola derivata di y, uguagliata ad una funzione nota f(x), che supponiamo continua in un intervallo I R.

La (2.1) si risolve direttamente individuando una qualsiasi primitiva di f nell'intervallo I, e quindi sommando alla funzione trovata una generica costante c: si ottiene in questo modo l'integrale generale dell'ED, cioè la famiglia di tutte le soluzioni dell'ED. Analogamente, la (2.2) si risolve attraverso n integrazioni indefinite consecutive.

ESEMPIO 2.1. Risolvere l'ED .SOLUZIONE. In mancanza di indicazioni in contrario, risolviamo il problema in tutto R,

dato che la funzione f(x) a secondo membro dell'ED data è continua in tutto R. Tramite una

semplice integrazione indefinita troviamo immediatamente l'integrale generale .

ESEMPIO 2.2. Risolvere nell'intervallo l'ED , con le condizioni y(0)

= 1 e y'(0) = 2.

2

SOLUZIONE. Determiniamo dapprima l'integrale generale dell'ED data, ignorando le

condizioni aggiuntive. Potendosi scrivere , si vede subito che una primitiva

di è ; perciò una prima integrazione dell'ED data porta alla nuova equazione

. (2.3)

Integrando ulteriormente la (2.3), troviamo l'integrale generale

. (2.4)

Ora applichiamo le condizioni specificate nel testo del problema. Dovendo essere y(0) = 1, sostituiamo 0 al posto di x e 1 al posto di y nella (2.4), ottenendo così c2 = 1. Per imporre invece la

condizione y'(0) = 2, sostituiamo 0 al posto di x e 2 al posto di y' nella (2.3), da cui . In

conclusione, la funzione y che soddisfa l'ED data e le due condizioni suddette è:

.

I semplici esempi appena svolti ci forniscono lo spunto per alcune osservazioni di carattere generale. In primo luogo, abbiamo osservato che l'integrale generale di un'ED è sempre una famiglia di infinite funzioni, cioè è dato da un'espressione in cui appaiono una o più costanti che possono assumere un qualunque valore reale. Precisamente, dobbiamo aspettarci che l'integrale generale di un'ED di ordine n sia una famiglia di funzioni dipendente da n parametri. Inoltre, osserviamo che l'aggiunta di opportune condizioni consente (almeno in alcuni casi) di trovare una sola funzione che soddisfa l'ED e tali condizioni. In effetti, il testo dell'esempio 2.2 si poteva anche scrivere come un sistema, cioè:

(2.5)

la cui risoluzione consiste appunto nel trovare una funzione y che sia soluzione dell'ED, ma per la quale la y e la y' abbiano dei valori fissati in un dato punto x0 dell'intervallo I. Un sistema come quello scritto in (2.5) è un esempio di problema di Cauchy del secondo ordine. Più in generale, un problema di Cauchy di ordine n è un sistema del tipo

(2.5)

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ammesso che l'ED si possa scrivere in forma normale. Nella (2.5) si ha un'ED di ordine n unita con n "condizioni iniziali", cioè condizioni in cui si assegna il valore della funzione incognita y e delle sue derivate (fino all'ordine n 1) in un fissato punto x0 appartenente all'intervallo I in cui varia x.

Se le condizioni sono date in modo diverso dalla (2.5), non si può più parlare di problema di Cauchy, ma si ha un altro tipo di problema differenziale. Ad esempio, un sistema come

nel quale si assegna il valore di y in due punti distinti di I viene detto problema di Dirichlet (del secondo ordine). Nelle applicazioni si trovano vari tipi di problemi differenziali, tra i quali il problema di Cauchy riveste una particolare importanza, sia perché per esso è possibile, sotto opportune ipotesi sulla funzione f, dare dei teoremi che garantiscono l'esistenza e l'unicità della soluzione, sia perché il problema di Cauchy del secondo ordine ha un importante significato fisico: se y è la "funzione di posizione", cioè la posizione di un punto materiale in funzione del tempo, le condizioni y(x0) = k0 e y'(x0) = k1 sono la posizione e la velocità del punto in un istante di tempo x0.

ESEMPIO 2.3. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Procedendo come sopra, abbiamo . Quando però tentiamo di

eseguire la successiva integrazione, ci troviamo di fronte ad un integrale non elementarmente risolubile, nel senso che la famiglia della primitive di non è esprimibile tramite le "comuni" funzioni algebriche o trascendenti. Per esprimere la soluzione, definiamo una primitiva di

tramite un'opportuna funzione integrale, precisamente poniamo (la scelta del

punto iniziale teoricamente sarebbe arbitraria nell'intervallo I, ma visto che le condizioni iniziali sono date in 0 conviene scegliere questo come estremo inferiore di integrazione). Troviamo così

l'integrale generale ; applicando infine le condizioni iniziali, otteniamo

, da cui , e , quindi c2 = 3 (dato che A(0) = 0). In

conclusione, la soluzione del problema di Cauchy è , definita in tutto R.

3. Equazione differenziale avente integrale generale assegnato.

Come abbiamo osservato, dobbiamo aspettarci che l'integrale generale di un'ED di ordine n sia una famiglia di funzioni contenente n parametri indipendenti (cioè, come si dice, una famiglia di n

funzioni). Si può anche affrontare il problema inverso, cioè la determinazione dell'equazione differenziale avente come integrale generale un'assegnata famiglia di funzioni.

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ESEMPIO 3.1. Determinare l'ED il cui integrale generale è .

SOLUZIONE. Visto che nella famiglia data appare il solo parametro c, deriviamo una volta e mettiamo a sistema l'equazione data con quella che si ottiene derivando:

A questo punto occorre eliminare il parametro c tra le due equazioni date. Ammesso che ciò sia algebricamente possibile, troviamo una relazione tra y e y' che costituisce l'equazione richiesta.

Dalla prima equazione ricaviamo c = (x2 + 9)(y x), espressione che sostituita nella seconda equazione dà:

,

cioè .

ESEMPIO 3.2. Determinare l'ED il cui integrale generale è .

SOLUZIONE. Il procedimento è simile a quello dell'esempio precedente. Essendo

, derivando abbiamo il sistema

Dalla prima equazione abbiamo , perciò . Sostituendo nella

seconda equazione troviamo , da cui l'ED

.

ESEMPIO 3.3. Determinare l'ED il cui integrale generale è .SOLUZIONE. Siccome i parametri sono due, deriviamo due volte e mettiamo a sistema

l'equazione data con quelle che si ottengono derivando:

5

Come nei casi precedenti, occorre eliminare i parametri a e b tra le tre equazioni. A tale scopo, cominciamo ricavando dalla prima equazione (non conviene scrivere esplicitamente a, dato che sia a che b appaiono sempre moltiplicate per e2x). Sostituendo nella

seconda equazione, troviamo , da cui . Perciò è anche

. Infine, sostituendo nella terza equazione, abbiamo

, da cui infine l'ED

.

ESEMPIO 3.4. Determinare l'ED il cui integrale generale è .SOLUZIONE. Il procedimento è del tutto analogo a quello degli esempi precedenti, con la

differenza che occorre derivare tre volte e quindi si ottiene un sistema di quattro equazioni tra le quali occorre eliminare tre parametri:

Dalla quarta equazione si ha ; la terza equazione diventa , da

cui . Osserviamo poi che il parametro a appare solo nella prima equazione, perciò

eliminando b e c tra le ultime tre equazioni otteniamo direttamente una relazione tra le tre derivate, che costituisce l'ED cercata (nella quale quindi non apparirà esplicitamente y). In effetti, sostituendo le due espressioni fin qui trovate nella seconda equazione, troviamo

, da cui infine l'ED .

Osservazione. Come si è visto dagli esempi precedenti, il procedimento si applica a tutti i casi in cui sia assegnata una famiglia di funzioni : basta derivare n volte e poi eliminare tra n + 1 equazioni così trovate gli n parametri (sempre che ciò sia "praticamente" possibile), allo scopo di trovare una relazione tra y, y', ..., y(n) nella quale non appaiano più i parametri. Tuttavia, se l'integrale generale dato appare nella forma

,

cioè come una combinazione lineare di n funzioni note, allora l'ED corrispondente si può ottenere uguagliando a zero un opportuno determinante di ordine n + 1; precisamente, basta scrivere:

6

.

Ad esempio, se è dato l'integrale generale , si scrive

Per semplificare il calcolo, osserviamo che nella seconda riga si può mettere in evidenza (e poi eliminare) il fattore e3x, e lo stesso si può fare nelle ultime due righe con il fattore ex. Così il determinante diventa

Possiamo naturalmente sviluppare il determinante secondo la prima riga (in modo da ottenere direttamente i coefficienti di y, y', ecc.; tuttavia osserviamo che il determinante si può ulteriormente semplificare sottraendo dalla seconda colonna la prima moltiplicata per 3:

Analogamente, sottraiamo dalla terza colonna la prima moltiplicata per 9 e dalla quarta colonna la prima moltiplicata per 27:

7

Perciò otteniamo l'equazione

cioè

Riducendo, si trova infine l'ED

4. ED la cui soluzione è esprimibile tramite un esponenziale

Vediamo qui alcuni semplici equazioni differenziali la cui soluzione può essere calcolata tramite un opportuno esponenziale.

Cominciamo con il semplice caso dell'equazione

, (4.1)

nella quale si chiede di individuare la famiglia di tutte le funzioni y la cui derivata y' coincide con la y stessa. Sappiamo che una funzione che soddisfa la (4.1) è y = ex, e d'altra parte è chiaro che ogni funzione della famiglia y = cex è soluzione della (4.1), in quanto D(cex) = cex. Si osservi che questa famiglia di funzioni comprende anche la funzione identicamente nulla, che si ottiene assegnando il valore 0 alla costante arbitraria c. Da queste considerazioni, si può pensare che l'integrale generale della (4.1) sia dato dalla formula

y = cex. (4.2)

In realtà, il ragionamento precedente non dimostra che la (4.2) comprenda effettivamente tutte le soluzioni della (4.1), perché potrebbero esistere altre funzioni che non rientrano in tale famiglia e che tuttavia soddisfano la (4.1). Per dimostrare allora che l'integrale generale è proprio quello riportato nella (4.2), supponiamo che y sia una generica funzione derivabile in tutto R, soluzione della (4.1), e definiamo la funzione . Ora, calcolando g'(x), troviamo

. Ma per ipotesi y soddisfa la (4.1), perciò è g'(x) = 0 per ogni x in

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R. Per un noto teorema del calcolo differenziale, concludiamo che deve essere per ogni x R(2), da cui appunto y = cex.

In modo analogo si risolve l'ED

, (4.3)

dove k(x) è una qualsiasi funzione continua in un intervallo J R. Supponiamo anche in questo caso che la soluzione sia espressa da un esponenziale, diciamo y = eP(x), dove P è un'opportuna funzione derivabile in J. Essendo , è chiaro che la (4.3) è soddisfatta se poniamo , cioè se P è una primitiva di k sull'intervallo J. Perciò, possiamo dire che una famiglia di funzioni che soddisfa la (4.3) è data dall'espressione

y = ceP(x), (4.4)

dove P(x) è una qualsiasi primitiva di k(x) sull'intervallo J.Per accertarci che la (4.4) dà effettivamente l'integrale generale della (4.3), ragioniamo come

sopra, definendo , dove y è una generica funzione derivabile in J soluzione della (4.3). Per ogni x J, abbiamo

,

che è identicamente nulla in J, dato che per ipotesi è zero. Ciò prova che in tutto J, cioè che y è proprio ceP(x).

Ovviamente, nell'esprimere la soluzione della (4.3) tramite la formula (4.4), si può trovare lo stesso ostacolo visto nel par. 2, cioè un integrale che non si può calcolare esplicitamente. In un caso

semplice come si ha k(x) = x, da cui , e quindi si trova subito l'integrale

generale . Se invece è dato ad esempio il problema di Cauchy

osserviamo dapprima che la funzione è continua nei due intervalli aperti (0 , 1) e

(1 , +), per cui l'integrale generale andrebbe determinato separatamente in ciascuno di questi due intervalli. In realtà, possiamo limitarci al solo intervallo J = (1 , +), dato che la condizione iniziale è assegnata in x0 = 2. Siccome però la primitiva di k(x) in I non è elementarmente calcolabile,

poniamo per ogni x > 1 (la scelta dell'estremo inferiore di integrazione è dettata dal

2 Si faccia molta attenzione all'applicazione di questo teorema. Esso afferma che se una funzione ha derivata nulla in un intervallo, allora essa è costante su tale intervallo (basta supporre che f sia continua in un intervallo [a , b] e derivabile in (a , b), anche se di fatto l'ipotesi f'(x) = 0 in tutto (a , b) porta al risultato che f è anche derivabile a destra in a e derivabile a sinistra in b). In ogni caso, il teorema è falso se il dominio D di f si divide in più intervalli "staccati": in questo caso si può affermare che f è costante separatamente in ciascuno degli intervalli che costituiscono D, ma tali costanti possono essere diverse da intervallo a intervallo.

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fatto che la condizione iniziale è data nel punto 2), e scriviamo l'integrale generale come y = ceP(x), con x I. Infine, applicando la condizione iniziale, teniamo conto del fatto che P(2) = 0; perciò

troviamo c = 3, da cui la soluzione del problema proposto .(3)

5. ED a variabili separabili

Un altro tipo di ED che si integra tramite integrazioni indefinite è costituito dalle equazioni a variabili separabili. Si tratta delle ED del primo ordine del tipo

, (5.1)

cioè un caso particolare della (1.4), dove la funzione G(x , y) è data dal prodotto di una funzione P dipendente solo da x ed un'altra funzione Q dipendente solo da y. Supponiamo naturalmente che P sia continua al variare di x in un certo intervallo I e che Q sia continua al variare di y in un certo intervallo J.

La (5.1) si può risolvere con il seguente procedimento: utilizzando la notazione di Leibniz,

scriviamo dapprima ; quindi moltiplichiamo i due membri dell'equazione per dx e dividiamo

per Q(y), ottenendo così l'uguaglianza

. (5.2)

Infine integriamo il primo membro rispetto ad y ed il secondo rispetto ad x (naturalmente aggiungiamo la costante arbitraria solo a uno dei due membri), ottenendo così un'uguaglianza che in generale definisce solo implicitamente l'integrale generale, in quanto non sempre è possibile esplicitare l'uguaglianza trovata rispetto ad y.(4)

Occorre però anche osservare che nel primo passaggio si è diviso tutto per Q(y), perciò il procedimento è lecito solo laddove la funzione Q(y) non si annulla. Supponiamo ora che Q(y) si annulli in un certo insieme di punti nell'intervallo J: se y0 è uno di questi, è chiaro che la funzione costante y = y0 è una particolare soluzione della (5.1), dato che la sua derivata è identicamente nulla. Perciò in generale occorrerà precisare che l'integrale generale va "completato" con un certo insieme (eventualmente infinito) di funzioni costanti, ciascuna corrispondente ad uno zero di Q(y). Chiariamo tutto ciò con alcuni esempi.

ESEMPIO 5.1. Risolvere l'equazione differenziale .SOLUZIONE. Procedendo come descritto sopra, abbiamo subito

,

da cui, integrando:

3 Si usa a volte la scrittura exp(f(x)) al posto di ef(x), soprattutto quando f(x) ha un'espressione "scomoda" da scrivere come esponente.4 Il procedimento qui illustrato va inteso nel senso che "formalmente" si interpreta dy/dx come se fosse un vero "quoziente". In effetti, esiste un teorema che assicura la correttezza del risultato, ottenuto apparentemente con un procedimento non accettabile.

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Poiché settsenh è invertibile in tutto il suo dominio, troviamo facilmente l'integrale generale , funzione derivabile in tutto R comunque si fissi la costante c.

In questo caso la funzione Q(y) non ha zeri reali, per cui non si hanno soluzioni costanti in aggiunta alle funzioni dell'integrale generale.

ESEMPIO 5.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Supponiamo inizialmente , cioè . Separando le variabili come sopra, troviamo

,

da cui, integrando:

.

Moltiplicando per 6, possiamo scrivere ; non c'è bisogno di scrivere 6c,

dato che un multiplo di una costante reale arbitraria è ancora un generico numero reale. Passando

all'esponenziale, scriviamo , o anche . Possiamo porre

(costante positiva), ma cambiando ancora nome alla costante possiamo anche scrivere

. In altre parole, ad ogni passaggio possiamo, all'occorrenza, cambiare la costante e

continuare a chiamarla c, eventualmente precisando l'intervallo in cui essa può essere fissata. Ora, siccome l'equazione |x| = b (con b positivo fissato) ha le due soluzioni x = b e x = b, possiamo

scrivere con c > 0, che è come dire con c costante non nulla. Infine, da

questa ricaviamo facilmente , dove per il momento la costante c può assumere un

qualsiasi valore diverso da 0.Occorre fare a questo punto alcune osservazioni. In primo luogo, abbiamo in questo caso

Q(y) = y2 9 = 0 per y = 3 e per y = 3; per quanto detto sopra, ciò implica che due particolari soluzioni dell'ED data sono le due funzioni costanti y = 3 e per y = 3. Ma si nota che la soluzioney = 3 si ottiene dall'integrale generale ponendo c = 0. Perciò possiamo concludere che l'integrale

generale è dato dalla famiglia di funzioni con c costante reale qualsiasi, e inoltre

dalla funzione costante y = 3.(5)

5 In realtà si può osservare che la soluzione y = 3 rientra anch'essa nel suddetto integrale generale, purché si ammetta di dare il valore + (oppure ) alla costante c. Ci sono però casi in cui una particolare funzione soluzione dell'ED non si può ottenere dall'integrale generale per nessun valore della costante (o delle costanti), né finito né infinito. Una tale soluzione viene detta integrale singolare dell'ED data.

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Applichiamo ora la condizione iniziale y(2) = 1: utilizzando l'equazione (che è

più semplice, in quanto in essa c appare una sola volta), abbiamo , da cui .

Sostituendo c nell'integrale generale, troviamo infine la soluzione .

Un'altra importante osservazione riguarda il campo di esistenza della soluzione. In questo caso abbiamo trovato una funzione definita su tutto R (dato che il denominatore non si annulla mai in R), ma è chiaro che per c positivo si trova una funzione che non è definita in tutto R. Si consideri infatti lo stesso problema di Cauchy, ma con la condizione iniziale y(0) = 5. Si ha allora

, da cui ; si ha così la funzione , che è definita per . Essendo

, abbiamo trovato una soluzione del problema nell'intervallo .

Vediamo ancora due casi particolari del problema di Cauchy per la stessa ED: se la condizione iniziale è ad esempio y(4) = 3, vediamo subito che la soluzione è la costante y = 3. Se invece la condizione iniziale è y(1) = (3), l'equazione in c diventa assurda; in effetti, in questo caso la soluzione è la costante y = 3 che prima era stata considerata a parte.

ESEMPIO 5.3. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. La separazione delle variabili dà , da cui , cioè

. Ma, essendo Q(y) = 0 per y = 0, si ha anche la soluzione y = 0. Ora, ponendo

nell'integrale generale la condizione y(1) = 0, troviamo c = 3, da cui la soluzione . Ma

anche la funzione y = 0 soddisfa la condizione iniziale, perciò in questo caso il problema di Cauchy ammette due soluzioni distinte.

ESEMPIO 5.4. Risolvere l'equazione differenziale .SOLUZIONE. L'ED data non è a variabili separabili, in quanto è impossibile scrivere il

secondo membro nella forma P(x)Q(y). In effetti, l'equazione proposta rientra nel tipoy' = f(ax + by), (5.3)

dove la f è una generica funzione della variabile ax + by (con a e b costanti reali). La (5.3) si riconduce facilmente ad una ED a variabili separabili, tramite la sostituzione u = ax + by, da cuiu' = a + by'. Nel nostro caso abbiamo u = x + y, quindi u' = 1 + y'; sostituendo, si ha l'equazione

, che è appunto a variabili separabili.

La separazione delle variabili porta all'uguaglianza , da cui successivamente:

;

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;

.

Infine, essendo u = x + y, si ottiene esplicitamente l'integrale generale . Come

al solito, va considerato che l'equazione in u ammette le due soluzioni u = 1 ed u = 1, da cui le due soluzioni particolari y = 1 x ed y = 1 x (in realtà quest'ultima si ottiene dall'integrale generale ponendo c = 0).

Naturalmente può accadere che l'uguaglianza ottenuta dalle due integrazioni definisca solo implicitamente y in termini di x, in quanto si può trovare un'equazione non esplicitabile rispetto ad y; ciò accade ad esempio nel caso dell'equazione .(6)

6. ED lineari del primo ordine

Prima di fare delle considerazioni generali sulle ED lineari di ordine qualsiasi, vediamo un metodo concreto per risolvere un'ED lineare del primo ordine in forma normale, cioè:

, (6.1)

dove a(x) e b(x) sono due funzioni continue in uno stesso intervallo J. In questo caso, non solo è possibile dare un'espressione esplicita dell'integrale generale della (6.1) (eventualmente espresso tramite opportune funzioni integrali non elementarmente calcolabili), ma si può anche determinare la soluzione del problema di Cauchy

(6.2)

dove x0 è un punto fissato in J e k un numero reale qualsiasi. Tale soluzione esiste sempre ed è unica (non si possono cioè verificare circostanze come quelle dell'esempio 5.3), ed inoltre il problema (6.2) è risolubile in grande, cioè la soluzione è definita in tutto l'intervallo J.

Per risolvere la (6.1), definiamo la funzione P(x) come una qualsiasi primitiva di a(x) nell'intervallo I. Quindi moltiplichiamo i due membri della (6.1) per il fattore eP(x), così da ottenere

. (6.3)

Ora osserviamo che il primo membro della (6.3) è la derivata di un prodotto, precisamente è la derivata di . Allora, integrando i due membri dell'uguaglianza

, (6.4)

6 Per altri tipi di ED riconducibili alle ED a variabili separabili, vedi ad esempio A. Ghizzetti, F. Rosati, Analisi Matematica, vol. II, Ed. Masson, 1992, pagg. 286-288.

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otteniamo (7), da cui infine l'integrale generale

. (6.5)

Osserviamo poi che nella (6.5) la costante c appare al primo grado, ed inoltre moltiplicata per un fattore certamente non nullo in J. Perciò, ponendo la condizione y(x0) = k, si troverà sempre un ben preciso valore per c, il che ci consente di determinare in modo univoco la soluzione del problema (6.2). È ovvio poi che la soluzione così trovata esiste in tutto J. Infatti, posto nella (6.5)x = x0 e y = k, si trova , per cui la soluzione del problema (6.2) è

. (6.6)

Nella pratica, non è conveniente imparare a memoria le formule (6.5) e (6.6); è molto meglio invece ripetere i passaggi del procedimento generale appena visto.

ESEMPIO 6.1. Risolvere l'equazione differenziale .SOLUZIONE. In questo caso l'intervallo J coincide con tutto R. Essendo x2 una primitiva di

2x in R, moltiplichiamo i due membri dell'equazione data per e otteniamo

,

cioè . Essendo poi , abbiamo

,

da cui infine l'integrale generale .

ESEMPIO 6.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Osserviamo in primo luogo che l'intersezione tra i domini di a(x) e di b(x) è

costituita dai due intervalli (0 e (0 , +). Ma la condizione iniziale è data in , per cui il

problema viene risolto in (0 , +). Essendo , abbiamo P(x) = log x, da cui . Si

ha quindi , cioè . Purtroppo l'integrale indefinito non è

7 Come al solito, per scrivere una qualsiasi primitiva del secondo membro della (6.4) avremmo potuto scegliere come estremo inferiore di integrazione un qualsiasi altro punto di I.

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elementarmente calcolabile, perciò la soluzione andrà espressa tramite un'opportuna funzione

integrale. Ponendo per semplicità , abbiamo l'uguaglianza

,

da cui l'integrale generale y = cx + xA(x). Ora, essendo , l'applicazione della condizione

iniziale dà , da cui . In conclusione, la soluzione del problema proposto è

.

7. L'equazione di Bernoulli

Si tratta di un caso particolare di ED del primo ordine non lineare, facilmente risolubile in quanto si riconduce con una opportuna sostituzione ad un'ED lineare.

L'equazione di Bernoulli ha la forma

, (7.1)

che è simile alla (7.1), a parte il fattore y. Anche in questo caso a(x) e b(x) sono due funzioni continue in uno stesso intervallo J. Supponiamo che sia un qualsiasi numero reale, ma per evitare di ricadere in casi già noti escludiamo i due valori particolari = 0 ed = 1.

Per risolvere la (7.1) si pone la sostituzione u = y1, cioè . In questo modo, si può

vedere in generale che la (7.1) diventa dello stesso tipo della (6.1), eventualmente previa eliminazione di un fattore del tipo u (che può dar luogo ad un integrale singolare).

ESEMPIO 7.1. Risolvere l'equazione differenziale .

SOLUZIONE. Si tratta di un'equazione di Bernoulli, in cui l'intervallo J coincide con R e l'esponente vale . Posto u = y1 () = y3, si ha , da cui (ricordando che la derivata si calcola

rispetto alla variabile x), . Perciò l'equazione data diventa:

,

cioè . In questo caso il fattore da eliminare per ricondurre l'equazione a

lineare è , che non può annullarsi, ma se si avesse invece un fattore u con positivo,

dovremmo considerare a parte anche la soluzione u = 0.

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Infine, l'equazione si risolve come sopra: moltiplicando per e9x si ha

, cioè . Si ha quindi , cioè (cambiando la

costante) . Infine, si ottiene l'integrale generale .

ESEMPIO 7.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Di nuovo J coincide con R; tuttavia si noti che una qualsiasi soluzione dell'ED deve avere codominio contenuto in [0 , +), altrimenti il secondo membro non ha senso (ciò significa tra l'altro che non si può dare una condizione iniziale y(a) = b con b < 0).

Essendo , poniamo , da cui y = u2 e quindi y' = 2uu'. Pertanto l'equazione

diventa 2uu' + u2 xu = 0, cioè u(2u' + u x) = 0. Qui, a differenza di quanto accadeva nel caso precedente, si raccoglie un fattore u, per cui eliminandolo si deve tener conto della soluzione u = 0,

da cui y = 0. La rimanente ED lineare dà , da cui . Perciò l'integrale

generale dell'equazione proposta è , ma a parte va considerato l'integrale singolare

y = 0.

Ponendo infine la condizione iniziale, troviamo , da cui , e da ciò

otteniamo la soluzione . Ma osserviamo che anche y = 0 soddisfa la condizione

iniziale, per cui in questo caso il problema di Cauchy ammette due soluzioni distinte.

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8. ED lineari di ordine qualsiasi

La più generica equazione differenziale lineare di ordine n in forma normale si scrive come

, (8.1)

dove le funzioni a1(x), a2(x), …, an(x), f(x) sono continue in uno stesso intervallo J R. Si osservi che tali funzioni possono essere di tipo qualsiasi, ad esempio possono essere funzioni trascendenti. L'aggettivo "lineare" si riferisce al fatto che il primo membro della (8.1) è lineare rispetto alle y, y', y'',..., y(n), cioè che esso è una combinazione lineare delle y(k) (k = 0, 1, ..., n) con coefficienti in generale dipendenti da x.

Se il termine noto f(x) è la funzione identicamente nulla in J, l'equazione si dice omogenea; invece nel caso generale, rappresentato dalla (8.1), l'equazione si dice non omogenea.

Non esiste alcun metodo generale per determinare tutte le soluzioni della (8.1) quando l'ordine è maggiore di 1, neanche nel caso dell'equazione omogenea, anche se è possibile dare dei metodi per casi particolari della (8.1); nonostante ciò, le ED lineari sono di grande importanza, a livello sia teorico sia applicativo. Infatti vi sono alcuni importanti teoremi validi per le ED lineari, per cui si conoscono molte proprietà delle soluzioni di tali equazioni (anche se non sempre questi teoremi danno indicazioni su come risolvere l'equazione); inoltre, le ED lineari, pur rappresentando una classe "ristretta" di equazioni, tuttavia appaiono in molti problemi applicativi, per cui il loro studio è importante sotto diversi aspetti.

Vediamo dapprima cosa dice la teoria delle ED lineari per quanto riguarda il problema di Cauchy. Fissato un punto x0 in J, si consideri il sistema

(8.2)

dove k0, k1, ..., kn1 sono n numeri reali fissati. Ebbene, un importante teorema afferma che il problema (8.2) ammette sempre una soluzione, e che tale soluzione è unica; inoltre essa è definita in grande, cioè in tutto l'intervallo J.(8)

Per quanto riguarda invece la struttura dell'insieme delle soluzioni della (8.1), possiamo enunciare un importante teorema valido per le ED lineari omogenee.

TEOREMA 1 (Teorema dimensionale). Data un'ED lineare omogenea di ordine n in forma

normale

, (8.3)

dove i coefficienti a1(x), a2(x), …, an(x) sono continui in un intervallo J R, il suo integrale generale è uno spazio vettoriale di dimensione n.

Questo teorema ci dice in primo luogo che se y1 e y2 sono due soluzioni della (8.3), allora anche la loro somma y1 + y2 lo è. Inoltre se y soddisfa la (8.3) ciò vale anche per y, con reale 8 Se l'equazione non è lineare, in generale il teorema così enunciato non è valido. Tuttavia, si può dimostrare che, sotto opportune ipotesi, esiste ancora una soluzione unica al problema di Cauchy, ma che in generale è una soluzione in piccolo, cioè è definita in un opportuno intorno di x0 contenuto in I.

17

fissato. Perciò possiamo affermare che se y1 e y2 sono due soluzioni dell'ED lineare omogenea (8.3), allora ogni loro combinazione lineare y1 + y2 ( ,  R) è ancora soluzione della stessa equazione. Non solo: se riusciamo a trovare n funzioni u1(x), u2(x), ..., un(x) che siano soluzioni della (8.3) e che siano linearmente indipendenti, allora l'integrale generale della (8.3) si può esprimere nella forma

,

cioè ogni soluzione della (8.1) si può scrivere (in modo unico) come combinazione lineare delle n funzioni u1, u2, ..., un: esse infatti costituiscono una base dello spazio vettoriale di tutte le soluzioni della (8.1).

Purtroppo questo teorema non dà alcuna informazione utile per individuare una base dello spazio in questione. Vedremo in seguito che il problema è risolubile in alcuni casi particolari, ad esempio quando i coefficienti sono costanti.

Enunciamo un altro importante teorema che utilizzeremo nel seguito. Esso mette in relazione l'integrale generale di una generica ED lineare nella forma (8.1) con quello della corrispondente equazione omogenea (8.3).

TEOREMA 2 (integrale generale di un'ED lineare non omogenea in forma normale). Data l'ED (8.1), si consideri dapprima la corrispondente ED omogenea (8.3), e si supponga di conoscere una base dello spazio delle soluzioni. Sia inoltre una soluzione particolare dell'equazione completa (8.1). Allora l'integrale generale di tale equazione è dato dalla formula

.

In altre parole, l'integrale dell'equazione non omogenea si ottiene sommando all'integrale generale dell'omogenea una qualsiasi soluzione particolare dell'equazione non omogenea. Si pone quindi il problema di determinare una tale soluzione particolare , una volta che siano note le funzioni u1, u2, ..., un, problema che sarà risolto in paragrafi successivi. Ciò significa che l'effettiva difficoltà nella risoluzione della (8.1) consiste nel risolvere l'equazione omogenea associata; se si riesce a risolvere questo problema, è sempre possibile (eventualmente tramite l'introduzione di opportune funzioni integrali) risolvere la (8.1).

9. ED lineari omogenee di ordine n a coefficienti costanti

Come già accennato sopra, questo è uno dei pochi casi in cui è possibile (a parte difficoltà algebriche) determinare esplicitamente n soluzioni indipendenti dell'ED lineare omogenea, e perciò scriverne l'integrale generale.

Sia data un'ED lineare omogenea a coefficienti costanti, cioè un'equazione del tipo

, (9.1)

dove a1, a2, ..., an sono n costanti assegnate (perciò è ancora un'equazione del tipo (8.3), dove però i coefficienti sono funzioni costanti su tutto R). Per determinare una base dello spazio delle sue soluzioni, cominciamo col vedere se essa ammette qualche soluzione del tipo y = ex. Essendoy' = ex, y'' = 2ex, ed in generale y(k) = kex, sostituendo nella (9.1) si trova

,

18

che, essendo ex 0, equivale all'equazione algebrica

, (9.2)

che si può scrivere P() = 0, se si indica con P() il polinomio , ottenuto sostituendo nel primo membro della (9.1) le derivate di y con le rispettive potenze di . Esso viene chiamato polinomio caratteristico dell'equazione (9.1), mentre la (9.2) viene detta equazione caratteristica dell'equazione differenziale (9.1).

Dunque la funzione ex è soluzione della (9.1) se il numero è una delle radici dell'equazione caratteristica (9.2); osserviamo inoltre che se le due funzioni ex ed ex sono linearmente indipendenti, e più in generale se i numeri 1, 2, ..., n sono tutti distinti allora le funzioni ,

, ..., sono linearmente indipendenti. Questo ci consente di scrivere l'integrale generale della (9.1) nel caso particolare in cui le radici dell'equazione (9.2) sono tutte reali e distinte: in tal caso le n funzioni , , ..., sono n soluzioni indipendenti dell'equazione (9.1), per cui l'integrale generale della (9.1) è:

.

Ovviamente, non sempre l'equazione caratteristica avrà n radici reali e distinte. In generale, dobbiamo aspettarci che essa presenti r radici reali distinte, di cui la prima 1 appare con molteplicità 1, la seconda 2 appare con molteplicità 2, ..., l'ultima r con molteplicità r, e che inoltre vi siano s coppie distinte di radici complesse coniugate, diciamo 1 i1 con molteplicità 1, 2 i2 con molteplicità 2, ..., infine s is con molteplicità s. In altre parole, l'equazione caratteristica si può scrivere nella forma

In questo caso è ancora possibile determinare n soluzioni indipendenti della (9.1), con le regole riportate di seguito.

Vediamo dapprima il caso dell'equazione del secondo ordine, cioè

Ay" + By' + Cy = 0. (9.3)

In questo caso l'equazione caratteristica assume la forma

A2 + B + C = 0, (9.4)

e quindi si hanno i seguenti casi:

1) B2 4AC > 0, perciò due radici 1 e 2 reali e distinte. Le funzioni esponenziali e sono due soluzioni indipendenti della (9.3), per cui l'integrale generale è

.2) B2 4AC = 0, perciò la (9.4) ammette una sola radice reale , di molteplicità 2. Una soluzione è

senz'altro , mentre un'altra soluzione indipendente da questa è . Perciò l'integrale generale è

19

.

3) B2 4AC < 0, perciò la (9.4) ammette le due radici complesse + i e i. Essendo questi numeri complessi distinti, si potrebbe ancora utilizzare uno schema simile a quello del primo caso e scrivere le due soluzioni della base come e , cioè rispettivamente ed . Tuttavia è possibile evitare di scrivere esponenziali complessi, in quanto esistono due funzioni reali linearmente indipendenti che soddisfano la (9.3), cioè ed (9). In conclusione, l'integrale generale è

.

Nel caso particolare che le radici siano immaginarie pure, cioè = 0, l'espressione precedente si riduce a .

ESEMPIO 9.1. Risolvere l'equazione differenziale .SOLUZIONE. L'equazione caratteristica è 2 + 2 = 0, le cui radici sono 1 = 2 e 2 = 1.

Perciò l'integrale generale è .

ESEMPIO 9.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. L'equazione caratteristica è 42 4 1 = 0, da cui . Perciò

l'integrale generale è . Siccome poi è , imponendo le

condizioni iniziali troviamo il sistema da cui c1 = 1 e . In conclusione, la

soluzione è .

ESEMPIO 9.3. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. L'equazione caratteristica è 2 + 4 7 = 0, per cui abbiamo le due radici complesse e . Perciò l'integrale generale è

. Siccome poi è ,

imponendo le condizioni iniziali troviamo il sistema da cui c1 = 0 e . In

conclusione, la soluzione è .

9 Il legame tra esponenziali complessi e funzioni goniometriche è dovuto al fatto che l'esponenziale nel campo complesso si può definire proprio utilizzando le funzioni seno e coseno (e conserva le stesse proprietà formali dell'esponenziale nel campo reale). Si pone infatti ez = ex+iy = ex(cos y + isen y).

20

Ora consideriamo il caso dell'ED lineare a coefficienti costanti (9.1) di ordine qualsiasi, la cui equazione caratteristica è la (9.2). Supponiamo di conoscere tutte le radici reali e complesse di tale equazione caratteristica con le loro molteplicità, come detto sopra. Possiamo allora dare le seguenti regola per individuare n soluzioni indipendenti della (9.1) da cui poi scriviamo esplicitamente l'integrale generale:

per ogni radice reale semplice si consideri la funzione ex; per ogni radice reale di molteplicità r 2 si considerino le r funzioni ex, xex, x2ex, ...,

xr-1ex. per ogni coppia di radici complesse coniugate + i e i di molteplicità 1, si considerino le

due funzioni ed ; nel caso particolare = 0 tali funzioni si riducono a e ;

per ogni coppia di radici complesse coniugate + i e i di molteplicità r 2 si considerino le 2r funzioni

,

funzioni che nel caso particolare = 0 si riducono a e .

ESEMPIO 9.4. Risolvere l'equazione differenziale .SOLUZIONE. L'equazione caratteristica in questo caso è 4 23 122 5 = 0, le cui

radici sono 1 = 2 = 3 = 1 e4 = 5. Alla radice tripla 1 corrispondono le tre funzioni , e , mentre alla radice semplice 5 corrisponde la funzione . Perciò

l'integrale generale dell'equazione proposta è

.

ESEMPIO 9.5. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. L'equazione caratteristica è 5 4 + 83 82 + 16 = 0, cioè( 1)(2 + 4)2 =0; si hanno quindi la radice reale 1 (semplice) e le radici complesse 2i (di molteplicità 2). Applicando le regole enunciate sopra, troviamo l'integrale generale

,

che si può anche scrivere come .

Per imporre le condizioni iniziali, deriviamo quattro volte:

.

21

Abbiamo quindi il sistema

la cui soluzione è , , , , . Perciò la soluzione del problema di

Cauchy è .

ESEMPIO 9.6. Determinare l'ED il cui integrale generale è .SOLUZIONE. Naturalmente, il problema si può risolvere uguagliando a 0 un opportuno

determinante, come si è visto alla fine del par. 3. Ma in questo caso la soluzione può essere trovata in modo ancora più rapido, osservando che le funzioni che appaiono nell'integrale generale dato sono proprio quelle che si ottengono risolvendo un'ED lineare omogenea a coefficienti costanti. Precisamente, l'equazione caratteristica deve avere in questo caso la radice 1 di molteplicità 1 e la radice 4 di molteplicità 2, perciò è , cioè . Quindi l'ED cercata è .

ESEMPIO 9.7. Determinare l'ED il cui integrale generale è .

SOLUZIONE. Si procede come nell'esempio precedente: l'equazione caratteristica deve avere la radice 0 di molteplicità 2 e la coppia di radici 1 3i di molteplicità 2. Perciò l'equazione caratteristica è , cioè , che svolta dà

. Da ciò l'ED .

Osservazione. Si noti bene che è possibile applicare il procedimento visto negli ultimi due esempi solo quando l'integrale generale dato è quello di un'ED lineare a coefficienti costanti. Perché ciò sia vero, è necessario non solo che esso sia la combinazione lineare di funzioni esponenziali o goniometriche dei tipi visti sopra, ma anche che, qualora vi sia una funzione del tipo xrex, appaiano anche le funzioni tipo ex, xex, ..., xr-1ex. Per quanto riguarda poi le funzioni goniometriche, è chiaro che ogni funzione dell'integrale generale del tipo excosx (eventualmente con = 0) deve essere accompagnata dalla corrispondente exsenx, e che inoltre se vi sono funzioni xpexcosx ed xpexsenx, siano presenti anche le funzioni xkexcosx ed xkexsenx per tutti gli esponenti k compresi tra 0 e p  1. Se queste condizioni non sono verificate, l'ED che ha come integrale generale una combinazione lineare di n funzioni date sarà ancora lineare omogenea, ma a coefficienti variabili, e per individuarla converrà uguagliare a zero un determinante, come si è visto alla fine del par. 3. Ad esempio, l'integrale generale è quello di un'ED lineare omogenea del quarto ordine a coefficienti costanti (basta imporre che l'equazione caratteristica ammetta la radice 1 tripla e la radice 2 semplice), mentre l'integrale generale

è quello di un'ED lineare omogenea, ma non a coefficienti costanti, perché se così fosse dovrebbe apparire nell'integrale generale anche la funzione xex. Per determinare l'ED richiesta occorre allora procedere come si è visto nel par. 3, e quindi scrivere

22

.

Analogamente, l'integrale generale non può essere quello di un'ED a coefficienti costanti, perché mancano le funzioni ed . Anche in questo caso è possibile trovare l'ED richiesta, risolvendo un opportuno determinante del terzo ordine: si troverà così un'ED lineare omogenea del secondo ordine a coefficienti variabili.

10. Soluzione di un'ED lineare non omogenea: metodo dei coefficienti indeterminati

Secondo quanto è stato detto alla fine del par. 8, per risolvere un'ED lineare non omogenea è necessario sommare all'integrale generale della corrispondente equazione omogenea una soluzione particolare dell'ED data. Si pone quindi il problema, una volta noto l'integrale generale dell'equazione omogenea, di determinare una soluzione particolare dell'equazione "completa".

In questo paragrafo vediamo una tecnica che consentono di risolvere il problema per un'ED lineare a coefficienti costanti, quando il secondo membro f(x) appartiene ad alcune particolari classi di funzioni. Questo metodo viene chiamato metodo dei coefficienti indeterminati.

ESEMPIO 10.1. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. Applicando i procedimenti visti nel paragrafo precedente, vediamo

immediatamente che l'integrale generale dell'ED omogenea associata (cioè ) è . Ora, per quanto riguarda la ricerca di una particolare funzione che sia soluzione

dell'equazione omogenea data, osserviamo che le derivate successive della funzione e-4x sono (a meno di fattori costanti) ancora e-4x. Perciò l'idea più semplice è quella di considerare come soluzione particolare la funzione , dove A è una costante da determinare. Risulta

e , per cui, sostituendo nell'ED data, si trova

,

da cui . Dunque la soluzione particolare cercata è , e di conseguenza l'integrale

generale dell'ED data è .

ESEMPIO 10.2. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'integrale generale dell'ED omogenea è . Dato

che le derivate successive di un polinomio sono polinomi di grado via via decrescente, questa volta poniamo come soluzione particolare , con A, B, C costanti da determinare. Risulta

, e , per cui, sostituendo nell'ED data, si trova

,

23

il che dà luogo al sistema Essendo la soluzione di tale sistema ,

, , la soluzione particolare è , perciò l'integrale generale è

.

ESEMPIO 10.3. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. L'integrale generale dell'ED omogenea è . Questa volta il secondo membro è del tipo p(x)ex, dove p(x) è un polinomio di secondo grado. Scegliamo allora come una funzione dello stesso tipo, dato che le derivate successive di q(x) ex, con q polinomio di grado n, sono ancora funzioni dello stesso tipo. Posto allora , abbiamo

e ; sostituendo, troviamo

il sistema la cui soluzione è , , . Si ha quindi la

soluzione particolare , ed infine l'integrale generale

.

La derivata di questa generica soluzione è ,

perciò le condizioni iniziali danno luogo al sistema la cui soluzione è

, . In conclusione, la soluzione del problema di Cauchy è

.

ESEMPIO 10.4. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'integrale generale dell'ED omogenea è . Ora, considerando

che il secondo membro è una combinazione lineare di sen 3x e di cos 3x, e che le derivate di tale funzioni danno ancora combinazioni di sen 3x e cos 3x, poniamo . Derivando due volte abbiamo e , e sostituendo nell'ED:

,

24

cioè , da cui (10)

Troviamo così e , e quindi l'integrale generale

.

Per concludere questo esempio, notiamo che se il secondo membro avesse presentato solo una delle due funzioni cos 3x e sen 3x, avremmo comunque dovuto considerare come una combinazione lineare delle due funzioni, cioè la stessa considerata in questo esempio.

Gli esempi precedenti suggeriscono che quando f(x) si presenta in una forma "semplice", come un esponenziale ex, eventualmente moltiplicato per un polinomio, oppure una combinazione lineare di funzioni goniometriche con argomenti lineari, o altre funzioni simili (cioè dello stesso tipo di quelle che costituiscono gli integrali generali di ED lineari omogenee a coefficienti costanti), possiamo cercare una soluzione particolare dello stesso tipo. Più avanti daremo uno schema completo per la ricerca di in tutti questi casi; nel frattempo però notiamo che non sempre la risoluzione è così semplice, perché talvolta non è possibile trovare una del tipo cercato.

ESEMPIO 10.5. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'ED omogenea è la stessa dell'esempio 10.1, perciò già sappiamo che il suo

integrale generale è . Possiamo pensare di procedere come sopra, ponendo . Essendo e , troviamo

,

che però è un'equazione assurda, in quanto il primo membro è identicamente nullo. La differenza rispetto all'esempio 10.1 è che in quel caso il secondo membro era , mentre questa volta è , funzione che già fa parte dell'integrale generale dell'omogenea. Il problema si risolve ponendo

, da cui e . Sostituendo nell'ED data, troviamo:

Eliminando il fattore , dobbiamo uguagliare un binomio di primo grado ad un numero, cosicché può sembrare di avere un sistema sovradeterminato. In realtà, se i calcoli sono eseguiti correttamente, il coefficiente di x deve risultare 0, perciò si deve ottenere una sola equazione

nell'incognita A. Infatti si ha 3A = 1, da cui , e quindi la soluzione particolare è . In

conclusione, l'integrale generale è .

ESEMPIO 10.6. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'integrale generale dell'omogenea è . Nell'esempio 10.3 si è visto

che quando f(x) è del tipo p(x)ex, con p(x) polinomio di grado m, occorre scegliere come una funzione dello stesso tipo. Perciò nel nostro caso si può pensare di porre

. Ma qui abbiamo una difficoltà simile a quella dell'esempio precedente: le funzioni ed rientrano nell'integrale generale dell'omogenea, perciò non 10 Il fatto che le due funzioni f(x) = sen3x e g(x) = cos3x sono linearmente indipendenti in tutto R implica che due loro combinazioni lineari Mf(x) + Ng(x) e Pf(x) + Qg(x) sono identiche se e solo se M = P ed N = Q.

25

possono apparire nella . Il problema si risolve moltiplicando tutto per x2 (perché 2 è la molteplicità della radice = 1 nell'equazione caratteristica). Abbiamo allora:

;;

,

e sostituendo nell'ED:

.

Anche qui osserviamo che nel primo membro i termini in x7 e in x6 si eliminano, cosicché otteniamo il sistema

dal quale otteniamo immediatamente la soluzione particolare , e quindi l'integrale

generale .

ESEMPIO 10.7. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'integrale generale dell'omogenea è . In questo caso

abbiamo una combinazione lineare di cos 4x e di sen 4x, con coefficienti polinomiali di grado 1 (in realtà il coefficiente di sen 4x sarebbe di grado 0, ma prevale il grado più alto). Dovremmo allora scrivere , ma qui la coppia di radici 4i appare nell'equazione caratteristica con molteplicità 1, perciò la forma corretta di si ottiene moltiplicando tutto per x. Abbiamo quindi:

;;

.

Sostituendo nell'ED abbiamo

.

26

Anche qui i termini di secondo grado si cancellano, per cui siamo condotti all'uguaglianza

,

che è identicamente verificata per A = D = 0, , . Si ha così l'integrale generale

.

ESEMPIO 10.8. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. L'integrale generale dell'omogenea è . Ora, se il

secondo membro è un esponenziale ex moltiplicato per una combinazione lineare di seno e coseno di x, in generale si cerca una della stessa forma; perciò poniamo , da cui e ; perciò:

,

da cui e , e quindi l'integrale generale

.

Per completare quest'ultimo esempio, osserviamo che se l'ED è , ci troviamo di fronte ad una difficoltà analoga a quella vista negli ultimi esempi, in quanto la funzione a secondo membro fa parte dell'integrale generale dell'equazione omogenea. In tal caso si sceglierà

. In generale, se il secondo membro è dato da un esponenziale ex moltiplicato per una combinazione lineare di sen x e di cosx, occorre controllare se la coppia di radici complesse i appare tra le radici dell'equazione caratteristica; se ciò non si verifica, allora si pone , se invece i numeri suddetti sono radici di molteplicità r dell'equazione caratteristica, si dovrà porre . In modo analogo ci si regola se f(x) è del tipo , dove p(x) e q(x) sono due polinomi. Lo schema seguente riassume tutti i casi in cui è applicabile il metodo dei coefficienti indeterminati.

f(x) = p(x), polinomio di grado m (eventualmente m = 0, cioè f(x) costante);se 0 non è radice dell'e.c., allora = polinomio di grado m (perciò m + 1 coeffic. indet.);se 0 è radice dell'e.c. di molteplicità r, allora = xr polinomio di grado m.

f(x) = ex;se non è radice dell'e.c., allora ;se è radice dell'e.c. di molteplicità r, allora .

f(x) = p(x)ex (p polinomio di grado m);se non è radice dell'e.c., allora polinomio di grado m;se è radice dell'e.c. di molteplicità r, allora polinomio di grado m.

f(x) = Pcosx + Qsenx (P, Q costanti, eventualmente una delle due nulla);se i non sono radici dell'e.c., allora ;

27

se i sono radici dell'e.c. di molteplicità r, allora . f(x) = ex(Pcosx + Qsenx);

se i non sono radici dell'e.c., allora ;se i sono radici dell'e.c. di molteplicità r, allora .

f(x) = p(x)cosx + q(x)senx (p, q polinomi il cui massimo grado è m);se i non sono radici dell'e.c., allora , dove L(x) e M(x) sono due polinomi ciascuno di grado m;se i sono radici dell'e.c. di molteplicità r, allora , L(x) ed M(x) come sopra.

f(x) = ex(p(x)cosx + q(x)senx) (p, q polinomi il cui massimo grado è m);se i non sono radici dell'e.c., allora , con L(x) e M(x) polinomi di grado m;se i sono radici dell'e.c. di molteplicità r, allora ,L(x) ed M(x) come sopra.

Occorre quindi osservare che nei casi più complessi (come ad esempio l'ultimo), il metodo dei coefficienti indeterminati, per quanto applicabile, può non essere conveniente a causa della grande quantità di calcoli da eseguire. Ad esempio, si consideri l'ED

;

si vede facilmente che le radici dell'equazione caratteristica sono 1/2 e , per cui l'integrale generale dell'omogenea è . Ora, il termine noto f(x) ricade nel caso più generale, quello in cui appaiono insieme polinomi, esponenziali e funzioni goniometriche. Considerando poi che i numeri sono radici (di molteplicità 1) dell'equazione caratteristica, dovremmo cercare una soluzione particolare del tipo

,

ma è chiaro che il calcolo delle prime tre derivate di questa funzione e la successiva sostituzione nell'ED data risultano oltremodo faticosi.

11. Soluzione di un'ED lineare non omogenea: metodo della variazione delle costanti

A parte le difficoltà di calcolo, il procedimento visto nel paragrafo precedente presenta un sostanziale limite: in primo luogo, si può applicare solo alle ED lineari a coefficienti costanti; inoltre, esso funziona solo se il secondo membro assume una delle forma particolari viste sopra (o una somma di esse).

In questo paragrafo diamo un metodo più generale per determinare una soluzione particolare di un'ED lineare non omogenea in forma normale a coefficienti qualsiasi, nell'ipotesi che sia noto l'integrale generale dell'equazione omogenea associata.

Premettiamo una definizione importante. Date n funzioni u1(x), u2(x), …, un(x), derivabilin 1 volte in un intervallo J, si può definire su J la seguente funzione:

28

, (11.1)

che viene chiamata matrice wronskiana relativa alle n funzioni date. Si osservi che la matrice wronskiana è una "funzione matriciale", nel senso che è una matrice quadrata di ordine n i cui elementi non sono numeri ma funzioni di x (si potrebbe anche dire che W(x) associa a ciascun x J una certa matrice n n).

Il determinante di W(x) (in generale dipendente da x) sarà detto determinante wronskiano (o semplicemente "wronskiano") delle n funzioni date, e sarà indicato con il simbolo w(x).

In particolare, per n = 2 la matrice wronskiana assume la semplice forma

,

e si ha in tal caso .Come abbiamo osservato, per definire W(x), e quindi w(x), basta considerare n funzioni

derivabili n 1 volte in J; se però funzioni u1(x), u2(x), …, un(x) sono n soluzioni indipendenti di un'ED lineare omogenea a coefficienti costanti, allora un teorema ci assicura che il determinante wronskiano w(x) non è mai nullo in J (cioè che la matrice W(x) è non singolare comunque si scelga x in J). Ciò è molto importante, perché nel seguito si considereranno sistemi lineari in cui la matrice dei coefficienti è proprio W(x).

Cominciamo ora ad illustrare il metodo della variazione delle costanti, considerando dapprima per semplicità il caso n = 2. Sia allora

(11.2)

una generica equazione lineare non omogenea in forma normale, con a, b, f funzioni continue in J. Supponiamo di conoscere l'integrale generale dell'equazione omogenea , espresso nella forma y = c1u1(x) + c2u2(x); per quanto osservato sopra, il wronskiano di u1(x) e u2(x) è sempre diverso da zero in J.

L'idea è la seguente: cerchiamo una soluzione dell'equazione (11.2) nella forma

, (11.3)

dove i coefficienti v1(x) e v2(x) sono due funzioni da determinare. In altre parole, si sostituiscono le costanti dell'integrale generale con due quantità variabili al variare di x (perciò si parla di "variazione delle costanti").

Supponendo che v1 e v2 siano derivabili in J, possiamo scrivere

. (11.4)

Ora, i coefficienti da determinare sono due, perciò oltre ad imporre che la (11.3) sia una soluzione particolare della (11.2), possiamo imporre un'ulteriore condizione restrittiva, allo scopo di semplificare i calcoli successivi. Precisamente, poniamo

, (11.5)

29

cosicché la (11.4) diventa

. (11.5)

Ora deriviamo la (11.5):

, (11.6)

ma questa volta imponiamo la condizione, (11.7)

cosicché la (11.6) diventa

. (11.8)

Ora, dalle (11.3), (11.5) e (11.8), vediamo subito che in effetti è una soluzione particolare della (11.2). Infatti, sostituendo e le sue derivate nel primo membro della (11.2), si ha:

.

Ma le espressioni tra parentesi quadre sono entrambe nulle, perché u1 e u2 per ipotesi sono due soluzioni dell'equazione omogenea associata alla (11.2). Ciò significa che il risultato è f(x), cioè appunto che è una soluzione particolare della (11.2).

Rimane solo da determinare esplicitamente le funzioni v1 e v2 che appaiono come coefficienti nella (11.3). Ricordiamo a tale scopo che nel corso del procedimento abbiamo posto le due condizioni (11.5) e (11.7), che ora riscriviamo come un sistema:

(11.9)

Visto che conosciamo u1 e u2, possiamo dire che (11.9) è un sistema lineare nelle incognite e . In questo sistema la matrice dei coefficienti è proprio la matrice wronskiana delle

due funzioni u1 e u2, il cui determinante w(x) è sempre diverso da 0 in J.Possiamo allora risolvere il sistema (11.9) applicando il metodo di Cramer: sostituendo alla

prima colonna i termini noti troviamo il determinante , che vale f(x)u2(x), perciò

abbiamo ; analogamente, sostituendo alla seconda colonna di W(x) i termini

noti abbiamo = f(x)u1(x), perciò . In conclusione, possiamo dare

per v1(x) e v2(x) le seguenti formule:

; ,

30

dove con il simbolo di integrale indefinito indichiamo una qualsiasi primitiva nell'intervallo J.

Riassumendo, se per un'ED lineare del secondo ordine in forma normale è noto l'integrale generale c1u1(x) + c2u2(x) dell'equazione omogenea associata, il procedimento per individuare una soluzione particolare dell'ED non omogenea si articola nei seguenti passaggi:

- si calcola il determinante wronskiano w(x);

- si calcolano i due integrali e , scegliendo

in ciascuno dei due casi nel modo più semplice la costante arbitraria;- si combinano linearmente le funzioni così trovate con u1(x) e u2(x), in modo da ottenere la

soluzione particolare .

ESEMPIO 11.1. Determinare l'integrale generale dell'ED nell'intervallo

SOLUZIONE. L'integrale generale dell'omogenea è , cosicché si trova

immediatamente . Possiamo quindi effettuare il calcolo di v1 e v2:

;

da cui risulta . Perciò l'integrale generale è:

.

ESEMPIO 11.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Visto il campo di esistenza di f(x) e le condizioni iniziali, è chiaro che sarà

J = (0 , +). L'integrale generale dell'omogenea è , perciò .

Abbiamo allora:

;

.

31

Il primo integrale non è elementarmente esprimibile, perciò introduciamo la funzione

, grazie alla quale possiamo scegliere come la funzione E(x). Troviamo così

, da cui l'integrale generale .Il calcolo di y' dà , cosicché l'applicazione delle

condizioni iniziali porta al sistema la cui soluzione è , . In

conclusione, la soluzione del problema di Cauchy è .

ESEMPIO 11.3. Determinare l'integrale generale dell'ED .SOLUZIONE. Questo è un caso in cui il metodo dei coefficienti indeterminati è teoricamente

applicabile, ma con calcoli molto lunghi. Infatti l'integrale generale dell'omogenea è . Siccome poi i numeri 2  3i sono radici semplici dell'equazione

caratteristica, bisognerebbe cercare una soluzione particolare del tipo

.

Per evitare calcoli eccessivamente lunghi, possiamo applicare il metodo della variazione delle

costanti. Abbiamo infatti . Allora:

;

;

Il primo integrale si calcola facilmente scrivendo ; integrando per

parti, si trova . Per il secondo, scriviamo , da cui,

integrando ancora per parti, troviamo . Perciò:

=

.

Il risultato può essere lasciato in questa forma, ma si può anche notare che è uguale a cos(6x 3x) = cos 3x, e che è

sen(6x  3x) = sen 3x. Perciò si può scrivere . Ma

osserviamo ulteriormente che è inutile inserire nella soluzione particolare funzioni che già fanno

32

parte dell'integrale generale. In altre parole, si può anche scegliere ,

per cui l'integrale generale è .

Concludiamo questo paragrafo osservando che il metodo della variazione delle costanti si può estendere alle ED lineari di ordine n 3. Il procedimento è il seguente: in primo luogo occorre scrivere la matrice wronskiana e calcolarne il determinante w(x). Si scrive quindi la matrice inversa W-1(x), utilizzando la nota regola per la quale si sostituisce a ciascun termine il suo complemento algebrico, si dividono i termini per il determinante, infine si traspone la matrice così trovata. In realtà, nel nostro caso non serve calcolare l'intera matrice inversa, perché alla fine occorre conoscerne solo una colonna: precisamente, si calcoleranno esplicitamente solo i complementi algebrici dell'ultima riga di W(x), sottintendendo gli altri, col risultato che alla fine si saranno calcolati esplicitamente solo gli elementi dell'ultima colonna di W-1(x). Dette z1(x), z2(x), ..., zn(x) queste funzioni, potremo calcolare vi(x) (i = 1, 2, ..., n) con la formula .

ESEMPIO 11.4. Determinare l'integrale generale dell'ED .

SOLUZIONE. L'integrale generale dell'omogenea è . La matrice

wronskiana è , e da qui si ha facilmente w(x) = ex ex ex

. Ora determiniamo la matrice inversa, calcolando però esplicitamente

solo i complementi algebrici dei termini dell'ultima riga:

.

Abbiamo allora:

;

;

,

da cui la soluzione particolare

. Ma anche qui notiamo che il termine è inutile, in

quanto già facente parte dell'integrale generale dell'omogenea. Abbiamo allora:

33

.

12. Equazione di Eulero

Come è già stato osservato, per un'ED lineare omogenea (anche in forma normale) a coefficienti variabili non è noto alcun metodo generale per trovarne n soluzioni indipendenti e quindi per scriverne l'integrale generale. Tuttavia esistono alcuni casi particolari in cui questo è possibile; in questo paragrafo vediamo un interessante tipo di ED lineare a coefficienti variabili, che prende il nome di equazione di Eulero.

Essa nel caso omogeneo appare nella forma

, (12.1)

cioè il coefficiente della derivata y(k) (k = 1, 2, ..., n) è una frazione avente a numeratore una costante ak e a denominatore xk. Questo vuol dire che la (12.1) va risolta nell'intervallo (0 , +) oppure ( , 0).

Nel caso più semplice (x > 0), si può dimostrare che tramite il cambio di variabile log x = t la (12.1) diventa un'ED lineare a coefficienti costanti, che può quindi essere risolta con i procedimenti visti nel par. 9: perciò la soluzione sarà espressa da una combinazione di funzioni dei tipi et, tket, etcos t ed etsen t, nonché tketcos t e tketsen t. Ma, data la relazione tra t ed x, ad ogni esponenziale et corrisponderà una funzione x, ad ogni tket corrisponderà (logx)kx, per il termine etcost si avrà xcos(logx) (analogamente per il seno), ed infine per il termine tketcost si avrà (logx)kxcos(logx) (analogamente per il seno).

Nella pratica, non è necessario scrivere esplicitamente l'ED a coefficienti costanti che si ottiene effettuando la sostituzione suddetta; più semplicemente, si pone y = x, si deriva n volte e si sostituisce direttamente nella (12.1), ottenendo così un'equazione di grado n nell'incognita . Tale equazione si può benissimo considerare come l'equazione caratteristica della data equazione di Eulero, ma a differenza di quanto accade per le ED a coefficienti costanti, in generale i coefficienti sono diversi da quelli dell'equazione data. Una volta trovate le radici, si ottengono immediatamente le funzioni della base, secondo lo schema detto sopra.

Nel caso che occorra risolvere la (12.1) nell'intervallo ( , 0), vale un discorso analogo a quello appena detto, con la differenza che x va sostituita con x.

ESEMPIO 12.1. Determinare l'integrale generale dell'ED nell'intervallo (0

, +).SOLUZIONE. Posto y = x, abbiamo y' = x1 e y" = ( 1)x; perciò, sostituendo

nell'equazione data, si trova

,

cioè 2 + 6 = 0, da cui le due radici 1 = 2 ed 2 = 3; si ha quindi l'integrale generale

.

34

ESEMPIO 12.2. Risolvere il problema di Cauchy

SOLUZIONE. Dalle condizioni iniziali, si deduce che il problema va risolto in J = (0 , +). Posto allora y = x, abbiamo come sopra y' = x1 e y" = ( 1)x; sostituendo, si trova

,

cioè 2 + 4 4 = 0, da cui 1 = 2 = 2; perciò questa volta l'integrale generale è

.

Poiché inoltre risulta , imponendo le condizioni iniziali si ha il sistema

e da qui la soluzione .

ESEMPIO 12.3. Determinare l'integrale generale dell'ED nell'intervallo

(0 , +).SOLUZIONE. Posto y = x, calcoliamo le prime tre derivate e sostituiamo, così da ottenere

l'equazione , che ammette le radici 3 e 2i. Perciò abbiamo l'integrale generale .

Se l'equazione data non è omogenea, per determinare una soluzione particolare sarà necessario applicare il metodo della variazione delle costanti.

ESEMPIO 12.4. Determinare l'integrale generale dell'ED

nell'intervallo (0 , +).SOLUZIONE. Procedendo come sopra, vediamo subito che l'integrale generale

dell'omogenea associata è . Per determinare la soluzione particolare , calcoliamo

dapprima ; abbiamo quindi:

;

35

,

da cui . In conclusione,

l'integrale generale è .

13. Abbassamento d'ordine

Esiste un altro procedimento che in alcuni casi particolari consente di ridurre l'ordine di un'equazione lineare omogenea; esso risulta particolarmente conveniente per alcune ED del secondo ordine.

Cominciamo col considerare una generica ED lineare omogenea in forma normale

y" + a(x)y' + b(x)y = 0, (13.1)

con le solite ipotesi sulle funzioni a e b. Supponiamo ora di conoscere una soluzione della (13.1), diciamo k(x); ora vedremo che in queste ipotesi è sempre possibile determinare un'altra soluzione della (13.1), linearmente indipendente da k, e quindi scrivere l'integrale generale della (13.1).

Posto y = ku(11), dove u è una nuova funzione incognita, abbiamo successivamente:

y' = k'u + ku';y" = k"u + 2k'u' + ku".

Sostituendo tali espressioni nella (13.1), essa diventa:

k"u + 2k'u' + ku" + a(k'u + ku') + bku = 0,

cioèku" + (2k' + ak)u' + (k" + ak' + bk)u = 0. (13.2)

Ma per ipotesi k è soluzione della (13.1), perciò il coefficiente di u nella (13.2) è nullo. Essa pertanto è ancora un'ED del secondo ordine in u, ma, non contenendo più il termine u, può essere abbassata d'ordine ponendo u' = z, da cui u" = z'. Troviamo così l'equazione

kz' + (2k' + ak)z = 0, (13.3)

che è una semplice equazione del tipo (4.3) (ma volendo si può interpretare come un'ED a variabili separabili). Trovata la z dalla (13.3), un'ulteriore integrazione dà la funzione u, dalla quale troviamo direttamente l'integrale generale della (13.1)(12).

11 Ovviamente bisognerebbe scrivere y = k(x)u(x), ma per semplicità qui e nel seguito omettiamo la x, comunque sempre tenendo presente che y, k, u, nonché a e b, sono funzioni dipendenti da x.12 Omettiamo per semplicità la dimostrazione del fatto che la funzione k(x)u(x) così trovata è linearmente indipendente da k(x).

36

Se poi l'equazione non è omogenea, si dovrà ricorrere al metodo della variazione delle costanti per trovarne una soluzione particolare.

ESEMPIO 13.1. Determinare l'integrale generale dell'ED

nell'intervallo (0 , +), sapendo che essa ammette la soluzione k(x) = ex.SOLUZIONE. In realtà, si può verificare che una qualunque equazione lineare a0(x)y(n) +

+ a1(x)y(n-1) + + an(x)y = 0 ammette la soluzione k(x) = ex se e solo se la somma dei coefficienti a0(x) + a1(x) + + an(x) è identicamente nulla (ovviamente ciò vale in un intervallo in cui a0(x) non

si annulla). L'equazione data verifica questa condizione, essendo

identicamente in tutto (0 , +); perciò poniamo y = uex e calcoliamo le prime due derivate:

y' = (u' + u)ex;y" = (u" + 2u' + u)ex.

Sostituendo, abbiamo , cioè . Posto

u' = z, questa diventa , la cui soluzione è z = c1x. Ma, dall'uguaglianza u' = c1x possiamo

ricavare u = c1x2 + c2 (cambiando come di consueto il valore della costante c1), ed infine abbiamo l'integrale generale richiesto:

u = c1x2ex + c2ex.

ESEMPIO 13.2. Risolvere il problema di Cauchy

sapendo che l'equazione omogenea ammette una soluzione polinomiale.

SOLUZIONE. Osserviamo in primo luogo che è possibile ridurre l'ED a forma normale nell'intervallo ( , 0) oppure in (0 , +), ma in questo caso sceglieremo quest'ultimo intervallo, avendo le condizioni iniziali assegnate nel punto 1. Tuttavia, non è necessario eseguire subito questa operazione, dato che il procedimento di abbassamento dell'ordine funziona anche per le ED non in forma normale.

Non avendo indicazioni sul grado del polinomio soluzione dell'equazione omogenea, proviamo a porre , da cui k'(x) = 2Ax + B e k"(x) = 2A. Sostituendo nell'equazione omogenea, abbiamo:

,

cioè , uguaglianza che è identicamente soddisfatta se B = 0 e C = A. Ciò significa che possiamo scegliere . Posto allora y = u(x2 + 1), abbiamo y' =

37

= u'(x2 + 1) + 2ux e y" = u"(x2 + 1) + 4xu' + 2u, espressioni che, sostituite nell'equazione omogenea, danno:

,

cioè . Con la solita sostituzione u' = z, si ha l'equazione a variabili separabili , il cui integrale generale è . Ma da

troviamo subito , e quindi l'integrale generale dell'omogenea:

.

Posto allora e , calcoliamo il determinante wronskiano:

.

Osserviamo però che il metodo della variazione delle costanti non può essere applicato direttamente, perché esso fornisce la soluzione particolare con le formule viste nel par. 11 solo se l'equazione è in forma normale. Perciò occorre prima scrivere

.

Il calcolo di v1 e v2 dà:

.

Abbiamo così

,

da cui l'integrale generale

. (13.4)

Dovendo risolvere il problema di Cauchy, deriviamo una volta:

38

, (13.5)

quindi sostituiamo le condizioni iniziali nelle (13.4) e (13.5), ottenendo così il sistema

cioè la cui soluzione è , c2 = settsenh 1. In conclusione,

la soluzione del problema di Cauchy è ,

definita nell'intervallo (0 , +).

14. Sistemi di equazioni differenziali: generalità; riduzione al primo ordine.

Consideriamo ora un sistema costituito di n equazioni, in ciascuna delle quali appaiono n funzioni incognite e le loro derivate fino a certi ordini prefissati.

Dette y1, y2, ..., yn le funzioni incognite, un generico sistema di ordine r si può scrivere nella forma

(14.1)

dove r coincide con il massimo tra r1, r2, ..., rn.Ad esempio, il sistema

è del secondo ordine, essendo 2 il massimo tra r1 = 2, r2 = 1, r3 = 2.Si dice che un sistema di ED è in forma normale se è possibile risolverlo rispetto alle derivate

di ordine più elevato delle varie funzioni incognite, così da poterlo scrivere come segue:

39

(14.2)

dove cioè le derivate di ordine più elevato appaiono soltanto nella prima colonna del sistema, mentre a secondo membro di ciascuna equazione l'ordine massimo di derivazione per la funzione yi

è ri 1.In realtà, nella teoria dei sistemi di ED è sufficiente limitarsi a considerare i soli sistemi del

primo ordine, in quanto ogni sistema di ordine r si può ridurre ad un sistema di ordine 1, dove però le funzioni incognite (e quindi le equazioni) non saranno più n, ma diventeranno r1 + r2 + ... + rn.

Per rendersi conto di come funziona questa riduzione al primo ordine, consideriamo un caso particolare, dove per semplicità supponiamo il sistema in forma normale:

(14.3)

In questo caso è r1 = 2, r2 = 1, r3 = 2. L'idea è molto semplice: per ciascuna derivata introduciamo una nuova funzione

incognita, in modo che nei secondi membri del sistema non vengano più scritte esplicitamente le derivate delle funzioni incognite. Nel nostro caso poniamo e , cosicché le tre equazioni del sistema (14.3) diventano rispettivamente ,

e Aggiungendo a queste tre equazioni le formule con le quali abbiamo introdotto le nuove funzioni incognite, ed ordinando rispetto alle derivate delle funzioni y1, y2, ..., y5, abbiamo infine il seguente sistema del primo ordine, ancora in forma normale:

Questo procedimento si può applicare in particolare quando si ha una sola ED; in altre parole, ogni ED di ordine n in forma normale si può scrivere in modo del tutto equivalente come un sistema (ancora in forma normale) di n ED del primo ordine. Infatti, si indichi la funzione incognita y con y1; si introduca poi per ogni derivata di y fino all'ordine n  1 una nuova funzione incognita, diciamo

, , ..., . Allora l'equazione data è equivalente al sistema

40

(14.4)

Perciò nel seguito ci limitiamo a considerare i soli sistemi di ED del primo ordine; nell'ipotesi che un tale sistema si possa scrivere in forma normale, esso apparirà in generale nella forma:

(14.5)

dove le fi sono funzioni continue di n + 1 variabili definite in uno stesso aperto A dello spazio Rn+1.Come caso particolare, si può considerare un sistema lineare, cioè un sistema in cui le

funzioni fi sono lineari rispetto alle variabili y1, y2, ..., yn. Si ha allora

(14.6)

dove i coefficienti aij(x) e i termini noti bi(x), sono funzioni continue in uno stesso intervallo J R.Il sistema lineare (14.6) è in generale non omogeneo; esso assume una forma più semplice se

supponiamo identicamente nulle le funzioni bi: si parla allora di sistema lineare omogeneo.Un'ulteriore semplificazione (che tuttavia, come vedremo tra poco, già può presentare

notevoli difficoltà di calcolo), si ha nel caso che il sistema sia omogeneo a coefficienti costanti, cioè che esso appaia nella forma

(14.7)

Con l'uso di notazioni vettoriali e matriciali, tutti questi sistemi si possono scrivere in modo molto più compatto. Adottiamo a tale scopo le seguenti convenzioni: la n-pla ordinata delle funzioni incognite y1, y2, ..., yn si può intendere come un vettore Y ad n componenti, che per comodità scriveremo come vettore colonna:

41

Anche l'n-pla ordinata di funzioni , ..., si può interpretare come un vettore F, precisamente come un campo vettoriale da Rn+1 in Rn. Allora il generico sistema del primo ordine in forma normale (14.5) si può scrivere come

. (14.8)

Nel caso particolare del sistema lineare non omogeneo (14.6), si definisca A(x) come la matrice il cui elemento generico è aij(x), e sia b(x) il vettore colonna di elementi b1(x), b2(x), ..., bn(x). Allora il sistema (14.6) assume la forma

, (14.9)

che diventerà nel caso omogeneo. Infine, il sistema lineare omogeneo a coefficienti costanti (14.7) assume la semplice forma

. (14.10)

15. Esponenziale di una matrice.

Sappiamo che l'ED del primo ordine y' = ay, dove a è una costante reale, ammette l'integrale generale y = ceax (si tratta di un caso particolare della (4.3)). Se poi si impone la condizione iniziale y(x0) = b, allora si ha l'unica soluzione , in particolare y = beax qualora la condizione sia assegnata nel punto x0 = 0.

Ebbene, si può dimostrare che anche per il sistema (14.10) valgono formule analoghe; per esporre tale procedimento, è necessario stabilire cosa si intende per esponenziale di una matrice.

Sia A una matrice quadrata di ordine n a termini complessi (in particolare reali). Ricordiamo che si indica con il termine autovalore di A un numero complesso per il quale l'equazione

Av = v (15.1)

ammette soluzioni non banali. Si osservi che nella (15.1) si suppone che v sia un vettore colonna ad n componenti, perciò Av indica l'ordinario prodotto righe per colonne. Dunque la (15.1) equivale a dire che esiste un vettore v diverso dal vettore 0 tale che il prodotto Av dia un multiplo di v. Un vettore che soddisfa la (15.1) viene detto autovettore relativo all'autovalore .

In pratica, per determinare gli autovalori della matrice A, si risolve l'equazione

det(A I) = 0, (15.2)

dove I è la matrice identità, cioè , che ha tutti i termini sulla diagonale principale

uguali ad 1 e tutti gli altri nulli. La (15.2) è detta equazione caratteristica della matrice A. Ad

esempio, per determinare gli autovalori di , basta scrivere , cioè

2 7 + 10 = 0; troviamo così i due autovalori 1 = 2 e 2 = 5. Per quanto riguarda la ricerca di un autovettore relativo ad esempio all'autovalore 1 = 2, basta scrivere l'equazione Av = 2v, che equivale al sistema

42

avendo supposto v uguale al vettore colonna . Si vede subito che una soluzione non banale del

sistema è il vettore , ma in realtà va bene qualunque vettore , visto che il sistema si

riduce alla sola equazione 2a + b = 0. In effetti, se per un certo esiste un vettore v che soddisfa la (15.1), esistono infiniti vettori che la soddisfano; tali vettori, insieme al vettore nullo (che comunque è una soluzione, sia pure banale, della (15.1)), costituiscono un sottospazio vettoriale di Rn. Infatti, ogni vettore v soddisfa ancora la (15.1), ed inoltre se v1 e v2 soddisfano la (15.1), ciò vale anche per v1 + v2. Si parla allora di autospazio generato dall'autovalore , il quale avrà una dimensione d n. Tale numero d viene detto molteplicità geometrica dell'autovalore ; si può anche dire che d è il numero massimo di autovettori linearmente indipendenti associati all'autovalore .

In pratica, per trovare la molteplicità geometrica di un autovalore , non è necessario determinare esplicitamente d autovettori indipendenti (per poi dimostrare che non possono essercene più di d), ma basta considerare la matrice A I; infatti la molteplicità geometrica di è uguale ad n r, dove r è il rango di A I.

Si definisce invece molteplicità algebrica dell'autovalore la sua molteplicità come radice dell'equazione caratteristica (15.2). Si noti infatti che la (15.2) è un'equazione algebrica di grado n nell'incognita , perciò essa avrà n radici nel campo complesso, purché ciascuna venga contata con la sua molteplicità.

Nell'esempio precedente, ciascuno dei due autovalori 1 = 2 e 2 = 5 ha molteplicità algebrica 1; ma si verifica subito che essi hanno anche molteplicità geometrica uguale ad 1: infatti, se uno di essi avesse molteplicità geometrica 2, l'autospazio da esso generato coinciderebbe con R2, perciò non esisterebbero autovettori associati all'altro autovalore(13). Perciò l'uguaglianza tra molteplicità algebrica e geometrica si ha in particolare quando gli autovalori di A sono tutti distinti: infatti in tal caso, associando ad ogni autovalore i un autovettore vi, tali autovettori costituiscono una base di Rn. Se però tra gli autovalori ne figura uno di molteplicità algebrica maggiore di 1, non è detto che la molteplicità geometrica coincida con la molteplicità algebrica. Per convincersi di questo fatto,

basta considerare la matrice . Gli autovalori sono dati dall'equazione

, che ammette la sola radice = 1, di molteplicità 3. Ma il rango della

matrice è 2, il che significa che la molteplicità geometrica di è solo 1.

Questo si può vedere esplicitamente anche risolvendo l'equazione Av = v, cioè il sistema:

dove a, b, c sono le componenti di v. Questo sistema è soddisfatto solo dai vettori v di componenti (a , 0 , 0), che costituiscono uno spazio vettoriale di dimensione 1.

13 Ovviamente un vettore v non nullo non può essere associato a due autovalori distinti.

43

Si consideri ora una matrice quadrata A(x) di ordine n, i cui elementi sono funzioni aij(x) definite in uno stesso intervallo J R. Per una matrice di questo tipo è facile definire il concetto di continuità: si dirà che A(x) è continua in x0 se tutte le funzioni aij(x) sono continue in x0, e allo stesso modo si procederà per la derivabilità. Si possono quindi estendere alle funzioni matriciali le classiche regole di derivazione: se A e B sono due matrici n n derivabili in uno stesso intervallo J, la derivata della matrice A + B sarà uguale alla matrice somma delle due derivate, mentre per il prodotto AB si avrà

(14).

Possiamo anche definire in modo ovvio il concetto di successione e di serie di matrici. Sia {Ak(x)} una successione di matrici quadrate di ordine n, dove per un fissato indice k la matrice Ak(x) ha termine generico akij(x), funzione definita in un intervallo J (indipendente dagli indici), e dove k varia nell'insieme dei numeri naturali(15). Si dice che la successione {Ak(x)} converge alla matrice A (di termini numerici aij) nell'intervallo J se per ogni fissato x, e per ogni coppia di indici (i , j), la successione numerica {akij(x)} tende al limite aij per k . Analogamente, data la successione di matrici {Ak(x)}, si potrà definire la serie di matrici da essa generata, che sarà la successione di

matrici {Sk(x)} il cui termine generico è , e il

concetto di convergenza sarà definito in modo analogo a quanto detto prima.Se A è una matrice quadrata di ordine m, a termini complessi, si definisce esponenziale della

matrice A, e si indica con il simbolo eA, la matrice somma della seguente serie:

, (15.3)

dove con il simbolo Ak si intende il prodotto righe per colonne della matrice A per se stessa k volte, mentre A0 è la matrice identità I.

Più interessante per le applicazioni successive è la matrice exA, cioè l'esponenziale della matrice di funzioni Ax, nella quale ogni termine è il prodotto del numero complesso x per il termine di posto (i, j) della data matrice A. Poiché il prodotto righe per colonne (xA)(xA) è uguale a x2A2, ed analogamente per le successive potenze di xA, la definizione di exA si ricava immediatamente dalla (15.3) scrivendo:

, (15.4)

serie che converge per ogni fissato x reale o complesso.

ESEMPIO 15.1. Data la matrice quadrata di ordine 3

,

14 Si faccia attenzione all'ordine in cui vengono eseguite queste operazioni, perché il prodotto righe per colonne non è commutativo.15 Nel dare le definizioni supponiamo che k parta da 1, ma è ovvio che con semplici aggiustamenti si possono considerare successioni e serie in cui k parte da un altro valore, ad esempio da 0.

44

calcolare eA ed exA.SOLUZIONE. Cominciamo con il calcolare le potenze successive di A. Abbiamo

e . Inoltre è

,

dopodiché notiamo che anche A3, A4, ... danno sempre una matrice uguale ad A2. Questo ci consente di scrivere

Detto sij il termine di posto (i , j) della matrice somma della serie, si vede subito che s11 è

uguale a , che converge alla somma e. Il termine s12 è ovviamente nullo, e lo stesso

vale per s13, s21, s31 ed s32. Inoltre è s22 = 1, s23 = 1, ed anche s33 = 1. Perciò si ha

. (15.5)

Per calcolare exA, si considera la stessa serie, nella quale ciascun termine è moltiplicato per xk; si ha allora:

,

che naturalmente si riduce alla (15.5) nel caso particolare x = 1.Nell'esempio appena visto è stato possibile calcolare direttamente la matrice esponenziale, in

quanto le potenze di A da un certo esponente in poi davano sempre la stessa matrice. Analogamente, il calcolo è molto semplice se le potenze An danno la matrice identicamente nulla per tutti gli esponenti n da un certo n0 in avanti, perché in tal caso la serie (15.3) oppure (15.4) si riduce ad una somma finita. Un altro caso in cui è facile scrivere direttamente exA si ha quando A è una matrice

diagonale, cioè con termini non nulli solo sulla diagonale principale. Ad esempio, se (a,

45

b complessi), si vede subito che , , e in generale . Da ciò

si ricava facilmente .

Se però si considera una generica matrice A, l'applicazione diretta della (15.3) o della (15.4) è praticamente impossibile, perché in generale non abbiamo a disposizione una formula semplice per

esprimere la potenza Ak. Se ad esempio consideriamo di nuovo la matrice , vediamo che

, , e se poniamo , abbiamo a0 = d0 = 1, b0 = c0 = 0, e

inoltre per ogni k 0:

sistema di relazioni di ricorrenza molto difficile da risolvere.Vedremo successivamente alcuni metodi per il calcolo della matrice esponenziale. Nel

frattempo vediamo come essa può essere utilizzata per risolvere alcuni sistemi di ED del primo ordine. Vale a tale proposito il seguente teorema:

TEOREMA 3 (Esistenza e unicità della soluzione per un sistema di ED lineari a coefficienti costanti del primo ordine con condizioni iniziali). Sia A una matrice quadrata di ordine n (i cui termini sono numerici), e sia b un vettore colonna (n 1) assegnato in Rn. Allora il sistema Y' = AY, con la condizione iniziale Y(x0) = b, ammette una ed una sola soluzione, definita in tutto R. Tale soluzione è espressa dalla formula

. (15.6)

In altre parole, se è nota la matrice esponenziale , il prodotto scalare delle n righe di tale matrice per il vettore dei valori iniziali b dà l'n-pla ordinata delle n funzioni che costituiscono la soluzione. Ovviamente la (15.6) diventa se le condizioni sono date nel punto x0 = 0.

16. Calcolo della matrice esponenziale: il caso della matrice diagonalizzabile.

Come si è visto sopra, un caso particolare in cui è facile calcolare exA si ha quando la matrice A è diagonale. Un altro caso interessante è quello in cui A è diagonalizzabile, cioè quando esiste una matrice non singolare C e una matrice diagonale D tali che A si possa scrivere come CDC-1. (equivalentemente si può scrivere AC = CD). In questo caso abbiamo successivamente:

A1 = CDC1; A2 = (CDC1)(CDC1) = CD2C1; A3 = (CD2C1)(CDC1) = CD3C1,

e in generale Ak = CDkC1. Questo ci consente di applicare facilmente la (15.4), ottenendo così:

46

. (16.1)

In realtà, gli elementi della matrice diagonale D non sono incogniti, ma sono proprio gli autovalori di A. Vale anzi il seguente teorema: la matrice A è diagonalizzabile se e solo se ciascuno dei suoi autovalori ha molteplicità algebrica uguale alla molteplicità geometrica.

Per quanto osservato prima, una condizione sufficiente per la diagonalizzabilità è che gli autovalori di A siano tutti distinti. Possiamo quindi vedere alcuni esempi di risoluzione di un sistema di ED quando A verifica questa ipotesi.

ESEMPIO 16.1. Determinare l'integrale generale del sistema di ED

quindi determinarne la soluzione con la condizione iniziale data nei seguenti casi:1) y1(0) = 4, y2(0) = 2;2) y1(1) = 2e, y2(1) = 3e.

SOLUZIONE. Si osserva subito che gli autovalori della matrice sono 1 = 2 e

2 = 5. Esiste allora una matrice non singolare tale che risulta A = CDC1, dove D è la

matrice . Per determinare C, scriviamo AC = CD ed eseguiamo i prodotti righe per colonne:

;

,

da cui il sistema nel quale solo due equazioni sono indipendenti. Una soluzione è ad

esempio a = 1, b = 1, c = 2, d = 1, perciò si può scegliere . Essendo det(C) = 3,

troviamo subito la matrice inversa , e applicando la (16.1) abbiamo:

47

.

Ora, per determinare l'integrale generale del sistema dato, possiamo supporre che in x = 0 il

vettore delle condizioni iniziali sia , dove c1 e c2 sono due costanti reali arbitrarie. Allora si ha:

.

Se in particolare poniamo le condizioni iniziali specificate nella 1), troviamo:

.

Per risolvere invece il problema con le condizioni iniziali 2), occorre moltiplicare righe per

colonne la matrice e(x1)A con il vettore . Si ha quindi:

.

ESEMPIO 16.2. Risolvere il sistema di ED

con la condizione iniziale y1(0) = 3, y2(0) = 2.

SOLUZIONE. In questo caso l'equazione caratteristica è , cioè 2 + 1 = 0,

per cui gli autovalori sono 1 = i e 2 = i. Essendo tali autovalori distinti, la matrice A è certamente

diagonalizzabile. Posto, come nell'esempio precedente, , scriviamo

,

48

da cui il sistema che è soddisfatto ad esempio da a = 2, b = 2, c = 3 i, d = 3 + i,

perciò si può porre . Da det(C) = 4i troviamo

; perciò:

,

cioè , grazie alle note le formule eix + eix = 2 cos x,

eix eix = 2i sen x.

Eseguendo infine il prodotto con il vettore , si trova la soluzione .

ESEMPIO 16.3. Risolvere il sistema con

SOLUZIONE. In questo caso la matrice A è , i cui autovalori sono 1 = 1 e

2,3 = 1  2i, per cui la matrice è diagonalizzabile. Posto allora , scriviamo

,

da cui il sistema

49

per il quale una soluzione è a = b = c = h = 1, j = 3 2i, k = 3 2i, m = 2, n = 8 + 14i,

p = 8 14i. Si ha allora e , da cui:

.

Infine, il prodotto con il vettore dà:

;

;

.

50

17. Calcolo della matrice esponenziale: il metodo di Putzer

Il procedimento visto nel paragrafo precedente per il calcolo di exA non è applicabile quando A non è diagonalizzabile; d'altra parte, come si è visto nell'ultimo esempio, anche se A è diagonalizzabile, i calcoli possono essere molto lunghi.

Vediamo qui un metodo più semplice per determinare esplicitamente la matrice esponenziale come una somma finita di opportune matrici. Esso ha anche il vantaggio di essere un metodo universale, valido per tutti i casi. Il passaggio preliminare consiste nel determinare gli autovalori di A, perciò il metodo è applicabile solo quando l'equazione det | A I | = 0 è risolubile.

TEOREMA 4 (Metodo di Putzer per il calcolo dalla matrice esponenziale). Data una matrice quadrata A di ordine n, siano 1, 2, ..., n i suoi autovalori (non necessariamente distinti). Si definiscano quindi le seguenti espressioni:

P0(A) = I;P1(A) = A 1I;P2(A) = (A 1I)(A 2I); (17.1)...Pn(A) = (A 1I)(A 2I)(A nI).

Si definiscano inoltre le funzioni r1(x), r2(x), ..., rn(x) come le soluzioni del sistema di ED

(17.2)

con le condizioni r1(0) = 1, r2(0) = r3(0) = = rn(0) = 0.Allora si ha la formula

. (17.3)

Si osservi che per determinare i coefficienti r1, ..., rn è necessario risolvere un altro sistema di ED; tuttavia le equazioni del sistema (17.2) possono essere risolte direttamente una dopo l'altra. Si ha infatti dapprima r1(x) =  ; poi, r2(x) è la soluzione del problema di Cauchy

una volta determinata r2(x), per trovare r3(x) occorre risolvere il problema

di Cauchy e così via fino a determinare rn(x).

Si osservi inoltre che le matrici Pk(A) definite dalla (17.1) vanno calcolate esplicitamente solo fino a k = n 1, in quanto Pn(A) non entra in gioco nella (17.3).

Vediamo ora un esempio di applicazione diretta del metodo di Putzer. Successivamente, daremo delle formule esplicite per il calcolo di exA quando A è di ordine 2 oppure 3.

51

ESEMPIO 17.1. Determinare exA, dove .

SOLUZIONE. Gli autovalori di A sono le radici dell'equazione caratteristica

, che equivale a 3 + 2 8 12 = 0. Abbiamo quindi 1 = 2, 2 = 2, 3

= 3 (si può osservare che A non è diagonalizzabile, perché la molteplicità geometrica dell'autovalore 1 = 2 = 2 è soltanto 1).

Sappiamo che ; inoltre abbiamo:

.

In questo caso il sistema (17.2) assume la forma

con le condizioni iniziali r1(0) = 1, r2(0) = 0, r3(0) = 0. Perciò otteniamo facilmente r1(x) = e2x, r2(x)

= xe2x, . A questo punto, l'applicazione della (17.3) dà:

Se alcuni autovalori sono complessi, si utilizzerà lo stesso procedimento; in particolare, il sistema (17.2) conterrà dei coefficienti complessi. A parte le difficoltà di calcolo, formalmente la presenza di coefficienti complessi non cambia nulla: basterà applicare le solite regole di calcolo (ad

52

esempio le regole di derivazione), che si estendono facilmente dalle funzioni reali di variabile reale alle funzioni complesse di variabile reale.

Vediamo ora le formule esplicite per il calcolo di exA quando A è una matrice di ordine 2. A tale scopo occorre distinguere due casi:

1) i due autovalori sono distinti (reali o no);2) i due autovalori sono coincidenti.

Nel caso 1), posto 1 = , 2 = , scriviamo come sopra P0(A) = I e P1(A) = A I, quindi definiamo r1 e r2 come le soluzioni del sistema

con le condizioni r1(0) = 1 e r2(0) = 0. Eseguendo i calcoli, troviamo facilmente r1(x) = ex e

. Perciò:

, (17.4)

che si può anche scrivere

. (17.5)

Nel caso in cui e siano complessi coniugati, diciamo = + i, = i, quest'ultima formula diventa

. (17.6)

Nel caso 2), posto 1 = 2 = , abbiamo ancora P0(A) = I e P1(A) = A I, ma r1(x) e r2(x) sono le soluzioni del sistema

sempre con r1(0) = 1 e r2(0) = 0. Questa volta troviamo r1(x) = ex e r2(x) = xex, Perciò:

. (17.7)

ESEMPIO 17.2. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. Questo è lo stesso sistema dell'esempio 16.1, che è già stato risolto tramite diagonalizzazione della matrice A. Essendo gli autovalori = 2 e = 5, la (17.5) dà direttamente:

53

,

dopodiché ritroviamo immediatamente la soluzione .

ESEMPIO 17.3. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. In questo caso gli autovalori di sono entrambi uguali a 3; perciò,

la (17.7) dà:

,

da cui ricaviamo la soluzione .

ESEMPIO 17.4. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. In questo caso gli autovalori di sono e , ma

possiamo evitare di manipolare numeri complessi utilizzando direttamente la (17.6). Abbiamo allora:

,

da cui troviamo

54

.

Vediamo infine le analoghe formule quando A è di ordine 3, distinguendo i seguenti casi:1) i tre autovalori sono tutti coincidenti;2) due (e solo due) dei tre autovalori sono coincidenti;3) i tre autovalori sono tutti distinti.Nel caso 1) abbiamo P0(A) = I, P1(A) = A I, P2(A) = (A I)2, e inoltre le funzioni r1(x),

r2(x), r3(x) sono le soluzioni del sistema

con r1(0) = 1, r2(0) = r3(0) = 0. Si trova facilmente r1(x) = ex, r2(x) = xex ed , e da ciò

la formula

. (17.8)

Nel caso 2), posto 1 = 2 = , 3 = , abbiamo P0(A) = I, P1(A) = A I, P2(A) = (A I)2, mentre le funzioni rk(x) sono le soluzioni del sistema

con r1(0) = 1, r2(0) = r3(0) = 0. Questa volta si trova r1(x) = ex, r2(x) = xex ed

, che si può anche scrivere . Perciò:

. (17.9)

Infine, nel caso 3), posto 1 = , 2 = , 3 = , si ha P0(A) = I, P1(A) = A I, P2(A) == (A I)(A I), e per trovare le rk(x) occorre risolvere il sistema

55

sempre con r1(0) = 1, r2(0) = r3(0) = 0. Qui si ha r1(x) = ex, ed

. Perciò si trova

.

Raccogliendo i termini che moltiplicano i tre esponenziali ex, ex, ex, la formula si può scrivere in modo più semplice come segue:

. (17.10)

In particolare, se due dei tre autovalori sono complessi coniugati, diciamo = + i, = i, la (17.10) diventa:

, (17.11)

formula che non contiene esplicitamente numeri complessi.

Utilizziamo ad esempio la (17.11) per calcolare exA, dove . Essendo gli

autovalori 1 = 1 e 2,3 = , abbiamo = 1, = = 2 e quindi:

.

In teoria, si potrebbero dare delle formula analoghe anche per valori di n maggiori di 3, ma la trattazione diventa più complessa, perché occorre distinguere molti casi (dipende dalle molteplicità degli autovalori). Conviene perciò in questi casi non dare delle formule "generali", ma piuttosto applicare direttamente il metodo di Putzer. Ad esempio, sia da risolvere il sistema

56

con la condizione iniziale . Si vede facilmente che gli autovalori

sono 1 = 2 = 1, 3 = i e 4 = i. Perciò, per determinare i coefficienti ri procediamo al solito modo.

Abbiamo intanto r1(x) = ex; r2 è la soluzione del problema da cui r2(x) =

= xex; r3(x) è la soluzione del problema da cui ;

infine, risolvendo il problema troviamo , che

si può anche scrivere . Inoltre, il calcolo delle Pk dà:

;

Perciò dalla (17.3) si ha:

57

Infine, moltiplicando questa matrice per il vettore delle condizioni iniziali, si trova:

18. Metodo diretto per la risoluzione di un sistema di ED lineare omogeneo a coefficienti costanti

Le formule viste in precedenza mostrano che, se 1, 2, ..., n sono gli autovalori della matrice A, allora le componenti del vettore Y soluzione del sistema Y' = AY sono combinazioni lineari di funzioni esponenziali , , ..., , funzioni che eventualmente vanno moltiplicate per x, x2, ..., se un autovalore presentasse molteplicità algebrica maggiore di 1 (ovviamente avremo esponenziali moltiplicati per funzioni goniometriche in presenza di una coppia di autovalori complessi coniugati, e se tali autovalori complessi avessero molteplicità maggiore di 1 dovremo considerare tali funzioni anche moltiplicate per x, x2, ...).

Questa osservazione ci suggerisce un metodo più diretto ed elementare per la risoluzione di un sistema di ED lineare a coefficienti costanti, che non prevede il calcolo esplicito della matrice esponenziale e che in sostanza equivale ad un metodo dei coefficienti indeterminati. In pratica, dopo aver determinato gli autovalori di A, occorre scrivere le funzioni y1, y2, ..., yn come combinazioni lineari di funzioni note con coefficienti da determinare, quindi sostituirle nel sistema, applicando anche le condizioni iniziali, se assegnate.

ESEMPIO 18.1. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. Come abbiamo già visto in precedenza risolvendo lo stesso sistema con altri metodi, gli autovalori della matrice A sono 2 e 5; perciò poniamo

Calcolando le derivate e sostituendo nel sistema dato, abbiamo

cioè 2A = 4A + C, 5B = 4B + D, 2C = 2A + 3C, 5B = 2B + 3D, che in effetti si riducono alle due

sole equazioni indipendenti Ma dalle condizioni iniziali ricaviamo altre due relazioni tra

58

i coefficienti indeterminati, cioè il sistema complessivo ammette la soluzione A = 2, B

= 2, C = 4, D = 2, per cui ritroviamo la soluzione .

ESEMPIO 18.2. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. In questo caso gli autovalori della matrice A sono 4 e i; perciò poniamo

Derivando e sostituendo nel sistema dato, troviamo

dove, analogamente al caso precedente, le ultime tre equazioni si possono eliminare perché sono conseguenza delle altre. Ma dalle condizioni iniziali ricaviamo le altre tre equazioni A + B = 2,

D + E = 5, G + H = 3, e risolvendo il sistema formato da tutte queste equazioni troviamo

; perciò:

ESEMPIO 18.3. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. Qui gli autovalori sono 2 e 3, il secondo dei quali ha molteplicità algebrica 2. Tenendo conto delle regole riportate sopra, scriviamo

59

Derivando e sostituendo nel sistema, troviamo nove equazioni, di cui al solito considereremo solo le prime sei. Mettendole a sistema con quelle che si ottengono dalle condizioni iniziali, troviamo il sistema

la cui soluzione è , , , , , , , , . In

conclusione, abbiamo:

19. Sistemi lineari a coefficienti costanti non omogenei

Consideriamo ora un sistema del tipo Y' = AY + Q(x), dove A è al solito una matrice quadrata di ordine n e Q(x) è un vettore colonna con n componenti continue in un opportuno intervalloJ R. Eventualmente, al sistema potrà essere aggiunta la condizione Y(x0) = b, dove b è un vettore colonna di dimensione n, ed x0 è un punto fissato di J.

Si può fare qui un ragionamento simile a quello che consente di risolvere un'ED lineare del primo ordine; questo porta alla formula

. (19.1)

ESEMPIO 19.1. Risolvere il sistema con .

60

SOLUZIONE. Abbiamo i cui autovalori sono 2 e 4, il primo dei quali di

molteplicità algebrica 2; essendo x0 = 0 e , la (19.1) diventa

,

dove .

Per calcolare exA, possiamo ad esempio applicare la (17.9) con = 2 e = 4; essendo

e , otteniamo:

.

Ora sostituiamo x con x t e moltiplichiamo per il vettore Q(t):

61

.

Integrando queste tre funzioni (rispetto alla variabile di integrazione t) tra 0 ed x, si ottiene infine

. (19.2)

Osserviamo però che in casi come questo appena visto, dove il vettore Q(x) è costituito di funzioni dello stesso tipo di quelle che appaiono negli integrali generali di sistemi omogenei, è ancora possibile applicare un procedimento diretto, come nel paragrafo precedente. Ad esempio, il sistema appena visto può anche essere risolto scrivendo

dove la presenza dei termini in x2ex si giustifica tenendo presente che in Q(x) appare e2x moltiplicato per polinomi di grado non superiore ad 1, e il numero 2 figura tra gli autovalori di A (in questo caso non si tiene conto della molteplicità). Derivando e sostituendo nel sistema dato, troviamo:

62

quindi, tenendo conto anche delle condizioni iniziali:

La soluzione di questo sistema (nel quale come al solito tre equazioni sono conseguenza delle

altre dodici), è , , , , , , , , , ,

, , e da qui ritroviamo facilmente la soluzione (19.2).

È chiaro che questo procedimento vale solo in questi casi particolari; se invece nel vettore Q appaiono funzioni di altro tipo, occorre necessariamente utilizzare la (19.1). Vediamo un ulteriore esempio in proposito.

ESEMPIO 19.2. Risolvere il sistema con .

SOLUZIONE. Naturalmente, la soluzione sarà definita nell'intervallo . Gli autovalori

della matrice sono 2 3i; perciò, per calcolare exA, possiamo applicare la (17.6):

63

,

e da questa ricaviamo subito

;

.

Moltiplichiamo quest'ultima matrice per il vettore :

.

L'integrazione tra e x dà:

64

.

Inoltre il prodotto dà

.

In conclusione, la soluzione è:

Concludiamo con un breve cenno sui sistemi lineari a coefficienti variabili. Come si è visto nel par.6, l'ED del primo ordine a coefficienti continui qualsiasi y' + a(x)y = b(x) è sempre risolubile, eventualmente con l'introduzione di opportune funzioni integrali. Possiamo allora considerare un sistema del tipo (14.6), che scriveremo nella forma

Y' = A(x)Y + Q(x), (19.3)

dove A(x) è una matrice quadrata di ordine n il cui termine generico aij(x) è una funzione continua nell'intervallo J R, e Q(x) è un vettore colonna costituito di n funzioni continue in R. Purtroppo il

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procedimento che consente di ottenere la (6.5) non è generalizzabile al caso dei sistemi, a causa di certe formule che non sono più valide passando dagli scalari alle matrici. Esiste un procedimento che consente di risolvere il sistema (19.3), ma si tratta di un metodo molto difficile da applicare(16), che prevede la risoluzione di n sistemi lineari omogenei a coefficienti variabili.

16 Il lettore interessato può consultare ad esempio T.M. Apostol, Calcolo, vol.3, Bollati Boringhieri, Torino 1978, pagg. 113 e segg.

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