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1 APPUNTI DI FISICA AMBIENTALE PARTE TERZA ENERGIA ELETTROMAGNETICA Prof. Ing. Riccardo Fanton A.S. 2014-2015

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APPUNTI DI FISICA

AMBIENTALE

PARTE TERZA

ENERGIA

ELETTROMAGNETICA

Prof. Ing. Riccardo Fanton

A.S. 2014-2015

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Versione 02-2014

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Premessa

Nella parte precedente del corso abbiamo analizzato i problemi che hanno portato alla

necessità di redigere, per gli edifici, la certificazione al fine di promuovere il risparmio

energetico e quindi di ridurre l’inquinamento che deriva dall’uso nel riscaldamento dei

combustibili fossili. Risulta chiaro che la realizzazione di edifici tecnologicamente

avanzati non elimina l’uso per il riscaldamento del gas e dei derivati dal petrolio.

Tenendo presente che i combustibili fossili hanno un orizzonte di vita che non supera

il mezzo secolo (si esauriranno indipendentemente dalla nostra volontà ….) è

opportuno fino da adesso cercare di trovare delle soluzioni alternative a questa fonte

energetica.

Da quanto detto all’inizio del corso l’energia alternativa che più si addice alla nostra

collocazione geografica risulta quella solare nelle sue forme termica e fotovoltaica.

Durante l’anno affronteremo approfonditamente il modo in cui funzionano e vanno

progettati gli impianti solari. Per farlo è necessario avere idee chiare su come viene

“fornita” l’energia solare e quindi conoscere in maniera esauriente il modello che

descrive le onde elettromagnetiche e, per quanto concerne la tecnologia fotovoltaica,

il modello corpuscolare quantistico che si applica nel fotovoltaico in alternativa a

quello ondulatorio.

Oltre a questo vedremo gli effetti dell’inquinamento elettromagnetico che l’energia

solare produce in vari ambiti della nostra vita.

MODULO N.1

1) ELETTRICITA’ E MAGNETISMO

Le onde elettromagnetiche sono prodotte da oscillazioni di cariche elettriche che,

spostandosi, generano campi elettrici e magnetici a loro volta oscillanti. Per capire il

significato della frase precedente risulta necessario rivedere, molto sinteticamente,

alcuni concetti di elettrologia studiati nel biennio accompagnandoli con nuove nozioni

relative al magnetismo.

1.1) ELETTROSTATICA

Definizione di forza elettrica (o di Coulomb): forza con la quale si attraggono o

respingono due masse dotate di una carica non nulla.

Tipo di grandezza: vettoriale.

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Modulo della forza: F =1

4πε0∙|q1q2|

r2 [1]

Verso: {𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 → 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 (𝑓𝑖𝑔. 1𝑏)𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒𝑔𝑛𝑜 𝑜𝑝𝑝𝑜𝑠𝑡𝑜 → 𝑟𝑒𝑝𝑢𝑙𝑠𝑖𝑣𝑜 (𝑓𝑖𝑔. 1𝑎)

Unità di misura: C (coulomb) = As (ampere x secondi)

Figura 1 – Rappresentazione vettoriale delle forze elettriche

1.1.1) CAMPO ELETTRICO STATICO

Il concetto di CAMPO è estremamente complesso. Oggi si fa uso del concetto di

campo per evitare il concetto di azione a distanza. Se abbiamo una certa carica Q in un

punto P, per la legge di Coulomb, questa è influenzata da tutte le altre cariche che si

trovano nelle vicinanze: la forza agisce a distanza.

Questo è ciò che si pensava tra il 1832 e il 1864. Ma già nel 1864, il concetto di campo,

attraverso le equazioni di Maxwell, arriva alla sua maturità. Tali equazioni decretano

un nuovo modo di rappresentare il mondo, non più attraverso la descrizione di una

forza che agisce tra due corpi bensì attraverso la perturbazione dello spazio tra due i

due corpi, quello sorgente e quello test.

Il campo diventa interpretazione di leggi fisiche; mentre le leggi della fisica classica

seguono l’andamento dei corpi, cioè ci dicono istante per istante dove si trova il corpo,

con l’introduzione del concetto di campo, invece, le leggi fisiche non seguono più il

corpo ma descrivono, nello spazio e nel tempo, la storia del campo stesso.

Così scrive Einstein:

La definizione quantitativa, ovvero matematica del campo, si riassume nelle equazioni

che portano il nome di Maxwell [….]. la formulazione di queste equazioni

costituisce l’avvenimento più importante verificatosi in fisica dal tempo di Newton

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e ciò non soltanto per la dovizia del loro contenuto (perché permettono di

prevedere le onde elettromagnetiche, permettono di verificare l’ottica,

l’elettromagnetismo, l’elettricità in un colpo solo ma soprattutto perché hanno fornito

un nuovo modello di legge che prima non si conosceva). Le equazioni di Maxwell

definiscono la struttura del campo elettromagnetico, sono leggi valide nell’intero

spazio (non soltanto lungo la linea di moto descritta dalla particella, come accadeva

per le leggi di Newton) e non soltanto nei punti in cui materia e cariche elettriche

sono presenti. Rammentiamo come stanno le cose in meccanica. Conoscendo

posizione e velocità di una particella in un dato istante e conoscendo le forze agenti

su di essa è possibile prevedere l’intero futuro percorso dalla particella stessa.

[…]. Nelle equazioni di Maxwell invece basta conoscere il campo in un dato istante

per poter dedurre dalle equazioni omonime in quale modo l’intero campo varierà nello

spazio e nel tempo. Le equazioni di Maxwell permettono di seguire le vicende del

campo, così come le equazioni della meccanica consentono di seguire le vicende delle

particelle materiali.

Un passo essenziale che condusse alle equazioni di Maxwell consiste nel

riconoscere il campo come qualcosa di reale, una volta creato il campo

elettromagnetico sussiste, agisce e varia in conformità alle leggi di Maxwell […]

Noi vedremo inizialmente una forma semplificata delle equazioni di Maxwell e

utilizzeremo la seguente definizione operativa di campo elettrico STATICO.

Date due cariche che esercitano una sull’altra una forza elettrica, una viene definita

carica generatrice del campo (q), l’altra carica di prova (q0). Il campo elettrico

prodotto dalla carica generatrice è l’insieme dei vettori che rappresentano, in ogni

punto dello spazio, la forza che vi subirebbe la carica di prova per unità di carica. In

formule:

Vettore campo elettrico:

E =F

q0 [2]

Nell’esempio indicato in fig.2 è rappresentata

la regione di spazio che circonda la carica

generatrice negativa in cui sono raffigurati

qualitativamente i vettori di campo calcolati

con la [2] (N.B. si tratta di una figura

bidimensionale che rappresenta la sezione

della realtà tridimensionale). Il modulo del

Figura 2 – campo vettoriale di una carica generatrice negativa

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campo generato dalla carica q si ottiene combinando le [1] e [2] ottenendo :

E = ur q

4πε0r2 [3]

Nella [3] si evidenzia che il verso del vettore campo è puntato dalla parte della carica

generatrice se è negativa come in fig.2 o radiale uscente se la carica generatrice è

positiva. La costante dielettrica vale: o= 8.854 10-12 C2/Nm2. Spesso si usa k= 𝟏

𝟒𝛑𝛆𝟎=

𝟖. 𝟗𝟗 ∙ 𝟏𝟎𝟗 𝐍𝐦𝟐

𝐂𝟐 . L’unità di misura del campo risulta dalla [2] essere N/C.

Sovrapposizione degli effetti: se in una regione dello spazio esistono due o più

cariche separate FERME, ognuna di esse produce una perturbazione dello spazio

(campo) quindi ad ogni punto sono associati più vettori che, essendo dello stesso

genere, seguono le regole dell’algebra vettoriale sommandosi e producendo così un

nuovo e unico campo (un solo vettore) per ogni punto.

Linee di forza: Linee tangenti ai vettori campo elettrico. Il verso delle linee di forza

è quello indicato localmente dai vettori di campo, quindi le linee di forza sono

“uscenti” da cariche positive ed “entranti” in cariche negative.

Figura 2a – linee di forza di un campo generato da quattro cariche elettriche

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ESEMPIO N.1

Nel modello di Bohr dell’atomo di idrogeno, l’elettrone ruota attorno al protone su

“un’orbita” di raggio 5.29 10-11m. Si calcolino la forza di legame che agisce

sull’elettrone e la velocità di rotazione supponendo “l’orbita circolare”.

Dati: r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; k = 8.99 109 Nm2/C2; m=9.11 10-31kg

Figura 3 - atomo di idrogeno

La forza di attrazione (di legame) esercitata dal protone vale in modulo:

F = k ∙e2

r2= 8.22 ∙ 10−8N

N.B. la forza gravitazionale dell’elettrone attirato dalla massa del protone risulta

dell’ordine di 10-40N quindi non significativa rispetto alle forze elettriche in tutti i

problemi di natura microscopica (chimica e fisica nucleare).

La forza di legame è centripeta e quindi produce un’ accelerazione centripeta collegata

alla velocità nel modello di moto circolare dalla formula:

𝑎 =k ∙

e2

r2

𝑚=

𝑣2

𝑟

Da cui:

Velocità periferica

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𝑣 = 𝑒√𝑘

𝑚𝑟= 2.18 ∙ 106𝑚/𝑠

Che è la velocità dell’elettrone dell’atomo di idrogeno riscontrata sperimentalmente.

1.1.2) ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA

La forza elettrica (come quella gravitazionale) è associata ad una forma di energia

potenziale. Infatti le formule matematiche della forza di Coulomb e della forza di

Newton sono concettualmente identiche quindi, se dalla forza peso si risale all’energia

potenziale gravitazionale ,con lo stesso procedimento si può arrivare alla formula

dell’energia potenziale elettrica che infatti, come ricorderete, risulta:

Epe =q1q2

4πε0r [4]

Dove q1 è il generatore di campo e q2 la carica che ne subisce gli effetti. L’energia

esiste, come la forza elettrica, solamente quando una seconda carica entra nel campo

prodotto dalla prima. Ricordiamo però che il campo è invece una perturbazione dello

spazio prodotto da q1 che esiste anche quando non si hanno forze perché non sono

presenti altre cariche.

Si definisce quindi una nuova grandezza fisica, il potenziale elettrico, che come il

campo esiste nello spazio circostante il generatore anche in assenza di altre cariche:

V =Epe

q2=

q1

4πε0r [5]

Che ha come unità di misura il volt: [V]=[J/C]

Ne deriva quindi che oltre al campo vettoriale esiste anche un campo scalare che

associa ad ogni punto dello spazio un valore di potenziale.

L’energia e il potenziale risultano collegate dalla:

Epe = q2V [6]

ESEMPIO N. 2

Nell’esempio n.1 abbiamo ricavato la velocità a cui ruota l’elettrone nell’atomo di

idrogeno utilizzando il modello di Bohr (fig.3). Utilizzando i dati dell’esempio 1

vogliamo calcolare :

- Il potenziale elettrico generato dal protone sull’equipotenziale costituita

“dall’orbita” dell’elettrone.

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- L’energia totale dell’elettrone.

- L’energia di ionizzazione dell’elettrone.

Dati: r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; k = 8.99 109 Nm2/C2; m=9.11 10-31kg; v=2.18

106 m/s.

Il potenziale elettrico dell’equipotenziale a distanza r vale:

𝑉 = 𝑘𝑒

𝑟= +27.2𝑉

L’energia di legame dell’elettrone è la somma di quella cinetica e di quella potenziale

elettrica (quella gravitazionale è non significativa) e, ricordando che la carica elettrica

dell’elettrone è negativa, misura:

𝐸 =1

2𝑚𝑣2 + 𝑒−𝑉 = −2.18 ∙ 10−18𝐽 = −13.6 𝑒𝑉

N.B. L’elettronvolt è definito nel seguente modo: 1eV=1.60 10-19J

L’elettrone si ritiene libero quando la sua energia diventa positiva (l’energia cinetica è

maggiore del valore assoluto dell’energia potenziale elettrica) o al minimo nulla quindi

per ionizzare l’atomo è necessario fornirgli, come minimo, 13.6 eV di energia.

Linee equipotenziali - usando la stessa logica con cui si sono costruite le linee di

forza possono ora costruirsi delle superfici equipotenziali che contengano tutti i punti

di un campo elettrico allo stesso potenziale.

Figura 4 – linee di forza ed equipotenziali

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Lavoro di una forza elettrica: quando una forza è associata ad una forma di

energia potenziale il lavoro risulta indipendente dal percorso ma dipende solo dal

punto di partenza e da quello di arrivo secondo la formula:

L = −∆Epe = −q2∆V [7]

ESEMPIO N. 3

Una particella (nucleo di elio quindi 2 protoni e 2 neutroni) è in moto verso il nucleo

di un atomo d’oro (il cui nucleo è composto da 79 protoni e 118 neutroni). A causa

della forza repulsiva che esercitano i protoni dei due nuclei la particella a subisce un

rallentamento che la porta a fermarsi ad una distanza di 9.23.10-15m dal centro del

nucleo d’oro (N.B. il raggio del nucleo è minore di questa distanza) per poi rimbalzare

indietro lungo lo stesso cammino (urto elastico). Considerando non significativa la

forza gravitazionale e il movimento di rimbalzo del nucleo d’oro ( ha una massa di

molto superiore a quella del nucleo di elio) calcolare l’energia cinetica della particella

𝛼 quando è al di fuori della zona d’influenza dell’oro.

Dati: Carica particella : qa=2e, carica nucleo oro: qAu=79e, e =1.60 10-19C, r=9.23.10-

15m, k= 8.99 109Nm2/C2.

Il campo elettrico generato dal nucleo dell’oro è conservativo quindi l’energia totale

di un oggetto che si muove al suo interno rimane costante. Quanto la particella alfa si

trova fuori dall’influenza del campo del nucleo d’oro (la distanza è tale che l’energia

potenziale elettrica non è significativa rispetto a quella cinetica) la sua energia totale

risulta:

𝐸𝑇𝑖 = 𝐸𝐶𝑖

Giunta alla distanza di arresto la sua velocità è nulla e quindi la sua energia è solo

potenziale elettrica e vale:

𝐸𝑇𝑓 = 𝐸𝑃𝑒 = 𝑘2𝑒 ∙ 79𝑒

𝑟

Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia cinetica iniziale risulta:

𝐸𝐶𝑖 = 𝑘2𝑒 ∙ 79𝑒

𝑟= 3.94 ∙ 10−12𝐽 = 24.6𝑀𝑒𝑉

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1.1.3) CIRCUITAZIONE DI UN

CAMPO ELETTRICO STATICO ( terza

equazione di Maxwell per l’elettrostatica)

In base alla [7] se all’interno di un campo

elettrico si percorre una linea chiusa e si

calcola il lavoro, essendo coincidenti il

punto di partenza e quello di arrivo, si

ottiene sempre come risultato zero (Vi=Vf

implica ∆𝑉 = 0). D’altra parte il lavoro

totale si può calcolare, suddividendo la

linea in piccoli spostamenti Δ𝑠 , con la:

𝐿 = ∑𝐹 𝑖

𝑛

𝑖=1

∙ ∆𝑠𝑖 = 𝑞2 ∑�� 𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖 = −𝑞2 ∑∆𝑉𝑖 = 0

𝑛

𝑖=1

𝑛

𝑖=1

Tale formula prende il nome di circuitazione del campo elettrico e si indica con

Γ(E): Γ(�� )= ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖 = −∑ ∆𝑉𝑖 = 0𝑛𝑖=1

𝑛𝑖=1 [8]

Il fatto che la circuitazione sia nulla su un qualsiasi percorso implica che la forza e

quindi il campo che la genera siano conservativi e pertanto al suo interno vale il

principio di conservazione dell’energia. Ne segue poi che per ogni singolo tratto il

modulo del campo risulta:

𝐸 =Δ𝑉

Δ𝑠 [9]

ESEMPIO N.4

Un campo elettrico (non elettrostatico) ha linee di forza circolari. L’intensità del

vettore campo elettrico è di 150 V/m e il raggio della circonferenza che si esamina è

di 4.00 cm. Calcola la circuitazione del campo lungo questa circonferenza e stabilisci

se si tratta di un campo conservativo oppure no.

Dati: E = 150 V/m, r = 0.0400 m

Si può suddividere la circonferenza in un numero grandissimo di intervalli l tali che

non ci siano differenze significative tra gli archi e le corde che li sottendono. In questa

condizione i vettori di campo, che sono tangenti alla circonferenza possono essere

considerati paralleli ai l ( angolo zero, coseno uguale ad uno) e quindi la circuitazione

del campo risulta:

Fig.5

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Γ(�� )= ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑙𝑖 = 𝐸𝑛𝑖=1 ∑ ∆𝑙𝑖

𝑛𝑖=1

La quantità rappresentata dalla sommatoria è pari alla lunghezza della circonferenza

quindi: Γ(�� ) = 𝐸(2𝜋𝑟) = 37.7𝑉

Essendo la circuitazione su un percorso chiuso diversa da zero significa che il lavoro

dipende dal percorso e quindi non possiede una funzione di potenziale e pertanto il

campo in esame non è conservativo. Questo è vero in generale: campi con linee di

forza chiusi non sono conservativi.

1.1.4) FLUSSO ELETTRICO

Figura 6 - flusso di un campo attraverso una superficie S

Definizione: Dato un campo elettrico �� e una superficie di area S (identificata

attraverso un versore ortogonale alla stessa) il flusso del campo attraverso la superficie

vale: ∅(E) = E ∙ uN S = EScos(α) [10]

Legge di Gauss del campo elettrico ( prima equazione di Maxwell per

l’elettrostatica).

[N.B. Non si deve confondere il flusso elettrico con quello termico anche

se il simbolo 𝚽 è lo stesso.]

Il flusso generato da una carica q attraverso una superficie ideale chiusa qualsiasi che

la contenga vale: Φ(𝐸) =𝑞

𝜀0 [11]

Figura 7 - flusso attraverso una superficie sferica ideale

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Dimostrazione della legge di Gauss per il campo elettrico

Condizioni iniziali:

Il campo elettrico è generato da una singola carica puntiforme positiva q (fig.7) .

La superficie attraverso cui si calcola il flusso del campo è una sfera di raggio r con il

centro nel punto in cui si trova q. Suddividendo la superficie sferica in una quantità

così grande di aree A da poterle considerare, senza errori significativi, piane e

tangenti alla superficie stessa si ottiene che:

Tutti i vettori di campo elettrico e i versori ortogonali alle superfici sono paralleli e

radiali.

Con queste considerazioni per ognuna delle superfici DA è possibile scrivere la [8]

con angolo pari a zero e coseno uguale ad 1ottenendo:

∅(𝐸) = �� ∙ ∑ 𝑢𝑁 ∆𝐴𝑛

𝑖=1= 𝐸 ∑ ∆𝐴

𝑛

𝑖=1

La somma di tutti i A rappresenta la superficie della sfera e vale 4r2:

∅(𝐸) = 𝐸4pr2=𝒒

𝟒𝝅𝜺𝟎𝒓𝟐 4𝜋𝑟2 =𝑞

𝜀𝑜

ESEMPIO N. 5

Data una sfera di raggio R uniformemente caricata sulla sua superficie esterna da una

carica totale Q, calcola il campo elettrico all’interno della sfera e all’esterno ad una

distanza r dal centro molto maggiore di R.

Figura 8 - sfera con carica uniformemente distribuita sulla superficie

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Per determinare il modulo del campo all’interno della sfera si calcola il flusso totale

attraverso una superficie teorica interna di raggio R1 appena minore di R.

Suddividendo questa sfera di flusso in aree elementari A come nella dimostrazione

del teorema di Gauss si ottiene con la [10] che il flusso totale del campo all’interno

risulta: Φ(�� ) = 𝐸4𝜋𝑅1

D’altra parte con il teorema di Gauss, non essendoci carica all’interno di questa

superficie, si ottiene: Φ(�� ) = 0

Quindi uguagliando le due formule ed esplicitando il campo si ha:

E=0

Ne consegue che all’interno della distribuzione di carica superficiale il campo elettrico

è nullo. Questa soluzione è generalizzabile a qualsiasi forma abbia un corpo carico

superficialmente.

Utilizzando ora una superficie sferica con r>R si ripetono i passaggi visti per la

soluzione precedente solo che ora il flusso vale per il teorema di Gauss:

Φ(𝐸) =𝑄

𝜀0

Che uguagliato alla Φ(�� ) = 𝐸4𝜋𝑅 porta a:

𝐸 =𝑄

4𝜋𝜀0𝑟2

Che appare identica alla formula del campo di una carica puntiforme. Va però ricordato

che in questo caso la distribuzione di carica non è per niente puntiforme ma può essere

su una superficie macroscopica qualsiasi.

Ne segue che la superficie della sfera è una equipotenziale. Questo risultato è

generalizzabile cioè: la superficie esterna di un oggetto carico è la prima

equipotenziale del campo che genera ed ha la forma dell’oggetto stesso.

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1.1.5) CAMPO ELETTRICO DI UNA LASTRA SOTTILE CARICA

Consideriamo una lastra metallica sottile (spessore non significativo rispetto alle altre

due dimensioni) di area A, sulla quale

esista una carica totale 𝑄 = ∑𝑒+. Con

queste premesse si può considerare che

la carica sia distribuita uniformemente

sulle due facce esterne, mentre (visto lo

spessore non significativo) sia

trascurabile la parte di essa disposta sulle

superfici laterali. Le due superfici sono

delle equipotenziali e pertanto il campo

�� generato sarà ortogonale alla lastra

stessa. Utilizzando la [10] in cui la

superficie attraverso cui calcolare il

flusso è quella della lastra stessa si ha:

Φ(E) = 2AE

(ricordare che si può considerare non significativo il flusso uscente dalle aree laterali

di piccolo spessore). D’altra parte la seconda equazione di Maxwell, essendo la

superficie chiusa, porta a:

Φ(𝐸) =𝑄

𝜀0

Uguagliando i due risultati si ha:

2𝐴𝐸 =𝑄

𝜀0

A cui segue che il campo della lastra è costante e vale:

E =Q

2ε0A [11b]

le direzioni e il verso del quale sono indicate in figura.

1.1.6) CONDENSATORE PIANO

Figura C1 - SEZIONE DI UNA LASTRA SOTTILE CARICATA POSITIVAMENTE

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Figura C2 - CAMPO DI UN CONDENSATORE

Un condensatore è un componente di circuiti elettrici atto ad accumulare al suo interno

una certa quantità di carica elettrica. Esistono vari tipi di condensatori ma a noi

interessa capire il funzionamento del più semplice di essi: quello costituito da due

lamine metalliche identiche, piane e parallele, disposte come in figura C2. Sulla piastra

1 è disposta una carica Q+ che ripete la situazione studiata nel paragrafo precedente il

cui risultato è visualizzato in figura C1. Essa genera un campo costante le cui linee di

forza, uscenti, sono indicate in rosso nella figura C2. La piastra 2 è caricata da una

carica uguale in modulo a Q, ma di segno negativo. Essa genera un campo dello stesso

modulo della piastra uno, ma con linee di forza come quelle indicate in blu. Il valore

dei due campi è costante e vale ognuno:

E =|Q|

2ε0A

Se si considera un punto qualsiasi P nella zona a sinistra della piastra 1 si vede che i

due vettori, aventi lo stesso modulo e direzione ma verso opposto, sommandosi ,si

annullano; pertanto in un punto qualsiasi a sinistra della lastra 1 il campo si annulla.

Ragionando nello stesso modo per un punto qualsiasi T a destra della piastra 2 si

giunge allo stesso risultato: il campo si annulla. Ne segue che all’esterno delle due

piastre il campo non esiste (ricordare che sopra e sotto è non significativo a causa del

piccolo spessore delle piastre). Se si considera, invece, un qualsiasi punto R tra le due

piastre si nota che i due vettori di campo sono uguali sia in modulo che direzione e

verso e che pertanto tra le piastre il campo si rafforza :

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𝐸𝑐 = 2𝐸 =𝑄

ε0A [11𝑐]

Nei circuiti elettrici il simbolo di

condensatore è indicato in figura C3 per le

tipologie più comuni.

- DIFFERENZA DI POTENZIALE DI UN CONDENSATORE

In figura C4 è rappresentato un

condensatore con le piastre distanziate di

s e caricate con carica Q uguale in modulo

ma di segno opposto. Da quanto

precedentemente visto risulta che il

campo è diretto dall’alto verso il basso.

Una carica positiva q posta nei pressi della piastra superiore viene agganciata dal

campo e spinta dalla forza elettrica 𝐹 = 𝑞𝐸, verso il basso. Il lavoro fatto dalla forza

risulta: 𝐿 = 𝐹 ∙ 𝑠 = 𝐹𝑠 = 𝑞𝐸𝑠 = 𝑞𝑠𝑄

ε0A Dalla

[7] sappiamo che: L = −q ∆V = 𝑞𝑠𝑄

ε0A

Semplificando si ha: ∆V = −𝑄𝑠

ε0A [11d]

dalla quale risulta che la tensione diminuisce all’aumentare della distanza dalla

piastra positiva.

- CAPACITA’ DI UN CONDENSATORE

Di solito si considera il valore assoluto della tensione e pertanto la [11d] può essere

riscritta nella forma: 𝑄 =ε0A

𝑠∆𝑉 = 𝐶∆𝑉

Dato che i termini frazionari del secondo membro sono delle costanti per un dato

condensatore questa quantità è una caratteristica intrinseca dello stesso è viene definita

CAPACITA’. Per un condensatore a piastre piane vale quindi:

𝐶 =ε0A

𝑠 [11𝑒]

Figura C3 - Simboli circuitali di un condensatore

Figura C4 - DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA LE PIASTRE

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L’unità di misura della capacità è: C

V= F (𝒇𝒂𝒓𝒂𝒅) Condensatori

di tipo diverso da quello descritto hanno formule differenti per calcolare la loro

capacità ma, dato che tale valore è stampato sui pezzi, basta sapere cosa rappresenta.

Generalmente i valori di C sono dell’ordine dei F o pF.

1.2) CORRENTE ELETTRICA

Definizione: la corrente elettrica è un flusso ordinato di cariche che SI MUOVONO

NELLA STESSA DIREZIONE E VERSO.

Figura 9 – flusso ordinato di elettroni in un conduttore metallico prodotto da un campo elettrico esterno.

1.2.1) INTENSITA’ DELLA CORRENTE ELETTRICA

Definizione: è il valore del rapporto tra la quantità di carica (q) che attraversa una

sezione del conduttore e l’intervallo di tempo impiegato:

I =∆q

∆t=

dq

dt [C/s]=[A] [12]

Si misura in ampère : [A]=[C/s]

Verso della corrente: dato che nei conduttori metallici sono gli elettroni ( negativi)

che formano la corrente e il loro moto è diretto verso il polo positivo del campo

generatore il verso dovrebbe essere dal polo negativo verso quello positivo. Per motivi

storici però è previsto che sia il contrario cioè dal polo positivo a quello negativo

(fig.9).

1.2.2 PRIMA LEGGE DI OHM

Come ricordate dal biennio, detta R la resistenza di un

conduttore si ha:

Δ𝑉 = 𝑅𝐼 [12a]

I

Figura 10- simboli di resistenza

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19

1.2.3) SECONDA LEGGE DI OHM

Detto la resistività di un conduttore, A l’area della sezione trasversale dello stesso

ed l la sua lunghezza si ha:

𝑅 = 𝜌𝑙

𝐴 []=[V/A] [12b]

1.2.4) POTENZA ELETTRICA

𝑃 =∆𝐸

∆𝑡=

𝑑𝐸

𝑑𝑡= 𝐼Δ𝑉 = 𝑅𝐼2 =

Δ𝑉2

𝑅 [W]=[J/s]=[VA] [12c]

1.2.5) EFFETTO JOULE

La potenza dissipata da una corrente a causa dei “microurti” elettrici tra gli elettroni e

gli atomi del reticolo cristallino, produce un aumento di temperatura del conduttore. In

altri termini l’energia elettrica consumata dalla resistenza al passaggio della corrente

si trasforma in energia termica. Questo processo chiamato “effetto Joule” è

quantificabile nel seguente modo:

𝑃 =∆𝐸

∆𝑡= 𝐼Δ𝑉 = 𝑅𝐼2 =

Δ𝑉2

𝑅=

𝑄

∆𝑡= 𝑐𝑚∆𝑇/∆𝑡 [12d]

Dove Q è il calore generato, c il calore specifico del resistore, m la sua massa e T la

variazione di temperatura subita.

ESEMPIO N. 6

L’elettrone che ruota attorno al nucleo nell’atomo d’idrogeno percorre una traiettoria

chiusa ripassando periodicamente per lo stesso punto e muovendosi nella stessa

direzione. Utilizzando i valori ricavati nel esempio n.1, calcola l’intensità della

corrente elettrica prodotta dalla rotazione dell’elettrone.

r = 5.29 10-11m; e = 1.60 10-19C; m=9.11 10-31kg; v=2.18 106 m/s.

Il periodo di rotazione dell’elettrone vale:

𝑣 =2𝜋𝑟

𝑇 → 𝑇 =

2𝜋𝑟

𝑣= ∆𝑡

Essendo q = e si ha: I =∆q

∆t=

ev

2πr=

1.60∙10−19∙2.18∙106

2π∙5.29∙10−11 = 1.05 mA

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ESEMPIO N. 7

Un parallelepipedo di platino ha le seguenti dimensioni degli spigoli : a= 2.00 cm,

b=3.00 cm, c=10.00 cm; la resistività del platino misura 10,6.10-8 m. Quanto vale la

resistenza incontrata da una corrente elettrica che percorra il parallelepipedo nei

seguenti modi:

- I) nella direzione dello spigolo più lungo

- II) nella direzione dello spigolo più corto

- III) nella direzione dello spigolo di lunghezza intermedia.

Dati: a= 2.00 cm, b=3.00 cm, c=10.00 cm, =10.6 10-8 m.

I) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo caso misura: 𝐴 = 𝑎 ∙ 𝑏

Quindi applicando la [12.b] si ha:

𝑅 = 𝜌𝑐

𝑎 ∙ 𝑏= 10.6 ∙ 10−8

10.00 ∙ 10−2

2.00 ∙ 10−2 ∙ 3.00 ∙ 10−2= 1.77 ∙ 10−5Ω

II) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo secondo caso misura:

𝐴 = 𝑐 ∙ 𝑏

Quindi applicando la [12.b] si ha:

𝑅 = 𝜌𝑎

𝑐 ∙ 𝑏= 10.6 ∙ 10−8

2.00 ∙ 10−2

10.00 ∙ 10−2 ∙ 3.00 ∙ 10−2= 7.07 ∙ 10−7Ω

III) l’area ortogonale alla direzione della corrente in questo caso misura:

𝐴 = 𝑎 ∙ 𝑐

Quindi applicando la [12.b] si ha:

𝑅 = 𝜌𝑏

𝑎 ∙ 𝑐= 10.6 ∙ 10−8

3.00 ∙ 10−2

2.00 ∙ 10−2 ∙ 10.00 ∙ 10−2= 1.59 ∙ 10−6Ω

Notare la variazione nell’ordine di grandezza della resistenza nei tre casi esaminati.

ESEMPIO N. 8

Quale differenza di potenziale deve esserci tra le due facce opposte del parallelepipedo

esaminato nell’esempio n.7 per generare una corrente che parta da una delle due e

raggiunga l’altra con un’intensità di 1.00 mA nei tre casi studiati?

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Dati: RI = 1.77 10-5; RII =7.07 ∙ 10−7Ω; RIII = 1.59 ∙ 10−6Ω, I = 1.00 10-3A.

- Corrente parallela allo spigolo c

∆𝑉𝐼 = 𝑅𝐼𝐼 = 1.77 ∙ 10−5 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 1.77 ∙ 10−8𝑉

- Corrente parallela allo spigolo a

∆𝑉𝐼𝐼 = 𝑅𝐼𝐼𝐼 = 7.07 ∙ 10−7 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 7.07 ∙ 10−10𝑉

- Corrente parallela allo spigolo b

∆𝑉𝐼𝐼𝐼 = 𝑅𝐼𝐼𝐼𝐼 = 1.59 ∙ 10−6 ∙ 1.00 ∙ 10−3 = 1.59 ∙ 10−9𝑉

ESEMPIO N. 9

Calcola la potenza generata da una resistenza di 100 attraversata da una corrente

continua di 10,0 A.

Dati : R = 100 , I = 10.0 A.

Per la 12c) si ha:

𝑃 = 𝑅𝐼2 = 100 ∙ 102𝑊

1.2.6) CIRCUITI ELETTRICI: MAGLIE – NODI – RAMI

I circuiti elettrici sono formati da insiemi di componenti elettrici di vario tipo collegati

tra di loro da fili di materiale conduttore. Nella figura sottostante sono indicati alcuni

dei simboli che si trovano negli schemi circuitali. La maggior parte di essi non sarà

usata nel nostro corso, ma è utile avere almeno idea della loro esistenza.

Figura E1 - Componenti elettrici: simbologia

E’ importante conoscere l’esatto significato dei termini: maglia, nodo, ramo.

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- Maglia: si intende un qualsiasi poligono formante un percorso chiuso

all’interno di un circuito elettrico. Ad esempio in figura E2 si può vedere

un’applicazione di tale definizione.

Figura E2 - Circuito elettrico: maglie e nodi

- Nodo: è un punto in cui convergono tre o più fili elettrici (rami) come i punti b

ed f della figura E2.

- Rami: sono i fili elettrici, comprensivi degli utilizzatori, che congiungono due

nodi ad esempio in figura E2 ci sono tre rami: il primo dal nodo f lungo il tratto

ga per arrivare a b , ramo che contiene una pila e una resistenza; il secondo dagli

stessi nodi lungo il tratto ce; anche questo ramo contiene una pila e una

resistenza; il terzo congiunge direttamente i nodi f e b e contiene una sola

resistenza. In ogni ramo gira una sola corrente elettrica. Nel circuito che

stiamo analizzando sono presenti tre rami distinti quindi tre correnti distinte i1,

i2, I.

Esistono due importanti regole utili per calcolare le correnti e le cadute di potenziali

nei circuiti: le leggi di Kirchhoff:

- 1^ legge di Kirchhoff (legge dei nodi)

Ricordando che la corrente elettrica è costituita da un certo numero di cariche in moto

nella stessa direzione segue che se si considera un nodo al quale convergono tre o più

rami allora:

La somma algebrica tra le correnti entranti (considerate positive) e quelle uscenti

(considerate negative) deve risultare sempre uguale a zero.

V V 2

VA

VB

VC

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Ad esempio in figura E2, nel nodo b, convergono tre rami nei quali scorrono le correnti

di intensità i1, i2,I; le prime due sono entranti mentre la terza è uscente quindi si

ha: ∑ 𝐼 = 𝑖1 + 𝑖2 − 𝐼 = 0 [I]

La 1^ legge di K. può essere scritta per un dato circuito avente n nodi, n-1 volte

permettendo così di costruire più equazioni indipendenti contenenti le correnti

incognite. Come si vede però nel circuito che stiamo analizzando i nodi sono 2 e quindi

si può ottenere una sola equazione che colleghi le tre intensità ed è quindi insufficiente

per risolvere il problema. Inoltre nel circuito in figura E2 si possono ritenere come dati

iniziali noti i valori delle due tensioni V1 e V2 e le tre resistenze di valore R1,R2 ed R3.

Risultano allora in totale sei incognite: le tre correnti e le tensioni consumate dalle tre

resistenze che indicheremo nell’ordine VA, VB e VC. In definitiva per risolvere il

circuito è necessario costruire un sistema a sei equazioni e sei incognite. Ricordando

la 1^ legge di Ohm se ne possono costruire tante quante sono le resistenze nel circuito,

in questo caso 3:

{𝑉𝐴 = 𝑅1𝑖1𝑉𝐵 = 𝑅2𝑖2𝑉𝐶 = 𝑅3𝐼

[II]

Che con la [I] portano a quattro le equazioni utilizzabili. Per trovare le altre due è

necessario utilizzare la seconda legge di Kirchhoff la quale è un’applicazione della

circuitazione di un campo elettrico lungo un percorso chiuso: Γ(�� )= ∑𝑉𝑖 = 0

- 2^ legge di Kirchhoff (legge delle maglie)

Fissato un verso di percorrenza (orario o antiorario), valido per tutte le maglie, si

considerano positivi i potenziali crescenti in verso concorde a quello prescelto per la

maglia e negativi quelli decrescenti, l’enunciato della legge è:

La somma algebrica dei potenziali presenti lungo i rami che costituiscono la maglia è

uguale a zero.

Anche la seconda legge di K. può essere scritta n-1 volte (n = numero di maglie) e

devono comprendere tutti i generatori

Tornando all’esempio del circuito di figura E2 si vede che il numero di maglie è tre

quindi si può scrivere la 2^ legge di K. due volte ottenendo le equazioni sufficienti a

risolvere il sistema. Fissato il verso orario come positivo per le maglie si possono

scegliere la (abfg) e la (bcef) ottenendo:

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{𝑉1 − 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = 0𝑉𝐵 + 𝑉𝐶 − 𝑉2 = 0

[𝐼𝐼𝐼]

Facendo un unico sistema tra le [I], [II] e [III] si possono calcolare le sei incognite.

1.2.7) RESISTENZE IN SERIE

Dato il grande numero di incognite presenti nei circuiti elettrici complessi, per evitare

di risolvere sistemi ad un grande numero di equazioni (anche se ora esistono

programmi che li risolvono automaticamente) si è soliti suddividere il circuito

completo in sottosistemi formati da maglie e rami con determinate caratteristiche in

modo da ridurre il sistema che ne deriva.

Il primo caso che consideriamo è quello che corrisponde ad un ramo di una maglia che

presenta una di seguito all’altra (in serie) più resistenze localizzate. Si trova così una

resistenza equivalente teorica che produce lo stesso effetto sulla corrente di quelle reali

presenti nel ramo. Per raggiungere la formula che permette di calcolare questa

resistenza equivalente consideriamo il circuito rappresentato in figura E3. Il circuito è

composto da un’unica maglia con un generatore di tensione e tre resistenze, essendoci

un solo ramo che si chiude su se stesso (non ci sono nodi) è presente una sola corrente

elettrica. Noti i valori di V, R1, R2, R3 si hanno quattro incognite cioè la intensità di

corrente I e le cadute di potenziale V1, V2, V3. Servono quindi quattro equazioni di cui

una può essere ottenuta dalla 2^ legge di Kirchhoff:

𝑉 − 𝑉1 − 𝑉2 − 𝑉3 = 0

Mentre le altre tre si ottengono applicando la 1^ legge di Ohm ad ogni resistenza:

{𝑉1 = 𝑅1𝐼𝑉2 = 𝑅2𝐼𝑉3 = 𝑅3𝐼

Figura E3 - Resistenze in serie

V

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25

Sostituendole nella prima equazione si ha:

𝑉 = 𝑅1𝐼 + 𝑅2𝐼 + 𝑅3𝐼 [𝐼𝑉]

D’altra parte la resistenza equivalente, RS, deve essere tale da consumare tutta la

tensione V quando è attraversata dalla corrente I cioè:

𝑉 = 𝑅𝑆𝐼 [𝑉]

Sostituendo la [V] nella [IV] si ha: 𝑅𝑆𝐼 = (𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3)𝐼

Semplificando I si ottiene: 𝑅𝑆 = 𝑅1 + 𝑅2 + 𝑅3

Nel caso che le resistenze siano un numero N qualsiasi si può generalizzare la formula

per le resistenze in serie nel seguente modo:

RS = ∑Ri

N

i=1

[VI]

1.2.8) RESISTENZE IN PARALLELO

Quando un circuito è composto di più rami, convergenti su due soli nodi, non conte-

nenti il generatore, lungo ognuno dei quali è presente una sola resistenza (effettiva o

derivante da una serie) è possibile determinare una resistenza equivalente RP, che

produca lo stesso effetto nel circuito reale del blocco di rami sopradescritti. Un col-

legamento di questo tipo è definito in parallelo. Per raggiungere la formula che per-

mette di calcolare questa resistenza equivalente consideriamo il circuito rappresen-

tato in figura E4.

Figura E4 - Resistenze in parallelo

In questo caso il circuito è costituito da quattro rami collegati a due nodi A e B. In base

alla descrizione precedente vanno considerati in parallelo i tre rami contenenti le

V

VAB

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resistenze che partono tutti dal nodo A e finiscono al nodo B mentre non risulta in

parallelo (neanche se contenesse a sua volta una resistenza) il ramo che contiene la

pila. Considerando noti i valori di V, R1, R2, R3, si hanno cinque incognite: ITOT, I1, I2

e I3 oltre alla tensione VAB che è la stessa per ogni ramo (ricorda la 2^legge di K.).

La 1^ legge di K. può essere applicata una sola volta (n=2 nodi) al nodo A, porta a:

𝐼𝑡𝑜𝑡 − 𝐼1 − 𝐼2 − 𝐼3 = 0 [𝑉𝐼𝐼]

Si può poi scrivere tre volte la 1^ legge di Ohm ottenendo:

𝐼1 =𝑉𝐴𝐵

𝑅1

𝐼2 =𝑉𝐴𝐵

𝑅2

𝐼3 =𝑉𝐴𝐵

𝑅3

Che sostituite nella [VII] danno:

𝐼𝑡𝑜𝑡 =𝑉𝐴𝐵

𝑅1+

𝑉𝐴𝐵

𝑅2+

𝑉𝐴𝐵

𝑅3= (

1

𝑅1+

1

𝑅2+

1

𝑅3)𝑉𝐴𝐵 [𝑉𝐼𝐼𝐼]

La resistenza teorica equivalente deve soddisfare a sua volta la 1^ legge di Ohm

quindi:

𝐼𝑡𝑜𝑡 =𝑉𝐴𝐵

𝑅𝑃

Sostituendo quest’ultima nella [VIII] si ottiene:

𝑉𝐴𝐵

𝑅𝑃= (

1

𝑅1+

1

𝑅2+

1

𝑅3)𝑉𝐴𝐵

Semplificando ed esplicitando Rp si ha:

𝑅𝑃 =1

(1𝑅1

+1𝑅2

+1𝑅3

)

Nel caso che le resistenze i parallelo siano N si generalizza la formula nel seguente

modo: RP =1

∑1

Ri

Ni=1

[IX]

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1.3) MAGNETISMO

Il fenomeno del magnetismo è generato dal moto di cariche elettriche singole o in

gruppo (correnti elettriche). NON esistono cariche magnetiche.

1.3.1) LEGGE DI AMPERE

Il modulo della forza magnetica che agisce su

un tratto, lungo l, di uno dei due fili percorsi

da corrente elettrica disposti come in figura

11, vale:

𝐹1 = 𝐹2 =𝜇0𝐼1𝐼2

2𝜋𝑑𝑙 [13]

Se le correnti procedono in verso opposto le

forze sono repulsive, nel caso in cui le correnti

procedano nello stesso verso le forze magnetiche che si scambiano i fili sono attrattive.

La costante diamagnetica vale: o= 4 10-7 N/A2

ESEMPIO N. 10

Due fili paralleli di rame, di sezione A= 3.00 mm2 e lunghezza l = 1.20 m si trovano

ad una distanza d = 0.430 m come in figura 11. Ai capi di ciascun filo viene applicata

una differenza di potenziale di 20,0 V ma con polarità invertita. Calcola il modulo della

forza magnetica che agisce sui due fili.( Cu= 1.70 10-8m)

Dati : A= 3.00 mm2, l = 1.20 m, d = 0.430 m, Cu = 1.70 10-8m, DV = 20.0 V

La resistenza di ciascuno dei due fili vale :

𝑅 = 𝜌𝑙

𝐴= 1.70 ∙ 10−8

1.20

3.00 ∙ 10−6= 6.80 ∙ 10−3Ω

L’intensità delle due correnti che li percorre IN SENSO OPPOSTO è:

𝐼 =Δ𝑉

𝑅=

20.0

6.80 ∙ 10−3= 2.94 ∙ 103𝐴

Le forze repulsive, che si scambiano per effetto magnetico i due fili sono:

F1 = F2 =μ0I1I22πd

l =4π ∙ 10−7 ∙ (2.94 ∙ 103)2

2π ∙ 0.430= 4.02 N

Figura 11 - fili percorsi da correnti discordi

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1.3.2 VETTORE INDUZIONE MAGNETICA

Come per il campo elettrico si può considerare uno dei due generatori di forza, I1

oppure I2, come sorgente di un campo Magnetico per unità di lunghezza del filo in

cui scorre la corrente generando un vettore di modulo:

𝐵1 =𝐹2

𝐼2𝑙=

μ0I1

2πd [14]

Questo vettore prende il nome di induzione magnetica (anche se alcuni lo chiamano

campo magnetico nome che, in realtà, è riferito ad un'altra parte della formula). L’unità

di misura dell’induzione magnetica è:

𝑁

𝐴𝑚= 𝑇 [15] unità chiamata: tesla

Il campo vettoriale prodotto da un filo genera linee di forza che si possono rilevare con

piccoli magneti dando luogo ad immagini del tipo evidenziato in figura 12.

Figura 12 - linee di forza del campo B di un filo

Più in generale per stabilire il verso delle linee di forza si può, idealmente, prendere

con la mano destra il filo mettendo il pollice diretto dalla parte in cui scorre la corrente

in questo caso le altre dita indicano il verso delle linee di forza come in figura 12.

Come si vede le linee di forza sono chiuse attorno alla corrente generatrice. Si può

dimostrare (vedi esempio n.4) che quando le linee di forza di un campo vettoriale

sono chiuse il campo NON è conservativo quindi la forza magnetica NON genera

energia potenziale.

Figura 13- verso delle linee di forza

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ESEMPIO N.11

Un filo di rame è percorso da una corrente continua di 10.0 A. Calcola il valore

dell’induzione magnetica su linee di campo lontane d1= 1.00 cm, d2= 10.0 cm e d3=

1.00 m. (figura 13)

Dati: I = 10.0 A, d1= 1.00 cm, d2= 10.0 cm e d3= 1.00 m.

Applicando la [14] alle tre distanze si ha:

𝑩 =μ0I

2πd

Bd1= 2.00 10-3T; Bd2=2.00 10-4T; Bd3= 2.00 10-5T

Come si vede il campo decresce rapidamente già ad un metro è non significativo

rispetto al valore che ha ad un centimetro dal filo.

ESEMPIO N. 12

Consideriamo ora i due fili rappresentati in figura 14. In questo caso però le due

correnti valgono I1= 10.0 A e I2= 5.0 A mentre la distanza tra i fili è d= 6.0 cm e la

lunghezza l=1.0 m. Calcolare il valore del vettore induzione magnetica nel punto P

posto a metà distanza tra i due fili. Risolvere il problema nel caso le correnti siano

equiverse.

1) Come si vede le linee di campo risultano

orientate con verso opposto e quindi i moduli dei

due vettori di campo nel punto P centrale si

sommano.

Dati: I1= 10.0 A, I2= 5.0 A, d= 6.0 cm, l=1.0 m

Quindi:

𝐵𝑃 = 𝐵1 + 𝐵2

Cioè:

B1 =μ0I1

2πd/2=

4 ∙ 10−710.0

0.060= 6.7 ∙ 10−5T

B2 =μ0I2

2πd/2=

4 ∙ 10−75.0

0.060= 3.3 ∙ 10−5T

Figura 14- linee di campo

P

B1 B2

P

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𝐵𝑃 = 𝐵1 + 𝐵2 = 1.0 ∙ 10−4𝑇

2) quando le correnti sono equiverse i due vettori di campo hanno verso opposto

quindi i moduli non cambiano e si ha:

𝐵𝑃 = 𝐵1 − 𝐵2 = 3.4 ∙ 10−5𝑇

1.3.3) COLLEGAMENTO VETTORIALE CAMPO -FORZA

Inserendo le linee di forza generate da uno dei due fili di figura 14 si ottiene

l’immagine 15

Figura 15 - campo B e forza da esso generata

Come si vede le due correnti indicate sono questa volta equiverse e quindi la forza

magnetica è attrattiva. Si osserva inoltre che la forza magnetica, che è radiale, forma

90° con il vettore induzione magnetica che è invece tangenziale, mentre la corrente

elettrica, che subisce l’effetto della forza, è a sua volta a 90° con il piano in cui si

trovano F e B. Se si conosce il valore dell’induzione magnetica la [13] nel caso più

generale diventa: 𝐹2 = �� 𝐼𝐼2𝑙 × 𝐵1

[16]

Dove 𝑢𝐼 indica un versore concorde con la corrente I2 . Il modulo risulta:

𝐹2 = 𝐼2𝑙𝐵1 sin(90) = 𝐼2𝑙𝐵1 [17]

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La [17] vale per correnti elettriche. Ricordando che la corrente è un flusso ordinato di

cariche elettriche (elettroni) q=ne che procedono nello stesso verso in un dato

intervallo di tempo [12]: 𝐼2 =𝑁𝑒

∆𝑡 [18]

Nel caso che si tratti di una corrente formata da una sola carica (N=1) e ricordando che 𝑙

∆𝑡 rappresenta la velocità v con cui si sposta la carica , la [16] si può scrivere:

𝐹 = 𝑒𝑣 × �� 1 [19]

Che prende il nome di forza di Lorentz sulle cariche in moto.

Nel caso di un filo che si piega formando una spira (figura 16 c),d),e) ) si osserva che

le linee di forza la attraversano pressoché ortogonalmente al piano che contiene il filo

Figura 16 - campi magnetici di fili in varie configurazioni geometriche

e nel caso di più spire in successione

(solenoide) fig.16 f), le linee al suo interno

risultano pressoché equidistanti indicando

l’esistenza di un campo uniforme.

(elettrocalamita) Si può dimostrare che il

campo attraversante una spira [fig.16 c) d)]

vale:

B⊥ =μoIR2

2(R2+z2)32

[19. b]

Dove con 𝐵⊥ si intende che il campo ha la

direzione SUD-NORD come indicato in fig.16f. Se si confrontano queste linee di forza

Figura 17 - linee di forza di una calamita naturale

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con quelle generate da una calamita naturale si osserva che sono pressoché identiche

(fig. 17) rendendo evidente che si tratta dello stesso fenomeno generato dall’

allineamento nella calamita naturale degli orbitali su cui ruotano gli elettroni del

materiale che la costituisce. N.B. Per stabilire il verso del campo indotto dalla

corrente in una spira si chiudono le dita della mano DESTRA nel verso di rotazione

della corrente in questo modo il pollice indica il verso del campo magnetico.

Figura 18- campi magnetici dei singoli atomi in un cristallo

Le frecce in figura 18 indicano schematicamente l’andamento del vettore B prodotto

dagli elettroni di un singolo atomo che, nel caso c), sono casuali e quindi implica che

non esiste un effetto macroscopico di magnetismo (l’oggetto non è una calamita

naturale). Se si riesce ad ordinarli, come nel caso a), l’oggetto diventa una calamità

permanente. Ricordando che l’aumento di temperatura produce un’agitazione

maggiore a livello atomico si capisce che esisterà un valore di temperatura

(temperatura di Curie) che, se raggiunta da un magnete naturale, scompaginerà la

sistemazione tipo a) e la riporterà ad una di tipo c) facendo scomparire le proprietà

magnetiche.

ESEMPIO N. 13

Un campo magnetico uniforme �� di intensità 2.0 mT, è orientato in direzione z

(versore +�� ). Un protone con energia cinetica di 6.0 MeV entra nel campo in direzione

y (𝐽) . Calcolare la forza magnetica applicata sul protone e stabilire il raggio di

rotazione dello stesso. Massa del protone m = 1.67 10-27kg.

Dati: �� = �� 2.0 𝑚𝑇, Ec = 6.0 MeV, m = 1.67 10-27kg ; e = 1.60 10-19C.

Il modulo della velocità del protone si ottiene dall’energia cinetica:

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𝑣 = √2𝐸𝑐

𝑚= √

2 ∙ 6.0 ∙ 106 ∙ 1.60 ∙ 10−19

1.67 ∙ 10−27= 3.4 ∙ 107𝑚/𝑠

Quindi 𝑣 = 𝑗 3.4 ∙ 107 𝑚/𝑠

Essendo l’angolo tra le direzioni y e z di 90° per la [19] si ha:

F = ev × B = i evBsen(90) = i 1.1 ∙ 10−14N [19a]

Quindi una forza ortogonale alla velocità che genera un’accelerazione centripeta pari

a: 𝑎 =𝐹

𝑚= 6.6 ∙ 1012𝑚/𝑠2

Questo produce un moto curvilineo che, in qualsiasi punto della traiettoria ha la stessa

forza in modulo ortogonale alla velocità (v e B restano ortogonali e costanti in tutti i

punti) , ciò porta a descrivere un moto circolare uniforme di raggio:

𝑎 =𝑣2

𝑟 → 𝑟 =

𝑣2

𝑎= 175 𝑚

ESEMPIO N.14

La figura 19 rappresenta schematicamente

uno spettrometro di massa. Uno ione

positivo di carica q = 1.60 10-19C dopo aver

subito un’accelerazione nella sorgente S, a

causa di un campo elettrico con differenza

di potenziale Vi= 1000 V, entra nella

camera di separazione in cui è presente un

campo magnetico uniforme:

�� = �� 80000 𝑚𝑇.

Come nell’esempio n.13 lo ione compie

una traiettoria circolare andando a colpire una lastra fotografica che registra il punto

di collisione ad una distanza x= 1.6254 m dalla fenditura d’ingresso. Calcolare la

massa dello ione.

Dati: q = 1.60 10-19C , Vi= 1000 V, �� = �� 80000 𝑚𝑇, x= 1.6254 m

Come evidenzia lo schema lo ione esce dalla sorgente in [1] con velocità pressoché

nulla ed energia potenziale elettrica massima poi, a seguito del campo elettrico

prodotto dal generatore, accelera fino al punto [2] a potenziale elettrico nullo dove

Figura 19- spettrometro di massa

1

2

1

2

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cessa il campo elettrico ed entra nel campo magnetico costante. Durate il tratto 1-2 la

carica si trova in un campo conservativo quindi:

𝐸𝑇𝑖 = 𝐸𝑇𝑓

Con l’energia totale iniziale tutto potenziale e pari a 𝐸𝑇𝑖 = 𝑞𝑉𝑖 mentre quella finale

risulta 𝐸𝑇𝑓 =1

2𝑚𝑣2 , essendo Vf=0 si per cui:

1

2𝑚𝑣2 = 𝑞𝑉𝑖

Segue: 𝑣 = √2𝑞𝑉𝑖

𝑚

Dalla [19a] dell’esempio n.13 e dal fatto che si ha un moto circolare uniforme si ha

𝐹 = 𝑞𝑣𝐵 = 𝑚𝑣2

𝑟

Sostituendo v risulta: 𝑞𝐵𝑟 = 𝑚√2𝑞𝑉𝑖

𝑚= √2𝑞𝑉𝑖𝑚

Essendo r = x/2, la massa risulta:

𝑚 =𝑞𝐵2𝑥2

8𝑉𝑖= 3.3863 ∙ 10−25𝑘𝑔 = 203.93 𝑢

ESEMPIO N. 15

Un filo rettilineo orizzontale di rame è percorso da una corrente continua di 50 A.

Quale intensità e che direzione deve avere un campo magnetico necessario a far

‘levitare’ il filo? La massa per unità di lunghezza del filo di rame misura 50 g/m. Dati:

I = 50 A, m/l=50 10-3kg/m

Figura 20 - filo in levitazione

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Dovendo ‘levitare’ cioè restare sospeso in aria la somma tra la forza peso e quella

magnetica deve risultare pari a zero :

𝐹𝑝 = 𝐹𝑀

Quindi utilizzando la [16] per la forza magnetica si ha che il verso di B deve essere in

direzione orizzontale e a 90° con il filo come indicato in figura 20:

k FM = −j I l × i B

Quindi: 𝑚𝑔 = 𝐼𝑙𝐵𝑠𝑒𝑛(𝜑)

Dove con =90 si intende l’angolo tra il filo (la corrente) e il vettore di campo.

Esplicitando B si ha:

𝐵 =𝑚

𝑙∙𝑔

𝐼= 50 ∙ 10−3

9.81

50= 9.81 ∙ 10−3𝑇 = 9.81 𝑚𝑇

ESEMPIO N.16

L’atomo d’idrogeno studiato nell’esempio 6 è considerabile come una spira circolare

di raggio r = 5.29 10-11m percorsa da una corrente di 1.05 mA. Calcolare il campo

magnetico al centro dell’orbita sul piano della stessa (z=0).

Dati: r = 5.29 10-11m, I = 1.05 mA.

Utilizzando la [19.b] con z=0 si ha:

B⊥ =μoIR

2

2(R2 + z2)32

=μoI

2R=

4π10−7 ∙ 1.05 ∙ 10−3

2 ∙ 5.29 ∙ 10−11= 12.5 T

N.B. non si tratta di un calcolo che tiene conto della meccanica quantistica ne, quindi,

dell’effetto dello spin dell’elettrone.

1.3.4) CIRCUITAZIONE DELL’INDUZIONE MAGNETICA

Come per il campo elettrico si definisce la circuitazione del campo magnetico con una

formula analoga alla [8] :

Γ(�� ) = ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑙𝑖 = ∑ 𝐵𝑖∆𝑙𝑐𝑜𝑠(𝛼)𝑛𝑖=1

𝑛𝑖=1 [20]

Nei tre percorsi indicati in figura 21 la corrente è

circondata dalla linea L1 mentre le altre due non la

Figura 21 - circuitazione di B

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contengono. Si può dimostrare che in questo caso la circuitazione vale:

Γ(�� ) = 𝜇𝑜 ∑ 𝐼 [21]

Che è la formula di Ampère (o quarta equazione di Maxwell).

Ne consegue che la circuitazione di un campo magnetico PUO’ essere diversa da zero

e che pertanto il campo non è conservativo. Ricordiamo che conservativo significa che

esiste una funzione potenziale la quale permette di calcolare il lavoro del campo come

sua variazione tra inizio e fine del percorso e che, pertanto, partendo e tornando allo

stesso punto, qualunque sia il percorso, deve dare come risultato della differenza zero

come la [8] per il campo elettrico; dato che la [21] può dare risultati diversi da zero

significa che non esiste un potenziale

magnetico.

ESEMPIO N.17

Un solenoide, di lunghezza L=10.00 cm e composto da N=10 spire, è percorso da una

corrente I = 1.00 A e genera al suo interno un campo magnetico pressoché costante

(linee di forza parallele) mentre all’esterno il campo è non significativo come si vede

dalla figura 22a. Calcola la circuitazione del campo magnetico lungo il cammino

indicato in figura che contiene n = 5 spire e determina il valore del campo magnetico

sapendo che AD = 5.00 cm (fig.22b).

Dati: L=10.00 cm, N=10, I = 1.00 A, n = 5, AD = 5.00 cm = a.

Scomponendo il cammino ABCD nelle sue quattro parti si ha:

Γ(�� ) = ∑�� 𝑖 ∙ ∆𝑙𝑖 = Γ(�� )𝐴𝐵 +

𝑛

𝑖=1

Γ(�� )𝐵𝐶 + Γ(�� )𝐶𝐷 + Γ(�� )𝐷𝐴 = μo ∑I

All’esterno del solenoide B è non significativo quindi:

Figura 22a - solenoide: situazione reale Figura 22b - solenoide: schema teorico

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Γ(�� )𝐵𝐶 = 0

Per i tratti CD e AB l’angolo tra il campo e la direzione della corrente è di 90° quindi:

Γ(�� )𝐶𝐷 = Γ(�� )𝐴𝐵 = 𝐵 ∙ 𝑏 ∙ 𝑐𝑜𝑠(90) = 0

E pertanto la circuitazione totale vale:

Γ(�� ) = Γ(�� )𝐷𝐴 = μo ∑I =μonI = 6.28 ∙ 10−6N/A

Per il lato DA, essendo parallelo al campo, si ha:

Γ(�� )𝐷𝐴 = 𝐵 ∙ 𝑎 ∙ 𝑐𝑜𝑠(0) = 𝐵𝑎 = μonI = 6.28 ∙ 10−6Tm

Quindi il campo risulta:

𝑩 = 𝛍𝐨𝐧𝐈

𝐥=

6.28∙10−6

0.050= 0.126 mT [21b]

1.3.5) FLUSSO DI B

In analogia a quanto visto per il campo elettrico

si definisce flusso del vettore induzione

magnetica B attraverso una superficie S la

quantità:

Φ(𝐵) = �� ∙ 𝑆 = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠(𝛼) [22]

Unità di misura: Tm2= Wb (weber)

ESEMPIO N. 18

Una bobina, composta da 25 spire di raggio 4.0 cm, viene immersa in un campo

magnetico uniforme di intensità 0.50 10-2T diretto parallelamente all’asse della bobina

stessa. In seguito la bobina viene ruotata di 90°. Calcolare la variazione di flusso del

campo magnetico tra queste due situazioni.

Dati: n = 25; r = 4.0 cm; B = 0.50 10-2T, =90°.

Figura 23- Flusso di B attraverso una superficie aperta

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a) L’area di una delle spire della bobina vale:

𝐴 = 𝜋𝑟2

Quindi il flusso attraverso una spira risulta (il campo è ortogonale alla spira quindi

l’angolo tra la normale all’area e il campo vale 0°):

Φ(�� )1 = �� ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴 cos(0)

Il flusso totale attraverso le n spire risulta:

Φ(�� )𝑇𝑎 = 𝑛𝐵𝐴 cos(0) = 6.28 ∙ 10−4𝑊𝑏

b) Essendo il campo magnetico parallelo alle aree delle spire (angolo 90°) si ha:

Φ(�� )𝑇𝑏 = 𝑛𝐵𝐴 cos(90) = 0 𝑊𝑏

La variazione di flusso risulta:

∆Φ(�� ) = Φ(�� )𝑇𝑏 − Φ(�� )𝑇𝑎 = −6.28 ∙ 10−4𝑊𝑏

ESEMPIO N. 19

Una mano, tenuta stesa, è collocata in un campo magnetico uniforme la cui induzione

ha modulo B= 0.35 T. La mano ha un’area di 160 cm2 e uno spessore non significativo

rispetto all’area. Si calcoli il flusso magnetico attraverso la mano quando il campo

forma un angolo di 45° rispetto al piano su cui si trova la mano.

Dati: B= 0.35 T, A = 160 cm2, = 45°

Il flusso risulta:

Φ(�� ) = �� ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴 cos(𝜑) = 0.35 ∙ 160 ∙ 10−4 cos(45) = 4.0 ∙ 10−3𝑊𝑏

B B

Figura 24 -bobina: a) parallela b) ortogonale al campo B

a) b)

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ESEMPIO N. 20

Un solenoide lungo 62.5 cm è percorso da una corrente di 3.23 A che genera al suo

interno un campo magnetico. L’area di ogni spira del solenoide misura 30.0 cm2 e il

flusso del campo magnetico interno attraverso il solenoide è di 4.88 10-3 Wb.

Di quante spire è composto il solenoide?

Dati : l = 62.5 cm, I = 3.23 A, A = 30.0 cm2, Φ(�� ) = 4.88 ∙ 10−3𝑊𝑏.

Dall’esempio n.14 sappiamo che per un solenoide il campo magnetico interno vale:

𝐵 = μo

nI

l

Dall’esempio n.18 si ha che il flusso attraverso un solenoide vale:

Φ(�� ) = 𝑛𝐵𝐴

Sostituendo il campo nell’equazione del flusso e ricavando n si ha:

𝑛 = √Φ(�� ) ∙ 𝑙

μoI ∙ A= √

4.88 ∙ 10−3 ∙ 0.625

4𝜋 ∙ 10−7 ∙ 3.23 ∙ 30.0 ∙ 10−4= 500

1.3.6) FLUSSO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE CHIUSA

In figura 25 è rappresentata una spira percorsa

da corrente che, come visto in precedenza,

produce un campo magnetico con linee di forza

che si chiudono su se stesse. Utilizzando una

superficie teorica chiusa che avvolga la spira si

osserva che il flusso è generato da tanti vettori

entranti quanti sono quelli uscenti; pertanto la

sommatoria dei flussi ottenuti dalla [22] per

ogni elemento infinitesimo s in cui può essere

suddivisa la superficie totale darà

sempre il seguente risultato:

Φ(�� ) = ∑ 𝐵𝑖 ∙ ∆𝑆𝑖

= ∑ 𝐵𝑖∆𝑆𝑖 cos(𝛼𝑖) = 0𝑛𝑖=1

𝑛𝑖=1 [23]

La [23] costituisce il teorema di Gauss per il magnetismo (o 2^ equazione di Maxwell

per i campi magnetici statici).

Figura 25 - flusso attraverso una superficie chiusa

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1.3.7) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTROSTATICA

Riepilogando le equazioni di Maxwell che descrivono i campi elettrico e magnetico

statici sono:

Prima equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico: legge di Gauss

per il campo elettrico)

Φ(𝐸) =𝑞

𝜀0 [11]

Cosa dice: l’equazione stabilisce che il flusso del campo elettrico attraverso una

superficie chiusa qualsiasi è direttamente proporzionale alla somma algebrica delle

cariche contenute nella superficie.

Cosa significa: le linee del campo elettrico sono aperte, escono dalle cariche positive

e terminano sulle cariche negative. Le cariche elettriche che si trovano fuori dalla

superficie di prova chiusa non contribuiscono al flusso perché le loro linee di campo

intersecano due volte, entrando e uscendo, la superficie e quindi il loro contributo

totale è zero.

Quali sono le conseguenze:

- Le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettrico

- La carica su un conduttore in equilibrio elettrostatico si localizza sulla superficie

dello stesso qualunque sia la sua forma

- Per un qualsiasi conduttore il modulo del campo sulla sua superficie vale:

𝐸 =𝑞𝑡𝑜𝑡

𝜀𝑆 (Teorema di Coulomb)

Seconda equazione di Maxwell (per il campo magnetico statico: legge di

Gauss per il campo magnetico)

Φ(�� ) = 0 [23]

Cosa dice: l’equazione stabilisce che il flusso dell’induzione magnetica attraverso una

superficie chiusa è sempre nullo.

Cosa significa: le linee di campo sono sempre chiuse quindi non hanno un punto di

generazione e quindi non esistono “cariche magnetiche”.

Quali sono le conseguenze: non esiste un polo magnetico isolato.

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Terza equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico)

Γ(𝐸) =0 [8]

Cosa dice: L’equazione stabilisce che la circuitazione del campo elettrico statico

lungo una linea chiusa orientata è sempre uguale a zero.

Che cosa significa: la relazione afferma che il campo elettrostatico è conservativo, cioè

che il lavoro fatto quando una carica puntiforme si muove da un punto A ad un punto

B interno al campo è indipendente dal percorso scelto per congiungerli.

Quali sono le conseguenze: è possibile definire il potenziale elettrico.

Quarta equazione di Maxwell (per l’induzione magnetica)

Γ(�� ) = 𝜇𝑜 ∑ 𝐼 [21]

Cosa dice: la circuitazione dell’induzione magnetica può essere diversa da zero e

dipende dalla somma delle correnti che attraversano la linea chiusa su cui si calcola.

Cosa significa: la possibilità che la circuitazione per alcuni percorsi sia nulla e per altri

non lo sia indica che il campo magnetico non è conservativo.

Quali sono le conseguenze: non esiste una funzione “potenziale magnetico”

1.4) L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA

1.4.1) LEGGE DI FARADAY-NEUMANN

La figura 26 mostra una spira

rettangolare costituita da una sbarra di

materiale conduttore che scivola su rotaie

dello stesso materiale. Un campo

magnetico uniforme è rappresentato con

verso uscente nella pagina, perpen-

dicolarmente ad essa. Poiché l’area della

spira diminuisce a mano a mano che la

sbarra si muove verso destra, il flusso

magnetico attraverso di essa diminuisce.

Se si fa muovere la sbarra a velocità costante la variazione di flusso risulta:

Figura 26 - spira rettangolare ad area variabile

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∆Φ(𝐵) = Φ(�� )𝑓 − Φ(�� )𝑖 = 𝐵𝐴𝑓 − 𝐵𝐴𝑖

Dalla figura 26 si vede che:

𝐴𝑖 = 𝐴𝑓 + 𝑙𝑣Δ𝑡

Quindi:

∆Φ(𝐵) = 𝐵𝐴𝑓 − 𝐵(𝐴𝑓 + 𝑙𝑣Δ𝑡) = −𝐵𝑙𝑣Δ𝑡

La rapidità (velocità) con cui il flusso diminuisce risulta allora:

−∆Φ(𝐵)

Δ𝑡= 𝐵𝑙𝑣 (= −

𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡 ) [24]

1.4.2) CORRENTE INDOTTA

Dato che la sbarra in movimento nel campo magnetico contiene gli elettroni liberi del

legame metallico ( normalmente in moto casuale all’interno del reticolo cristallino)

essi subiscono una forza di Lorentz che li spinge a muoversi simultaneamente verso

l’alto (fig.26) :

𝐹 𝐿 = 𝑁𝑒−𝑣 × ��

Di modulo: 𝐹𝐿 = 𝑁|𝑒−|𝑣𝐵

Quindi si ha uno spostamento ordinato di cariche pari a q= 𝑁|𝑒−|. Ricordando la

definizione di intensità di corrente [12]:

I =N|e−|

∆t

Si ha che nel circuito si instaura una corrente elettrica indotta in verso antiorario

(N.B. per convenzione l’intensità gira in verso opposto al moto effettivo degli

elettroni).

Per effetto della dislocazione di carica viene ad instaurarsi una differenza di potenziale

tra gli estremi della sbarra; tale differenza è definita “forza elettro-motrice” indotta e

di solito in luogo del simbolo V viene indicata con “fem”.

Sappiamo che quando una corrente percorre un conduttore essa consuma potenza sotto

forma di effetto Joule quindi per la [12d] si ha:

𝑃 = 𝐼 ∙ ∆𝑉 = 𝐼 ∙ 𝑓𝑒𝑚 [25]

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D’altra parte una corrente in un campo magnetico genera una forza magnetica FB

diretta verso sinistra (fig.26) secondo la [16]:

FB = u IIl × B

Che ha modulo 𝐹𝐵 = 𝐵𝐼𝑙

Se si vuole che la sbarra si muova a velocità costante essa deve essere spinta verso

destra da una forza esterna F1 di modulo pari a FB :

F1 = FB = BIl

Quindi la potenza dissipata per effetto joule , in definitiva quella che genera la

produzione di corrente, deriva dal lavoro di questa forza esterna:

L = F 1 ∙ ∆s = F1∆s = BIlv∆t

quindi la potenza risulta: 𝑃 =𝐿

∆𝑡= 𝐵𝐼𝑙𝑣

Per la [25] si ha: 𝑓𝑒𝑚 =𝑃

𝐼= 𝐵𝑙𝑣

Che combinata con la [24] porta alla legge di Faraday-Neumann:

−∆Φ(𝐵)

Δ𝑡= 𝑓𝑒𝑚 (= −

𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡 ) [26]

In definitiva si osserva che tutte le volte che si varia il flusso di un campo magnetico

attraverso un circuito elettrico chiuso si genera una forza elettromotrice indotta a

spese dell’energia meccanica che è stata utilizzata per modificare il flusso.

In figura 26 il campo magnetico costante

aveva un flusso variabile perché cambiavano

le dimensioni della “spira rettangolare” che

costituiva il circuito elettrico; ovviamente il

flusso può cambiare anche se la spira rimane

di dimensioni costanti ma “ruota” su un asse

ortogonale al campo come in figura 27.

Figura 27- Spira rotante

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1.4.3) LEGGE DI LENZ

Nell’esempio n. 16 abbiamo visto che quando una corrente percorre una traiettoria

chiusa (una spira) al suo interno si genera un nuovo campo magnetico. La legge di

Faraday-Neumann indica che quando attraverso una spira NON percorsa inizialmente

da corrente, meccanicamente, si fa variare il flusso di un campo magnetico esterno,

nella spira si instaura una corrente I che, per quanto appena affermato produce a sua

volta un nuovo campo magnetico che si somma vettorialmente a quello esterno. Dalla

figura 26 si vede che la corrente, quando il flusso diminuisce (vedi dimostrazione),

percorre la spira in senso antiorario quindi (ricordare la regola della mano destra) il

campo autoindotto dalla nuova corrente ha lo stesso verso di quello esterno, cioè

rafforza il campo in modo da ridurre la variazione di flusso magnetico. Questo risultato

si generalizza nell’enunciato della legge di Lenz:

La corrente indotta in una spira ha un verso tale che il campo magnetico generato

dalla corrente si oppone alla variazione di flusso che l’ha indotta.

ESEMPIO N. 21

Una spira di filo conduttore ha un’area di 1.5 10-3 m2. Essa è attraversata

perpendicolarmente da un campo magnetico variabile che inizialmente ha un modulo

di 0.50 T. Dopo 0.10 s il campo magnetico misura 0.70 T. Calcolare la forza

elettromotrice indotta nella spira dalla variazione del flusso magnetico.

Dati: A = 1.5 10-3 m2, Bi = 0.50 T, Bf = 0.70 T, t = 0.10 s.

Essendo il campo ortogonale alla spira l’angolo tra il versore normale all’area e il

campo vale zero quindi per la definizione di flusso si ha:

Φ(�� ) = �� ∙ 𝐴 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0) = 𝐵𝐴

segue : Φ𝑖 = 𝐵𝑖𝐴 𝑒 Φ𝑓 = 𝐵𝑓𝐴

E per la legge di Faraday – Neumann :

𝑓𝑒𝑚 = −∆Φ(𝐵)

Δ𝑡=

𝐵𝑖𝐴 − 𝐵𝑓𝐴

Δ𝑡=

(0.50 − 0.70)1.5 ∙ 10−3

0.10= −3.0 ∙ 10−3𝑉

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ESEMPIO N. 22

Una spira rettangolare (vedi fig. 27) ha i lati lunghi rispettivamente l = 5.0 cm e a =

10.0 cm. Essa è immersa in un campo magnetico costante di modulo B = 0,80 T

inizialmente diretto ortogonalmente alla superficie delimitata dalla spira stessa. La

spira ruota sull’asse dei lati lunghi percorrendo un angolo di 40° in 0.10 s. Calcola la

tensione indotta. Sapendo che il filo che costituisce la spira è in rame ( 𝜌𝐶𝑢 = 1,72 ∙

10−8 Ω𝑚) e che la sua sezione ha un raggio di 1,0 mm, calcola l’intensità della corrente

indotta e la potenza elettrica generata dalla variazione di flusso magnetico prodotto

dalla rotazione.

Dati: l = 5.0 cm e a = 10.0 cm, B = 0,80 T, a= 40°, t= 0.10 s, 𝜌𝐶𝑢 = 1.72 ∙ 10−8 Ω𝑚,

r = 1,0 mm.

L’area della spira misura:

𝐴 = 𝑙 ∙ 𝑎 = 50 ∙ 10−4𝑚2

I flussi iniziale e finale sono:

Φ𝑖 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0) Φ𝑓 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45)

Quindi applicando la legge di F.-N. si ha:

𝑓𝑒𝑚 = −𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45) − 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0)

Δ𝑡= 9.4 ∙ 10−3𝑉

La resistenza elettrica del filo, per la seconda legge di Ohm [12b], vale:

𝑅 = 𝜌𝑐𝑢

2(𝑙 + 𝑎)

𝜋𝑟2= 1.7 ∙ 10−3Ω

per la prima legge di Ohm, l’intensità della corrente misura:

𝐼 =𝑓𝑒𝑚

𝑅= 9.4 𝐴

E la potenza generata risulta:

𝑃 = 𝐼 ∙ 𝑓𝑒𝑚 = 8.8 ∙ 10−2𝑊

ESEMPIO N. 23

Una bobina piana (solenoide) di filo conduttore ha un’area di 2.0 10-2m2 ed è costituita

da N=100 spire. Inizialmente la bobina ha la sua superficie trasversale perpendicolare

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ad un campo magnetico, di modulo 0.20 T, uniforme e costante. La bobina viene fatta

ruotare di un angolo di 45° in un intervallo di tempo di 0.10 s. Si calcoli la fem indotta.

Dati: A = 2.0 10-2m2, N=100 spire, B = 0.20 T, a=45°, t = 0.10 s.

Per ogni spira della bobina si ha la stessa variazione di flusso e quindi

complessivamente si otterrà una variazione pari a N volte quella di una cioè:

per una spira

Φ𝑖 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0) Φ𝑓 = 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45)

Per tutta la bobina:

𝑓𝑒𝑚 = −𝑵𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(45) − 𝐵𝐴𝑐𝑜𝑠(0)

Δ𝑡= 1.2 𝑉

1.4.4) INDUTTANZA

Quando abbiamo ricavato la formula [26] ( 𝑓𝑒𝑚 = −∆Φ(𝐵)

Δ𝑡), abbiamo considerato

l’effetto prodotto su un circuito da un campo magnetico esterno. Ma un circuito in cui

gira una corrente elettrica è, a sua volta, un elemento che produce un campo magnetico

come visto per una spira (esempio n.16). A tale circuito, quando è attraversato dalla

corrente, si concatena un flusso del campo magnetico indotto. Ad esempio se in un

solenoide di lunghezza l, sezione di area S, costituito da N spire circola una corrente I,

al suo interno si produce un campo magnetico di intensità:

𝐵 = μo

NI

l

Al suo interno si stabilisce un flusso pari a:

Φ(�� ) = 𝐵𝑆𝑁 = μo

N2I

lS [27]

Come si vede il flusso del campo autoindotto, nel caso del solenoide, è direttamente

proporzionale alla corrente I tramite dei valori che dipendono sia dalla geometria del

circuito, tramite N,S,l sia dal materiale, μo, in cui è immerso. Questo vale per circuiti

qualsiasi e per ognuno di essi è definito un coefficiente, indicato dal simbolo L,

chiamato induttanza e la [27] si generalizza nella:

Φ(�� ) = 𝐿𝐼 [28]

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L’unità di misura dell’induttanza risulta:

𝐻 =𝑊𝑏

𝐴 (𝐡𝐞𝐧𝐫𝐲)

Nel caso di corrente variabile si ha una tensione autoindotta che per la [26] vale:

𝑓𝑒𝑚 = −∆Φ(𝐵)

Δ𝑡= −

Δ𝐿𝐼

Δ𝑡= −𝐿

Δ𝐼

Δ𝑡= −𝐿

𝑑𝐼

𝑑𝑡 [29]

1.5) CENNI SULLA CORRENTE ALTERNATA

Si consideri la spira quadrata immersa in un campo magnetico costante B indicata in

figura 28. Essa è collegata a due anelli [A] e [B] (collettori) che strisciano con

continuità su due spazzole (+ e -). Come si nota la spira ruota attorno ad un asse

ortogonale al campo magnetico, come in figura 27, producendo una variazione di

flusso magnetico attraverso la sua area S. Per produrre tale rotazione si usa energia

MECCANICA che genera una velocità angolare =costante. Ne segue che l’angolo di

rotazione è variabile nel tempo secondo la formula:

𝛼 = 𝜔𝑡

Quindi il flusso risulta:

Φ(�� ) = �� ∙ 𝑢𝑁 𝑆 = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠(𝛼) = 𝐵𝑆𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡) [30]

Figura 28 - generatore di corrente alternata

A

B

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48

Applicando la legge di Faraday [26] (con le derivate) si ha:

𝑓𝑒𝑚 = −𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡= 𝜔𝐵𝑆𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡) [31]

Il risultato indica che la differenza di potenziale (fem) tra le spazzole con cui sono

collegati i collettori varia sinusoidalmente cambiando il segno ogni mezzo periodo e

generando su un circuito di resistenza R, collegato ESTERNAMENTE ad esse, una

corrente alternata di intensità:

i =fem

R=

ωBS

Rsen(ωt) = IMsen(ωt) [32]

Figura 29 - centrale elettrica

In figura 29 è schematizzata una centrale termica a petrolio in cui è evidenziata la

modalità di trasformazione dell’energia termica nell’energia meccanica necessaria per

far ruotare “le spire” all’interno dell’alternatore (in realtà la struttura interna è più

complessa di quella indicata in figura 29) e produrre l’energia elettrica usata nelle

nostre case. Ne segue che la corrente che utilizziamo normalmente è alternata.

1.5.1) IMPEDENZA

Nei circuiti funzionanti con corrente alternata sono presenti, generalmente, almeno tre

tipi di utilizzatori: le resistenze ohmiche R, i condensatori di capacità C, e i solenoidi

di induttanze L. L’insieme di queste tipologie di utilizzatori consuma la forza

elettromotrice, fem, prodotta dal generatore come nei circuiti in corrente continua.

L’effetto combinato di queste tre tipologie di “carico” dà luogo ad una funzione

matematica che varia al cambiare dei collegamenti tra condensatori, resistenze e

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49

solenoidi (serie, paralleli, maglie multiple ecc.). Il loro effetto complessivo prende il

nome di IMPEDENZA e viene indicata con il simbolo Z. Quindi: Z=f(R,C,L) [unità

di misura ]. Al fine di rendere chiara la simbologia relativa alle correnti alternate

useremo le convenzioni sui simboli stabilite dalla Commissione Elettrotecnica

Internazionale (C.E.I.):

- Con le lettere minuscole si indicano i valori ISTANTANEI delle grandezze

sinusoidali (es. i intensità istantanea della corrente, v tensione istantanea).

- Con le lettere maiuscole contrassegnate dall’indice M si indicano i valori

MASSIMI delle grandezze sinusoidali (es. IM valore di picco della intensità).

- Con le lettere maiuscole NON contrassegnate da alcun indice si indicano i valori

EFFICACI delle grandezze sinusoidali.

1.5.2) CIRCUITO OHMICO

Figura 30 - Circuito Ohmico

In figura 30A è rappresentato un circuito alimentato da un generatore di corrente

alternata, del tipo visto in figura 28, che produce una fem variabile v di valore massimo

VM. L’unico elemento che provoca un consumo significativo di tensione è una

resistenza ohmica indicata con R. In questo caso l’impedenza del circuito coincide con

R, cioè:

Z = R

La [31], scritta con la simbologia C.E.I., diventa:

𝑓𝑒𝑚 = −𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡= 𝜔𝐵𝑆𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡) = 𝑉𝑀𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡) = v [𝟑𝟑]

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50

Applicando la legge di Ohm si ha:

i =v

R= IMsen(ωt) [34]

con IM che dipende dalle caratteristiche del generatore, nel nostro caso:

𝐼𝑀 =𝑉𝑀

𝑅 [35]

In figura 30B è rappresentato l’andamento dei grafici di i e v nel tempo, come si vede

sono in fase.

1.5.3) POTENZA ELETTRICA IN CORRENTE ALTERNATA

Ricordiamo che per la corrente continua la potenza è data dalla [12c]:

𝑃 = 𝐼2𝑅

Nel caso della corrente alternata in un circuito ohmico diventa:

𝑝 = 𝑖2𝑅 [36]

con la i data dalla [34]. Come si vede la potenza istantanea p varia nel tempo rimanendo

sempre positiva per effetto del quadrato di i. Il valore medio di tale potenza vale:

< 𝑃 >=𝐼𝑀2

2𝑅 [37]

Si può anche scrivere:

𝐼𝑀2

2= (

𝐼𝑀

√2)2

= (𝐼𝑀

√2)(

𝐼𝑀

√2)

La [37] diventa:

< 𝑃 >= (𝐼𝑀

√2)(

𝐼𝑀

√2)𝑅

La quantità (𝐼𝑀

√2)𝑅 è uguale, per la [35], a (

𝑉𝑀

√2) quindi:

< 𝑃 >= (𝐼𝑀

√2) (

𝑉𝑀

√2) [38]

Le due quantità tra parentesi nella [38] vengono definite CORRENTE e TENSIONE

EFFICACI cioè:

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51

- corrente efficace 𝐼 = (𝐼𝑀

√2) [39]

- tensione efficace 𝑉 = (𝑉𝑀

√2) [40]

Con questa simbologia la potenza media risulta:

< 𝑃 >= 𝐼𝑉 = 𝐼2 𝑅 [41]

Cioè nella stessa forma di quella usata per le correnti continue. Come si vede la

tensione e la corrente efficaci di una corrente alternata sono quei valori che, in caso

di corrente continua, produrrebbero gli stessi effetti nel circuito.

1.5.4) CIRCUITO INDUTTIVO

Figura 31- Circuito induttivo

Nel circuito rappresentato in figura 31 è presente un solenoide con induttività L e

resistenza ohmica dei fili non significativa. Il generatore fornisce una tensione efficace

V che dipende dalle sue caratteristiche costruttive. Nel caso precedente si è visto che

per effetto dell’impedenza Z, dovuta solo alla resistenza ohmica R, la corrente i

risultava in fase con la tensione v come evidenziato in figura 30B. Ora, per effetto

dell’induttanza L della bobina, sappiamo che a causa di i si crea all’interno del

solenoide una tensione indotta, per la [29], pari a:

v = Ldi

dt [42]

mentre il generatore produce una tensione (per la [31] scritta con i simboli C.E.I.):

v = VMsen(ωt) [43]

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52

che sostituita nella [42] dà:

di

dt=

VM

L sen(ωt) [44]

La formula indica che la derivata dell’intensità istantanea deve essere pari alla quantità VM

L sen(ωt). Si può facilmente verificare che la funzione che ha questo risultato come

derivata è la seguente (tra un po’ vedrete come si ottiene con gli integrali ….):

𝑖 = −𝑉𝑀

𝜔𝐿cos(𝜔𝑡) [45]

Introduciamo la quantità XL chiamata reattanza induttiva definita da:

𝑋𝐿 = 𝜔𝐿 [46]

Che si misura in ohm (W) e tenendo conto che:

−cos(𝜔𝑡) = 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 − 90°)

La [45] diventa:

𝑖 =𝑉𝑀

𝑋𝐿sen(𝜔𝑡 − 90°) [47]

In figura 30B è evidenziato che la corrente i è in ritardo di /2=90° rispetto alla

tensione v. Il valore di IM in questo caso risulta:

𝐼𝑀 =𝑉𝑀

𝑋𝐿 [48]

E tenendo conto delle [39] e [40] si ottiene la formula con i valori efficaci:

𝐼 =𝑉

𝑋𝐿 [49]

ESEMPIO N. 24

Il circuito della figura 31 contiene un induttore di 3.60 mH. La tensione efficace del

generatore è di 25.0 V. Si calcoli l’intensità della corrente efficace nel circuito

quando la frequenza del generatore è a) 1.00 102 Hz; b) 5.00 103 Hz.

Dati: L =3.60 10-3H; V=25.0 V; 𝜐1 = 1.00 ∙ 102𝐻𝑧; 𝜐2 = 5.00 ∙ 103𝐻𝑧.

La reattanza induttiva è data dalla [46]: 𝑋𝐿 = 𝜔𝐿

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53

Dove la pulsazione vale: 𝜔 = 2𝜋𝜐

Quindi, per le due frequenze, si ha: 𝑋𝐿 = 𝜔𝐿 = 2𝜋𝜐𝐿 = {𝑎) 2.26 Ω

𝑏) 113 Ω

Per la [49] e per le due reattanze risulta:

𝐼 =𝑉

𝑋𝐿= {

𝑎) 11.1 𝐴

𝑏) 0.221𝐴

1.5.5) CIRCUITO CAPACITIVO

Figura 32 - Circuito capacitivo

Un condensatore di capacità C inserito in un circuito con resistenza ohmica non

significativa in cui scorre corrente alternata si carica e si scarica per effetto del

cambiamento continuo di verso della corrente generando, nei semiperiodi di carica, un

campo elettrico aggiuntivo a quello prodotto dal generatore di corrente alternata.

Questa aggiunta al campo che genera il movimento delle cariche le accelera

ulteriormente facendo sì che la i risulti in anticipo rispetto alla v del generatore. Per

la legge delle maglie di Kirchhoff la tensione ai capi del condensatore risulta pari a

quella prodotta dal generatore quindi:

𝑣 = 𝑉𝑀𝑠𝑒𝑛 (𝜔𝑡)

Dalla definizione di capacità sappiamo che:

𝑞 = 𝐶𝑣 = 𝐶𝑉𝑀𝑠𝑒𝑛 (𝜔𝑡)

Per la definizione di intensità di corrente [12] si ha:

𝑖 =𝑑𝑞

𝑑𝑡= 𝜔𝐶𝑉𝑀cos (𝜔𝑡)

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54

Ricordando che cos(𝜔𝑡) = 𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 + 90°)

e definendo reattanza capacitiva la quantità: 𝑋𝐶 =1

𝜔𝐶

L’intensità diventa: 𝑖 =𝑉𝑀

𝑋𝐶𝑠𝑒𝑛(𝜔𝑡 + 90°) [50]

Che dimostra che la corrente è in anticipo di 90° rispetto alla tensione (fig.32B).

ESEMPIO N. 25

Il circuito della figura 32A contiene un condensatore di capacità 1.50 mF, il generatore

produce una tensione efficace di 25.0 V. Calcolare l’intensità della corrente efficace

nel circuito quando la frequenza del generatore è: a) 1.00 102Hz; b) 5.00 103Hz.

Dati: C=1.50 10-6F; V=25.0 V; 𝜐1 = 1.00 ∙ 102𝐻𝑧; 𝜐2 = 5.00 ∙ 103𝐻𝑧.

La reattanza capacitiva è la quantità: 𝑋𝐶 =1

𝜔𝐶

Dove la pulsazione vale: 𝜔 = 2𝜋𝜐

Quindi, nei due casi si ha:

𝑋𝐶 =1

𝜔𝐶=

1

2𝜋𝜐𝐶= {

𝑎) 1060 Ω

𝑏) 21.2 Ω

e per le due reattanze risulta:

𝐼 =𝑉

𝑋𝐶= {

𝑎) 0.0236 𝐴

𝑏) 1.18 𝐴

Come si può vedere confrontando i risultati dell’esempio 24 con questi quando

l’impedenza induttiva è bassa si ottiene una corrente alta, mentre se l’impedenza

capacitiva è bassa si ottiene una corrente alta.

1.5.6) CIRCUITO RCL IN SERIE

Un circuito che contiene sullo steso ramo,

quindi in serie, resistenze ohmiche R,

capacità C e induttanze L una maglia che

può essere studiata con la legge di ohm per i

circuiti in corrente alternata:

𝑉 = 𝑍𝐼 [51] Figura 33 - circuito RCL

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55

Dove Z è l’impedenza complessiva del circuito che, si può dimostrare, vale in questo

caso:

𝑍 = √𝑅2 + (𝜔𝐿 −1

𝜔𝐶)2 [52]

Il termine tra parentesi rappresenta l’effetto sia dei condensatori sia delle bobine e,

aumentando l’impedenza rispetto al valore della resistenza ohmica, riduce la corrente

a parità di tensione. Si dice che un circuito RCL è in risonanza quando questo effetto

viene eliminato, quindi il termine tra parentesi vale zero il che si ottiene quando:

𝜔 =1

√𝐶𝐿 [53]

In questo caso si ha: Z = R

1.5.7) FATTORE DI POTENZA

La potenza media risulta con i valori efficaci:

< 𝑃 >= 𝐼𝑉 = 𝐼2 𝑅

Per la [51] l’ultimo termine può essere riscritto nella forma:

< 𝑃 > = 𝑉

𝑍𝐼𝑅

Dato che R e Z sono caratteristiche del circuito, si definisce fattore di potenza la

quantità:

cos(𝜙) =𝑅

𝑍 [54]

Ottenendo la potenza media nella forma che di solito si usa:

< 𝑃 > = 𝐼𝑉𝑐𝑜𝑠(𝜙) [55]

ESEMPIO N. 26

Il circuito della figura 33 contiene un resistore da 148 , un condensatore da 1.50F

e un induttore da 35,7 mH. Il generatore ha una frequenza di 512 Hz e una tensione

efficace di 35,0 V. Si calcolino: a) il consumo di tensione efficace su ciascun elemento

del circuito; b) la potenza elettrica consumata dal circuito.

Dati: R = 148 , C = 1.50F, L = 35,7 mH, n = 512 Hz, V = 35.0 V.

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56

Calcolo le reattanze:

𝑋𝐶 =1

𝜔𝐶=

1

2𝜋𝜐𝐶= 207 Ω

𝑋𝐿 = 𝜔𝐿 = 2𝜋𝜐𝐿 = 115 Ω

Calcolo l’impedenza del circuito con la [52]:

𝑍 = √𝑅2 + (𝜔𝐿 −1

𝜔𝐶)2 = 174 Ω

L’intensità della corrente efficace che gira nell’unico ramo che costituisce il circuito

vale per la [51]: 𝐼 =𝑉

𝑍= 0.201 𝐴

Le tensioni efficaci su ogni elemento del circuito risultano:

𝑉𝑅 = 𝐼𝑅 = 29.7 𝑉

𝑉𝐶 = 𝐼𝑋𝐶 = 41.6 𝑉

𝑉𝐿 = 𝐼𝑋𝐿 = 23.1 𝑉

È importante notare che la somma delle tensioni sui tre componenti è diversa dal valore

della tensione efficace del generatore perché esiste uno sfasamento tra le tre tensioni

come visto nell’analisi dei circuiti con i singoli componenti. Questo indica la necessità

di considerare la somma delle tensioni in modo più complesso cosa che esula dalle

esigenze di questo corso.

Per calcolare la potenza consumata dal circuito è necessario trovare il fattore di potenza

con la [54]:

cos(𝜙) =𝑅

𝑍=

148

174= 0.851 (31.7°)

Poi con la [55] si ha: < 𝑃 > = 𝐼𝑉𝑐𝑜𝑠(𝜙) = 6.0 𝑊

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57

MODULO N.2

2) ONDE ELETTROMAGNETICHE

La descrizione fatta nel modulo 1 dei campi e delle loro proprietà può apparire come

un semplice modello matematico utile per descrivere le interazioni tra particelle. Infatti

i campi sono sempre stati associati alle particelle: il campo elettrico alla carica elettrica,

quello magnetico alle cariche elettriche in moto (o alla corrente elettrica). Lo studio

degli effetti del campo elettrico partiva dal concetto che le sorgenti utilizzate come

generatori elettrici fossero ferme e che quindi il campo elettrico da esse prodotto

restasse costante nel tempo in ogni punto dello spazio. Abbiamo poi studiato i campi

magnetici statici e tutto ciò ci ha portato alle equazioni di Maxwell.

2.1) TEOREMA DI FARADAY-NEUMANN-LENZ

Le equazioni di Maxwell per l’elettrostatica sono (c.f.r.1.3.7):

Prima equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico: legge di Gauss

per il campo elettrico) 𝚽(𝑬) =𝒒

𝜺𝟎 [11]

Seconda equazione di Maxwell (per il campo magnetico statico: legge di

Gauss per il campo magnetico) 𝚽(�� ) = 𝟎 [23]

Terza equazione di Maxwell (per il campo elettrico statico)

𝚪(𝑬) = ∑ �� 𝒊 ∙ ∆𝒔𝒊 = − ∑ ∆𝑽𝒊 = 𝟎𝒏𝒊=𝟏

𝒏𝒊=𝟏 [8]

Quarta equazione di Maxwell (per l’induzione magnetica)

𝚪(�� ) = 𝝁𝒐 ∑𝑰 [21]

Studiando l’induzione elettromagnetica al capitolo 1.3) abbiamo però trovato che il

campo elettrico che causa una corrente indotta, detto campo elettrico indotto, è

generato da un campo magnetico che varia nel tempo. Quindi un campo magnetico

variabile dà origine a un campo elettrico indotto con linee di campo chiuse (vedi

esempio n.4) su se stesse e poste su un piano perpendicolare al campo magnetico. Se

si applica la [8] al percorso chiuso della corrente indotta si trova che la circuitazione è

diversa da zero e pertanto la terza equazione di Maxwell si modifica per la

−∆Φ(𝐵)

Δ𝑡= 𝑓𝑒𝑚 (= −

𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡 ) [26]

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nel seguente modo: Γ(𝐸) = ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖 = 𝑓𝑒𝑚𝑛𝑖=1 = −

∆Φ(𝐵)

Δ𝑡= −

𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡

In definitiva la [8] diventa:

𝚪(𝑬) = −∆𝚽(𝑩)

𝚫𝒕= (−

𝒅𝚽(𝑩)

𝒅𝒕) [𝟓𝟔]

Che prende il nome di teorema di Faraday-Neumann-Lenz . Questa nuova

formulazione della circuitazione del campo elettrico comporta che il suo valore

dipende dal valore assunto dal campo magnetico al secondo membro nel seguente

modo:

- nel caso dell’elettrostatica (B=0) e delle correnti continue (B= costante) con

circuiti fissi la variazione del flusso di campo magnetico è zero e la circuitazione

di quello elettrico vale a sua volta zero come trovato a suo tempo e quindi il

campo elettrico è conservativo.

- nel caso di campo magnetico variabile in funzione del tempo oppure di circuiti

in movimento il secondo membro della [56] può essere diverso da zero questo

implica che lo è anche la circuitazione di quello elettrico che pertanto non è

conservativo ( il lavoro dipende dal percorso e/o dal tempo) ne consegue che il

potenziale del campo elettrico non può essere definito.

Come per il campo elettrico cariche non sono le uniche sorgenti così le correnti

elettriche non solo le sole sorgenti del campo magnetico.

Infatti nel teorema di Faraday-Neumann-Lenz si afferma che un campo magnetico

variabile nel tempo può generare un campo elettrico variabile nel tempo.

Allora, per simmetria, anche un campo elettrico variabile nel tempo deve poter

generare un campo magnetico variabile nel tempo (ipotesi di Maxwell).

Per sostenere l'ipotesi di Maxwell consideriamo un condensatore che si sta caricando.

Figura 34 - Corrente di spostamento

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59

Consideriamo ora il percorso P della figura 34A. Attraverso questo percorso la

circuitazione di B [21] deve essere diversa da zero perché la superficie S1 è attraversata

da una corrente.

Per lo stesso percorso ora consideriamo la superficie S2 concatenata al percorso, ma

scavalcando un'armatura del condensatore, non attraversata da alcuna corrente.

Allora otteniamo il paradosso per cui per due diverse superfici concatenate allo stesso

percorso si hanno due diversi valori della circuitazione.

La soluzione sta nell'assumere un'altra possibilità come sorgente del campo magnetico:

non solo le correnti elettriche, ma anche la derivata del flusso del campo elettrico

attraverso la superficie concatenata al percorso come accade nella circuitazione del

campo elettrico.

Quindi il teorema di Ampere è in generale:

𝚪(�� ) = 𝝁𝒐 ∑ 𝒊 + 𝝁𝒐𝝐𝒐𝚫𝚽(𝐄)

𝚫𝒕 [57]

Così sorgente del campo magnetico può essere anche un campo elettrico variabile

nel tempo. Questo campo magnetico sarà anch'esso variabile nel tempo e, per il teorema di

Faraday-Neumann-Lenz, genererà un campo elettrico variabile nel tempo. I campi

quindi si autosostengono e possono avere un'esistenza indipendente dalle sorgenti

tangibili (cariche e correnti).

La parte aggiunta nella [57] rispetto alla [21] è chiamata corrente di spostamento.

2.2) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTRODINAMICA

Prima equazione di Maxwell (legge di Gauss per il campo elettrico)

𝚽(𝑬) =𝒒

𝜺𝟎 [11]

Seconda equazione di Maxwell (legge di Gauss per il campo magnetico)

𝚽(�� ) = 𝟎 [23]

Terza equazione di Maxwell (legge di Faraday-Neumann-Lenz)

𝚪(𝑬) = −∆𝚽(𝑩)

𝚫𝒕= (−

𝒅𝚽(𝑩)

𝒅𝒕) [𝟓𝟔]

Quarta equazione di Maxwell (teorema di Ampére)

𝚪(�� ) = 𝝁𝒐 ∑ 𝒊 + 𝝁𝒐𝝐𝒐𝚫𝚽(𝐄)

𝚫𝒕 [57]

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60

2.3) GENERAZIONE DI ONDE ELETTROMAGNETICHE

Consideriamo un generatore (= alimentatore, f.e.m.,....) che produce una corrente

aternata ( vedi capitolo 1.4).

Il valore della f.e.m. (o ΔV) sarà quindi variabile nel tempo; lo si collega ad

un’antenna (ovvero, due pezzi di conduttore, un dipolo) ottenendo i seguenti effetti:

La lettura delle figure da 35 a 39 è la seguente:

Al tempo t=0 (fig.35):

•Il generatore eroga la ΔVmax massima e si genera nel punto P un campo E.

Figura 35 - campo statico all'istante t=0 Figura 36 - campo in oscillazione tra l'istante t=0 e t= T/4

Figura 37 - campo in oscillazione all'istante T/4 Figura 38 - campo in oscillazione all'istante T/2

Figura 39 - campo in oscillazione all'istante 3T/4 Figura 40 - Campi magnetici prodotti dalla variazione di E

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Al tempo t1>0 (fig.36):

•Il generatore eroga una ΔV inferiore a quella

massima

•In P ho un E minore di quello che avevo a t=0

•In Q si rileva il campo E che a t=0 era in P. Il

campo si e’ ‘spostato’ durante questo

intervallo di tempo.

Al tempo t= T/4 (fig.37):

• ΔV = 0

•In P il campo elettrico e’ E = 0

•I vettori di campo E che erano in P e Q si

sono ulteriormente spostati avanti.

Le figure 38 e 39 evidenziano invece la progressione nel tempo dell’evolversi del

campo ad una distanza crescente, nello spazio, dalla sorgente di energia costituita

dall’antenna.

Ricordando la quarta legge di Maxwell [57]:

Γ(�� ) = 𝜇𝑜 ∑𝑖 + 𝜇𝑜𝜖𝑜

ΔΦ(E)

Δ𝑡

Si osserva che nei punti P e Q ecc. non sono presenti correnti e quindi la formula si

riduce a: Γ(�� ) = 𝜇𝑜𝜖𝑜ΔΦ(E)

Δ𝑡 [58]

Ora, ad esempio per il punto P si può

considerare una qualsiasi superficie

orizzontale che lo contenga e calcolare il

flusso del campo elettrico attraverso di essa

il che, dato che il campo è variabile, porterà

ad un valore di circuitazione del campo

magnetico diversa da zero indicando che in P

( e in ogni altro punto sulla linea di

propagazione) si otterrà un vettore campo

magnetico ortogonale a quello elettrico come indicato in figura 40.Il campo elettrico

prodotto da un’antenna collegata a un generatore a Corrente Alternata (c.a.) si propaga,

allontanandosi dall’antenna, in modo analogo a un’onda che si propaga su una corda

,come indicato in figura 41. A suo tempo abbiamo visto che questo tipo di onde hanno

un’equazione del tipo:

𝑦 = 𝐴𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [59]

Figura 41 - Campo elettromagnetico all'istante t=1.5T

Figura 40B - LINEE DI FORZA DEL CAMPO ELETTROMAGNETICO DEL DIPOLO DI Fig.40

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62

Dove:

- A = ampiezza dell’onda,

- 𝜔 =2𝜋

𝑇= 2𝜋𝜈 pulsazione con T periodo e n frequenza della sorgente,

- 𝑘 =2𝜋

𝜆 numero d’onda con 𝜆 = 𝑐𝑇 =

𝑐

𝜈 lunghezza d’onda e c velocità dell’onda.

Per le due onde, quella del campo elettrico e quella del campo magnetico, nell’esempio

in esame, trattandosi di onde polarizzate si può scrivere:

𝐸𝑧 = 𝐸𝑚𝑎𝑥𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [60]

𝐵𝑦 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [61]

La velocità di propagazione si può calcolare con l’analisi dimensionale del mezzo di

in cui si propagano osservando che gli unici parametri del vuoto (nel quale le onde in

esame transitano contrariamente a quelle meccaniche) sono solamente due :

- costante dielettrica del vuoto 𝜖0 = 8.854 ∙ 10−12 𝐴2𝑠2

𝑁𝑚2

- costante diamagnetica del vuoto 𝜇0 = 4𝜋 ∙ 10−7 𝑁

𝐴2

ipotizzando che la velocità dell’onda sia in funzione di essi si ha:

𝑐 = 𝛼𝜀0𝑎𝜇𝑜

𝑏

Inserendo le unità di misura si ottiene : 𝑎 = 𝑏 = −1

2

Quindi la velocità risulta: 𝑐 = 𝛼1

√𝜇0𝜖0

Sperimentalmente si trova che =1 pertanto: 𝒄 =𝟏

√𝝁𝟎𝝐𝟎= 𝟐. 𝟗𝟗𝟖 ∙

𝟏𝟎𝟖𝒎

𝒔 [𝟔𝟐]

Che è l’effettiva velocità della luce.

2.3.1) PROPAGAZIONE DELLEONDE ELETTROMAGNETICHE

Dobbiamo ancora determinare quale sia il collegamento tra i valori del campo elettrico

e di quello magnetico che devono necessariamente essere collegati visto le equazioni

di Maxwell tre e quattro. Per farlo consideriamo la figura n.42 nella quale è indicata

una superficie di base infinitesima dx e altezza h sul piano yx e contenente un punto

P.

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63

Figura 42 - circuitazione di E e flusso di B

Il modulo del vettore induzione magnetica in P all’istante t vale:

𝐵 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [61]

Il flusso istantaneo di tale vettore attraverso la superficie A= hdx risulta:

Φ(𝐵) = 𝐵 ∙ 𝐴 = ℎ ∙ 𝑑𝑥 ∙ 𝐵 = ℎ ∙ 𝑑𝑥 ∙ 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [63]

La formula di Faraday – Neumann – Lenz (3^ di Maxwell) collega la variazione di

flusso dell’induzione magnetica alla circuitazione del campo indotto sul perimetro

della superficie attraverso la quale si calcola tale flusso:

Γ(𝐸) = (−𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡) [56]

La derivata tra parentesi risulta:

−𝑑Φ(𝐵)

𝑑𝑡= −ℎ ∙ 𝑑𝑥

𝑑𝐵

𝑑𝑡 [64]

D’altra parte la circuitazione del campo elettrico è:

Γ(𝐸) = ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖

𝑛

𝑖=1

Dove per i due lati orizzontali, dx, che sono perpendicolari al vettore di campo E si

ottiene zero, mentre per i due verticali dove il campo varia in modo infinitesimo da E

ad E+dE si ottiene:

dx h

P

E

E+dE

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64

Γ(𝐸) = ∑ �� 𝑖 ∙ ∆𝑠𝑖 = (𝐸 + 𝑑𝐸)ℎ − 𝐸ℎ = ℎ ∙ 𝑑𝐸

𝑛

𝑖=1

[65]

Sostituendo la [64] e la [65] nella [56] si ha:

ℎ ∙ 𝑑𝐸 = −ℎ ∙ 𝑑𝑥𝑑𝐵

𝑑𝑡 [66]

che semplificando h e dividendo per dx diventa:

𝑑𝐸

𝑑𝑥= −

𝑑𝐵

𝑑𝑡 [67]

Derivando la E= 𝐸𝑚𝑎𝑥𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) rispetto a x e la B= 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡)

rispetto a t si ottiene:

𝑘𝐸𝑚𝑎𝑥𝑐𝑜𝑠(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) = −(−𝜔𝐵𝑚𝑎𝑥 cos(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡))

che, semplificando, diventa:

𝑘𝐸𝑚𝑎𝑥 = 𝜔𝐵𝑚𝑎𝑥

Emax

Bmax=

ω

k [68]

Ricordando che : 𝝎

𝒌=

𝟐𝝅𝝂𝟐𝝅𝝂

𝒄

= 𝒄 si ha:

Emax

Bmax= c [69]

Quindi il valore di Emax è c volte il valore di Bmax.

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65

2.4) FENOMENI ONDULATORI

A questo punto dato che il modello ondulatorio descrive in modo corretto la

propagazione dei campi elettromagnetici risulta che si può estendere quanto visto per

le onde meccaniche anche alle onde elettromagnetiche e pertanto esse fanno:

- interferenza

- riflessione

- rifrazione

- diffrazione.

2.4.1) INTERFERENZA

Le onde elettromagnetiche si presentano in natura con frequenze variabili come

indicato nella seguente figura (approfondiremo la cosa più avanti):

Figura 43 - Spettro elettromagnetico

Pertanto esse propagandosi da una sorgente (ad esempio una lampadina) procedono

occupando le stesse posizioni nello spazio e facendo interferenza, la quale può essere

costruttiva, distruttiva o incoerente (come il suono…) vedi fig.44 e 45.

Ciò significa che viviamo continuamente immersi in “minestroni” di onde di vario

tipo: visibile, ultravioletti, infrarossi, onde radio ecc.

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66

Il fatto che possediamo come sensore, atto a rilevarle, l’occhio implica che siamo

abituati a “percepire” gli effetti solo delle onde sulle frequenze del visibile. Il motivo

di questo fenomeno è legato al fatto che la cornea possiede quattro tipi recettori

nervosi che, quando ricevono l’energia luminosa, si attivano solamente se i raggi che

li colpiscono possiedono l’energia collegata ad un dato intervallo di frequenze e delle

relative lunghezze d’onda:

- cono del “rosso”: si attiva solo per luci a cavallo della lunghezza d’onda di 650

nm;

- cono del “verde”: si attiva solo per onde a cavallo della lunghezza d’onda di 550

nm;

- coni del “blu”: si attivano per valori a cavallo dei 350 nm.

Con “attivano” si intende, semplificando, che l’energia ricevuta è sufficiente a

dissociare una molecola organica che contengono, provocando così una polarizzazione

al loro interno (una micro-pila) che genera una “corrente elettrica” lungo il nervo

ottico. Essendo i filamenti che lo compongono collegati a delle aree neuroniche del

cervello, quando il neurone di riferimento riceve il segnale elettrico esso ce lo fa

interpretare come un tipo preciso di colore (è la stessa procedura con cui si accendono

i pixel sullo schermo del computer…). Nel caso si attivino neuroni adiacenti a coni di

tipo diverso il cervello media i valori facendoci “vedere” il risultato dell’interferenza

dei tre segnali cioè i colori compresi tra i tre fondamentali che sono quindi il rosso, il

verde e il blu.

Il quarto recettore, chiamato bastoncello, si attiva su tutte le lunghezze d’onda del

visibile per valori di energia estremamente più bassi di quelli dei coni e, ovviamente,

il segnale che invia non determina i “colori” ma solamente la presenza o l’assenza di

luce dando luogo alle varie tonalità di grigio (come la visione in bianco e nero dei

vecchi film).

Come si vede i “colori” non sono una realtà fisica ma semplicemente

un’interpretazione sensoriale dovuta al nostro funzionamento neurologico ( infatti

Figura 44 - Interferenza di onde con la stessa frequenza Figura 45 - Interferenza di onde con frequenza diversa

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67

molti animali non sanno cosa siano). Il bianco è il risultato dell’interferenza di tutti i

colori (per l’occhio dei tre colori fondamentali legati ai coni) mentre il nero è assenza

di colore. Come si vede dall’immagine n.46 nella quale tre lampade monocromatiche,

che emanano rispettivamente luce rossa, verde e blu, generano parziale

sovrapposizione nella zona centrale dove interferiscono i tre colori fondamentali

producendo luce bianca mentre le tre zone in cui i colori interferiscono a coppie si ha

il giallo, l’azzurro e l’indaco.

Nel caso di onde di tipo diverso da quelle del visibile, per esempio

le onde radio, l’interferenza di onde inviate da due stazioni, che

trasmettono “canzoni” diverse ma su frequenze portanti vicine,

produce un’interferenza incoerente che genera solo la ricezione di

suoni indistinti (in realtà sono le onde elettromagnetiche che sono

distorte dall’interferenza prima di venir trasformate in suoni

incoerenti…).

Fenomeni di interferenza sono anche quelli che possono produrre su macchinari medici

le onde dei telefonini e causare quindi un errore nel loro funzionamento; questo spiega

il motivo per cui negli ospedali è vietato usarli.

2.4.2) RIFLESSIONE

La riflessione è il fenomeno che descrive cosa succede ad un’onda quando incontra un

mezzo che non le permette di entrare. Abbiamo studiato che in questo caso l’onda

“rimbalza” sulla superficie di separazione in una direzione simmetrica a quella di

arrivo rispetto alla normale al piano d’urto (vedi fig.47 e 48).

Figura 48 - raggio luminoso riflesso da un piano levigato

Figura 46 - interferenza di luci monocromatiche

Figura 47 - modello a raggi di un'onda che urta obliquamente un piano levigato

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68

Si parla di dispersione quando il piano di separazione ha una superficie scabra che

invia i raggi riflessi in direzioni diverse essendo diverse le normali locali nel punto

d’incidenza dell’onda (vedi immagini 49 e 50)

Figura 49 - onda diffusa il raggio riflesso non si vede

perchè si è separato in un numero grandissimo di piccoli

raggi diretti in modo casuale

In figura 51 è riportato lo schema a

raggi che ricorda la legge fonda-

mentale della riflessione relativa ai due

angoli:

𝜃1 = 𝜃1′ [70]

2.4.3) RIFRAZIONE

Quando un’onda in tutto o in parte passa da un mezzo ad

un altro si parla di fenomeno della rifrazione. Anche in

questo caso abbiamo già analizzato il fenomeno per le

onde meccaniche. Nella figura 52 è rappresentato il caso

in cui un’onda luminosa, arrivando dall’aria colpisce la

superficie di un vetro. Il vetro è un materiale

“trasparente” per la luce visibile e, pertanto, una grande

percentuale dell’energia incidente entra nel vetro

formando il raggio rifratto. Si vede che però una parte

dell’energia iniziale viene comunque riflessa nell’aria.

(Su questo torneremo più avanti) Sappiamo che la

velocità di un onda cambia al cambiare delle proprietà

fisico-chimiche del mezzo e che questa diminuisce

tra l’aria e un solido. Di conseguenza cambiando la

velocità di propagazione si ha una variazione anche della lunghezza d’onda per tener

Figura 50 - diffusione su un piano scabro

Figura 51 - legge della riflessione

Figura 52 - onda in parte riflessa e in parte rifratta

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69

conto della quale l’angolo del raggio rifratto deve essere diverso da quello dell’angolo

incidente secondo la legge di Snell ( rivedetevi la dimostrazione nel modulo relativo

alle onde meccaniche): 𝑠𝑒𝑛(𝜃1)

𝑠𝑒𝑛(𝜃2)=

𝑉1

𝑉2 [71]

Nella figura 53 sono evidenziati i

seguenti fenomeni:

1) raggio incidente

2) raggio riflesso sulla superficie

superiore

3) raggio rifratto sulla superficie

esterna superiore

4) raggio riflesso sulla superficie

inferiore

5) raggio rifratto sulla superficie

interna superiore.

Il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e quella in un mezzo è chiamato indice

di rifrazione ed è una caratteristica ottica di ogni materiale trasparente:

𝑛 =𝑐

𝑉 [72]

Ricavando V e sostituendo nella [71] con gli indici corretti si ha:

𝑠𝑒𝑛(𝜃1)

𝑠𝑒𝑛(𝜃2)=

𝑉1

𝑉2=

𝑛2

𝑛1 [73]

Per concludere con gli effetti della rifrazione

osserviamo come in figura 54 si evidenzi che le

onde monocromatiche, quindi di diversa

frequenza, si propagano in un solido con velocità

diverse. Infatti mentre nell’aria procedono lungo lo

stesso raggio, dando luogo al fenomeno di

interferenza precedentemente discusso (la somma

dei colori genera il bianco), nel vetro del prisma

esse, per rifrazione, deviano di angoli crescenti

(quindi angoli di rifrazione decrescenti) con la

frequenza provocando la separazione delle onde singole generando così l’arcobaleno.

Figura 53 - doppia rifrazione e doppia riflessione

Figura 54 - rifrazione della luce attraverso un prisma

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70

Come si vede (fino a quattro cifre significative)

nell’aria la velocità della luce è pari a quella che ha

nel vuoto.

ESEMPIO 28

Un fascio di luce di lunghezza d’onda di 550 nm, che

si propaga in aria incide su una lastra di materiale

trasparente. Il fascio incidente forma un angolo di

40.0° con la normale ed il raggio rifratto forma un

angolo di 26.0° con la normale.

A) Trovare l’indice di rifrazione del materiale.

B) Determinare la velocità della luce nel materiale.

C) Calcolare la lunghezza d’onda della luce nel

materiale.(vedi figura 52)

Dati: l1=550 nm; q1=40.0°; q2=26.0°;n1=1.00

A) dalla [73] si ha:

𝑛2 = 𝑛1

𝑠𝑒𝑛(𝜗1)

𝑠𝑒𝑛(𝜗2)= 1.47

B) dalla [72] otteniamo:

v2 =𝑐

𝑛2= 2.04 ∙ 108𝑚/𝑠

C) ricordando (sempre dalla [73]) che :

𝑉1

𝑉2

𝜐

𝜐=

𝜆1

𝜆2=

𝑛2

𝑛1

Segue 𝜆2 =𝑛1

𝑛2𝜆1 = 374 𝑛𝑚

Figura 55 - Indice di rifrazione di alcune sostanze

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71

2.4.4) DIFFRAZIONE.

Consideriamo un’onda piana che si propaghi in un ambiente contenente due

ostacoli, AB e DC, posti come in fig.56 a). Quando incontra gli ostacoli nei tratti AB

e CD essa viene riflessa. Nel tratto compreso tra B e C l’onda prosegue nella seconda

parte dell’ambiente ma, allo stesso tempo, cambia forma come è evidenziato

nell’immagine di un’esperienza reale rappresentata in fig.56 b). L’onda va ad occupare

anche le parti di piano dietro agli ostacoli.

Questo effetto, caratteristico solo dei

fenomeni ondulatori, prende il nome di

diffrazione. Il principio di Huygens, (rivedi)

applicato in fig.56 a) ai cinque punti

evidenziati tra B e C, permette di prevedere

correttamente la forma dell’onda dopo gli

ostacoli. Nel caso in esame l’effetto di

diffrazione è poco accentuato in quanto la

larghezza della fenditura BC è molto più

grande della lunghezza d’onda. Se, viceversa,

si ha un’apertura più piccola della lunghezza

d’onda l’effetto della diffrazione diventa

dominante come è evidenziato nella fig. 57.

Mentre, nel caso precedente, l’onda rimaneva

prevalentemente piana e l’effetto diffrattivo si manifestata

solo tenuemente ai lati del foro, ora l’onda è diventata

circolare e presenta delle frange d’interferenza distruttiva che

danno luogo ad una distribuzione dell’energia

completamente diversa da quella dell’onda iniziale come è

evidenziato dal diagramma d’intensità rappresento in fig.57

Fig.56

Fig.57

Figura 56

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72

b). Risulta che, in corrispondenza delle frange d’interferenza distruttiva, dove

l’ampiezza è nulla, non si ha nessuna energia, mentre dove si ha interferenza

costruttiva si ottengono dei picchi d’intensità decrescenti dal centro verso l’esterno. In

fig. 57 c) è riprodotta l’immagine di un esperimento di questo tipo in cui, però, essendo

la lunghezza d’onda dello stesso ordine della fenditura, non si notano le frange

d’interferenza distruttiva. In conclusione è evidente che l’onda, oltre la fenditura, è

diventata circolare. Questo fenomeno è d’importanza fondamentale nello studio

dell’ottica fisica.

2.5) CENNI DI OTTICA FISICA

2.5.1) ESPERIMENTO DI YOUNG

Nella figura n.58 è rappresentato, in parte tramite uno schema e in parte tramite una

fotografia di un esperimento reale, il risultato di un’esperienza di Young eseguita

inviando onde su uno schermo con due fenditure con apertura dell’ordine di grandezza

della lunghezza dell’onda incidente. Come si vede, in corrispondenza delle frange

d’interferenza costruttiva, si ottengono una serie di massimi d’illuminazione

intervallati da zone oscure in corrispondenza delle frange distruttive. Si nota che i

massimi sono equispaziati e dello stesso ordine d’intensità. Esaminiamo ora

l’esperienza di Young da un punto di vista quantitativo.

- La luce utilizzata è monocromatica ottenuta da un raggio laser.

In fig.59 il punto P rappresenta una posizione qualsiasi sullo schermo C, posto alle

distanze r1 e r2 rispettivamente dalle fenditure S1 e S2.

Si traccia ora una linea da S2 fino ad intersecare il

raggio r1 in modo che le distanze PS2 e Pb siano uguali.

L’esperimento è condotto in modo che la distanza tra i

due schermi, D, sia molto maggiore della distanza d tra

le due fenditure, d:

dD [74]

In queste condizioni, entro la precisione di

alcune cifre significative, si può ritenere che S2b sia

perpendicolare sia a r1 che a r2 o, in altri termini, che i

due raggi siano paralleli. Ne segue che gli angoli S1S2b

e PaO sono congruenti e pari a .

Figura 58– Frange d’interferenza di Young

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73

I due raggi provenienti dalle sorgenti S1 e S2,

arrivando da uno stesso fronte dell’onda piana

incidente, sono in fase quando attraversano le

fenditure, ma essendo i due raggi r1 e r2 di

lunghezza diversa possono contenere un numero

diverso di lunghezze d’onda e quindi giungere in

P sfasati. La differenza di cammino ottico1 è

data dalla lunghezza del segmento:

sendbS 1 [75]

il numero di lunghezze d’onda che contiene determina il tipo di interferenza che si avrà

nel punto P.

- Massimi. Affinché in P vi sia un massimo d’illuminazione (interferenza costruttiva)

nel segmento S1b devono essere contenute un numero intero di lunghezze d’onda cioè:

mbS 1 con m=0,1,2,3…. [76]

sostituendo il risultato della [75] nella [76] si ha:

md sen con m=0,1,2,3…. [77] (massimi)

E’ importante notare che per ogni massimo al di sopra di O in fig.59 ne corrisponde

uno simmetrico al di sotto di O. Il massimo centrale corrisponde a m=0.

- Minimi. Affinché in P si formi un minimo S1b deve contenere un numero dispari di

mezze lunghezze d'onda in modo che, dove arriva un massimo di un raggio, arrivi anche

un valore sfasato di p, cioè un valore in modulo identico ma di segno opposto; in

questo modo si ottiene un’interferenza distruttiva. Per avere un numero dispari di

mezze lunghezze d’onda, anziché per m, bisogna moltiplicare l/2 per il valore:

(2m+1) con m =0,1,2,3….. [78]

si vede che la [78] dà solo interi dispari (1,3,5,7,….). Pertanto l’equazione che

determina i valori dei minimi risulta:

2

1

2)12(sen mmd con m=0,1,2,3…. [79] (minimi)

1 Per cammino ottico s’intende la strada percorsa da un raggio di luce in un mezzo.

Fig.59

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74

Operando nelle condizioni imposte dalla [74] i valori dell’angolo risultano molto

piccoli ( 5 ) di conseguenza, senza perdere di precisione si può operare la

semplificazione: sen [80]

che permette di scrivere la [77] e la [79] nel seguente modo:

d

m [81] (massimi)

d

m

2

1 [82] (minimi)

che portano alla determinazione degli angoli di inclinazione sotto i quali si vedono i

massimi e i minimi d’interferenza.

Sempre dalla fig.59 si nota che: D

ytan [83]

che per angoli piccoli dà: D

y [84]

sostituendo la [84] nelle [81] e [82] si ottengono le distanze tra i centri delle frange e

il centro del massimo centrale:

d

Dmy

85] (massimi)

d

Dmy

2

1 [86] (minimi)

Per m=1 si ottiene dalla [85]: d

Dy

1 [87]

per m=2 si ha: 12 22

yd

Dy

e di conseguenza: 1myym [88]

il che significa che i massimi sono tutti alla stessa distanza l’uno dall’altro2.

2 Con un’analoga dimostrazione si trova che anche i minimi sono equispaziati.

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75

2.5.2) DIFFRAZIONE DA UNA SINGOLA FENDITURA.

Nella descrizione delle figure d’interferenza prodotte nell’esperienza di Young

si è formulata l’ipotesi che le due fenditure avessero dimensioni dell’ordine di

grandezza della lunghezza d’onda della luce utilizzata3. Questo fatto ha permesso di

considerare le due sorgenti di luce come se avessero spessore infinitesimo e di

conseguenza emettevano luce con la stessa intensità in tutte le direzioni, il che ha

portato a frange d’interferenza tutte della stessa intensità.

In realtà anche nei laboratori più specializzati è estremamente difficile4 ottenere

fenditure dell’ordine dei micrometri e perciò, molto spesso, si lavora con fenditure

che da un punto di vista macroscopico sono “piccole”, ma che rispetto alle lunghezze

d’onda delle luci impiegate sono enormi.

Consideriamo ora

cosa avviene quando un

fascio di luce monocro-

matica attraversa una sola

fenditura di larghez-za ‘a’

molto maggiore della

lunghezza dell’onda della

luce stessa.

Nella fig.60c) è rappre-

sentata una fenditura di

dimensioni ‘a’ che è

investita da un’onda piana

monocromatica. Dietro

allo schermo, distante L

dalla fenditura, è indicato il

diagramma delle inten-sità

che dovrebbe risultare in

base all’im-magine di un

esperimento reale riportata

in fig.61a, dove si nota una

intensa banda centrale

3 Vedi le dimensioni delle fenditure e le lunghezze d’onda rappresentate nello schema di fig.58 4 Sempre in fig.58 si vede che l’immagine d’interferenza presenta una maggiore intensità nelle frange centrali r ispetto a

quelle laterali il che significa che le due fenditure non rispettano completamente la condizione d .

Fig.60

Fig. 61

Fig.60

Fig.61

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76

chiara intervallata da zone scure e da altre bande chiare. In figura 60a) è rappresentato

un ingrandimento della fenditura con indicati i raggi uscenti da una serie di punti

considerati come sorgenti secondarie in accordo con il principio di Huygens.

Analizzando lo schema 60c) si vede che deve esistere un angolo ampio in modo

tale che, l’inclinazione dei raggi, produca una differenza di cammino tale da causare

l’interferenza distruttiva. Nello schema di fig.60a) si vede che la differenza di

cammino tra il primo raggio e l’ultimo indicato nella figura vale:

senar [89]

Si può formulare l’ipotesi che per l’angolo in esame questa differenza di cammino

valga esattamente la lunghezza d’onda l cioè che:

sena [90]

Si supponga di aver suddiviso la fenditura con 100 punti equispaziati considerati come

sorgenti; in questo caso, come abbiamo appena visto, il primo e l’ultimo punto

emanano raggi in fase tra loro che danno interferenza costruttiva. Se immaginiamo di

suddividere la fenditura in due regioni con i punti da 1 a 50 nella parte superiore e le

sorgenti da 51 a 100 nella regione inferiore notiamo che la differenza di cammino del

51° punto, che si trova ad a/2, è sfasato di:

2

sen2

151

ar [91]

cioè che le onde provenienti dalle sorgenti 1 e 51 fanno interferenza distruttiva e quindi

si eliminano. Lo stesso vale per le sorgenti 2 e 52, 3 e 53 e così via; in altri termini i

raggi che provengono da sorgenti che distano a/2 si elidono per interferenza distruttiva.

Questo ragionamento può essere ripetuto per un qualsiasi numero di punti e

porta in ogni caso a dire che la somma degli effetti nel punto individuato sullo schermo

dall’angolo corrisponde ad un’onda nulla cioè a una frangia d’interferenza

distruttiva. Per determinare la posizione del secondo minimo si può ripetere il

ragionamento osservando che deve esistere un angolo per cui vale la relazione:

2sen 2 a [92]

se si divide la fenditura in quattro zone uguali, due per la regione superiore e due per

quella inferiore, si ottiene che la luce che arriva dal punto posto in a/4 è sfasata di l/2

rispetto al primo punto mentre, quella che arriva dalla sorgente a 3a/4, è sfasato l/2

distano a/4.

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Si può quindi generalizzare l’equazione che permette di determinare gli zeri

della figura di diffrazione nel seguente modo:

1,2,3...m sen ma [93]5

Se la distanza L è molto grande rispetto alla metà della larghezza del massimo centrale

y (c.f.r. fig.60c) allora gli angoli risultano piccoli (<5°) quindi è possibile

approssimare la [93] nel seguente modo:

a

m sen [94]

Inoltre risulta: L

y tan [95]

che combinata con la [94] dà:

a

Lmy

[96]

determina la posizione dei minimi rispetto al punto centrale dello schermo.

L’andamento dell’intensità della fig.61 è chiamata figura di diffrazione di

Fraunhofer di una singola fenditura: è la figura che si osserva quando lo schermo è

molto lontano dalla fenditura e la larghezza della fenditura non è maggiore di un

piccolo numero di lunghezze d’onda della luce utilizzata. Se si osserva la figura di

diffrazione ponendo lo schermo vicino alla fenditura l’immagine cambia e prende il

nome di figura di diffrazione di Fresnel: questo schema è molto complesso da

analizzare e, per noi, ha poco interesse pratico e quindi lo trascureremo.

5 N.B. Spesso capita di confondere la [77] per la doppia fenditura con la [93] per la singola fenditura. Per evitarlo è

importante rilevare che, in questo caso, i valori di ‘m’ sono gli interi escluso lo zero mentre nelle formule

precedentemente trovate per la doppia fenditura partivano da zero. Inoltre la distanza inserita nella formula è la larghezza

della fenditura ‘a’ mentre nel caso precedente era la distanza tra le fenditure ‘d’.

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78

2.5.3) DIFFRAZIONE DA UN’APERTURA CIRCOLARE .

Consideriamo ora la diffrazione da un’apertura

circolare di diametro d. La figura n.62 mostra l’immagine

di una sorgente puntiforme luminosa lontana che si forma

dopo aver attraversato un piccolo foro di diametro d su

uno schermo posto a notevole distanza dal foro stesso.

(c.f.r.fig.62).

Confrontando questa fotografia con quella

rappresentata in fig.61 è evidente che si tratta di un

fenomeno di diffrazione nel quale, in questo caso,

l’apertura è un cerchio mentre nel precedente era una fenditura.

Ricordiamo che per la fenditura le dimensioni delle frange sono determinate da

i parametri ‘a’ e ,nella relazione:

a

sen con m=1 [93]

Nel caso dell’apertura circolare i parametri che intervengono sono il diametro

‘d’ e , perciò l’equazione che definisce le dimensioni della frangia centrale risulta:

d

22,1sen [97]

Il fattore 1,22 deriva dal calcolo matematico d’integrazione di tutte le sorgenti

secondarie in cui si può suddividere l’intera apertura circolare al posto dei tratti x

usati nella fenditura.

Figura 62

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79

2.5.4) RISOLUZIONE – CRITERIO DI

RAYLEIGH

Il fatto che le immagini fornite attraverso

aperture circolari sono figure di diffrazione è

importante quando si vogliono distinguere due

oggetti puntiformi lontani separati da una

piccola distanza angolare a (c.f.r. fig.63). La

figura 64 mostra le immagini visive e le

corrispondenti distribuzioni d’intensità per due oggetti lontani con piccole distanze

angolari. In a) gli oggetti non sono risolubili, cioè la figura di diffrazione non è

distinguibile da quella dovuta ad un solo oggetto puntiforme. In b) essi sono appena

risolubili mentre in c) sono completamente risolubili.

Nella figura 64b) la distanza angolare tra le due sorgenti puntiformi è tale che il

massimo della figura di diffrazione di una sorgente coincide con il primo minimo

della figura di diffrazione dell’altra. Questa condizione si dice criterio di

Rayleigh.

Utilizziamo questo criterio per ricavare la distanza angolare minima necessaria perché

due oggetti siano risolubili; in base alla [97], scritta nell’ipotesi che gli angoli siano

piccoli, si ha:

d

R

22,1 [98]

Fig. 63

Fig.64

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Quando si adopera una lente per distinguere oggetti con piccola distanza angolare tra

loro, è importante rendere il più piccolo possibile il disco centrale della figura di

diffrazione. Questo fenomeno lo si può ottenere (vedi eq.[98]) aumentando il diametro

della lente oppure usando lunghezze d’onda più corte. Per ridurre gli effetti della

diffrazione nei microscopi, si usa la luce ultravioletta che permette, a causa della sua

più corta lunghezza d’onda, di esaminare più dettagli che non sarebbero distinguibili

operando con lo stesso microscopio con luce visibile. Nel microscopio elettronico i

fasci di elettroni6 utilizzati al posto della luce possono avere una lunghezza d’onda

efficace di 4 pm cioè dell’ordine di 105 volte più corta di quella della luce visibile, e

questo permette di esaminare in dettaglio oggetti piccoli come i virus. Se si osservasse

un virus con il miglior microscopio ottico la sua struttura non sarebbe distinguibile a

causa della diffrazione.

ESEMPIO 29 – Risoluzione dell’occhio umano.

Il diametro della pupilla di un occhio normale, di giorno, ha una dimensione di 5.00

mm. Considerando il valore medio della lunghezza d’onda della luce visibile=550

nm, si vuol determinare qual è la distanza minima di due oggetti puntiformi che

permetta di risolverli a 100 m di distanza dalla pupilla.

Dati: d=5,00 10-3m; =550 10-9m; L=100 m.

Usando l’equazione [98] si ha che l’angolo limite per i raggi provenienti dalle due

sorgenti (fig.65) deve essere:

radd

R

4

3

9

1034,11000,5

1055022,122,1

se gli oggetti sono distanti tra loro y e sono lontani dalla pupilla L=100 m essi saranno

distinti, secondo il criterio di Rayleigh se

RR LyL

y tantan

ed essendo l’angolo piccolo si può scrivere:

cmmLy R 34,11034,11034,1100 24

6 Vedremo in meccanica quantistica che in certe condizioni gli elettroni si comportano come onde.

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ESEMPIO 30 – Limiti alla risoluzione dovuti alla morfologia dell’occhio.

Sappiamo che la distanza tra i recettori (coni) sulla

retina è dell’ordine di 1mm nella fovea centralis, dove

queste cellule sensibili al colore sono più dense, e da

3 a 5 mm fuori da questa regione. Verificare se la

risoluzione degli oggetti analizzati nell’esempio n.29 è limitata dal fatto che, perché

siano visti come due oggetti distinti , le immagini delle sorgenti devono colpire sulla

retina due coni non adiacenti. Il diametro dell’occhio vale mediamente 2.5 cm.

.105,2;1034,1 2

1

2 mLradR

Utilizzando l’angolo limite trovato nell’esempio precedente si considera la parte destra

della fig.65 dove si vede che:

mLy R 4,3104,3105,21034,1 624

11

quindi nella zona centrale dove i coni non adiacenti distano 2 m gli oggetti sono

distinguibili mentre nelle zone più esterne dove due coni non adiacenti distano da 6 a

8 m non lo sono.

2.5.5) RETICOLI DI DIFFRAZIONE.

Nella parte conclusiva del cap.2.5.2) abbiamo visto che il metodo di calcolo delle

frange di diffrazione prodotta da una serie di N fenditure si calcola con la stessa

procedura vista per una fenditura. Infatti quando abbiamo suddiviso la singola

fenditura in N tratti x, si è fatta l’ipotesi che questi si comportassero come N sorgenti

puntiformi cioè come N fenditure. Un reticolo di diffrazione è in generale costruito

con un numero di fenditure che può essere dell’ordine di 104 . Per renderci conto del

fatto che l’interferenza di due fenditure ha la stessa figura di diffrazione di un reticolo

con più fenditure, in fig.66, sono riportate due fotografie nelle quali si vede l’immagine

prodotta da due fenditure nella parte a) e quella prodotta da cinque fenditure nella parte

b).

Fig.65

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82

Si vede che nella distribuzione con N=5, tra i massimi principali appaiono tre massimi

secondari. Quello che non risulta chiaro è che i massimi principali per N=5 sono più

stretti di quelli dovuti a N=2 (foto 66a). Ciò è dovuto al fatto la foto 66b) è stata

sovraesposta per vedere i massimi secondari che sono di bassissima intensità.

All’aumentare del numero N i massimi principali diventano strettissimi e i massimi

secondari, anche se aumentano di numero, diventano così deboli in intensità da

risultare otticamente invisibili. Questo porta a parlare di spettri a righe (fig.67)

ottenuti con l’osservazione attraverso reticoli di diffrazione tramite spettroscopio.

Figura 67- spettro a RIGHE

Fig.66

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In fig.68 è rappresentata una parte di un reticolo a N fenditure distanziate di ‘d’ (la

distanza tra le fenditure viene tecnicamente chiamata ‘passo’) e investito da una serie

di raggi luminosi che vengono diffratti verso un punto P su uno schermo C non indicato

in figura. L’angolo di inclinazione permette di individuare la differenza di cammino

ottico tra due di questi raggi ottenendo:

sendr [99]

I massimi, cioè le righe dello spettro, sono ottenuti quando la differenza di cammino

fino allo stesso punto è pari ad un numero intero

di lunghezze d’onda, cioè:

mr [100]

combinando le due equazioni si ottiene:

0,1,2,3...m sen md [101]

che permette di trovare i vari ordini (numeri m)

delle righe spettrali. Molte volte viene fornito, per

definire il reticolo, il numero di fenditure al cm che

generalmente viene indicato con D e la formula [101] viene scritta nella forma:

Dm arcsen [102]

2.5.6) CENNI DI SPETTROSCOPIA.

I reticoli di diffrazione sono utilizzati per misurare le lunghezze d’onda della luce

emessa da oggetti di cui si vuole analizzare la struttura chimica.

Sappiamo che la luce è prodotta dalla transizione degli elettroni tra l’orbitale in cui si

trovano nello stato eccitato e gli orbitali a energia minore in cui ritornano dopo

l’eccitazione (fig.78, pag.92).

L’energia che l’atomo ‘perde’ quando gli elettroni scendono in orbitali meno energetici

è pari a quella trasmessa sotto forma d’onda e, visto che l’energia è collegata anche

alla lunghezza d’onda7, è possibile risalire a quali transizioni sono avvenute misurando

la lunghezza d’onda della luce trasmessa da queste sostanze.

Ogni atomo ha una sua ‘carta d’identità’ spettroscopica che è legata alla sua struttura

elettronica (vedi fig.67). Ricordando che i valori di energia compresi tra gli orbitali di

7 In meccanica quantistica troveremo le formule che costituiscono questi collegamenti.

FIG.68

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tipo s, p, d ecc. sono caratteristici di un particolare elemento, le possibili transizioni

sono proprio tra questi possibili livelli e di conseguenza sono teoricamente note.

Quando si osserva una sostanza sconosciuta e si trova che la lunghezza d’onda

corrisponde all’energia che si ha in uno dei salti permessi ad esempio per il sodio,

allora si può dire che in quella sostanza è presente sicuramente il sodio. Procedendo in

questo modo è possibile trovare tutti i componenti chimici di una sostanza. Per

esempio la relazione sperimentale trovata da Balmer tra le frequenze di tutte le righe

dell’idrogeno nella parte visibile dello spettro è:

2

1

4

11

mR

c

[103]

dove R è la costante sperimentale di Rydberg che vale R =109677,58 1/cm, e m è un

intero a partire da 3, cioè: m=3,4,5,6….

Quindi se analizzando uno spettro risultano i valori di lunghezza d’onda che

soddisfano l’equazione [103] siamo sicuri che l’atomo che ha emesso quella luce è

l’idrogeno.

Per determinare in labora-torio le lunghezze d’onda si usano spettroscopi a reticolo;

in fig.69 è disegnato lo schema

di funzionamento di un sem-

plice spettroscopio a reticolo,

utilizzato per osservare lo

spettro di una sorgente

luminosa che può essere per

esempio una lampada ad

idrogeno, di conseguenza ci si

aspetta di trovare le righe

Fig. 69

Fig.70

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spettrali evidenziate nella foto di fig.67. In fig.70 è invece rappresentata una figura

reale dello spettroscopio schematizzato precedentemente.

Ovviamente queste righe si presenteranno per particolari angoli e tramite la

[101], noto il valore del passo ‘d’ per il reticolo utilizzato, si possono calcolare i valori

delle corrispondenti lunghezze d’onda. Infatti la luce proveniente dalla sorgente S

viene concentrata dalla lente L1 sulla fenditura S1, posta nel piano focale della lente L2.

Il fascio parallelo di luce emergente dal collimatore C arriva sul reticolo G. I raggi

paralleli corrispondenti ad un particolare massimo d’interferenza , che si ha ad un

angolo , incidono sulla lente L3 e vengono focalizzati sul piano F-F’. L’immagine

che si forma su questo piano viene esaminata mediante un sistema di lenti E, che

ingrandisce le immagini, detto oculare.

Dalla parte opposta rispetto alla posizione centrale si forma una figura

d’interferenza simmetrica, come indicato dalle linee tratteggiate. Ruotando il

telescopio T secondo angoli diversi si può osservare l’intero spettro.

In realtà gli strumenti utilizzati nei laboratori industriali sono più complessi di

quello appena descritto. Essi impiegano metodi di registrazione fotografica o

fotoelettrica e si dicono spettrografi, però la logica dei risultati ottenuti risponde

sempre alla teoria che abbiamo esposto nei capitoli precedenti. Oltre ai reticoli a

fenditure esistono anche reticoli che funzionano a interferenza. Per questi la figura di

diffrazione è prodotta dallo sfasamento causato dalla differenza di cammino ottico che

i raggi percorrono a seconda che colpiscano le creste o le gole del reticolo8.

L’analisi spettrale della luce si può eseguire anche se al posto del reticolo G di fig.

70 si utilizza un prisma. In uno spettroscopio a prisma ciascuna lunghezza d’onda

viene deviata secondo un particolare angolo , determinato dall’indice di rifrazione

del materiale del prisma per quella lunghezza d’onda.

Gli strumenti a prisma sono meno precisi di quelli a reticolo perché, generalmente,

il valore con cui è noto l’indice di rifrazione del prisma per la lunghezza d’onda in

esame è definito con poche cifre significative.

8 Un reticolo di questo tipo può essere anche un comune CD in quanto la sua parte leggibile dal drive è costituita da

microsolchi a profondità variabile che danno informazioni in base al fatto che producano creste chiare (1) o scure (0)

quando vengono percorse dalla testina laser.

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2.5.7) POTERE RISOLUTIVO DI UN RETICOLO.

Per distinguere onde luminose con molto vicine, i massimi principali formati dal

reticolo per queste lunghezze d’onda devono essere i più stretti possibile. In altri

termini il reticolo deve avere un grande potere risolutivo R, definito come:

R [104]

In questa definizione <> è il valore medio di due righe spettrali che possono essere

risolte e è la differenza tra le loro lunghezze d’onda. Tanto più piccolo è e tanto

più vicine sono le righe che possono essere risolte; quindi tanto più grande è il potere

risolutivo del reticolo. Applicando il criterio di Rayleigh si può dimostrare che per un

reticolo vale la relazione:

NmR [105]

dove N è il numero totale di fenditure presenti nel reticolo e m il numero d’ordine dello

spettro.

Combinando la [104] con la [105] si ottiene:

NmR

[106]

che è la relazione cercata, essa collega i dati del reticolo alla possibilità di risolvere

due righe.

2.6 INTENSITA’ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA

Rivediamo brevemente alcuni concetti utilizzati per le onde meccaniche.

- Densità di energia D: Definiamo la densità di energia, per ogni tipo d’onda, come

l’energia contenuta in un volume n-dimensionale. Quindi per un’onda su una corda,

che è monodimensionale, la densità di energia sarà misurata in J/m; per le onde

sulla superficie dell’acqua, che sono bidimensionali, l’unità di misura di D sarà

J/m2, mentre per le onde acustiche ed elettromagnetiche, che sono tridimensionali,

sarà in J/m3.

- Intensità di un’onda I: Definiamo come intensità l’energia che attraversa,

nell’unità di tempo, un’unità di area perpendicolare alla direzione di propagazione

dell’onda. Dobbiamo di nuovo fare attenzione nel precisare il concetto di area, che

dipenderà dal tipo di onda in esame. Per le onde su una corda non c’è alcuna area;

l’intensità è l’energia che passa attraverso un punto della corda nell’unità di tempo.

Per le onde sull’acqua l’intensità è l’energia che passa attraverso una linea di

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lunghezza unitaria nell’unità di tempo. Per le onde tridimensionali l’intensità è

l’energia che passa per unità di tempo attraverso un’area unitaria, perpendicolare

alla direzione di propagazione dell’onda.

In generale è molto difficile calcolare la densità di energia in un’onda di forma

qualsiasi. Però, per un’onda armonica, la densità di energia media D è sempre

proporzionale al quadrato dell’ampiezza A:

2bAVol

ED

[107]

dove il coefficiente b è diverso per ogni tipo di onda e può dipendere dalla lunghezza

d’onda, mentre <E> è l’energia media

contenuta nel volume, Vol ,considerato.

Per densità di energia media s’intende la

densità media su una regione delle

dimensioni di una lunghezza d’onda.

L’intensità è, per definizione, la

quantità:

tS

EI

[108]

Dato che la potenza è definita come:

t

EW

la [108] può anche essere scritta nella forma:

S

WI [109]

Possiamo ottenere altre forme della [108], infatti, dalla [107] si ha anche:

VolbADVolE 2 [110]

Per trovare l’energia che fa a tempo ad attraversare la sezione S nell’intervallo Dt,

calcoliamo:

tScSxVol

tcx

sostituendo nella [110] si ottiene:

tScbAtDScE 2 [111]

Fig. 71

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che inserita nella [108], nel primo caso, dà:

DctS

tDScI

[112]

Mentre se si usa l’ultima parte della [110] otteniamo:

cAbI 2 [113]

Le [108],[109],[112] e [113] sono tutte forme diverse della definizione d’intensità di

un’onda.

Ricordiamo che le funzioni d’onda, che descrivono l’evolversi nello spazio del

campo elettrico e di quello magnetico, sono:

𝐸𝑧 = 𝐸𝑚𝑎𝑥𝑠𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [60]

𝐵𝑦 = 𝐵𝑚𝑎𝑥 s 𝑒𝑛(𝑘𝑥 − 𝜔𝑡) [61]

Per esse i valori di b trovati valgono rispettivamente:

𝑏𝑧 = 1

2𝜀0 ; 𝑏𝑦 =

1

2𝜇0 [114]

Ne segue che relative densità di energia sono:

𝐷𝑧 =1

2𝜀0𝐸𝑚𝑎𝑥

2 𝑒 𝐷𝑦 =1

2𝜇0𝐵𝑚𝑎𝑥

2

La densità totale di energia dell’onda risulta:

𝐷 = 𝐷𝑧 + 𝐷𝑦 =1

2𝜀0𝐸𝑚𝑎𝑥

2 +1

2𝜇0𝐵𝑚𝑎𝑥

2 [115]

Ricordando la 𝐸𝑚𝑎𝑥

𝐵𝑚𝑎𝑥= 𝑐 [69] la [115] diventa:

𝐷 =1

2𝜀0𝐸𝑚𝑎𝑥

2 +1

2𝜇0𝑐2𝐸𝑚𝑎𝑥

2

Che per la [62] 𝑐 =1

√𝜇0𝜖0 diventa:

𝐷 = 𝜀0𝐸𝑚𝑎𝑥2 =

𝐵𝑚𝑎𝑥2

𝜇0 [116]

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La [116] determina il valore massimo della densità di energia. Essendo le onde

elettromagnetiche sinusoidali è più utile la densità media di energia calcolata

considerando i valori efficaci delle ampiezze dei campi:

𝐸0 =𝐸𝑚𝑎𝑥

√2 𝑒 𝐵0 =

𝐵𝑚𝑎𝑥

√2 [117]

La densità media risulta quindi:

< 𝐷 >= 𝜀0𝐸02 =

𝐵𝑜2

𝜇0 [118]

Combinando le [109], [112] e [118] si ottiene per l’intensità:

𝐼 =𝑊

𝑆= 𝑐𝜀0𝐸0

2 = 𝑐𝐵𝑜

2

𝜇0 [119]

E per le onde sferiche:

𝐼 =𝑊

4𝜋𝑟2= 𝑐𝜀0𝐸0

2 = 𝑐𝐵𝑜

2

𝜇0 [120]

ESEMPIO N.31

Una lampadina di potenza 100 W illumina una superficie che si trova ad una distanza

di 3.00 m dalla sua posizione. Calcola l’intensità dell’onda diretta , le ampiezze efficaci

del campo elettrico e dell’induzione magnetica. Assumi che il 5% della potenza

elettrica dissipata nel filamento venga trasformata in luce.

Dati: W = 100 W, r = 3.00 m; 0 = 8.854 10-12 C2/Nm2; 0 = 4 10-7N/A2; c=2.998

108 m/s.

L’intensità risulta:

𝐼 =0.05𝑊

4𝜋𝑟2 = 0.0442 𝑊/𝑚2

Le due ampiezze si ricavano dalla [120]:

𝐸0 = √𝐼

𝑐𝜀𝑜= 4.00

𝑁

𝐶

𝐵𝑜 = √𝜇0𝐼

𝑐= 0.768 ∙ 10−8𝑇

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2.7 ) POLARIZZAZIONE

Le onde armoniche descritte fino a questo momento sono state rappresentate con le

oscillazioni giacenti tutte sullo stesso piano, ad esempio quella rappresentata in

figura 72 è polarizzata con il campo elettrico parallelo all’asse z mentre quella in figura

73 è ancora polarizzata, ma con il campo

elettrico che oscilla su un piano inclinato di 60°

rispetto alla direzione dell’asse y. In generale le

onde elettromagnetiche non sono polarizzate e

l’orientamento istantaneo del vettore di campo è

casuale come rappresentato in fig.74.

Un materiale che assorbe tutte le onde che non

siano polarizzate su un piano specifico si chiama

polarizzatore. Detta IN l’intensità dell’onda

non polarizzata l’intensità I0 dopo il polarizzatore sarà : I0=IN/2

Esso è composto, ad esempio, da molecole lunghe e sottili, che permettono lo

spostamento di elettroni solo lungo una direzione (parallela al lato ‘lungo’ delle

molecole). Conseguenza:

- Assorbono le onde che hanno la direzione del campo E parallelo alle molecole

- Trasmettono le onde che hanno direzione del campo E perpendicolare alle molecole

Legge di Malus Un’onda già polarizzata linearmente, passante in un polarizzatore che abbia il piano di

polarizzazione che forma un angolo θ con la direzione di polarizzazione dell’onda,

viene trasmessa con intensità:

𝐼 = 𝐼0𝑐𝑜𝑠2(𝜃) [121]

Di conseguenza il fascio di luce trasmessa è polarizzato nella direzione del

polarizzatore (fig.75).

Figura 72 - onda polarizzata linearmente lungo l'asse z Figura 73 - onda polarizzata su un piano formante 60° con y

Figura 74 – onda non polarizzata in un dato punto x.

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pertanto si ha:

• Se θ = 0° ο 180° Ι = Ι0

• Se θ = 90° ο 270° Ι = 0

Spesso nelle analisi si utilizzano polariz-

zatori accoppiati. Il primo dei due continua ad

essere definito polarizzatore il secondo

analizzatore. La procedura risulta (fig.76):

- Si polarizza un fascio con un filtro pola-

rizzatore;

- La luce polarizzata, passa attraverso un

secondo filtro polarizzatore (chiamato

analizzatore).

ESEMPIO N.32 Nell’esperimento di polarizzazione mostrato

in figura 76, l’intensità del fascio è dopo il

polarizzatore I1=0.500I0 e dopo l’analiz-

zatore I2=0.200I0. Determinare l’angolo

compreso tra l’asse di trasmissione dello

analizzatore e quello del polarizzatore.

Dati: I1=0.500I0; I2=0.200I0

La legge di Malus per la seconda polarizzazione risulta:

𝐼2 = 𝐼1𝑐𝑜𝑠2(𝜃)

Da cui:

𝜃 = 𝑎𝑟𝑐𝑜𝑠 (√𝐼2𝐼1

) = 50.8°

ESEMPIO N.33

Ti trovi in piedi a 1.5 m di distanza da una lampadina di 150 W.

1). Se la pupilla del tuo occhio è un cerchio di 5.0 mm di diametro, quanta energia

luminosa entra in essa ogni secondo ? (Assumi che il 5% della potenza della lampadina

sia convertito in luce)

2. Ripeti il punto (1) per un raggio laser di 1.0 mm di diametro con una potenza di

0.50 mW (n.b. questa è già la potenza della luce laser).

Dati: r=1.5 m; W = 150 W; d=5.0 mm ; %= 5%; dl=1.0 mm; WL= 0.50 mW; Dt=1s

1) la potenza effettiva della luce risulta:

𝑊1 = 𝜂𝑊 = 7.5𝑊 L’intensità che arriva alla pupilla è:

Figura 75 - polarizzatore e suo funzionamento

Figura 76 - Dispositivo polarizzatore analizzatore

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𝐼 =𝑊1

4𝜋𝑟2= 0.265 𝑊/𝑚2

L’energia che entra nella pupilla vale:

𝐸1 = 𝐼𝐴1Δ𝑡 = 𝐼𝜋𝑑2

4Δ𝑡 = 5.2 𝜂𝐽

2) il diametro del raggio laser è più piccolo del foro della pupilla ed essendo il raggio

laser un’onda piana che quindi non smorza con la distanza si ha:

𝐸2 = 𝑊𝐿Δ𝑡 = 0.50 𝑚𝐽 Come si vede il laser invia mille volte più energia della lampadina.

2.8) SPETTRO ELETTROMAGNETICO

Dopo aver analizzato il modello matematico che si utilizza per descrivere la

trasmissione di energia elettromagnetica vedremo ora quali sono i principali campi in

cui essa viene utilizzata come premessa per comprendere poi il suo impatto ambientale.

Nella figura 77 sono evidenziate le suddivisioni dello spettro elettromagnetico.

Figura 77 - suddivisione dello spettro elettromagnetico

Lo spettro delle onde elettro-

magnetiche, o semplicemente

spettro, è l'intervallo di tutte le

possibili radiazioni elettroma-

gnetiche. La figura mostra tutte le

possibili radiazioni dalle più brevi

ed energetiche, i raggi gamma, alle

più lunghe, le onde radio. Secondo

la descrizione quantistica della

radiazione, ad un'onda elettro-Figura 78 - emissione e assorbimento di fotoni

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magnetica è associato un valore preciso di energia, il quale dipende dalla frequenza di

oscillazione dell'onda, secondo la nota9 relazione di Planck: E=hn. Esiste un limite

fisico alle lunghezze d'onda possibili: il limite superiore è dato dalle dimensioni dello

Universo, cioè non possono esistere radiazioni con lunghezza d'onda maggiori

dell'universo, il limite inferiore è invece rappresentato dalla lunghezza di Planck. Nella

seguente tabella è riportata la suddivisione dello spettro in termini di frequenza e

lunghezza d’onda.

Tipo di radiazione elettromagnetica Frequenza Lunghezza d'onda

LF 30 kHz – 300 kHz 10 km – 1 km

MF 300 kHz – 3 MHz 1 km – 100 m

HF 3 MHz – 30 MHz 100 m – 10 m

VHF 30 MHz – 300 MHz 10 m – 1 m

UHF 300 MHz – 3 GHz 1 m – 10 cm

Microonde 3 GHz – 300 GHz 10 cm – 1 mm

Infrarossi 300 GHz – 428 THz 1 mm – 700 nm

Luce visibile 428 THz – 749 THz 700 nm – 400 nm

Ultravioletti 749 THz – 30 PHz 400 nm – 10 nm

Raggi X 30 PHz – 300 EHz 10 nm – 1 pm

Raggi gamma > 300 EHz < 1 pm

N.B. questa suddivisione è meno dettagliata di quella indicata in fig.77

Analizziamo ora il significato della suddivisione dello spettro.

- Onde Radio

Le frequenze inferiori a 3 GHz vengono chiamate genericamente onde radio. Sono le

frequenze generalmente utilizzate nelle telecomunicazioni di tecnologia più datata

come la radiofonia e la televisione, ma anche nella più recente telefonia mobile e nelle

comunicazioni senza fili.

Le onde VHF e UHF si propagano praticamente senza assorbimento nell'atmosfera. Le

frequenze HF invece sono riflesse dalla ionosfera e per questo sono utilizzate dai

radioamatori per le comunicazioni su grande distanza.

Le onde radio sono generate e captate da antenne le cui dimensioni sono dello stesso

ordine di grandezza della lunghezza d'onda da emettere o rivelare.

9 In questo capitolo si fa riferimento a concetti di meccanica quantistica che vedremo dettagliatamente più avanti. Al

momento basta ricordare la seguente proprietà dei campi elettromagnetici: la generazione e l’assorbimento di energia si

descrive con il modello a fotoni E=hn mentre il trasporto di energia si descrive con il modello ondulatorio.

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Il contenuto di informazione trasportabile da una onda elettromagnetica è tanto

maggiore quanto maggiore è la frequenza di oscillazione dell'onda. La generazione di

onde radio di frequenze via via più alte è una tendenza naturale delle

telecomunicazioni, che ha comportato una crescente complessità tecnologica.

Generare un segnale alternato di qualche kHz è facile anche con dispositivi conosciuti

all'inizio del XX secolo. A mano a mano che cresce la frequenza la complessità dei

dispositivi elettronici aumenta.

- Microonde

Anche se ufficialmente le microonde sono al di sopra dei 3 GHz, nel linguaggio

comune frequenze superiori a 1 GHz vengono dette microonde. La differenza

sostanziale tra le microonde e le onde radio è la maggior frequenza propria e quindi un

diverso meccanismo di interazione con la materia. Secondo la meccanica quantistica,

infatti, onde elettromagnetiche a diversa frequenza (e quindi di diversa energia),

vengono assorbite eccitando più stati energetici del materiale attraverso cui passano.

Le onde radio attraversano inalterate la maggior parte della materia perché la piccola

energia da esse trasportata può eccitare esclusivamente gli spin nucleari, i cui stati

energetici sono separati soltanto in presenza di campo magnetico. Le microonde invece

eccitano gli stati rotazionali della materia: un tipico forno a microonde, che opera alla

frequenza di 2.45 GHz, è in grado di fare ruotare le molecole d'acqua contenute

all'interno dei cibi. Questa rotazione,

smorzata “dall'attrito” col mezzo

circostante, permette di riscaldare in modo

efficiente gli alimenti. Le microonde hanno

trovato il primo utilizzo nel campo

militare, infatti il Radar è stata la prima

grossa applicazione delle microonde. Non

è un caso che il primo forno a microonde

sia stato fabbricato nel 1947 proprio dalla

Raytheon, una delle principali ditte che produce Radar. Molte molecole atmosferiche,

oltre all'acqua, possiedono frequenze di risonanza nello spettro delle microonde: la

propagazione delle microonde nell'atmosfera è quindi fortemente influenzata da tale

fattore. Per questo gli enti che sfruttano le microonde per le telecomunicazioni civili

devono solitamente scegliere opportune frequenze dello spettro, dette "finestre", in

modo che il segnale trasmesso non venga assorbito dall'atmosfera. La generazione di

microonde era inizialmente ottenuta mediante tubi a vuoto, tuttora utilizzati in

applicazioni che richiedano elevata potenza di trasmissione. Esempi di tali generatori

sono i magnetron ed i klystron. Attualmente per applicazioni di bassa potenza esistono

vari tipi di dispositivi a stato solido.

Figura 79 - Klystron

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- Infrarosso

L'infrarosso trae il suo nome dal fatto che rappresenta le frequenze di valore minore a

quella del rosso (ma superiore alle microonde). In realtà l'intervallo comprende

radiazioni che hanno un comportamento molto differente. La parte vicina allo spettro

visibile detta NIR (near infrared) ha un comportamento simile alla luce, mentre la parte

bassa FIR (far infrared) ha un comportamento simile alle microonde (vedi fig.77).

Mentre le microonde possono nella parte bassa dello spettro essere ancora prodotte da

circuiti elettrici oscillanti, per l'infrarosso a frequenze più elevate ciò non è più

possibile.

L'energia trasportata dalle radiazioni infrarosse è in grado di eccitare gli stati

vibrazionali della materia. Poiché questi sono particolarmente rilevanti nella materia

allo stato solido, la maggior parte della radiazione infrarossa passa inalterata attraverso

l'atmosfera e soltanto una piccola parte di essa è assorbita dalle molecole atmosferiche.

L'effetto serra è un caso particolare in cui la radiazione infrarossa emanata dagli oggetti

al suolo, riscaldati dal sole, non riesce a sfuggire nello spazio perché vi è una

concentrazione troppo elevata di determinate molecole in atmosfera, in particolare

dell'anidride carbonica.

Figura 80 - Distribuzione spettrale di Plank del corpo nero

La sorgente più semplice e naturale di infrarossi sono i corpi caldi, infatti tutti i corpi

emettono naturalmente onde elettromagnetiche con un spettro caratteristico che

dipende essenzialmente dalla loro temperatura, la cosiddetta radiazione di corpo nero.

La curva di emissione a campana molto stretta che ha un'ampiezza massima ad una

lunghezza d'onda:

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Dove T è la temperatura espressa in K, mentre la lunghezza d'onda è data in m. Si nota

in figura 80 che più la temperatura aumenta più il massimo di intensità si sposta nel

campo del visibile, si vede però che anche a basse temperature si ha emissione di IR.

Infrarossi come la luce visibile possono essere prodotti ed assorbiti da fenomeni più

squisitamente legati alla quantizzazione dei livelli energetici degli atomi. In genere tali

effetti sono più caratteristici della parte dello spettro a più alta frequenza fino ai raggi

X, ma alle frequenze degli infrarossi si hanno i primi salti energetici. Una particolarità

degli infrarossi è che alcune sostanze, che nel visibile appaiono scure come il silicio o

il germanio, sono per gran parte della banda infrarossa assolutamente trasparenti. Il

coefficiente di assorbimento di tali materiali, semiconduttori, varia di molti ordini di

grandezza in un piccolissimo intervallo di frequenze che cade nella parte alta degli

infrarossi, il cosiddetto vicino infrarosso (NIR). Per dare un’idea: 7 mm di Silicio

dimezzano l'ampiezza di infrarossi di 1030 nm, per avere lo stesso effetto con onde di

826 nm sono sufficienti 1400 nm di Silicio, mentre a 620 nm sono sufficienti appena

70nm di Silicio.

La generazione di infrarossi nella regione

NIR a spettro molto stretto viene fatta

mediante dispositivi a stato solido quali

i LED (fig.81) ed i Laser.

L' effetto degli infrarossi sul corpo umano è

l'assorbimento di tali radiazioni da parte dei

tessuti che si scaldano. Il fenomeno può

avere effetti negativi per particolari organi

come l'occhio: la cornea oculare è infatti un tessuto dotato di scarsissima irrorazione

sanguigna; pertanto non è in grado di dissipare efficacemente il calore che può essere

trasmesso da una radiazione infrarossa ad elevata potenza come quella di un laser.

L'esposizione frequente a sorgenti IR ad elevata potenza è infatti spesso correlata

all'insorgenza di cataratta.

- Luce visibile

La regione visibile dello spettro elettromagnetico è l'unico intervallo di frequenze a cui

l'occhio umano è sensibile. A radiazioni visibili di diversa lunghezza d'onda (e quindi

frequenza) corrispondono tutti i diversi colori dell'arcobaleno. Vi è una quasi perfetta

coincidenza tra la sensibilità dell'occhio umano e la radiazione emessa dal sole. Infatti

la radiazione di corpo nero del sole è quella di un corpo alla temperatura di 5700 K e

tale temperatura ha un picco ad una lunghezza d'onda di 550 nm (il colore giallo-verde

dello spettro visibile). L'occhio umano ha la massima sensibilità a tale lunghezza

d'onda e questa sensibilità diminuisce rapidamente sia per lunghezze d'onda più corte

(violetto), sia per quelle più lunghe (rosso). La luce visibile è in grado di eccitare gli

Figura 81 - lampade a LED

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stati energetici elettronici. Se un oggetto è colorato ciò è dovuto essenzialmente al fatto

che gli atomi o le molecole della superficie dell'oggetto possono assorbire una parte

(certe lunghezze d'onda) della luce che li investe portando gli elettroni a livelli

energetici più alti. Il colore specifico che l'oggetto assume dipende dal materiale

superficiale ed è determinato dalle regole di addizione e sottrazione dei colori: è infatti

la luce non assorbita che, rimbalzando sull'oggetto, arriva all'occhio umano, che in

seguito decodifica e assegna il colore all'oggetto.

- Ultravioletto

Nella parte successiva dello spettro ci sono gli Ultravioletti indicati con l'acronimo

UV. Le frequenze al di sopra del visibile manifestano molto chiaramente il carattere

quantistico della radiazione elettromagnetica. La radiazione UV ha energia sufficiente

a spezzare i legami molecolari e ionizzare parzialmente gli atomi. Gli effetti dannosi

sul corpo umano di tali radiazioni sono ben noti in quanto tali radiazioni non solo

provocano bruciature, ma possono causare danni irreparabili ai tessuti del corpo

umano. Il sole emette, principalmente luce visibile, ma anche una certa quantità di UV.

Gli UV rappresentano una percentuale minima della radiazione totale emessa dal sole;

tuttavia se non avessimo lo schermo naturale dell'atmosfera e dei gas come l'ozono la

quantità di radiazione che arriverebbe non sarebbe compatibile con la vita umana.

Una parte della radiazione ultravioletta è essenziale in alcuni processi biologici, quale

la produzione di Vitamina D, inoltre viene utilizzata con successo in alcune terapie

antibatteriche quali la sterilizzazione.

Il coefficiente di assorbimento degli UV è molto grande per quasi tutti i materiali, ad

esempio il vetro di buona qualità, che è molto trasparente nel visibile, negli UV è

estremamente assorbente: lo spessore del parabrezza di una autovettura è sufficiente

ad eliminare praticamente tutta la radiazione UV del sole. Solo il quarzo ha un

coefficiente di assorbimento più piccolo per la parte dello spettro UV a più bassa

frequenza. A lunghezze d'onda inferiori a 200 nm il quarzo, ma anche l'aria ( a causa

dell'ossigeno presente) assorbono fortemente gli UV.

Gli UV sono molto utilizzati nella microlettronica, proprio a causa della lunghezza

d'onda estremamente piccola, ma trovano applicazioni anche in alcune tecniche

diagnostiche.

Gli UV nella parte bassa dello spettro (400-300 nm) sono prodotti mediante scariche

elettriche in gas a bassa pressione posti in tubi di quarzo. Nella parte più alta dello

spettro invece sono generati con tecniche simili a quelle usate per i raggi X.

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- Raggi X

I raggi X sono stati scoperti solo alla fine del XIX secolo (differentemente dagli

ultravioletti noti già dal secolo precedente).

La ragione è che la loro produzione non è semplice. Infatti vengono principalmente

prodotti bombardando dei bersagli metallici con elettroni ad alta energia che viaggiano

in un vuoto spinto. I raggi X prodotti dipendono sia dall'energia degli elettroni

incidenti, ma anche dal bersaglio. Infatti la componente continua della radiazione ha

una intensità tanto maggiore quanto maggiore è il numero atomico del bersaglio, ma

l'energia dei raggi X non eccede quella degli elettroni incidenti. La componente

continua è dovuta alla radiazione di decelerazione degli elettroni. Vi è inoltre una

componente discreta dovuta al fatto che nell'urto vengono strappati gli elettroni più

profondi del bersaglio e nel ristabilirsi della condizione di equilibrio (cioè la

transizione degli elettroni esterni nei livelli profondi liberati c.f.r. fig.78) vengono

emessi raggi X con la frequenza corrispondente alla differenza di energia tra i due

livelli. Quindi se usiamo Ferro riusciamo a produrre righe di raggi X tra 0.17 nm e 0.19

nm (4 righe), mentre se usiamo Molibdeno avremo raggi X tra 0.063 nm e 0.071 nm.

Attualmente mediante radiazione di sincrotone si riescono a produrre con notevole

intensità e controllabilità sia raggi X che radiazione UV.

Le utilizzazioni più importanti dei Raggi X, fin dalla loro scoperta, sono state in

radiografia e cristallografia. In radiografia si sfrutta l'assorbimento diverso dei vari

tessuti profondi del corpo umano. In cristallografia si sfrutta il fatto che i raggi X hanno

una lunghezza d'onda paragonabile alla distanza tra gli atomi di un reticolo cristallino

e quindi l'immagine di diffrazione

permette di conoscere la struttura

atomica dei solidi.

Il corpo umano è abbastanza trasparente

ai raggi X, pur tuttavia nell'attraversare il

corpo umano questi raggi ionizzano gli

atomi presenti danneggiando in maniera

irreversibile anche i tessuti profondi.

Sono quindi classificati tra le radiazioni

ionizzanti dannose allo organismo. Il

danno provocato dai raggi X è peggiore

di quello degli UV in quanto agisce a

maggiore profondità e i raggi X hanno una energia per fotone maggiore. Schermi

metallici spessi sono una buona protezione per radiazioni di tale tipo.

Figura 82 - Non solo il corpo umano è trasparente ai raggi X...

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- Raggi gamma

I raggi gamma rappresentano le lunghezze d'onda più brevi dello spettro delle onde

elettromagnetiche. I raggi gamma sono prodotti da reazioni che avvengono all'interno

del nucleo atomico. Il potere penetrante dei raggi gamma è in genere molto maggiore

di quello dei raggi X. Per questo per la protezione di tali radiazione si usano materiali

ad alta massa atomica (tipo il piombo); tanto per dare una idea se 1 cm di piombo

dimezza i raggi gamma è necessario uno spessore di 6 cm di cemento per produrre lo

stesso effetto. I raggi gamma vengono prodotti nel decadimento di isotopi radioattivi,

non esistono altri metodi sulla terra per produrre tali radiazioni. Gli effetti sulla materia

vivente dei raggi gamma sono molto peggiori di quelli prodotti dai raggi X a parità di

intensità a causa della maggiore energia dei fotoni. Infatti la perdita di energia dei raggi

gamma può avvenire in maniera più distruttiva per i tessuti che la semplice

ionizzazione.

Bibliografia - M. Alonso, J. Finn, Elementi di fisica per l’Università, Volume II: campi e onde; - -

N. Faletti, Trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica;

- Pauling – Wilson , introduzione alla meccanica quantistica

- Feynman , La fisica di Feynman

- Melissinos – Lobkowicz , Fisica per scienze e ingegneria

Fonti da internet

- Roberto Cirio, Onde elettromagnetiche

- Roberto Capone, lezioni di fisica: elettromagnetismo

- M.Martinelli, Fisica generale: onde elettromagnetiche

- Commission of the European communities, Proposal for a council recommendation

on the limitation of exposure of the general pubblic to electromagnetic fields 0 Hz –

300 GHz, Bruxelles, 1998

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INDICE

MODULO N.1 PAG.

1) ELETTRICITA’ E MAGNETISMO 3

1.1) ELETTROSTATICA 3

1.1.1) CAMPO ELETTRICO STATICO 4

1.1.2) ENERGIA POTENZIALE ELETTRICA 8

1.1.3) CIRCUITAZIONE 11

1.1.4) FLUSSO ELETTRICO 12

1.1.5) CAMPO ELETTRICO DI UNA LASTRA SOTTILE CARICA 15

1.1.6) CONDENSATORE PIANO 16

1.2) CORRENTE ELETTRICA 18

1.2.1) INTENSITA’ DELLA CORRENTE ELETTRICA 18

1.2.2) PRIMA LEGGE DI OHM 18

1.2.3) SECONDA LEGGE DI OHM 19

1.2.4) POTENZA ELETTRICA 19

1.2.5) EFFETTO JOULE 19

1.2.6) CIRCUITI ELETTRICI: MAGLIE-NODI-RAMI 21

1.2.7) RESISTENZE IN SERIE 24

1.2.8) RESISTENZE IN PARALLELO 25

1.3) MAGNETISMO 27

1.3.1)LEGGE DI AMPERE 27

1.3.2) VETTORE INDUZIONE MAGNETICA 28

1.3.3) COLLEGAMENTO VETTORIALE CAMPO-FORZA 30

1.3.4) CIRCUITAZIONE DELL’INDUZIONE MAGNETICA 35

1.3.5) FLUSSO DI B 37

1.3.6) FLUSSO ATTRAVERSO UNA SUPERFICIE CHIUSA 39

1.3.7) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTROSTATICA 40

1.4) L’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA 41

1.4.1) LEGGE DI FARADAY-NEUMANN 41

1.4.2) CORRENTE INDOTTA 42

1.4.3) LEGGE DI LENZ 44

1.4.4) INDUTTANZA 46

1.5) CENNI SULLA CORRENTE ALTERNATA 47

1.5.1) IMPEDENZA 48

1.5.2) CIRCUITO OHMICO 49

1.5.3) POTENZA IN CORRENTE ALTERNATA 50

1.5.4) CIRCUITO INDUTTIVO 51

1.5.5) CIRCUITO CAPACITIVO 53

1.5.6) CIRCUITO RCL IN SERIE 54

1.5.7) FATTORE DI POTENZA 55

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MODULO N.2

2) ONDE ELETTROMAGNETICHE 57

2.1) TEOREMA DI FARADAY-NEUMANN-LENZ 57

2.2) EQUAZIONI DI MAXWELL PER L’ELETTRODINAMICA 59

2.3) GENERAZIONE DI ONDE ELETTROMAGNETICHE 60

2.3.1) PROPAGAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE 62

2.4) FENOMENI ONDULATORI 65

2.4.1) INTERFERENZA 65

2.4.2) RIFLESSIONE 67

2.4.3) RIFRAZIONE 68

2.4.4) DIFFRAZIONE 71

2.5) CENNI DI OTTICA FISICA 72

2.5.1) ESPERIMENTO DI YOUNG 72

2.5.2) DIFFRAZIONE DA UNA SINGOLA FENDITURA 75

2.5.3) DIFFRAZIONE DA UN’APERTURA CIRCOLARE 78

2.5.4) RISOLUZIONE – CRITERIO DI RAYLEIGH 79

2.5.5) RETICOLI DI DIFFRAZIONE 81

2.5.6) CENNI DI SPETTROSCOPIA 83

2.5.7) POTERE RISOLUTIVO DI UN RETICOLO 86

2.6) INTENSITA’ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA 86

2.7) POLARIZZAZIONE 90

2.8) SPETTRO ELETTROMAGNETICO 92

BIBLIOGRAFIA 99