Appunti di Metodi Matematici della Fisica II · 2011. 2. 9. · Metodi Matematici della Fisica II ....

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1 Appunti di Metodi Matematici della Fisica II

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Appunti di

Metodi

Matematici

della Fisica

II

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2

Sommario Appunti di .......................................................................................................................................................... 1

19 ott. 10 ................................................................................................................................................... 3

Operatori limitati e continui .......................................................................................................................... 3

21 ott. 10 ................................................................................................................................................... 6

Funzionali ....................................................................................................................................................... 8

25 ott. 10 ................................................................................................................................................. 10

26 ott. 10 ................................................................................................................................................. 12

Operatori Unitari ......................................................................................................................................... 14

28 ott. 10 ................................................................................................................................................. 15

Nozioni di convergenza per successioni di vettori ...................................................................................... 17

Nozioni di convergenza per successioni di operatori .................................................................................. 18

Funzioni di variabile complessa ................................................................................................................... 20

Integrali nel piano complesso , Calcolo di residui ....................................................................................... 27

Punti all’infinito ........................................................................................................................................... 29

Tecniche di calcolo integrali complessi/reali ............................................................................................... 30

Determinazioni ............................................................................................................................................ 37

Distribuzioni ................................................................................................................................................. 39

Nozioni di convergenza fra distribuzioni ..................................................................................................... 40

Nozioni di trasformata(di Fourier) e derivata per le distribuzioni .............................................................. 40

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19 ott. 10

Cominciamo richiamando alcune differenze tra operatori di dimensione finita ed infinita. Innanzitutto in dimensione infinita la proprietà di definizione su un SONC non basta per definirlo su tutto lo spazio. Inoltre applicando l’operatore ad un vettore 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛

∞𝑛=1 = 𝑙𝑖𝑚𝑁→∞ 𝑎𝑛𝑒𝑛

𝑁𝑛=1 = 𝑙𝑖𝑚𝑁→∞ 𝑥𝑁 , per cui

vale la proprietà 𝑥𝑁 − 𝑥 → 0 , 𝑥𝑁 → 𝑥 , non è detto che valga 𝑇𝑥𝑁 = 𝑎𝑛𝑇 𝑒𝑛 𝑁𝑛=0 → 𝑇𝑥 . Ad

esempio l’operatore 𝑇𝑒𝑛 = 𝑛𝑒𝑛 a 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛 ∈ ℓ2 si ottiene 𝑇𝑥𝑁 = 𝑎𝑛𝑛𝑒𝑛𝑁 che non è detto sia ℓ2 .

Sicuramente però è vero che un operatore definito su un SONC ha un’immagine densa.

Operatori limitati e continui Diamo ora alcune definizioni utili per la teoria dell’operatore.

i. Un operatore T si dice continuo in un punto 𝑥0 del suo dominio D se ∀𝑥𝑁 → 𝑥0 ⟹ 𝑇𝑥𝑁 → 𝑇𝑥0 . In particolare si può dire che se T è continuo nell’origine, allora è continuo ovunque. Infatti se l’operatore è continuo nell’origine si ha 𝑦𝑁 → 0 ⟹ 𝑇𝑦𝑁 → 𝑇 0 = 0 . Quest’ultima propriet{ si verfica notando che , per linearità , si ottiene 𝑇 0 = 𝑇 𝑥 − 𝑥 = 𝑇 𝑥 − 𝑇 𝑥 = 0 . Ma allora basta prendere la successione definita da 𝑦𝑁 = 𝑥𝑁 − 𝑥0 → 0 ⟹ 𝑇 𝑦𝑁 = 𝑇 𝑥𝑁 − 𝑇 𝑥0 → 0 . Gli operatori in dimensione finita sono ovviamente tutti continui , infatti se 𝑦𝑁 → 0 avremmo un vettore di N componenti che tende a 0: moltiplicando una matrice ( applicando l’operatore) per questo vettore si ottiene sempre qualcosa tendente a 0. Es: Prendiamo 𝐿2 ℝ e 𝑇𝑓 = 𝑓(𝑥 − 𝑎) . Supponiamo di avere una successione di funzioni 𝑓𝑛 →0 𝑓𝑛 → 0 . Se facciamo una trasformazione la norma resta invariata , infatti con una trasformazione di coordinate nell’integrale ci si riduce sempre allo stesso integrale. Dunque l’operatore di traslazione è continuo. ∎ Es. L’operatore derivata 𝑇 = 𝑑/𝑑𝑥 non è continuo , infatti basta prendere 𝑓𝑁 = sin 𝑁𝑥 /𝑁 , per cui in

𝐿2 0, 𝜋 , 𝑓𝑛 = 𝜋/𝑁 → 0 . Si nota invece che 𝑑/𝑑𝑥(sin 𝑁𝑥) = cos 𝑁𝑥 ha norma pari a

cos 𝑁𝑥 = 𝜋 , che non tende a 0. Possiamo inoltre dimostrare che questa successione non ha

limite, mostrando che non è di Cauchy : infatti cos 𝑁𝑥 − cos 𝑀𝑥 = 2 ∎.

ii. Un operatore T si dice limitato se è finita la quantità definita da

sup𝐷∋𝑥≠0

𝑇𝑥

𝑥 =

𝑘 < +∞

+∞

La nozione di operatore limitato coincide con la definizione di continuità. In effetti si può dimostrare che una condizione implica l’altra e viceversa. Infatti supponiamo che 𝑘 ∈ ℝ : questo numero ha tutte le qualit{ di una norma ( nullo solo se l’operatore è nullo, definito sempre positivo…) ed in effetti si scopre che questa è la norma dell’operatore T, 𝑇 . Vediamo che questa norma soddisfa la diseguaglianza 𝑇𝑥 ≤ 𝑇 𝑥 . Il vantaggio di questa proprietà sta nella maggiore semplicità della verifica , rispetto a quella della limitatezza.

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Es: Prendiamo 𝐻 = ℓ2 ∋ 𝑎 e 𝑇 𝑎 = (𝑎1 , 0, 𝑎3 , 0, … ) . Vogliamo calcolare la norma dell’operatore T. Conviene calcolare la quantità al quadrato :

𝑇𝑎 2

𝑎 2=

𝑎𝑛 2𝑛𝑑

𝑎𝑛 𝑛≤ 1

La maggiorazione scritta è sicuramente vera perché il denominatore è sempre maggiore del numeratore, quindi l’operatore è limitato. Per trovare il valore esatto della norma dobbiamo trovare il miglior maggiorante ( minor maggiorante) possibile. Ma basta prendere una successione non nulla solo nelle posizioni dispari per la quale 𝑇 = 1 verificando così l’ugugaglianza. ∎ Es: Le traslazioni in 𝐿2 ℝ sono limitate e

𝑇𝑓

𝑓 = 1 ∎

Es: La trasformata di Fourier ℱ: 𝐿2 → 𝐿2 è limitata poiché vale l’identit{ di Parseval.

ℱ𝑓

𝑓 = 2𝜋 ∎

Es: Prendiamo 𝐿2 ℝ e l’operatore , gi{ visto nella parte di Metodi I (vd. appunti del I modulo)

𝑇𝑓 =

2𝑓 𝑠𝑒 𝑥 < 0

3𝑓 𝑠𝑒 𝑥 > 0

Vogliamo calcolare la norma di questo operatore.

𝑇𝑓 2

𝑓 2=

4 𝑓 20

−∞+ 9 𝑓 2∞

0

𝑓 2+∞

−∞

≤ 13 𝑓 2+∞

−∞

𝑓 2+∞

−∞

= 13

La diseguaglianza precedente è vera poiché 𝑓 20

−∞≤ 𝑓 2+∞

−∞ . Per trovare la norma

dell’operatore conviene utilizzare una maggiorazione più inconveniente .

𝑇𝑓 2

𝑓 2=

4 𝑓 20

−∞+ 9 𝑓 2∞

0

𝑓 2+∞

−∞

≤ 9 𝑓 2+∞

−∞

𝑓 2+∞

−∞

= 9

Possiamo quindi concludere che 𝑇 = 3 poiché basta prendere una funzione con supporto nel semiasse positivo. ∎ Es. Prendiamo l’operatore derivata 𝑇 = 𝑑/𝑑𝑥 . Vogliamo dimostrare che questo non è limitato, quindi ci basta vedere che 𝑇𝑓𝑛 / 𝑓𝑛 → ∞ . Ma questo è immediato poiché

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𝑇𝑓𝑛

𝑓𝑛 =

𝑁 cos 𝑁𝑥

sin 𝑁𝑥 = 𝑁 → ∞ ∎

Es: Prendiamo 𝐿2 0, 𝑎 e 𝑇𝑓 = 𝑥𝑓 , 𝑎 ∈ ℝ .

𝑇𝑓 2

𝑓 2=

𝑥2 𝑓 2𝑑𝑥𝑎

0

𝑓 2𝑑𝑥𝑎

0

≤𝑎2 𝑓 2𝑑𝑥

𝑓 2𝑑𝑥= 𝑎2

Proviamo ora a vedere se troviamo una funzione per cui questo rapporto vale esattamente a : devo trovare una funzione che sia limitata e supporto vicino ad a. Ma vediamo che l’unico modo di scegliere questa funzione è quello di prenderne una definita 0 in [0, 𝑎) e diversa da 0 in a. Quindi questo rapporto non può mai essere a ma ci si può avvicinare. Basta infatti prendere delle funzioni definite 1 in [𝑎 − 1/𝑛, 𝑎] e nulle altrove. In questo caso la norma quadrata dell’operatore è data da

𝑇𝑓𝑛 2

𝑓𝑛 2=

𝑥2𝑑𝑥𝑎

𝑎−1

𝑛

1/𝑛=

1

3 𝑎3 − 𝑎 −

1

𝑛

3

1/𝑛=

1

3 𝑎3 − 𝑎3 +

3𝑎2

𝑛−

3𝑎

𝑛2 +1

𝑛3

1/𝑛= 𝑎2 −

𝑎

𝑛+

1

𝑛2→ 𝑎2

Un caso limite di questo operatore si ottiene prendendo 𝑎 = ∞ ⟹ 𝐿2 0, +∞ . In questo caso si

può verificare che 𝑇𝑓𝑛 2

𝑓𝑛 2 ~𝑛2. ∎

Es: Prendiamo 𝐿2 𝐼 , 𝑇𝑓 = 𝜑𝑓 , 𝜑 = 𝜑(𝑥) .

𝑇𝑓 2

𝑓 2=

𝜑𝑓 2𝐼

𝑓 2𝐼

≤ 𝑀2 ; 𝑀 = sup𝑥∈𝐼

𝜑

Per mostrare che 𝑇 = 𝑀 = sup 𝜑 basta prendere una funzione definita 1 in un intorno dell’origine. Questo operatore non ha auto vettori. ∎ Es: Prendiamo 𝐿2 𝐼 e l’operatore di convoluzione dato da 𝑇𝑓 = 𝜑 ∗ 𝑓 . Si può ragionare utilizzando l’operatore in trasformata.

𝑇 = sup 𝑇𝑓

𝑓 = sup

𝑇′𝑓

𝑓

2𝜋

2𝜋= 𝑇′ , 𝑇 ′𝑓 = 𝜑 𝑓

Quindi 𝑇 = 𝑇′ = sup𝜔 𝜑 𝜔 . Ad esempio per un circuito RL , per cui la funzione di Green è

data da 𝜑 =1

𝐿𝜗 𝑡 𝑒−𝑡𝑅/𝐿 ⟹ 𝜑 =

1

𝑅−𝑖𝜔𝐿 si ha

𝑇 = sup𝜔∈ℝ

1

𝑅 − 𝑖𝜔𝐿 =

1

𝑅 ∎

Es: Sia 𝑇𝑥 = 𝑦 𝑧, 𝑥 , 𝑦, 𝑧 ∈ 𝐻 .

𝑇𝑥

𝑥 =

𝑦 𝑧, 𝑥

𝑥 =

𝑦 | 𝑧, 𝑥

𝑥 ≤

𝑦 𝑧 𝑥

𝑥

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L’uguaglianza vale solo quando z ed y sono paralleli. Siano ora 𝑦 = 𝑧 = 𝑒1 , 𝑇𝑥 = 𝑒1 𝑒1 , 𝑥 = 𝑒1𝑥1 . Quindi

𝑇 2 = 𝑇𝑥 2

𝑥 2=

𝑥1 2

𝑥𝑁 2≤ 1

Ma si ha evidentemente 𝑇 = 1 poiché basta prendere un vettore che abbia tutte le componenti , tranne la prima , nulla. ∎

21 ott. 10

Ricordiamo le proprietà di operatori definiti su un SONC , 𝑣𝑛 = 𝑇 𝑒𝑛 , 𝑒𝑛 𝑆𝑂𝑁𝐶 .

𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛

𝑛

= lim𝑁→∞

𝑥𝑁 ⟹ 𝑇 𝑥𝑁 = 𝑎𝑛𝑇 𝑒𝑛

𝑁

𝑛

= 𝑎𝑛𝑣𝑛

𝑁

𝑛

=

𝑎𝑛

𝑁

< +∞ , ∀𝑥 ∶ 𝐷𝑇 = 𝐻

𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝐷𝑇 ≠ ⊂ 𝐻

Con 𝐷𝑇 abbiamo indicato il dominio dell’operatore T : nel primo caso coincide con tutto lo spazio, nel secondo invece è solo contenuto ed è sottoinsieme denso di H. Prendiamo ora una successione 𝑥𝑁 → 𝑥 , 𝑇 𝑥𝑁 → 𝑦 ≡ 𝑇(𝑥) . L’operatore risulta continuo anche se questa propriet{ NON è ovvia. In effetti la definizione di continuit{ per l’operatore richiederebbe che ∀𝑧𝑁 → 𝑥 , 𝑇 𝑧𝑁 → 𝑇(𝑥) , quindi PER OGNI successione l’immagine dovrebbe convergere all’immagine del limite per la successione stessa. In questo caso ho preso come 𝑥𝑁 la successione delle troncate di Fourier , quindi ho escluso delle successioni . La continuit{ dell’operatore è però assicurata poiché riesco ad approssimare, con la precisione voluta, l’elemento x , che non sta nello spazio dove è definita la successione, con elementi che stanno nello spazio di definizione della successione. In questo modo posso estendere l’operatore per continuit{ facendo il limite per 𝑁 → ∞ . Es: Prendiamo 𝐿2 0,2𝜋 , 𝑒𝑛 = 1, cos 𝑛𝑥 , sin 𝑛𝑥 e l’operatore

𝑇 1 = 0 ; 𝑇 cos 𝑛𝑥 = sin 𝑛𝑥 ; 𝑇 sin 𝑛𝑥 = 0 Si nota innanzitutto che l’operatore è definito su un SONC. Vediamo quindi se l’operatore è definito su tutto lo spazio provando ad applicarlo alla troncata N-esima.

𝑓 = 𝑎0 + 𝑎𝑛 cos 𝑛𝑥 + 𝑏𝑛 sin 𝑛𝑥

𝑛

⟹ 𝑇 𝑓 = 𝑎𝑛 sin 𝑛𝑥

𝑁

𝑛

La successione è sicuramente convergente poiché 𝑎𝑛 ∈ ℓ2 quindi l’operatore è definito su tutto lo spazio. In particolare la norma dell’operatore è esattamente 1 poiché

𝑇 2 = 𝑎𝑛 2

𝑎0 2 + 𝑎𝑛 2 + 𝑏𝑛 2 ≤ 1

L’unico auto valore di questo operatore è 0. ∎ Es: Prendiamo l’operatore 𝑇 𝑒𝑛 = 𝑒𝑛/𝑛 . La norma di questo operatore si trova calcolando

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𝑇 2 = 𝑎𝑛 2/𝑛2

𝑎𝑛 2≤ 1

L’immagine di questo operatore NON è tutto lo spazio poiché basta prendere 𝑦 = 𝑒𝑛/𝑛 ∉ Imm 𝑇 ; quindi l’immagine è densa e non è tutto lo spazio. Notiamo inoltre che questo operatore ammette inverso anche se non è suriettivo : il dominio dell’inverso non è tutto lo spazio (sottoinsieme denso) e sar{ non limitato. Infatti la surgettivit{ non è necessaria se definiamo l’operatore inverso su un sottoinsieme denso che non coincide con lo spazio : l’inverso è ovviamente definito da 𝑇−1𝑒𝑛 = 𝑛𝑒𝑛 . Dunque un operatore limitato può avere inverso non limitato. ∎ Es: Prendiamo 𝑇 𝑒𝑛 = 𝑒1 . L’immagine è unidimensionale quindi sar{ certamente NON invertibile. Vediamo se l’operatore è estendibile per continuità in tutto lo spazio : prendiamo 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛𝑛 e applichiamo T alla troncata N-esima ottenendo : 𝑇 𝑥𝑁 = 𝑎𝑛

𝑁 𝑒1 . Sappiamo che 𝑎𝑛 ∈ ℓ2 MA non è detto che 𝑎𝑛 < +∞ ( per convincersene basti prendere 𝑎𝑛 = 1/𝑛 ) quindi l’operatore non è estendibile per continuità su tutto lo spazio ( l’operatore quindi è NON limitato). N.B:Non si può calcolare la norma di un operatore restrigendosi ai soli vettori di base. Il nucleo di questo operatore è dato dai vettori tali che la somma dei componenti di Fourier sia nulla , ovvero ker 𝑇 = 𝑎 ∶ 𝑎𝑛 = 0 : nel primo modulo abbiamo dimostrato che questo insieme è denso. Sia ora T un operatore munito di un set ortogonale completo di auto vettori per cui 𝑇𝑣𝑛 = 𝜆𝑛𝑣𝑛 . Dividendo per 𝑣𝑛 si ottiene facilmente un set ortonormale per cui 𝑇𝑒𝑛 = 𝜆𝑛𝑒𝑛 . Applichiamo quindi l’operatore alla troncata N-esima del vettore generico 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛𝑛 ⟹ 𝑇 𝑥𝑁 = 𝑎𝑛𝜆𝑛𝑒𝑛

𝑁𝑛 . Si verifica

facilmente che 𝑇 𝑥𝑁 2 = 𝑎𝑛𝜆𝑛 2 = 𝑎𝑛 2 𝜆𝑛 2 < +∞ ⇔ 𝜆𝑛 forma una serie convergente , ovvero se e solo se 𝜆𝑛 ≤ 𝑀 .Quindi supponendo che questa condizione sia verificata, ovvero che gli auto valori siano limitati allora 𝑇 𝑥𝑁 2 ≤ 𝑀2 𝑎𝑛 2 . Per calcolare infine la norma dell’operatore basta considerare

𝑇 2 = sup𝑥

𝑎𝑛 2 𝜆𝑛 2

𝑎𝑛 2≤ 𝑀2

Quindi se 𝜆𝑛 ≤ 𝑀 l’operatore è limitato da M. In particolare possiamo scegliere 𝑀 = sup 𝜆𝑛 per verificare se vale l’uguaglianza. Se fosse 𝑀 = 𝜆𝑖 per qualche particolare i basterebbe prendere una successione con questo auto valore : la proprietà dipende quindi dalla scelta di 𝜆𝑛 poiché ad esempio se 𝜆𝑛 = 1/𝑛 ⟹ 𝑀 = 1 ⟹ 𝑒1 . Se invece 𝜆𝑛 = 𝑛/(𝑛 + 1) , 𝑀 = 1 ma non costituirebbe massimo per la successione, quindi in questo caso la norma sarebbe 1. Dunque vale l’uguaglianza se e solo se il massimo coincide con l’estremo superiore della successione dei 𝜆𝑛 . ∎ Es:

Sia dato l’operatore descritto dalla matrice 𝑇 = 0 10 1

⟹ 𝜆1,2 = 0,1 .

La norma dell’operatore si trova facilmente applicandolo ad un generico vettore 𝑥 = 𝑎1

𝑎2 .

𝑦 = 𝑇𝑥 = 0 10 1

𝑎1

𝑎2 =

𝑎2

𝑎2 ⟹ 𝑇 𝑥 2 = 𝑦 2 = 2 𝑎2 2

Inoltre 𝑥 2 = 𝑎1 2 + 𝑎2 2 , quindi

𝑇 = sup2 𝑎2 2

𝑎1 2 + 𝑎2 2= 2 ∎

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Vogliamo vedere ℱ in 𝐿1 ⟹ ℱ in 𝐿2. Ovviamente 𝐿1 ∩ 𝐿2 è denso in 𝐿2 . Si tratta quindi di prendere una successione 𝑓𝑛 ∈ 𝐿1 ∩ 𝐿2 e controllare che tenda a 𝑓 in senso 𝐿2. Prendiamo quindi la successione 𝑓𝑛 delle troncate (non di Fourier) dove sono state tolte le “code” della funzione :

𝑓𝑛 = 𝑓 𝑝𝑒𝑟 𝑥 < 𝑛

0 𝑝𝑒𝑟 𝑥 > 𝑛

Ovviamente 𝑓𝑛 ∈ 𝐿2 poiché 𝑓 ∈ 𝐿2 per ipotesi quindi 𝑓+∞

−∞< +∞ ⟹ 𝑓

+𝑛

−𝑛< +∞ . Inoltre è anche 𝐿1

poiché è definita su un compatto . A questo punto basta dimostrare che la successione delle troncate converge : 𝑓 − 𝑓𝑛 𝐿2

2 = 𝑓 − 𝑓𝑛 2 𝑥 >𝑛

→ 0 . Le 𝑓𝑛 , in quanto 𝐿1 , ammettono trasformata di Fourier .

Inoltre la successione delle trasformate 𝑓𝑛 è di Cauchy , poiché 𝑓𝑛 − 𝑓𝑚 𝐿2 = 2𝜋 𝑓𝑛 − 𝑓𝑚 𝐿2 < 𝜖 .

Quindi esiste 𝑔 ∈ 𝐿2 tale che 𝑔 = lim𝐿2 𝑓𝑛 = 𝑓 . Ho quindi definito anche la trasformata per estensione continua in 𝐿2 . Ora che abbiamo la dimostrazione formale del passaggio a ℱ 𝐿2 possiamo scrivere

formalmente anche la definizione che avevamo dato a suo tempo : 𝑓 = 𝑓𝑒𝑖𝜔𝑡 𝑑𝑡+∞

−∞ può non avere senso

se f non ha integrale convergente , risulta quindi più formale la definizione tramite l’integrale generalizzato

𝑓 = lim𝑛→∞

𝑓 𝑒𝑖𝜔𝑡 𝑑𝑡+𝑛

−𝑛

= 𝒫∞ 𝑓𝑒𝑖𝜔𝑡

Funzionali Definiamo ora una classe particolari di operatori, detti funzionali , definiti come 𝜙: 𝐻 → ℂ , dove con H abbiamo indicato uno spazio di Hilbert. Ad esempio sono funzionali i seguenti :

𝐻 = 𝐿2 , 𝜙 𝑎 = 𝑎1 + 𝑎2

𝐻 = 𝐿2 , 𝜙 𝑓 = 𝑓𝑑𝑥𝐼

= 𝐼 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜 ⟹ 𝐷𝜙 = 𝐿2

𝐼 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜 ⟹ 𝑓 ≤ +∞

Possiamo pensare al funzionale definito sui vettori di base 𝜙 𝑒𝑛 = 𝑐𝑛 ⟹ 𝜙 𝑥 = 𝜙 𝑎𝑛𝑒𝑛 = 𝑎𝑛𝑐𝑛 = 𝑐, 𝑎 dove 𝑐 = 𝑐1

∗, 𝑐2∗, … . Quindi se 𝑐𝑛 ∈ ℓ2 ⟹ 𝜙 è convergente.

Presentiamo ora il Teorema di Riesz : 𝜙 è continuo ⇔ ∃ 𝑥0 tale che 𝜙 𝑥 = 𝑥0 , 𝑥 . Quindi i funzionali continui non sono altro che prodotti scalari ; 𝑥0 è definito vettore rappresentativo del funzionale. Indipendentemente dalla dimostrazione del teorema si capisce che il funzionale è un operatore banale : qualunque vettore 𝑧 ⊥ 𝑥0 ha funzionale nullo , quindi il sottospazio ortogonale del funzionale è semplicemente il suo nucleo ; la codimensione del nucleo è quindi 1. La norma si calcola con

𝜙 = sup 𝑥0 , 𝑥

𝑥

𝑆𝑐𝑕𝑤𝑎𝑟𝑡𝑧 𝑥0 ( 𝜙 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑜)

Se 𝜙 non è continuo allora il suo nucleo è denso. Es: L’insieme 𝐴 = 𝑓 ∈ 𝐿2 ∶ 𝑓

ℝ= 0 è denso , infatti basta vedere che 𝑓

ℝ= 0 ⇔ 𝑓 𝑒𝑖𝜔𝑥

ℝ 𝜔=0 = 𝑓 0 =

0 . Vediamo ora alcune applicazioni del teorema di Riesz. Prendiamo un operatore limitato , T. Si definisce l’operatore aggiunto 𝑇† di T se 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝑇†𝑦, 𝑥 . Grazie al teorema di Riesz possiamo verificare che l’aggiunto esiste sempre, infatti, fissato y :

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𝑦, 𝑇𝑥 ℂ

= 𝜙𝑦 𝑥 ⟹ 𝜙𝑦 𝑥 = 𝑦, 𝑇𝑥 ≤ 𝑦 𝑇𝑥 ≤ 𝑦 𝑇 𝑥

Quindi 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝜙𝑦 𝑥 = 𝑦′ , 𝑥 , quindi basta scegliere 𝑦 ⟼ 𝑦′ ≡ 𝑇†𝑦 . Inoltre è facile verificare le

proprietà 𝑇 = 𝑇† ; 𝑇††= 𝑇 ; 𝑆𝑇 † = 𝑇†𝑆† .

Vediamo ora che tipo di relazione c’è tra le matrici associate ad un operatore ed al suo aggiunto. A tale scopo prendiamo un operatore definito su un SONC 𝑒𝑛 : posso scrivere la matrice associata definita da 𝑇𝑛𝑚 ≡ 𝑒𝑛 , 𝑇𝑒𝑚 . Andiamo ora a calcolare gli elementi presenti nella matrice associata all’operatore aggiunto.

𝑒𝑛 , 𝑇†𝑒𝑚 = 𝑇† 𝑛𝑚

= 𝑇𝑒𝑛 , 𝑒𝑚 = 𝑒𝑚 , 𝑇𝑒𝑛 ∗ = 𝑇𝑚𝑛∗ ⟹ 𝑇† = 𝑇𝑡 ∗ ∎

Es: Prendiamo 𝐿2 ℝ , 𝑇𝑓 = 𝑓 2𝑥 + 1 . Si vede immediatamente che l’operatore è limitato, vediamo anche di trovare l’aggiunto.

𝑔, 𝑇𝑓 = 𝑇†𝑔, 𝑓 L’idea è quella di trovare una trasformazione di coordinate per cui la funzione f sia espressa nei soli termini di una variabile senza sue combinazioni lineari. Ma è immediato verificare che con il cambio di coordinate seguente si ottiene il risultato voluto : 𝑥′ = 2𝑥 + 1 ⟹ 𝑑𝑥′ = 2 𝑑𝑥 ; 𝑥 = 𝑥′ − 1 /2 .

𝑔∗ 𝑥 𝑓 2𝑥 + 1 𝑑𝑥ℝ

= 𝑔∗ 𝑥′ − 1

2 𝑓 𝑥′

1

2𝑑𝑥′

= 𝑇†𝑔, 𝑓

L’operatore aggiunto risulta quindi ricavabile sfruttando l’uguaglianza 𝑇†𝑔 =𝑔 𝑥−1

4 ∎ .

Es: Sia dato l’operatore di slittamento 𝑇𝑒𝑛 = 𝑒𝑛+1 𝑛 = 1,2, … (vd. appunti del primo modulo) . Voglio trovare l’aggiunto di questo operatore. Costruiamo dapprima la matrice associata a questo operatore : i vettori di base vengono mandati nel successivo dunque la matrice sarà triangolare inferiore e in particolare avrà la forma seguente :

𝑇 =

0 … … 01 0 … ⋮⋮ ⋱ ⋱ ⋮

0 … 1 0

Quindi la matrice associata all’aggiunto si può trovare facilmente traspondendo e coniugando questa matrice :

𝑇† = 𝑇𝑡 ∗ =

0 1 … 0⋮ 0 ⋱ ⋮⋮ ⋱ ⋱ 1

0 … … 0

Può capitare che 𝑇 = 𝑇† : in questo caso l’operatore si chiama auto aggiunto (o hermitiano) . Prendiamo uno spazio di Hilbert H e due sottospazi 𝐻1 , 𝐻2 ⊂ 𝐻 in modo che 𝐻2 = 𝐻1

⊥ . Sappiamo che in questo caso si può fare una decomposizione unica di un vettore 𝐻 ∋ 𝑥 = 𝑥1 + 𝑥2 , dove 𝑥1 ∈ 𝐻1 , 𝑥2 ∈ 𝐻2 . Infatti 𝐻 = 𝐻1 𝐻2 e sono quindi ben definite le proiezioni 𝑃1𝑥 = 𝑥1 ; 𝑃2𝑥 = 𝑥2 . Questo operatore risulta limitato perché la sua norma vale

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𝑃1𝑥 2

𝑥 2=

𝑥1 2

𝑥1 2 + 𝑥2 2≤ 1

Gli auto valori sono 1 e 0. Notiamo infine che i proiettori sono operatori auto aggiunti , infatti

𝑃1 = 𝑦, 𝑃1𝑥 = 𝑦, 𝑥1 = 𝑦1 + 𝑦2 , 𝑥1 = 𝑦1 , 𝑥1

𝑃1† = 𝑃1𝑦, 𝑥 = 𝑦1 , 𝑥 = 𝑦1 , 𝑥1 + 𝑥2 = 𝑦1 , 𝑥1 = 𝑃1

25 ott. 10

Ricapitoliamo dapprima alcune proprietà sui proiettori. Siano 𝐻1 , 𝐻2 sottospazi di Hilbert di H tali che 𝐻 = 𝐻1 ⊕ 𝐻2 . Dunque 𝑃1𝑥 = 𝑥1 ∈ 𝐻1 , 𝑃2𝑥 = 𝑥2 ∈ 𝐻2 . Con questa notazione valgono le proprietà immediate : 𝑃1𝑃2 = 0 ; 𝑃1 + 𝑃2 = 𝐼 . Prendiamo ora H e due suoi sottospazi di Hilbert 𝐻′ , 𝐻′′ nei quali sono definiti due proiettori , rispettivamente 𝑃′ , 𝑃′′ . Cerchiamo di ricavare la condizione necessaria per cui 𝑃′ + 𝑃′′ sia ancora un proiettore. Utilizziamo quindi la propriet{ dimostrata nell’ultima lezione : deve valere che 𝑃′ + 𝑃′′ † = 𝑃′ + 𝑃′′ ⟹ 𝑃′ + 𝑃′′ 2 = 𝑃′𝑃′ + 𝑃′′ 𝑃′′ + 𝑃′𝑃′′ + 𝑃′′ 𝑃′ = 𝑃′ + 𝑃′′ + 𝑃′𝑃′′ +𝑃′′ 𝑃′ . Perché questa quantità sia un prodotto scalare ( come richiede la condizione iniziale) occorre che sia nulla la quantità 𝑃′𝑃′′ + 𝑃′′ 𝑃′ . Questo si verifica solo se 𝐻′ = 𝐻′′ ⊥ : in questo caso 𝑃′ + 𝑃′′ è un proiettore. Ovviamente perché un proiettore sia ben definito occorre che il sottospazio su cui si proietta sia di Hilbert ( altrimenti avrebbe senso proiettare 𝐿2 ∋ 𝑓 → 𝑔 ∈ 𝐶∞ , mentre le funzioni 𝐶∞ sono dense in 𝐿2 ). Vogliamo studiare ora un altro esempio di funzionale dato da 𝜙: 𝐿2 𝐼 → ℂ , 𝜙 𝑓 = 𝑓 𝑥0 . Questo funzionale non è definito ovunque (ad esempio se la funzione presenta una discontinuità in 𝑥0 è definito solo in un suo intorno ). Inoltre non è continuo poiché posso prendere 𝑓𝑛 → 0 ma 𝜙(𝑓𝑛) ↛ 0 , come si verifica facilmente prendendo una successione di triangoli di altezza costante e base sempre più piccola :

in questo caso 𝑓𝑛𝐿2

→ 0 ma 𝜙 𝑓𝑛 → 1 . Supponiamo di prendere T non limitato e di voler controllare se esiste il suo aggiunto. Cerco quindi 𝑇† tale che 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝑇†𝑦, 𝑥 . Scrivendo questa uguaglianza dobbiamo inanzitutto restringere il dominio dell’operatore , 𝑥 ∈ 𝐷𝑇 . Inoltre non vale in questo caso il teorema di Riesz , quindi non so se , fissato y , ∃ 𝑦′ 𝑡. 𝑐. 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝑦′ , 𝑥 . Dunque anche 𝑇† , se esiste, ha un suo dominio 𝐷𝑇† .

Es: Prendiamo 𝑇 𝑒𝑛 = 𝑒1 ; 𝑇𝑥 = 𝑎𝑛𝑛 𝑒1 . Abbiamo già visto che questo operatore è non limitato. Supponiamo quindi di cercare l’aggiunto controllando innanzitutto se è definito su 𝑒1 : 𝑒1 , 𝑇𝑥 = 𝑒1 , 𝑒1 𝑎𝑛𝑛 = 𝑎𝑛𝑛 . Ci chiediamo quindi se esiste 𝜂 tale che 𝜂, 𝑥 = 𝑎𝑛𝑛 . Essendo 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛𝑛 , occorrerebbe che 𝜂 fosse del tipo 1,1, … . ,1 , ma tale vettore non appartiene a ℓ2 . Analogamente si controlla che per i vettori successivi l’operatore è nullo, infatti 𝑒𝑛>1 , 𝑇𝑥 = 𝑒𝑛>1 , 𝑒1 𝑎𝑛𝑛>1 = 0 = 0, 𝑥 ⟹ 𝑇†𝑒𝑛>1 = 0 . Quindi questo operatore non è definito sul primo vettore ed è 0 su tutti gli altri. ∎ Es: Prendiamo 𝑇 = 𝑑/𝑑𝑥 in 𝐿2 𝑎, 𝑏 . Per trovare l’aggiunto dobbiamo vedere se è verificata la propriet{ 𝑔, 𝑇𝑓 = 𝑇†𝑔, 𝑓 . Nello scrivere il primo membro dell’uguaglianza bisogna ovviamente porre che 𝑓 ∈ 𝐶1 𝑎, 𝑏 , 𝑓 ∈ 𝐿2 𝑎, 𝑏 , 𝑓 ′ ∈ 𝐿2 𝑎, 𝑏 . Si ha che

𝑔, 𝑓 ′ = 𝑔∗𝑓 ′𝑑𝑥𝑏

𝑎

= 𝑔∗𝑓 𝑎𝑏 − 𝑔∗′𝑓

𝑏

𝑎

Dobbiamo quindi porre le ulteriori condizioni 𝑔 ∈ 𝐶1 𝑎, 𝑏 , 𝑔 ∈ 𝐿2 𝑎, 𝑏 , 𝑔′ ∈ 𝐿2 𝑎, 𝑏 . In questo modo si ottiene :

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11

𝑔, 𝑓 ′ = 𝑔∗𝑓 𝑎𝑏 − 𝑔∗′𝑓

𝑏

𝑎

= 𝑔∗ 𝑏 𝑓 𝑏 − 𝑔∗ 𝑎 𝑓 𝑎 + −𝑔′ , 𝑓

Abbiamo visto poco fa che questo risultato è ascrivibile ad un prodotto scalare ( ci serve per dimostrare che esiste l’aggiunto) solo se non sono presenti i termini misti. Deve quindi valere che

𝑔∗ 𝑏 𝑓 𝑏 − 𝑔∗ 𝑎 𝑓 𝑎 = 0 Poiché questo sia vero occorre che sia 𝑔 𝑎 = 𝑔 𝑏 = 0. Con questa condizione posso definire l’aggiunto dell’operatore derivata che è definito da 𝑇† = −𝑇 , ma in un dominio più piccolo di T. In realtà questa asimmetricità del risultato ( sono praticamente lo stesso operatore, a meno di un segno, con domini diversi) ci suggerisce di trovare delle condizioni migliori. Tale obiettivo si può facilmente raggiungere “spezzando” la condizione precedente nelle due seguenti :

𝑓 𝑎 = 𝑓 𝑏 ; 𝑔 𝑎 = 𝑔(𝑏)

In questo modo 𝐷𝑇 = 𝐷𝑇† . In meccanica quantistica l’operatore impulso è definito da 𝑇 = 𝑖𝑑

𝑑𝑥 : in questo

caso la presenza dell’unit{ immaginaria i risolve l’asimmetricit{ presente nell’operatore precedente , così che risulti 𝑇 = 𝑇† con domini coincidenti. ∎ Possiamo quindi dare una definizione più generale di operatore SIMMETRICO : T si dice simmetrico se esiste un dominio denso in cui 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝑇𝑦, 𝑥 , ovvero se esiste almeno un dominio denso in cui si comporta come auto aggiunto. Es: Consideriamo ora l’operatore derivata seconda, 𝑇 = 𝑑2/𝑑𝑥2 e determiniamo l’operatore aggiunto.

𝑔, 𝑓 ′′ = 𝑇†𝑔, 𝑓 ⟹ 𝑔, 𝑓 ′′ = 𝑔∗𝑓 ′′ 𝑑𝑥𝑏

𝑎

= 𝑔∗𝑓 ′ 𝑎𝑏 − 𝑔∗′𝑓 ′𝑑𝑥

𝑏

𝑎

= 𝑔∗𝑓 ′ − 𝑔∗′𝑓 𝑎

𝑏+ 𝑔∗′′ 𝑓𝑑𝑥

𝑏

𝑎

In questo caso si dovrà quindi annullare 𝑔∗𝑓 ′ − 𝑔∗′𝑓 𝑎

𝑏 : nel dominio in cui questo si verifica 𝑇† = 𝑇.

Per soddisfare questa richiesta posso fare diverse scelte :

i. 𝑓 𝑎 = 𝑓 𝑏 = 𝑔 𝑏 = 𝑔 𝑎 = 0 ii. 𝑓 𝑎 = 𝑓 𝑏 ; 𝑓 ′ 𝑎 = 𝑓 ′ 𝑏 ; 𝑔 𝑎 = 𝑔 𝑏 ; 𝑔′ 𝑎 = 𝑔′ (𝑏) : condizioni di periodicità

Ho trovato quindi due scelte diverse per cui l’operatore è simmetrico. ∎ Es: Prendiamo ora 𝑇𝑓 = 𝑕 , dove 𝑕 ∈ 𝐿2 è assegnata, f è incognita e T è l’operatore derivata seconda. Prima di applicare l’operatore per trasformare l’equazione in una differenziale occorre scegliere il “set” di condizioni appropriato. Supponiamo prima di utilizzare la prima scelta. Prendiamo quindi lo spazio 𝐿2 0, 𝜋 : la base più conveniente in questo caso è quella formata da 𝑒𝑛 = sin 𝑛𝑥 𝑛 = 1,2, … , quindi prendendo 𝑕 = 𝑕𝑛 sin 𝑛𝑥𝑛 , 𝑓 = 𝑓𝑛 sin 𝑛𝑥𝑛 l’equazione diventa

𝑓 ′′ = 𝑓𝑛 −𝑛2 sin 𝑛𝑥

𝑛

= 𝑕𝑛 sin 𝑛𝑥

𝑛

⟹ 𝑓𝑛 = −𝑕𝑛

𝑛2 𝑛 = 1,2, …

Le 𝑓𝑛 ∈ ℓ2 quindi il problema è sicuramente risolvibile e ammette , ∀𝑕𝑛 , una ed una sola soluzione.

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12

Utilizzando la seconda scelta (ii) possiamo prendere 𝐿2 −𝜋, 𝜋 . In questo spazio , per semplicità di notazione, scegliamo il set 𝑒𝑛 = 𝑒𝑖𝑛𝑥 𝑛 = 0,1, … . Quindi, in questo caso, 𝑕 = 𝑕𝑛𝑒𝑖𝑛𝑥

𝑛 , 𝑓 = 𝑓𝑛𝑒𝑖𝑛𝑥𝑛

, ovvero – 𝑛2𝑓𝑛 = 𝑕𝑛 𝑛 = 0,1, … . Differentemente dal primo caso ora può essere anche 𝑛 = 0 , quindi se 𝑕0 ≠ 0 non ci sono soluzioni ,altrimenti se 𝑕0 = 0 , 𝑓0 è arbitrario e l’equazione ammette soluzione. Quindi se il primo termine della serie di Fourier è nullo avrò la soluzione

𝑓 = −𝑕𝑛

𝑛2 𝑒𝑖𝑛𝑥

𝑛≠0

+ 𝑓0

Quindi vediamo che è molto importante definire il dominio giusto per lo studio dell’operatore. ∎

26 ott. 10

Es: Abbiamo già visto nel primo modulo il problema di Poisson che consiste nel trovare il potenziale all’interno di una zona circolare di raggio unitario dove è conosciuto il valore sul bordo. Bisogna risolvere

∇2𝑢 = 0 ⟹ 𝑢 𝑟, 𝜑 = 𝑎0 + 𝑟𝑛 𝑎𝑛𝑒𝑖𝑛𝜑 + 𝑎−𝑛𝑒−𝑖𝑛𝜑

𝑛≥1

con la condizione

𝑢 1, 𝜑 = 𝑎0 + 𝑎𝑛𝑒𝑖𝑛𝜑 + 𝑎−𝑛𝑒−𝑖𝑛𝜑

𝑛≥1

= 𝑉 𝜑

Possiamo porre anche la condizione 𝜕𝑟𝑢 𝑟=1 = 𝐺 𝜑

𝜕𝑢

𝜕𝑟 𝑟=1

= 𝑛 𝑎𝑛𝑒𝑖𝑛𝜑 + 𝑎−𝑛𝑒−𝑖𝑛𝜑

𝑛

= 𝐺 𝜑 = 𝐺𝑛𝑒𝑖𝑛𝜑

+∞

𝑛=−∞

Se 𝐺0 ≠ 0 questa equazione non è risolvibile, altrimenti ho ∞1 soluzioni . Abbiamo quindi ritrovato il caso della lezione precedente : la scelta del dominio condiziona la soluzione. Fisicamente

𝐺0 =1

2𝜋 𝐺 𝜑 𝑑𝜑

2𝜋

0

= 𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑜 𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑖𝑛 𝑎𝑠𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑕𝑒 = 0 ∎

Es: Prendiamo nuovamente l’operatore derivata seconda : 𝑇𝑓 = 𝑕 ⟹ 𝑓 ′′ = 𝑕 . Il nucleo di questo operatore dipende nuovamente dalla scelta delle condizioni al contorno poiché si tratta di risolvere l’equazione 𝑔′′ = 𝑇𝑔 = 0 . Possiamo prendere come soluzioni le funzioni del tipo 𝑔 = 𝑎 + 𝑏𝑥 𝑎, 𝑏 ∈ ℂ con le condizioni di annullamento agli estremi : in questo caso ker 𝑇 = 0 . Altrimenti se prendiamo 𝑔 = 𝑎 , ker 𝑇 = 𝑎 ed è un sottospazio 1-dimensionale. Utilizzando inoltre la base sin 𝑛𝑥 si può trovare l’inverso dell’operatore :

𝑇−1 sin 𝑛𝑥 = −1

𝑛2sin 𝑛𝑥 ⟹ 𝑇−1 = 1 ∎

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Es: Prendiamo lo spazio 𝐿2 ℝ , 𝑇𝑓 = 𝑥𝑓 . L’operatore non è limitato. Vogliamo quindi vedere se esiste l’aggiunto.

𝑔, 𝑇𝑓 = 𝑇†𝑔, 𝑓 ⟹ 𝑔∗𝑥 𝑓 𝑑𝑥 ℝ

⟹ 𝑇†𝑔 = 𝑥𝑔

Non vi sono problemi nel dominio dove è definito l’operatore e questo è simmetrico. Più in generale se prendiamo 𝑇𝑓 = 𝜑 𝑥 𝑓 , se 𝜑(𝑥) è limitata allora T è limitato e l’aggiunto è dato da 𝑇†𝑓 = 𝜑∗𝑓 . ∎ Abbiamo già visto la proprietà per cui ci si chiede se esiste 𝑦′ tale che 𝑦, 𝑇𝑥 = 𝑦′ , 𝑥 = 𝑇†𝑦, 𝑥 , ∀𝑥 ∈𝐷𝑇 . Poiché nel caso generico non vale il teorema di Riesz può succedere che 𝑦′ non sia unico : vogliamo quindi dimostrane l’unicit{. Supponiamo per assurdo che esista 𝑦′′ ≠ 𝑦′ tale che 𝑦′′ , 𝑥 = 𝑦, 𝑇𝑥 . Sottraendo a questa condizione la prima si ottiene che 𝑦′ − 𝑦′′ , 𝑥 = 0 , ∀𝑥 ∈ 𝐷𝑇 , ma se 𝐷𝑇 è denso l’unico vettore ortogonale ad x è il vettore nullo, dunque 𝑦′ − 𝑦′′ = 0 ⟹ 𝑦′ = 𝑦′′ : assurdo. Quindi quando cerco l’aggiunto di un operatore devo controllare che il dominio sia denso. Questa propriet{ è di fondamentale importanza quando si vuole trovare l’aggiunto dell’aggiunto di un operatore : infatti non è detto che il dominio del primo aggiunto sia denso. Se però anche l’aggiunto ha

dominio denso allora posso definire 𝑇†† e si ha che 𝐷𝑇†† ⊇ 𝐷𝑇 . Inoltre si ha che 𝑇†† = 𝑇 ⟹ 𝑇††† = 𝑇† .

Ricordiamo che se un operatore è definito su una base possiamo provare ad estenderlo per continuità su tutto lo spazio , altrimenti questo è non limitato. Ci chiediamo ora se sia continuo un operatore che è definito su tutto lo spazio. In particolare si può applicare un ragionamento già utilizzato nel caso di funzioni discontinue : 1/𝑥 può essere definita con un valore arbitrario nel suo punto di discontinuità. Possiamo quindi definire operatori in maniera arbitaria nelle singolarità del loro dominio. In generale vale il seguente teorema : Se T è definito su tutto lo spazio ed è simmetrico allora è continuo. Supponiamo ora che T sia simmetrico. Vediamo quali proprietà immediate valgono per questa classe di operatori.

i. Se esistono gli auto valori, questi sono tutti reali. Supponiamo che x sia un autovettore dell’operatore. Si ha quindi 𝑇𝑥 = 𝜆𝑥 ⟹ 𝑥, 𝑇𝑥 = 𝜆 𝑥, 𝑥 . Notiamo che 𝑥, 𝑥 ∈ ℝ e che 𝑥, 𝑇𝑥 ∈ ℝ poiché 𝑥, 𝑇𝑥 ∗ = 𝑇𝑥, 𝑥 = 𝑥, 𝑇𝑥 , per la simmetria dell’operatore. Segue la tesi.

ii. Se un operatore simmetrico ha due auto vettori con auto valori distinti 𝜆1 , 𝜆2 allora questi sono ortogonali : 𝑇𝑥1 = 𝜆1𝑥1 , 𝑇𝑥2 = 𝜆2𝑥2 ⟹ 𝑥1 ⊥ 𝑥2 . Infatti basta prendere :

𝑇𝑥1 = 𝜆1𝑥1

𝑇𝑥2 = 𝜆2𝑥2

⟹ 𝑥2 , 𝑇𝑥1 = 𝜆1 𝑥2, 𝑥1

𝑇𝑥2 , 𝑥1 = 𝜆2∗ 𝑥2, 𝑥1

Poiché 𝜆2 ∈ ℝ posso sottrarre membro a membro per ottenenre 0 = 𝜆1 − 𝜆2 𝑥2 , 𝑥1 ⟹ 𝑥2 , 𝑥1 = 0 ⟹ 𝑥2 ⊥ 𝑥1 .

iii. Dato un operatore qualunque T e 𝑧 ∈ ker 𝑇 . Supponiamo che il nucleo sia non banale. Supponiamo che esiste 𝑦 ∈ 𝐷𝑇 𝑡. 𝑐. 𝑦, 𝑇𝑧 = 0 = 𝑇†𝑦, 𝑧 . Quindi ker 𝑇 ⊥ Imm 𝑇† .Ma questo non significa che gli spazi possano essere correlati con una somma diretta. Per gli operatori simmetrici 𝑇 = 𝑇† quindi il nucleo e l’immagine sono ortogonali.

Es: Prendiamo l’operatore di Sturm Liouville definito da

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𝑇 = −1

𝜌 𝑥 𝑑

𝑑𝑥 𝑝 𝑥

𝑑

𝑑𝑥 − 𝑞 𝑥

L’operatore non è simmetrico a meno che 𝜌 = 1 . Posso comunque farlo diventare simmetrico definendo un prodotto scalare adatto

𝑓, 𝑔 𝜌 = 𝑓∗𝑔 𝜌𝑑𝑥 ⟹ 𝑓 𝜌2 = 𝑓 2 𝜌 𝑑𝑥 ≥ 0

In questo modo la simmetria è evidente poiché

𝑓, 𝑇𝑔 𝜌 = 1

𝜌𝑓∗ 𝑇𝑔 𝜌𝑑𝑥 = 𝑇𝑓, 𝑔 𝜌

Questo operatore ammette un SONC di auto vettori , ortogonali rispetto al prodotto scalare definito sopra, inoltre 𝜆𝑛 → +∞ . ∎

Operatori Unitari Abbiamo già visto la definizione di operatore unitario nel primo modulo , ci limiteremo quindi a ricordare le proprietà principali di questa classe di operatori. U si dice operatore unitario se conserva i prodotti scalari, ovvero se 𝑈𝑥, 𝑈𝑦 = 𝑥, 𝑦 . Per questo valgono le immediate proprietà : 𝑈†𝑈 = 𝐼 ⟹ 𝑈−1 = 𝑈† ; det 𝑈 = 𝑒𝑖𝛼 . In dimensione infinita l’operatore è limitato , infatti 𝑈𝑥 2 = 𝑥 2 ⟹ 𝑈 = 1 . Inoltre l’operatore è iniettivo , infatti supponiamo che esistono 𝑥1 , 𝑥2 tali che 𝑈𝑥1 = 𝑈𝑥2 ⟹ 𝑈 𝑥1 − 𝑥2 = 0 ⟹ 𝑈 𝑥1 − 𝑥2 = 0 ⟹ 𝑥1 − 𝑥2 = 0 ⟹ 𝑥1 =𝑥2 . Es: Prendiamo l’operatore 𝑇𝑒𝑛 = 𝑒𝑛+1 𝑛 = 1,2, … ; 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑛𝑛 , 𝑦 = 𝑏𝑛𝑒𝑛𝑛 . Si ha che

𝑇𝑥, 𝑇𝑦 = 𝑥, 𝑦 = 𝑎𝑛∗ 𝑏𝑛

𝑛

⟹ 𝑇†𝑒𝑛 = 0 𝑠𝑒 𝑛 = 1

𝑒𝑛−1 𝑠𝑒 𝑛 > 1

⟹ 𝑇†𝑇 = 𝐼

Questo operatore non è suriettivo poiché 𝑒𝑛−1 ∉ Imm 𝑇 , quindi non è unitario. Possiamo però far variare gli n da −∞ a +∞ : in questo modo l’operatore diventa unitario e si ha 𝑛 = 0, ±1, ±2 … ; 𝑇𝑒𝑛 =𝑒𝑛+1 ⟹ 𝑇†𝑒𝑛 = 𝑒𝑛−1 ⟹ 𝑇† = 𝑇−1 . ∎ Es: In 𝐿2 ℝ , l’operatore 𝑈𝑓 = 𝑓 𝑥 − 𝑎 è suriettivo ed unitario. ∎ Es: Se 𝑈𝑒𝑛 = 𝑐𝑛𝑒𝑛 e U è unitario allora 𝑐𝑛 = 1 . ∎ Es: Prendiamo la trasformata di Fourier in 𝐿2 ℝ . ℱ → 𝑓 , 𝑔 = 𝑓, 𝑔 2𝜋 . La trasformata conserva i prodotti scalari quindi è un operatore unitario. Gli auto valori della trasformata di Fourier si trovano sfruttando la proprietà che essa commuta rispetto all’operatore di Sturm Liouville:

ℱ𝑇 = 𝑇ℱ 𝑐𝑜𝑛 𝑇 = −𝑑2

𝑑𝑥2+ 𝑥2

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Sappiamo che T ha un SONC di auto vettori ( con auto valori non degeneri) per cui 𝑇𝑢𝑛 = 𝜆𝑛𝑢𝑛 , quindi

ℱ𝑇𝑢𝑛 = 𝑇ℱ𝑢𝑛 ⟹ 𝜆𝑛 ℱ𝑢𝑛 = 𝑇 ℱ𝑢𝑛 Ovvero ℱ𝑢𝑛 è autovettore di T . ∎ Vediamo di esplicitare in generale questa regola su operatori che commutano. Siano quindi T, S operatori tali che 𝑇𝑆 = 𝑆𝑇 e supponiamo che T abbia un auto valore 𝑇𝑣 = 𝜆𝑣 dove 𝜆 ha degenerazione infinita . Sia inoltre 𝑉𝜆 il sottospazio (dimensione finita) degli auto vettori con auto valore 𝜆 . Si ha che 𝑇 𝑆𝑣 = 𝑆𝑇𝑣 =𝜆 𝑆𝑣 ⟹ 𝑇 𝑆𝑣 = 𝜆(𝑆𝑣) . Poiché 𝜆 ha degenerazione finita 𝑆𝑣 ∈ 𝑉𝜆 , quindi 𝑆 𝑉𝜆

: 𝑉𝜆 → 𝑉𝜆 è un

sottospazio a dimensione finita e T ed S hanno auto valor in comune. Se la degenerazione fosse esattamente 1 otterrei lo stesso vettore.

28 ott. 10

M si dice matrice normale se commuta con la sua aggiunta , ovvero se 𝑀𝑀† = 𝑀†𝑀 . Se 𝑆|𝑉𝜆

è una matrice normale allora esiste una base ortogonale di auto vettori : in questo caso quindi ho

trovato n vettori di T e di S. Supponiamo ora che l’operatore T abbia n auto vettori che formano un set completo : 𝑇𝑣 𝑛 = 𝜆 𝑛 𝑣 𝑛 . Posso costruire una base di auto vettori comuni sia a T che S iterando il

ragionamento per l’n-esima restrizione di S all’n-esimo auto spazio ottenendo così una base di auto vettori per T e per S. Es:

Prendiamo l’operatore Laplaciano sul piano : 𝑇 =𝑑2

𝑑𝑥2 +𝑑2

𝑑𝑦2 .

Supponiamo di voler cercare gli auto valori di questo operatore in un quadrato di lato 𝜋 . Si tratta di risolvere il sistema differenziale

𝑇𝑢 = 𝜆𝑢

𝑢 = 0 𝑠𝑢𝑙 𝑏𝑜𝑟𝑑𝑜 0 ≤ 𝑥 ≤ 𝜋 , 0 ≤ 𝑦 ≤ 𝜋

Con la notazione e i calcoli introdotti nel primo modulo si ottiene facilmente la soluzione

𝜕𝑥2𝑢 + 𝜕𝑦

2𝑢 = 𝜆𝑢 ⟹ 𝑢 = 𝑋 𝑥 𝑌 𝑦 ⟹𝑋′′

𝑋+

𝑌′′

𝑌= 𝜆 ⟹ 𝑢𝑛1 ,𝑛2

𝑥, 𝑦 = sin 𝑛1𝑥 sin 𝑛2𝑦

Gli auto valori di questo operatore sono ovviamente 𝜆𝑛1 ,𝑛2

= − 𝑛12 + 𝑛2

2 . Se 𝑛1 = 𝑛2 ⟹ deg 𝜆𝑛1 ,𝑛2 =

1 altrimenti se 𝑛1 ≠ 𝑛2 la degenerazione dell’autovalore è 2 poiché sin 𝑛1𝑥 sin 𝑛2𝑦 ha lo stesso auto valore di sin 𝑛2𝑥 sin 𝑛1𝑦 . Ad esempio sin 𝑥 sin 𝑦 ha auto valore -2 con degenerazione 1 mentre sin 2𝑥 sin 𝑦 e sin 𝑥 sin 2𝑦 hanno lo stesso auto valore , -5. L’operatore T ha quindi una base di auto vettori e la degenerazione degli auto valori è finita. Scelgo come operatore 𝑆𝑓 𝑥, 𝑦 = 𝑓 𝑦, 𝑥 : è ovvio che 𝑇𝑆 = 𝑆𝑇 ( grazie alla particolare scelta del dominio) . Se scegliamo la degenerazione 1 le autofunzioni di T dovrebbero essere anche di S, come visto nell’osservazione precedente , ed è verificato. Per degenerazione pari a 2 si ottengono le funzioni sin 2𝑥 sin 𝑦 , sin 𝑥 sin 2𝑦 che sono una base di 𝑉−5 ma non sono autofunzioni di S. Sono autofunzioni di S solo le combinazioni lineari sin 2𝑥 sin 𝑦 ± sin 𝑥 sin 2𝑦. ∎ Torniamo ora agli operatori unitari . Vale la seguente proprietà. Sia 𝑈𝑒𝑛 = 𝑓𝑛 , allora 𝑒𝑛 , 𝑓𝑛 𝑆𝑂𝑁𝐶 ⇔ 𝑈 è unitario. Infatti basta vedere che

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⇐ Se 𝑒𝑛 sono ortogonali ⟹ 𝑓𝑛 sono ortogonali . Dobbiamo solo dimostrare la completezza quindi cerco 𝑧 tale che 𝑧, 𝑓𝑛 = 0 ⟹ 𝑧, 𝑓𝑛 𝑐 = 𝑧, 𝑈𝑒𝑛 𝑐 = 𝑈†𝑧, 𝑒𝑛 = 𝑈−1𝑧, 𝑒𝑛 ⟹ 𝑈−1𝑧 = 0 ⟹ 𝑧 = 0 . La penultima implicazione deriva dal fatto che 𝑒𝑛 è completo. ⇒ Dobbiamo verificare che 𝑓𝑛 SONC ⟹ 𝑈surgettivo. Quindi prendo 𝑦 ∈ 𝐻 e faccio vedere che ∃𝑥 tale che 𝑇𝑥 = 𝑦 . Ma se 𝑓𝑛 è un SONC allora 𝑦 = 𝑏𝑛𝑓𝑛𝑛 quindi l’unico x possibile è 𝑥 = 𝑏𝑛𝑓𝑛𝑛 , infatti 𝑈𝑥 = 𝑏𝑛𝑓𝑛𝑛 . Quindi l’operatore è suriettivo e si conservano i prodotti scalari , dunque U è unitario. Ci chiediamo ora cosa implichi la NON continuità di un operatore. Prendo un punto 𝑥0 e consideriamo tutte le successioni dello spazio distinguendo le convergenti e le divergenti. In questa configurazione può succedere che qualche successione abbia limite e altre no . Inoltre può succedere che trovi una successione che viene trasformata da T in un vettore 𝑦′′ ≠ 𝑦 . Riassumendo si hanno due nuove definizioni : distinguiamo i due casi :

i. 𝑇𝑥𝑛 → 𝑦 convergente o 𝑇𝑥𝑛′ → 𝑋 non convergente : si dice che l’operatore è CHIUSO.

ii. 𝑇𝑥𝑛 → 𝑦 convergente , 𝑇𝑥𝑛′ → 𝑋 non convergente o 𝑇𝑥𝑛

′′ → 𝑦′′ ≠ 𝑦 : si dice che l’operatore è NON CHIUSO ( N.B. Non APERTO!)

Es: L’operatore T di derivazione in 𝐿2 0, 𝜋 è chiuso, infatti.

𝑇 =𝑑

𝑑𝑥 , 𝑓𝑛 =

1

𝑛𝛼sin 𝑛𝑥 𝛼 > 0 ⟹ 𝑓𝑛

𝐿2

→ 0 ⟹ 𝑇𝑓𝑛 =cos 𝑛𝑥

𝑛𝛼−1→

0 𝑝𝑒𝑟 𝛼 > 1𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖

Es: L’operatore 𝑇𝑓 = 𝑓 𝑎 , 𝑓 ∈ 𝐿2 ∩ 𝐶0 è non chiuso. Prendendo 𝑓𝑛 = 1/𝑛 → 0 ⟹ 𝑇𝑓𝑛 = 1/𝑛 → 0 .

Ma basta prendere una 𝑓𝑛′ definita 1 in un triangolo di base

1

𝑛 si ha che 𝑓𝑛

′𝐿2

→ 0 mentre 𝑇𝑓𝑛 → 1 . Inoltre si

può prendere una 𝑓𝑛′′ definita n in un triangolo di base

1

𝑛3 per verificare che 𝑓𝑛′′

𝐿2

→ 0 mentre 𝑇𝑓𝑛 = 𝑛 →

+∞ . Si può infine prendere una 𝑓𝑛′′′ definita 1 per n pari e -1 per n dispari su un triangolo di base

1

𝑛 per

cui 𝑓𝑛′′′ → 0 mentre 𝑇𝑓𝑛

′′′ = 1 . ∎ Prendiamo un operatore T che abbia nucleo denso. Prendo 𝑦 ∈ 𝐷𝑇 ∉ ker 𝑇 . Posso prendere 𝑧𝑛 ∈ ker 𝑇 tale che 𝑧𝑛 → 𝑦 ⟹ 𝑇 𝑧𝑛 = 0 ma 𝑇(𝑦) ≠ 0 . D’altra parte posso anche scegliere la successione

𝑦𝑛′ → 𝑦 𝑦𝑛

′ ≡ 𝑦 → 𝑦 , 𝑇(𝑦) ≠ 0 . Altrimenti anche 𝑦𝑛′ ⟼ 𝑦 + 𝑒1/𝑛

𝑛→∞ 𝑦 ma 𝑇(𝑦) ≠ 0. Quindi T non è

chiuso. In particolare vale il seguente teorema : T chiuso ⇔ ∃ 𝑆 𝑡. 𝑐. 𝑇 = 𝑆† . Prendendo ad esempio un operatore chiuso come la derivata avremo che

𝑔 = 𝑎𝑛𝑓𝑛 (𝑥)

𝑛

⟹𝑑

𝑑𝑥 𝑎𝑛𝑓𝑛 𝑥

𝑛

= 𝑎𝑛𝑓𝑛′ 𝑥

𝑛

→ 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒

𝑔′

Quindi se la serie delle derivate converge ammette un unico limite poiché l’operatore è chiuso. Tale propriet{ è molto comoda perché ci permette di definire l’operatore in un sottospazio esterno al dominio. Es: Prendiamo

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Nozioni di convergenza per successioni di vettori Abbiamo utilizzato spesso la convergenza in norma definita da 𝑥𝑛 → 𝑥 ⟹ 𝑥𝑛 − 𝑥 → 0 ( nel seguito di questo capitolo indicheremo la convergenza in norma con la freccia semplice in modo da non creare confusione con la notazione) . Si introduce quindi una nozione di convergenza debole :

𝑥𝑛 ⇀ 𝑥 𝑜 𝑥𝑛

𝑤→ 𝑥 𝑠𝑒 ∀𝑦 ∈ 𝐻 𝑦, 𝑥𝑛 → 𝑦, 𝑥

E’ chiaro che la convergenza in norma implica convergenza debole ( NON il viceversa!) poiché utilizzando Cauchy-Schwartz si ha 𝑦, 𝑥𝑛 − 𝑦, 𝑥 = 𝑦, 𝑥𝑛 − 𝑥 ≤ 𝑦 ⋅ 𝑥𝑛 − 𝑥 . Es:

Prendiamo lo spazio 𝐿2 ℝ e il set 𝑒𝑛 = 1 𝑖𝑛 𝑛, 𝑛 + 1

0 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜𝑣𝑒 .

Questi vettori non formano un set completo ( per un argomentazione completa si veda il primo modulo) e

inoltre 𝑒𝑛 − 𝑒𝑚 = 2 . Si vede che 𝑒𝑛 è convergente debolmente. Per dimostrarlo possiamo utilizzare

𝑓 ∈ 𝐿2 ⟹ 𝑓, 𝑒𝑛 = 𝑓𝑛+1

𝑛→ 0 . Prima di applicare Schwartz conviene però introdurre la notazione

seguente

𝑓𝑛 = 𝑓 𝑖𝑛 𝑛, 𝑛 + 1

0 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜𝑣𝑒

Con questa definizione si ha che

𝑓, 𝑒𝑛 = 𝑓𝑛 , 𝑒𝑛 ≤ 𝑓𝑛 ⋅ 𝑒𝑛 1

→ 0

Infatti

𝑓𝑛 2 = 𝑓𝑛 2 𝑛+1

𝑛

𝑛→∞ 0 ∎

Diamo quindi la definizione di operatore compatto. T si dice compatto se ∀𝑥𝑛 ⇀ 𝑥0 ⟹ 𝑇𝑥𝑛 → 𝑇 𝑥0 . Questo operatore è certamente continuo poiché la convergenza in norma implica la debole. Es: L’operatore identit{ è continuo ma non compatto. ∎ In dimensione finita la nozione di convergenza debole non esiste poiché coincide con quello di convergenza in norma. Un proiettore è un operatore compatto solo sotto certe condizioni. Se P proietta su un sottospazio a dimensione finita allora è compatto altrimenti no . Infatti posso prendere 𝑒𝑛

′ SONC su 𝐻1 𝑃 → 𝐻1 per cui 𝑒𝑛

′ = 𝑃𝑒𝑛′ ⇀ 0 per cui però 𝑃𝑒𝑛

′ ↛ 0 . Vale poi il seguente teorema: Supponiamo T compatto e normale, allora :

i. T ha un SONC di auto vettori ii. 𝜆𝑛 ≠ 0 a degenerazione finita

iii. Se c’è un auto valore nullo 𝜆 = 0 può avere degenerazione infinita iv. Se ci sono infiniti 𝜆𝑛 ≠ 0 allora 𝜆𝑛 → 0

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18

Per questo teorema vale anche il viceversa. Es: Consideriamo l’operatore di Sturm-Liouville , S. Se l’operatore non ha l’autovalore 0 , il suo inverso 𝑆−1 è compatto. Infatti se avesse l’autovalore nullo l’autospazio coinciderebbe con il nucleo che sarebbe quindi non vuoto , quindi l’operatore sarebbe non iniettivo e dunque non invertibile. ∎ Es: Consideriamo l’equazione del calore 𝜕𝑡𝑢 = 𝜕𝑥𝑥 𝑢 con condizioni di periodicità nel dominio 0,2𝜋 . Data la condizione 𝑢 𝑥, 0 = 𝑓 𝑥 vogliamo determinare 𝑢 𝑥, 𝑡 . Consideriamo l’operatore di evoluzione temporale 𝑇𝑡 definito da 𝑢 𝑥, 𝑡 = 𝑇𝑡𝑢 𝑥, 0 . Sviluppiamo la condizione iniziale tramite serie di Fourier

per trovare la soluzione : 𝑓 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑖𝑛𝑥𝑛 ⟹ 𝑢 𝑥, 𝑡 = 𝑎𝑛𝑒−𝑛2𝑡𝑒𝑖𝑛𝑥+∞

−∞ = 𝑇𝑡𝑢 𝑥, 0 . Questo operatore risulta compatto. Gli auto valori si trovano fissando t e considerando l’equazione 𝑇𝑡𝑒

𝑖𝑛𝑥 =

𝑒−𝑛2𝑡𝑒𝑖𝑛𝑥 ⟹ 𝜆𝑛 = 𝑒−𝑛2𝑡 . Si vede che 𝜆𝑛 → 0 come previsto dal teorema. Inoltre gli auto valori hanno degenerazione 2. Con condizioni di annullamento al bordo si sarebbe ottenuto lo stesso risultato. ∎

Nozioni di convergenza per successioni di operatori Supponiamo ora di avere una successione di operatori 𝑇𝑛 limitati. Anche per queste successioni ci sono tre fondamentali nozioni di convergenza:

i. Convergenza in norma : 𝑇𝑛

𝑇 se 𝑇𝑛 − 𝑇 → 0

ii. Convergenza forte : 𝑇𝑛

𝑆→ 𝑇 se ∀𝑥 ∈ 𝐻 si ha 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 → 0

iii. Convergenza debole : 𝑇𝑛

𝑤→ 𝑇 o 𝑇𝑛 ⇀ 𝑇 se ∀ 𝑥, 𝑦 ∈ 𝐻 si ha 𝑦, 𝑇𝑛𝑥 → 𝑦, 𝑇𝑥

Dimostriamo alcune ovvie implicazioni. Si vede che 𝑖) ⟹ 𝑖𝑖) infatti 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 ≤ 𝑇𝑛 − 𝑇 ⋅ 𝑥 . Se 𝑇𝑛 − 𝑇 → 0 allora 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 → 0 . Inoltre 𝑖𝑖) ⟹ 𝑖𝑖𝑖) poiché 𝑦, 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 ≤ 𝑦 ⋅ 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 . Se 𝑇𝑛 − 𝑇 𝑥 → 0 allora tende a 0 anche il termine di sinistra. Dimostriamo con alcuni contro esempi che non vale il viceversa. Es: Prendiamo l’operatore 𝑇𝑛 che proietta sulle prime n componenti di x, ovvero se 𝑥 = 𝑎𝑘𝑒𝑘

+∞𝑘=1 allora

𝑇𝑛𝑥 = 𝑎𝑘𝑒𝑘𝑛𝑘=1 . Questa successione di operatori potr{ convergere solo all’identit{ ( se converge) .

Controlliamo la convergenza forte.

𝑇𝑛 − 𝐼 𝑥 2 = 𝑎𝑘𝑒𝑘

+∞

𝑘=𝑛+1

2

= 𝑎𝑘 2

+∞

𝑘=𝑛+1

𝑆→ 0

La convergenza debole è quindi immediata. Se c’è anche convergenza in norma deve necessariamente convergere all’idendit{. Verifichiamo quindi se 𝑇𝑛 − 𝐼 < 𝜖 calcolando

𝑇𝑛 − 𝐼 2 = sup𝑥

𝑎𝑘 2+∞𝑘=𝑛+1

𝑎𝑘 2+∞𝑘=1

= 1

Posso infatti prendere un 𝑥 = 0, … , 0 𝑛

, 1 𝑛+1

, 0, … ,0 per cui 𝑇𝑛 − 𝐼 = 1 . ∎

Es:

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19

Prendiamo 𝐿2 0, +∞ , 𝑇𝑓 = 𝑒−𝑥𝑓 , 𝑇𝑛 = 𝑇𝑛 ⟹ 𝑇𝑛𝑓 = 𝑒−𝑛𝑥 𝑓 . Notiamo che se questa successione converge allora deve convergere a 0 ( poiché converge a 0 puntualmente). Controlliamo quindi la convergenza di 𝑇𝑛 → 0 .

𝑇𝑛𝑓 2 = 𝑒−2𝑛𝑥 𝑓 2𝑑𝑥∞

0

Si vede che l’integrando tende a 0 per 𝑛 → +∞ (escluso ovviamente 𝑥 = 0 ) , quindi possiamo utilizzare Lebesgue facendo la maggiorazione seguente

𝑒−2𝑛𝑥 𝑓 2| ≤ 𝑓 2 ∈ 𝐿1 ⟹ 𝑒−2𝑛𝑥 𝑓 2𝑑𝑥∞

0

→ 0 ⟹ 𝑇𝑛

𝑆→ 0

La convergenza forte implica quella in norma poiché 𝑇𝑛 = sup |𝑒−𝑥 | = 1 Es: Prendiamo 𝑇𝑛𝑥 = 𝑒𝑛 𝑦, 𝑥 , 𝑒𝑛 SONC. Studiamo la convergenza debole :

𝑧, 𝑇𝑛𝑥 = 𝑧, 𝑒𝑛 𝑦, 𝑥 = 𝑧𝑛∗ 𝑦, 𝑥

Notiamo che per 𝑛 → ∞ , 𝑧𝑛 → 0 ⟹ 𝑧𝑛

∗ → 0 , quindi 𝑧, 𝑇𝑛𝑥 → 0 . In norma invece si ha

𝑇𝑛𝑥 = 𝑒𝑛 ⋅ 𝑦, 𝑥 ≠ 0 quindi in questo caso non si ha convergenza. ∎ Es: Prendiamo un SONC 𝑒𝑘 , 𝑇𝑒𝑘 = 𝑒𝑘/𝑘 (𝑘 = 1,2. . ) e la successione definita da 𝑇𝑛 = 𝑇𝑛 . Notiamo che 𝑇𝑛𝑒𝑘 = 𝑒𝑘/𝑘𝑛 . Al crescere di n , 1/𝑘𝑛 → 0 quindi rimane solo il primo termine : dobbiamo controllare la convergenza all’operatore 𝑃1 .

𝑇𝑛 = 𝑇𝑛 → 𝑃1 ⟹ 𝑇𝑛 − 𝑃1 = sup 𝑆𝑝 𝑇𝑛 − 𝑃1

Lo spettro di 𝑇𝑛 − 𝑃1 è composto dagli auto valori 1

2𝑛 ,1

3𝑛 . .. quindi il suo estremo superiore è costituito da 1

2𝑛 che tende a 0 per 𝑛 → +∞ : l’operatore converge quindi in norma a 𝑃1 . ∎

Supponiamo ora che T abbia un SON di auto vettori 𝑣𝑛 tali che 𝑇𝑣𝑛 = 𝜆𝑛𝑣𝑛 . Supponiamo inoltre che la degenerazione di ogni auto valore sia 1. Scegliamo gli auto vettori di norma unitaria in modo da avere un SONC. Ogni vettore x si può scrivere come combinazione 𝑥 = 𝛼𝑛𝑣𝑛𝑛 : se applichiamo T si ottiene 𝑇𝑥 = 𝑇 𝛼𝑛𝑣𝑛 = 𝛼𝑛𝜆𝑛𝑣𝑛 . Il passaggio dell’operatore sotto il segno di somma è possibile solo se 𝜆𝑛 ≤ 𝑀 ∈ ℝ . Supponiamo quindi che valga questa ipotesi , si ottiene

𝑇𝑥 = 𝛼𝑛𝜆𝑛𝑣𝑛

𝑛

= 𝜆𝑛𝑃𝑛𝑥

𝑛

⟹ 𝑇 = 𝜆𝑛𝑃𝑛

𝑛

In altre parole abbiamo ottenuto la decomposizione spettrale dell’operatore T. Vogliamo ora capire in che senso 𝑇𝑁 = 𝜆𝑛𝑃𝑛

𝑁 → 𝑇 .

𝑇𝑁 − 𝑇 𝑥 = 𝜆𝑛 2 𝛼𝑛 2

𝑛=𝑁+1

≤ 𝑀2 𝛼𝑛 2

+∞

𝑁+1

→=

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20

se i 𝜆𝑛 sono limitati da M. Quindi

𝑇𝑛 − 𝑇 2 = sup 𝜆𝑛 2 𝛼𝑛 2+∞

𝑁+1

𝛼𝑛 2≤ 𝜆𝑛+1 2 → 0

Infatti se l’operatore è compatto 𝜆𝑛 2 → 0 .

Funzioni di variabile complessa Le funzioni di variabile complessa vengono definite naturalmente come estensione delle funzioni di variabile reale : 𝑓: ℂ → ℂ , ovvero 𝑓 𝑧 = 𝑤 , dove 𝑧 = 𝑥, 𝑦 = 𝑥 + 𝑖𝑦 = 𝜌𝑒𝑖𝜗 . L’esempio più semplice è dato da 𝑓 𝑧 = 𝐴𝑒𝑖𝛾𝑧 : questa funzione aumenta il modulo e cambia la fase del numero complesso z.

Viceversa la funzione 𝑓 𝑧 = 𝑧2 = 𝜌2𝑒𝑖2𝜗 quadra il modulo e raddoppia la fase. La nozione di limite si estende con facilità anche al caso complesso.

lim𝑧→𝑧0

𝑓(𝑧) = 𝑙 ⟹ ∀𝜖 > 0 , ∃ 𝛿 > 0 𝑡. 𝑐. 𝑓 𝑧 − 𝑙 < 𝜖 , 𝛿 < 𝑧 − 𝑧0

Ma 𝑧 − 𝑧0 < 𝛿 invidua un cerchio nel piano complesso , quindi basterà controllare la convergenza della funzione in un cerchio di raggio 𝛿 . Una funzione si dirà quindi continua se 𝑙 = 𝑓 𝑧0 . Es:

Consideriamo la funzione 𝑓 𝑧 =𝑧

𝑧∗ = 𝑒2𝑖𝜗 . Vogliamo controllare se questa funzione ammette limite in

𝑧 = 0. Vediamo che muovendosi sull’asse reale la funzione ha limite,mentre invece sull’asse y la funzione è costante e vale -1 quindi il limite non esiste. A seconda di come ci avviciniamo al punto di discontinuità dunque il limite può non esistere. ∎ In campo complesso la nozione di derivabilità è più sottile rispetto al caso reale. La derivata viene definita analogamente come limite

limΔ𝑧→0

𝑓 𝑧0 + Δ𝑧 − 𝑓 𝑧0

Δ𝑧= 𝑓 ′ 𝑧0

La diversità dal caso reale è data dalla diversa concezione di limite, come abbiamo già visto. Infatti la variazione Δ𝑧 deve essere presa su ogni retta passante per il punto 𝑧0 : il limite deve esistere per ogni Δ𝑧 . La funzione 𝑓 𝑧 = 𝑅𝑒 𝑧 = ℜ 𝑧 = 𝑥 non è derivabile , infatti se si considera l’asse reale Δ𝑧 = Δ𝑥 ⟹𝑓 ′ 𝑧 = 1 mentre se si considera l’asse immaginario Δ𝑧 = 𝑖Δ𝑦 ⟹ 𝑓 ′ 𝑧 = 0 . Es: La funzione 𝑓 𝑧 = 𝑧𝑛 è derivabile ed ha derivata uguale al campo reale, infatti

𝑧 + Δ𝑧 𝑛 − 𝑧𝑛

Δ𝑧=

𝑧𝑛 + 𝑛𝑧𝑛−1 + ⋯− 𝑧𝑛

Δ𝑧= 𝑛𝑧𝑛−1 + Δ𝑧

Δ𝑧→0 𝑛𝑧𝑛−1 . ∎

Definiamo le funzioni che ammettono derivata prima continua olomorfe.

Vale il seguente criterio di Cauchy-Riemann :f olomorfa ⇔ ∃no ∂x𝑓 , 𝜕𝑦𝑓 continue e inoltre 𝜕𝑥𝑓 =1

𝑖𝜕𝑦𝑓 .

La definizione di funzione olomorfa è particolare ed è applicabile al solo caso complesso, infatti l’unica funzione olomorfa nel caso reale è la funzione costante. Es: Le serie di potenze sono funzioni olomorfe.

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21

𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0

= 𝐹 𝑧 → 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒

𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑐𝑒𝑟𝑐𝑕𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑧 − 𝑧0 < 𝑅 ∎

Posso definire l’esponenziale anche in campo complesso con la formula

𝑧𝑛

𝑛!

+∞

𝑛=0

= 𝑒𝑧 , 𝑅 = ∞

La derivata di questa funzione è data da

𝑑

𝑑𝑧 𝑒𝑘𝑧 = 𝑘𝑒𝑘𝑧 = 𝑒𝑧+2𝑘𝜋𝑖 = 𝑒𝑧 ⋅ 𝑒2𝑘𝜋𝑖 = 𝑒𝑧

L’inverso di questa funzione è data da log 𝑧 + 𝑖𝜗 + 2𝑘𝜋𝑖 = 𝑤 , infatti se 𝑧 = 𝑧 𝑒𝑖𝜗 , 𝑒𝑤 = 𝑒log 𝑧+𝑖𝜗 +2𝑘𝜋𝑖 = 𝑧 𝑒𝑖𝜗𝑒2𝑘𝜋𝑖 = 𝑧 . Quindi in campo complesso esiste log −1 = 𝑖𝜋 + 2𝑘𝜋𝑖 , log 1 = 2𝑘𝜋𝑖 . Possiamo definire le altre funzioni analogamente :

sin 𝑧 =

𝑧 −𝑧3

3!+

𝑧5

5!+ ⋯

𝑒𝑖𝑧 − 𝑒−𝑖𝑧

2𝑖

; cos 𝑧 = 𝑧 +

𝑧2

2!+ ⋯

……

E’ interessante notare che , nel campo complesso, la funzione sin 𝑧 non si mantiene limitata, infatti

sin 𝑧 =𝑒𝑖(𝑥+𝑖𝑦 ) − 𝑒−𝑖(𝑥+𝑖𝑦 )

2𝑖=

𝑒𝑖𝑥𝑒−𝑦 − 𝑒−𝑖𝑥𝑒𝑦

2𝑖→ +∞

Inoltre la stessa funzione assume qualsiasi valore :in altre parole l’equazione sin 𝑧 = 𝛼 ha infinite soluzioni in ℂ . Infatti l’equazione equivale a

𝑒𝑖𝑧 − 𝑒−𝑖𝑧

2𝑖= 𝛼 ⟹ 𝑒𝑖𝑧

𝑤

− 𝑒−𝑖𝑧 − 2𝑖𝛼 = 0 ⟹ 𝑤 −1

𝑤− 2𝑖𝛼 = 0 ⟹ 𝑤2 − 2𝑖𝛼𝑤 − 1 = 0

Da questa equazione si ricavano le soluzioni 𝑤1 = 𝑒𝑖𝑧1 , 𝑤2 = 𝑒𝑖𝑧2 ⟹ 𝑖𝑧1 = log 𝑤1 , 𝑖𝑧2 = log 𝑤2 . Quindi si trovano dei valori 𝑧1 , 𝑧2 ∀𝛼 : ci sono infinite soluzioni dell’equazione poiché, come abbiamo visto prima, il logaritmo in ℂ ha infinite soluzioni periodiche. Tutte le funzioni olomorfe possono essere scritte scomponendole in una serie bilatera , composta da due serie diverse.

𝐹 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0

+ 𝑏𝑛

𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=1

Questa serie è convergente se e solo se convergono separatamente le due serie : occorre quindi porre 𝑧 − 𝑧0 < 𝑅 , 𝑧 − 𝑧0 −1 < 𝑟 ⟹ 𝑧 − 𝑧0 > 1/𝑟 . Combinando le due condizioni si ottiene che la serie converge solo nell’insieme definito dal sistema

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22

𝑧 − 𝑧0 < 𝑅

𝑧 − 𝑧0 >1

𝑟

Ovvero la serie converge solo nella corona circolare di raggio compreso tra R ed 1/𝑟 . La corona circolare può ovviamente degenerare in un solo punto se 𝑟 → ∞ : in questo caso c’è convergenza in tutto lo spazio a meno di un punto. Es: Prendiamo la serie bilatera definita da

𝑧

𝑎

𝑛+∞

𝑛=0

+ 𝑏

𝑧

𝑛+∞

𝑛=1

= 𝐹 𝑧 ; 𝑎, 𝑏 ∈ ℝ+

Sono entrambe serie geometriche quindi le condizioni di convergenza soddisfano il sistema

𝑧

𝑎 < 1 ⟹ 𝑧 < 𝑎

𝑏

𝑧 < 1 ⟹ 𝑧 > 𝑏

Possiamo anche calcolare la somma che vale

𝐹 𝑧 =1

1 − 𝑧/𝑎+

1

1 − 𝑏/𝑧− 1 ∎

Es: Analogamente si può prendere

1

𝑧𝑛𝑛!

+∞

𝑛=0

= 𝐹 𝑧 ⟹ 𝑤 =1

𝑧⟹

𝑤𝑛

𝑛!

+∞

𝑛=0

= 𝑒𝑤 ⟹ 𝐹 𝑧 = 𝑒1

𝑧 ∎

Es: Prendiamo

𝑒−1/𝑧2= 1 −

1

𝑧2+

1

𝑧! 𝑧4+ ⋯ ∎

Questa serie converge in tutto il piano complesso esclusa l’origine poiché 𝑟 → +∞ . Posso controllare però se la funzione ammette limite per 𝑧 → 0 (esisterà il limite sul bordo della corona circolare infinitesima). Il limite non esiste perché , studiando l’andamento della funzione in un intorno dell’origine

lim𝑧→0

𝑒−

1

𝑧2 =

lim

𝑧=𝑥→0𝑒−1/𝑧2

= lim𝑥→0

𝑒−

1

𝑥2 = 0

lim𝑧=𝑖𝑦→0

𝑒−1/𝑧2= lim

𝑦→0𝑒1/𝑦2

= +∞

Possiamo vedere che il limite non esiste anche controllando

lim𝑧=𝑥+𝑖𝑥→0

𝑒−1/𝑧2= lim

𝑥→0𝑒−1/ 𝑥+𝑖𝑥 2

= lim𝑥→0

𝑒−

1

𝑥2 2𝑖 2

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Tale limite infatti non esiste. ∎ Es: Vediamo che non esiste il limite della funzione 𝑧 sin 1/𝑧 , a differenza del caso reale.

lim𝑧→0

𝑧 sin1

𝑧 =

𝑥 sin1

𝑥→ 0

𝑖𝑦𝑒𝑖/𝑖𝑦 − 𝑒−𝑖/𝑖𝑦

2𝑖=

𝑦

2 𝑒

1

𝑦 − 𝑒−

1

𝑦 → +∞

Presentiamo ora l’importante Teorema di Taylor-Laurin , elecando le tre situazioni in cui si può applicare.

I. Sia 𝑓(𝑧) olomorfa in un aperto A. Sia 𝑧0 ∈ 𝐴 punto in cui la funzione è olomorfa. E’ possibile sviluppare f in serie di potenze : la serie convergerà in un cerchio di raggio 𝑧1 , dove 𝑧1 è il massimo raggio intorno al punto 𝑧0 in modo da non includere singolarità. Lo sviluppo corrisponderà a

𝑓 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0

; 𝑎𝑛 =1

𝑛!𝑓 𝑛 𝑧0 ⟹ 𝑓 𝑧 ∈ 𝐶∞

Questo punto risulta di fondamentale importanza poiché , nel caso reale, la convergenza dello sviluppo di una funzione reale 𝑎𝑛 𝑥 − 𝑥0 𝑛+∞

𝑛=0 convergeva alla funzione f solo se il resto 𝑅𝑁 → 0 : questa condizione non è presente nel caso complesso. Es: Sia 1/(1 + 𝑥2) = −𝑥 2𝑛

𝑛 . Lo sviluppo converge solo se 𝑥 < 1 . Osservando il grafico viene però naturale chiedersi perché non possa convergere su tutta la retta . Passando al caso complesso ci si rende conto che la funzione 1/(1 + 𝑧2) ha due singolarità in ±𝑖 . ∎

II. Sia 𝑓(𝑧) olomorfa in aperto A. Sia 𝑧0 punto dove la funzione non è olomorfa. In questo caso si può ancora fare lo sviluppo della funzione : il risultato dello sviluppo è una serie bilatera del tipo

𝑓 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0 𝑃𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑇𝑎𝑦𝑙𝑜𝑟

+ 𝑏𝑛

1

𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=1

𝑃𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝐿𝑎𝑢𝑟𝑖𝑛

= 𝑐𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=−∞

che convergerà in una corona circolare di raggio minore di 𝑧1 . In questo caso però i coefficienti 𝑎𝑛 , 𝑏𝑛 avranno una particolare forma (che non ci interessa determinare) diversa da quella vista fino ad ora. Es:

Sia 𝑓 𝑧 = 𝑒−1/𝑧2 .Abbiamo gi{ visto che questa funzione non ammette limite nell’origine. Lo

sviluppo di Taylor-Laurin è dato da

𝑒−1/𝑧2= 1 −

1

𝑧2+

1

2! 𝑧4+ ⋯ ∎

Es:

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La funzione 𝑓 𝑧 = 𝑧 + 1/𝑧3 è assimilabile ad una serie bilatera ed ha singolarità in 0: il suo sviluppo quindi coincide con la funzione stessa. ∎ Es: Sia 𝑓 𝑧 = 1/(1 − 𝑧) e 𝑧0 = 0 . La f è olomorfa in 𝑧0 = 0 e il suo sviluppo in serie di potenze è dato da 𝑓 = 𝑧𝑛+∞

0 con raggio di convergenza 1. Vogliamo ora scrivere la funzione come sviluppo rispetto al punto 2𝑖 , ovvero vogliamo scrivere la f come serie 𝑓 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 2𝑖 𝑛+∞

𝑛 . Piuttosto che calcolare i coefficienti 𝑎𝑛 conviene riscrivere la funzione in modo da evidenziare una simmetria rispetto al punto 2𝑖 .

1

1 − 𝑧=

1

1 − 𝑧 + 2𝑖 − 2𝑖=

1

1 − 2𝑖 1 −𝑧−2𝑖

1−2𝑖

=1

1 − 2𝑖⋅

1

1 −𝑧−2𝑖

1−2𝑖

=1

1 − 2𝑖⋅

𝑧 − 2𝑖 𝑛

1 − 2𝑖 𝑛

+∞

𝑛

Senza fare ulteriori conti abbiamo quindi trovato gli 𝑎𝑛 . Questa serie converge solo se

|(𝑧 − 2𝑖)/(1 − 2𝑖)| < 1 , ovvero se 𝑧 − 2𝑖 < 5 . Se si cerca invece lo sviluppo intorno al punto 𝑧0 = 1 basta notare che riscrivendo la funzione come

1

1 − 𝑧= −

1

𝑧 − 1

è stato trovato lo sviluppo in termini di 𝑧 − 1 𝑛 . ∎

III. Sia 𝑓(𝑧) olomorfa in un aperto A , 𝑧0 ∈ 𝐴 . E’ possibile sviluppare la funzione in serie di Taylor-Laurin in qualsiasi corona circolare (in cui la funzione rimane olomorfa) che sia compatibile con tutte le singolarità della f. Es: Consideriamo la funzione 1/(1 − 𝑧) da sviluppare intorno a 𝑧0 = 0 . Possiamo sviluppare la funzione anche all’esterno del cerchio di raggio unitario ottenendo

1

1 − 𝑧=

1

𝑧 1

𝑧− 1

=1

𝑧⋅ −

1

−1

𝑧+ 1

=1

𝑧

1

𝑧

𝑛

𝑛

< +∞ ⇔ 1

𝑧 < 1 ⟹ 𝑧 > 1 ∎

Es:

La funzione 𝑓 𝑧 =1

sin 𝑧 può essere sviluppata in una serie che converge in un cerchio di raggio 𝜋 ,

o analogamente in una corona circolare di raggio compreso tra 𝜋 e 2𝜋 . In sostanza, per la periodicità della funzione, è possibile sviluppare la funzione in una serie che convergerà nella corona circolare compresa tra 𝑛 + 1 𝜋 e 𝑛𝜋 con 𝑛 ∈ ℕ . ∎

Sia 𝑓(𝑧) olomorfa . Supponiamo ora che f si annulli in un certo punto di olomorfia 𝑧0 . Ci chiediamo se sia

vero che 𝑓 𝑛 𝑧0 = 0 , ∀𝑛 . Questa è un’immediata conseguenza del teorema di Taylor. Supponiamo

infatti che 𝑓 𝑛 𝑧0 = 0, ∀𝑛 ,ma allora 𝛼𝑛 ∝ 𝑓 𝑛 = 0 ⟹ 𝛼𝑛 = 0 , ∀𝑛 . Quindi lo sviluppo in serie di potenze della funzione è 𝑓 𝑧0 = 0. Quindi se una funzione olomorfa si annulla in un punto 𝑧0 di olomorfia , tutta la serie di potenze si annulla nel massimo cerchio possibile. Ma questo implica che 𝑓 𝑧 ≡ 0, ∀𝑧 ∈ 𝐴 poiché posso considerare la derivata n-esima a sua volta come funzione nulla che ha derivate nulle e che quindi ha sviluppo nullo in un cerchio di massimo raggio possibile. Iterando questo procedimento si trova quindi che 𝑓 𝑧 ≡ 0, ∀𝑧 ∈ 𝐴 . Tale proprietà può essere evidenziata dando la seguente definizione : diremo che la funzione 𝑓(𝑧) ha uno

zero di ordine N se 𝑓 𝑧0 = 0 ⟹ 𝑓 𝑁 (𝑧0) ≠ 0 . Es:

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La funzione 𝑓 𝑧 = sin 𝑧 ha , in 𝑧0 ≡ 0 , uno zero di ordine 1 mentre la funzione 𝑧 − sin 𝑧 ha , sempre in 𝑧0 , uno zero di ordine 3. ∎ Sviluppando una funzione con zero di ordine N si avrà che

𝑓 𝑧 = 𝑎𝑁 𝑧 − 𝑧0 𝑁 + 𝑎𝑁+1 𝑧 − 𝑧0 𝑁+1 + ⋯ = 𝑧 − 𝑧0 𝑁 𝑎𝑁 + 𝑎𝑁+1 𝑧 − 𝑧0 + ⋯ 𝑔(𝑧)

Notiamo che 𝑔 𝑧 è non nulla in 𝑧0 , 𝑔(𝑧0) ≠ 0 . Quindi la funzione 𝑓(𝑧) è il prodotto di una funzione che si annulla solo in 𝑧0 per una che è non nulla solo in 𝑧0 . Quindi c’è un intorno della funzione nel quale la funzione non si annulla ( per la continuità ): in questo caso si parla di zeri isolati. Supponiamo ora che si abbia 𝑓1 = 𝑓2 , ∀𝑧 ∈ 𝐴1 ⊂ 𝐴 , allora 𝑓1 = 𝑓2 su A . Infatti la differenza 𝑓1 − 𝑓2 = 0 in 𝐴1 , ma gli zeri devono essere isolati quindi segue che 𝑓1 = 𝑓2 su tutto l’insieme A. In altre parole l’unica estensione (olomorfa) di 𝑓1 = 𝑓2 impone che questa condizione valga , al minimo, su tutto A. Es: L’equazione sin2 𝑧 + cos2 𝑧 = 1 è vera poiché vale sull’asse reale ed è olomorfa. Invece sin 𝑧 ≤ 1 non rimane vera nel passaggio da ℝ a ℂ poiché l’operatore non mantiene l’olomorfia. ∎ Supponiamo ora di dover studiare il limite del rapporto di due funzioni olomorfe : viene da chiedersi se si possa applicare anche in questo caso il teorema di De l’Hopital. Prendiamo 𝑓, 𝑔 olmorfe in 𝑧0 , 𝑓 𝑧0 =𝑔 𝑧0 = 0 . Ma sviluppando in serie si ha che

𝑓 𝑧

𝑔 𝑧 =

𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛+∞𝑛=0

𝑏𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛+∞𝑛=0

=𝑎1 𝑧 − 𝑧0 + ⋯

𝑏1 𝑧 − 𝑧0 + ⋯→

𝑎1

𝑏1=

𝑓 ′ 𝑧0

𝑔′ 𝑧0

Quindi dal punto di vista strettamente pratico è possibile applicare il teorema anche se dal punto di vista teorico non è interamente corretto. Infatti, supponendo di risolvere il limite

𝑒𝑧 − 1

𝑧→

𝑒

𝑧

1 𝑧=0

→ 1 𝑐𝑜𝑛 𝑙′𝐻𝑜𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙

𝑒𝑧 𝑒𝑕 − 1

𝑕 →?

Nel secondo caso abbiamo supposto di non conoscere la derivata della funzione esponenziale e di doverla quindi calcolare con il rapporto incrementale : in questo caso si ottiene un limite impossibile. Vogliamo ora studiare il punti singolari, ovvero i punti in cui la funzione non è olomorfa. Dividiamo queste singolarità in 3 diversi casi :

1. Singolarità removibili : per queste singolarità esiste finito il limite di 𝑓 𝑧 per 𝑧 → 𝑧0 , dove 𝑧0 è il punto singolare. Attribuendo quindi alla funzione il valore del limite si elimina la discontinuità. In questo caso lo sviluppo della funzione in serie di Taylor-Laurin contiene solo la parte di Taylor.

𝑓 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0 𝑃𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑇𝑎𝑦𝑙𝑜𝑟 ≠0

+ 𝑏𝑛

1

𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=1

𝑃𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝐿𝑎𝑢𝑟𝑖𝑛 =0

Es:

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26

La funzione 𝑓 𝑧 =𝑒𝑧−1

𝑧 non è definita in 0 ma il suo limite per 𝑧 → 0 è finito ed è 1. ∎

2. Polo di ordine N : Sono singolarità in cui lo sviluppo della funzione ha , oltre alla parte di Taylor,

un numero finito di termini nella parte di Laurin. Utilizzando lo sviluppo della f si può scrivere

𝑧 − 𝑧0 𝑁𝑓 𝑧=𝑧0= 𝑧 − 𝑧0 𝑁 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0

+ ⋯ + 𝑎−𝑁 → 𝑎−𝑁 ≠ 0 ⟹ 𝑧 − 𝑧0 𝑁𝑓 → 𝑙 ≠ 0 ≠ ∞

Inoltre in questi punti la funzione 1/𝑓(𝑧) ha uno zero di ordine N. Infine una caratteristica dei poli è che lim𝑧→𝑧0

|𝑓| = +∞ .

Es: La funzione 𝑓 𝑧 = 1/ 𝑧 − 𝑖 3 ha un polo di ordine 3 in 𝑧0 = 𝑖 . La funzione sin 𝑧2 /𝑧5 ha un polo di ordine 3 in 𝑧0 = 0 , infatti

sin 𝑧2

𝑧5=

sin 𝑧2

𝑧2

1

𝑧3 ∎

3. Singolarità essenziali : In questo caso la parte di Laurin ha infiniti termini. Come è lecito

aspettarsi ,il limite della f per 𝑧 → 𝑧0 non esiste. Es:

Presentano singolarità essenziali le funzioni 𝑒1/𝑧 , 𝑒−1/𝑧2 , sin 1/𝑧 . ∎

Vale il seguente teorema , di Picard. In ogni intorno piccolo a piacere ( di raggio 𝜖 > 0 ) di una singolarità essenziale la funzione assume TUTTI i valori possibili, a meno di una valore eccezionale 𝛼0 : ovvero 𝑓 𝑧 = 𝛼 ≠ 𝛼0 , ∀ 𝑧 ∈ 𝐼 𝑧0 . Ad esempio le soluzioni dell’equazione 𝑒1/𝑧 = 𝛼 sono famiglie di punti che si accumulano in 0.

1

𝑧= log 𝛼 = log |𝛼| + 𝑖𝜗 + 2𝑘𝜋𝑖 ⟹ 𝑧 =

1

𝑤 + 2𝜋𝑘𝑖→ 0

Es: Prendiamo la funzione 𝑓 𝑧 = (𝑧2 − sin 𝑧2)/𝑧𝑛 . Per valutare le singolarità conviene fare uno sviluppo

𝑧2 − sin 𝑧2

𝑧𝑛=

𝑧2 − 𝑧2 −𝑧6

3!+ ⋯

𝑧𝑛=

𝑛 ≤ 6 → 𝑠𝑖𝑛𝑔𝑜𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡à 𝑟𝑒𝑚𝑜𝑣𝑖𝑏 𝑖𝑙𝑒

𝑛 > 6 → 𝑝𝑜𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑛 − 6 ∎

Es:

𝑓 𝑧 =𝑧2 + 𝑎2

𝑒𝑧 + 1

Questa funzione avrà singolarità dove si annulla il denominatore , ovvero dove 𝑒𝑧 = −1 ⟹ 𝑧 = 𝜋𝑖 + 2𝑛𝜋 . In 𝑧 = 𝜋𝑖 il denominatore si annulla mentre il numeratore dipende da 𝑧2 + 𝜋2 . Posso applicare l’Hospital poiché entrambe le funzioni sono olomorfe. Quindi

lim𝑧→±𝜋𝑖

𝑧2 + 𝜋2

𝑒𝑧 + 1= 2𝑧

𝑒𝑧 ±𝜋𝑖

≠ 0

Si può ragionare anche in un altro modo notando che il numeratore e il denominatore hanno, in 𝜋𝑖 , uno zero del primo ordine. Quindi si tratta di singolarità removibili. ∎

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27

Integrali nel piano complesso , Calcolo di residui Possiamo definire l’integrale nel piano complesso definendo una curva 𝛾 di integrazione

𝑓 𝑧 𝑑𝑧𝛾

= 𝑓 𝑥, 𝑦 𝑑𝑥 + 𝑖𝑓 𝑥, 𝑦 𝑑𝑦 𝛾

, 𝑑𝑧 = 𝑑𝑥 + 𝑖𝑑𝑦

Risulta quindi immediata l’analogia con un campo di forze in cui 𝐹 ≡ 𝑓, 𝑖𝑓 , 𝑑𝑙 ≡ 𝑑𝑥, 𝑑𝑦 ⟹ 𝐹 ⋅ 𝑑𝑙 . Si può dimostrare che vale il lemma di Darbox :

𝑓𝑑𝑧𝛾

≤ max𝑧∈𝛾

|𝑓| ⋅ 𝐿𝛾

Facciamo ora l’ipotesi che 𝛾 sia chiusa e f sia olomorfa entro 𝛾 , ovvero che sia olomorfa in un aperto che contiene al suo interno 𝛾 . La condizione di conservatività del campo è data ovviamente dalla regola del rotore che si può scrivere come 𝜕𝑥𝑓 = 𝜕𝑦𝑓/𝑖 : questa condizione coincide con quella di olomorfia quindi

vale sempre che , su una curva chiusa, 𝐹𝑑𝑧𝛾

= 0 .

Supponiamo ora che la funzione sia olomorfa su 𝛾 , fatta eccezione per alcuni punti di non olomorfia. Vogliamo calcolare l’integrale della funzione su 𝛾 , scegliendo il verso positivo. Posso sicuramente circondare la singolarità con un percorso di forma a piacere e integrare su questo. Si avrà quindi che

𝐹𝑑𝑧𝛾

= 𝐹𝑑𝑧𝑐𝑖

dove 𝑐𝑖 sono i cerchi lungo i quali si integra. Questo risultato si può generalizzare ad ogni dominio che contenga singolarità. Possiamo infatti realizzare sempre un percorso che circonda le singolarità, purché nessuna di queste venga inclusa nel percorso. In seguito si può procedere al calcolo dell’integrale cambiando variabile : 𝑧 = 𝑧0 + 𝑅𝑒𝑖𝜗 ⟹ 𝑑𝑧 = 𝑅𝑖𝑒𝑖𝜗𝑑𝜗 . Quindi l’integrale diventa

𝑓 𝑧 𝑑𝑧 = 𝑓𝑅𝑖𝑒𝑖𝜗𝑑𝜗 2𝜋

0

Es: Si voglia calcolare l’integrale della funzione 𝑓 𝑧 = 𝑧 − 𝑧0 −𝑛 . Con le tecniche appena descritte si procede calcolando

𝑑𝑧

𝑧 − 𝑧0 𝑛𝑐

= 𝑅𝑖𝑒𝑖𝜗

𝑅𝑛𝑒𝑖𝑛𝜗 𝑑𝜗

2𝜋

0

=

𝑠𝑒 𝑛 ≠ 1 → 𝑅1−𝑛 𝑒𝑖 1−𝑛 𝜗𝑑𝜗

2𝜋

0

= 𝑒𝑖𝜗 ⋅ 𝑒−𝑖𝑛𝜗 𝑑𝜗2𝜋

0

= 0

𝑠𝑒 𝑛 = 1 → 𝑑𝑧

𝑧 − 𝑧0 𝑛𝑐

= 2𝜋𝑖

Il primo integrale è 0 poiché è il prodotto scalare di due funzioni ortogonali in 𝐿2 0,2𝜋 ( si poteva anche calcolare esplicitamente). Quindi integrando la funzione lungo il cerchio di raggio unitario l’integrale è (quasi) sempre nullo.∎ Supponiamo di avere una 𝑓(𝑧) con una sola singolarità isolata nel punto 𝑧0.

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28

𝑓 𝑧 𝑑𝑧𝛾

= 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=−∞

𝑑𝑧𝛾

= 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛𝑑𝑧𝛾

+∞

𝑛=0 0

+ 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

𝛾

𝑑𝑧

0

𝑛=−∞

= 2𝜋𝑖𝑎−1

Quindi per calcolare l’integrale basta calcolare il termine 𝑎−1 : tale termine viene detto residuo. Se all’interno di 𝛾 la funzione ha più di una singolarità applico lo stesso procedimento ottenendo

𝐹𝑑𝛾

𝑧 = 2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖 𝑓(𝑧𝑖)

𝑧𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑛𝑖 𝑎 𝛾

Questa proprietà viene detta teorema fondamentale dei residui. Es:

𝑧 = 2 : sin 𝑧

𝑧2𝑑𝑧 =

sin 𝑧

𝑧

1

𝑧⟹ 𝑎−1 = 1 ∎

Vediamo ora alcune immediate conseguenze che ci permettono di calcolare i residui in maniera più semplice.

1. Supponiamo che la funzione abbia un polo del primo ordine ,

𝑓 = 𝑇 … +𝑎−1

𝑧 − 𝑧0⟹ 𝑧 − 𝑧0 𝑓 𝑧=𝑧0

≡ 𝑎−1

Es:

𝑧 = 1 : 𝑑𝑧

sin 𝑧⟹ 𝑧 1

sin 𝑧 𝑧=0

= 1 ⟹ 𝑑𝑧

sin 𝑧= 2𝜋𝑖

𝑧 = 4 : 𝑑𝑧

sin 𝑧= 2𝜋𝑖 𝑅0 + 𝑅𝜋 + 𝑅−𝜋

Infatti si devono considerare tutti i punti singolari nella circonferenza di raggio |𝑧| ∎.

2. Supponiamo che la funzione abbia un polo di ordine 𝑁 > 1 .

𝑓 = 𝑇 … +𝑎−1

𝑧 − 𝑧0+ ⋯ +

𝑎−𝑁

𝑧 − 𝑧0 𝑁⟹ 𝑧 − 𝑧0 𝑁 𝑓 𝑧=𝑧0

= 𝑎−𝑁

Per ricavare 𝑎−1 posso derivare (N-1) volte trovando

𝑑𝑁−1

𝑑𝑧𝑁−1 𝑧 − 𝑧0 𝑁 𝑓 𝑧=𝑧0

= 𝑁 − 1 ! 𝑎−1

Quindi la formula generale è data da

𝑎−1 =1

𝑁 − 1 ! 𝑑

𝑁−1

𝑑𝑧𝑁−1 𝑧 − 𝑧0 𝑁𝑓

𝑧=𝑧0

Es:

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Sia 𝑓 = 𝑧2 + 1 −2 . Questa funzione ha due singolarità in ±𝑖 che sono poli del secondo ordine. Per il residuo in i basta calcolare

𝑅𝑖 = 𝑑

𝑑𝑧 𝑧 − 𝑖 2

1

𝑧 − 𝑖 2 𝑧 + 𝑖 2 𝑧=𝑖

= −2

𝑧 + 𝑖 3 𝑧=𝑖

= −2

2𝑖 3 ∎

Es: Calcoliamo l’integrale seguente

cos 𝜑

2 − cos 𝜑𝑑𝜑

2𝜋

0

Dobbiamo verificare che l’integrale esista : ma questo è ovvio visto che il denominatore non si annulla mai. Innanzitutto poniamo

cos 𝜑 =𝑒𝑖𝜑 + 𝑒−𝑖𝜑

2 , 𝑧 = 𝑒𝑖𝜑 ⟹ 𝑑𝑧 = 𝑒𝑖𝜑𝑑𝜑

L’integrale si trasforma in

(𝑧 + 1/𝑧)/2

2 − (𝑧 + 1/𝑧)/2 𝑑𝑧

𝑖𝑧 𝑧 =1

= 𝑖 𝑧2 + 1

𝑧(𝑧2 − 4𝑧 + 1)𝑑𝑧

𝑧 =1

Cerchiamo i poli della funzione integranda nella circonferenza di raggio unitario. Il

denominatore si annulla in 0 ( polo di ordine 1) e il 𝑧± = 2 ± 3 . Quindi l’integrale è la somma dei due residui :

𝑖 𝑧2 + 1

𝑧 𝑧2 − 4𝑧 + 1 𝑑𝑧

𝑧 =1

= 𝑖 2𝜋𝑖 𝑅0 + 𝑅𝑧−

Calcoliamo i residui

𝑅0 = 𝑧 𝑧2 + 1

𝑧 𝑧2 − 4𝑧 + 1 𝑧=0

= 1

𝑅𝑧−= 𝑧 − 𝑧− 𝑧2 + 1

𝑧 𝑧 − 𝑧− 𝑧 − 𝑧+ 𝑧=𝑧−

= −2

3

Quindi

𝑓𝑑𝑧 𝑧 =1

= 2𝜋 2

3− 1 ∎

Punti all’infinito Immaginiamo di prendere il piano complesso : per identificare un “punto all’infinito” nel piano si deve prendere una “sfera complessa” che tocca contemporaneamente il piano ed il punto all’infinito. A differenza del caso reale , in ℂ non occorre fare un limite per distinguere che 𝑧 assume valori infiniti : basta infatti specificare 𝑧 = ∞ . Per quanto detto prima si può quindi stabilire una corrispondenza biunivoca tra un punto all’infinito ed un punto nel piano complesso . Possiamo dunque definire il comportamento all’infinito di una funzione :conviene fare la sostituzione 𝑧 ⟼ 1/𝑧 , ovvero 𝑧′ = 1/𝑧 , in

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modo che 𝑓(𝑧) ⟼ 𝑔 𝑧′ . Poiché esiste una corrispondenza biunivoca tra 𝑧 e 𝑧′ la 𝑓(𝑧) si comporta in un certo modo all’infinito se la 𝑔 𝑧′ si comporta allo stesso modo nello zero. Quindi basta studiare la 𝑔 𝑧′ nello zero per ricavare il comportamento di 𝑓(𝑧) all’infinito. Es:

𝑒𝑧 = 𝑓 𝑧 ⟹ 𝑒1/𝑧′ = 𝑔 𝑧′ Questa funzione ha una singolarità essenziale in 𝑧′ = 0 quindi 𝑓(𝑧) ha una singolarità essenziale in 𝑧 = +∞ .

𝑓 𝑧 =1

1 + 𝑧2⟹ 𝑔 𝑧′ =

1

1 +1

𝑧 ′ 2

= 𝑧′ 2

1 + 𝑧′2

Questa funzione ha uno zero di ordine 2 in 𝑧′ = 0 , quindi 𝑓(𝑧) ha uno zero di ordine 2 all’infinito. ∎ In particolare si può notare che la trasformazione 𝑧 ⟼ 𝑧′ manda un intorno dell’infinito in un esterno di 0 poiché 𝑧′ < 𝛿 ⟹ 𝑧 > 1/𝛿 . Ora che abbiamo introdotto la nozione di punto all’infinito possiamo vedere due importanti teoremi che sfruttano questa proprietà. Teorema di Liouville : Sia 𝑓(𝑧) olomorfa ∀𝑧 , incluso 𝑧 = ∞ ⟹ f è una costante. Infatti se la 𝑓(𝑧) è olmorfa ∀𝑧 al finito , allora

𝑓 𝑧 ≡ 𝑎𝑛𝑧𝑛

+∞

𝑛=0

𝑧0 = 0

Il raggio di convergenza è ∞ poiché questa serie converge ovunque. Facciamo il cambiamento di variabili 𝑧 = 1/𝑧′ : la funzione si trasforma in

𝑔 𝑧′ = 𝑎𝑛

1

𝑧′𝑛

+∞

𝑛=0

Tutti questi termini devono essere nulli poiché sto richiedendo l’olomorfia, quindi rimane solo il primo termine : 𝑔 𝑧′ = 𝑎0 , ovvero g è costante. Teorema Fondamentale dell’algebra : L’equazione 𝑃 𝑧 = 0 ha sempre una soluzione. Supponiamo per assurdo che 𝑃 𝑧 = 𝑐0 + 𝑐1𝑧 + ⋯ + 𝑐𝑛𝑧𝑛 ≠ 0 , ∀𝑧 . Prendiamo la funzione 𝑓 𝑧 =1/𝑃(𝑧) . La 𝑓(𝑧) è certamente olomorfa ∀𝑧 al finito ma è anche olomorfa all’infinito poiché

𝑔 𝑧′ =1

𝑐0 +𝑐1

𝑧 ′ + ⋯ +𝑐𝑛

𝑧′𝑛

=𝑧′𝑛

𝑐0𝑧′𝑛 + ⋯ + 𝑐𝑛≠ 0 (𝑧′ ≠ 0)

Ma quindi per il teorema di Liouville la funzione dovrebbe essere una costante, il che è chiaramente assurdo visto che 1/𝑃(𝑧) è un polinomio.

Tecniche di calcolo integrali complessi/reali Con le tecniche di variabile complessa si possono risolvere integrali del tipo

𝑃 𝑥

𝑄 𝑥 𝑑𝑥

+∞

−∞

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31

di variabile reale. Supponiamo infatti di svolgere l’integrale analogo nei complessi

𝑃 𝑧

𝑄 𝑧 𝑑𝑧

+∞

−∞

L’equivalente di questo integrale coincide nel calcolare il suo valore in una semicirconferenza di raggio 𝑅 → +∞ , includendo l’integrale sulla curva Γ che delimita questo dominio di integrazione.

lim𝑅→+∞

𝑃 𝑧

𝑄 𝑧 𝑑𝑧

+𝑅

−𝑅

+ 𝑃 𝑧

𝑄 𝑧 𝑑𝑧

Γ

Per quanto riguarda la prima parte dell’integrale non occorre fare due limiti separati per 𝑅 → +∞ , 𝑅′ →−∞ poiché sappiamo che la funzione è integrabile : la sua parte principale all’infinito coincide con l’integrale stesso. Quindi tale integrale è calcolabile con le tecniche viste nel capitolo precedente. Per quanto riguarda invece la seconda parte vediamo che , per Darboux, è possibile fare la maggiorazione

𝑓 𝑧 𝑑𝑧Γ

≤ 𝜋𝑅 sup𝑧∈Γ

𝑃 𝑧

𝑄 𝑧

𝑅→+∞ 0

Quindi l’integrale coincide con la somma dei residui interni alla semicirconferenza.

𝑓 𝑧 𝑑𝑧+∞

−∞

= 2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑓𝑖𝑐𝑖𝑒

Ovviamente la semicirconferenza può essere presa a scelta in uno dei due semispazi (positivo o negativo) : conviene prendere il semispazio contenente meno residui per semplificare i conti. Nel caso del semispazio negativo bisogna però apporre un meno al risultato precedente. Es: Supponiamo di svolgere l’integrale

𝐼 = 𝑑𝑥

1 + 𝑥2

+∞

−∞

Questa funzione ha , nei complessi, singolarità in ±𝑖 . Calcoliamo l’integrale con il metodo dei residui

1

𝑧2 + 1=

1

𝑧 − 𝑖 𝑧 + 𝑖 ⟹ 𝑅𝑖 = 𝑧 − 𝑖 ⋅

1

𝑧 + 𝑖 𝑧 − 𝑖 𝑧=𝑖

=1

2𝑖⟹ 𝐼 = 2𝜋𝑖

1

2𝑖= 𝜋

Si poteva vedere facilmente notando che la primitiva di 1 + 𝑥2 −1 è l’arcotangente… ∎ Es: Supponiamo di voler calcolare l’integrale

𝐼 = 𝑑𝑥

𝑥2 + 1 2

+∞

−∞

Questa funzione ha poli in ±𝑖 , infatti

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1

𝑧2 + 1 2=

1

𝑧 + 𝑖 2 𝑧 − 𝑖 2

Poiché sono poli di ordine 2 dobbiamo utilizzare la formula con la derivata

𝑅𝑖 =𝑑

𝑑𝑧 𝑧 − 𝑖 2

1

𝑧 + 𝑖 2 𝑧 − 𝑖 2 𝑧=𝑖

= −2

𝑧 + 𝑖 3 𝑧=𝑖

= −2

2𝑖 3 ∎

Occorre notare che si deve SEMPRE controllare prima che l’integrale esista : l’applicazione del teorema in

casi particolari può infatti portare a risultati sbagliati come mostra l’esempio della funzione 𝑥2

1+𝑥2 .

Sia 𝑓 𝑧 olomorfa in un intorno di 𝑧0 .

𝑓 𝑧 = 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛

+∞

𝑛=0

L’integrale 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 su una curva 𝛾 che contiene 𝑧0 è nullo. Vogliamo calcolare invece l’integrale

𝑓 𝑧

𝑧 − 𝑧0𝑑𝑧

𝛾

In questo caso si può utilizzare la proprietà che 𝑎𝑛 𝑧 − 𝑧0 𝑛 = 𝑎−12𝜋𝑖 poiché dividendo per 𝑧 − 𝑧0 ci si può ricondurre a

𝑓 𝑧

𝑧 − 𝑧0𝑑𝑧

𝛾

= 2𝜋𝑖 𝑎0 = 2𝜋𝑖 𝑓 𝑧0

Tale formula viene detta formula integrale di Cauchy. Più in generale vale che

𝑓 𝑧

𝑧 − 𝑧0 𝑘+1𝑑𝑧

𝛾

= 2𝜋𝑖𝑎𝑘 =2𝜋𝑖

𝑘!𝑓 𝑘 𝑧0

Es: Svolgiamo l’integrale

𝑧 = 1 ∶ sin 𝑧

𝑧5𝑑𝑧 = 2𝜋𝑖 𝑑

𝑑𝑧4 sin 𝑧

𝑧=0= 2𝜋𝑖 sin 𝑧 𝑧=0 = 0 ∎

Quindi una volta assegnata la funzione sul bordo di 𝛾 conosciamo il suo valore anche all’interno. Viene subito spontanea l’analogia con il potenziale elettrostatico : il problema di Poisson consiste infatti nel trovare la soluzione per il potenziale dentro ad un cerchio dove è conosciuto il potenziale sul bordo. In effetti tra le funzioni olmorfe e quelle armoniche ( che descrivono il potenziale ) c’è una stretta correlazione. Sia 𝑓 𝑧 olomorfa , quindi si può scrivere come 𝑤 = 𝑓 𝑧 = 𝑢 + 𝑖𝑣 ; 𝑢 = 𝑢 𝑥, 𝑦 ; 𝑣 =𝑣 𝑥, 𝑦 dove 𝑧 = 𝑥 + 𝑖𝑦 . La condizione di olomorfia è data da 𝜕𝑥𝑓 = 𝜕𝑦𝑓/𝑖 : applicando questa

condizione alla w otteniamo il sistema

𝜕𝑥𝑢 = 𝜕𝑦𝑣

𝜕𝑦𝑢 = −𝜕𝑥𝑣 ⟹

𝜕𝑥𝑥 𝑢 = 𝜕𝑥𝑦 𝑣

𝜕𝑦𝑦 𝑢 = −𝜕𝑥𝑦 𝑣 ⟹ 0 = 𝜕𝑥𝑥 𝑢 + 𝜕𝑦𝑦 𝑣 ⟹ ∇2𝑢 = 0, ∇2𝑣 = 0

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Quindi le funzioni f olomorfe sono funzioni armoniche perché soddisfano alla condizione ∇2𝑢 = 0, ∇2𝑣 =0 . In realtà vale anche il viceversa: data una funzione armonica è sempre possibile separare la parte reale e quella immaginaria. Infatti la condizione per le funzioni armoniche assegna automaticamente 𝜕𝑥𝑣, 𝜕𝑦𝑣 : solo con queste condizioni non sarebbe possibile trovare la funzione v ma è immediato

verificare che vale la condizione 𝜕𝑥𝑦 𝑣 = 𝜕𝑦𝑥 𝑣 ( stessa cosa con la funzione u) . Quindi data una funzione

olomorfa trovo una coppia di funzioni armoniche e viceversa. Supponiamo ora di avere una 𝑓 𝑧 limitata ovvero tale che ∃ 𝑀 , 𝑓 𝑧 ≤ 𝑀 in un intorno di 𝑧0 . Se vale questa proprietà allora la funzione è olomorfa , infatti si può verificare che 𝑎𝑘 = 0 , ∀𝑘 < 0 semplicemente notando che

𝑕 = −𝑘 > 0 ⟹ 2𝜋𝑖𝑎−𝑕 = 𝑓

𝑧 − 𝑧0 1−𝑕𝑑𝑧 =

𝑧 − 𝑧0 𝑕

𝑧 − 𝑧0𝑓 ≤ max 𝑓 2𝜋 𝑟

𝑟𝑕

𝑟= 2𝜋𝑀𝑟𝑕

Infatti si può applicare Darboux su una circonferenza di raggio r ( 𝑧 − 𝑧0 ≤ 𝑟 ) . Ma posso prendere r piccolo a piacere quindi poiché 𝑕 > 0 ⟹ 𝑎−𝑕 ≤ 𝑀𝑟𝑕 → 0 ⟹ 𝑎𝑘 = 0 ∀𝑘 < 0 . Esponiamo ora il Lemma di Jordan. Questa proprietà ci permette di svolgere integrali del tipo

𝑓 𝑥 ⋅ 𝑒𝑖𝜈𝑥 𝑑𝑥+∞

−∞

, 𝜈 ∈ ℝ

Passando al caso complesso si avr{ che l’integrale si trasforma nel seguente

𝑓 𝑧 𝑒𝑖𝜈𝑥 𝑒−𝜈𝑦 𝑑𝑧+∞

−∞

In questo caso si richiede che f abbia solo singolarità isolate. Per fare in modo che 𝜈𝑦 < 0 occorrerà integrare nel semispazio positivo se 𝜈 > 0 , altrimenti in quello negativo. Si ottiene quindi la formulazione del Lemma:

𝑓 𝑥 ⋅ 𝑒𝑖𝜈𝑥 𝑑𝑥+∞

−∞

=

𝜈 > 0 ⟹ 𝑠𝑒𝑚𝑖𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 ⟹ 𝑓 𝑥 ⋅ 𝑒𝑖𝜈𝑥 𝑑𝑥

Γ

→ 0 ⟹ 2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

𝑠𝑒𝑚𝑖𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑠𝑢𝑝 .

𝜈 < 0 ⟹ 𝑠𝑒𝑚𝑖𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 ⟹ 𝑓 𝑥 ⋅ 𝑒𝑖𝜈𝑥 𝑑𝑥Γ

→ 0 ⟹ −2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

𝑠𝑒𝑚𝑖𝑝𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑓 .

La presenza del termine 𝑒𝑖𝜈𝑥 ci permette di richiedere solo che f sia infinitesima , ovvero che lim 𝑧 →+∞ 𝑓(𝑧) = 0 .

Es: Si consideri l’integrale

cos 𝑥

1 + 𝑥 + 𝑥2𝑑𝑥

+∞

−∞

Questo integrale esiste certamente poiché l’integrando per 𝑥 → +∞ è maggiorato da 1/𝑥2 , inoltre il denominatore non si annulla mai. Per “complessificare” la funzione NON si può prendere cos 𝑧 /(1 + 𝑧 +

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𝑧2) poiché l’integrando divergerebbe. Posso invece applicare il lemma di Jordan alla funzione ℜ𝑒𝑖𝑥 /(1 +𝑥 + 𝑥2) , 𝜈 = 1.

cos 𝑥

1 + 𝑥 + 𝑥2𝑑𝑥

+∞

−∞

= ℜ 𝑒𝑖𝑥

1 + 𝑥 + 𝑥2𝑑𝑥

+∞

−∞

= ℜ 2𝜋𝑖 𝑅𝑧+ = ℜ 2𝜋𝑖

𝑒𝑖 −

1

2+

3

2𝑖

𝑧+ − 𝑧− =

2𝜋

3𝑒− 3/2 cos

1

2

Avendo indicato con 𝑧+, 𝑧− le radici del polinomio 𝑧2 + 𝑧 + 1 . ∎ Es: Consideriamo l’integrale

sin 𝑥

𝑥 − 𝑖 2𝑑𝑥

+∞

−∞

L’integrando non è reale quindi non si può utilizzare il “trucco” precedente. Possiamo comunque spezzare l’integrale utilizzando la formula esponenziale del seno.

sin 𝑥

𝑥 − 𝑖 2𝑑𝑥

+∞

−∞

=1

2𝑖

𝑒𝑖𝑥

𝑥 − 𝑖 2𝑑𝑥

+∞

−∞ 𝜈=1

−1

2𝑖

𝑒−𝑖𝑥

𝑥 − 𝑖 2

+∞

−∞ 𝜈=−1

=1

2𝑖2𝜋𝑖𝑅𝑖 + 0 =

𝜋𝑖

𝑒

Infatti la funzione 𝑒−𝑖𝑥

𝑥−𝑖 2 ha un polo solo in +𝑖 e non nel semipiano inferiore (dove si effettua

l’integrazione). Inoltre per trovare 𝑅𝑖 basta utilizzare la formula

𝑅𝑖 =𝑑

𝑑𝑧 𝑧 − 𝑖 2

𝑒𝑖𝑧

𝑧 − 1 2 𝑧=𝑖

= 𝑖𝑒−1 ∎

Es: La trasformata di Fourier si può vedere come un integrale da eseguire con tecniche di calcolo che sfruttano la variabile complessa.

ℱ 1

1 + 𝑡2 =

𝑒𝑖𝜔𝑡

1 + 𝑡2𝑑𝑡

+∞

−∞

=

𝜔 > 0 ⟹ 2𝜋𝑖𝑅𝑖 = 2𝜋𝑖𝑒𝑖𝜔𝑖

2𝑖= 𝜋𝑒−𝜔

𝜔 < 0 ⟹ −2𝜋𝑖𝑅−𝑖 = −2𝜋𝑖

−2𝑖 𝑒𝑖𝜔 −𝑖 = 𝜋𝑒𝜔

Es: Anche l’antitrasformata può essere vista come un integrale complesso.

ℱ−1 1

𝑎 − 𝑖𝜔𝑏 =

1

2𝜋

𝑒−𝑖𝜔𝑡 𝑑𝜔

𝑎 − 𝑖𝜔𝑏⟹ 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑠𝑢

𝜈 = −𝑡 > 0 (𝑡 < 0)𝜈 = −𝑡 < 0 (𝑡 > 0)

⟹1

2𝜋

𝑒−𝑖𝜔𝑡

−𝑖𝑏 𝜔 +𝑖𝑎

𝑏 𝑑𝜔

=1

2𝜋

2𝜋𝑖 𝑡 < 0 = 0

𝑡 > 0 = −2𝜋𝑖

−𝑖𝑏𝑒

−𝑖𝑡 −𝑖𝑎

𝑏

=𝜗 𝑡

𝑏𝑒−𝑡𝑎 /𝑏

Utilizziamo ora un esempio per introdurre una considerazione teorica molto importante.Consideriamo

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35

cos

𝜋𝑥

2

𝑥 − 1 𝑥2 + 1 𝑑𝑥

+∞

−∞

L’integrando non è definito in 1 ma in questo punto anche il numeratore si annulla quindi sono in presenza di una singolarità removibile. Inoltre questo è infinitesimo per 𝑥 → +∞ quindi si può certamente valutare il valore dell’integrale. Non si può complessificare l’integrando cercando di valutare l’integrale

ℜ 𝑒

𝑖𝜋𝑥

2

𝑥 − 1 𝑥2 + 1 𝑑𝑥

poichè in questo caso l’integrale non esiste. Per ovviare a questo problema possiamo prendere la parte principale dell’integrale ( già definita nel primo modulo).

𝒫𝑥0 ≡ lim

𝜖→0

𝑥0−𝜖

−∞

+ +∞

𝑥0+𝜖

Con questa definizione possiamo calcolare l’integrale come

ℜ 𝒫1 𝑒

𝑖𝜋𝑥

2

𝑥 − 1 𝑥2 + 1 𝑑𝑥

Posso quindi passare alla variabile complessa e notare che la funzione presenta un polo del prim’ordine in 1. Possiamo integrare su una circonferenza 𝛾 che aggira la singolarità. Per trovare il valore di questo integrale scriviamo prima

𝑒

𝑖𝜋𝑧

2

𝑧 − 1 𝑧2 + 1 𝛾 ,Γ

= 2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

ℑ 𝑧 >0

= 2𝜋𝑖 𝑅𝑖

D’altronde

𝑒

𝑖𝜋𝑧

2

𝑧 − 1 𝑧2 + 1 𝛾 ,Γ

= 𝑓 𝑧 𝑑𝑧Γ

0𝑝𝑒𝑟 𝐽𝑜𝑟𝑑𝑎𝑛

+ 𝑓 𝑧 𝑑𝑧1−𝑟

−𝑅

+ 𝑓 𝑧 𝑑𝑧𝑅

1+𝑟 𝒫1 𝑓𝑑𝑧

+ 𝑓 𝑧 𝑑𝑧𝛾

= 𝒫1 𝑓𝑑𝑧 + 𝑓𝛾

Possiamo calcolare dunque 𝑓

𝛾 in modo da ricavare il valore della parte principale dell’integrale.

Supponiamo di avere una funzione f con polo del primo ordine in 𝑧0 . Dovendo fare l’integrale su un arco di circonferenza 𝛾 risulta utile passare in coordinate polari ponendo 𝑧 − 𝑧0 = 𝑟𝑒𝑖𝜗 ⟹ 𝑑𝑧 = 𝑟𝑖𝑒𝑖𝜗𝑑𝜗 in modo che l’integrale della generica funzione si trasformi in (𝛼 e 𝛽 delimitano l’arco di circonferenza su cui si integra)

𝑇 𝑧 − 𝑧0 +𝑎−1

𝑧 − 𝑧0 𝑑𝑧

𝛾

= 𝑎−1

𝑟𝑒𝑖𝜗+ 𝑇 … 𝑟𝑖𝑒𝑖𝜗𝑑𝜗

𝛽

𝛼

= 𝑎−1𝑖 𝑑𝜗𝛽

𝛼

+ 𝑇 … 𝑟𝑖𝑒𝑖𝜗𝑑𝜗 𝛽

𝛼

Prendendo il limite 𝑟 → 0 si ottiene

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lim𝑟→0

𝑎−1𝑖 𝑑𝜗𝛽

𝛼

+ 𝑇 … 𝑟𝑖𝑒𝑖𝜗 𝑑𝜗 𝛽

𝛼

= 𝑖 𝛽 − 𝛼 𝑎−1

Se 𝛼 = 0 , 𝛽 = 2𝜋 si ritrova il teorema dei residui dunque il risultato è esatto. Da notare che questo lemma vale solo se la funzione presenta un polo del primo ordine lungo il percorso di integrazione. Quindi segue che

𝑓 𝑧 𝑑𝑧 = 𝒫1 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 + 𝑓 𝑧 𝑑𝑧𝛾

= 𝒫1 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 − 𝜋𝑖𝑅1

Per quanto visto prima sappiamo che questo valore deve essere uguale a 2𝜋𝑖𝑅𝑖 . Segue quindi l’uguaglianza

𝒫1 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 − 𝜋𝑖𝑅1 = 2𝜋𝑖𝑅𝑖 ⟹ 𝒫1 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 = 2𝜋𝑖𝑅𝑖 + 𝜋𝑖 𝑅1

Più in generale vale quindi che

𝒫 𝑓 𝑧 𝑑𝑧 = 2𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

ℑ 𝑧 >0

+ 𝜋𝑖 𝑅𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖

ℑ 𝑧 =0

Ritornando all’integrale precedente si ottiene quindi che

cos

𝜋𝑥

2

𝑥 − 1 𝑥2 + 1 𝑑𝑥

+∞

−∞

= ℜ 𝒫1 𝑒

𝑖𝜋𝑥

2

𝑥 − 1 𝑥2 + 1 𝑑𝑥 = ℜ 2𝜋𝑖𝑅𝑖 + 𝜋𝑖𝑅1 = −

𝜋

2 1 + 𝑒−

𝜋

2

Es:

sin 𝜋𝑥

𝑥 𝑥2 − 1 𝑑𝑥

+∞

−∞

= 𝜋𝑖 𝑅−1 + 𝑅0 + 𝑅1 = −2𝜋 ∎

Es:

sin 𝑥

𝑥𝑑𝑥

+∞

−∞

= ℑ 𝒫0 𝑒𝑖𝑥

𝑥𝑑𝑥 = ℑ 𝜋𝑖 = 𝜋

Più in generale questo integrale rappresenta

𝒫0 𝑒𝑖𝑥

𝑥𝑑𝑥 ⟹

ℜ → 𝒫0 cos 𝑥

𝑥𝑑𝑥 = 0

ℑ → 𝒫0 sin 𝑥

𝑥𝑑𝑥 = 𝜋

Es:

sin2 𝑥

𝑥2𝑑𝑥

+∞

−∞

= 𝑒2𝑖𝑥 − 2 + 𝑒−2𝑖𝑥

−4𝑥2𝑑𝑥

+∞

−∞

= 𝑒2𝑖𝑥 − 1

−4𝑥2𝑑𝑥 +

𝑒−2𝑖𝑥 − 1

−4𝑥2

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Si può procedere calcolando i residui per queste due funzioni che presentano poli del primo ordine anche se , in realtà, esiste un metodo ancora più semplice per calcolare questo integrale.Basta infatti utilizzare l’identit{ di Parseval :

ℱ sin 𝑥

𝑥 =

𝜋 , 𝜔 < 10 , 𝜔 > 1

⟹ 𝑓 2 =1

2𝜋 𝑓

2= 𝜋 ∎

Es:

Proviamo a calcolare ℱ sin 𝑥

𝑥 con Jordan.

ℱ sin 𝑥

𝑥 =

𝑒𝑖𝑥𝑒𝑖𝜔𝑥

2𝑖𝑥𝑑𝑥 −

𝑒−𝑖𝑥𝑒𝑖𝜔𝑥

2𝑖𝑥𝑑𝑥 =

𝑒𝑖𝑥 𝜔+1

2𝑖𝑥𝑑𝑥 −

𝑒𝑖𝑥 𝜔−1

2𝑖𝑥𝑑𝑥

Basta applicare Jordan dividendo i casi 𝜔 + 1 > 0, 𝜔 + 1 < 0 e 𝜔 − 1 > 0, 𝜔 − 1 < 0 rispettivamente nel primo e nel secondo integrale. ∎

Determinazioni

Sappiamo che la radice di un numero complesso 𝑧 = 𝜌𝑒𝑖𝜗 rappresenta in realtà due valori , poiché

𝑧 = ± 𝜌𝑒𝑖𝜗/2. Questa ambiguità ( si dice che la radice ha due determinazioni) non è molto utile per la

matematica : risulterà comodo scegliere una delle due. Per esempio possiamo prendere 0 ≤ 𝜗 ≤ 2𝜋 ⟹

𝑧 = 𝜌𝑒𝑖𝜗/2 . In realtà questo procedimento non è del tutto esato poiché , data la natura della radice

due numeri complessi (rappresentati da due semirette nel piano complesso) di angolo polare 𝛼 e –𝛼 vengono mandati dalla radice in due semirette simmetriche rispetto all’asse delle y, quindi vengono allontanati rispetto alla posizione iniziale. Questo ci fa supporre che la funzione radice , in campo complesso, abbia una discontinuità lungo tutta la retta reale. Non possiamo determinare la discontinuità

scegliendo – 𝜋 ≤ 𝜗 ≤ 𝜋 poiché in questo caso restano due valori per la radice. In effetti questa discontinuità non può essere eliminata. La cosa può essere vista in altro modo : si prenda un punto

qualsiasi 𝑧0 = 𝜌0𝑒𝑖𝜗 e si fissi una determinazione della radice in modo che 𝑧0 = 𝜌0𝑒𝑖𝜗/2 . Si immagini

ora di far muovere il punto 𝑧0 su una circonferenza centrata nell’origine : la fase di 𝑧0varia da 𝜗 a 2𝜋 + 𝜗 dopo un giro completo. Se in corrispondenza di questa variazione, effettuata con continuità , si fa variare la fase 𝜗/2 della radice dopo un giro completo si otterrà 𝜗/2 + 𝜋 . Dopo un giro completo dunque la

radice è diventata 𝜌0𝑒𝑖 𝜗 +2𝜋

2 = − 𝜌0𝑒𝑖𝜗/2 , quindi quando il punto 𝑧0 è tornato nella posizione iniziale,

la radice non è tornata al valore iniziale ma si è ottenuta l’altra determinazione della radice. Ciò significa

che non si può estendere in alcun modo con continuità la funzione 𝑧 a campi che possono contenere curve chiuse abbraccianti l’origine. L’origine , in questo caso insieme all’infinito, è detta punto di diramazione. Più generalmente , data una funzione 𝑓(𝑧) , diremo che 𝑧0 è detto punto di diramazione per f, se preso comunque un intorno del punto 𝑧0 , esistono curve 𝛾 contenute in tale intorno e abbraccianti 𝑧0 tali che , facendo variare la variabile z su 𝛾 a partire da 𝑧0 e ritornando nello stesso punto di partenza , non si ottiene lo stesso valore per la f, ovvero 𝑓(𝑧0 + 𝑝𝑒𝑟𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝑠𝑢 𝛾

𝑧0

) ≠ 𝑓 𝑧0 .Nel nostro caso possiamo

collegare i due punti di diramazione ( 0 e ∞ ) con una linea : si può sempre fare in modo che sia continua in tutta questa zona e che la discontinuit{ sia “appoggiata” sulla linea che congiunge i due punti (immediatamente sopra e sotto di questa la funzione assume valori diversi). Questa linea è detta “di taglio” ed è completamente arbitraria. Supponiamo di scegliere il taglio sul semiasse positivo. In questo

caso la radice presenta la discontinuità 𝑥 → − 𝑥 quindi cambia il segno. Prendendo la radice n-esima si

ottiene 𝑧𝑛

= 𝜌𝑛 𝑒𝑖𝜗/𝑛 , fissata la determinazione 0 ≤ 𝜗 ≤ 2𝜋 la discontinuità è di 𝑥𝑛

→ 𝑥𝑛

𝑒2𝜋𝑖/𝑛 .

Es:

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Si noti che il logaritmo ha infinite determinazioni poiché log 𝑧 = log 𝜌 + 𝑖𝜗 + 2𝑘𝜋𝑖 . Per eliminare l’ultimo termine posso scegliere 0 ≤ 𝜗 ≤ 2𝜋 . Si osservi inoltre che ,analogamente a quanto osservato per la radice, due numeri complessi vicini vengono mandati in punti lontani dalla funzione. Ovvero log 1 + 𝑖𝜖 e log 1 − 𝑖𝜖 sono numeri lontani nel piano complesso. Scegliendo come linea di taglio il semiasse positivo la discontinuità è data da log 𝑥 → log 𝑥 + 2𝜋𝑖. Ovviamente abbiamo appena analizzato il caso con punti di diramazione 0 ed ∞ che non sono però gli unici . ∎ Es:

Prendiamo la funzione cos 𝑧 . Il coseno è una funzione pari , quindi cos 𝑥 = cos − 𝑥 , dunque questa funzione non ha punti di diramazione ( anche se è una funzione composta della radice!). ∎ Es: Prendiamo la funzione log 𝑧 − log 𝑧 − 1 . La funzione sarà sicuramente discontinua in 0 ed in 1 poiché altrove è la differenza di due funzioni che hanno lo stesso comportamento : gli unici punti di diramazione sono in 0 ed in 1. ∎

Data la funzione 𝑓(𝑧) , per studiarne la determinazione basta vedere quando il radicando si annulla o

diventa ∞ , infatti posto 𝑤 = 𝑓(𝑧) ci si riconduce al caso già visto 𝑤 . Es:

Data la funzione 𝑧 𝑧 − 1 i punti dove il radicando si annulla sono dati da 0,1, ∞ . Prendiamo il punto 𝑧0 su una circonferenza di raggio 𝜌 rispetto all’origine. La sua posizione si può esprimere rispetto all’origine tramite 𝜌, 𝜗 , altrimenti rispetto a 1 si possono utilizzare le coordinate 𝜌′ , 𝜗′ . Con questa premessa si può certamente mostrare che

𝑧0 𝑧0 − 1 = 𝜌𝜌′𝑒𝑖𝜗/2𝑒𝑖𝜗 ′ /2

Dopo un giro completo 𝜗 → 𝜗 + 2𝜋 mentre 𝜗′ → 𝜗′ , quindi

𝜌𝜌′𝑒𝑖𝜗/2𝑒𝑖𝜗 ′ /2 → 𝜌𝜌′𝑒𝑖 𝜗 +2𝜋

2 𝑒𝑖𝜗 ′

2 = − 𝜌𝜌′𝑒𝑖𝜗/2𝑒𝑖𝜗 ′ /2

Quindi 0 è punto di diramazione. Analogamente si può dimostrare per 1. Per vedere se ∞ è punto di diramazione occorre prendere una circonferenza con raggio ∞ . In questo caso però facendo un giro completo 𝜗 → 𝜗 + 2𝜋 , 𝜗′ → 𝜗′ + 2𝜋 quindi ∞ non è punto di diramazione per la funzione. ∎ Es:

Data la funzione 𝑧 𝑧 − 1 3

si può utilizzare la notazione dell’esempio precedente.

𝜌𝜌′3 𝑒𝑖𝜗/3𝑒𝑖𝜗 ′ /3

Dopo un giro completo 𝜗 → 𝜗 + 2𝜋 , 𝜗′ → 𝜗′ + 2𝜋 quindi

𝜌𝜌′3 𝑒𝑖𝜗/3𝑒𝑖𝜗 ′ /3 → 𝜌𝜌′3 𝑒𝑖

𝜗 +𝜗 ′ +4𝜋

3

Dato che 𝑒4𝜋𝑖/3 ≠ 1 , ∞ è punto di diramazione. Prendendo invece la funzione 𝑧2 𝑧 − 1 3

avrei

𝜌𝜌′3 𝑒𝑖𝜗/3𝑒𝑖𝜗 ′ /3 → 𝜌𝜌′3 𝑒𝑖

2𝜗 +2𝜗 ′ +6𝜋

3

e dato che 𝑒6𝜋𝑖/3 = 1 , in questo caso ∞ non è punto di diramazione. ∎

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Distribuzioni Si prenda il funzionale definito da 𝑇𝑓 = 𝑓(𝑎) . Questo è continuo se sup |𝑓𝑛 − 𝑓| → 0 , in modo che la successione 𝑓𝑛 𝑎 → 𝑓(𝑎) . L’idea è quella di restringersi alle funzioni derivabili infinite volte in modo che

si possa utilizzare la nozione più forte di convergenza espressa da 𝑇𝑓 = 𝑓 𝑘 𝑎 ⟹ 𝑓𝑛 𝑘 𝑠𝑢𝑝

𝑓 𝑘 . Sarebbe inoltre comodo considerare le sole funzioni a decrescenza rapida ( ovvero tali che 𝑓 𝑥 ≤ 𝐴/𝑥𝑘 , ∀𝑘 ). I primi ad introdurre questo particolare spazio di funzioni “scelte” furono Loren e Schwarz che definirono lo spazio

𝒮 = 𝜑 𝑥 ∈ 𝐶∞ ∶ sup𝑥∈ℝ

𝑥𝑕𝜑 𝑘 < +∞ ; 𝑕, 𝑘 ∈ ℕ

Questo spazio è detto “delle funzioni test”. In questo si richiede che la convergenza sia forte, ovvero che

𝜑𝑛

𝒮→ 𝜑 o, più in particolare, che 𝜑𝑛

𝒮→ 0 se 𝜑𝑛 → 0 e 𝑥𝑕𝜑𝑛

𝑘 uniformemente. Prendiamo quindi lo spazio

𝒮 ′ = 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖 𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎𝑟𝑖 𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑖 𝑑𝑖 𝒮 → ℂ , 𝑇: 𝒮 → ℂ = 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑒

In questo spazio si possono identificare 3 importanti proprietà :

i. Nozione di convergenza omnicomprensiva ii. Nozione di derivata di TUTTI gli elementi

iii. Nozione di trasformata di Fourier di TUTTI gli elementi.

Lo spazio delle funzioni 𝒮 è denso in H (infatti 𝑒−𝑥2

2 𝐻𝑛 𝑥 ∈ 𝒮 e le sue combinazioni lineari sono dense in H). Es: Il funzionale che associa ad ogni funzione test il suo valore nel punto a , ovvero 𝑇𝑎𝜑 = 𝜑 𝑎 = 𝛿𝑎 (𝜑) è continuo perché una successione di funzioni che tende alla funzione test ammette convergenza nel senso del sup. ∎ Es:

Il funzionale 𝑇𝑎 𝑘 𝜑 = 𝜑 𝑘 𝑎 è continuo. ∎

Es: Prendiamo 𝑇 𝜑 = 𝑥𝜑 𝑥 𝑑𝑥

ℝ . Poiché le 𝜑 sono a decrescenza rapida , 𝑇 𝜑 è ben definito. ∎

Es: Prendiamo 𝑢 ∈ 𝐿1 ℝ (non è una funzione test!). Definiamo 𝑇𝑢 𝜑 tale che

𝑇𝑢 𝜑 = 𝑢𝜑𝑑𝑥ℝ

Questo integrale è ben definito poiché 𝑢𝜑 ≤ 𝑢 supℝ 𝜑 < +∞ . Quindi in 𝒮 ′ trovo tutte le funzioni 𝐿1 . ∎ Es: Sia 𝑢 ∈ 𝐿1 (localmente , ovvero su una restrizione di ℝ ) , limitata. Allora possiamo sempre definite

𝑇𝑢 𝜑 = 𝑢𝜑 ∎

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Es: Sia 𝑢 ∈ 𝐿2 . L’integrale

𝑇𝑢 𝜑 = 𝑢𝜑 = 𝑢∗, 𝜑

è ben definito poiché 𝜑 ∈ 𝐿2 sicuramente (∈ 𝐶∞ !!!) . ∎ Es: Più generalmente dato un polinomio 𝑃 𝑥 = 𝑢 si può sempre definire 𝑇𝑢 𝜑 = 𝑃 𝑥 𝜑(𝑥) . ∎ Dunque ogni funzione 𝐿2 , 𝐿1 o polinomio individua un funzionale : 𝒮 ′ è la “fotocopia” di 𝐿2 . Quindi possiamo scrivere 𝑇𝑢 𝜑 = 𝑢𝜑 = 𝑇𝑢 , 𝜑 = 𝑢, 𝜑 . D’ora in poi denoteremo la quantit{ 𝑢𝜑 con il simbolo ( , ) per distinguerla dal prodotto scalare. Si può dimostrare altresì che non esiste nessuna 𝑢 che

permette di scrivere 𝛿𝑎 𝜑 = 𝛿𝑎 , 𝜑 = 𝛿 𝑥 − 𝑎 𝜑 𝑥 𝑑𝑥 nella forma 𝑢, 𝜑 .

Nozioni di convergenza fra distribuzioni

Per la convergenza in 𝒮 ′ : Si dirà che 𝑇𝑛

𝒮 ′

→ 𝑇 , se ∀𝜑 ∈ 𝒮 , 𝑇𝑛 , 𝜑 → 𝑇, 𝜑 . Alcune osservazioni :

i. Questa definizione include la nozione di convergenza in 𝐿2 , ovvero 𝑢𝑛 ∈ 𝐿2 , 𝑢𝑛

𝐿2

→ 𝑢 ∈ 𝐿2 ⟹ 𝑇𝑢𝑛

𝒮 ′

→ 𝑇𝑢 . Infatti

𝑢𝑛 − 𝑢, 𝜑 = 𝑢𝑛 − 𝑢 ∗𝜑 → 0

poiché se converge in senso 𝐿2 è il prodotto scalare 𝑢𝑛 − 𝑢, 𝜑 𝐿2 → 0 . Quindi convergenza 𝐿2 ⟹ convergenza 𝒮 ′ .

ii. Include anche la nozione di convergenza in 𝐿1 , infatti data 𝐿1 ∋ 𝑢𝑛

𝐿1

→ 𝑢 ∈ 𝐿1 si ha

𝑢𝑛 − 𝑢, 𝜑 = 𝑢𝑛 − 𝑢 𝜑 ≤ maxℝ

|𝜑| 𝑢𝑛 − 𝑢 ≡ 𝑀 𝑢𝑛 − 𝑢 → 0

Quindi convergenza 𝐿1 ⟹convergenza 𝒮′ .

iii. Non include la convergenza puntuale. Supponiamo di prendere una successione 𝑢𝑛 → 𝑢 puntualmente.

Nozioni di trasformata(di Fourier) e derivata per le distribuzioni Definiamo la trasformata di Fourier formalmente come

ℱ𝑇, 𝜑 = 𝑇, 𝜑 In pratica per calcolare la trasformata si prende 𝑇 = 𝑙𝑖𝑚𝜖→0 𝑇𝑢𝜖

con 𝑢𝜖 ∈ 𝐿1 ∩ 𝐿2 ∋ 𝑢𝜖 in modo che

𝑇𝑛 → 𝑇 ⇒ 𝑇 𝑛 → 𝑇 . Ad esempio per calcolare ℱ 𝛿 approssimiamo la 𝛿 come 𝑙𝑖𝑚𝜖→01

𝜖𝑒

−𝑥2

𝜖2 e calcoliamo

il limite della trasformata della funzione. La derivata si può definire in maniera usuale con l’operatore 𝐷𝑇 , 𝑇 ∈ 𝒮′ . Bisogna però porre attenzione sulla definizione formale poiché la distribuzione T è una funzione palesemente discontinua. Possiamo

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quindi prendere 𝑢 ∈ 𝐶1 in modo che 𝐷𝑇𝑢 = 𝑇𝑢 ′ . Proviamo quindi ad applicare la derivata alla funzione test 𝜑 , come abbiamo già fatto per la trasformata. Si ha che

𝐷𝑇𝑢 , 𝜑 = 𝑢′ , 𝜑 = 𝑢′𝜑 = 𝑢𝜑 ∞ 0

− 𝑢𝜑′ = − 𝑇𝑢 , 𝜑′

Si ricava quindi che 𝐷𝑇, 𝜑 = − 𝑇, 𝜑′ . Si può quindi definire la derivata per qualunque distribuzione. Possiamo anche generalizzare il concetto visto alla derivata k-esima :

𝐷 𝑘 𝑇, 𝜑 = −1 𝑘 𝑇, 𝜑 𝑘

Questa relazione risulta definire implicitamente la derivata : per calcolarla esplicitamente bisogna fare qualche passaggio in più. Si noti che se 𝑇𝑛 → 𝑇 allora 𝐷𝑇𝑛 → 𝐷𝑇 , cioè in 𝑆 ed 𝒮′ la derivata è un operatore continuo. Infatti

𝐷𝑇𝑛 , 𝜑 = − 𝑇𝑛 , 𝜑′ → − 𝑇, 𝜑′ = 𝐷𝑇, 𝜑 L’idea di fondo è quindi quella di “scaricare” l’operazione di derivazione sulla funzione test 𝜑 . Es: Alcune funzioni che non ammettevano derivata in 𝐿2 possono ammettere derivata in 𝒮′ . Ad esempio la

funzione 1

𝑛𝑠𝑖𝑛 𝑛𝑥 → 0 uniformemente ed 𝐿2 ma la sua derivata , 𝑐𝑜𝑠 𝑛𝑥 ∈ 𝐿2 . Al contrario

1

𝑛𝑠𝑖𝑛 𝑛𝑥 → 0 in

𝑆 ′ ed anche 𝑐𝑜𝑠 𝑛𝑥 poiché 𝑒𝑖𝑛𝑥𝑆 ′

→ 0 . ∎ Es: Si voglia calcolare la derivata della funzione

𝜗 𝑥 = 0 𝑝𝑒𝑟 𝑥 < 01 𝑝𝑒𝑟 𝑥 > 0

Si può utilizzare la proprietà precedente , approssimando la 𝜗 con funzioni derivabili 𝑢𝜖 e facendo il limite delle derivate per 𝜖 → 0 . Poiché le 𝑢𝜖 sono delle rette , si tratta di fare il limite per 𝜖 → 0 delle funzioni 𝑢𝜖 ′ , che sono definite da

𝑢𝜖′ =

1

2𝜖 𝑝𝑒𝑟 𝑥 < 𝜖

0 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜𝑣𝑒

che è la 𝛿 di Dirac. Dunque 𝐷𝜗 𝑥 ≡ 𝛿(𝑥) . ∎ Si può generalizzare il concetto di “derivata distribuzionale” attraverso la formula

𝐷𝑇𝑢 = 𝑇𝑢 ′ + 𝜍𝛿 𝑥 − 𝑥0 dove in 𝑥0 è presente una discontinuità di 𝜍 ( formula già vista nel primo modulo per le funzioni ). Vediamo ora di verificare la relazione che segue dalla proprietà della derivata

𝐷𝑇, 𝜑 = − 𝑇, 𝜑′ 𝑇=𝜗 𝛿, 𝜑 = − 𝜗, 𝜑′ = − 𝜑′

+∞

0

= 𝜑 0 = 𝛿, 𝜑

Es:

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Si consideri la funzione

𝑓 =4

𝜋

1

𝑛𝑑𝑠𝑖𝑛 𝑛𝑑𝑥

𝑛𝑑

In 𝐿2 non si può derivare termine a termine tale funzione poiché questa presenta discontinuità evidenti in

–𝜋, 𝜋 a causa dello sviluppo . Dunque , in 𝐿2 , 𝑓 ′ ≠4

𝜋 𝑐𝑜𝑠 𝑛𝑑𝑥𝑛𝑑

. In 𝒮′ , invece, tale derivata è corretta

poiché si può derivare una funzione discontinua, con la regola appena vista, ottenendo

𝑓 ′ = 2 𝛿 𝑥 − 𝑚𝑝𝜋

𝑚𝑝

− 2 𝛿 𝑥 − 𝑚𝑑𝜋

𝑚𝑝

=4

𝜋 𝑐𝑜𝑠 𝑛𝑑𝑥

𝑛𝑑

A questo punto conviene generalizzare la nozione di somme finite di 𝛿. SI dovrà utilizzare la funzione test , in modo da trovare una condizione sulla convergenza.

𝛿 𝑥 − 𝑛

𝑛∈℞

⇒ 𝛿 𝑥 − 𝑛

𝑛∈℞

, 𝜑 = 𝜑(𝑛)

𝑛

< +∞

Questa serie converge sempre poiché 𝜑 𝑛 ≤ 1/𝑛2 sicuramente. Se si aggiungono dei coefficienti 𝑐𝑛

𝑐𝑛𝛿 𝑥 − 𝑛

𝑛∈℞

⇒ 𝑐𝑛𝛿 𝑥 − 𝑛

𝑛∈℞

, 𝜑 = 𝑐𝑛𝜑(𝑛)

𝑛

Questa serie converge se e solo se 𝑐𝑛 ha ordine minore di (1/𝑛𝑝) , altrimenti non c’è convergenza. Ad esempio se 𝑐𝑛 = 𝑒𝑛 non c’è convergenza. Es: In L2 −π,π consideriamo le funzioni uϵ il cui limite ϵ → 0 è la δ di Dirac. Possiamo scrivere

𝑢𝜖 𝑥 = 𝑎𝑛𝑒𝑖𝑛𝑥

I coefficienti dello sviluppo si calcolano come

𝑎𝑛 =1

2𝜋

1

2𝜖𝑒−𝑖𝑛𝑥 𝑑𝑥

+𝜖

−𝜖

=1

4𝜋𝜖

𝑒−𝑖𝑛𝜖 − 𝑒𝑖𝑛𝜖

−𝑖𝑛

𝜖→0

1

2𝜋

In realtà lo sviluppo 𝛿 𝑥 =1

2𝜋 𝑒𝑖𝑛𝑥 non è corretto poiché la funzione viene prolungata periodicamente

quindi la formula più appropriata deve tenere conto delle discontinuità .

𝛿 𝑥 = 𝛿 𝑥 − 2𝑚𝜋

𝑚∈℞

Ci chiediamo ora se in 𝒮′ valgono le stesse proprietà della trasformata di Fourier che avevamo già visto per 𝐿2 . Inizialmente si può dimostrare che valgono le relazioni

ℱ 𝐷𝑛𝑇 = −𝑖𝜔 𝑛ℱ𝑇𝐷𝑛 ℱ𝑇 = ℱ 𝑖𝑥 𝑛𝑇

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Si possono verificare direttamente con il calcolo o facendo una considerazione generale. Le proprietà sono certamente valide in S , ma è possibile provare che ogni distribuzione in 𝒮′ può essere approssimata quanto si vuole , in senso 𝒮′ , da funzioni in S : esistono quindi delle funzioni dense in 𝒮che descrivono una funzion 𝒮′e. Abbiamo visto che la derivata e la trasformata sono continue in 𝒮′dunque le proprietà della trasformata in S si estendono per continuità anche in 𝒮′ . Es: Prendiamo la funzione definita da

𝑓 𝑥 = 1 𝑝𝑒𝑟 𝑥 < 1

0 𝑝𝑒𝑟 𝑥 > 1

Supponiamo che si voglia calcolare ℱ 𝐷𝑓 . Possiamo procedere calcolando la derivata con la regola vista

prima , ottenendo ℱ 𝛿 𝑥 + 1 − 𝛿 𝑥 − 1 = 𝑒−𝑖𝜔 − 𝑒𝑖𝜔 . In alternativa si può utilizzare la regola per la

trasformata ed ottenere subito – 𝑖𝜔ℱ 𝑓 𝑥 = −𝑖𝜔 (𝑒𝑖𝜔 − 𝑒−𝑖𝜔 )/𝑖𝜔 . Ovviamente i due risultati sono

identici. ∎ Es: Volendo calcolare la trasformata della funzione 𝑡2/(1 + 𝑡2) non si può applicare il lemma di Jordan all’integrale poiché l’integrando non converge. Bisogna prima riscrivere la funzione come

𝑡2

1 + 𝑡2=

1 + 𝑡2 − 𝑡2

𝑡2 + 1= 1 −

1

1 + 𝑡2

ℱ⇒ 2𝜋𝛿 − 𝜋𝑒− 𝜔 ∎

Le proprietà principali della trasformata per la 𝛿sono date da

ℱ 𝛿 𝑛 𝑥 = −𝑖𝜔 𝑛

ℱ 𝛿 = 1

ℱ 𝑥𝑛 = ℱ 𝑥𝑛 ⋅ 1 = −𝑖 𝑛𝑑𝑛

𝑑𝜔𝑛ℱ 1 = −𝑖 𝑛2𝜋𝛿 𝑛 𝜔

La 𝛿 è utile per determinare alcune particolari autofunzioni, oltre che per risolvere equazioni differenziali. Ad esempio, supponiamo di voler trovare una soluzione per l’equazione 𝑥𝑇 = 0 , dove T è una qualsiasi distribuzione. Si vede immediatamente che una soluzione è data da 𝑇 = 𝛿 𝑥 , infatti

𝑥𝛿 𝑥 , 𝜑 = 𝛿 𝑥 , 𝑥𝜑 = 0 ⇒ 𝑥𝜑 𝑥 𝑥=0 = 0 ⇒ 𝑥𝛿 𝑥 = 0 In realt{ questa non è l’unica soluzione : ci sono anche tutti i multipli 𝑇 = 𝑐𝛿(𝑥) . Viene il sospetto che possano essere soluzioni anche tutte le funzioni 𝑐𝛿 ′ : per verificare che queste funzioni invece NON soddisfano l’equazione possiamo calcolare

𝑥𝛿 ′ , 𝜑 = 𝛿 ′ , 𝑥𝜑 = − 𝛿, 𝐷 𝑥𝜑 = − 𝛿, 𝑥𝜑′ + 𝜑 = − 𝛿, 𝜑 = −𝜑 0 ≠ 0, 𝑖𝑛 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒

La soluzione si poteva ottenere anche tramite la trasformata di Fourier, visto che

ℱ 𝑥𝑇 = −𝑖𝑑

𝑑𝜔𝑇 = 0 ⇔ 𝐷𝑇 = 0

La più generale distribuzione con derivata della trasformata nulla è ovviamente la 𝛿 , che soddisfa l’equazione scritta prima.

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Es: L’equazione 𝑥𝑓 = 𝜆𝑓 ⇒ 𝑥 − 𝜆 𝑓 = 0 non ammette autofunzioni in 𝐿2 ( come visto nel primo modulo ) , mentre in 𝒮′ la soluzione è data da 𝑓 = 𝑐𝛿 𝑥 − 𝜆 . ∎ Es: Consideriamo l’operatore 𝑈𝑎𝑓 = 𝑓(𝑥 − 𝑎) . Gli auto valori/autofunzioni di questo operatore si trovano

risolvendo 𝑓 𝑥 − 𝑎 = 𝜆𝑓 𝑥 ℱ⇒ 𝑒𝑖𝜔𝑎 − 𝜆 𝑓 = 0 in 𝐿2 non ha soluzione. In 𝒮′ invece per 𝑎 = 1 esiste la

soluzione 𝑓 = 𝑐𝑛𝛿 𝜔 − 2𝑛𝜋 poiché l’equazione è risolta dalle 𝛿 che sono centrate intorno al punto i cui 𝑒𝑖𝜔 = 1 ⇒ 𝜔 = 2𝑛𝜋 . Antitrasformando si ha che 𝑓 = 𝑒𝑖2𝑛𝜋𝑥

𝑐𝑛 . ∎

Parte principale

Notiamo che la parte principale si può definire come un particolare tipo di distribuzione. Ad esempio prendiamo

𝑇 = 𝒫1

𝑥⇒ 𝒫

1

𝑥, 𝜑 = lim

𝜖→0

𝜑

𝑥𝑑𝑥

−𝜖

−∞

+ 𝜑

𝑥𝑑𝑥

+∞

𝜖

Per valutare la convergenza di questi integrali posso prendere delle funzioni 𝑢𝜖 che approssimano la distribuzione , ovvero definisco

𝒫1

𝑥, 𝜑 = lim

𝜖→0 𝑢𝜖 , 𝜑 , 𝑢𝜖 =

1

𝑥 , 𝑥 > 𝜖

0 , 𝑥 < 𝜖

Ora possiamo verificare che

lim𝜖→0

ℱ 𝑢𝜖 = lim𝜖→0

𝑒𝑖𝜔𝑥

𝑥

−𝜖

−∞

+ 𝑒𝑖𝜔𝑥

𝑥

+∞

𝜖

= 𝜋𝑖 , 𝜔 > 0

−𝜋𝑖 , 𝜔 < 0 = 𝜋𝑖 sgn 𝜔

L’integrale si può calcolare applicando Jordan al primo integrale , con 𝜔 < 0 , e al secondo , con 𝜔 > 0 .

Abbiamo quindi ricavato che ℱ 𝒫1

𝑥 = 𝜋𝑖 sgn 𝜔 ∈ 𝒮 ′ ⇒ 𝒫

1

𝑥∈ 𝒮 ′ . Si può ricavare anche

l’antitrasformata che vale ℱ−1 sgn 𝜔 =1

𝜋𝑖𝒫

1

𝑥 .

Es:

ℱ−1 𝒫1

𝜔 =

1

2𝜋 −𝜋𝑖 sgn 𝜔 =

1

2𝑖sgn 𝑥 ∎

Es:

ℱ sgn 𝑥 = 2𝑖 𝒫 1

𝜔 ∎

Es:

ℱ 𝜗 𝑥 = ℱ 1

2+

1

2sgn 𝑥 = 𝜋𝛿 𝜔 + 𝑖𝒫

1

𝜔 ∎

Es:

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45

Supponiamo di voler calcolare la trasformata della funzione definita da

𝑓 𝑥 = 1 𝑝𝑒𝑟 0 < 𝑥 < 𝑎

0 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜𝑣𝑒

Conviene riscrivere la funzione come combinazione di 𝜗 𝑥 e calcolare

ℱ 𝜗 𝑥 − 𝜗 𝑥 − 𝑎 = 𝜋𝛿 𝜔 + 𝑖𝒫1

𝜔− 𝑒𝑖𝜔𝑎 𝜋𝛿 𝜔 + 𝑖𝒫

1

𝜔 = 𝜋𝛿 𝜔 1 − 𝑒−𝑖𝑎𝜔

0

+ 𝑖𝒫1

𝜔 1 − 𝑒𝑖𝜔𝑎

= 𝑖1 − 𝑒𝑖𝜔𝑎

𝜔 ∎

Supponiamo ora di voler risolvere l’equazione 𝑥𝑇 = 1 . Sicuramente 𝒫1

𝑥 risolve l’equazione , infatti

𝑥𝒫1

𝑥= 1 ⇒ 𝑥𝒫

1

𝑥, 𝜑 = 𝒫

1

𝑥, 𝑥𝜑 = 𝒫

1

𝑥⋅ 𝑥𝜑 = 1, 𝜑

Per scrivere la soluzione più generale occorre aggiungere il termine di soluzione per l’omogenea , quindi

𝑇 = 𝒫1

𝑥+ 𝑐𝛿 𝑥

Equazioni differenziali

Supponiamo ora di avere l’equazione differenziale 𝑦′ = 𝑓 𝑥 . Trasformando con Fourier si ha – 𝑖𝜔𝑦 = 𝑓 𝜔 . Se scegliamo 𝑓 = 𝛿 𝑥 , otteniamo la funzione di Green ( come visto nel primo modulo ) : −𝑖𝜔𝐺 = 1 ⇒ 𝜔𝐺 = 𝑖

𝐺 = 𝑖 𝒫1

𝜔+ 𝑐 𝛿 𝜔

Possiamo riscrivere la funzione di Green come

𝐺 = 𝑖 𝒫1

𝜔+ 𝜋 𝛿 𝜔 + 𝑖𝛿 𝜔

Possiamo anti trasformare per ottenere

𝐺 = 𝜗 𝑥 + 𝐶 ′ Ma questa soluzione si poteva vedere subito dall’equazione differenziale 𝐺 ′ 𝑥 = 𝛿 𝑥 che ammette come soluzione generale 𝐺 = 𝜗 𝑥 + 𝐶 . Supponiamo ora di avere l’equazione differenziale 𝑦′ + 𝛼𝑦 = 𝑓(𝑥) . Scegliendo 𝛼 = 1 si ottiene l’equazione di un circuito RL, che si risolve trasformando : −𝑖𝜔 + 1 𝑦 = 𝑓 ⇒ 𝐺 = 1/(1 − 𝑖𝜔) . Quindi 𝐺 𝑡 = 𝜗 𝑡 𝑒−𝑡 . Più generalmente, per una f qualunque, si trova 𝑦 𝑡 = 𝐺 𝑡 ∗ 𝑓(𝑡) . Si noti che è stata trovata una sola funzione di Green poiché la soluzione generale 𝑦0 = 𝐴𝑒−𝑡 ∉ 𝒮 ′ , quindi la trasformata di Fourier non tiene conto di questa. Scegliamo ora 𝛼 = 𝑖𝑏 : si ottiene la differenziale 𝑦′ + 𝑖𝑏 𝑦 = 𝑓 . Trasformando si ha che −𝑖𝜔 + 𝑖𝑏 𝐺 =1 ⇒ 𝐺 𝜔 − 𝑏 = 𝑖 . Tale equazione si può risolvere facendo un’analogia con le equazioni già viste per le distribuzioni : si tratta di risolvere l’equazione 𝑥 − 1 𝑇 = 1 che ha soluzione generale

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𝐺 = 𝑖𝒫1

𝜔 − 𝑏+ 𝜋𝛿 𝜔 − 𝑏 + 𝑐′𝛿 𝜔 − 𝑏

Quindi

𝐺 𝑡 = ℱ−1 𝐺 = 𝑒𝑖𝑏𝑡𝜗 𝑡 + 𝐶𝑒𝑖𝑏𝑡 ∈ 𝒮 ′ Vediamo infine di trovare la relazione che sussiste tra l’equazione differenziale in 𝑦 e in 𝐺 :

𝑦′ + 𝑦 = 𝑓(𝑡)

𝐺 ′ + 𝐺 = 𝛿(𝑡) ⇒ 𝐺 𝑡 = 𝜗 𝑡 𝑒−𝑡 + 𝐴𝑒−𝑡 ⇒ 𝐺 ′ 𝑡 = −𝜗 𝑡 𝑒−𝑡 + 𝛿 𝑡 − 𝐴𝑒−𝑡 = 𝐺 𝑡 + 𝛿(𝑡)