APPUNTI DEL CORSO DI GEOTECNICA · La Geotecnica studia i problemi che si pongono per vincolare o...

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” PRIMA FACOLTÁ DI ARCHITETTURA “LUDOVICO QUARONI” CORSO DI LAUREA IN ARCHITETTURA UE APPUNTI DEL CORSO DI GEOTECNICA Docente: Prof. Giuseppe LANZO Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica Via A. Gramsci 53 00197 Roma tel: 06-49919173 mail: [email protected] A.A. 2008-2009

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”

PRIMA FACOLTÁ DI ARCHITETTURA “LUDOVICO QUARONI”

CORSO DI LAUREA IN ARCHITETTURA UE

APPUNTI DEL CORSO DI

GEOTECNICA

Docente: Prof. Giuseppe LANZO

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica Via A. Gramsci 53

00197 Roma tel: 06-49919173

mail: [email protected]

A.A. 2008-2009

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1 - INTRODUZIONE

La Geotecnica studia i problemi che si pongono per vincolare o inserire un'opera nel

sottosuolo (fondazioni, gallerie, ecc.), per l'impiego dei terreni e delle rocce come materiali da

costruzione (rilevati, argini, colmate, dighe), per il corretto uso del suolo e del sottosuolo (ad es.

estrazione di fluidi) e, più in generale, per la stabilità del territorio.

La nascita della Geotecnica moderna risale al 1925, anno della pubblicazione della

fondamentale opera di K. Terzaghi sulla "Meccanica dei terreni".

In conseguenza dell'evoluzione delle opere costruite dall'uomo e del sempre maggior

rilievo del problema dell'interazione tra queste opere e l'assetto del territorio, i problemi

geotecnici sono diventati via via più impegnativi. Tra l'altro, data la notevole espansione delle

zone urbanizzate sul territorio, le costruzioni interessano sempre più spesso terreni poco

resistenti e molto deformabili, mentre le condizioni di sollecitazione aumentano per intensità e

complessità. Di conseguenza, l'importanza della Geotecnica è andata crescendo enormemente

negli ultimi anni.

Nasce, pertanto, l'esigenza di competenze specifiche sollecitate dalla peculiarità dei

nuovi problemi che lo sviluppo delle opere civili e le caratteristiche del territorio pongono.

Questa esigenza, primaria nel campo dell'Ingegneria Civile, è egualmente sentita nel campo

dell'Architettura, anche se con finalità ed approfondimenti diversi.

Il progetto architettonico di un'opera, infatti, tra gli altri aspetti deve tener conto di

quelli relativi alla stabilità; questa non solo dipende dalle caratteristiche delle strutture in

elevazione, ma è legata strettamente al comportamento del terreno al quale l'opera è vincolata ed

ai meccanismi di interazione tra il terreno e la struttura. Per questi motivi, anche l'Architetto

deve disporre di conoscenze di tipo geotecnico per avere consapevolezza dei problemi che si

presentano quando si progetta un'opera e, se il caso, per orientare le scelte progettuali tenendo

conto anche delle esigenze statiche della struttura connesse con le caratteristiche del terreno di

fondazione.

Ai fini di una suddivisione degli argomenti trattati dalla Geotecnica si può parlare di:

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A - Geotecnica sperimentale, che studia le proprietà fisiche e meccaniche dei terreni e delle

rocce mediante prove di laboratorio ed in sito e mediante osservazioni sul comportamento di

opere realizzate;

B - Geotecnica teorica, che studia la "risposta" del terreno alle sollecitazioni indotte dalle opere

(fondazioni) o dal peso proprio del terreno (opere di sostegno, scavi); essa utilizza principi e

teorie di altre discipline, quali la Meccanica dei solidi (Teorie dell'Elasticità e della

Plasticità), la Meccanica dei fluidi, ecc., e ricorre ad ipotesi semplificative per

schematizzare il complesso comportamento del terreno (continuità, omogeneità, isotropia);

C - Geotecnica Applicata, che riguarda i metodi per il dimensionamento delle opere vincolate al

terreno (fondazioni, ecc.) e per la previsione del comportamento delle opere stesse e del

sottosuolo, anche in assenza di interventi antropici (pendii naturali); questa parte è una

sintesi di A e B e del contributo di altre discipline, quali la Geologia per la conoscenza della

costituzione, dell'origine e della storia dei terreni e l'Ingegneria delle Costruzioni Civili per

la valutazione delle azioni esterne e dell'interazione terreno-struttura.

Il corso di "Geotecnica ", istituito presso la Facoltà di Architettura di Roma nel 1970,

riguarda essenzialmente lo studio dei terreni. Per le loro caratteristiche meccaniche, infatti, i

terreni, rispetto alle rocce, hanno maggiore rilevanza per i problemi che pongono nei riguardi

della realizzazione di opere di più immediato interesse per l'Architetto.

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2 - ORIGINE E COSTITUZIONE DEI TERRENI

2.1 - DEFINIZIONI

Roccia: aggregato di minerali facente parte della crosta terrestre, che, in campioni al di fuori

della sua sede naturale, è dotato di elevata coesione anche dopo prolungato contatto

con acqua.

tipi di rocce:

- ignee sono formate da materiale magmatico raffreddatosi in seno alla crosta

terrestre (rocce ignee intrusive: graniti, ......) o dopo essere stato effuso da

vulcani (rocce ignee effusive: basalti, leucititi, ....)

- sedimentarie si sono formate per sedimentazione di frammenti prodotti dalla

disgregazione della parte emersa della crosta terrestre ad opera degli agenti

atmosferici (rocce clastiche: arenarie, conglomerati, ....) o di residui fossili

di organismi animali e vegetali (rocce di origine organica: calcari, selce,

......)

- metamorfiche sono il prodotto di profonde trasformazioni della struttura e della

costituzione di rocce ignee e sedimentarie, soggette ad alte pressioni e

temperature (gneiss, quarziti, marmi,....)

Ammasso roccioso: la roccia in sede, considerata con le discontinuità strutturali proprie delle

condizioni naturali.

Terreno: materiale naturale formato da aggregati di granuli, non legati tra loro o che

possono essere separati con modeste sollecitazioni o per mezzo di un più o meno

prolungato contatto con acqua.

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Suolo ("terreno agrario"): è il prodotto dell'alterazione dello strato superficiale, costituito da

rocce o terreni, ad opera del clima e di fattori biologici (vegetazione, microflora, fauna

e uomo). I suoli hanno spessore al massimo di qualche metro.

Divisione granulometrica: i terreni, a seconda della costituzione granulometrica, cioè delle

dimensioni dei granuli che li costituiscono, sono classificati nel modo seguente

(classifica AGI/S dell'Associazione Geotecnica Italiana):

ARGILLA | LIMO | SABBIA | GHIAIA | BLOCCHI e CIOTTOLI

dimensione _________ 0,002 ____ 0,06 ________ 2 __________ 60 _________ d(mm)

del granulo

terreno coerente | terreno incoerente (o a grana fina) (o a grana grossa)

2.2 - FORMAZIONE DEI TERRENI NATURALI

Durante le ere geologiche la crosta terrestre è stata soggetta a continui movimenti e

deformazioni. Sulla sua superficie sono avvenuti processi di alterazione e disgregazione delle

rocce (degradazione meteorica), di trasporto e sedimentazione dei frammenti rocciosi, che hanno

portato alla formazione dei terreni naturali.

Nello schema seguente sono indicati gli agenti della degradazione meteorica e gli effetti

da essa prodotti: agenti effetti

processi chimici - acqua idratazione

(alterazione) - acidi soluzione

- ossigeno ossidazione

processi fisici - temperatura esfoliazione

(disgregazione) - gelo frantumazione

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I prodotti della degradazione meteorica possono accumularsi nella zona di formazione o

possono essere asportati ad opera di agenti di trasporto diversi: gravità, vento e acqua in

movimento (torrenti, fiumi, ghiacciai, correnti marine).

I terreni naturali si formano anche a seguito dei processi di erosione, cioè del

logoramento delle terre emerse per piccoli frammenti ad opera di agenti di trasporto, quali: acque

correnti; ghiacciai; vento. Anche le frane contribuiscono alla trasformazione della crosta terrestre

ed alla formazione dei terreni naturali.

L'attività vulcanica di tipo esplosivo dà origine a terreni che prendono il nome di

"piroclastiti" (terreni vulcanici).

Nello schema seguente sono indicati i tipi di terreno che si formano a seguito di processi

che avvengono sulla crosta terrestre.

processo tipo di terreno

disgregazione e alterazione _____________> - residuale

+

erosione e frane

+

trasporto

+

sedimentazione ______________> - sedimentario

vulcanismo ______________> - piroclastico

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2.3 - TERRENI PIU' COMUNI E LORO COSTITUZIONE GRANULOMETRICA

2.3.1 - Terreni di degradazione in sede (terreni residuali)

Si formano quando i prodotti dell'alterazione di rocce o terreni non vengono rimossi

dagli agenti di trasporto o quando la velocità di alterazione delle rocce in sede è maggiore della

velocità di rimozione dei prodotti dell'alterazione. I terreni residuali sono diffusi ed hanno

spessore elevato (da alcuni metri a qualche decina di metri) nelle regioni tropicali ed equatoriali,

nelle quali la fitta copertura vegetale impedisce che i prodotti dell'alterazione delle rocce,

favorita dal clima caldo umido, siano asportati dalle acque ruscellanti. Nei nostri climi i terreni

residuali sono poco comuni ed hanno spessore limitato ad alcuni metri.

Granuli di forma irregolare; distribuzione granulometrica assortita; costituzione

granulometrica: da ghiaia ad argilla.

2.3.2 - Terreni sedimentari

Depositi detritici - Si formano generalmente ai piedi dei versanti montani e collinari per

l'accumulo di frammenti di roccia distaccatisi dai versanti stessi ("detrito di falda").

Generalmente lo spessore di questi depositi varia da pochi metri fino ad alcune decine di

metri (Fig. 2.1).

Granuli di forma irregolare a spigoli vivi; distribuzione granulometrica assortita;

costituzione granulometrica: da blocchi a limo.

Depositi eolici (dune costiere e desertiche) - Si formano in seguito al trasporto ad opera del

vento di frammenti di roccia staccatisi dalla loro sede ed alla successiva deposizione in

ambiente subaereo. Dune costiere si rinvengono lungo il litorale laziale.

Granuli tondeggianti e smerigliati; distribuzione granulometrica uniforme;

costituzione granulometrica: sabbia fina.

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Depositi glaciali (morene) - Si formano nella zona di scioglimento dei ghiacciai, dove avviene

la deposizione del materiale solido trasportato o trascinato dal ghiacciaio. In Italia si

rinvengono lungo tutto l'arco alpino ed allo sbocco delle valli montane nella pianura

padana. Nell'Appennino si rinvengono a quote elevate (Campo Imperatore).

Granuli a spigoli smussati e striati, distribuzione granulometrica assortita;

costituzione granulometrica: da blocchi ad argilla.

Depositi alluvionali - Si formano per trasporto di materiale solido ad opera delle acque di fiumi

e torrenti e successiva deposizione in conseguenza della riduzione della velocità della

corrente.

Corsi d'acqua "giovani" molto ricchi di materiale di trasporto - Generalmente la

corrente contiene più materiale solido di quanto è capace di trasportare e la deposizione

avviene lungo tutto il letto del corso d'acqua. Un corso d'acqua di questo tipo è

caratterizzato da un alveo piuttosto ampio con uno o più canali che mutano

frequentemente di posizione, specialmente dopo le piene. Dato che la deposizione

procede con velocità piuttosto elevata, un dato canale è presto riempito di sedimenti.

L'acqua quindi devia e segue un altro canale. I depositi sono perciò formati da un

insieme di lingue e lenti di terreno di diversa granulometria. La dimensione dei granuli

dipende dalla velocità della corrente al momento della deposizione. Il materiale

trasportato può essere in "sovraccarico" in conseguenza di una improvvisa diminuzione

di velocità della corrente, come nel caso di un corso d'acqua montano che sbocca in

pianura; il deposito che si forma in questo caso prende il nome di "conoide alluvionale".

Lo spessore dei depositi alluvionali originati da corsi d'acqua "giovani" varia da

pochi metri fino a qualche decina di metri.

Granuli tondeggianti e lisci, distribuzione granulometrica uniforme (nell'ambito

di uno stesso episodio di deposizione); costituzione granulometrica: da blocchi a limo.

Corsi d'acqua "maturi" relativamente poveri di materiale di trasporto - Si sviluppano in

valli larghe e sono caratterizzati da meandri. In condizioni ordinarie, si ha un trasporto

locale in quanto del materiale viene eroso lungo la sponda concava del meandro e

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depositato lungo quella convessa. Questi depositi sono formati principalmente da limo e

sabbia.

Nel caso di esondazioni, si depositano grandi quantità di sedimenti dalle acque

che non rientrano entro gli argini del fiume. Questi depositi sono formati principalmente

da limo ed argilla. Essi costituiscono le grandi piane alluvionali ed il loro spessore può

raggiungere e superare il centinaio di metri.

Caratteristica di tutti i depositi alluvionali è la irregolare variabilità di

costituzione sia in orizzontale che in verticale. Tale variabilità è più accentuata nei

depositi originati da corsi d'acqua giovani ricchi di materiali di trasporto (Fig. 2.1).

Depositi deltizi - Si formano quando un corso d'acqua che trasporta materiale solido sfocia in un

bacino di acque ferme (lacustre o marino). Le acque, a causa della riduzione di velocità,

depositano la maggior parte del loro carico solido che va a formare il delta.

Distribuzione granulometrica poco assortita; costituzione granulometrica: da

sabbia ad argilla.

Depositi lacustri e palustri - Si formano in seguito alla deposizione di materiale solido in un

bacino di acque ferme; spesso sono presenti sostanze organiche vegetali. Sono

generalmente stratificati, sono cioè formati da una successione di corpi tabulari molto

estesi di spessore compreso tra qualche centimetro ed alcuni decimetri con

caratteristiche granulometriche uniformi. Ciascun deposito presenta generalmente

costituzione abbastanza uniforme. I depositi lacustri possono raggiungere spessori di

qualche centinaio di metri.

Costituzione granulometrica: sabbia, limo, argilla e termini misti.

Depositi marini - Si formano in seguito alla deposizione di materiale solido in un bacino

marino; si distinguono in:

a) depositi litorali o di spiaggia - costituzione granulometrica: blocchi, ghiaia con

granuli di forma appiattita, sabbia grossa;

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b) depositi di mare poco profondo (< 200 m) - costituzione granulometrica: sabbia,

limo e argilla frequentemente con resti organici (conchiglie, etc.);

c) depositi di mare profondo (> 200 m) - costituzione granulometrica: argilla.

I depositi di mare poco profondo e profondo sono generalmente stratificati ed

hanno uniformità di costituzione su ampie estensioni e per spessori rilevanti (dalle

centinaia fino ad oltre il migliaio di metri).

Depositi organici - Sono originati dall'accumulo in acque calme e poco profonde di resti

vegetali cresciuti sul posto (torbiere); si rinvengono allo stato puro (torbe) o associati a

materiali a grana fina (limo ed argilla con sostanze organiche).

2.3.3 - Terreni vulcanici (Pozzolane, ceneri, lapilli)

Sono formati dai prodotti lanciati dai vulcani durante le fasi di attività esplosiva e

ricaduti nelle zone circostanti, dopo un più o meno lungo tragitto nell'aria. I depositi sono

costituiti da banchi e lenti di terreno di diversa granulometria, corrispondenti ciascuno ad un dato

episodio esplosivo, alternati a volte a colate laviche (Fig. 2.1).

Granuli di forma irregolare, porosi, fragili ed a superficie scabra (ad esempio, pomici);

distribuzione granulometrica assortita o uniforme; costituzione granulometrica: da blocchi a

limo.

2.3.4 - Terreni di riporto

Sono formati dall'accumulo, ad opera dell'uomo, dei materiali provenienti da scavi,

demolizioni, rifiuti (discariche minerarie, urbane, etc.). La costituzione e le caratteristiche

ganulometriche di questo tipo di terreni sono molto varie.

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Fig. 2.1 - Schemi di depositi di terreni naturali : a) deposito detritico; b) deposito alluvionale di

corso d'acqua "giovane"; c) deposito alluvionale di corso d'acqua "maturo"; d) rocce e terreni

vulcanici

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2.4 - COMPOSIZIONE DEI GRANULI

I terreni sono costituiti da granuli solidi a contatto tra loro per punti o per piccole aree.

Gli interstizi tra i granuli (pori) sono riempiti da un fluido (aria, acqua). La conoscenza della

natura e della composizione dei granuli costituenti un terreno è spesso indispensabile per

comprendere il comportamento del terreno stesso.

I granuli possono essere di origine inorganica o organica. I primi sono costituiti da

frammenti di roccia (calcare, granito, etc.) o da minerali (quarzo, feldspati, miche, calcite,

minerali argillosi, etc.) mentre i granuli di origine organica sono costituiti da residui vegetali in

fase di carbonificazione più o meno avanzata.

I granuli costituiti da frammenti di roccia o di minerali la cui dimensione maggiore

supera 0,002 mm si definiscono granuli inerti. Essi hanno generalmente le tre dimensioni dello

stesso ordine di grandezza e forma rotondeggiante o spigolosa. In genere la costituzione

mineralogica dei granuli di questo tipo ha scarsa influenza sulle proprietà del terreno. La attività

superficiale dei granuli è praticamente nulla, le forze di massa predominano su quelle di

superficie e regolano le interazioni tra i granuli. Le interazioni chimiche tra fluido contenuto nei

pori e granuli sono trascurabili.

I granuli costituiti da minerali argillosi e da sostanze organiche la cui dimensione

maggiore è minore di 0,002 mm si definiscono granuli attivi. I granuli di minerali argillosi

hanno forma appiattita con una dimensione molto minore delle altre due. Data la piccola

dimensione e l'elevata superficie specifica le forze di superficie predominano su quelle di massa.

I minerali argillosi più comuni, ordinati per attività superficiale crescente, sono: la caolinite,

l'illite e la montmorillonite.

2.5 - ATTIVITA' DEI GRANULI. INTERAZIONI ACQUA-MINERALI ARGILLOSI

Ogni scaglia di minerale argilloso in sospensione nell'acqua ha delle cariche elettriche

negative sulla sua superficie che tendono ad attrarre ioni positivi per raggiungere un complessivo

stato neutro. Questi ioni sono scambiabili. Le scaglie dei minerali argillosi fissano sulla loro

superficie molecole d'acqua (dipoli) che formano uno strato di spessore dipendente dalla

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costituzione del minerale argilloso e dalla natura degli ioni scambiabili (strato di acqua

"adsorbita") (fig. 2.2).

Fig. 2.2 - Meccanismo di "adsorbimento" di molecole d'acqua polari sulla superficie di un

minerale argilloso in presenza di ioni positivi

A causa della struttura dei minerali argillosi e della presenza di cariche elettriche in

superficie, in una sospensione di tali minerali tra le scaglie si generano delle forze di attrazione e

repulsione la cui intensità dipende dalla distanza tra le scaglie stesse e dalle condizioni

ambientali (tipo e valenza degli ioni in soluzione, concentrazione e pH della soluzione,

temperatura).

Le forze di repulsione sono dovute al fatto che ogni granulo è elettricamente negativo e

quindi respinge un altro granulo mediante una forza elettrica tipo quella di Coulomb.

L'attrazione è dovuta a forze di Van der Waals che agiscono su tutti gli adiacenti frammenti di

materia. Le forze repulsive ed attrattive aumentano al ridursi della distanza fra i frammenti ed a

piccola distanza prevalgono le forze attrattive.

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Oltre ai due tipi di forza considerate esiste un altra forza elettrica che può diventare

molto importante quando la distanza tra le scaglie di minerale si riduce a valori molto piccoli.

Questa forza è dovuta alla carica positiva complessiva che si ha al bordo delle scaglie. Questa

carica può causare un legame elettrostatico tra due granuli di tipo bordo-faccia delle scaglie (fig.

2.3).

L'insieme delle forze sopra richiamate determina il modo in cui le scaglie di minerali

argillosi si dispongono durante la sedimentazione. Se la risultante delle forze tra le scaglie

disperse in acqua è un'attrazione le scaglie si muovono l'una verso l'altra e si congiungono

(flocculazione); se la risultante delle forze è una repulsione le scaglie restano separate

(dispersione). A seconda della concentrazione elettrolitica nell'acqua al momento della

deposizione si può avere una struttura dispersa o flocculata. Nella struttura dispersa le scaglie

sono generalmente parallele e non a contatto, in quella flocculata si hanno contatti bordo-faccia

o bordo-bordo, a seconda delle cariche elettriche disposte irregolarmente sulla superficie delle

scaglie (fig. 2.3).

La struttura dispersa si ha nei depositi di acqua dolce in cui sono scarsi gli elettroliti

(argille lacustri o palustri); la struttura flocculata è tipica dei depositi marini in cui abbondano gli

elettroliti.

Fig. 2.3 - Rappresentazione schematica di aggregati elementari di granuli: a) interazione tra

singole scaglie di minerali argillosi; b) interazione tra granuli di limo o sabbia; c)

interazione tra gruppi di scaglie di minerali argillosi.

A sinistra strutture flocculate, a destra strutture disperse

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2.6 - MODIFICHE SUBITE DAI TERRENI DOPO LA DEPOSIZIONE

Dopo la deposizione i terreni sono soggetti a processi naturali di tipo fisico, chimico e

biologico che ne modificano le proprietà.

Essiccamento - L'esposizione all'aria dei terreni a grana fina produce riduzione di volume e

fessurazioni. Gli effetti possono risentirsi fino a qualche metro di profondità.

Consolidazione ed addensamento - La consolidazione di un sedimento a grana fina (Cap. 7) è,

in generale, un processo dovuto alla successiva deposizione di nuovi terreni su quello

considerato che risulta pertanto soggetto a carichi via via più elevati. Tale processo

determina la riduzione del contenuto d'acqua del terreno.

L'addensamento, cioè la riduzione del volume dei pori, riguarda i terreni a grana grossa e

può essere prodotto da cause analoghe alle precedenti; in generale però è prodotto da

sollecitazioni dinamiche dovute, ad esempio, ai terremoti.

Cementazione - La cementazione di un terreno può essere dovuta alla formazione di legami

chimici tra i granuli ad opera di leganti quali il carbonato di calcio, la silice, l'allumina,

l'ossido di ferro e prodotti organici. I materiali cementanti possono derivare dagli stessi

minerali presenti nel terreno o possono provenire da soluzioni circolanti nel terreno

stesso. La cementazione ha importanti effetti sulle proprietà di molti terreni naturali.

Diagenesi - Per diagenesi si intende un insieme di processi i quali comportano la trasformazione

di alcuni minerali da un tipo ad un altro e la formazione di legami tra i granuli ad opera

della pressione, della temperatura e del tempo (legami diagenetici). In un dato sedimento

questi processi si attivano via via che aumenta lo spessore dei terreni di ricoprimento.

Ad opera della diagenesi i terreni si trasformano fino a diventare vere e proprie rocce.

Alterazione - Per effetto degli agenti esterni (acque meteoriche, gelo, insolazione, etc.) i terreni

in superficie subiscono processi di alterazione che comportano la rottura di legami in

precedenza formatisi, la formazione di nuovi minerali argillosi a spese di quelli esistenti

e la creazione di reticoli di fessure. Gli effetti dell'alterazione, che in generale

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comportano un peggioramento delle proprietà dei terreni, si riducono all'aumentare della

profondità rispetto alla superficie, ma possono risentirsi fino a molti metri di profondità.

Formazione di superfici di discontinuità o di minore resistenza - Numerosi depositi formati

da terreni argillosi, sia antichi che recenti, sono attraversati da reticoli di discontinuità

orientate regolarmente (giunti) o casualmente (fessure). Queste discontinuità possono

essersi formate per cause diverse: deformazioni di origine tettonica, scarico di tensioni a

seguito dell'erosione, alterazione, essiccamento, etc. I reticoli di discontinuità

conferiscono ad un deposito caratteristiche d'insieme diverse da quelle di un elemento di

volume dello stesso terreno privo di discontinuità.

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3 - ANALISI E CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI

3.1 - GENERALITA'

I terreni sono sistemi polifase. Ogni terreno è costituito da una fase solida (granuli), da

una fase liquida (generalmente acqua) e/o da una fase gassosa (aria). Nelle regioni a clima

temperato, ad una certa profondità dalla superficie del suolo (generalmente pochi metri), la fase

liquida è quasi sempre presente e frequentemente riempie del tutto gli interstizi tra i granuli

(terreni saturi). Nelle regioni a clima arido la fase liquida può mancare del tutto.

L'acqua presente nel sottosuolo può essere quella originaria dell'ambiente di formazione

dei terreni (terreni di origine alluvionale, lacustre, etc.) o può essere dovuta ad apporti meteorici

successivi alla formazione del terreno.

Si definiscono proprietà indici di un terreno le proprietà fisiche che ne esprimono

quantitativamente la composizione e lo stato di aggregazione. Alcune di queste proprietà

dipendono dalla natura e dalle dimensioni dei granuli (composizione granulometrica, peso

specifico dei granuli, caratteristiche di plasticità), altre dalla struttura del terreno e cioè dai

rapporti tra dimensioni, forma e posizione reciproca dei granuli e dalla presenza di un fluido

negli interstizi (peso dell'unità di volume, contenuto d'acqua, porosità, etc.). Alcune proprietà

indici non variano al variare dei fattori ambientali, del tempo e delle sollecitazioni applicate

(composizione granulometrica, peso specifico dei granuli, etc.), altre variano in dipendenza delle

vicissitudini alle quali i terreni sono sottoposti nella loro storia.

Nel caso dei terreni a grana grossa, la composizione mineralogica dei granuli (granuli

inerti) ha scarsa influenza sul comportamento fisico-meccanico dell'aggregato e per descriverne

quantitativamente le caratteristiche è sufficiente definire la distribuzione granulometrica, lo stato

di addensamento e la forma dei granuli. Al contrario, nel caso dei terreni a grana fina coerenti, il

comportamento dell'aggregato è influenzato dalla natura dei granuli da cui dipendono in misura

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notevole i fenomeni di interazione tra l'acqua e la parte solida. Per descrivere quindi in modo

completo le caratteristiche dei terreni a grana fina vengono definite altre proprietà indici

(caratteristiche di plasticità) che tengono conto della composizione mineralogica dei granuli.

Nella pratica geotecnica riveste enorme importanza poter confrontare le esperienze

acquisite da operatori diversi. E' quindi necessario definire un sistema di identificazione e

classificazione dei terreni che, pur limitandosi a considerare le caratteristiche del terreno più

facilmente determinabili, definisca in modo univoco alcuni parametri di riferimento. L'utilità di

un sistema di classificazione non si limita però alle possibilità di confronto tra situazioni simili;

in alcuni casi le proprietà meccaniche di un terreno sono prevedibili con sufficiente

approssimazione sulla base della determinazione di alcune semplici proprietà indici e spesso la

sola identificazione geotecnica di un terreno consente di progettare un opera di limitato

impegno.

3.2 - RELAZIONI TRA LE FASI COSTITUENTI UN TERRENO

Con riferimento alla Fig. 3.1, che rappresenta un elemento di terreno in cui le fasi

solida, liquida e gassosa sono idealmente separate le une dalle altre, si definiscono:

Fig. 3.1 - Separazione ideale delle fasi in un elemento di terreno

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1) Peso specifico dei granuli (γs = Ps/Vs kN/m3): dipende dalla natura mineralogica dei

granuli; il valore di γs dei più comuni costituenti dei terreni è compreso nell'intervallo 25÷28

kN/m3; valori minori di 25 kN/m

3 indicano in genere la presenza di sostanze organiche;

2) Contenuto d'acqua (w = Pw/Ps): è definito convenzionalmente come il rapporto (espresso in

percentuale) tra il peso dell'acqua persa per essiccamento in stufa a 105-110 °C ed il peso del

materiale essiccato;

3) Peso dell'unità di volume (γ = P/V kN/m3): è il rapporto tra il peso totale ed il volume di un

campione di terra; dipende dal peso specifico dei granuli, dalla porosità dell'assieme e dalla

percentuale dei pori riempiti d'acqua.

Le tre grandezze sopra definite sono direttamente determinabili in laboratorio con

specifiche prove su campioni di terreno.

Sempre con riferimento alla Fig. 3.1, si definiscono altre quattro grandezze di uso

comune:

4) Porosità (n = Vv/V): è definita come il rapporto (espresso in percentuale) tra il volume dei

vuoti ed il volume totale; dipende dalla granulometria, dalla forma dei granuli e dallo stato di

addensamento;

5) Indice dei vuoti (e = Vv/Vs): è definito come il rapporto tra il volume dei vuoti ed il volume

del solido; dipende dalla granulometria, dalla forma dei granuli e dallo stato di

addensamento;

6) Grado di saturazione (Sr = Vw/Vv): è definito come rapporto (espresso in percentuale) tra il

volume dell'acqua ed il volume dei pori;

7) Peso di volume del secco (γd = Ps/V kN/m3): è il rapporto tra il peso del campione di terra

essiccato in stufa alla temperatura di 105-110 °C ed il volume del campione stesso prima

dell'essiccamento.

Le grandezze da 4) a 7) non sono direttamente misurabili in laboratorio; esse vanno

ricavate dalle prime tre grandezze sopra definire.

Nella tabella 3.1 sono riportate alcune relazioni che legano le varie grandezze tra loro e

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nella tabella 3.2 i valori di alcune proprietà indici di terreni caratteristici.

Tabella 3.1: Relazioni tra le grandezze che descrivono la composizione e lo stato di

aggregazione di un terreno

Condizioni generali Condizioni di saturazione

Peso di volume γ= P/V γ= P/V (=γsat

)

Peso di volume secco γd = P

s/V γ

d = Ps/V = γ

sat/(1+w)

Indice dei vuoti e = Vv/V

s = (γs/γ

d)-1 e = V

w/V

s = (γs/γ

w)w

Porosità n = Vv/V x100 = e/(1+e) x100 n = V

w/V = γ

d/γ

w w

Grado di saturazione Sr = V

w/V

v = γsw/ γw

e Sr = 1

γw : peso specifico dell'acqua (≈10 kN/m3)

Tabella 3.2 - Valori di alcune proprietà indici di terreni caratteristici

γ (kN/m3) n (%) e w (%, a saturaz.)

Sabbia uniforme non addensata 18,9 46 0,85 32

Sabbia uniforme addensata 20,9 34 0,51 19

Sabbia assortita addensata 21,6 30 0,43 16

Argilla tenera 17,7 45 0,82 45

Argilla consistente 20,7 37 0,59 22

Argilla montmorillonitica 12,7 84 5,25 94

Un'altra importante caratteristica dei terreni incoerenti (sabbie e ghiaie) è lo stato di

addensamento dei granuli. Questo viene espresso dall'indice di addensamento Dr, così definito:

Dr =emax − e

emax − emin

dove emax ed emin sono i valori dell'indice dei vuoti corrispondenti rispettivamente al minimo ed

al massimo addensamento del particolare terreno.

20

In relazione al valore di Dr un terreno si definisce:

- non addensato Dr = 0 ÷ 0,35

- mediamente addensato Dr = 0,35 ÷ 0,65

- molto addensato Dr = 0,65 ÷ 1.

3.3 - CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI IN BASE ALLE CARATTERISTICHE

GRANULOMETRICHE

La più semplice classificazione dei terreni comunemente usata nel campo delle

applicazioni geotecniche è basata sulla dimensione dei granuli.

La suddivisione granulometrica adottata in Italia è quella proposta dall'Associazione

Geotecnica Italiana e riportata nel Capitolo 2.

L'analisi granulometrica di un campione di terreno viene eseguita in modo diverso a

seconda che il terreno sia a grana grossa (d > 0,06 mm) o a grana fina (d < 0,06 mm).

Nel caso di un campione di terreno a grana grossa, l'analisi viene eseguita ponendo il

materiale, preventivamente essiccato, su una pila di setacci aventi la dimensione delle maglie via

via decrescente; i setacci vengono agitati con l'ausilio di una macchina vibrante ed i granuli

costituenti il materiale si raccolgono nei diversi setacci a seconda delle loro dimensioni

(vagliatura meccanica). Il peso del materiale trattenuto da un dato setaccio riferito al peso

totale del campione è detto trattenuto (in percentuale). Il complemento a 100 della somma dei

trattenuti di tutti i setacci con dimensione delle maglie maggiore di quella del setaccio dato,

nonchè dello stesso setaccio, è detto passante al setaccio considerato (e viene espresso anch'esso

in percentuale).

Per definire la distribuzione granulometrica di terreni costituiti da granuli di dimensione

inferiore a 0,06 mm, si usa la tecnica della sedimentazione, basata sul principio che la velocità

di sedimentazione di particelle solide di forma sferica in un liquido dipende dal diametro delle

particelle stesse, dalla viscosità del liquido e dal rapporto tra le loro densità (Legge di Stokes). Il

materiale viene immerso in acqua all'interno di un recipiente tarato e viene disperso con

21

opportuni additivi che hanno la funzione di impedire l'aggregazione dei granuli (deflocculanti).

Al procedere della sedimentazione delle particelle solide viene misurata la variazione della

densità della miscela. Dalle misure di densità si risale alla velocità di sedimentazione e quindi

alle dimensioni dei granuli.

Fig. 3.2 - Curve granulometriche: a) granulometria uniforme (sabbia monogranulare); b)

granulometria assortita (limo argilloso con sabbia); c) granulometria discontinua

(limo con ghiaia debolmente argilloso)

Operando nei modi descritti è possibile costruire curve granulometriche in grafici aventi in

ascissa, in scala logaritmica, la dimensione dei granuli ed in ordinate, in scala lineare, la

percentuale di materiale passante o di trattenuto (Fig. 3.2).

Per la denominazione dei terreni costituiti da più frazioni granulometriche, vale la

seguente convenzione:

siano A,B,C i nomi relativi agli intervalli principali (argilla, limo,.....), siano P1,P2,P3 le

percentuali di A,B,C presenti nel terreno in esame; se P1>P2>P3 il terreno viene denominato

con il nome della frazione A seguito dai nomi delle frazioni B e C preceduti dalla congiunzione

"con" se il corrispondente valore di P è compreso tra il 50% ed il 25%, seguiti dal suffisso "oso"

se P è tra il 25% ed il 10%, infine seguiti dal suffisso "oso" e preceduti da "debolmente" se P è

compreso tra il 10% ed il 5% (ad esempio, un terreno formato dal 55% di sabbia ,dal 28% di

22

limo, dall'11% di argilla e dal 6% di ghiaia viene denominato: sabbia con limo,argillosa e

debolmente ghiaiosa).

3.4 - CARATTERISTICHE DI PLASTICITA' DEI TERRENI COESIVI E RELATIVE

CLASSIFICAZIONI

Il comportamento dei terreni coesivi è determinato soprattutto dalle azioni che si

scambiano i granuli e dalle interazioni tra questi e l'acqua presente nei vuoti del terreno. Le

proprietà dei terreni coesivi dipendondono quindi oltre che dalle dimensioni dei granuli anche

dalla loro natura.

Un terreno argilloso può contenere quantità d'acqua anche molto elevate; di questa

acqua parte è adsorbita (Paragrafo 2.4) e parte riempe i vuoti tra i granuli (acqua libera).

L'acqua adsorbita, al contrario di quella libera, non si elimina in un normale processo di

essiccamento a 105-110 °C.

Quanto più un argilla è costituita da granuli attivi dal punto di vista chimico-fisico tanto

più grande è la quantità di acqua che può trattenere e più ampio è il campo di variazione del

contenuto di acqua libera nel quale l'argilla mantiene un certo stato fisico (solido, plastico,

liquido), pur variando le sue caratteristiche di deformabilità.

Questo comportamento è alla base di un sistema di identificazione e classificazione dei

terreni coesivi che individua indirettamente la quantità e la natura dei minerali argillosi per

mezzo dei Limiti di consistenza (o Limiti di Atterberg).

Limiti di consistenza : sono contenuti d'acqua caratteristici di ciascun terreno a grana fina per i

quali si ha il passaggio da uno stato di consistenza ad un altro; essi sono determinati

sperimentalmente con prove convenzionali. All'aumentare del contenuto d'acqua la consistenza

del terreno diminuisce da quella di un solido a quella di un liquido.

23

Si definiscono:

wL : limite di liquidità wS wP wL (w%)

wP : limite di plasticità _______|___________|__________|__________>

wS : limite di ritiro consistenza consistenza consistenza consistenza

solida semi-solida plastica liquida

Poichè il passaggio di un terreno argilloso da uno stato fisico ad un altro avviene con

gradualità al variare del contenuto d'acqua, sono state ideate procedure standardizzate per

definire i contenuti d'acqua a cui far corrispondere i Limiti di consistenza.

Limite di liquidità: viene determinato con un apparecchio detto cucchiaio di Casagrande e

corrisponde al contenuto d'acqua per il quale, nella terra posta nell'apparecchio, un solco

tracciato con un apposito utensile si chiude dopo 25 cadute del cucchiaio.

Limite di plasticità: viene determinato formando per rotolamento cilindretti di terreno del

diametro di 3 mm e corrisponde al contenuto d'acqua per cui si presentano le prime screpolature

sulla superficie dei cilindretti.

Limite di ritiro: usualmente non viene determinato in quanto di scarsa utilità pratica. Esso è il

contenuto d'acqua corrispondente al passaggio dallo stato di saturazione a quello di non

saturazione.

Si definisce:

Indice di plasticità : IP = wL - wP

questo indice è generalmente impiegato, insieme al limite wL, per classificare i terreni a grana

fina. Terreni ricchi di minerali argillosi attivi possono fissare molta acqua e di conseguenza

24

hanno valori di IP elevati.

Per un dato terreno con contenuto d'acqua naturale w, noti i limiti di Atterberg, si può

valutare il grado di consistenza con la grandezza:

Indice di consistenza : IC =wL − w

wL − wP=

wL − w

IP

L'indice di consistenza IC risulta uguale a zero per w = wL e risulta uguale a 1 per w =

wP. Il valore di IC può fornire una stima delle proprietà meccaniche (resistenza e

compressibilità) di un dato terreno.

Si definisce:

Indice di Attività o Attività : A = IP / %<2μm

dove %<2μm è la percentuale della frazione argillosa del terreno. Questo indice fornisce una

stima dell'attività dei minerali argillosi presenti nel terreno (Fig. 3.3).

Fig. 3.3 - Attività delle argille

25

E' da notare che il solo valore dell'indice di plasticità non è sufficiente per definire

l'attività dei minerali argillosi presenti in un terreno. Infatti un valore elevato di IP (argilla molto

plastica) può dipendere sia da una bassa percentuale di minerali argillosi molto attivi sia da una

alta percentuale di minerali argillosi poco attivi.

Il metodo di classificazione proposto per i terreni coesivi da Casagrande si basa

sull'osservazione che per i campioni di argilla di un dato deposito vale in genere una relazione

lineare tra limite di liquidità e indice di plasticità e che gli scostamenti da questa relazione

denunciano un comportamento particolare. Nella fig. 3.4 è riportata la carta di plasticità di

Casagrande. Il diagramma è diviso in sei regioni ad ognuna delle quali corrispondono terreni

coesivi di natura e caratteristiche diverse. La carta di plasticità di Casagrande consente di avere

indicazioni sulle caratteristiche di plasticità e di compressibilità dei terreni a grana fina sulla

base di sole prove di identificazione.

Fig. 3.4 – Carta di plasticità di Casagrande.

IP < 10, wL<25: limi organici di bassa compressibilità ed argille inorganiche di bassa plasticità

(zona tratteggiata)

CH: argille inorganiche di alta plasticità

CL: argille inorganiche di media plasticità

MH e OH: limi inorganici di alta compressibilità ed argille organiche

ML e OL: limi inorganici di media compressibilità e limi organici

26

4 - L'ACQUA NEL TERRENO

4.1 - GENERALITA'

I terreni sono costituiti da una parte solida e da uno o più fluidi (acqua e/o aria). L'acqua

contenuta nei vuoti del terreno può trovarsi in stato di quiete (condizioni idrostatiche) oppure

può muoversi attraverso i vuoti tra loro comunicanti (moto di filtrazione). In genere i terreni

naturali sono saturi d'acqua (in quiete o in moto) a profondità maggiori di pochi metri dalla

superficie del suolo. Il comportamento dell'acqua nel terreno (considerata un mezzo

incomprimibile) è regolato dalle leggi dell'idraulica.

In Fig. 4.1.a è rappresentata la distribuzione della pressione con la profondità in una

massa liquida in condizioni idrostatiche ed in Fig. 4.1.b la distribuzione della pressione

dell'acqua con la profondità in un terreno saturo in condizioni di acqua in quiete.

Fig. 4.1 - Distribuzione con la profondità della pressione dell'acqua in una massa liquida

in condizioni idrostatiche (a) ed in un terreno saturo con acqua in quiete (b)

In una massa liquida la pressione dell'acqua (p) cresce linearmente con la profondità ed

è uguale in ogni punto al prodotto del peso specifico dell'acqua (γw) per la profondità zw del

punto considerato dalla superficie libera orizzontale, sulla quale insiste la pressione atmosferica

27

(pa), assunta convenzionalmente uguale a zero. La distribuzione della pressione dell'acqua

contenuta nei vuoti di un terreno saturo è la stessa di quella esistente in una massa liquida,

essendo i vuoti comunicanti tra loro. La pressione dell'acqua nei vuoti di un terreno si indica con

la lettera u.

La somma dell'altezza geometrica (rispetto ad una qualsiasi terna di riferimento) di un

punto della massa liquida in quiete (z) e dell'altezza di pressione (p/γw) si definisce altezza o

quota piezometrica (h) del punto considerato:

h = z + p/γw

In condizioni idrostatiche la quota piezometrica di tutti i punti della massa liquida

coincide con la quota della superficie di separazione acqua-atmosfera (superficie libera).

La pressione dell'acqua contenuta in un recipiente può essere misurata per mezzo di una

tubazione (piezometro) collegata con il recipiente stesso (Fig. 4.2.a). Il livello della superficie

libera dell'acqua nella tubazione definisce la quota piezometrica idrostatica, indipendentemente

dalla forma della tubazione; il dislivello zw tra un punto G all'interno del recipiente e la detta

superficie rappresenta l'altezza di pressione che moltiplicata per il peso specifico γw misura la

pressione dell'acqua nel punto G. Analogamente in un terreno saturo la pressione dell'acqua può

essere misurata per mezzo di un piezometro (Fig. 4.2.b).

Fig.4.2 - Schemi di piezometri

28

In una massa liquida in movimento si definisce superficie dei carichi il luogo dei punti

aventi la quota fornita dalla relazione:

H = h + (v2/2g)

Nella relazione v è la velocità dell'acqua e g è l'accelerazione di gravità. In queste

condizioni la superficie dei carichi non coincide con la superficie libera (quando esiste), ma si

trova in ogni punto ad una quota più elevata della quantità v2/2g che prende il nome di altezza

cinetica. L'altezza di carico totale (H) di ogni punto della massa si definisce quindi come la

somma dell'altezza piezometrica e della altezza cinetica.

Da un punto di vista energetico l'altezza di carico totale H rappresenta il valore

dell'energia meccanica specifica posseduta dal fluido; essa è la somma della energia di

posizione (termine z), dell'energia di pressione (p/γw) e dell'energia cinetica (v2/2g).

4.2 - FILTRAZIONE E PERMEABILITA'

Nel caso di un moto di filtrazione attraverso un terreno il termine v2/2g può essere

trascurato, dati i piccoli valori della velocità dell'acqua; ne risulta in questo caso l'equivalenza tra

altezza di carico totale e altezza piezometrica (H=h).

Si definisce pendenza piezometrica (o gradiente idraulico) il limite:

i = lim Δh/Δl

Δl 0

ove Δh è la differenza di quota piezometrica (perdita di carico) tra due punti posti a distanza Δl.

In un mezzo poroso saturo con acqua in quiete, l'altezza piezometrica è in ogni punto la

stessa; ne deriva che in due punti posti a quote diverse, (ad esempio A e B di Fig. 4.3.a), la

pressione dell'acqua è diversa e tale che risulta (uB-uA)/γw = zA- zB.

29

Affinchè tra due punti A e B in un mezzo poroso saturo si abbia moto dell'acqua, tra i

punti stessi deve esserci una differenza di carico idraulico, deve cioè essere hA≠hB. La

differenza di altezza piezometrica può essere dovuta sia alla differenza di quota tra i due punti

aventi uguale pressione (Fig.4.3.b), sia ad una differenza di altezza di pressione (Fig. 4.3.c). La

differenza di altezza di pressione può compensare anche una differenza di quota, per cui nel

caso della Fig. 4.3.c l'acqua si muove dal punto a quota minore al punto a quota maggiore.

In definitiva, tra due punti di un mezzo poroso saturo, l'acqua si muove se tra i punti

stessi esiste una differenza di carico idraulico che rappresenta la differenza di energia meccanica

specifica posseduta dall'acqua in corrispondenza dei due punti.

Fig.4.3 - Condizioni idrostatiche (a) e idrodinamiche (b,c) in un mezzo poroso saturo

30

Il movimento dell'acqua nel terreno, considerato un mezzo poroso omogeneo ed

isotropo, può essere studiato nell'ipotesi di regime permanente (in ogni punto la velocità

dell'acqua è costante nel tempo). Alla velocità dell'acqua nel mezzo poroso viene attribuito un

valore medio fittizio (v), pari al rapporto tra la portata (Q) dell'acqua attraverso una sezione e la

superficie complessiva della sezione stessa (vuoti più pieni rappresentati dai granuli). Pertanto v

è minore della velocità reale delle particelle liquide.

Con riferimento allo schema di Fig. 4.4.a, per una corrente in pressione la velocità v è

data dalla seguente legge sperimentale (legge di Darcy):

v = k i

dove i = Δh/Δl è il gradiente idraulico (i è costante essendo costante la sezione A del tratto

filtrante) e k prende il nome di coefficiente di permeabilità. Il valore del coefficiente k (che ha

le dimensioni di una velocità) dipende dalle caratteristiche del terreno ed in particolare dalle

dimensioni dei pori.

Fig. 4.4 - Schemi di filtrazione in regime permanente: a) corrente in pressione; b) corrente a

superficie libera

Sempre con riferimento alla Fig. 4.4.a, la portata Q (volume di acqua che transita nella

sezione A nell'unità di tempo) è data dal prodotto v x A.

31

In un mezzo poroso saturo in cui l'acqua è in movimento si definiscono:

- linea di flusso: la linea la cui tangente in ogni punto determina la direzione della velocità di

filtrazione;

- linea equipotenziale: il luogo dei punti aventi egual carico idraulico (h), cioé il luogo dei punti

in corrispondenza dei quali la somma dell'altezza geometrica e dell'altezza di pressione è

costante;

- rete idrodinamica: l'insieme delle linee di flusso e delle linee equipotenziali; in un mezzo

isotropo nei riguardi della permeabilità le linee di flusso sono ortogonali alle linee

equipotenziali.

Nello schema di Fig. 4.4.a, nel tratto filtrante le linee di flusso sono segmenti di rette

orizzontali e le linee equipotenziali sono segmenti di rette verticali.

Nello schema di Fig. 4.4.b (moto a superficie libera), le linee di flusso e quelle

equipotenziali non sono rettilinee; fanno eccezione la linea di flusso XY, corrispondente alla

base del tratto filtrante, e le due linee equipotenziali XX e YY. Inoltre, la sezione del tratto

filtrante è variabile e, ad una portata Q costante, corrisponde una velocità v crescente da X verso

Y; la pendenza piezometrica (riferita alla linea di flusso coincidente con la superficie libera) è

variabile lungo il percorso atraverso il mezzo di permeabilità costante e cresce anch'essa da X

verso Y.

In tabella 4.1 si riportano i campi di variazione del valore del coefficiente di

permeabilità k per diversi terreni.

Tabella 4.1 – Valori tipici della permeabilità dei terreni

TERRENO k (m/s) GRADO DI PERMEABILITÀ

ghiaia pulita 1÷10-2

alto

sabbia pulita e miscele di sabbia e ghiaia 10-2

÷10-5

medio

sabbia fina, limi, terreni a granulometria mista

da sabbia ad argilla 10

-5÷10

-8 basso o molto basso

argilla 10-8

÷10-11

praticamente impermeabile

32

Il coefficiente di permeabilità di un terreno può essere determinato in laboratorio su

provini di piccole dimensioni. Si utilizzano particolari apparecchi (permeametri) per ricavare la

permeabilità dei terreni a grana grossa e si utilizza l'apparecchio edometrico per i terreni a

grana fina.

Va tenuto presente che il valore del coefficiente k misurato in laboratorio può non

essere rappresentativo della permeabilità in sito del deposito dal quale proviene il campione. Ciò

è dovuto al fatto che nei depositi naturali sono presenti livelli e lenti di materiali più o meno

permeabili del terreno formante la maggior parte del deposito stesso. In queste condizioni la

permeabilità di insieme del terreno può essere valutata per mezzo di prove in sito che consistono

nel variare le condizioni di filtrazione per mezzo di emungimenti da pozzo e controllare gli

effetti di tali emungimenti in termini di variazione delle quote piezometriche.

4.3 - FALDE IDRICHE

Si definisce falda idrica quella parte di sottosuolo in cui il terreno è saturo e la

pressione dell'acqua nei pori è maggiore della pressione atmosferica, cioé u > pa = 0.

In particolare si distinguono:

- falda freatica: falda con superficie superiore (superficie libera) a contatto con l'ambiente

atmosferico attraverso i vuoti del terreno (sulla superficie limite superiore u=pa=0);

- falda artesiana: falda con superficie superiore a contatto con mezzi praticamente

impermeabili (sulla superficie limite superiore u>pa).

In una falda artesiana può accadere che la superficie dei carichi sia a quote maggiori

della superficie del suolo; in questo caso l'acqua può sgorgare naturalmente attraverso pozzi

praticati nelle formazioni a tetto della falda idrica. Talvolta una falda può essere in parte freatica

ed in parte artesiana (Fig. 4.5).

33

Fig.4.5 - Esempi di falde idriche

4.4. CAPILLARITA'

Al di sopra delle falde freatiche esiste una zona, di altezza variabile con le dimensioni

dei vuoti del terreno, in cui l'acqua risale e viene trattenuta per capillarità. Questa zona è detta

frangia capillare.

La capillarità è il fenomeno per cui l'acqua, soggetta alla tensione superficiale ed alle

forze di attrazione con i materiali presenti, è sottoposta ad una forza la cui risultante si oppone

alla gravità e tende pertanto a risalire nei vuoti a disposizione. In un tubo di diametro molto

piccolo immerso in acqua: l'acqua risale nel tubo per una altezza che è funzione del diametro del

tubo stesso (più piccolo è il diametro più grande è l'altezza di risalita) e della natura del materiale

che lo costituisce. Nella frangia capillare la pressione dell'acqua è minore della pressione

atmosferica. Al diminuire della dimensione dei vuoti nel terreno l'altezza di risalita capillare

aumenta; i terreni a grana grossa anche poco al di sopra della superficie libera della falda sono

parzialmente saturi, mentre i terreni argillosi possono essere saturi anche per altezze notevoli al

di sopra di tale superficie (Fig. 4.6).

34

Fig.4.6 - Falda idrica e frangia capillare

hcmin: risalita capillare minima, funzione dei pori di maggiore dimensione

hcmax: risalita capillare massima, funzione dei pori di minore dimensione

hcmin (m) hcmax (m)

ghiaia 0,06 0,06

ghiaia sabbiosa 0,20 0,20

sabbia 1,20 1,20

limo 1,80 3,60

35

5 - INDAGINI GEOTECNICHE

5.1 - GENERALITA'

Il progetto di un'opera di ingegneria richiede l'acquisizione di informazioni e dati di

diversa natura (dati geometrici, dati relativi alle caratteristiche dei materiali, etc.). Mentre nel

campo della progettazione e della costruzione delle strutture, l'acquisizione dei dati relativi alle

caratteristiche dei materiali (acciaio, calcestruzzo) è relativamente semplice (tali materiali hanno

caratteristiche note e poco variabili), nel settore della Geotecnica è necessario caratterizzare

volta per volta, dal punto di vista fisico e meccanico, la parte di sottosuolo che influenza il

comportamento dell'opera in progetto.

I dati e le informazioni necessari a caratterizzare il sottosuolo devono essere acquisiti

con indagini che vengono eseguite al fine di raccogliere tutti gli elementi qualitativi e

quantitativi occorrenti per il progetto dell'opera.

Poichè le situazioni naturali sono molto variabili, ogni opera richiede uno specifico

programma di indagini geotecniche. A questo proposito le Norme Tecniche contenute nel D.M.

11.3.1988 stabiliscono i criteri di carattere generale da seguire per il progetto e l'esecuzione di

una campagna di indagini.

Gli elementi acquisiti per mezzo delle indagini (costituzione del sottosuolo, regime

delle acque sotterranee, proprietà fisiche e meccaniche dei terreni, etc.) devono consentire di

schematizzare la complessa situazione naturale allo scopo di ricostruire un "modello" del

sottosuolo per eseguire le elaborazioni ed i calcoli di progetto.

L'indagine geotecnica deve essere sempre eseguita, con l'eccezione delle opere di

modesto rilievo che ricadano in zone ben note dal punto di vista geotecnico. Il livello di

approfondimento dell'indagine è ovviamente funzione del tipo di opera e della complessità

della situazione. Quando l'indagine geotecnica non viene eseguita, o è eseguita male, oppure è

insufficiente, le successive fasi del progetto risultano generalmente compromesse; i risparmi

effettuati nella fase di indagine si scontano in corso di costruzione con ritardi e varianti di

36

progetto.

Da un punto di vista generale le finalità dell'indagine geotecnica possono essere

sintetizzate nei seguenti punti:

- verificare la fattibilità dell'opera in progetto;

- predisporre un progetto dell'opera valido dal punto di vista tecnico ed economico;

- individuare i procedimenti costruttivi più idonei (ad esempio, nel caso di fondazioni su pali

definire il tipo di palo: infisso o trivellato);

- prevedere le modifiche che l'inserimento dell'opera può causare nell'area circostante;

- valutare il grado di sicurezza di opere esistenti o di situazioni naturali, per quanto attiene gli

aspetti geotecnici, e progettare gli eventuali interventi di stabilizzazione (ad esempio,

costruzioni su pendii, costruzioni che prevedono scavi profondi, etc.).

Nel caso di opere che interessino aree vaste o che si sviluppino nel sottosuolo in

profondità (ad esempio: nuovi insediamenti urbani, vie di comunicazione, gallerie, etc.), è

indispensabile eseguire un'indagine geologica dell'area di studio. Tale indagine è indispensabile

anche quando le opere ricadono in zone "difficili" dal punto di vista geologico e geotecnico (ad

esempio: pendii in frana, aree in subsidenza, zone sedi di cavità sotterranee, etc.). In tutti gli

altri casi è utile, in particolare se si opera in zone la cui geologia non è nota; di regola è

superflua nelle zone note e per opere di modesto rilievo.

L'indagine geologica deve essere estesa ad un'area più ampia di quella direttamente

interessata dall'opera in progetto e deve essere strettamente finalizzata a fornire al progettista il

quadro della situazione naturale esistente. I relativi mezzi di indagine sono di competenza del

geologo. L'indagine geologica e quella geotecnica sono complementari e devono, ovviamente,

essere congruenti.

5.2 - PROGETTO E FASI DELL'INDAGINE GEOTECNICA

L'indagine deve essere eseguita sulla base di uno specifico programma (progetto) che

deve tenere conto della complessità della situazione geologica e geotecnica e delle caratteristiche

37

dell'opera.

Il programma delle indagini viene stabilito in base a:

- finalità dello studio (varificare la fattibilità di un'opera; redigere un progetto, ecc.);

- dati e conoscenze a disposizione sulla natura dei terreni;

- costo dell'indagine e tempo occorrente alla sua esecuzione;

- mezzi di indagine a disposizione.

Per opere di modesta importanza conviene eseguire le indagini in un'unica fase sulla

base di un programma prestabilito (eventualmente modificandolo qualora i primi accertamenti

mettessero in luce una situazione diversa da quella prevista).

Nel caso di grandi opere è preferibile suddividere le indagini nelle fasi corrispondenti

alle tappe della progettazione. Per ottenere i massimi risultati è importante che il lavoro di

indagine e quello di progetto dell'opera siano condotti in parallelo con continui scambi di

informazioni e di dati. I dati raccolti con l'indagine suggeriscono soluzioni progettuali e queste

indirizzano lo sviluppo delle indagini. E' in genere opportuno che la maggior parte delle indagini

sia eseguita nella fase del progetto di massima in modo che nella fase esecutiva della

progettazione non vengano messe in luce situazioni tali da modificare completamente

l'impostazione dell'opera.

Un'indagine geotecnica può essere suddivisa nelle seguenti fasi:

- accertamento della fattibilità;

- progetto di massima ed esecutivo;

- costruzione;

- esercizio dell'opera.

Accertamento della fattibilità - La fase preliminare di una indagine geotecnica consiste nella

raccolta di dati e notizie dalla letteratura e dalla esperienza derivante dalla costruzione di altre

opere.

Nella fase di accertamento della fattibilità di un opera devono essere valutati la stabilità

38

di insieme della zona, prima ed a seguito della costruzione del manufatto in progetto, ed i

problemi specifici del manufatto stesso. In questa fase è necessario conoscere nelle grandi linee

la struttura del sottosuolo, i tipi di terreno presenti e si deve accertare la presenza di eventuali

falde idriche.

Progetti di massima ed esecutivo - In queste fasi deve essere approfondita la caratterizzazione

geotecnica del sottosuolo al fine di consentire la individuazione delle soluzioni possibili ed il

loro confronto tecnico-economico (progetto di massima), la scelta della soluzione definitiva e

l'esame delle questioni tecnologiche (progetto esecutivo).

L'indagine geotecnica deve quindi fornire il profilo stratigrafico del sottosuolo, le

proprietà fisiche e meccaniche dei terreni che lo costituiscono, la profondità ed il regime delle

acque sotterranee.

Costruzione dell'opera - Durante questa fase si dovranno verificare le schematizzazioni di

progetto ed, eventualmente, adattare il progetto stesso alle effettive condizioni riscontrate in sito.

Se l'indagine è stata eseguita correttamente, il rischio di varianti sostanziali in corso d'opera è

molto ridotto.

Esercizio dell'opera - Indagini e controlli dovrebbero essere proseguiti anche ad opera ultimata,

al fine di verificare le previsioni di progetto. Ciò è obbligatorio nel caso di grandi opere.

5.3 - AMPIEZZA DELL'INDAGINE (VOLUME SIGNIFICATIVO)

L'indagine geotecnica deve riguardare quella parte del sottosuolo che verrà influenzata

dalla costruzione del manufatto o che influenzerà il comportamento del manufatto stesso. Questa

parte di terreno si definisce volume significativo dell'indagine e la sua estensione dipende dallo

specifico problema.

Nel caso delle fondazioni di un edificio, l'indagine verrà estesa fino a dove si

verificheranno significative variazioni dello stato tensionale nel sottosuolo (Capitolo 9). La

39

presenza nel sottosuolo di terreni particolarmente scadenti o di terreni molto resistenti può

modificare il volume significativo.

In genere il volume di terreno direttamente sottoposto ad indagine è dell'ordine di

qualche percento del volume significativo e quindi, nel caso di un sottosuolo molto eterogeneo,

l'indagine stessa deve essere particolarmente accurata ed estesa per poter ottenere i dati necessari

alla previsione del comportamento dell'opera.

5.4 - MEZZI DI INDAGINE

Come detto, l'indagine geotecnica deve fornire dati relativi a:

- successione dei terreni presenti nel sottosuolo in tutto il volume significativo;

- proprietà fisiche e meccaniche dei terreni;

- caratteristiche idrauliche del sottosuoluo.

Nella tabella 5.1 sono riassunti, per ciascuna delle finalità indicate, i principali mezzi di

indagine comunemente utilizzati.

Tabella 5.1 - Mezzi di indagine FINALITA' MEZZI DI INDAGINE

Diretti Indiretti

scavi - pozzi - trincee - cunicoli

- indagini geofisiche - prove penetrometriche

Ricostruzione del profilo

stratigrafico perforazioni di sondaggio

in laboratorio - prove su campioni

Determinazione delle proprietà

fisiche e meccaniche dei terreni in sito - prove penetrometriche

- prove scissometriche

Misura della pressione neutra

piezometri

- a tubo aperto

- Casagrande

- celle piezometriche

40

5.4.1 - Ricostruzione del profilo stratigrafico

Scavi: consentono l'osservazione diretta del sottosuolo (tipo e natura dei terreni, successione e

spessore delle eventuali stratificazioni, loro giacitura, ecc.).

Gli scavi di indagine si possono distinguere in:

- trincee: lo scavo viene eseguito a mano o con mezzi meccanici, generalmente a profondità di

2-4 m (al massimo fino a 8 m);

- gallerie o cunicoli: generalmente lo scavo è eseguito a mano, con armature di sostegno;

- pozzi: generalmente con scavo a mano e con armature di sostegno.

Perforazioni di sondaggio (dette anche semplicemente "sondaggi"): consentono di ricostruire

il profilo stratigrafico mediante l'esame di campioni di terreno estratti.

Le tecnologie di esecuzione più comuni sono la perforazione a percussione e quella a

rotazione.

- Perforazione a percussione (Fig. 5.1.a) - L'utensile di perforazione più comunemente usato

è costituito da una sonda a valvola (curetta) che viene infissa nel terreno per caduta; durante

l'infissione la valvola si apre; durante l'estrazione la valvola si chiude e trattiene il terreno;

una volta riempitasi di terreno, la sonda viene portata in superficie e scaricata dalla parte

superiore. Poichè la perforazione è eseguita in presenza d'acqua, immessa nel foro o

proveniente dalla falda idrica, i materiali estratti, quando sono incoerenti, vengonono dilavati,

con la conseguente perdita della frazione fina; se i terreni sono coesivi rigonfiano ed

assorbono acqua.

La profondità raggiungibile ed il diametro del foro di sondaggio dipendono dal tipo di

utensile usato e dalla energia d'urto, nonchè dalla natura del terreno. I diametri usuali variano

da 150 a 600 mm; la profondità massima raggiungibile con questo tipo di tecnica è circa 60

m.

- Perforazione a rotazione (Fig. 5.1.b) - E' eseguita mediante un utensile che asporta

frammenti di materiale, ruotando sul fondo del foro ed isolando all'interno una carota di

41

terreno. Con questa tecnica si può attraversare qualsiasi tipo di terreno; la profondità ed il

diametro dei fori dipendono dalla potenza e dal tipo di macchinari impiegati. Per le indagini

geotecniche si adottano diametri compresi tra 75 e 150 mm. Per eseguire il foro è spesso

indispensabile la circolazione di un fluido (acqua, fango bentonitico, aria compressa)

immesso attraverso le aste (circolazione diretta) o lungo le pareti del foro stesso (circolazione

inversa).

L'utensile di perforazione più semplice consiste in un tubo di acciaio (carotiere) la cui

estremità inferiore è costituita da una corona tagliente provvista di elementi di metallo duro o

di diamante. Il metodo consente il prelievo continuo di materiale, in particolare in terreni

coesivi consistenti. E' di regola difficile prelevare campioni di terreni granulari incoerenti o di

terreni coesivi teneri.

Un altro utensile di perforazione è il doppio carotiere, costituito da due tubi

concentrici dei quali solo l'esterno ruota. Il tubo interno raccoglie il campione evitando che

esso venga in contatto con la parte rotante dell'utensile e proteggendolo parzialmente

dall'azione dilavante del fluido di circolazione. E' così possibile ottenere campioni anche di

terreni eterogenei o molto fratturati.

Fig. 5.1 - a) attrezzatura per perforazione a percussione; b) attrezzatura per perforazione a

rotazione

42

Indagini geofisiche (metodi indiretti) - Possono fornire un quadro generale della costituzione del

sottosuolo con costi relativamente bassi. L'impiego di questo tipo di indagini è di regola limitato

alle opere che interessano aree molto vaste. Esse si basano sulla misura di determinate

caratteristiche fisiche dei terreni (conducibilità elettrica, velocità di propagazione delle onde

elastiche, etc.). I terreni vengono riconosciuti in base ai diversi valori assunti dalla particolare

caratteristica fisica misurata.

Ad esempio: il metodo "sismico a rifrazione" permette di individuare nel sottosuolo

terreni con differente velocità di propagazione delle onde elastiche longitudinali (ricerca di

substrati consistenti); il metodo dei "sondaggi elettrici verticali" permette di individuare nel

sottosuolo terreni con diversa resistività elettrica (ricerca di falde acquifere e di terreni a grana

grossa).

Di regola i risultati forniti dalle indagini geofisiche devono essere interpretati con

l'ausilio dei dati forniti da perforazioni di sondaggio.

5.4.2 - Campionamento

Le proprietà fisiche e meccaniche dei terreni costituenti il sottosuolo possono essere

determinate per mezzo di prove da eseguire in laboratorio su campioni di terreno e di prove da

eseguire in sito con tecniche ed apparecchiature particolari. La finalità dei diversi tipi di prova e

le relative tecniche sperimentali verranno trattate in un capitolo successivo; in questo paragrafo

sono descritte le modalità di prelievo dei campioni di terreno da sottoporre alla sperimentazione

di laboratorio e le caratteristiche che tali campioni devono avere.

Per la determinazione delle proprietà fisiche e meccaniche dei terreni devono essere

prelevati campioni di terreno che conservino la struttura, il contenuto d'acqua e la consistenza

propri del terreno nella sua sede (campioni indisturbati).

Il prelievo di campioni può essere effettuato da scavi o per mezzo di perforazioni di

sondaggio. Il prelievo di campioni indisturbati è una operazione molto delicata che deve essere

43

eseguita da personale qualificato con tecniche e strumenti adatti alle caratteristiche del terreno.

Non è di regola possibile, con mezzi ed apparecchiature semplici, prelevare campioni

indisturbati di terreni incoerenti.

In base al grado di disturbo che i campioni presentano, ovvero in base alla quantità di

informazioni geotecniche che da essi si possono ricavare, i campioni sono classificati come

indicato in tabella 5.2.

Il prelievo di campioni indisturbati richiede utensili particolari (campionatori) di

caratteristiche diverse a seconda della natura del terreno.

I campioni disturbati possono essere prelevati senza ricorrere ad attrezzature particolari,

ma sono utili solo ai fini della ricostruzione del profilo stratigrafico.

Tabella 5.2 - Classi di qualità dei campioni

Caratteristiche geotecniche determinabili Grado di qualità Q1 Q2 Q3 Q4 Q5 Profilo stratigrafico

#

#

#

#

#

Composizione granulometrica

#

#

#

#

Contenuto d'acqua naturale

#

#

#

Peso dell'unità di volume

#

#

Caratteristiche meccaniche (Resistenza, deformabilità,...)

#

Q1, Q2, Q3: Campioni disturbati o rimaneggiati

Q4: Campioni a disturbo limitato

Q5: Campioni indisturbati

Prelievo da scavi di indagine - Campioni di qualità Q5 possono essere estratti dalle pareti e dal

fondo degli scavi utilizzando appositi cilindri campionatori da infiggere a pressione nel terreno.

Dagli scavi possono anche essere prelevati blocchi di terreno, i quali dopo essere stati asportati

devono essere avvolti in involucri impermeabili e posti in cassette con un imballaggio morbido.

Prelievo di campioni per mezzo di perforazioni di sondaggio - Possono essere ottenuti

44

campioni a disturbo limitato o campioni del tutto indisturbati scegliendo gli utensili appropriati,

in relazione alle caratteristiche del terreno ed alle esigenze dello specifico problema.

Per avere la possibilità di effettuare in laboratorio le prove geotecniche necessarie a

determinare le caratteristiche meccaniche di un campione di terreno, questo deve avere le

seguenti dimensioni minime: diametro d =100 mm e lunghezza L = 600 mm.

Campioni di qualità Q1, Q2 e Q3 possono essere ottenuti con i normali utensili da

perforazione. Essi devono essere conservati ordinatamente in apposite cassette, senza particolari

protezioni contro perdite di umidità (Q1 e Q2), oppure in sacchetti o barattoli a tenuta (Q3).

Fig. 5.2 - a) campionatore a pressione a parete sottile (tipo Shelby); b) campionatore a

rotazione a doppia parete (tipo Mazier)

Fra i tipi di utensili più comunemente utilizzati per il campionamento sono da ricordare:

- campionatore a parete sottile (tipo Shelby), utilizzato generalmente in terreni a grana fina,

45

poco o moderatamente consistenti (fig. 5.2.a); il tubo di infissione, in acciaio di qualità, è

impiegato anche come contenitore;

- campionatore a rotazione a doppia parete (tipo Denison o Mazier) con scarpa tagliente

avanzata (Fig. 5.2.b); si impiega in terreni coesivi di elevata consistenza nei quali non sia

possibile l'infissione di campionatori a pressione; il tubo interno, non rotante, che funziona

da contenitore è spinto nel terreno mentre il tubo esterno, rotante e dotato di corona tagliente,

asporta il terreno circostante; per un buon campionamento è indispensabile che la scarpa del

tubo interno sporga rispetto alla corona dentata del tubo rotante.

5.2.3 - Misura della pressione neutra

In tutti i problemi geotecnici ha importanza fondamentale la conoscenza della

distribuzione dei valori della pressione neutra. La misura della pressione neutra può essere

effettuata con diversi tipi di strumenti (piezometri), a seconda che le misure vengano effettuate

in terreni permeabili o in terreni poco permeabili.

Piezometro a tubo aperto (Fig. 5.3.a) - Può essere utilizzato solo in terreni omogenei di

permeabilità elevata ( k > 10-5 m/s ), sede di una falda idrica in quiete. E' costituito da un tubo

di metallo o di materiale plastico posto in un foro trivellato nel terreno. Dopo la posa in opera

del tubo, che può essere perforato solo nel tratto finale o per tutta la lunghezza, l'intercapedine

tra il tubo e la parete del foro viene riempita con materiale filtrante (sabbia o ghiaietto).

La misura della profondità del livello dell'acqua viene effettuata calando nel tubo

piezometrico una apposita sonda elettrica mediante un cavo graduato. Quando la sonda

raggiunge il livello dell'acqua nel tubo emette un segnale acustico e si procede quindi alla misura

della profondità della sonda mediante il cavo graduato.

Piezometro Casagrande (Fig. 5.3.b) - Nelle situazioni più usuali, informazioni di buona qualità

sui valori della pressione neutra si possono avere con questo strumento, che consente di eseguire

misure "puntuali" e segnala con sufficiente rapidità le variazioni della pressione dell'acqua nel

46

sottosuolo. Questo piezometro è costituito da un cilindro di materiale poroso (ceramica, bronzo

sinterizzato) con diametro di 35-50 mm, avente una cavità interna collegata con due tubi

piezometrici di diametro molto piccolo (minimo 7 mm).

I piezometri Casagrande sono calati in fori trivellati fino alla profondità alla quale si

vuole effettuare la misura; il tratto di misura deve essere isolato con tamponi impermeabili (in

genere di bentonite) di spessore sufficiente ad evitare l'infiltrazione di acqua dai tratti superiore

ed inferiore. La misura del livello dell'acqua nel tubo piezometrico si esegue anche in questo

caso con scandagli elettrici. Il tempo di risposta, dato il piccolo volume di acqua contenuto nello

strumento, è relativamente breve. L'impiego dei piezometri Casagrande è limitato ai terreni di

permeabilità media (k>10-8 m/s).

Celle piezometriche - Si tratta di apparecchiature abbastanza sofisticate il cui impiego è

giustificato per opere di notevole impegno o per ragioni di studio. Le celle piezometriche sono in

genere costituite da un filtro di materiale poroso; l'acqua che penetra nel filtro esercita una

pressione su una membrana deformabile alla quale sono connessi trasduttori di vario tipo (celle

piezometriche a filo vibrante, elettropneumatiche, etc.). Con questi piezometri non si ha

movimento di acqua per cui il tempo di risposta è brevissimo anche in terreni a permeabilità

molto bassa.

Le celle piezometriche vengono calate in fori di sondaggio alla profondità alla quale si

vuole eseguire la misura; come nel caso del piezometro Casagrande il tratto di misura deve

essere isolato con tamponi impermeabili.

L'attendibilità delle misure di pressione neutra, indipendentemente dal tipo di strumento

impiegato, dipende dalle modalità di posa in opera e in particolare dalla sigillatura del tratto di

foro in cui si esegue la misura.

47

Fig. 5.3 - a) piezometro a tubo aperto; b) piezometro Casagrande

48

6 - TENSIONI E DEFORMAZIONI NEL TERRENO

6.1 - TENSIONI NEL TERRENO

Il terreno, come visto, è un mezzo polifase in cui la fase solida è costituita dai granuli

che formano uno scheletro solido continuo e la fase fluida da acqua e/o aria che ne riempiono i

vuoti.

Nello studio del comportamento meccanico, il terreno, indipendentemente dalla sua

natura, viene assimilato ad un mezzo ideale continuo con caratteristiche indipendenti dalle

dimensioni dell'elemento di volume considerato; al sistema delle forze intergranulari e degli

spostamenti tra i granuli si sostituiscono le tensioni e le deformazioni di un mezzo continuo.

Si consideri, ad esempio, il caso di un terreno asciutto costituito da granuli sferici

disposti secondo i vertici di un cubo di lato "b", sottoposto al sistema di forze N, Tzx e Tzy

definito come in Fig. 6.1.

Fig. 6.1 - Schema per la definizione delle tensioni nel terreno

49

In corrispondenza del piano orizzontale passante per i punti di contatto tra le sfere si

definisce tensione normale la quantità:

σ =N

A A = b2( ) (6.2.1)

Sullo stesso piano, in maniera del tutto analoga, si definiscono le tensioni tangenziali (o di

taglio):

τzy =Tzy

A τzx =

Tzx

A (6.2.2)

Le tensioni normali e tangenziali definite come sopra, cioè secondo i criteri della

Meccanica del continuo, non sono da confondere con le tensioni che si trasmettono i granuli al

contatto. Se As è l'area di effettivo contatto tra i granuli sulla sezione considerata, la tensione di

contatto (o tensione intergranulare) è data da:

σs =N

As

Tenuto conto che As è molto più piccola di A , σs assume valori molto più elevati di σ

(fino ad alcune centinaia di MPa nei terreni a grana grossa).

In quanto segue si farà sempre riferimento alle tensioni definite come rapporto tra forza

ed area totale (vuoti + pieni) secondo le (6.2.1) e (6.2.2).

6.2 - TENSIONE TOTALE, PRESSIONE NEUTRA E TENSIONE EFFICACE

Nell'esempio considerato nel precedente paragrafo si è assunto che la pressione del

fluido contenuto nei pori sia nulla. Questo caso si verifica in natura solo nei terreni incoerenti

50

asciutti.

Nei terreni al di sotto del livello della falda idrica il volume dei pori è occupato

dall'acqua con pressione maggiore della pressione atmosferica (pressione interstiziale o

pressione neutra: u).

Si consideri ora un campione di terreno contenuto in un cilindro a pareti indeformabili,

sottoposto all'azione di una forza verticale F e di un carico idraulico, come rappresentato in Fig.

6.2. La forza F comprende, oltre al carico esterno agente sul pistone, anche il peso del pistone,

quello dell'acqua posta al di sopra dello stesso pistone e quello del terreno compreso tra il

pistone e il piano X-X.

Sia A0 l'area della sezione orizzontale del cilindro.

Fig. 6.2 - Campione di terreno in un cilindro a pareti indeformabili

In corrispondenza della superficie X-X, la pressione neutra è: u = γw zw

Si definiscono:

- tensione totale σ = F/A0

- tensione efficace σ' = σ - u = F/A0 - γw zw

L'equazione

σ = σ' + u (6.1.3)

51

è l'equazione fondamentale della Geotecnica. Essa mostra che una sollecitazione applicata ad un

terreno è, per una parte, sopportata dallo scheletro solido (tensione efficace) e, per un'altra parte,

dal fluido interstiziale (pressione neutra); in altre parole, una parte u agisce sull'acqua e sulla

fase solida, con uguale intensità in ogni direzione, ed un'altra parte σ' ha sede esclusivamente

nella fase solida.

In un terreno asciutto, essendo u = 0, la tensione efficace coincide con la tensione

totale; cioè σ' = σ.

L'equazione (6.1.3) è nota come equazione delle tensioni efficaci ed è stata dedotta

dalle osservazioni sperimentali; come si vedrà meglio nel seguito, essa è indispensabile per lo

studio del comportamento meccanico dei terreni e per la risoluzione dei problemi applicativi.

E' necessario tener presente che:

1 - la tensione totale e la pressione neutra possono essere calcolate o misurate

sperimentalmente;

2 - la tensione efficace può essere ricavata solo dai valori della tensione totale e della

pressione neutra tramite l'equazione (6.1.3).

La tensione tangenziale:

τ =TA

non è influenzata dalla presenza dell'acqua, in quanto l'acqua non trasmette sforzi di taglio.

6.3 - RAPPRESENTAZIONE DEGLI STATI DI TENSIONE

Lo stato di tensione nel terreno, considerato come un mezzo continuo, viene

rappresentato con i metodi della Scienza delle Costruzioni. Lo stato di tensione è definito

quando sono note le tensioni principali σ1, σ2, σ3 e l'orientamento delle tre direzioni

52

principali. Le tensioni di compressione si assumono positive.

Dato che i problemi studiati in geotecnica sono in genere assimilabili a problemi piani,

la descrizione dello stato di tensione si semplifica e si considerano solo le tensioni principali

massima σ1 e minima σ3. Nella direzione normale al piano che contiene le tensioni σ e σ3 le

deformazioni sono nulle e la tensione σ2 é la tensione principale intermedia.

Note le tensioni principali σ1 e σ3 è possibile calcolare le tensioni σθ e τθ che

agiscono su di un generico piano inclinato dell'angolo θ rispetto all'asse delle x (Fig. 6.3).

Fig. 6.3 - Rappresentazione dello stato di tensione in un problema piano mediante il cerchio di

Mohr

Dalle relazioni di equilibrio si ricava:

σθ =

σ1 + σ3( )

2+

σ1 − σ3( )

2 cos 2θ

τθ =σ1 − σ3( )

2 sen 2θ

Come è noto dalla Scienza delle Costruzioni, lo stato tensionale in un punto viene

rappresentato mediante il relativo cerchio di Mohr (Fig. 6.3).

53

Il punto K del cerchio di Mohr è detto "polo delle giaciture"; il polo è quel punto della

circonferenza dal quale, se si traccia una retta per il punto corrispondente alle tensioni σθ e τθ,

si individua la direzione della retta che è parallela alla direzione del piano su cui agiscono le

tensioni σθ e τθ.

Il punto A di coordinate:

2σσττ;

2σσσ 31

max31 −

==+

=

rappresenta lo stato tensionale nel piano su cui agisce la tensione tangenziale massima.

Le tensioni efficaci, definite dalla relazione ( σ' = σ - u ), hanno lo stesso carattere

delle tensioni totali. Le considerazioni riportate in quanto precede sono valide anche per le

tensioni efficaci; queste differiscono infatti da quelle totali solo per una componente costante in

tutte le direzioni (la pressione neutra u).

Nel piano σ, τ i punti che rappresentano le tensioni efficaci risultano quindi traslati

parallelamente all'asse delle ascisse verso l'origine degli assi della quantità u, rispetto ai punti

corrispondenti alle tensioni totali; ciò consente di rappresentare sugli stessi assi le tensioni totali

σ e quelle efficaci σ'.

6.4 - DEFORMAZIONI NEL TERRENO

Per lo studio delle deformazioni dei terreni si adottano criteri analoghi a quelli

impiegati per definire gli stati di tensione, si adotta cioè il modello di mezzo continuo.

La deformazione di un elemento di volume di terreno sotto l'azione di un sistema di

forze applicato è dovuta a due cause:

1 - deformazioni elastiche e plastiche dei granuli, per effetto delle tensioni di contatto;

2 - spostamenti relativi dei granuli che, partendo da un assetto iniziale dato, raggiungono un

54

nuovo assetto.

Le deformazioni elastiche e plastiche dei granuli sono di regola molto piccole e

contribuiscono solo in minima parte alla deformazione totale. Questa quindi è dovuta per la

massima parte al mutuo spostamento dei granuli, il quale avviene per scorrimenti, rotazioni e

scavalcamenti. Il processo di deformazione porta ad una variazione del volume dei pori.

In figura 6.4 è riportata la deformazione di un insieme di sfere sotto l'azione di un dato

sistema di forze.

Da quando precede risulta che le deformazioni nei terreni sono per la massima parte

irreversibili.

Fig. 6.4 - Deformazione di un sistema di sfere dallo stato di minimo addensamento a quello di

massimo addensamento

6.5 - STATI DI TENSIONE NEL TERRENO

6.5.1 - Stati di tensione naturale e stati di tensione indotti e relative condizioni di

deformazione

Una particolarità dei problemi geotecnici riguarda le condizioni di sollecitazione che si hanno

nel terreno nella sua sede naturale.

55

Nel campo dell'Ingegneria delle strutture, specialmente nell'analisi del comportamento

di elementi strutturali con una dimensione prevalente (pilastri e travi), le condizioni di

sollecitazione possono essere ricondotte a sollecitazioni semplici, quali la compressione, la

flessione e taglio, ecc., così che l'analisi del comportamento di tali elementi è relativamente

agevole.

Nei problemi geotecnici, invece, le condizioni di sollecitazione del terreno in sito sono

sempre complesse e non facilmente riportabili a condizioni di sollecitazione semplici. Ad

esempio, nel caso di un problema di fondazione di un manufatto, le condizioni di sollecitazione

derivano dall'applicazione di carichi, variamente distribuiti in superficie o in profondità, che si

ripartiscono entro grandi volumi di sottosuolo, sovrapponendosi allo stato di tensione naturale

dovuto al peso proprio del terreno.

In definitiva nei problemi geotecnici si hanno di regola sollecitazioni e geometrie che

comportano condizioni di deformazione tridimensionale. Solo in alcuni casi o introducendo

semplificazioni, le condizioni di deformazione possono essere ricondotte a quelle uniassiali o

piane.

Le condizioni di sollecitazione più comuni del terreno nella sua sede naturale sono

sintetizzate in Tabella 6.1.

Nel caso degli stati di tensione indotti dall'applicazione di carichi, a seconda della

geometria del problema e della distribuzione dei carichi stessi, le condizioni di deformazione

corrispondenti possono essere ricondotte a condizioni di deformazione uniassiale, piana o

assialsimmetrica (Fig. 6.5). Queste condizioni di deformazione, rispetto a quella tridimensionale

(εz ≠ εx ≠ εy), consentono di trattare il problema della definizione delle tensioni indotte nel

sottosuolo e delle conseguenti deformazioni in modo più agevole.

Anche nel caso della stabilità dei pendii naturali e dei fronti di scavo, il più delle volte

la condizione di deformazione può essere ricondotta a quella piana.

56

Tabella 6.1 : Stati di tensione nel terreno e relativi problemi geotecnici

STATI DI TENSIONE NATURALE

Superficie del terreno orizzontale (condizioni geostatiche)

Superficie del terreno inclinata (stabilità di pendii naturali)

⎨ ⎪

⎩ ⎪

STATI DI TENSIONE INDOTTI

Applicazione di carichi in superficie in profondità{

(fondazione di manufatti)

Esecuzione di scavi (stabilità di fronti di scavo)

Azioni dinamiche dovute a terremoti traffico{

(effetti vari)

⎪ ⎪ ⎪

⎪ ⎪ ⎪

Va tenuto presente che nei problemi geotecnici le tensioni dovute al peso proprio del

terreno hanno un ruolo rilevante. Queste tensioni, infatti, non solo sono responsabili delle

condizioni di equilibrio dei pendii naturali e dei fronti di scavo, ma, essendo confrontabili in

grandezza con le tensioni indotte dai carichi e tenuto conto del comportamento meccanico dei

terreni, da esse dipendono le caratteristiche di resistenza e deformabilità dei terreni stessi da

considerare nella risoluzione dei problemi geotecnici. Essendo, cioè, i terreni dei materiali le cui

caratteristiche meccaniche dipendono dalle tensioni agenti e dalla storia degli stati di tensione, le

tensioni dovute al peso proprio vanno tenute in debito conto insieme a quelle indotte dai carichi.

57

Fig. 6.5 - Stati di tensione e deformazione indotti dall'applicazione di carichi in superficie

Lo stato di tensione naturale in condizioni geostatiche verrà considerato nel paragrafo

seguente. Gli altri stati di tensione indicati in Tabella 6.1 verranno presi in esame quando si

tratterà dei problemi applicativi relativi a ciascun stato di tensione, sia naturale (stabilità dei

pendii), sia indotto (fondazione di manufatti, stabilità dei fronti di scavo).

6.5.2 - Stato di tensione naturale in condizioni geostatiche

In tutti i problemi geotecnici (fondazioni, scavi, etc.) è indispensabile conoscere lo stato

di tensione iniziale del terreno. Tale stato è determinato dal peso proprio del terreno ed, in alcuni

casi, dalla storia degli stati tensionali passati; nella generalità delle situazioni non può essere

definito facilmente.

Nel caso di situazioni come quelle che si verificano piuttosto frequentemente nelle

regioni pianeggianti costituite da terreni, coerenti e non, di origine sedimentaria (superficie del

58

suolo piana ed orizzontale, mezzo indefinito ed omogeneo) la definizione dello stato di tensione

naturale dovuto all'azione del peso proprio è semplice.

Nella situazione geometrica considerata, dato che devono essere verificate

contemporaneamente l'uniformità tensionale in direzione orizzontale e la simmetria radiale

rispetto a qualsiasi asse verticale, le tensioni tangenziali sui piani orizzontali e verticali sono

nulle. Le direzioni verticale ed orizzontale sono perciò direzioni principali.

In un punto alla profondità z sotto la superficie del suolo (Fig. 6.6), per l'equilibrio del

prisma di terreno sovrastante si ha: σv = W /A

Fig. 6.6 - Definizione delle tensioni litostatiche verticali

in cui W è il peso del prisma di terreno di base A sovrastante il punto considerato. Se il peso

dell'unità di volume del terreno γ è costante:

σv = γ z

in generale nel caso di peso di volume variabile con la profondità γ = γ(z):

σv = γ z( ) dz0

z∫

o, nel caso di terreno stratificato:

59

σv = ∑i γi Δzi

in cui Δzi è lo spessore dello strato i-esimo e γi è il peso di volume dello strato i-esimo.

Se a partire da una certa profondità z0 è presente una falda idrica e quindi il terreno è

saturo (Fig. 6.6), la tensione verticale totale nell'ipotesi di γsat = cost è data da:

σv = γ0 z0 + γsat zw

Nel punto considerato A agisce anche la pressione neutra: u = γw zw

Tenuto conto dell'equazione (σ' = σ - u) la tensione verticale efficace nel punto

considerato è:

σ'v = γ0 z0 + ( γsat - γw ) zw = γ0 z0 + γ' zw

ove γ ' è il peso di volume del terreno immerso.

Nei terreni naturali il rapporto K0 = σ'h/σ'v, denominato coefficiente di tensione

laterale a riposo, è espresso in funzione delle tensioni efficaci e dipende dalla natura e

composizione del terreno e dalla storia degli stati di tensione. I dati sperimentali indicano che in

terreni mai sottoposti a tensioni verticali efficaci maggiori di quelle agenti all'istante considerato

(terreni normalmente consolidati) K0 = 0,4 ÷ 0,7. In terreni che siano stati sottoposti nel corso

della loro storia a tensioni efficaci maggiori di quelle attuali (terreni sovraconsolidati) K0 > 1

e può raggiungere valori dell'ordine di 3.

Noto il valore di K0 lo stato tensionale di un terreno può essere definito completamente.

Con riferimento al caso semplice di terreno con γ = cost e con superficie libera della falda idrica

60

al piano di campagna, si ha:

σv= γ z

u = γw z

σ'v = γ ' z

σ'h = K0 σ'v

σh = σ'h + u

61

7 - COMPORTAMENTO MECCANICO DEI TERRENI

7.1 - CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE

Realizzare un'opera, sia essa un fabbricato o una diga, eseguire uno scavo, o più in

generale intervenire sull'ambiente fisico significa modificare lo stato di tensione esistente nel

sottosuolo. Chi opera deve prevedere gli effetti di tale modifica, in generale sull'ambiente ed in

particolare sull'opera che si intende realizzare e sul territorio circostante.

Il problema di prevedere la risposta del terreno alle variazioni dello stato di tensione nel

sottosuolo è affrontato dalla Geotecnica. Affinchè questo problema possa essere risolto è

necessario conoscere il comportamento meccanico dei terreni, cioè le leggi che legano le

tensioni alle deformazioni e queste al tempo (leggi costitutive).

Si è visto che i terreni sono assimilati a mezzi continui, ma il loro comportamento

meccanico è notevolmente più complesso di quello di altri materiali, come ad esempio il

calcestruzzo e l'acciaio, studiati nella Tecnica delle Costruzioni, i quali hanno comportamento

elastico lineare, almeno entro determinati campi di sollecitazione.

Fig. 7.1 Esempio di relazione tensioni-deformazioni del materiale "terreno"

I terreni al contrario sono caratterizzati da un comportamento anelastico non lineare

anche per piccoli valori degli sforzi applicati (Fig. 7.1), da cui deriva che le deformazioni

62

dipendono dal percorso delle tensioni ed in alcuni casi dal tempo. Come si vedrà meglio nel

seguito, ciò dipende dalla costituzione granulare del terreno e dalla presenza di aria e/o di acqua

nei pori.

Per risolvere i problemi applicativi, per poter utilizzare cioé le teorie ed i metodi di

calcolo della Geotecnica, derivati dalla Teoria dell'Elasticità, da quella della Plasticità, ecc., è

necessario schematizzare il comportamento meccanico del terreno con modelli semplici, che

soltanto in misura limitata ed in determinate condizioni ne descrivono il comportamento reale.

7.2 - COMPORTAMENTO MECCANICO DEI TERRENI IN RELAZIONE ALLA

COSTITUZIONE GRANULARE ED ALLA PRESENZA DI PIU' FASI

7.2.1 - Risposta del sistema granulare polifase alle variazioni dello stato di tensione

Si consideri un elemento di volume di un terreno incoerente asciutto, ad esempio una

sabbia, al quale sia applicato una sollecitazione al contorno (Fig. 7.2).

Fig. 7.2 Condizioni di deformazione di un elemento di terreno: a) deformazioni laterali

impedite; b) deformazioni laterali parzialmente impedite

63

Si è visto che all'interno del terreno asciutto le forze agenti si trasmettono in

corrispondenza dei punti di contatto tra i granuli e che per avere una deformazione dell'elemento

di volume è necessario che i granuli scorrano gli uni rispetto agli altri. Ciò si verifica quando

viene uguagliata la resistenza allo scorrimento tra i granuli, che è funzione del coefficiente di

attrito del materiale costituente i granuli e della componente normale alla superficie di contatto

delle forze che i granuli si trasmettono.

Dato che questi scorrimenti sono in gran parte irreversibili, nel senso che al cessare

dello sforzo agente lo scheletro solido del terreno non riacquista la originaria configurazione, è

possibile comprendere perchè il comportamento dei terreni è di tipo non elastico.

Se l'elemento di terreno sopra considerato è sollecitato in condizioni di deformazioni

laterali impedite (Fig. 7.2.a), lo scorrimento dei granuli, quando possibile, può portare soltanto

ad una riduzione di volume, cioè i granuli si dispongono secondo una configurazione di maggior

addensamento. A seguito dell'applicazione di un carico, una sabbia poco addensata subisce forti

variazioni di volume, mentre una sabbia molto addensata non varia praticamente il suo volume.

Nel primo caso si dice che il materiale è molto compressibile, nel secondo che è poco

compressibile.

Se l'elemento di terreno sopra considerato è sollecitato in condizioni di deformazioni

laterali parzialmente impedite (Fig. 7.2.b), lo scorrimento dei granuli può portare, oltre che ad

una riduzione di volume, anche alla rottura del terreno. Per rottura si intende un fenomeno di

scorrimento indefinito dei granuli tra loro, che, se concentrato in una fascia di piccolo spessore,

determina la formazione di una superficie di rottura.

Nel caso di un elemento di terreno saturo, lo schema sopra considerato rimane ancora

valido per ciò che riguarda il risultato finale dei meccanismi di deformazione e di rottura, però

per comprenderne lo sviluppo è necessario tener conto dell'interazione dell'acqua con lo

scheletro solido del terreno.

Nel Capitolo 2 si è visto che esiste un'interazione di tipo chimico tra acqua e granuli di

minerali argillosi, che porta a far sì che i granuli siano circondati da uno strato di acqua

fortemente legata detta "adsorbita". L'acqua alla quale qui si fa riferimento è invece quella

64

"libera", in grado di muoversi per effetto di una variazione delle tensioni totali applicate o della

pressione interstiziale. Quest'acqua, come visto, può muoversi più o meno facilmente a seconda

della permeabilità del terreno. Nei terreni a grana fina la permeabilità è molto bassa e l'acqua si

muove molto lentamente.

Nei terreni saturi sotto falda idrica, i problemi geotecnici possono essere ricondotti a

due diverse categorie:

- problemi nei quali l'acqua è in quiete o in moto permanente, cioè la distribuzione della

pressione neutra dipende soltanto dalle condizioni idrauliche al contorno. In particolare, nel

caso di acqua in quiete, tale distribuzione dipende dalla posizione della superficie libera della

falda idrica e, nel caso di acqua in moto permanente, dipende dalla rete di flusso;

- problemi nei quali l'acqua è in moto vario, a seguito di variazioni dello stato di tensione e

della conseguente tendenza del terreno a variare di volume; in questo caso si genera una

sovrappressione neutra transitoria che provoca il regime di moto vario.

La prima categoria comprende i problemi nei quali si verificano condizioni drenate, la

seconda comprende le condizioni non drenate ed i problemi di consolidazione.

7.2.2 - Condizioni drenate e non drenate

Se si sottopone un provino di terreno saturo ad una sollecitazione di compressione,

nell'ipotesi che sia i granuli che costituiscono lo scheletro solido sia l'acqua interstiziale siano

incompressibili, si ha una variazione di volume del provino solo se può variare il contenuto

d'acqua nei pori.

65

MOLLA = scheletro solido

ACQUA = fluido interstiziale

VALVOLA = permeabilità del terreno

Fig. 7.3 Modello fisico per descrivere la compressione e la consolidazione dei terreni

Per valutare l'interazione che si ha fra scheletro solido ed acqua interstiziale in un terreno saturo

soggetto a compressione, può essere utile far riferimento al semplice modello fisico

rappresentato in Fig. 7.3, il quale è costituito da un pistone in grado di trasmettere una tensione

σ ad una molla immersa in acqua. In questo modello la molla schematizza il comportamento

dello scheletro solido e il grado di apertura della valvola la permeabilità del terreno.

66

Fase iniziale = valvola aperta

Nella fase iniziale il sistema è in condizione di equilibrio con:

tensione totale = tensione applicata σ = σ0

pressione neutra = pressione dell'acqua u0 = h0 γw

tensione efficace = tensione nella molla σ'0 = σ0 - u0

variazione di volume = abbassamento del pistone ΔV = ΔVw = Δρ = 0

Fase 1 = valvola chiusa

Si applica al sistema un incremento di tensione totale Δσ dopo aver chiuso la valvola; poichè il

drenaggio è impedito la molla non si deforma e le condizioni diventano (Fig. 7.3):

tensione totale σ = σ0 + Δσ

pressione neutra u = u0 + Δu = u0 + Δσ

tensione efficace σ = σ'0

variazione di volume ΔV = 0

Fig. 7.4 Comportamento del modello fisico di Fig. 7.3

67

L'incremento di tensione totale Δσ si trasforma interamente in incremento di pressione

neutra, in quanto l'acqua è incompressibile, mentre la molla è deformabile. Ne segue che la

tensione efficace ed il volume non variano (Fig. 7.4).

In questa fase il sistema è in condizioni non drenate.

Fase 2 = valvola aperta e t ≥ t0

Se all'istante t = t0 si apre la valvola, tra l'interno e l'esterno del pistone si determina un gradiente

idraulico, che tenderà a far uscire l'acqua dal pistone. Col passare del tempo (t > t0), la

sovrappressione neutra si riduce (uet < Δu), determinando un incremento di tensione efficace; le

condizioni del sistema divengono (Fig. 7.4):

tensione totale σ = σ0 + Δσ

pressione neutra u = u0 + uet

tensione efficace σ' = σ'0 + Δσ't

variazione di volume ΔV = ΔVt

La velocità con la quale si hanno le variazioni di volume dipende dal grado di apertura

della valvola, ovvero dalla permeabilità del terreno, e dalla rigidezza della molla, cioè dalla

compressibilità dello scheletro solido; tale processo di graduale variazione di volume prende il

nome di consolidazione.

Fase 3 = valvola aperta e t = ∞ Ad un tempo teoricamente infinito, il gradiente idraulico, che si è creato per effetto

dell'incremento di pressione neutra, diminuisce fino ad annullarsi ripristinando così le condizioni

di equilibrio:

tensione totale σ = σ0 + Δσ

pressione neutra u = u0

tensione efficace σ' = σ'0 + Δσ' = σ'0 + Δσ

variazione di volume ΔV = ΔVt = ∞

68

Il sistema è nuovamente in condizioni drenate.

In generale, nel caso dei terreni reali, quando si fanno variare le tensioni totali possono

aversi le seguenti condizioni:

- condizioni drenate se le tensioni sono applicate lentamente, in rapporto alla permeabilità k,

in modo che il contenuto d'acqua vari senza che la pressione neutra aumenti apprezzabilmente

rispetto al valore iniziale u0, ovvero:

u ≈ u0 essendo Δu ≈ 0

- condizioni non drenate se l'elemento di terreno è limitato da un contorno impermeabile,

oppure se, pur avendosi continuità idraulica con l'esterno, le tensioni sono applicate con

velocità tale che il contenuto d'acqua non può variare immediatamente e nel terreno quindi si

ha un aumento apprezzabile della pressione neutra rispetto al valore iniziale u0, ovvero:

u = u0 + Δu con Δu = f (Δσ)

Nei terreni con coefficiente di permeabilità k ≥ 10–5 m/s (sabbie e ghiaie) le

deformazioni avvengono sempre in condizioni drenate. Il comportamento dei terreni asciutti

equivale a quello dei terreni saturi, purchè si faccia riferimento per quest'ultimi alle tensioni

efficaci.

Nei terreni a grana fina (limi e argille) saturi dato che k è molto basso le condizioni non

drenate sono molto frequenti.

7.2.3 - Principio delle tensioni efficaci

Nel capitolo precedente sono state definite le tensioni totali ed efficaci che in un terreno

saturo sono legate dalla relazione:

σ = σ' + u

69

Dall'esperienza si è visto inoltre che:

"tutti gli effetti misurabili di una variazione dello stato di tensione, come la compressione,

la distorsione e la variazione della resistenza al taglio dei terreni, sono dovuti

esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci".

L'equazione (σ = σ' + u) e l'enunciato di cui sopra costituiscono il Principio delle

tensioni efficaci, postulato da Terzaghi oltre mezzo secolo fa. Tale principio è valido per tutti i

mezzi porosi saturi e per valori di σ' < 20 MPa , cioè nel campo di interesse dell'Ingegneria

Civile.

Il Principio delle tensioni efficaci è essenziale per la comprensione del comportamento

meccanico dei terreni e per la soluzione dei problemi applicativi.

7.3 - MODELLAZIONE DEL COMPORTAMENTO MECCANICO DEI TERRENI

Si è accennato nel paragrafo 7.1 che per poter applicare le teorie ed i metodi di calcolo

della Geotecnica, derivati dalla Teoria dell'Elasticità, da quella della Plasticità, ecc., è necessario

schematizzare il comportamento meccanico del terreno con modelli semplici.

I modelli semplici elementari sono tre: il solido elastico lineare, il mezzo plastico

perfetto ed il mezzo viscoso (Fig. 7.5).

Fig. 7.5 Modelli semplici di comportamento meccanico dei terreni

70

Il modello di solido elastico lineare è caratterizzato da una legge costitutiva

indipendente dal tempo, nella quale le tensioni (σ o τ) e le corrispondenti deformazioni (ε o γ)

sono in relazione biunivoca tra loro mediante il modulo di deformabilità longitudinale E

(Modulo di Young) o il modulo di deformabilità trasversale G. Schematicamente questo

modello è rappresentato da una molla.

Il modello di mezzo plastico perfetto (o rigido-plastico) è caratterizzato dall'esistenza

di una soglia di tensione (σ* o τ*) raggiunta la quale si manifestano deformazioni (ε o γ)

permanenti (deformazioni plastiche). Questo modello è rappresentato da un morsetto.

Il modello di mezzo viscoso è caratterizzato dall'esistenza di un legame tra le tensioni

applicate (σ o τ) e le velocità di deformazione corrispondenti (ε e γ). Schematicamente questo

modello è rappresentato da uno stantuffo.

In Fig. 7.6 è indicata la possibile schematizzazione del comportamento anelastico non

lineare di un terreno reale mediante un modello composto elasto-plastico.

Fig. 7.6 Possibile schematizzazione del comportamento di un terreno reale con un modello di

mezzo elasto-plastico

In generale il modello elastico lineare è impiegato nei problemi di definizione delle

tensioni indotte nel sottosuolo e nella valutazione delle deformazioni conseguenti a piccole

variazioni degli stati di tensione (ad esempio cedimenti del piano di posa di una fondazione). Il

modello di mezzo rigido plastico è impiegato nei problemi di rottura dei terreni (ad esempio

una fondazione collassa, un pendio frana e così via). Il modello di mezzo viscoso è impiegato

nei problemi in cui il comportamento dei terreni dipende dal tempo (ad esempio cedimenti del

71

piano di posa di una fondazione sotto carichi costanti per processi di consolidazione o per

deformazioni di creep).

Ciascun modello semplice è caratterizzato da parametri meccanici propri, che

descrivono in termini quantitativi le relazioni tra tensioni, deformazioni e tempo (ad esempio nel

caso del solido elastico il parametro è il modulo di deformabilità E o il modulo G a seconda se si

fa riferimento alle tensioni normali o a quelle di taglio; nel caso del mezzo plastico il parametro

è la tensione di soglia (σ* o τ*) che rappresenta la resistenza limite del terreno.

Questi ed altri parametri, che quantificano il comportamento meccanico del terreno,

vanno determinati sperimentalmente. Lo studio sperimentale del comportamento meccanico dei

terreni richiede l'impiego di apparecchiature diverse, sia in laboratorio che in sito, in relazione

alle diverse condizioni di tensioni e di deformazioni da imporre agli elementi di volume di

terreno da provare.

72

8 - DETERMINAZIONE SPERIMENTALE DELLE

PROPRIETA' MECCANICHE DEI TERRENI

8.1 - CONSIDERAZIONI SULLA SPERIMENTAZIONE IN LABORATORIO ED IN

SITO

Come visto al capitolo precedente, per applicare le teorie della Geotecnica devono

essere note le proprietà meccaniche dei terreni. Queste proprietà, che dipendono da natura e

costituzione del terreno, storia degli stati di tensione, etc., possono essere determinate solo per

mezzo di prove sperimentali che riproducano, con la migliore approssimazione possibile, le

situazioni reali.

La strada di regola seguita è quella di riprodurre in laboratorio ed in sito i fenomeni che

si verificano in vera grandezza. Cioè su volumi di terreno ridotti si riproducono le condizioni di

sollecitazione e di drenaggio che si possono avere nei casi reali e si determinano direttamente o

indirettamente le proprietà meccaniche del terreno che descrivono il comportamento osservato.

In laboratorio si opera generalmente su provini di terreno di piccole dimensioni

(dell'ordine del decimetro) in condizioni controllate, adottando tutte le necessarie cautele per

garantire l'esattezza delle misure.

Per determinare in laboratorio le proprietà meccaniche dei terreni naturali, le prove

devono essere eseguite su campioni indisturbati. I campioni, inoltre, devono essere

rappresentativi del terreno in sede. Dato che i terreni naturali non sono di regola omogenei, può

essere necessario provare un numero elevato di campioni per arrivare a caratterizzare

adeguatamente un dato "volume significativo" di sottosuolo.

L'esecuzione di prove di laboratorio richiede in generale tempi piuttosto lunghi e costi

elevati relativi anche al prelievo dei campioni indisturbati.

Per ridurre l'incidenza di tali inconvenienti, si possono eseguire prove in sito. Queste

hanno il vantaggio della rapidità di esecuzione e della relativa economicità e consentono di

73

superare, almeno per alcuni tipi di terreno, i problemi relativi alla rappresentatività dei campioni

ed al campionamento indisturbato. In molti casi (terreni non campionabili, come ad esempio le

sabbie incoerenti sotto il livello della falda idrica) possono rappresentare l'unico mezzo per

valutare le proprietà meccaniche dei terreni. Un altro vantaggio di queste prove consiste nella

possibilità di indagare con continuità una verticale, ottenendo un profilo geotecnico praticamente

continuo.

E' da tenere presente, però, che le prove in sito possono essere impiegate solo in

determinate condizioni e l'interpretazione dei dati è di solito empirica o semi-empirica ed

occorre perciò esperienza nell'utilizzarli.

8.2 - APPARECCHIATURE PER PROVE DI LABORATORIO

Prima di descrivere le principali apparecchiature per prove di laboratorio e le relative

modalità sperimentali, è opportuno mettere in vista come queste apparecchiature siano state

ideate per riprodurre in laboratorio le condizioni di sollecitazione del terreno che più

frequentemente si presentano in sito.

Per alcuni comuni problemi geotecnici, nei grafici di Fig. 8.1 sono indicate in modo

schematico le condizioni di sollecitazione in sito e le corrispondenti prove di laboratorio con le

relazioni tensioni-deformazioni ottenibili da ciascuna prova.

La Fig. 8.1.a si riferisce all'abbassamento dovuto alla deformazione di uno strato di

terreno compressibile per effetto di un carico di intensità q uniformemente ripartito su un'area

molto estesa con B >> Z (ad es. rilevato molto esteso, ecc.). Questo caso corrisponde alla

condizione di deformazione uniassiale (εz ≠ 0; εx = εy = 0); molti problemi di deformazione

legati all'abbassamento dei manufatti possono essere riportati a condizioni di deformazione

uniassiale. Anche il caso dell'abbassamento generale del livello della falda freatica, che

determina un aumento delle tensioni verticali efficaci, corrisponde alla condizione di

deformazione uniassiale nella direzione verticale (per un metro di abbassamento del livello della

falda si ha: Δσ'v = γw x 1 m).

La Fig. 8.1.b si riferisce alla condizione di sollecitazione indotta in uno strato di terreno

74

deformabile da un carico q, agente su un'area di dimensione trasversale B < H e che potrebbe

produrre la rottura del terreno lungo la superficie EFG. In questo caso, al di sotto della zona

caricata esitono condizioni di deformazione triassiale.

La Fig. 8.1.c si riferisce alle condizioni di sollecitazione che si hanno in corrispondenza

di un fronte di scavo verticale realizzato in un terreno coesivo nel quale potrebbe verificarsi una

rottura lungo MN per effetto del peso del cuneo di terreno LMN. In questo caso, alla base del

fronte di scavo si hanno condizioni di deformazione laterale libera.

Fig. 8.1 - Riproduzione in laboratorio delle condizioni di sollecitazione in sito

75

La Fig. 8.1.d si riferisce alle condizioni di sollecitazione che si hanno in un pendio

indefinito lungo la superficie di scorrimento ST di una frana per scivolamento. Lungo tale

superficie si hanno condizioni di deformazione per taglio.

Come risulta dalla Fig. 8.1, le principali prove di laboratorio che riproducono le

condizioni di sollecitazione che più frequentemente si presentano in sito, sono:

- la prova edometrica o di compressione con espansione laterale impedita; per eseguire questa

prova si impiega l'edometro che consente di determinare le caratteristiche di compressibilità

dei terreni in condizioni di deformazione uniassiale;

- la prova di compressione triassiale; viene eseguita con l'apparecchio triassiale, che

consente di determinare le caratteristiche di deformabilità e di resistenza dei terreni in

condizioni di deformazioni triassiali;

- la prova di compressione semplice o ad espansione laterale libera, è un caso particolare della

prova triassiale e consente di determinare le caratteristiche di resistenza dei terreni coerenti;

- la prova di taglio diretto; si impiega l'apparecchio di taglio diretto o scatola di

Casagrande, che consente di determinare le caratteristiche di resistenza dei terreni coerenti

ed incoerenti in condizioni di superficie di rottura imposta.

8.2.1 - Edometro

Questo apparecchio è costituito da un anello indeformabile nel quale è contenuto il

provino di terreno di forma cilindrica con altezza Ho minore del diametro D (Fig. 8.2). Nelle

apparecchiature usuali Ho = 20 mm e D = 70 mm. Il provino è contenuto tra due piastre di

materiale poroso permeabile per consentire il libero drenaggio dell'acqua interstiziale.

76

Fig. 8.2 - Edometro

La prova si esegue applicando al provino di terreno una serie di incrementi di carico

verticale (Δσi). Dopo l'applicazione di ciascun incremento di carico, il carico complessivo (σi =

σi-1 + Δσi) è lasciato agire per un intervallo di tempo sufficientemente lungo da assicurare la

completa dissipazione degli eccessi di pressione neutra indotti dall'incremento di carico

applicato (Δσi). Per ciascun incremento di carico, mediante un micrometro, si misurano gli

abbassamenti verticali (ΔH) nel tempo.

Date le condizioni di deformazione uniassiale, le variazioni di altezza del provino

corrispondono alle variazioni di volume; si ha pertanto:

ε = ΔH/Ho = ΔV/Vo = Δe/(1+eo)

dove Vo è il volume iniziale del provino ed eo è l'indice dei vuoti iniziale del terreno.

77

Fig. 8.3 - Rappresentazione dei risultati di una prova edometrica

I risultati delle prove edometriche possono essere rappresentati per mezzo di grafici

abbassamento-tempo (ΔH, t) (Fig. 8.3.a) e tensione-deformazione (σ', ε) (Fig. 8.3.b). Al posto

di quest'ultimo grafico, usualmente, i risultati della prova vengono rappresentati per mezzo del

grafico indice dei vuoti-logaritmo delle tensioni (e, log σ') (Fig. 8.3.c).

8.2.2 - Apparecchio triassiale

L'apparecchio per prove di compressione trassiale consente di applicare a provini

cilindrici di terreno una tensione radiale (σr) ed una tensione assiale (σz). Le tensioni σr = σ2 =

σ3 e σz = σ1 sono tensioni principali.

L'apparecchio è costituito da una cella formata da una base e da una cupola di acciaio,

connesse da una superficie cilindrica di plexiglass (Fig. 8.4 ). Il provino è montato su un

piedistallo alla base della cella ed è rivestito da una membrana di gomma. Nelle prove standard i

provini hanno diametro di 37 mm ed altezza pari al doppio del diametro. Alle basi del provino

sono poste due piastre porose. Sulla piastra porosa superiore è posto un disco metallico per

applicare il carico assiale. Il piedistallo è forato e permette la connessione della faccia inferiore

78

del provino con l'esterno.

Fig. 8.4 - Apparecchio triassiale

Montati il provino e gli accessori menzionati, si ricompone la cella e la si riempie

d'acqua. Quindi l'acqua nella cella viene messa in pressione. La fase della prova durante la quale

viene mantenuta costante la pressione di cella (σc) è la fase di consolidazione.

Nella fase di rottura, tutta la cella viene posta sotto una pressa, costituita da un piatto

(sul quale la cella viene appoggiata) che si solleva a velocità costante e da un contrasto che

agisce sul pistone. Il contrasto è strumentato in modo da misurare lo sforzo nel pistone (Fa), cioè

la reazione del provino alla deformazione imposta.

Il condotto che immette la pressione nella cella rimane sempre aperto e la sorgente di

pressione deve essere tale che σc si mantenga costante per tutta la prova.

Il condotto che proviene dalla base del provino è collegato ad un misuratore di

pressione o ad un sistema che consente di misurare il quantitativo d'acqua espulso o assorbito dal

provino di terreno nel corso della prova.

Se la valvola R (Fig. 8.4) è mantenuta aperta, si realizzano condizioni di drenaggio

79

libero e le prove vengono dette drenate; se la valvola è chiusa, il provino non è in

comunicazione con l'esterno ed il suo contenuto d'acqua si mantiene costante nel corso della

prova (prove non drenate); in questo caso è possibile misurare gli eccessi di pressione neutra

Δu = f (Δσ).

Dal punto di vista del drenaggio si distinguono tre tipi di prove:

1) Prove consolidate drenate (prove CD). Il provino viene consolidato sotto una pressione

idrostatica σ'1 = σ'3 = σc- u0 (u0 è il valore iniziale della pressione neutra che viene applicata

al provino per favorire la saturazione), misurando la variazione di volume ed il tempo di

consolidazione. A consolidazione ultimata si incrementa la tensione assiale σ'1, misurando le

deformazioni assiali ε = ΔH/H0 ed il quantitativo d'acqua espulso (o assorbito). In realtà, la

deformazione è imposta, e quindi è nota, e si misurano gli incrementi σ'1 - σ'3. La prova è

condotta lentamente, in relazione alla permeabilità del terreno, in modo che nella fase di

rottura sia sempre u = u0.

2) Prove consolidate non drenate (prove CU). La prima fase è identica a quella della prova

CD. A consolidazione ultimata il provino viene isolato rispetto all'esterno mediante la

chiusura della valvola R. Si incrementa quindi la tensione assiale, misurando le deformazioni

assiali e gli incrementi di pressione neutra Δu = f (σ1 - σ3). Mentre nelle prove CD le tensioni

efficaci concidono (a meno di u0) con le tensioni totali, in queste prove le tensioni efficaci e

quelle totali differiscono di Δu+u0.

3) Prove non consolidate non drenate (prove UU). Il provino nelle sue condizioni iniziali di

stato di tensione efficace, contenuto d'acqua, etc., è sottoposto alla pressione idrostatica σ1 =

σ3 = σc, mantenendo chiusa la valvola R. Sono cioè impedite le variazioni di volume e perciò

nel provino si sviluppa un eccesso di pressione interstiziale Δuc = σc. Si incrementa

successivamente la tensione assiale, misurando le deformazioni assiali. Durante tutta la prova

80

le tensioni totali non coincidono con le tensioni efficaci.

I risultati dei tre tipi di prova, ottenuti durante la fase di incremento della tensione

assiale, vengono rappresentati da diagrammi incremento della tensione assiale (σ1 - σ3) -

deformazione assiale (ε) (Fig. 8.5). Nelle prove CD si riporta anche il diagramma variazione di

volume-deformazione assiale e nelle prove CU il diagramma variazione di pressione neutra-

deformazione assiale.

Fig. 8.5 - Rappresentazione dei risultati delle prove triassiali

8.2.3 - Apparecchio di taglio diretto

In Fig. 8.6 è schematizzato l'apparecchio di Casagrande per l'esecuzione della prova di

taglio diretto. L'apparecchio consiste in una robusta scatola metallica, a sezione quadrata,

tagliata secondo un piano orizzontale, in modo che le due parti possano scorrere relativamente

in direzione orizzontale.

81

Fig. 8.6 - Apparecchio di taglio diretto (Scatola di Casagrande)

Nella scatola, in cui inizialmente le due parti hanno i bordi coincidenti, viene inserito il

provino di terreno, che ha un'altezza di 2 cm e lato di 6 cm. Le due facce del provino sono a

contatto con due piastre porose che consentono il libero drenaggio dell'acqua contenuta nel

provino.

Attraverso la piastra superiore è possibile applicare una tensione normale σn.

L'applicazione dello sforzo di taglio τ si ottiene facendo scorrere a velocità costante e molto

bassa le due parti della scatola. La successione delle operazioni è la seguente:

- fase di consolidazione: si applica la tensione normale σn fino alla stabilizzazione dei

cedimenti verticali;

- fase di rottura: si fanno scorrere le due parti della scatola e si misura lo sforzo di taglio τ; la

velocità di scorrimento viene scelta in funzione della permeabilità del terreno, in modo da

avere sempre condizioni drenate durante il corso della prova.

I risultati che si ottengono sono rappresentati mediante grafici sforzo di taglio (τ)-

spostamento orizzontale (δ), da cui si ricava il valore massimo della tensione di taglio (τf)

sviluppata dal provino di terreno (Fig. 8.7). Prolungando la prova dopo il raggiungimento della

82

tensione massima di taglio, fino al massimo scorrimento relativo consentito alle due parti della

scatola, si può rilevare se il valore residuo della tensione di taglio τfR è minore di τf.

Le prove di taglio diretto si eseguono sia su terreni incoerenti (sabbie) sia su terreni

coerenti e sono sempre condotte in modo da avere condizioni drenate.

Fig. 8.7 - Rappresentazione dei risultati di una prova di taglio diretto

8.3 - APPARECCHIATURE PER PROVE IN SITO

8.3.1 - Penetrometro dinamico

Le prove penetrometriche dinamiche consistono nella misura della resistenza alla

penetrazione di un campionatore cilindrico a parete grossa di dimensioni e caratteristiche

standard (Fig. 8.8), fatto avanzare per mezzo di un dispositivo a percussione (Standard

Penetration Test: SPT). Durante l'infissione viene registrato il numero di colpi N necessario

per ottenere l'avanzamento di 30 cm del campionatore. La prova viene eseguita a partire dal

fondo di fori di sondaggio.

83

Fig. 8.8 - Apparecchiatura (a) e campionatore (b) per prove penetrometriche dinamiche SPT

Le informazioni che la prova fornisce sono di tipo discontinuo, poichè la distanza

minima tra due prove consecutive non può essere inferiore al metro.

La prova può essere eseguita in terreni coerenti ed incoerenti, ma fornisce risultati più

attendibili in quest'ultimi. Difficoltà si incontrano in presenza di ghiaie a causa del limitato

diametro interno dell'utensile campionatore. Va rilevato che questo utensile consente di portare

in superficie campioni di terreno, per cui è possibile correlare direttamente il risultato della

prova al terreno provato.

In ghiaie la scarpetta aperta del campionatore può essere sostituita con una punta conica

di egual diametro.

84

In base ai risultati della prova è possibile valutare lo stato di addensamento dei terreni

sabbiosi o lo stato di consistenza dei terreni argillosi (Tabella: 8.1).

Tabella: 8.1: Valutazione dello stato di addensamento di terreni sabbiosi e della consistenza di

terreni argillosi mediante prove penetrometriche SPT

TERRENI SABBIOSI N stato di addensamento

0 - 4 non addensato (sciolto)

4 - 10 poco addensato

10 - 30 moderatamente addensato

30 - 50 addensato

> 50 molto addensato

TERRENI ARGILLOSI N consistenza

< 2 privo di consistenza

2 - 4 poco consistente (tenero)

4 - 8 moderatamente consistente

8 - 15 consistente

15 - 30 molto consistente

> 30 estremamente consistente (duro)

8.3.2 - Penetrometro statico

Le prove penetrometriche statiche (Cone Penetration Test: CPT) consistono

essenzialmente nella misura della resistenza alla penetrazione (Rp) di una punta conica di

dimensioni e caratteristiche standard, infissa a velocità costante nel terreno. L'attrezzatura

comunemente impiegata in Italia consente anche la misura della resistenza laterale locale (Rl)

85

mediante un manicotto scorrevole (Fig. 8.9). La punta conica, che ha un'area di base di 10 cm2,

viene fatta avanzare, a partire dalla superficie del suolo, mediante un'asta protetta da una

tubazione di rivestimento.

Le informazioni che la prova fornisce sono di tipo praticamente continuo, perchè le

misure di resistenza alla penetrazione sono eseguite a distanza molto ravvicinata (20-50 cm).

Con il penetrometro elettrico, simile all'apparecchiatura sopra descritta, ma dotato di un

sistema di misura di tipo elettrico della resistenza alla punta e di quella laterale locale, si

ottengono profili di resistenza continui.

Fig. 8.9 - Penetrometro statico CPT: punta con manicotto

Fig. 8.10 - Risultati di una prova penetrometrica statica in un sottosuolo eterogeneo

86

Le prove penetrometriche statiche si eseguono su tutti i tipi di terreno compresi tra le

argille di media e bassa consistenza e le sabbie a grana grossa. In Fig. 8.10 è riportato un profilo

penetrometrico relativo ad un sottosuolo costituito da terreni di natura diversa.

8.3.3 - Scissometro

Le prove scissometriche (Vane tests) si eseguono per determinare direttamente la

resistenza al taglio di terreni coesivi saturi di consistenza da bassa a media. La parte principale

dell'apparecchio, cioè lo scissometro, è costituita da quattro alette rettangolari di lamiera di

acciaio sottile unite a 90° tra loro lungo uno dei lati maggiori (Fig. 8.11.b).

La prova consiste nell'infilare nel terreno un'asta con le quattro alette poste all'estremità

e nel farla ruotare tagliando in sito un cilindro di terreno e misurando la coppia di torsione (Mt).

Il diametro del cilindro d varia da 45 a 100 mm, l'altezza h è di solito pari a 2d.

La prova può essere eseguita sia al fondo di un foro di sondaggio (Fig. 8.11.a), sia

mediante un'apparecchiatura che consente di far penetrare direttamente lo scissometro nel

terreno ("vane borer"), proteggendo la batteria di aste con una tubazione di rivestimento. Con

quest'ultima tecnica non è possibile attraversare strati di terreno molto consistenti o contenenti

ghiaia.

Fig. 8.11 - Apparecchiatura per prove scissometriche (a) e scissometro (b)

87

8.4 - MISURA DELLA DEFORMABILITA' DEI TERRENI

8.4.1 - Leggi tensioni-deformazioni-tempo in condizioni di deformazione uniassiale

(caratteristiche di compressibilità e di consolidazione delle argille)

Lo studio di queste leggi è di regola condotto in laboratorio mediante prove di

compressione edometrica (Paragr. 8.1.2). In quanto segue si fa riferimento alle argille.

La definizione delle caratteristiche di compressibilità e di consolidazione è necessaria

nei problemi di cedimento dei manufatti che possono essere riportati a condizioni di

deformazione uniassiale del terreno di fondazione. Le caratteristiche di compressibilità servono

per valutare la grandezza dei cedimenti, le caratteristiche di consolidazione servono per stimare

il decorso dei cedimenti nel tempo, dipendente dal processo di consolidazione dei terreni di

fondazione.

Fig. 8.12 - Prove edometriche: relazioni logaritmo delle tensioni efficaci - indice dei vuoti di

un'argilla ricostituita in laboratorio (a) e di un'argilla naturale indisturbata (b)

Per comprendere meglio il comportamento dei terreni naturali indisturbati, è bene far

riferimento prima al comportamento di un'argilla satura (Sr = 1) ricostituita artificialmente in

laboratorio e non sottoposta in precedenza a carichi. Nella fase di carico (Fig. 8.12.a) l'indice dei

88

vuoti decresce secondo una linea retta nel piano (lg σ'- e) (tratto AB), definita dalla relazione:

e = e0 - Cc lg (σ'/σ'0)

Il coefficiente Cc (indice di compressibilità) dipende dalla natura e dalla composizione

mineralogica dell'argilla. In prima approssimazione Cc è legato al limite di liquidità dalla

seguente relazione empirica valida per materiale indisturbato:

Cc = 0,009 x (wL - 10)

In fase di scarico l'indice dei vuoti aumenta secondo la linea BC. Ricaricando

nuovamente, l'indice dei vuoti varia secondo la linea CB'D, nella quale si riconoscono due tratti

con diversa pendenza: CB' e B'D. L'inflessione della curva si ha nell’intorno della tensione σ'c

(tensione di preconsolidazione) raggiunta nella prima fase di carico. Il tratto B'D è rettilineo nel

piano semi-logaritmico ed è espresso dalla relazione già vista: e = e0 - Cc log (σ'/σ'0).

Si consideri ora un campione indisturbato di un'argilla naturale (Sr = 1), sottoposto allo

stesso tipo di prova (Fig. 8.12.b). Nella fase di carico si distinguono due tratti: EF con pendenza

piccola e FG praticamente rettilineo con pendenza più elevata. Il tratto GH corrisponde alla fase

di scarico. E' evidente la somiglianza tra la linea EFG e la linea CB'D di Fig. 8.12.a.

Se l'inflessione della curva di carico di un terreno naturale si ha per valori di σ'c ≅ σ'v

(tensione litostatica verticale efficace a cui era sottoposto il campione in sito), il terreno è

definito normalmente consolidato; se σ'c > σ'v il terreno è definito sovraconsolidato.

Si definisce grado di sovraconsolidazione il rapporto: OCR = σ'c/σ'v

La sovraconsolidazione dei terreni naturali può essere dovuta ai carichi esercitati da

strati di terreno successivamente erosi, all'abbassamento generale del livello della falda idrica,

all'essiccamento.

89

I carichi che agiscono su un'argilla durante la fase AB di primo carico (Fig. 8.12.a)

provocano l'orientamento delle scaglie di minerali argillosi e lo sviluppo di legami tra le scaglie

stesse. Il processo è tanto più marcato quanto più elevata è la tensione verticale agente e quanto

più lungo è il periodo di tempo durante il quale detta tensione agisce.

La struttura ed i legami così formatisi non si distruggono durante lo scarico BC e

conferiscono una certa "rigidità" allo scheletro solido del terreno, di modo che durante la fase di

secondo carico (tratto CB') il terreno è relativamente poco deformabile; il superamento della

tensione σ'c corrisponde alla rottura dei legami ed alla assunzione di nuove strutture durante il

carico da B' a D.

Dal grafico (lg σ', e) si ricavano le caratteristiche di deformabilità del materiale

espresse dal modulo edometrico:

Eed = Δσ'/Δε = (Δσ'/Δe)(1+ e0) [F L-2]

Le caratteristiche di deformabilità sono funzione di σ' e devono perciò essere date

indicando la tensione media cui esse si riferiscono. In Tabella 8.2 sono riportati a titolo

indicativo i valori del modulo Eed e dell'indice di compressibilità Cc di alcuni terreni, per i valori

delle tensioni più usuali nei problemi di ingegneria civile.

Tabella 8.2: Caratteristiche di compressibilità di alcuni terreni tipici

Eed (MPa) CC

- sabbie sciolte 10 - 100 -

- sabbie addensate 50 - 200 -

- argille normal. consolidate 1 - 20 0,2 - 1,0

- argille sovraconsolidate 5 - 50 -

- terreni organici < 10 > 1

90

Come visto in 8.2.1, le relazioni deformazioni-tempo possono essere rappresentate nel

piano (t, ΔH) di Fig. 8.13.

Fig. 8.13 - Relazione abbassamento-tempo da una prova edometrica su argilla

Nella fase iniziale il processo di deformazione (deformazione primaria) è dovuto alla

consolidazione unidirezionale del campione. Si può tuttavia osservare che per tempi lunghi la

velocità di deformazione non tende a zero. Le curve sperimentali mostrano infatti che la

deformazione continua a crescere con legge di tipo esponenziale (deformazione secondaria).

Tale comportamento, attribuito alla viscosità dello scheletro solido, avviene a pressione neutra

praticamente costante ed è tanto più marcato quanto più elevata è la plasticità dell'argilla.

Nei processi di consolidazione in condizioni edometriche si distinguono in definitiva

due fasi:

- deformazione primaria (o di consolidazione) legata alla filtrazione dell'acqua in regime di

moto vario verso gli strati drenanti;

- deformazione secondaria (o di creep) attribuita ai processi viscosi a livello dello scheletro

solido.

Dai grafici tempo-abbassamento è possibile determinare il coefficiente di

consolidazione:

91

cv = k Eed / γw [L2 T -1]

dove k è il coefficiente di permeabilità del terreno.

Il coefficiente cv fornisce la misura della velocità del processo di dissipazione delle

sovrappressioni neutre; più elevato è il valore di cv più rapido è il processo di dissipazione.

Le variazioni di cv sono piccole; in prima approssimazione per i terreni argillosi si può

assumere:

cv = 10-7 - 10-8 m2/s

Ricavato il coefficiente di consolidazione ed il modulo edometrico è possibile calcolare

il valore del coefficiente di permeabilità k.

Per le sabbie (k ≅ 10-5 m/s; Eed > 50 MPa) cv è molto elevato e perciò il processo di

consolidazione è immediato.

8.4.2 - Leggi tensioni-deformazioni in condizioni di deformazioni triassiali

Lo studio di queste leggi si esegue in laboratorio mediante prove triassiali. In quanto

segue vengono distinti i terreni incoerenti (principalmente sabbie) dai terreni coerenti

(principalmente argille).

La definizione delle caratteristiche di deformabilità in condizioni di deformazioni

triassiali è necessaria nei problemi di cedimento dei manufatti che non possono essere riportati a

condizioni di deformazioni uniassiali del terreno di fondazione.

Sabbie - Nel caso delle sabbie, data la loro elevata permeabilità, si hanno sempre condizioni

drenate, per cui si fa riferimento a prove di tipo drenato. In questi materiali, infatti, l'eccesso di

pressione neutra generato dalla variazione di sforzi totali si dissipa molto rapidamente.

92

Fig. 8.14 - Comportamento delle sabbie in condizioni di deformazioni triassiali

L'andamento delle curve (σ'1 - σ'3, ε), ottenute mediante prove CD, dipende, a parità di

altre condizioni, dal valore dell'indice dei vuoti iniziale eo (Fig. 8.14.a). Se e0 è basso si ha

l'andamento della curva b. Corrispondentemente la curva (ΔV/V0, ε) mostra che il materiale

tende ad espandersi aumentando la sua porosità. Se e0 è elevato il comportamento del materiale è

rappresentato dalla curva a.

Il comportamento a deformazione delle sabbie addensate può spiegarsi con riferimento

alla Fig. 8.14.b, che rappresenta un insieme di granuli sferici incompressibili nelle condizioni di

massimo addensamento. Se l'insieme è sottoposto ad una sollecitazione di compressione, le

deformazioni sono possibili solo se le sfere si spostano lateralmente (Fig. 8.14.c). Tale

spostamento è accompagnato da un aumento di volume dell'insieme, come risulta dal confronto

93

del volume dei pori nelle parti b e c della figura. L'aumento di volume di una sabbia addensata

sottoposta ad una sollecitazione di compressione o di taglio è chiamato dilatanza.

Dai diagrammi (σ'1 - σ'3, ε) si possono ricavare i valori del modulo di deformabilità:

E' = d(σ'1 - σ'3)/dε

che sono funzione di (σ'1 - σ'3) e dell'indice dei vuoti iniziale.

A titolo di orientamento in Tabella 8.3 sono riportati alcuni valori indicativi del modulo

di deformabilità delle sabbie.

Tabella 8.3: Caratteristiche di deformabilità triassiale di sabbie tipiche

E' (MPa)

Tipo di granuli sciolte addensate

angolosi fragili 10 40

tondeggianti di elevata resistenza 50 100

Il coefficiente di Poisson ν dato dal rapporto tra deformazione radiale e deformazione

assiale, per piccoli valori di ε è compreso tra 0,1 e 0,2.

Argille - Data la bassa permeabilità delle argille, bisogna considerare se esse sono sollecitate in

condizioni drenate o in condizioni non drenate.

In condizioni drenate le curve tensioni-deformazioni e le curve variazioni di volume-

deformazioni di un'argilla normalmente consolidata (NC) e di una argilla sovraconsolidata (OC)

sono riportate in Fig. 8.15. Come risulta anche dalla figura, il modulo di deformabilità in

condizioni drenate:

94

E' = d(σ'1 - σ'3)/dε

è funzione del livello di tensione e della tensione di consolidazione (o sovraconsolidazione). In

particolare per le argille naturali i moduli sono fortemente influenzati dallo stato di disturbo dei

campioni sottoposti alle prove.

Fig. 8.15 - Relazioni tensioni-deformazioni e variazioni di volume-deformazioni durante la fase

di rottura di prove triassiali CD su argille

Il modulo di deformabilità in condizioni non drenate delle argille:

Eu = d(σ1 - σ3)/dε

si ricava dai diagrammi (σ1 - σ3, ε) di prove triassiali CU. Generalmente per la definizione del

valore di Eu si fa riferimento al modulo tangente iniziale alla curva tensioni-deformazioni.

Anche il modulo non drenato dipende dallo stato di disturbo del campione e dalla tensione di

95

consolidazione.

Empiricamente è stato rilevato che Eu = β cu, dove β è un coefficiente compreso tra 100

e 300 nel caso di argille sovraconsolidate e tra 200 e 800 nel caso di argille normalmente

consolidate (i valori minori si riferiscono ad argille con IP elevato e viceversa) e cu è la

resistenza al taglio non drenata dell'argilla (punto 8.5.2). In condizioni non drenate il

coefficiente di Poisson è ν = 0,5.

8.5 - MISURA DELLA RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

La definizione delle caratteristiche di resistenza al taglio dei terreni si effettua in

laboratorio, mediante prove triassiali e di taglio diretto, ed in sito, mediante prove

penetrometriche e scissometriche. In quanto segue i terreni incoerenti (principalmente sabbie)

sono distinti dai terreni coerenti (principalmente argille); per quest'ultimi si considerano le

condizioni di drenaggio libero separatamente da quelle di drenaggio impedito.

La definizione delle caratteristiche di resistenza al taglio è necessaria nei problemi di

valutazione della capacità portante dei terreni di fondazione dei manufatti, di calcolo della spinta

sulle opere di sostegno delle terre, di stabiltà dei pendii naturali e dei fronti di scavo. Più in

generale, in tutti i problemi applicativi in cui i terreni sono sollecitati in modo che si possa

formare una superficie di rottura lungo la quale una parte del terreno scorre rispetto ad un'altra.

8.5.1 - Terreni incoerenti (sabbie)

Prove di laboratorio - Per la determinazione delle caratteristiche di resistenza al taglio in

laboratorio delle sabbie si può impiegare sia l'apparecchio triassiale, sia l'apparecchio di taglio

diretto. In quanto segue si fa riferimento a prove triassiali, ma le considerazioni che verranno

svolte sulle proprietà di questi materiali valgono anche nel caso di prove di taglio diretto.

96

Si considerino tre provini saturi di una stessa sabbia, che vengono fatti consolidare a

valori diversi della pressione di cella e quindi portati a rottura in condizioni drenate. Si esegue

pertanto una prova triassiale CD con tempi di consolidazione e di rottura brevi, data l'elevata

permeabiltà delle sabbie. Per ciascun provino si hanno i valori di σ'3 e di σ'1 per i quali si è avuta

la rottura ed è perciò possibile costruire il cerchio di Mohr a rottura nel piano (σ',τ) (Fig. 8.16).

L'inviluppo dei tre cerchi di Mohr a rottura fornisce la linea limite del materiale, che

con buona approssimazione è una retta passante per l'origine degli assi.

Fig. 8.16 - Risultati di prove triassiali CD su provini di sabbia

L'equazione della linea limite è espressa pertanto dalla relazione:

τf = σ' tg ϕ' (Criterio di rottura di Mohr-Coulomb)

dalla quale risulta che la resistenza al taglio di una sabbia (τf) è funzione della tensione efficace

agente sul piano di rottura e della tangente dell'angolo ϕ' che la retta di rottura forma con l'asse

delle σ'.

Il valore di ϕ', angolo di attrito, dipende dal coefficiente di attrito f tra i granuli e dal

grado di mutuo incastro tra i granuli stessi. In una sabbia con una data granulometria, in generale

ϕ' aumenta all'aumentare dell'indice di addensamento a causa dell'aumento dell'influenza

dell'incastro tra i granuli sulla resistenza al taglio.

Uno schema per spiegare il comportamento delle sabbie è riportato in Fig. 8.17. Nella

Fig. 8.17.a sono schematizzati alcuni granuli di sabbia che scorrono su una superficie liscia

97

formata dallo stesso materiale dei granuli. In questo caso la resistenza di attrito dipende solo dal

coefficiente di attrito f caratteristico del materiale. Nel caso rappresentato dagli schemi b e c per

avere lo scorrimento non è sufficiente superare la resistenza di attrito tra i granuli, ma è

necessario che avvenga anche lo spostamento verso l'alto e lo scavalcamento dei granuli stessi,

con aumento di volume dei pori.

Fig. 8.17 - Schematizzazione del comportamento a rottura delle sabbie

All'aumentare delle dimensioni dei granuli, aumenta l'angolo di attrito delle sabbie; ciò

è dovuto al maggiore incastro tra i granuli. Sabbie con granuli di forma spigolosa e con

superficie scabra, a parità di granulometria, hanno angolo di attrito più elevato di sabbie con

granuli tondeggianti e lisci (Tabella 8.4).

Tabella 8.4: Valori dell'angolo di attrito ϕ' di sabbie

forma dei granuli granulometria non addensato addensato

tondeggiante uniforme 30° 37°

tondeggiante assortita 34° 40°

spigolosa uniforme 35° 43°

spigolosa assortita 39° 45°

98

Prove in sito - Per valutare lo stato di addensamento ed i parametri di resistenza al taglio delle

sabbie, in sito si eseguono prove penetrometriche dinamiche (SPT) e statiche (CPT).

Da diversi Autori sono state proposte correlazioni tra i risultati di prove SPT e CPT e

l'indice di addensamento (Dr) o l'angolo di attrito ϕ'. Si tratta in generale di correlazioni

empiriche in fase di continua revisione, valide a livello regionale. Va tenuto presente che

l'estrapolazione delle esperienze acquisite in una zona nota ad altre zone apparentemente simili

può essere causa di errori.

Esempi di queste correlazioni sono riportati in Fig. 8.18.

Fig. 8.18 - a)Correlazione ϕ'= f(RP, σ'v) per prove penetrometriche statiche in sabbie

b)Correlazione ϕ'= f(NSPT , σ'v) per prove penetrometriche dinamiche in sabbie

99

Come si rileva da queste correlazioni, la resistenza penetrometrica, sia statica che

dinamica, è funzione non soltanto delle caratteristiche della sabbia, ma anche del valore delle

tensioni litostatiche efficaci che agiscono alla profondità di esecuzione della prova. Ciò si spiega

facilmente se si considera che eseguire una prova penetrometrica significa sollecitare al taglio il

terreno e la resistenza al taglio è funzione, oltre che dell'angolo di attrito, anche delle tensioni

efficaci agenti sul piano di rottura (τf = σ' tg ϕ').

8.5.2 - Argille sature in condizioni drenate

Per determinare le caratteristiche di resistenza al taglio delle argille in condizioni

drenate si opera in laboratorio, impiegando sia l'apparecchio triassiale sia l'apparecchio di taglio

diretto. In quanto segue si fa riferimento prima a prove triassiali.

Per comprendere meglio le differenze di caratteristiche tra argille naturali normalmente

consolidate ed argille naturali sovraconsolidate, è bene far riferimento al comportamento di

un'argilla satura (Sr=1) ricostituita artificialmente in laboratorio e non sottoposta in precedenza a

carichi.

Si considerino tre provini di questa argilla, che vengono fatti consolidare

nell'apparecchio triassiale a valori diversi della pressione di cella σ'3(I), σ'3(II) e σ'3(III) e quindi

portati a rottura in condizioni drenate. Si esegue pertanto una prova CD con tempi di

consolidazione e di rottura funzione delle caratteristiche di permeabilità del materiale provato.

L'inviluppo dei tre cerchi di Mohr a rottura fornisce la linea limite del materiale, che

con buona approssimazione è una retta passante per l'origine degli assi (Fig. 8.19.a).

L'equazione della linea limite è espressa pertanto dalla relazione:

τf = σ' tg ϕ'NC

L'argilla provata è normalmente consolidata in quanto i massimi carichi ai quali sono

100

stati sottoposti i tre provini sono quelli relativi alla tensione di consolidazione nella cella

triassiale. Per una argilla normalmente consolidata vale quindi il criterio di rottura di Mohr-

Coulomb e la retta inviluppo passa per l'origine come per le sabbie.

Durante la fase rottura si è avuta una riduzione di volume (Fig. 8.19.a). Per quanto visto

finora, le argille normalmente consolidate in condizioni drenate hanno comportamento al taglio

analogo a quello delle sabbie poco addensate.

L'angolo di attrito ϕ' è una caratteristica dell'argilla e dipende dalla sua composizione

mineralogica: valori caratteristici sono ϕ' = 30°÷20°, per IP = 20÷100.

Per esaminare ora il comportamente delle argille sovraconsolidate, si considerino altri

4 provini della stessa argilla ricostituita in laboratorio, che vengono fatti consolidare tutti alla

pressione di cella σ'3(IV) > σ'3(III).

Fig. 8.19 - Risultati di prove triassiali CD su provini di argille: a) normalmente consolidate

(NC); b) sovraconsolidate (OC)

101

Terminata la fase di consolidazione, un provino (IV) viene portato a rottura in

condizioni analoghe a quelle considerate in precedenza. Dato che anche questo provino è

costituito da materiale normalmente consolidato portato a rottura in condizioni drenate, il

relativo cerchio di Mohr a rottura deve essere tangente alla retta limite individuata con le prove

eseguite sui primi 3 provini. In Fig. 8.19.b tale retta è indicata con linea tratteggiata.

Per gli altri tre provini, consolidati anch'essi alla pressione di cella σ'3(IV), si riduce la

pressione di cella rispettivamente a σ'3(III), σ'3(II) e σ'3(I), lasciando rigonfiare il materiale.

Ultimata la fase di rigonfiamento, i tre provini si trovano nelle condizioni di materiale

sovraconsolidato in quanto sottoposti a tensioni inferiori alla tensione massima di consolidazione.

A questo punto i tre provini vengono portati a rottura, sempre in condizioni drenate.

Dalle relazioni "tensioni-deformazioni" e da quelle "variazioni di volume-

deformazioni" (Fig. 8.19.b) si rileva che i provini di materiale sovraconsolidato hanno resistenza

maggiore dei corrispondenti provini di materiale normalmente consolidato e che nella fase di

rottura si ha un aumento di volume del materiale sovraconsolidato, tanto più elevato quanto più

alto è il rapporto di sovraconsolidazione OCR.

L'inviluppo dei tre cerchi di Mohr a rottura fornisce la linea limite del materiale

sovraconsolidato. Con buona approssimazione questa linea è una retta, che però non passa per

l'origine degli assi (Fig. 8.19 b).

La linea limite è espressa dalla relazione:

τf = c' + σ' tg ϕ'OC

Il criterio di rottura è ancora quello di Mohr-Coulomb, ma rispetto al caso del materiale

normalmente consolidato compare il termine c' denominato coesione. L'angolo di attrito del

materiale sovraconsolidato (ϕ'OC) è più piccolo di quello dello stesso materiale normalmente

consolidato (ϕ'NC).

Per le argille sovraconsolidate, la resistenza è funzione del grado di

102

sovraconsolidazione, oltre che della composizione mineralogica. Il comportamento delle argille

sovraconsolidate trova una spiegazione fisica nei legami che si formano tra le scaglie di minerali

argillosi durante la consolidazione e che non si distruggono completamente a seguito dello

scarico. Il valore di c' dipende anche dal tempo che ha agito il carico di preconsolidazione.

Nel caso delle argille naturali sovraconsolidate, i valori di c' variano da 0,03 a 0,15

MPa ed i valori di ϕ' sono compresi nell'intervallo 16° - 26°.

Resistenza residua - Nel caso delle argille sovraconsolidate le curve sforzi-deformazioni

mostrano che, raggiunto il valore massimo dello sforzo, al crescere delle deformazioni si ha una

sensibile caduta di resistenza (Fig. 8.19.b). Questo comportamento può essere meglio posto in

evidenza con prove di taglio diretto, che consentono di sottoporre i provini di terreno a

scorrimenti elevati.

In Fig. 8.20.a sono riportate le curve tensioni di taglio-spostamento orizzontale ricavate

da prove di taglio diretto di tipo drenato eseguite su tre provini di una stessa argilla

sovraconsolidata, sottoposti a valori diversi della tensione normale di consolidazione (σ'n). Dalle

curve (δ , τ) si rileva che la resistenza diminuisce fino ad un valore praticamente costante per

spostamenti elevati (resistenza residua), a causa della rottura dei legami tra le scaglie di minerali

argillosi e dell'isorientamento delle scaglie stesse.

Fig. 8.20 - Risultati di prove di taglio diretto su argille sovraconsolidate

103

Se nel diagramma (σ'n , τ) si riportano i valori della resistenza massima e di quella

residua relativi a ciascun provino, è possibile costruire le linee limite nelle due condizioni.

Entrambe le linee sono delle rette, quella relativa alla resistenza massima consente di definire i

valori dei parametri coesione c' ed angolo di attrito ϕ', allo stesso modo di come è possibile fare

con prove triassiali CD; quella relativa alla resistenza residua passa per l'origine degli assi ed

individua il parametro ϕ'R, angolo di attrito residuo.

Per una data argilla quest'angolo è minore dell'angolo ϕ' e può essere considerato un

parametro caratteristico dell'argilla, dipendente esclusivamente dalla composizione mineralogica

del terreno.

Ricapitolando quanto visto finora, i parametri di resistenza al taglio di argille naturali

normalmente consolidate e sovraconsolidate possono essere determinati con prove trassiali CD e

con prove di taglio diretto. Esiste, però, un'altra possibilità di determinare questi parametri in

laboratorio, che è quella di eseguire prove triassiali consolidate non drenate (CU) con misura

della pressione neutra durante la fase di rottura. Se si riportano nel piano (σ', τ) i cerchi di Mohr a

rottura di più provini in termini di tensioni efficaci (σ1 - uf ; σ3 - uf), dove uf è la pressione

interstiziale a rottura, si individua una retta inviluppo che permette di definire i valori dei parametri

c' e ϕ' così come è possibile fare con prove di tipo drenato.

8.5.3 - Argille sature in condizioni non drenate

Per determinare le caratteristiche di resistenza al taglio in condizioni non drenate delle

argille, in laboratorio si opera con l'apparecchio triassiale o si eseguono prove di compressione

semplice; in sito, quando possibile, si opera con lo scissometro o si interpretano i risultati di

prove penetrometriche statiche.

Prove di laboratorio - Si fa riferimento prima a prove trassiali. Tre provini di un'argilla satura in

condizioni iniziali identiche sono sottoposti ad una prova non consolidata non drenata (UU) con

104

valori diversi della pressione di cella σc = σ3. Prima della prova la pressione neutra (u0 = ur),

uguale nei tre provini, è quella residua nel campione dopo il prelievo e le operazioni di

preparazione dei provini; essa di solito è negativa a causa della capillarità e la tensione efficace è

positiva essendo σ=σ'+ur=0 e quindi σ'=-ur>0. Durante la fase di applicazione della pressione di

cella in condizioni di drenaggio impedito, l'aumento della tensione totale causa un aumento della

pressione neutra Δu = σ3, ma nei tre provini le tensioni efficaci restano uguali al valore iniziale

σ'=-ur. Nella fase di applicazione del carico assiale, in condizioni non drenate, il contenuto

d'acqua dei provini non varia ed il valore di σ1 - σ3 a rottura deve essere uguale per i tre provini.

Se i tre cerchi di Mohr a rottura si riportano nel piano (σ , τ), la retta limite è parallela

all'asse delle ascisse (Fig. 8.21); in condizioni non drenate, cioè, il materiale si comporta come

se il suo angolo di attrito ϕu fosse nullo e tutta la resistenza fosse di tipo coesivo: τf = cu

Fig. 8.21 - Risultati di prove triassiali UU su provini di argilla

La resistenza non drenata cu non dipende dalle variazioni della tensione totale σ3 ed è

determinata solo dalla composizione e dallo stato iniziale del terreno espresso dal suo contenuto

in acqua. Questo, a sua volta, è funzione della storia degli stati di tensione ai quali il materiale è

stato sottoposto ed in particolare della tensione efficace di consolidazione.

Nel caso delle argille normalmente consolidate esiste una relazione empirica tra

resistenza non drenata e tensione verticale litostatica efficace agente in sede:

105

cu = (0,11 + 0,0037 IP) σ'v

A parità di composizione, la resistenza non drenata delle argille sovraconsolidate è

molto più elevata di quella delle argille normalmente consolidate. Per quest'ultime, che di regola

sono materiali di consistenza bassa, il valore di cu risente molto del disturbo che può aver subito

il campione durante le operazioni di prelievo e confezionamento dei provini.

Un tipo particolare di prova triassiale non consolidata non drenata è la prova di

compressione semplice, nella quale la tensione laterale σc = σ3 = 0. Se la prova, infatti, è

condotta molto rapidamente, il contenuto d'acqua del provino non varia, anche se il provino

stesso non è isolato idraulicamente.

Se σf è la resistenza a compressione ottenuta dalla prova, la resistenza al taglio non

drenata è:

cu = σf /2

Per una data argilla, la prova di compressione semplice fornisce valori di cu inferiori a

quelli forniti dalla prova triassiale UU, che deve ritenersi più indicata per la corretta valutazione

delle caratteristiche di resistenza non drenata delle argille in laboratorio. La prova di

compressione semplice ha il vantaggio di essere di rapida esecuzione e di non richiedere

apparecchiature complesse.

Prove in sito - Per la determinazione della resistenza non drenata in sito delle argille di

consistenza da bassa a media, come visto in 8.3.3, si impiega lo scissometro che consente di

misurare direttamente il valore di cu. La coppia di torsione (Mt), infatti, è legata direttamente alla

resistenza al taglio cu che si sviluppa sulla superficie laterale del cilindro di rottura e sulle basi

del cilindro stesso attraverso la relazione (Fig. 8.11):

106

cu =6 Mt

π d2 d + 3h( )

Con lo scissometro si esegue una prova non drenata in quanto la velocità di rotazione

delle alette è elevata rispetto alla permeabilità delle argille naturali e tale da non consentire una

variazione di contenuto d'acqua.

La misura della resistenza non drenata mediante lo scissometro fornisce valori

rappresentativi delle condizioni del terreno in sito, in quanto il disturbo provocato al terreno

dall'infissione delle alette può considerarsi trascurabile. Ma rispetto alle prove di laboratorio si

ottengono valori di cu più elevati. E' quindi necessario apportare una correzione moltiplicando i

valori ottenuti con lo scissometro per un coefficiente λ che è funzione di IP:

IP λ

20 0,98

40 0,83

60 0,73

80 0,67

100 0,62

Le prove penetrometriche statiche sono assimilabili a prove rapide in condizioni di

drenaggio impedito e consentono pertanto una stima della resistenza non drenata delle argille in

sito. Dalle esperienze acquisite risulta:

cu ≈ RP/20

dove RP è la resistenza alla punta.

107

9 - GENERALITA' SULLE FONDAZIONI

9.1 - DEFINIZIONI

Fondazione: è quella parte di un'opera a diretto contatto con il terreno, destinata a trasmettere

al terreno stesso le forze provenienti dalla struttura in elevazione.

Fondazioni superficiali (o dirette): il piano di posa è a profondità D dalla superficie del suolo

minore o uguale alla dimensione minore B della base della fondazione; i carichi

sono trasmessi al terreno essenzialmente attraverso la base X-X (Fig. 9.1).

I tipi più comuni di fondazioni superficiali sono (Fig. 9.2):

- plinti

- travi rovesce e muri continui

- platee

Fondazioni profonde: il piano di posa è a profondità D maggiore o molto maggiore di B; i

carichi sono trasmessi al terreno, oltre che attraverso la base X-X, anche

attraverso le superfici laterali X-Z (Fig. 9.1).

I tipi più comuni di fondazioni profonde sono (Fig. 9.2):

- pozzi e cassoni (D/B >1)

- pali (D/B >>1)

Nel seguito (Cap. 11) verranno considerate esclusivamente le fondazioni su pali, in

quanto i pozzi ed i cassoni si impiegano solo in condizioni eccezionali e per opere particolari

(fondazioni di ponti e viadotti soggette ad elevati carichi orizzontali; fondazioni di opere

nell'alveo di corsi d'acqua o in bacini lacustri e marini).

108

Fig. 9.1 - Schemi di: a) fondazione superficiale; b) fondazione profonda

Fig. 9.2 -Tipi di fondazione: a) superficiali; b) profonde

109

9.2 - CRITERI DI PROGETTO

9.2.1 - Requisiti di una fondazione

Una fondazione deve poter trasmettere al terreno i carichi agenti sulla sovrastruttura in

modo da garantire un adeguato sostegno all'opera da fondare insieme ad un suo soddisfacente

comportamento. In altri termini, come prescrive la normativa italiana, i requisiti di una

fondazione sono:

- "lo stato di tensione indotto nel terreno deve essere compatibile con le caratteristiche di

resistenza del terreno stesso, nella situazione iniziale ed in quelle che potranno

presumibilmente verificarsi nel tempo";

- "gli spostamenti delle strutture di fondazione devono essere compatibili con i prefissati livelli

di sicurezza e con la funzionalità delle strutture in elevazione".

I suddetti requisiti possono non essere soddisfatti per una molteplicità di fenomeni che

possono verificarsi nel sottosuolo. Con riferimento agli edifici ed alle situazioni che più

frequentemente si presentano nelle regioni italiane, le cause di collasso o di spostamenti

eccessivi delle strutture di fondazione possono essere:

- rottura o eccessive deformazioni del terreno per effetto dei carichi trasmessi dalla

sovrastruttura (causa più comune);

- abbassamento della superficie del suolo (subsidenza) a seguito dell'abbassamento del livello

della falda idrica;

- costruzione di altre strutture in adiacenza;

- deformazioni del terreno, prodotte da scavi a cielo aperto o in sotterraneo effettuati nel pressi

dell'opera, oppure da fenomeni di instabilità di cavità naturali ed artificiali presenti nel

sottosuolo;

- erosione sotterranea di terreni incoerenti ad opera di acque provenienti da perdite di condutture

sotterranee;

- "liquefazione" di terreni sabbiosi poco addensati durante i terremoti.

110

9.2.2 - Fattori che influiscono sul comportamento delle opere di fondazione

Tenuto conto delle molteplici cause di "instabilità" delle strutture di fondazione, per

progettare una fondazione che abbia i requisiti richiesti è necessario considerare una serie di fattori

di diversa natura, che riguardano il terreno di fondazione, l'opera in progetto e le condizioni

ambientali.

Terreno di fondazione: successione e caratteristiche dei terreni; regime delle acque sotterranee;

cavità sotterranee; subsidenze; eventuali movimenti franosi nel caso di opere su pendio, ecc.

Opera in progetto: forma in pianta; dimensioni; carichi permanenti ed accidentali; tipo

strutturale; destinazione.

Condizioni ambientali: situazione topografica; regime delle acque superficiali; presenza e

caratteristiche di altri manufatti e sottoservizi; fattori climatici; azioni sismiche.

9.2.3 - Unitarietà del progetto dell'opera e della sua fondazione

La normativa italiana prescrive che: "il progetto della fondazione di un'opera deve

essere sviluppato congiuntamente al progetto dell'opera in elevazione ....".

Al riguardo va tenuto presente che in numerose situazioni le caratteristiche del

sottosuolo possono influire sulle scelte progettuali riguardanti l'opera nel suo insieme. Ad

esempio, esigenze di carattere economico e statico possono consigliare di adottare particolari

forme e volumetrie dell'opera o di impiegare particolari tipi strutturali per le parti in elevazione o

accorgimenti come l'inserimento di "giunti". Ne consegue, pertanto, che il progetto della

fondazione è parte integrante del progetto dell'opera e deve potersi sviluppare in parallelo con

questo in tutte le sue fasi (preliminare, massima, esecutiva, costruttiva).

111

9.3 - FASI DELLA PROGETTAZIONE

Il progetto di una fondazione consiste in una successione di operazioni, che possono

essere così sintetizzate:

1 - acquisizione dei dati necessari;

2 - scelta del tipo di fondazione e primo dimensionamento;

3 - verifiche nei riguardi della stabilità e degli spostamenti;

4 - dimensionamento definitivo delle strutture di fondazione.

In quanto segue si accennerà alle varie fasi in cui si articola il progetto di una

fondazione, sia di tipo superficiale che profondo, mettendo in vista le procedure di carattere

generale da seguire e gli elementi ed i dati da considerare. Nei capitoli successivi, le fondazioni

superficiali saranno trattate separatamente da quelle profonde.

9.3.1 - Indagini e rilievi

L'indagine sul terreno di fondazione va estesa fino alle profondità per le quali le tensioni

indotte nel sottosuolo sono significative nei riguardi delle deformazioni o della stabilità

("volume significativo": Paragrafo 5.3). Per fabbricati ordinari si consiglia di spingere l'indagine

fino ad una profondità Di = (1 ÷ 2)B ove B è la lunghezza del lato minore del rettangolo che

meglio approssima la pianta del fabbricato. Nel caso di fondazioni profonde Di deve essere

misurata a partire dalla base della fondazione; in tal caso sarà Di = (0.5 ÷ 1)B (Fig. 9.3).

112

Fig. 9.3 - Profondità di indagine ("volume significativo") per fabbricati ordinari

L'indagine sul sottosuolo deve consentire di:

- ricostruire la successione dei terreni e definirne le proprietà fisico-meccaniche;

- accertare la profondità e lo stato di moto dell'acqua eventualmente presente nel sottosuolo.

Questa indagine sarà effettuata secondo i metodi e con i mezzi indicati ai Capitoli 5 ed

8.

La situazione topografica ed ambientale deve risultare da rilievi topografici e da

indagini specifiche.

In particolare devono essere individuate:

- la forma della superficie del suolo e soprattutto la presenza di fronti ripidi;

- il regime delle acque superficiali;

- la presenza di altri manufatti e sottoservizi.

Nel caso di costruzioni su o in prossimità di pendii si dovrà accertare la stabilità del

pendio.

Indagini specifiche vanno eseguite nelle aree dove per ragioni geologiche, storiche o

minerarie possono essere presenti cavità nel sottosuolo. E' questo il caso, ad esempio, dell'area

urbana di Roma, nel cui sottosuolo sono presenti gallerie e cunicoli scavati in oltre duemila anni

per finalità diverse (tombe ipogee, condotte idrauliche; prelievo di materiali da costruzione).

113

9.3.2 - Determinazione della grandezza e della distribuzione dei carichi

Le forze agenti alla base della struttura in elevazione si ricavano dall'analisi dei carichi e

dipendono dalla destinazione e dal tipo di manufatto. E' necessario distinguere i carichi

permanenti da quelli accidentali.

I carichi permanenti sono costituiti dal peso proprio della struttura e della fondazione e

dal peso dell'eventuale terreno di rinterro al di sopra della fondazione.

I carichi accidentali sono tutti i carichi che possono essere applicati alla struttura.

Questi vanno distinti in relazione alla frequenza con la quale agiscono: esistono carichi che

agiscono quasi in permanenza (materiali nei silos e nei magazzini, un'aliquota del peso delle

persone negli edifici, ecc.) ed altri che agiscono saltuariamente per brevi periodi di tempo

(azioni del vento e della neve; traffico veicolare; folla compatta negli edifici, ecc.). Una

categoria a parte sono i carichi dinamici (vibrazioni indotte dal traffico o da macchinari; azioni

sismiche).

Se il piano di posa della fondazione è al di sotto della superficie libera della falda idrica,

la pressione idrica o sottospinta idraulica agente sulla base della fondazione deve essere sottratta

ai carichi agenti.

9.3.3 - Scelta del tipo di fondazione

Se non esistono motivi precisi che condizionano la scelta (ad es. terreni poco resistenti e

molto compressibili che generalmente comportano l'adozione di fondazioni a platea generale o

su pali), si sceglie inizialmente il tipo di fondazione più semplice ed economico. Nel caso degli

edifici, tale tipo generalmente corrisponde alla fondazione con plinti isolati, disposti ciascuno a

sostegno di un pilastro. Se i plinti occupano più del 30% della superficie coperta dall'edificio,

possono risultare più economiche fondazioni di tipo continuo (travi rovesce). Una platea

generale può risultare più conveniente di fondazioni a plinti isolati o a travi, se queste occupano

più del 50% della superficie in pianta dell'edificio.

Scelto il tipo di fondazione, se ne stabiliscono le dimensioni di massima e si ricava il

114

carico complessivo Q trasmesso al terreno.

9.3.4 - Scelta del piano di posa

Nel caso di fondazioni superficiali, il piano di posa deve essere al disotto del terreno

vegetale ed al disotto dello strato superficiale di terreno ove si risentono gli effetti delle

variazioni stagionali di contenuto d'acqua. Se nel sottosuolo è presente una falda idrica, il piano

di posa deve essere al disotto oppure completamente al disopra del livello della falda.

La profondità, individuata in base ai criteri sopra esposti, rappresenta il valore minimo

della profondità alla quale deve essere posto il piano di posa di una fondazione superficiale. In

base alle verifiche indicate nel seguito, tale profondità potrà eventualmente essere aumentata.

E' consigliabile che il piano di posa sia lo stesso per tutti gli elementi di una fondazione.

Ove ciò non sia possibile, come nel caso di edifici su pendio, per evitare interferenze tra appoggi

contigui, devono essere verificate le condizioni indicate in Fig. 9.4.

Fig. 9.4 - Criterio per stabilire la posizione reciproca di fondazioni contigue poste a quote

diverse: rocce lapidee β≤ 45°; terreni β≤ 30°

9.3.5 - Verifica della stabilità del complesso terreno-fondazione

Dati il tipo e le dimensioni della struttura di fondazione e la profondità del piano di posa

si verifica se:

115

F

QQQ limam =≤

dove:

Qam è il carico ammissibile

Qlim è il carico che produce la rottura del terreno;

F è un opportuno coefficiente di sicurezza, il cui valore è scelto in relazione al tipo di

fondazione, alla destinazione dell'opera, al livello di conoscenza del sottosuolo e dei

carichi agenti sulla sovrastruttura.

9.3.6 - Verifica nei riguardi dei cedimenti

Rilevanza dei cedimenti - Definito il carico ammissibile Qam in base alla verifica di stabilità, si

procede alla valutazione dei cedimenti.

Si definisce cedimento la componente verticale dello spostamento del piano di posa di

una fondazione. Si distinguono:

- cedimento assoluto: abbassamento di un punto del piano di posa riferito ad un caposaldo

fisso;

- cedimento differenziale: differenza dei cedimenti assoluti di due punti del piano di posa di

una fondazione o di due elementi strutturali isolati facenti parte della fondazione di un unico

manufatto (ad esempio plinti, travi o pali non collegati in testa da una struttura rigida).

I cedimenti devono essere compatibili con lo stato di sollecitazione ammissibile per la

struttura e con la funzionalità del manufatto. Ciò significa che i cedimenti non possono superare

determinati valori, dipendenti dalle caratteristiche e dalla destinazione del manufatto. Questa

condizione può comportare che il carico di esercizio debba essere più piccolo di quello definito

in base alla verifica di stabilità.

La stabilità, infatti, non è di regola la condizione più gravosa nei riguardi del progetto di

116

una fondazione. Nel caso di sottosuolo formato da terreni compressibili ed eterogenei e di

strutture sensibili ai cedimenti differenziali, la condizione più gravosa è rappresentata proprio

dalla grandezza e dal tipo dei cedimenti che il piano di posa (e quindi la struttura in elevazione)

può subire.

Nella maggior parte dei casi, pertanto, ai fini del progetto di una fondazione interessano

soprattutto i cedimenti.

Tipi di cedimento - Il cedimento, che un'opera di fondazione può subire sotto l'azione dei

carichi su di essa agenti, può essere di vario tipo (Fig. 9.5):

a) cedimento uniforme: il cedimento assoluto (δ) è uguale in ogni punto del piano di posa;

b) cedimento disuniforme con rotazione rigida della struttura: si hanno cedimenti

differenziali, ma la struttura non subisce distorsioni; si definisce "rotazione" il rapporto

Δδ/ l ;

c) cedimento disuniforme con distorsione della struttura: si definisce "distorsione angolare"

il rapporto Δδ/ l .

Fig. 9.5 - Tipi di cedimento: a) uniforme; b) disuniforme con rotazione rigida; c) disuniforme

con distorsione

In alcuni casi il cedimento disuniforme è composto da una rotazione rigida e da una

distorsione, cioè da una combinazione di b) e c).

117

Cedimenti del tipo a) e b) si verificano quando il complesso struttura di fondazione-

sovrastruttura è molto rigido; mentre il tipo c) si ha nel caso di fondazioni continue deformabili

o di fondazioni costituite da elementi isolati (plinti, travi, pali non collegati in testa da una

struttura rigida).

Le cause principali dei cedimenti differenziali sono:

1 - eterogeneità dei terreni di fondazione

2 - distribuzione disuniforme dei carichi in fondazione

3 - distribuzione uniforme dei carichi su fondazioni flessibili

Cedimenti ammissibili dalle strutture - I cedimenti assoluti possono causare danneggiamenti o

cattivo funzionamento delle condutture dell'acqua, delle fognature, dei cavi elettrici e telefonici,

ecc. al passaggio tra l'edificio e l'esterno. Possono, inoltre, influire sulle connessioni tra edifici

adiacenti e possono causare dislivelli inaccettabili tra l'edificio stesso ed eventuali

pavimentazioni esterne.

Si impone, pertanto, una limitazione alla grandezza dei cedimenti assoluti, anche come

mezzo indiretto per limitare i cedimenti differenziali. Se non esistono altri vincoli e nel caso di

edifici ordinari, si consigliano i seguenti valori massimi dei cedimenti assoluti:

- strutture su argille δmax = 8 cm

- strutture su sabbie δmax = 4 cm

Nella maggior parte dei casi, però, sono i cedimenti differenziali che determinano il

comportamento soddisfacente o non di una struttura. Infatti, cedimenti differenziali elevati tra

due parti di una stessa struttura possono essere causa di danni alla struttura stessa. Per definire il

cedimento pericoloso si è soliti riferirsi alla "distorsione angolare" (Δδ/ l ). Nel caso di rotazioni

rigide, non si hanno danni alla struttura, ma una rotazione eccessiva può limitare la funzionalità

dell'opera e pone problemi estetici. Per definire la rotazione rigida ammissibile si fa riferimento

alla "rotazione" (Δδ/ l ).

Nella Tabella 9.1 sono indicati i valori ammissibili del rapporto Δδ/ l per strutture su

118

argille.

Nel caso di strutture fondate su sabbie, i cedimenti si manifestano subito dopo

l'applicazione dei carichi (cedimenti immediati). Nel caso di strutture fondate su argille i

cedimenti si manifestano generalmente nel tempo e le strutture stesse hanno modo di adattarsi ai

cedimenti differenziali con deformazioni di tipo viscoso, subendo minori danni, a parità di

cedimenti, delle strutture su sabbie. Pertanto, nel caso di quest'ultime strutture devono essere

fissati limiti più contenuti rispetto a quelli indicati in Tabella 9.1.

Tabella 9.1 - Limiti della distorsione angolare e della rotazione per strutture su argille

9.3.7 - Criteri di primo dimensionamento delle strutture di fondazione

Si forniscono alcune indicazioni per il dimensionamento strutturale dei plinti, delle travi

rovesce e delle platee, nonché delle strutture di collegamento delle teste dei pali. Le strutture di

fondazione sono di regola realizzate in cemento armato anche per strutture in elevazione di

119

muratura o di acciaio.

Plinti isolati - Hanno generalmente forma in pianta quadrata o circolare; nel caso di forti

eccentricità dovute ai carichi permanenti possono avere forma rettangolare. In passato i plinti

avevano forma a tronco di piramide; oggi per risparmiare oneri di lavorazione dell'armatura e

della cassaforma hanno forma parallelepipeda.

Al di sotto del plinto si realizza un sottoplinto di calcestruzzo "magro" non armato per

un miglior getto del calcestruzzo armato del plinto stesso e per allargare l'effettiva base di

appoggio sul terreno; per una efficace ripartizione del carico, l'aggetto del sottoplinto deve

essere minore del suo spessore (Fig. 9.6a).

I plinti sono generalmente collegati tra loro nelle due direzioni da "cordoli" di cemento

armato, cioè da strutture in grado di resistere a sollecitazioni di trazione o compressione, ma non

di flessione.

L'altezza H del plinto si ricava da una verifica a punzonamento impiegando la relazione

(Fig. 9.6a):

Qs

2 bo + co( ) H < τam

dove Qs è il carico trasmesso dal pilastro e τam è lo sforzo di taglio ammissibile del

calcestruzzo. Per τam=0,4÷0,6 MPa, si ottengono plinti alti e massicci che richiedono solo una

debole armatura; per τam=0,6÷1,0 MPa si ottengono plinti relativamente bassi da armare a

flessione e taglio.

Travi rovesce - Nel caso che i pilastri della sovrastruttura siano disposti secondo un

allineamento con piccolo interasse e le caratteristiche del terreno di fondazione non consentano

l'adozione di plinti isolati, si ricorre alla trave di fondazione. Questa ha in generale forma a T

rovesciata: la soletta, tramite la sottotrave in calcestruzzo "magro", trasmette il carico al terreno

120

e sull'anima poggiano i pilastri; l'anima ha dimensione trasversale b leggermente maggiore di

quella dei pilastri bo (Fig. 9.6b).

Le travi rovesce possono essere collegate trasversalmente da "cordoli" o da vere e

proprie travi equivalenti venendo a formare un reticolo o graticcio di travi.

La rigidezza della trave di fondazione dipende dalla sua altezza H rispetto all'interasse l

dei pilastri collegati dalla trave. Per avere travi sufficientemente rigide deve essere:

- H ≥ l/4

- h = m (B-b) ≥ 30 cm

dove m è un coefficiente che varia da 0,25 a 0,60 all'aumentare delle tensioni trasmesse al

terreno.

Fig. 9.6 - a) plinto isolato; b) trave rovescia

121

Platee di fondazione - Le platee generali possono essere di spessore costante o nervate (Fig.

9.7). Sono dette nervate quelle platee aventi la soletta irrigidita da un reticolo di travi disposte

nelle due direzioni lungo gli allineamenti dei pilastri della struttura in elevazione.

Le platee di spessore costante di regola hanno bassa rigidezza, tanto da essere

considerate strutture flessibili. Comunque la soletta deve avere spessore hs proporzionato

all'interasse dei pilastri (l x e l y ). Per un primo dimensionamento si può assumere hs ≥ l x/8

(con l x > l y ).

La rigidezza delle platee nervate dipende essenzialmente dalla rigidezza delle travi. Per

avere una struttura sufficientemente rigida si può far riferimento a quanto indicato nel caso delle

travi rovesce e cioè assumere l'altezza della trave H ≥ l x /4 (con l x > l y). Lo spessore della

soletta può essere alquanto inferiore a quello delle platee di spessore costante e può essere

assunto:

hsn ≥

1

10÷

1

12lx lx > ly( )

Fig. 9.7 - a) platea di spessore costante; b) platea nervata

Strutture di collegamento delle teste dei pali - Possono essere del tipo a trave o a piastra e

sono impiegate per irrigidire il complesso fondazione-sovrastruttura in modo da poter ripartire i

122

carichi tra i pali in modo uniforme (in realtà anche nel caso di struttura di collegamento

infinitamente rigida risultano più caricati i pali posti alla periferia del gruppo).

Comunque per avere strutture rigide, in prima approssimazione si può assumere

l'altezza della trave o lo spessore della piastra pari a circa la metà dell'interasse dei pali, per

diametri non maggiori di 800 mm.

9.3.8 - Dimensionamento definitivo delle strutture di fondazione

Nei paragrafi precedenti si è visto che, dopo aver effettuato una prima scelta del tipo e

delle dimensioni della fondazione, si procede alla verifica nei riguardi della stabilità e dei

cedimenti. Se uno degli aspetti della verifica non è soddisfatto, si modificano le dimensioni o

addirittura il tipo di fondazione e si ripete la verifica.

Raggiunte le condizioni volute per ciò che riguarda stabilità e deformazioni, si

stabiliscono le dimensioni definitive degli elementi strutturali della fondazione, verificando che

le sollecitazioni agenti siano compatibili con le caratteristiche di resistenza e deformabilità dei

materiali costituenti. Nel caso di elementi strutturali in cemento armato, si procede al

dimensionamento dell'armatura ed alla verifica delle sollecitazioni nel calcestruzzo e nel ferro.

123

10 - FONDAZIONI SUPERFICIALI

10.1 - DEFINIZIONI

Con riferimento alla Fig. 10.1, che rappresenta una fondazione superficiale a pianta

rettangolare (plinto) di lato minore B e lato maggiore C, si definiscono:

Area di base A = B . C

Profondità del piano di posa D

Carico trasmesso dalla sovrastruttura Qs

Carico complessivo trasmesso dalla fondazione al terreno

(P: peso del plinto; PR: peso del rinterro) Q = Qs + P + PR

Carico unitario trasmesso dalla fondazione al terreno q = Q/A

Carico unitario ridotto della sottospinta idraulica q' = q - γwzw

Sovraccarico unitario qo = γ D

Carico unitario netto Δq = q - qo

124

Fig. 10.1 -Schema per la definizione dei carichi relativi ad una fondazione superficiale a plinto

10.2 - CARICO LIMITE DEL COMPLESSO FONDAZIONE-TERRENO

10.2.1 - Generalità e meccanismi di rottura

Si definisce carico limite del complesso fondazione-terreno (o semplicemente carico

limite) il valore del carico unitario qlim, trasmesso da una struttura di fondazione al sottosuolo,

che provoca la rottura del terreno. A seconda della compressibilità del terreno, la rottura può

avvenire secondo due meccanismi limite diversi (Fig. 10.2):

- rottura generale: si verifica nei terreni poco compressibili (sabbie addensate, argille

consistenti) ed è caratterizzata dalla formazione di superfici di scorrimento ben definite che si

estendono fino in superficie; il terreno sottostante la fondazione viene spinto verso il basso e

lateralmente e quello posto ai lati si solleva; se non esistono vincoli particolari, il collasso è

accompagnato da una rotazione della fondazione; con questo meccanismo di rottura il valore

del carico limite risulta chiaramente individuato come punto di massimo della curva carichi-

cedimenti;

- rottura locale (o punzonamento): si verifica nei terreni molto compressibili (sabbie poco

addensate ed argille tenere) ed è caratterizzata dall'assenza di superfici di scorrimento ben

definite e da cedimenti che crescono con gradualità all'aumentare del carico senza consentire

una precisa individuazione del carico limite.

125

Fig. 10.2 - Meccanismi di rottura : a) generale; b) locale (o punzonamento)

Nell'ipotesi che il meccanismo di rottura sia quello generale, la teoria della plasticità

fornisce il valore del carico limite per una fondazione nastriforme indefinita (problema piano)

sottoposta a carichi con risultante verticale e centrata.

Il carico limite è calcolabile nell'ipotesi che il terreno sia un mezzo rigido-plastico e che

il criterio di rottura sia espresso dalla relazione τf = c + σ tg ϕ (Fig. 10.3).

Per il calcolo del carico limite esistono più soluzioni proposte da vari Autori, che

differiscono essenzialmente per le assunzioni fatte sulla forma delle superfici di scorrimento.

Tutte le soluzioni esprimono il carico limite in funzione delle caratteristiche geometriche della

fondazione e delle proprietà fisico-meccaniche del terreno. E' importante al riguardo rilevare che

il carico limite non è una caratteristica del terreno, ma dipende anche dalla geometria della

fondazione.

Nel seguito si fa riferimento alla soluzione di Terzaghi, valida per fondazione

nastriforme indefinita; mediante l'introduzione di coefficienti correttivi la relativa espressione

del carico limite può essere estesa ad altre condizioni (diversa forma della fondazione in pianta,

meccanismo di rottura locale nel caso di terreno compressibile, ecc.).

126

10.2.2 - Fondazione nastriforme indefinita (Soluzione di Terzaghi)

Si considera il caso di una fondazione di lunghezza indefinita e di larghezza B, con

piano di posa alla profondità D, sottoposta a carichi verticali e centrati. Siano γ1 e γ2 i pesi

dell'unità di volume rispettivamente del terreno posto al di sopra ed al di sotto del piano di posa

e c, ϕ i parametri di resistenza al taglio del terreno posto al di sotto del piano di posa (Fig. 10.3).

Fig. 10.3 - a) schema per il calcolo del carico limite di una fondazione nastriforme indefinita;

b) modello di comportamento del terreno

Si consideri, per il momento, la condizione di falda idrica assente. La base della

fondazione attraverso la quale è applicato il carico q è considerata una soletta indeformabile

orizzontale che, penetrando nel terreno, mobilita la resistenza al taglio del terreno stesso.

Secondo la soluzione proposta da Terzaghi la resistenza del terreno può ottenersi per

sovrapposizione di tre contributi:

a) - resistenza del terreno con γ2 ≠ 0 ϕ ≠ 0 c = 0 qo = 0

b) - resistenza del terreno con γ2 = 0 ϕ ≠ 0 c ≠ 0 qo = 0

c) - resistenza del terreno con γ2 = 0 ϕ ≠ 0 c = 0 qo ≠ 0

127

Il campo di linee di scorrimento che determina il valore minimo del carico necessario per

produrre la plasticizzazione del mezzo è costituito da (Fig. 10.4):

- una zona in stato passivo GDE (Capitolo 12);

- una zona (GCD) in cui le linee di scorrimento sono archi di spirale logaritmica e segmenti di

rette passanti per G.

Nel cuneo CGG', per effetto delle tensioni tangenziali lungo GG' il terreno si comporta

come un corpo rigido solidale con la fondazione.

Nella soluzione di Terzaghi, il terreno posto al di sopra del piano di posa contribuisce al

carico limite con il suo peso e non con la sua resistenza, in quanto le linee di scorrimento non si

estendono al di sopra di tale piano (Fig. 10.4).

Fig. 10.4 - Meccanismo di rottura secondo Terzaghi

Terzaghi ha espresso il contributo dovuto ad a) e b) con la relazione:

qlim = 12 Bγ2Nγ + cNc

Il contributo dovuto a c) è espresso da: qoNq = γ1DNq

Il carico limite per una fondazione nastriforme indefinita può in definitiva essere

128

calcolato con la relazione:

qlim = cNc +1

2Bγ 2N γ + γ1DNq (10.2.1)

Le grandezze adimensionali Nc, Nq, Nγ, definite coefficienti di capacità portante, sono

funzione dell'angolo d'attrito ϕ.

I valori ricavati da Terzaghi sono riportati nel grafico di Fig. 10.5.

Fig. 10.5 - Coefficienti di capacità portante secondo Terzaghi: rottura generale Nc Nq Nγ ;

rottura locale: N'c N'q N'γ

129

10.2.3 - Forma in pianta della fondazione

Il carico limite di fondazioni rettangolari, quadrate o circolari è valutato con criteri

semi-empirici. La relazione di Terzaghi (10.2.1) si modifica nella:

qq1γγ2cclim s N D γs N γB 21s N cq ++= (10.2.2)

in cui sc, sγ , sq sono coefficienti di forma.

Per fondazioni rettangolari:

sc = sq = 1 + 0,2 B/C

sγ= 1 - 0,3 B/C

ove B e C sono i lati della fondazione (B < C).

Per fondazioni circolari:

sc = 1,3 sq = 1 sγ = 0,6

10.2.4 - Compressibilità del terreno (rottura locale)

Le relazioni sopra riportate sono basate sull'ipotesi di terreno rigido-plastico (Fig.

10.3.b). Per il caso in cui questa ipotesi non sia verificata e le deformazioni siano elevate anche

per bassi valori del carico trasmesso al terreno, non si hanno teorie razionali per il calcolo del

carico limite.

Sulla base di criteri puramente empirici Terzaghi ha proposto di far riferimento ai

130

coefficienti N'q, N'c, N'γ che, a parità di ϕ, forniscono valori ridotti dei coefficienti di capacità

portante (Fig. 10.5).

10.2.5 - Scelta dei parametri di resistenza al taglio del terreno ed influenza della falda

idrica

Nel caso di terreni molto permeabili, la verifica di stabilità deve essere eseguita in

tensioni efficaci, tenendo conto dei valori di regime delle pressioni neutre nel terreno.

Nel caso di terreni saturi a basso coefficiente di permeabilità l'incremento delle tensioni

totali nel terreno genera un eccesso di pressione neutra Δu. Tale eccesso si dissipa in un tempo

più o meno lungo in funzione del coefficiente di consolidazione cv e delle condizioni di

drenaggio.

Il coefficiente di sicurezza raggiunge il valore minimo al termine della costruzione,

quindi aumenta con il procedere della consolidazione nel terreno (Fig. 10.6).

Fig. 10.6 - Andamento nel tempo della pressione neutra e del coefficiente di sicurezza nel caso

di terreni saturi a basso coefficiente di permeabilità (tc = tempo di costruzione; q =

carico unitario trasmesso al terreno)

131

La condizione più sfavorevole per la stabilità della fondazione si ha perciò al termine

della costruzione. Pertanto, il calcolo del carico limite viene eseguito in termini di tensioni totali

nelle condizioni di drenaggio impedito a fine costruzione. E' tuttavia consigliabile verificare

anche le condizioni a lungo termine in tensioni efficaci.

Verifica in termini di tensioni efficaci - Per il calcolo del carico limite in condizioni drenate, la

resistenza al taglio del terreno è espressa dai parametri c' e ϕ' e bisogna tener conto dell'influenza

della falda idrica se la superficie libera è a profondità (d) rispetto al piano di posa minore o

uguale a B (Fig. 10.7). All'aumentare del livello della falda si riducono le tensioni efficaci nel

sottosuolo e di conseguenza si riduce il valore del carico limite.

Con riferimento alla relazione 10.2.1 di Terzaghi per il calcolo del carico limite di una

fondazione nastriforme indefinita, nel caso di Fig. 10.7.a, si ha:

qlim = ′ c Nc +1

2 B ′ γ 2 N γ + γ1 D − zw( )+ ′ γ 1 zw[ ] Nq (10.2.3)

Nel caso di Fig. 10.7.b, si ha:

qlim = ′ c Nc + 12 B ′ γ 2 + γ2 − ′ γ 2( )d

B[ ] N γ + γ1 D Nq (10.2.4)

Se il piano di posa è al di sotto della superficie libera della falda, qlim va confrontato con

il carico unitario totale dedotta la sottospinta idraulica: q' = q - γwzw.

132

Fig. 10.7 - Schemi per valutare l'influenza della falda idrica sul carico limite in termini di

tensioni efficaci

Verifica in termini di tensioni totali - Per il calcolo del carico limite in termini di tensioni totali

nel caso di terreno saturo, la resistenza al taglio è espressa dai parametri ϕ= ϕu = 0 e c = cu. Per

ϕu=0 risulta: Nc = 5,7; Nγ = 0; Nq = 1 (Fig. 10.5).

Nel caso di fondazione nastriforme indefinita l'espressione del carico limite pertanto

diventa:

qlim = 5,7 cu + γ1 D (10.2.5)

ove γ1 è il peso di volume totale (acqua + scheletro solido).

La relazione 10.2.5 è valida anche per fondazioni rettangolari, quadrate e circolari; cioè

nelle verifiche in termini di tensioni totali non si tiene conto dei coefficienti di forma.

Nel caso di piano di posa posto al di sotto della superficie libera della falda idrica, qlim

va confrontato con il carico unitario totale agente q; cioè da q non va sottratta la sottospinta

idraulica.

133

10.2.6 - Coefficiente di sicurezza

Le relazioni fornite in quanto precede hanno lo scopo di consentire la determinazione

del carico limite (Qlim = qlim A) per il quale si ha il collasso dell'insieme fondazione-terreno.

Definire il valore del carico ammissibile (Qam) è un problema di ottimizzazione che può

essere risolto mettendo in conto la funzionalità e l'economicità della struttura di fondazione, la

probabilità che avvenga il collasso e le conseguenze che esso avrebbe.

Nella pratica il problema viene risolto dividendo per un opportuno coefficiente di

sicurezza (F) il valore del carico limite:

Qam =Qlim

F

La scelta del valore di F è determinata dalle caratteristiche e dalla destinazione della

struttura in elevazione e dalla valutazione delle conseguenze dell'eventuale collasso. Nella scelta

del coefficiente di sicurezza si deve naturalmente tener conto del grado di conoscenza delle

caratteristiche del terreno di fondazione.

I criteri di regola seguiti per assumere il valore del coefficiente di sicurezza sono

sintetizzati in quanto segue:

A - Strutture nelle quali la probabilità che il carico massimo (permanente più accidentali)

agisca molto frequentemente (serbatoi, magazzini industriali, silos per autovetture).

F = 3 se è stata eseguita un'indagine geotecnica molto accurata

F = 4 se permangono incertezze sulle caratteristiche del terreno di fondazione

B - Strutture nelle quali il carico massimo può agire solo occasionalmente (ponti stradali,

fabbricati civili ed industriali).

F = 2,5÷3,5 in dipendenza del grado di conoscenza del sottosuolo

C - Strutture nelle quali il carico massimo ha scarsa probabilità di agire (fabbricati di civile

abitazione).

134

F = 2÷3 in dipendenza del grado di conoscenza del sottosuolo.

I valori del coefficiente di sicurezza possono essere ridotti al 75% dei valori su riportati

nel caso di opere temporanee; in ogni caso, l'esperienza sconsiglia di adottare valori minori di 2.

Per strutture molto alte i valori sopra indicati devono essere aumentati dal 20% al 50%.

Il regolamento italiano (D.M. 11.3.88) prescrive che la scelta del coefficiente di

sicurezza sia adeguatamente motivata e, per le opere ordinarie, nei casi in cui non siano stati

eseguiti studi e indagini particolari, fissa un valore minimo F = 3.

10.3 - VALUTAZIONE DEI CEDIMENTI

10.3.1 - Considerazioni generali

Cause dei cedimenti - Le cause dei cedimenti di una fondazione superficiale possono essere

molteplici; quelle più comuni sono: deformazioni del terreno sotto l'azione dei carichi trasmessi

dalla fondazione; riduzione di volume del terreno di fondazione dovuta a processi di

consolidazione indotti dall'abbassamento della superficie libera della falda idrica (subsidenze);

deformazioni del terreno di fondazione conseguenti a scavi all'aperto o in sotterraneo effettuati

nei pressi dell'opera; addensamento di terreni incoerenti sciolti a seguito di vibrazioni indotte dal

traffico, da macchine vibranti, da terremoti, ecc.

I cedimenti dovuti alla prima causa si verificano in maggiore o minore misura in tutti i

casi; pertanto nel seguito si farà riferimento soprattutto a questi cedimenti. Quelli dovuti alle

altre cause sopra elencate sono meno frequenti e tra l'altro sono di difficile valutazione, per cui si

tende piuttosto a fare in modo che non si abbiano cedimenti, operando opportune scelte

progettuali (profondità del piano di posa) o prevedendo adeguate opere di sostegno degli scavi o

interventi di miglioramento delle caratteristiche dei terreni (compattazione dei terreni incoerenti

sciolti).

Tensioni indotte nel sottosuolo - Quando un carico è applicato sulla superficie di un

135

semispazio, al suo interno si generano incrementi di tensione (Δσ) rispetto alle tensioni

preesistenti dovute al peso proprio (tensioni litostatiche). Per valutare le deformazioni del

terreno e quindi i cedimenti della superficie su cui agisce il carico, è necessario definire la

grandezza degli incrementi di tensione indotti nel terreno sottostante l'area caricata.

Caratteristiche di deformabilità dei terreni - Per il calcolo dei cedimenti devono essere note

le caratteristiche di deformabilità dei terreni presenti nel sottosuolo, cioè le relazioni tensioni- -

deformazioni-tempo. Come visto al Capitolo 8, tali relazioni variano con il tipo di terreno e con

le condizioni di drenaggio ed i parametri che le descrivono vanno determinati sperimentalmente.

Il terreno come mezzo elastico per il calcolo dei cedimenti - Molti problemi geotecnici

possono essere risolti assumendo che la legge costitutiva del terreno reale coincida con quella di

uno dei modelli reologici semplici. In particolare, il calcolo delle tensioni e delle deformazioni

del terreno sotto l'azione del peso proprio o di forze esterne può eseguirsi con l'ipotesi che il

terreno sia un mezzo elastico. I problemi di cedimenti delle fondazioni di manufatti ricadono in

questa categoria se il coefficiente di sicurezza nei riguardi della rottura del terreno di fondazione

è elevato (≥ 3).

Nell'applicare la teoria dell'elasticità ai terreni reali, va tenuto presente che il modulo di

deformabilità non è costante, ma dipende dallo stato di tensione iniziale e dal valore

dell'incremento di tensione.

Il modello reologico ideale rappresenta sia il comportamento del terreno nel suo

insieme (solido e fluido interstiziale), sia il comportamento del solo scheletro solido. Nel primo

caso le relazioni tensioni-deformazioni sono date in funzione delle tensioni totali, nel secondo in

funzione delle tensioni efficaci. Nelle applicazioni saranno indicati i casi nei quali si deve far

riferimento alle tensioni totali e quelli nei quali si deve far riferimento alle tensioni efficaci.

Cedimenti immediati e cedimenti nel tempo - Nel caso di sottosuolo formato da terreni

permeabili (ghiaie, sabbie), sia in assenza che in presenza di falda idrica, i cedimenti delle

fondazioni si verificano subito dopo l'applicazione dei carichi (cedimenti immediati).

Nel caso di sottosuolo formato da terreni coesivi saturi, i cedimenti delle fondazioni si

136

verificano in parte subito dopo l'applicazione dei carichi (cedimenti immediati, dovuti a

deformazioni del terreno in condizioni non drenate) ed in parte nel tempo (cedimenti dovuti alla

consolidazione del terreno di fondazione). Nel caso di questi ultimi cedimenti, oltre al valore

finale al termine del processo di consolidazione, va previsto il "decorso nel tempo", cioè il modo

come i cedimenti gradualmente si manifestano.

Attendibilità dei risultati del calcolo dei cedimenti - La rispondenza tra cedimenti calcolati e

cedimenti effettivi di una fondazione dipende essenzialmente dal grado di conoscenza della

stratigrafia del sottosuolo e delle caratteristiche di deformabilità del terreno. Pertanto, l'aspetto

più importante riguarda la definizione di valori dei parametri di deformabilità che effettivamente

rappresentino il comportamento del terreno in sito in tutto il "volume significativo".

Al riguardo va tenuto presente che il volume di terreno investigato con prove di

laboratorio ed in sito è sempre una frazione molto piccola del "volume significativo" e che i

valori dei parametri di deformabilità ottenuti con prove di laboratorio risentono in misura

notevole del disturbo dei campioni. Inoltre, è praticamente impossibile disporre di campioni

indisturbati di terreni incoerenti. Ciò comporta che i valori dei parametri di deformabilità che si

impiegano nei calcoli il più delle volte siano scarsamente rappresentativi del comportamento del

terreno in sito.

I valori dei cedimenti ottenuti dal calcolo, devono, pertanto, considerarsi come dati

indicativi, la cui approssimazione nella maggior parte dei casi è limitata all'ordine di grandezza.

10.3.2 - Tensioni indotte nel sottosuolo

Per il calcolo delle tensioni indotte nel sottosuolo da carichi esterni si fa ricorso alla

teoria del semispazio elastico, omogeneo ed isotropo. Inoltre, le soluzioni riportate sono state

ottenute considerando il terreno privo di peso; le relazioni forniscono perciò le tensioni indotte

da forze o carichi distribuiti applicati in superficie.

Le tensioni agenti nel terreno sono ottenute sovrapponendo le tensioni calcolate

(incrementi di tensione) a quelle litostatiche.

Gli incrementi di tensione indotti in un punto P generico del semispazio di coordinate x,

y, z dipendono:

137

- dalla intensità e distribuzione del carico in superficie;

- dalla forma e dalla "rigidezza" della superficie di carico (fondazione);

- dalle coordinate del punto.

Nel caso che il piano di posa sia posto alla profondità D rispetto alla superficie, il carico

da considerare è quello netto: Δq = q - γD.

La rigidezza della fondazione dipende oltre che dalle caratteristiche della fondazione,

anche dalle caratteristiche strutturali dell'opera in elevazione. In linea di primo orientamento, si

considerano a seconda dei casi le condizioni limite di fondazione flessibile e di fondazione

rigida (ad es. platea generale nervata).

Forza verticale agente in superficie - La soluzione del problema è dovuta a Boussinesq (1863).

Nella Fig. 10.8.a, sono indicati gli incrementi di tensione indotti in un punto del semispazio dalla

forza Q.

L'incremento di tensione Δσz è dato dall'espressione:

Δσz = 3Q2πr2 cos3 θ (10.3.1)

dalla quale risulta che Δσz è indipendente dal modulo di elasticità E e dal coefficiente di Poisson

ν.

La distribuzione di Δσz in funzione di z e di R è riportata in Fig. 10.8.b, dalla quale

risulta che gli incrementi di tensione decrescono sensibilmente all'aumentare della profondità z.

Gli incrementi di tensione Δσt, Δσh e τrz sono piccoli rispetto a Δσz; di conseguenza

questo incremento fornisce il maggior contributo alla deformazione verticale nel punto

considerato ed all'abbassamento in superficie.

Nella maggior parte dei casi, ai fini del calcolo dei cedimenti ci si limita perciò a tener

conto soltanto dell'incremento di tensione verticale.

138

Fig. 10.8 - Tensioni indotte in un semispazio elastico da una forza Q agente in superficie: a)

incrementi di tensione indotti in un punto ; b) distribuzione con la profondità degli

incrementi di tensione verticale.

Carichi distribuiti su fondazioni flessibili - Le tensioni verticali indotte da carichi ripartiti su

superfici di forma qualsiasi possono essere determinate per sovrapposizione degli effetti,

impiegando la relazione (10.3.1) e considerando la superficie di carico suddivisa in elementi

infinitesimi su ciascuno dei quali agisce un carico concentrato. Tale analisi è stata eseguita per

fondazioni di forma varia, uniformemente caricate, ed i risultati sono disponibili sotto forma di

grafici e tabelle.

Gli incrementi di tensione verticale al di sotto di superfici di carico di forma quadrata e

nastriforme sono disponibili sotto forma di curve (superfici nel caso tridimensionale) luogo dei

punti di egual incremento della tensione verticale (isobare). L'insieme delle isobare forma il

"bulbo di pressione", come mostrato in Fig. 10.9.

Nel caso di superficie di carico di forma quadrata, gli incrementi di tensione verticale a

profondità pari a due volte la larghezza della fondazione sono circa il 10% del carico unitario q

applicato in superficie. Nella maggior parte dei casi, incrementi di carico inferiori al 10% di q

sono considerati non significativi ai fini del calcolo dei cedimenti.

139

Fig. 10.9 - Luoghi dei punti di egual incremento della tensione verticale (isobare) per superfici

di carico: a) nastriforme; b) quadrata

Un altro tipo di grafici, che consente di ottenere i valori degli incrementi di tensione

verticale al di sotto di superfici uniformemente caricate di forma rettangolare, è quello che

fornisce i valori del "coefficiente di influenza":

Iσ =Δσz

q

funzione soltanto della dimensione della fondazione e della profondità del punto considerato.

Il diagramma di Fig. 10.10 fornisce il coefficiente di influenza per il calcolo di Δσz

lungo la verticale passante per il vertice di una superficie rettangolare, flessibile, uniformemente

caricata.

140

Fig. 10.10 - Coefficiente d'influenza Iσ per l'incremento di tensione Δσz lungo la verticale

passante per un vertice di una superficie di carico rettangolare flessibile

uniformemente caricata.

Esso consente di calcolare le tensioni verticali indotte in un punto qualsiasi del semispazio da

carichi distribuiti su superfici di forme diverse. La superficie viene divisa in rettangoli e per

ciascuno dei rettangoli con vertice comune si ricava il valore di Δσz; la tensione indotta dal

carico agente sulla superficie totale, dato che gli effetti sono sovrapponibili, è data dalla somma

dei contributi dovuti ai rettangoli con vertice comune:

141

Δσz = q Iσii=1

n∑

dove Iσi è il coefficiente di influenza relativo al rettangolo i-esimo.

Carichi agenti su fondazioni rigide - Le fondazioni flessibili trasmettono al terreno i carichi ad

esse applicati senza variarne l'intensità e la distribuzione. Le fondazioni rigide, non trasmettono

al terreno i carichi così come su di esse sono distribuiti, ma ridistribuiscono i carichi sul terreno

in modo tale da non subire deformazioni. Esse, cioè, subiscono traslazioni e rotazioni rigide, che

dipendono dalla grandezza e dal punto di applicazione della risultante dei carichi e non dalla loro

distribuzione.

Come si vedrà nel seguito, i cedimenti di una fondazione flessibile uniformemente

caricata non sono uniformi. Essi sono massimi al centro e minimi ai bordi e la deformata della

fondazione presenta concavità verso l'alto. A parità di carico risultante e di forma, una

fondazione rigida presenta alcuni punti (punti caratteristici) con cedimento uguale a quello della

corrispondente fondazione flessibile uniformementre caricata (Fig. 10.11).

Pertanto, per calcolare i cedimenti di una fondazione rigida si può far riferimento agli

incrementi di tensione lungo la verticale passante per uno dei punti caratteristici della fondazione

flessibile corrispondente. Oppure, in via approssimata, il cedimento di una fondazione rigida si

può assumere pari all'80% del cedimento massimo della corrispondente fondazione flessibile

uniformemente caricata.

Fig. 10.11 - Punti caratteristici (X) di una fondazione rettangolare di lati B e C.

142

10.3.3 - Relazioni per il calcolo dei cedimenti

In linea generale, per calcolare il cedimento di un punto del piano di posa di una

fondazione, noti gli incrementi di tensione lungo la verticale passante per il punto e le

caratteristiche di deformabilità del terreno, si dovrebbe procedere al calcolo delle deformazioni

unitarie verticali (εz) ed alla loro integrazione. Ad esempio, il cedimento δ di un punto A della

superficie caricata indicata in Fig. 10.12 è dato da:

δ = εz dz0

∞∫ = 1

E0

∞∫ Δσz − ν Δσx + Δσy( )[ ] dz (10.3.2)

Ai fini applicativi, tuttavia, il sottosuolo viene schematizzato con una successione di

strati orizzontali di spessore finito (Δz) e, come detto, si trascura il contributo degli incrementi di

tensione Δσx e Δσy. L'espressione 10.3.2, pertanto, si trasforma nella:

δ = Δσzi Δzi

Eii=1

n∑ (10.3.3)

dove:

Δσzi incremento di tensione medio nello strato i-esimo

Δzi spessore dello strato i-esimo

Ei modulo di deformabilità o compressibilità medio dello strato i-esimo

143

Fig. 10.12 - Schema generale per il calcolo dei cedimenti

Il numero di strati viene definito in base al grado di approssimazione che si intende

conseguire. In terreno omogeneo, all'aumentare della profondità, lo spessore degli strati viene

gradualmente aumentato. La suddivisione in strati viene spinta fino alla profondità alla quale gli

incrementi di tensione Δσz possono ritenersi ancora significativi nei riguardi del calcolo dei

cedimenti.

In condizioni di sottosuolo omogeneo, di fondazione di forma semplice (quadrata,

rettangolare e circolare) uniformemente caricata, la teoria dell'elasticità fornisce la seguente

soluzione in forma chiusa dell'espressione 10.3.2:

δ = q B 1− ν2E I (10.3.4)

dove:

q carico unitario applicato in superficie

B lunghezza del lato minore della fondazione (diametro nel caso di fondazione circolare)

I coefficiente di influenza, dipendente dalla forma e dalla rigidezza della fondazione

In tabella 10.1 sono riportati i valori di I per il calcolo dei cedimenti di fondazioni di

144

forma varia, sia flessibili che rigide, poste sulla superficie di un semispazio elastico.

Tab. 10.1 - Coefficienti di influenza I per fondazioni poste sulla superficie di un semispazio

elastico

Flessibili Rigide

Forma Centro Vertice Bordo/metà lato

maggiore (C)

Medio

Circolare

1,00 0,64 0,85 0,79

Quadrata

1,12 0,56 0,76 0,95 0,82

Rettangolare:

C/B = 2 1,53 0,76 1,12 1,30 1,12

C/B = 5 2,10 1,05 1,68 1,82 1,60

C/B = 10 2,56 1,28 2,10 2,24 2,00

Se il piano di posa della fondazione è posto alla profondità D rispetto alla superficie, il

carico unitario da considerare è quello netto (Δq= q - γD), ed il cedimento è inferiore a quello

calcolato con l'espressione 10.3.4, in quanto le deformazioni del terreno sottostante la

fondazione sono minori. In queste condizioni l'espressione 10.3.4 diventa:

δ = μo Δq B 1 − ν2E I (10.3.5)

dove μo è il coefficiente di influenza che tiene conto della profondità del piano di posa. Per

fondazioni di forma rettangolare e quadrata i valori di μo sono dati in tabella 10.2 (per

fondazioni di forma circolare si può fare riferimento ai valori relativi alla fondazione quadrata).

145

Tab. 10.2 - Coefficiente di influenza μo della profondità del piano di posa

D/B

C/B 0,2 0,5 1,0 2,0

1 0,95 0,85 0,73 0,63

2 0,97 0,90 0,78 0,68

5 0,98 0,93 0,86 0,75

10 0,99 0,95 0,88 0,80

146

10.3.4 - Cedimenti di fondazioni su terreni a grana grossa (sabbie)

In generale il problema della valutazione dei cedimenti si pone per le sabbie, in quanto

le ghiaie sono terreni poco deformabili; i cedimenti di fondazioni su ghiaie, infatti, sono di

grandezza trascurabile nel caso di edifici ordinari.

Nel caso delle sabbie, sia al di sopra che al di sotto della superficie libera della falda

idrica, il cedimento può considerarsi immediato: esso avviene cioè in tempo molto breve e

raggiunge il valore finale subito dopo il termine della costruzione.

In linea teorica, il cedimento può essere calcolato con le espressioni 10.3.3 e 10.3.4,

nelle quali E è il modulo di deformabilità e ν è il coefficiente di Poisson della sabbia. Nella

realtà, poiché di regola non è possibile prelevare campioni indisturbati di sabbie, la

determinazione delle caratteristiche di deformabilità di questi terreni non è effettuabile in

laboratorio.

Il problema principale consiste, pertanto, nella valutazione delle caratteristiche del

terreno. Esistono vari metodi empirici che consentono di ricavare le caratteristiche del terreno,

quindi i cedimenti, dai risultati di prove in sito, in particolare: prove penetrometriche, statiche e

dinamiche, e prove di carico su piastra.

In generale, la valutazione del cedimento di fondazioni su sabbia è sempre incerta, sia

che si utilizzino le relazioni fornite dalla teoria dell'elasticità, sia che si impieghino i metodi

empirici basati sui risultati di prove in sito.

Si può avere un'indicazione della grandezza del cedimento di una fondazione su sabbia

utilizzando correlazioni statistiche tra cedimenti misurati di fondazioni reali, loro dimensioni

minime in pianta B e caratteristiche di addensamento delle sabbie. Un esempio di queste

correlazioni è riportato in Fig. 10.13. Dalla figura risulta che la grandezza del cedimento dipende

principalmente dallo stato di addensamento delle sabbie. A parità di dimensione B della

fondazione e di carico unitario netto Δq, il cedimento nel caso di sabbie sciolte può essere al

limite di un ordine di grandezza maggiore di quello di sabbie addensate. Ciò si spiega dal punto

di vista teorico tenuto conto che le caratteristiche di deformabilità di una sabbia dipendono in

larga misura dal suo stato di addensamento. Questo può essere valutato mediante prove

147

penetrometriche dinamiche SPT.

Il valore più probabile del cedimento può essere assunto pari alla metà del limite

superiore indicato in Fig. 10.13 ed il cedimento massimo in generale non eccede una volta e

mezzo il valore più probabile.

Va tenuto presente che per utilizzare il metodo sopra indicato è necessario che il

sottosuolo sia uniforme; cioè sia costituito dallo stesso tipo di sabbia fino alla profondità alla

quale le tensioni indotte dalla fondazione sono significative nei riguardi dei cedimenti

Fig. 10.13 - Cedimenti osservati di fondazioni su sabbie.

148

Dati i valori del modulo di deformabilità dei terreni incoerenti (di regola maggiori di

qualche decina di MPa) i cedimenti assoluti sono in genere piccoli. E' da osservare però che i

cedimenti differenziali, dovuti ad eterogeneità del terreno, possono essere dello stesso ordine di

grandezza del cedimento assoluto massimo e raggiungere perciò valori non ammissibili (Fig.

10.14).

Fig. 10.14 - Correlazione statistica fra il massimo cedimento assoluto δmax ed il massimo

cedimento differenziale Δδ per uno stesso edificio e per terreni diversi

10.3.5 - Cedimenti di fondazioni su terreni a grana fina (argille)

Nel caso di fondazioni su terreni argillosi saturi, i cedimenti avvengono in parte al

momento dell'applicazione dei carichi per deformazioni a volume costante dell'insieme scheletro

solido-acqua, cioè in condizioni non drenate (cedimento immediato δi), ed in parte gradualmente

nel tempo a seguito di espulsione di acqua (cedimento di consolidazione: δc). Quest'ultimo

cedimento è dovuto al processo di consolidazione che si sviluppa nel terreno via via che si

dissipa l'eccesso di pressione neutra (Δu), dovuto all'aumento delle tensioni (Δσ) indotte dai

149

carichi trasmessi dalla fondazione (Fig. 10.15).

Ad un tempo t > tc (tc = tempo di costruzione) il cedimento complessivo è:

δ(t) = δi + δc(t)

al termine del processo di consolidazione il cedimento complessivo è:

δf = δi + δc

Fig. 10.15 - Schema del decorso dei cedimenti nel tempo di una fondazione su argille

150

Cedimento immediato (δi)

Si hanno cedimenti immediati quando il terreno di fondazione può deformarsi

lateralmente; ciò accade se la dimensione minima B della fondazione è minore o uguale allo

spessore del terreno deformabile. Nel caso di fondazioni molto estese rispetto allo spessore del

terreno deformabile, il cedimento immediato è trascurabile ed il cedimento è dovuto

essenzialmente alla consolidazione.

La valutazione del cedimento immediato è importante soprattutto nel caso di fondazioni

su argille sovraconsolidate, in quanto tale cedimento è generalmente dello stesso ordine di

grandezza del cedimento di consolidazione. Nel caso delle argille normalmente consolidate, il

cedimento immediato è molto minore del cedimento di consolidazione ed ai fini pratici può

essere trascurato.

Il cedimento immediato può essere calcolato con le relazioni 10.3.4 e 10.3.5, fornite

dalla teoria dell'elasticità, e valide nel caso di sottosuolo omogeneo e di fondazione di forma

semplice uniformemente caricata. Il modulo di deformabilità che compare nelle suddette

relazioni è il modulo Eu, ricavato dai diagrammi tensioni-deformazioni di prove di

compressione triassiale consolidate non drenate o valutato in base alla resistenza al taglio non

drenata cu (Paragrafo 8.4.2). Il coefficiente di Poisson è ν = 0,5.

Cedimento di consolidazione finale (δc)

Il cedimento per consolidazione può essere valutato supponendo che il terreno si

consolidi in condizioni di deformazione uniassiale (εx = εy = 0; εz ≠ 0). In tal caso il cedimento

dipende solo dagli incrementi di tensione verticale ed è dato dalla relazione 10.3.3, in cui E è il

modulo di compressione edometrica (Eed) ricavato dai diagrammi tensioni-deformazioni di

prove edometriche (metodo edometrico).

La relazione 10.3.3 è valida solo se nel sottosuolo si realizzano condizioni di

151

deformazione uniassiale (Fig. 10.16).

Nel calcolo del cedimento bisogna tener conto che Eed è funzione del livello di

tensione, per cui per ogni strato si avrà un valore del modulo dipendente dallo stato di tensione

efficace preesistente, dovuto al peso proprio del terreno, e dall'incremento di tensione verticale

indotto dal carico trasmesso dalla fondazione (Fig. 10.17).

Nel caso di fondazione posta alla profondità D rispetto alla superficie, gli incrementi di

tensione sono riferiti al carico netto Δq. Lo spessore di terreno da considerare è determinato

dall'eventuale esistenza alla profondità H di un terreno praticamente indeformabile (Fig. 10.16.a)

o, nel caso di sottosuolo omogeneo, (Fig. 10.17), dalla profondità alla quale l'incremento di

tensione Δσz indotto dal carico è pari al 20% della tensione verticale efficace preesistente in sito

(σ'z).

Fig. 10.16 - Schemi di sottosuolo per i quali è valida l'ipotesi di condizioni di deformazione

uniassiale (edometriche) per il calcolo dei cedimenti di consolidazione

152

Fig. 10.17 - Metodo edometrico per il calcolo del cedimento di consolidazione finale nel caso

di sottosuolo uniforme: a) argille normalmente consolidate; b) argille

sovraconsolidati

Decorso dei cedimenti nel tempo (Teoria della consolidazione)

Il decorso dei cedimenti nel tempo e quindi il tempo necessario perchè il cedimento di

consolidazione raggiunga il valore finale possono essere valutati con la teoria della

consolidazione monodimensionale.

153

Fig. 10.18 - Schema della consolidazione monodimensionale di uno strato di argilla drenato

solo verso l'alto

Si è visto al paragrafo 7.2 che, se dopo aver impresso al terreno uno stato tensionale in

condizioni non drenate si modificano le condizioni al contorno permettendo all'acqua di

attraversare la superficie di contorno, si stabilisce un moto di filtrazione in regime vario.

L'eccesso di pressione neutra Δu indotto dal carico esterno tende a dissiparsi in quanto la

pressione neutra tende a mettersi in equilibrio con le condizioni idrauliche al contorno;

contemporaneamente si ha un incremento delle tensioni efficaci e quindi una variazione di

volume del mezzo.

Questo processo prende il nome di consolidazione e si arresta quando Δu = 0 e non si

hanno ulteriori incrementi delle tensioni efficaci.

Il decorso della consolidazione avviene in un tempo più o meno lungo in relazione ai

valori del coefficiente di permeabilità (k) e del modulo di deformabilità dello scheletro solido

(Eed), nonché al percorso massimo (H) che deve fare l'acqua per raggiungere le superfici drenanti

al contorno.

La distribuzione e l'andamento nel tempo degli eccessi di pressione neutra (ue = Δu)

possono essere dedotti uguagliando il volume di liquido che nell'unità tempo attraversa la

superficie di contorno di un generico elemento di volume del mezzo alla corrispondente

variazione di volume dell'elemento.

154

La teoria della consolidazione monodimensionale di Terzaghi studia il processo di

consolidazione di uno strato di argilla di spessore supposto costante nel quale la filtrazione può

avvenire in direzione verticale verso uno o due strati drenanti posti ai limiti dello strato di

argilla. In Fig. 10.18 è riportato il caso di uno strato di argilla di spessore H, nel quale la

filtrazione può avvenire solo verso uno strato drenante di sabbia posto in alto.

L'equazione differenziale (10.3.6) descrive il processo di consolidazione dello strato di

argilla:

cv ∂2ue

∂z2 = ∂ue

∂t (ue = eccesso di pressione neutra) (10.3.6)

Il termine cv è il coefficiente di consolidazione e rappresenta le proprietà del mezzo:

cv =k Eedγ w

In Fig. 10.18.a è indicata la distribuzione con la profondità delle pressioni interstiziali

(ui) nello strato di sabbia ed in quello di argilla, prima dell'applicazione di un carico in superficie

(condizioni iniziali).

Nell'istante t = to viene applicato il carico q, indefinito ed uniformemente distribuito,

così che in ogni punto del sottosuolo si ha un incremento delle tensioni verticali Δσz = q.

Nello strato di argilla all'istante t = t0 non ci può essere un flusso d'acqua attraverso la

superficie drenante (per avere un flusso d'acqua in un tempo infinitesimo sarebbe necessaria un

mezzo con permeabilità infinita), sicché la distribuzione iniziale delle sovrappressioni

interstiziali Δuo indotte dal carico q e della pressione neutra totale u sono date da:

Δuo = Δσz = q

u = ui + Δuo

155

mentre nello strato di sabbia, data l'elevata permeabilità, il carico si trasmette immediatamente

allo scheletro solido, per cui: u = ui.

Tra lo strato di argilla e il sovrastante strato di sabbia si stabilisce una differenza di

carico idraulico, che provoca un moto di filtrazione diretto verso l'alto. Il sottile strato di argilla

adiacente alla superficie drenante tenderà a mettersi in equilibrio idraulico con le condizioni al

contorno più rapidamente di quelli lontani e nell'istante generico t > to si ha una distribuzione

delle sovrappressioni neutre del tipo di quella riportata in figura 10.18.c ed una riduzione di

volume dello strato proporzionale all'incremento delle tensioni efficaci.

Il processo si arresta quando in ogni punto dello strato di argilla le sovrappressioni

interstiziali si sono ridotte a zero (Fig. 10.18.d) e tutto il carico esterno, come tensioni efficaci, è

sostenuto dallo scheletro solido dell'argilla che in queste condizioni subisce la massima

deformazione.

Le condizioni al contorno nel caso in esame sono:

1) ue = 0 per t ≥ to e z = 0

2) ue = Δuo per t = to e 0 < z ≤ H

e poichè la superficie limite inferiore dello strato di argilla è impermeabile:

3) 0z

ue =∂

∂ per t ≥ 0 e z = H

La dimensione H rappresenta il percorso che la particella d'acqua più lontana dalla

superficie drenante deve compiere per raggiungere detta superficie. Nel caso di strato con una

sola superficie drenante, H coincide con lo spessore dello strato, mentre è pari alla metà dello

spessore dello strato se il drenaggio può avvenire verso l'alto e verso il basso (condizione di

156

doppio drenaggio).

Assegnate le condizioni al contorno l'integrazione della 10.3.6 risolve completamente il

problema della consolidazione monodimensionale.

La soluzione è espressa in funzione delle grandezze adimensionali T ed U*. In

particolare:

T = cv t

H2 prende il nome di fattore tempo

U∗ = 1 −ue z,t( )

0

H∫ dz

Δu0 H =

Area ADCE

Area ABCD

si definisce grado di consolidazione medio e rappresenta geometricamente il rapporto tra l'area

ADCE e l'area ABCD nella Fig. 10.18.c.

Nella Fig. 10.19 è riportato il grado di consolidazione medio in funzione del fattore

tempo T. Dal grafico si rileva che, all'aumentare del tempo, U* aumenta via via più lentamente

e, teoricamente, il processo di consolidazione si esaurisce a tempi infiniti.

Fig. 10.19 - Teoria della consolidazione di Terzaghi: variazione del grado di consolidazione

medio U* con il fattore tempo T

157

La funzione U* descrive anche l'andamento nel tempo della variazione di volume dello

strato di argilla e quindi del cedimento di consolidazione δc(t). Noto il valore finale del

cedimento di consolidazione δc, è possibile conoscere il valore del cedimento ad un tempo

generico t mediante la relazione:

δc(t) = U* δc

Il tempo t necessario per raggiungere un determinato grado di consolidazione U* è dato

dall'espressione:

t = H2

cv T

Il valore di T si ricava in funzione di U* dal grafico di Fig. 10.19.

Il valore di H dipende dalle condizioni di drenaggio dello strato di argilla soggetto a

consolidazione. Come detto, nel caso di strato con una sola superficie drenante, H coincide con

lo spessore dello strato, mentre è pari alla metà dello spessore dello strato se il drenaggio può

avvenire verso l'alto e verso il basso (condizione di doppio drenaggio). Nel caso di sottosuolo

uniforme (Fig. 10.17) la Teoria di Terzaghi non è valida in quanto non si verificano condizioni

di consolidazione monodimensionale. Tuttavia in prima approssimazione si può fare ancora

riferimento a tale Teoria e quindi al grafico di Fig. 10.19, assumendo H pari alla dimensione

minore in pianta (B) della fondazione.

Il valore di cv si ricava dai risultati delle prove di laboratorio.

Dati i bassi valori del modulo Eed delle argille normalmente consolidate, il cedimento

finale di consolidazione può essere molto grande e può essere raggiunto in tempi anche lunghi,

maggiori della vita economica dell'opera. Ciò che conta però ai fini dell'ammissibilità dei

cedimenti è il cedimento durante la vita economica dell'opera, che per edifici civili può essere

158

assunta pari a 100 anni.

Di regola il cedimento differenziale è minore del cedimento assoluto massimo (Fig.

10.14).

10.3.6 - Criteri e metodi per la valutazione e la limitazione dei cedimenti differenziali

Nei paragrafi precedenti, l'attenzione è stata rivolta soprattutto alla valutazione dei

cedimenti assoluti, sia nel caso di fondazioni su sabbie che nel caso di fondazioni su argille. Al

paragrafo 9.3.6 si è visto che, i cedimenti differenziali, più che quelli assoluti, determinano il

comportamento di una struttura in termini di danni alla stessa o di sue rotazioni rigide eccessive.

Pertanto è essenziale poter valutare la grandezza dei cedimenti differenziali.

Nello stesso paragrafo sono state indicate le cause più comuni dei cedimenti

differenziali, che qui di seguito sono richiamate.

1 - eterogeneità dei terreni di fondazione

2 - distribuzione disuniforme dei carichi in fondazione

3 - distribuzione uniforme dei carichi su fondazioni flessibili

Nei casi in cui il cedimento di una fondazione è disuniforme (Fig. 9.5) ed è possibile

calcolare i cedimenti assoluti corrispondenti, i cedimenti differenziali tra due punti del piano di

posa della stessa fondazione, o tra due elementi strutturali isolati (plinti o travi) facenti parte

della fondazione di un unico fabbricato, possono essere ottenuti per differenza tra i rispettivi

cedimenti assoluti.

Con riferimento alle cause dei cedimenti sopra richiamate, tale procedura può essere

impiegata: per la causa 1, se le caratteristiche del terreno di fondazione variano con regolarità in

direzione orizzontale; per la causa 2, se la distribuzione disuniforme dei carichi può essere

scomposta nella somma di più distribuzioni uniformi per ciascuna delle quali sia possibile

calcolare i cedimenti assoluti; per la causa 3, se la fondazione può considerarsi effettivamente

flessibile.

Se tali condizioni non si verificano, l'ordine di grandezza del cedimento differenziale

massimo di una fondazione può essere stimato con le correlazioni statistiche riportate in Fig.

159

10.14, facendo riferimento al cedimento assoluto massimo della stessa fondazione.

Se i cedimenti differenziali non sono ammissibili, in quanto non sono rispettati i limiti

alla distorsione angolare o alla rotazione della struttura riportati in Tabella 9.1, è necessario

modificare il progetto della fondazione, in modo da contenere i cedimenti differenziali entro

valori ammissibili per la struttura. Ciò può essere ottenuto:

a - limitando i cedimenti assoluti: a questo fine può essere ridotto il carico unitario netto Δq,

ampliando le dimensioni in pianta della fondazione o approfondendo il suo piano di posa (al

limite possono essere adotatte "fondazioni compensate", cioè fondazioni che trasmettono al

terreno un carico unitario pari al peso dei terreni scavati: q = γD);

b - irrigidendo la struttura di fondazione (graticcio di travi alte, platea generale nervata, fino a

scatolare con pareti di irrigidimento tra la soletta inferiore e quella superiore);

c - adottando una fondazione di tipo profondo.

10.4 - REAZIONI DEL TERRENO DI FONDAZIONE

Per il dimensionamento di una struttura di fondazione devono essere note le azioni

trasmesse dalla sovrastruttura e le reazioni del terreno. La teoria dell'elasticità ed osservazioni

effettuate su strutture reali indicano che le reazioni del terreno su fondazioni uniformemente

caricate non sono uniformi. La distribuzione delle reazioni dipende dalla rigidezza della

fondazione e dal tipo di terreno. Un'analisi può essere fatta nel caso di fondazione perfettamente

flessibile o di fondazione rigida.

Se la fondazione è flessibile ed il carico è uniforme, nel caso di terreno dotato di

coesione ed attrito, il cedimento è differente nei diversi punti della fondazione e la reazione del

terreno è uniforme (Fig. 10.11).

Sempre nel caso di carico uniforme, se la fondazione è rigida, il cedimento è uniforme e

perciò la distribuzione delle reazioni del terreno deve coincidere con la ripartizione che causa un

cedimento uniforme. Questa ripartizione dipende dalle caratteristiche del terreno ed è di difficile

160

definizione.

Nel caso di fondazione reale, non perfettamente rigida nè perfettamente flessibile, la

distribuzione delle reazioni non è uniforme e dipende dalla rigidità relativa terreno-struttura. In

molti casi ai fini del calcolo si adotta una ripartizione uniforme.

161

11 - FONDAZIONI SU PALI

11.1 - DEFINIZIONI E TIPI DI PALO

Palo: elemento strutturale di fondazione, costruito in opera o infisso dalla superficie del terreno,

in grado di trasmettere al sottosuolo, anche lungo la sua superficie laterale, i carichi trasmessi

dalla sovrastruttura.

Palificata: gruppo di pali posti a distanza ravvicinata e collegati tra loro da plinti, travi e

intelaiature.

Palo trivellato: palo eseguito con asportazione di terreno; esso è realizzato mediante getto di

calcestruzzo in un foro trivellato preventivamente con attrezzatura a percussione (sonda a

valvola, benna, scalpello) o a rotazione (cestello, elica continua, carotiere). I pali trivellati sono

cilindrici. Si definisce diametro nominale il diametro dell'utensile di perforazione oppure il

diametro esterno della tubazione di rivestimento in caso di perforazione rivestita.

Convenzionalmente si suddividono in:

- pali di grande diametro: hanno diametro maggiore di 700 mm (diametri commerciali: 800-

1000-1200-1500-2000 mm) e possono raggiungere, salvo casi speciali, lunghezze dell'ordine

di 40 m;

- pali di medio diametro: hanno diametro compreso tra 300 mm e 700 mm (diametri

commerciali: 400-600 mm); la lunghezza di norma è compresa tra 20 m e 40 m;

- pali di piccolo diametro: hanno diametro compreso tra 80 e 300 mm (diametri commerciali:

80-100-120-150-200-250 mm) e lunghezza compresa fra 10 m e 20 m; essi sono armati per

tutta la lunghezza con armatura metallica e sono realizzati con tecnologie ed attrezzature

speciali diverse da quelle per pali di medio e grande diametro.

Nella esecuzione del foro bisogna evitare il verificarsi di fenomeni di rilascio del

terreno e di sifonamento che possono provocare una diminuzione della resistenza del terreno

interessato dalla palificata.

162

Il getto di calcestruzzo deve avvenire senza soluzioni di continuità ed immediatamente

dopo lo scavo del foro.

In zona sismica, i pali di medio e grande diametro vanno armati su tutta la lunghezza. In

zone non sismiche l'armatura può essere limitata alla parte sommitale allo scopo di rendere

solidali il palo e la sovrastante struttura di collegamento.

Palo infisso: palo eseguito senza asportazione di terreno; esso è realizzato mediante l'infissione,

per mezzo di battipali e vibratori, di elementi prefabbricati (calcestruzzo, acciaio), oppure

mediante getto di calcestruzzo in opera entro un tubo forma infisso nel terreno. Si distinguono:

- pali prefabbricati in c.a. ordinario: sono costituiti da elementi a sezione costante o

rastremata, di forma circolare, ottagonale, esagonale, quadrata, pieni o cavi (dimensione

trasversale d = 0,2 ÷ 0,8 m) aventi lunghezza che non supera in genere 20 m;

- pali prefabbricati in c.a. precompresso: sono simili, per quanto concerne la forma della

sezione, ai pali in c.a. ordinario e possono raggiungere lunghezza di 30 ÷ 35 m; la

precompressione viene adottata per limitare gli effetti delle sollecitazioni indotte durante il

sollevamento e la battitura;

- pali di acciaio: in Italia l'impiego di questi pali è limitato a quello degli elementi a sezione

circolare cilindrici o tronco-conici; il diametro di questi pali può variare da un minimo di 0,2

m ad un massimo di 3 m e la loro lunghezza, particolarmente nelle opere marittime ed in

quelle in mare aperto, può raggiungere 100 metri;

- pali infissi gettati in opera: si tratta di pali in c.a. realizzati entro una cassaforma costituita

da un tubo d'acciaio di grande spessore, chiuso inferiormente, che viene infisso nel terreno

fino alla profondità voluta; durante il getto del calcestruzzo il tubo di acciaio viene

gradualmente estratto; la lunghezza di questi pali non supera in genere 30 ÷ 35 m e il

diametro è compreso tra 0,3 e 0,6 metri; questi pali sono armati per tutta la lunghezza.

11.2 - CRITERI DI SCELTA DELLE FONDAZIONI SU PALI E DEL TIPO DI PALO

In Fig. 11.1 sono rappresentate schematicamente alcune situazioni in cui è conveniente

adottare la fondazione su pali. I fattori che determinano la scelta di questo tipo di fondazione

163

sono vari e connessi con il sottosuolo (ad es., presenza di terreni con caratteristiche scadenti

negli strati superficiali), con l'opera da costruire e le sue caratteristiche funzionali (ad es.,

intensità e direzione dei carichi; necessità di limitare i cedimenti), con le condizioni ambientali

(ad es., scalzamento da parte di corsi d'acqua, previsione di futuri scavi in adiacenza all'opera).

Fig. 11.1 - Situazioni in cui può essere opportuna una fondazione su pali

La scelta del tipo di palo più adatto, in rapporto alla situazione locale, è effettuata

tenendo conto di:

- natura e caratteristiche meccaniche dei terreni del sottosuolo;

- modifiche provocate nel terreno dalla costruzione del palo;

- attrezzature disponibili ed effetti prodotti dal metodo di costruzione del palo su manufatti

adiacenti;

- caratteristiche di resistenza e durevolezza del materiale impiegato per la costruzione del palo.

Tenuto conto di tali fattori si possono indicare alcuni criteri generali per la scelta del

tipo di palo.

I pali infissi, specie se costruiti fuori opera, risultano di difficile esecuzione se il

sottosuolo è costituito da terreni con elevata resistenza o da terreni eterogenei con blocchi e

164

trovanti lapidei. Eseguiti in terreni incoerenti, provocano un addensamento che migliora le

caratteristiche del terreno. Per contro, in terreni coerenti saturi, l'infissione provoca un aumento

della pressione neutra e non si ha alcun effetto di addensamento. Le attrezzature per l'infissione

sono di grandi dimensioni e possono perciò essere impiegate solo in cantieri vasti e di agevole

accesso. Le operazioni di infissione danno origine a vibrazione e scuotimenti nel terreno e a

rumore intenso; questi provocano disturbo alle persone e, al limite, dissesti nei manufatti

adiacenti.

La qualità dei materiali è ben controllabile nel caso di pali prefabbricati (c.a., c.a.p.,

acciaio).

L'impiego di pali trivellati, adottando un adeguato sistema di perforazione, non trova

limitazioni di rilievo nelle caratteristiche dei terreni del sottosuolo. Tuttavia, è da tener presente

che l'asportazione di materiale, caratteristica di questo tipo di pali, può causare la

decompressione e il peggioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno. In terreni

incoerenti al disotto del livello della falda idrica possono avvenire sifonamenti nel foro trivellato

con franamento delle pareti o rifluimento di materiale dal fondo. Le attrezzature, a parte i limiti

dipendenti dalle dimensioni, non pongono particolari problemi e gli effetti sull'ambiente

circostante possono essere ridotti a valori accettabili. Le tecniche di getto del calcestruzzo

impiegato per la confezione dei pali devono essere tali da evitare la separazione dei componenti

ed il dilavamento del calcestruzzo.

11.3 - PROGETTO DI PALI VERTICALI SOGGETTI A CARICHI ASSIALI DI

COMPRESSIONE

La condizione di sollecitazione più frequente per il palo di fondazione è quella di carico

assiale di compressione e di forza normale all'asse. Nel caso di fabbricati ordinari, anche in zona

sismica, le forze normali all'asse (orizzontali) sono sempre molto piccole rispetto ai carichi

assiali verticali, per cui se un palo è verificato nei riguardi dei carichi assiali lo è anche nei

riguardi dei carichi normali all'asse. Nel seguito, pertanto, si farà riferimento soltanto al

165

dimensionamento dei pali caricati da forze verticali di compressione, con l'avvertenza che, se le

forze orizzontali sono maggiori del 10% circa delle forze verticali, come nel caso di strutture

particolari (pile di ponti, fondazioni di archi e muri di sostegno, sostegni di linee elettriche, ecc.)

i pali andranno verificati anche nei riguardi delle forze orizzontali.

Il progetto di una palificata comporta la previsione del carico limite del singolo palo e

del gruppo di pali, la definizione del carico assiale ammissibile e la valutazione dello

spostamento verticale (cedimento) del palo singolo e del gruppo di pali.

Come riferimento sia al singolo palo che al gruppo di pali, si definiscono:

Carico limite del singolo palo (Qlim): il minore tra i valori del carico che produce la rottura del

materiale costituente il palo o quella del terreno.

Carico limite del gruppo di pali (QLIM): il carico che produce la rottura del complesso

palificata-terreno.

Carico ammissibile del singolo palo (Qam): massimo valore del carico che può essere applicato

ad un palo, in condizioni di sicurezza nei riguardi della rottura, tenuto conto del carico limite del

singolo palo, del carico limite del gruppo di pali e dell'eventuale "attrito negativo" (Paragrafo

11.7).

Coefficiente di sicurezza del singolo palo (F): rapporto tra il carico limite ed il carico

ammissibile.

Carico di esercizio del palo (Qes): massimo valore del carico che può essere applicato ad un

palo, in condizioni di sicurezza, tenuto conto del carico limite, dell'attrito negativo, della

distanza tra i pali, della capacità portante del terreno al di sotto del palo e dei cedimenti

ammissibili. Generalmente il carico di esercizio è minore del carico ammissibile.

166

11.4 - CARICO LIMITE DEL SINGOLO PALO

11.4.1 - Generalità

Il valore del carico limite del complesso palo-terreno può essere ricavato sulla base di

metodi di calcolo teorici, che esprimono analiticamente il comportamento a rottura del terreno.

Tra questi, le "formule statiche" sono impiegate per valutare il carico limite sia dei pali trivellati

che di quelli infissi.

Su base empirica, il carico limite può essere ricavato da prove di carico su pali

prototipo.

Il valore del carico che produce la rottura del materiale costituente il palo si ricava con i

metodi della Tecnica delle Costruzioni, tenuto conto delle caratteristiche di resistenza dei

materiali costituenti il palo.

11.4.2 - Formule statiche

Le "formule statiche" consentono il calcolo del carico limite sulla base della geometria

del palo e delle caratteristiche del terreno; in particolare, consentono di ricavare il valore di quel

carico che applicato alla testa del palo produce la rottura del terreno posto al di sotto della punta

del palo e lungo la sua superficie laterale.

I meccanismi di rottura del terreno sotto le azioni trasmesse da un palo sono molto

complessi e vari, sia perchè il problema è tridimensionale, sia perchè un palo può resistere

prevalentemente alla punta o prevalentemente lungo il fusto, ovvero in entrambi i modi, a

seconda delle caratteristiche di deformabilità e resistenza dei terreni attraversati dal palo e di

quelli situati al di sotto della punta.

Ai fini del calcolo, il carico limite Qlim di un palo viene suddiviso convenzionalmente in

due parti: la resistenza di punta Qp e la resistenza laterale Qs, prescindendo dalla interferenza tra

i due meccanismi di rottura. Esso è dato dall'espressione:

167

Qlim = Qp + Qs - P (11.1)

dove P è il peso proprio del palo.

Fig. 11.2 - Schema per il calcolo del carico limite mediante le "formule statiche"

La resistenza alla punta può essere valutata con la seguente relazione, analoga alle

relazioni che forniscono il carico limite delle fondazioni superficiali in cui manca però il termine

(1/2 d γ Nγ in quanto trascurabile rispetto agli altri due (Fig. 11.2):

Qp = qp Ap = (c Nc + qL Nq) Ap (11.2)

dove:

qp resistenza unitaria alla punta del palo

Ap area della punta del palo = π d2/4

c coesione del terreno in corrispondenza della punta del palo

Nc coefficiente di capacità portante, il cui valore è definito su base empirica

Nq coefficiente di capacità portante, definito su base teorica in funzione dell'angolo di attrito

ϕ del terreno in corrispondenza della punta del palo e del rapporto L/d (dove L e d sono

rispettivamente la lunghezza ed il diametro del palo)

168

qL tensione litostatica verticale alla profondità della punta del palo = γ L (ovvero qL = Σγi

Δzi se si è in terreni stratificati, ove γi e Δzi sono rispettivamente il peso di volume e lo

spessore dello strato i-esimo)

La resistenza laterale Qs è data dalla seguente relazione (Fig. 11.2):

Qs = π d qs0

L∫ z( ) dz (11.3)

dove qs(z) è la resistenza unitaria laterale alla profondità z. Questa può essere valutata in base

all'espressione della resistenza al taglio di Mohr-Coulomb (τf = c + σ tg ϕ), che nel caso

specifico risulta:

qs(z) = qa(z) + σh(z) tg δ = qa(z) + K σv(z) μ (11.4)

dove:

qa(z) adesione palo-terreno indipendente dalla tensione σh(z)

σh(z) tensione litostatica orizzontale = K σv(z)

tg δ = μ coefficiente di attrito palo-terreno

K coefficiente di tensione laterale = σh(z)/σv(z)

σv(z) tensione litostatica verticale = γ z (ovvero σv(z) = Σγi Δzi per terreni stratificati).

Per terreni stratificati l'espressione 11.3, tenuto conto della 11.4, diventa:

Qs = π d qai + Kiσvi μ i( )i=1

n∑ Δzi (11.5)

dove:

169

n numero di strati attraversati dal palo

σvi tensione litostatica verticale media nello strato i-esimo

Terreni incoerenti - Nell'applicare le relazioni per il calcolo del carico limite va tenuto presente

che le verifiche si effettuano in tensioni efficaci data l'elevata permeabilità dei terreni incorenti e

quindi è necessario conoscere la posizione della superficie libera della falda idrica. Se il palo, in

tutto o in parte, è immerso in falda, nel calcolo delle tensioni litostatiche verticali ai terreni sotto

falda va attribuito il peso di volume immerso ed al peso del palo va sottratta la spinta di

galleggiamento. Inoltre, trattandosi di terreni incoerenti si ha c'= 0 e qa = 0.

L'espressione 11.1, tenuto conto delle 11.2 e 11.5 (si suppone che il terreno sia

stratificato) diventa:

Qlim = ′ q L Nq Ap + π d K i ′ σ vi i=1

n∑ μi Δzi − ′ P (11.6)

Il coefficiente di capacità portante Nq, come visto, dipende dall'angolo di attrito ϕ' del

terreno e dal rapporto L/d e ha valori diversi a seconda delle varie teorie disponibili. In tutte le

teorie, il valore di Nq ha un elevato gradiente in funzione di ϕ' (Fig. 11.3); pertanto un'incertezza

di qualche grado sul valore di ϕ' comporta un'incertezza molto grande nella valutazione della

resistenza alla punta. Inoltre, l'angolo di attrito ϕ' è sensibilmente influenzato dalle modalità

esecutive del palo.

Per pali di medio diametro, i valori di Nq forniti dalla teoria di Berezantzev sono

riportati in Fig. 11.3.a.

170

Fig. 11.3 - Coefficiente di capacità portante in funzione dell'angolo di attrito e della geometria

del palo: a) valori di Nq per pali di medio diametro; b) valori di N*q,

corrispondenti all'insorgere delle prime deformazioni plastiche alla punta, per pali

di grande diametro

Per pali di grande diametro, i risultati sperimentali mostrano che la resistenza laterale

raggiunge il suo valore limite per cedimenti del palo di 5-10 mm circa, indipendenti dal diametro

del palo, mentre la resistenza alla punta si mobilita solo dopo cedimenti dell'ordine di

(0,15÷0,25)d; i valori più elevati si riferiscono ai terreni poco addensati. Tenuto conto di ciò, la

valutazione della resistenza alla punta è basata su considerazioni di cedimenti ammissibili

piuttosto che di rottura alla base del palo: il valore dello sforzo alla punta cui corrisponde

l'insorgere nel terreno delle prime deformazioni plastiche (q*p = q'L N*

q) è assunto come

resistenza unitaria mobilitabile.

I valori di N*q secondo la teoria di Berezantzev sono riportati in Fig. 11.3.b.

Per il calcolo della resistenza laterale, va tenuto presente che i valori di K e μ

dipendono dalla tecnologia esecutiva del palo (pali trivellati, pali infissi). In Tabella 11.1 sono

171

riportati i valori indicativi di K e μ per diversi tipi di palo.

Tab. 11.1 - Valori di K e μ per terreni incoerenti

Tipo di palo Valori di K Valori di μ

Stato di addensamento

sciolto addensato

Infisso

- Acciaio 0.5 1 tg 20° = 0.36

- Calcestruzzo prefabbricato 1 2 tg (3/4 ϕ')

- Calcestruzzo gettato in opera 1 3 tg ϕ'

Trivellato 0.4÷0.7 (*) tg ϕ'

(*) Decrescente con la profondità

Nel caso di pali trivellati, la valutazione del carico limite è particolarmente incerta a

causa delle inevitabili modifiche delle caratteristiche del terreno prodotte dall'esecuzione del

foro. Pertanto, è opportuno applicare criteri cautelativi nella scelta del valore del coefficiente di

sicurezza o ricorrere a prove di carico su pali prototipo.

Terreni coerenti - Nelle argille e nei limi saturi, le condizioni più gravose sono quelle non

drenate al termine della costruzione, per cui il carico limite è calcolato in termini di tensioni

totali. La resistenza al taglio del terreno è espressa da un valore della coesione cu con ϕu = 0;

Per ϕu = 0, il coefficiente Nq = 1 e si suppone nullo il coefficiente di attrito palo-terreno μ.

L'espressione 11.1, tenuto conto delle 11.2 e 11.5 (si suppone che il terreno sia

stratificato), diventa:

172

Qlim = cuNc + qL( ) Ap + π d qai i=1

n∑ Δzi − P (11.7)

dove: Nc = 9 su base empirica.

I valori dell'adesione qa dipendono dalla resistenza al taglio non drenata cu e dalle

modalità esecutive del palo. Dato che l'esecuzione del foro disturba il terreno posto lungo le sue

pareti, l'adesione qa è sempre minore di cu e tanto più quanto più elevate sono le caratteristiche di

resistenza del terreno. In Tabella 11.2 sono riportati i valori di qa che possono essere assunti per

valutare la resistenza laterale.

Tab. 11.2 - Valori dell'adesione qa per pali trivellati in terreni coerenti in relazione alla

resistenza al taglio non drenata cu

Cu (kPa) qa (kPa) = α cu qa (Massima) (kPa)

≤ 25 0.9 cu

25 ÷ 50 0.8 cu

50 ÷ 75 0.6 cu

≥ 75 0.4 cu 100

11.4.3 - Prove di carico

Scopo delle prove - E' quello di fornire indicazioni sul valore del carico limite del palo, sugli

abbassamenti del palo sotto carico e sulla integrità strutturale del palo stesso.

E' possibile suddividere le prove di carico nei seguenti due tipi:

Prove di progetto, spinte possibilmente fino al carico limite, su pali appositamente costruiti;

Prove di collaudo, eseguite su pali facenti parte della fondazione, dei quali non bisogna

173

compromettere l'integrità, per controllare che:

- non esistano gravi deficenze esecutive del palo;

- il palo sia in grado di sopportare il carico di esercizio previsto Qes con un coefficiente di

sicurezza adeguato.

Limiti della significatività delle prove - Gli abbassamenti e il carico limite determinati con la

prova su un palo isolato non sono necessariamente in diretta correlazione con gli abbassamenti e

il carico limite della palificata. Nella generalità dei casi, l'abbassamento misurato sotto il carico

di esercizio durante la prova di carico è un limite inferiore dell'abbassamento del palo in

esercizio. Il "buon esito" di una prova di carico è quindi una condizione necessaria, ma non

sufficiente, a garantire il soddisfacente comportamento del palo in esercizio.

I risultati delle prove di carico su pali singoli non permettono di prevedere gli

abbassamenti per consolidazione nei terreni coerenti.

Prove ad incremento di carico controllato - Questo tipo di prova, in cui il carico viene

applicato ad incrementi prefissati, misurando i conseguenti abbassamenti, è attualmente quello

di uso più frequente.

Preparazione: sulla sommità del palo viene costruito un dado in calcestruzzo armato sul quale,

in posizione orizzontale, viene cementata una piastra in acciaio di spessore adatto a distribuire

uniformemente il carico sulla testa del palo.

Sistema di applicazione del carico: il carico può essere applicato:

a) per mezzo di un martinetto idraulico che contrasta contro una zavorra (Fig. 11.4.a).

b) per mezzo di un martinetto idraulico che contrasta contro una trave solidale a due o più pali

di ancoraggio che lavorano a trazione (Fig. 11.4.b).

Misura degli abbassamenti: Si esegue mediante micrometri centesimali interposti tra travi

portamicrometri (solidali al terreno) e la testa del palo.

174

Modalità di esecuzione delle prove: una conveniente successione di carichi può essere quella in

cui gli incrementi di carico sono pari al 25% del carico di esercizio Qes fino al raggiungimento di

quest'ultimo; successivamente gli incrementi sono ridotti (ad es. 10% di Qes).

Per le prove di collaudo il carico massimo di prova è di norma compreso tra 1,5 e 2 Qes.

Dopo l'applicazione di ciascun incremento di carico, raggiunta la stabilizzazione, si esegue la

misura dell'abbassamento. Lo scarico può avvenire in decrementi pari al 25% del carico

massimo, mantenendo ciascun carico per l'intervallo di tempo necessario ad ottenere la

stabilizzazione.

Frequentemente il programma di carico prevede una fase di scarico a zero una volta

raggiunto il carico di esercizio Qes per suddividere l'abbassamento sotto tale carico in una quota

reversibile ed una irreversibile.

Fig. 11.4 - Possibili schemi di applicazione del carico: a) martinetto (M) che contrasta contro

una zavorra (Z); b) martinetto (M) che contrasta contro una trave ancorata a pali

(T)

175

Interpretazione dei risultati delle prove: i risultati delle prove sono riportati sotto forma di

grafici abbassamento della testa del palo (δp) in funzione del carico (Q) (Fig. 11.5).

Il carico limite corrisponde al punto di inflessione della curva abbassamento-carico. Se

la curva non presenta un'inflessione ben definita, come in Fig. 11.5, si considera carico limite

Qlim il carico che per primo soddisfa una delle seguenti due condizioni:

- l'abbassamento è pari a 0,1 d;

- l'abbassamento è pari a due volte l'abbassamento (δ*p) sotto il carico 0,9 Qlim (Fig. 11.5).

Fig. 11.5 - Rappresentazione dei risultati di una prova di carico su palo e possibile definizione

del carico limite

176

11.4.5 - Coefficienti di sicurezza

Come posto in vista nei paragrafi precedenti, la grandezza dei parametri caratteristici

del terreno che entrano nelle relazioni per il calcolo del carico limite è influenzata dal tipo e

dalle modalità esecutive del palo. I coefficienti che compaiono nelle stesse relazioni dipendono

dalle ipotesi assunte per simulare il comportamento a rottura del complesso palo-terreno. Per tali

motivi, le "formule statiche" devono essere considerate delle relazioni semi-empiriche e la scelta

dei valori del coefficiente di sicurezza, per il calcolo del carico ammissibile, deve essere

effettuata tenendo conto di tutti i fattori che determinano il comportamento del palo.

La normativa italiana (DM 11.3.88) prescrive per il coefficiente di sicurezza da

applicare al carico limite, valutato con metodi teorici, un valore non inferiore a 2,5. Se il carico

limite è determinato mediante prove di carico a rottura si può assumere: 2,0 ≤ F ≤ 2,5.

Il carico ammissibile è ricavato con le seguenti espressioni:

- carico limite valutato con metodi teorici: Qam =Qp + Qs

F− P

- carico limite determinato mediante prove di carico: Qam =Qlim

F

11.5 - CARICO LIMITE DEL GRUPPO DI PALI

I pali di fondazione vengono di regola impiegati in gruppo. Per evitare interferenze tra i

pali, possibili danneggiamenti dei pali già costruiti e riduzioni dell'efficienza della palificata (v. in

seguito), l'interasse minimo fra i pali è fissato ad un valore non minore di tre volte il loro diametro

d.

Noto il carico limite Qlim del singolo palo, si definisce efficienza del gruppo di n pali il

coefficiente:

η = QLIM / n Qlim

177

dove QLIM è il carico limite dell'intera palificata.

Per palificate in terreni incoerenti e interassi usuali l'efficienza è sempre maggiore

dell'unità; nel progetto essa viene assunta pari ad uno.

L'efficienza di gruppi di pali in terreni argillosi può essere minore dell'unità.

Fig. 11.6 - Schema di rottura del terreno per effetto della palificata quale blocco in terreni

coesivi

Nel caso di palificate in terreni coerenti teneri per interasse i < 4 d è opportuno

verificare la stabilità globale della palificata quale blocco. Con riferimento alla Fig. 11.6, la

capacità portante limite risulta:

QLIM = B C Nc cu(L) + 2 (C + B) L cu(s) (11.9)

178

ove cu(s) è il valore medio della resistenza al taglio non drenata del terreno nel tratto di lunghezza

L; cu(L) è la resistenza al taglio non drenata alla profondità L; Nc è il coefficiente di capacità

portante che assume i valori riportati in Tab. 11.3, in funzione dei rapporti C/B e L/B.

Tab. 11.3 - Valori del coefficiente Nc nell'espressione 11.9

L/B Nc

C/B = 1 C/B > 20

0.25 6.7 5.6

0.50 7.1 5.6

0.75 7.4 6.2

1.00 7.7 6.4

1.50 8.1 6.8

2.00 8.4 7.0

3.00 8.8 7.4

> 4.00 9.0 7.5

Se risulta η = QLIM / n Qlim< 1, il carico ammissibile del singolo palo va ridotto ed è

dato da:

Qam =η Qp + Qs( )

F− P

179

11.6 - CEDIMENTI DEL SINGOLO PALO E DEL GRUPPO DI PALI

Cedimento dei singolo palo (δp)

Il cedimento del singolo palo è dato dalla somma di tre contributi:

a) accorciamento elastico del palo;

b) penetrazione del palo nel terreno;

c) riduzione di volume del terreno sottostante la punta del palo che si manifesta in tempi

lunghi.

La valutazione del cedimento δp di un singolo palo sotto l'azione del carico di esercizio

Qes può essere utile sia per il caso di fondazione poggiante su un solo palo, sia come base per

valutare il cedimento di una palificata costituita da pali di uguali caratteristiche. Il metodo più

attendibile per valutare δp è quello di far riferimento a risultati sperimentali, ottenuti a mezzo di

prove di carico. Si rammenta, però, che nei terreni coerenti saturi le prove di carico, essendo

generalmente di breve durata, non consentono di prevedere i cedimenti per consolidazione.

Cedimento del gruppo di pali (δGp)

Questo cedimento è funzione del cedimento del singolo palo, ma anche della distanza

tra i pali, della geometria della palificata, della deformabilità del terreno al di sotto della punta

dei pali.

Il cedimento δGp di una palificata è in genere maggiore del cedimento δp del singolo

palo, a parità di carico medio per palo. Ciò dipende dalle mutue interazioni fra i pali. In

particolare, se la palificata è sovrapposta a livelli di terreni compressibili, il suo cedimento sarà

molto più elevato di quello misurato con una prova di carico su un palo prototipo, a causa della

maggiore estensione in profondità della zona di sottosuolo caricata (Fig. 11.7).

180

Fig. 11.7 - "Bulbo delle pressioni" di un singolo palo e di una palificata, a parità di carico

medio per palo

Tenuto conto delle condizioni e limitazioni sopra riportate, la valutazione del cedimento

di una palificata può essere fatta:

- estrapolando i risultati relativi al palo singolo;

- con procedimenti analoghi a quelli impiegati per il calcolo dei cedimenti delle

fondazioni superficiali (metodo della fondazione equivalente).

In Fig. 11.8 gli incrementi di tensione cui dà luogo nel sottosuolo una palificata, di

piccole o grandi dimensioni, sono paragonati a quelli relativi ad una fondazione superficiale

delle stesse dimensioni. Per un gruppo di pali in cui le dimensioni in pianta sono piccole rispetto

alla lunghezza dei pali, appare evidente che sia la distribuzione di tensioni sia la profondità dei

terreni interessati sono molto simili a quelli che si hanno nel caso del palo singolo. Converrà

dunque calcolare il cedimento δGp estrapolando il cedimento δp del palo singolo.

Il contrario si verifica per una palificata in cui la lunghezza dei pali è piccola rispetto

alle sue dimensioni in pianta: in questo caso converrà adottare il metodo della fondazione

equivalente che, fra l'altro, consente di portare correttamente in conto l'effettivo profilo

stratigrafico e di valutare i cedimenti di consolidazione.

181

Fig. 11.8 - Stato tensionale indotto nel sottosuolo da fondazioni superficiali e da palificate di

piccole e grandi dimensioni (le tensioni indotte sono espresse come percentuali del

carico unitario in superficie)

Metodo dell'estrapolazione del cedimento del singolo palo. Nei casi un cui il terreno

interessato dalla palificata sia relativamente omogeneo, l'estrapolazione del cedimento δp può

essere fatta con le seguenti espressioni empiriche:

δGp = δp 1,2 B + 2,7

0,3 B + 4

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟

2

(11.10)

δGp = δp 0,6 B

0,3 B + 0,3

⎝ ⎜ ⎞

⎠ ⎟

2

(11.11)

in cui B è la dimensione minore in pianta della palificata espressa in metri. La (11.10) è valida

per pali infissi; la (11.11) per pali trivellati.

182

Il metodo della fondazione equivalente consiste nel sostituire alla palificata una fondazione a

platea fittizia, posta ad una profondità z = (2/3 ÷ 1) L (Fig. 11.9). Nel caso di pali resistenti

prevalentemente lungo il fusto si assume z = 2/3 L e nel caso di pali resistenti prevalentemente

alla punta, z = L. Si assume, inoltre, che il carico che grava sulla platea considerata rigida sia

uniformemente distribuito e pari al carico applicato alla sommità dei pali (Q). Il carico unitario

risulta pertanto: q = Q / B C , dove B e C sono le dimensioni in pianta della palificata. Alla

fondazione equivalente vengono poi applicati i metodi per il calcolo dei cedimenti delle

fondazioni superficiali.

Fig. 11.9 - Schemi di distribuzione nel sottosuolo delle tensioni indotte da una fondazione su pali:

a) pali resistenti prevalentemente lungo il fusto; b) pali resistenti prevalentemente

alla punta

Se la struttura di collegamento delle teste dei pali è posta alla profondità D rispetto alla

superficie del terreno il carico unitario agente sulla platea fittizia è:

Δq =Q

B C− γ D

183

11.7 - ATTRITO NEGATIVO

Quando il terreno circostante un palo subisce cedimenti maggiori di quelli del palo

stesso, si determinano scorrimenti relativi verso il basso del terreno rispetto alla superficie

laterale del palo. Tali scorrimenti inducono tensioni tangenziali dirette verso il basso, note come

"attrito negativo".

Cause dei fenomeni di attrito negativo possono essere:

- il disturbo provocato dall'esecuzione dei pali in un terreno compressibile;

- i cedimenti di un terreno compressibile per effetto di sovraccarichi in superficie (ad es.

rilevati), di abbassamento del livello della falda idrica, di vibrazioni, etc.

Effetti dell'attrito negativo sono la riduzione del carico limite (si annulla in parte la

resistenza laterale) e l'aggiunta di un sovraccarico; diminuisce perciò sensibilmente il carico utile

che può essere affidato al palo.

Una valutazione quantitativa del valore limite superiore dell'attrito negativo può essere

effettuata, dopo aver individuato il tratto di palo in cui esso può verificarsi, con gli stessi criteri

indicati per il calcolo della resistenza laterale. Si può far riferimento alla relazione qs(z) = K μ

σ'v(z) nella quale il termine K μ è funzione del rapporto cu/σ'v (Tabella 11.4).

Gli effetti dell'attrito negativo possono essere ridotti rivestendo la superficie laterale del

palo (camicia in lamierino, asfalto, etc.).

Tab. 11.4 - Valori del termine K μ in funzione del rapporto cu/σ'v

cu/σ'v 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6

Pali infissi 0.25 0.28 0.34 0.35 0.38

Pali trivellati 0.12 0.17 0.21 0.23 0.26

Pali ricoperti con asfalto 0.06 0.07 0.08 0.09 0.10

184

12 - OPERE DI SOSTEGNO

12.1 - INTRODUZIONE

Le opere di sostegno sono strutture impiegate per fornire a masse di terreno non stabili

naturalmente (terrapieni, fronti di scavo, ecc.) le forze necessarie per l'equilibrio. A questo fine

possono essere impiegati vari tipi di strutture, tra cui muri di sostegno, paratie e palancolate.

Queste opere possono essere classificate in base al principio di funzionamento; ad

esempio, nel caso dei muri a gravità la spinta del terreno è equilibrata dal peso proprio della

struttura, mentre nel caso delle paratie la spinta del terreno è equilibrata dalle reazioni che altre

masse di terreno antistanti e retrostanti l'opera sono in condizioni di esercitare. Un altro modo di

classificare queste opere si basa sulle caratteristiche di deformabilità strutturali; ad esempio,

strutture rigide o deformabili (Fig. 12.1).

Fig. 12.1 - Tipi di opere di sostegno: a) muri (strutture rigide); b) paratie e palancolate

(strutture deformabili)

185

Indipendentemente dal tipo di opera, il principale problema geotecnico di progetto è la

valutazione delle spinte del terreno, che dipendono dai meccanismi di interazione tra la struttura

di sostegno ed il terreno stesso. La grandezza e la distribuzione delle spinte del terreno è

funzione infatti degli spostamenti e delle deformazioni del terreno e della struttura e la loro

determinazione è un problema staticamente indeterminato.

Per valutare in modo rigoroso la spinta del terreno su un'opera di sostegno,

bisognerebbe definire, in ogni fase di costruzione e di esercizio dell'opera, lo stato di tensione e

di deformazione del sistema terreno-struttura.

Poichè i meccanismi di interazione terreno-struttura sono molto complessi, è necessario

ricorrere a schematizzazioni del sistema terreno-struttura, che comportano l'assunzione di

modelli semplificati di comportamento del terreno, in relazione alle caratteristiche ed alla

modalità di funzionamento della struttura.

Il modello di mezzo rigido-plastico è impiegato per il calcolo della spinta su muri

indeformabili e, con opportune ipotesi, anche per il calcolo delle azioni su pareti flessibili.

Se si adottano il modello rigido-plastico ed il criterio di rottura di Mohr-Coulomb, le

azioni del terreno sulla struttura sono calcolate nelle condizioni di rottura del terreno e non si

hanno indicazioni sulle deformazioni in condizioni di esercizio.

Le teorie per la valutazione della spinta dei terreni (teorie di Rankine, di Coulomb, di

Caquot e Kerisel, ecc.) fanno tutte riferimento al modello di mezzo rigido-plastico: la spinta è

calcolata assumendo che il terreno spingente e reagente sia in condizioni di equilibrio plastico,

cioè in condizioni limiti di rottura. In queste condizioni, il problema della valutazione delle

spinte del terreno è staticamente determinato. Nel seguito si farà riferimento alla teoria di

Rankine, che consente una comprensione più immediata del problema della valutazione delle

spinte del terreno.

12.2 - TEORIA DI RANKINE SULLA SPINTA DEI TERRENI

Si consideri una ideale struttura di sostegno a pareti verticali, costruita per sostenere un

terrapieno con superficie orizzontale, formato da un terreno incorente asciutto, avente peso di

186

volume γ e per il quale si adotta il modello rigido-plastico ed il criterio di rottura di Mohr-

Coulomb (τf = σ tgϕ). Se, come è indicato in Fig. 12.2.a, la struttura si sposta leggermente verso

l'esterno senza che nascano sforzi di taglio al contatto terreno-paramento di monte, anche il

terreno a tergo tende a spostarsi, dilatandosi in direzione orizzontale. Ciò determina una

riduzione delle tensioni orizzontali, mentre quelle verticali restano costanti, ed una mobilitazione

della resistenza al taglio del terreno nel cuneo EFG.

Fig. 12.2 - Movimenti di una parete che producono lo stato attivo (a) e passivo (b) locali di

Rankine e relativi diagrammi di spinta

Nel generico elementino A, quando tutta la resistenza è mobilitata, la tensione

orizzontale, che ha raggiunto il valore minimo (σha), viene chiamata tensione attiva e il rapporto

tra la tensione orizzontale e quella verticale (σv = γ z) è chiamato coefficiente di spinta attiva

(Ka).

In Fig. 12.3 è indicato il cerchio di Mohr per lo stato di tensione attivo, dal quale risulta,

con semplici deduzioni, che:

187

Ka =σha

σv=

1 − senϕ

1 + senϕ= tg2 45°−

ϕ

2

⎛ ⎝ ⎜ ⎞

Fig. 12.3 - Stati di Rankine per le condizioni geostatiche (a) e relative orientazioni delle linee

di scorrimento (b): Pa e Pb sono i poli delle giaciture rispettivamente per lo stato

attivo e per quello passivo

Se come indicato in Fig. 12.2.b la struttura si sposta verso il terrapieno, nell'ipotesi che

non nascano sforzi di taglio al contatto terreno-paramento di monte, il terreno è compresso in

direzione orizzontale e si mobilita la sua resistenza al taglio. Nel generico elementino B, quando

tutta la resistenza è mobilitata, la tensione orizzontale, che ha raggiunto il valore massimo (σhp),

viene chiamata tensione passiva ed il rapporto tra la tensione orizzontale e quella verticale è

chiamato coefficiente di spinta (o meglio resistenza) passiva (Kp). Analogamente al caso

attivo (Fig. 12.3) risulta:

188

Kp =σhp

σv=

1 + senϕ

1 − senϕ= tg2 45°+

ϕ

2

⎛ ⎝ ⎜ ⎞

⎠ =

1

Ka

Pertanto, per una data tensione verticale geostatica (σv), le tensioni orizzontali possono

essere comprese soltanto tra i limiti Kaσv e Kpσv.

Il coefficiente di tensione laterale a riposo (Ko) corrisponde alla condizione di assenza

di movimenti della ideale struttura di sostegno del terrapieno. Nei terreni normalmente

consolidati, si è riscontrato sperimentalmente che il valore di Ko dipende dall'angolo di attrito ϕ'.

In particolare risulta: Ko = 1 - sen ϕ'

Gli stati di tensione delle due situazioni estreme, che corrispondono a condizioni di

equilibrio limite e quindi di rottura del terreno, sono chiamati stati di Rankine, dall'ingegnere

inglese Rankine che nel 1857 stabilì le relazione tra le due condizioni attiva e passiva. In Fig.

12.3.b sono indicate anche le inclinazioni delle "linee di scorrimento" nelle due condizioni limiti

sopra richiamate.

La teoria sulla spinta dei terreni di Rankine, come le altre teorie sulla spinta dei terreni,

non tiene conto delle deformazioni del terreno nelle fasi che precedono la rottura. Tuttavia, i

valori limiti σha e σhp sono mobilitati per valori diversi dello spostamento della parete.

Per raggiungere la condizione attiva, infatti, sono sufficienti spostamenti inferiori a

0,001 H, mentre per mobilitare la resistenza passiva sono necessari spostamenti pari a 0,01÷

0,05 H (ove H : altezza della parete).

Nel caso che il terreno sia, in tutto o in parte, immerso in acqua, i diagrammi di spinta

attiva e passiva si riferiscono alle tensioni efficaci, cioè i coefficienti di spinta Ka e Kp si

applicano alle tensioni verticali efficaci (σ'v = γ z - u). In queste condizioni, su una struttura di

sostegno oltre la spinta del terreno agisce la spinta dell'acqua.

189

Nel caso di terreno coerente, avente peso di volume γ e resistenza al taglio definita dalla

relazione τf = c' + σ' tg ϕ', la tensione attiva è data dalla relazione:

σ'ha = Ka σ'v - 2 c' √Ka

mentre la tensione passiva risulta:

σ'hp = Kp σ'v + 2 c' √Kp

Nel calcolo della spinta attiva esercitata a lungo termine da terreni coerenti si trascura il

contributo fornito dalla coesione. Ciò perchè, a causa dello scarico di tensioni e dei conseguenti

processi di rigonfiamento ed alterazione dell'argilla spingente a tergo del muro, le caratteristiche

di resistenza al taglio dovute alla coesione gradualmente si riducono. Pertanto, in favore della

sicurezza, si fa affidamento soltanto sull'angolo di attrito.

Nel caso di terreno incorente il rapporto σ'h/σ'v assume i valori:

Ka =1− sen ′ ϕ

1+ sen ′ ϕ e Kp =

1+ sen ′ ϕ

1− sen ′ ϕ

solo se è nullo il coefficiente di attrito tra paramento di monte del muro e terreno, se la superficie

del terrapieno è orizzontale e se il paramento contro terra del muro è verticale.

Se tali condizioni non sono verificate, i coefficienti Ka e Kp sono funzione anche

dell'angolo di attrito muro-terreno (δ) e degli angoli che la superficie del terrapieno ed il

paramento del muro formano con l'orizzontale e con la verticale rispettivamente. In questi casi i

valori di Ka e Kp devono essere ricavati con la teoria di Coulomb o con altre teorie (ad es.

Caquot e Kerisel).

190

12.3 - PROGETTO DEI MURI DI SOSTEGNO

12.3.1 - Azioni sul muro

Nella generalità dei casi i muri di sostegno possono considerarsi strutture rigide. Per

effetto della spinta del terreno a tergo i muri, se poggiati su terreno deformabile, subiscono una

traslazione e/o una rotazione intorno al lembo anteriore della base. Il terreno a tergo del muro

tende perciò verso condizioni di spinta attiva e, nella zona antistante il muro, il terreno tende

verso condizioni di resistenza passiva.

Salvo casi particolari di cui si dirà nel seguito, gli ordinari spostamenti del muro sono

sufficienti a portare il terreno a tergo in condizioni di spinta attiva, mentre nella zona antistante il

muro generalmente non si raggiungono le condizioni di resistenza passiva.

Fig. 12.4 - Azioni su un muro a gravità

Con riferimento alla Fig. 12.4 e nell'ipotesi di terreno omogeneo, incoerente e saturo

fino alla superficie del suolo, per unità di lunghezza del muro si ha:

- Peso proprio della struttura: P [FL-1]

- Spinta del terreno: Fa = 1

2 γ H2 Ka [FL-1]

- Spinta dell'acqua: Fw = 1

2 γw H2 [FL-1]

191

- Resistenza passiva: Fp = 1

2 γ Hp

2 Kp [FL-1]

ove:

γ' peso di volume del terreno immerso

γw peso specifico dell'acqua

H altezza totale del muro inclusa la fondazione

Hp altezza del terreno a valle del muro

Ka, Kp coefficienti di spinta attiva e passiva calcolati con Rankine nell'ipotesi di assenza di

attrito tra paramento di monte del muro e terreno

- Resistenza allo scorrimento del muro lungo il piano di posa: S = s B [FL-1]

- Carico limite del terreno di fondazione: Q [FL-1]

Fig. 12.5 - Tipi di drenaggio a tergo di muri a gravità

Dalle relazioni precedenti si rileva che la spinta esercitata dall'acqua a tergo del muro è

sensibilmente più elevata di quella esercitata dal terreno, dato che il prodotto γ' Ka è dell'ordine

di 2,5-4,0 kN/m3, mentre γw è pari a 10 kN/m

3. Ne deriva, pertanto, l'esigenza di realizzare a

192

tergo dei muri di sostegno un drenaggio, in grado di garantire anche nel tempo un adeguato

smaltimento delle acque piovane e di falda (Fig. 12.5).

Se l'opera di sostegno è vincolata in modo da non poter soddisfare le condizioni di

deformazione corrispondenti allo stato attivo, la resistenza al taglio del terreno disponibile è

mobilitata solo in parte e la spinta è maggiore di quella attiva. Ciò accade, ad esempio, nel caso

di muri fondati su roccia e nel caso di muri di sostegno delle intercapedini di fabbricati, collegati

alle strutture principali del manufatto. In queste condizioni il coefficiente di spinta dovrebbe

essere in linea di principio quello a riposo (Ko), ma se il terreno a tergo del muro è compattato la

spinta può essere maggiore di quella a riposo.

12.3.2 - Verifiche di stabilità dei muri di sostegno con fondazioni superficiali

Stabilità alla traslazione sul piano di posa

- Salvo casi particolari non si deve tener conto del contributo di resistenza del terreno

antistante il muro.

- La resistenza per adesione e/o attrito alla base del muro è valutata con relazioni del tipo:

s = c' + σ' tg δ'.

Nei terreni incoerenti (c' = o) è δ' ≤ ϕ' (sono spesso consigliati valori di δ'= 2/3 ϕ').

Nei terreni coerenti ed in condizioni di fine costruzione s = α cu, ove cu è la resistenza al

taglio non drenata del terreno di appoggio e α un coefficiente ≤ 1.

- Il rapporto tra la somma delle forze resistenti nella direzione dello slittamento e la somma

delle componenti nella stessa direzione delle azioni sul muro deve essere non inferiore a 1,3

(Fig. 12.4).

S

Fa ≥ 1,3

193

Stabilità al ribaltamento del muro

- Il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti e quello delle forze ribaltanti, rispetto al

lembo anteriore della base, non deve risultare minore di 1,5 (Fig. 12.4):

P a

1

3 H Fa

≥ 1, 5

Stabilità del terreno di fondazione

- E' verificata con le relazioni per il calcolo del carico limite delle fondazioni superficiali (ad

es. Terzaghi). E' da tenere presente che la risultante dei carichi sul piano di fondazione è

eccentrica ed inclinata. Il coefficiente di sicurezza sul carico limite deve essere F ≥ 2.

Stabilità globale (Fig. 12.6)

- Deve essere eseguita soprattutto se il terreno di posa del muro ha bassa resistenza, se il

terreno è limitato da una superficie inclinata e se il muro è molto alto. La verifica è effettuata

con i metodi dell'equilibrio limite, adottando superfici di rottura circolari o di forma

qualsiasi.

Fig. 12.6 - Verifica di stabilità globale

194

13 - STABILITÀ DEI PENDII

13.1 - INTRODUZIONE

Si definisce pendio un tratto di superficie del suolo inclinato rispetto all'orizzontale.

Pendio naturale - È un pendio formatosi in tempi lunghi a causa degli eventi naturali

(principalmente l'erosione) che modellano la superficie del suolo. Sono pendii naturali i versanti

dei rilievi collinari e montani formati da terreni e rocce di natura e resistenze meccaniche varie.

Pendio artificiale - È un pendio dovuto all'opera dell'uomo che, con scavi o riporti di terreno, ha

modificato la originaria configurazione del suolo. Sono pendii artificiali i fronti di scavo (scavi

di fondazione, trincee stradali e ferroviarie, canali, scavi minerari a cielo aperto) e le scarpate di

opere in materiali sciolti (rilevati, argini, dighe in materiali sciolti).

Lo stato di tensione in un pendio è dovuto al peso proprio del materiale (terreno o

roccia) costituente il pendio, alla storia tensionale (terreno normalmente consolidato o

sovraconsolidato) e al regime delle acque sotterranee.

Un pendio è stabile se gli sforzi di taglio nel terreno (resistenza al taglio mobilitata)

sono minori della resistenza al taglio disponibile del terreno in sede. Un pendio è instabile se gli

sforzi di taglio eguagliano la resistenza al taglio del terreno in sede, che è soggetto a spostamenti

verso valle.

Si definisce frana lo spostamento verso il basso e verso l'esterno della massa di terreno

o di roccia che forma un pendio naturale o artificiale. Le frane hanno caratteri geometrici

(estensione, profondità e forma della massa in movimento) e cinematici (velocità di spostamento

del corpo di frana) molto diversi: interessano volumi di terreno compresi tra poche migliaia di

m3 e oltre il miliardo di m

3 e si spostano con velocità comprese tra i mm/d ed i m/s.

Le frane sono fenomeni naturali molto diffusi che hanno importanti conseguenze

dannose per l'attività umana e per l'utilizzazione del territorio. Una frana, anche di piccole

195

dimensioni, può causare infatti interruzione delle vie di trasporto o delle linee dei servizi

(acquedotti, gasdotti ed elettrodotti) e può mettere in pericolo la pubblica incolumità. Le frane di

grandi dimensioni rientrano tra le catastrofi naturali, alla stregua delle alluvioni, dei terremoti e

delle eruzioni vulcaniche, che devono essere tenute presenti per una politica di protezione civile

e di pianificazione del territorio.

Le frane sono diffuse in tutte le regioni collinose e montuose di formazione geologica

recente come quelle italiane. I fenomeni di instabilità dei pendii assumono caratteri diversi in

dipendenza dell'acclività dei versanti e delle caratteristiche meccaniche dei terreni interessati.

Nelle regioni alpine, costituite in prevalenza da rocce, le frane, per le grandi dimensioni

e per l'alta velocità del movimento, possono avere il carattere di eventi catastrofici (ad es. la

frana della Valtellina del 1987).

Nelle regioni appenniniche, costituite da terreni prevalentemente argillosi, le frane sono

molto diffuse, ma anche se di grande volume, hanno di regola velocità di spostamento bassa

(m/h o m/d) e non assumono il carattere di catastrofi.

13.2 - CLASSIFICA DELLE FRANE

Data la complessità dei fenomeni di instabilità dei pendii e considerato il gran numero

di fattori che li regolano, è necessario stabilire un sistema di classifica che ne metta in vista gli

aspetti essenziali, che sia basato su dati obiettivi semplici da osservare e che stabilisca un

linguaggio comune tra gli operatori interessati ai problemi di stabilità dei pendii.

Il sistema di classifica adottato internazionalmente che soddisfa al meglio le varie

esigenze è stato proposto da Varnes nel 1978. In questa classifica le frane sono distinte in base

alla natura dei materiali (rocce e terreni) ed in base al tipo di movimento (crolli, scorrimenti

rotazionali o traslativi, colamenti, ...). Sulla base della velocità di spostamento le frane sono

suddivise in sette gruppi: da estremamente lente (v = mm/a) a estremamente veloci (v = m/s).

In Tab. 13.1 e in Fig. 13.1 sono indicati i principali tipi di frane semplici, distinti per tipo

di movimento.

196

Tabella 13.1 - Principali tipi di frane semplici secondo la classifica di Varnes

CROLLI: Fronti molto ripidi - La massa si muove prevalentemente nell'aria - Distacco

secondo superfici di discontinuità preesistenti - Prevalentemente in roccia

SCORRIMENTI

A - ROTAZIONALI (o SCOSCENDIMENTI): Pendio

ripido - La superficie di rottura si presenta concava

verso l'alto - Prevalentemente in terreni omogenei

Superfici di rottura per taglio

B - TRASLATIVI (o SCIVOLAMENTI): Pendio

comunque inclinato - Superficie di scorrimento più o

meno piana o debolmente ondulata, coincidente, in

tutto o in parte, con discontinuità preesistenti - In

terreni omogenei o eterogenei e in ammassi rocciosi

COLATE (nei terreni): Pendio dolce o molto dolce - Movimento tipo fluido viscoso in alveo

definito

Fig. 13.1 - Tipi di frane semplici secondo la classifica di Varnes

197

13.3 - INDAGINI

Per lo studio della stabilità dei pendii devono essere eseguite indagini geologiche e geotecniche

specifiche che hanno la finalità di accertare i seguenti dati ed elementi.

a) Caratteri morfologici (forma della superficie del suolo) mediante rilievi di superficie,

utilizzando i metodi della Topografia o mediante aerofotogrammetria.

b) Caratteri geologici e geomorfologici (natura, origine e successione dei terreni del

sottosuolo; caratteri tettonici della regione; modalità di formazione del pendio; agenti

morfogenetici): le indagini su questi caratteri si eseguono con i metodi della Geologia

mediante i dati raccolti con rilievi di superficie, prospezioni geofisiche, perforazioni e scavi

di sondaggio.

c) Proprietà fisiche e meccaniche dei terreni (tipo, frequenza e giacitura delle discontinuità;

resistenza meccanica e deformabilità alla scala dell'elemento di volume in laboratorio e del

terreno in sede): le perforazioni e gli scavi di sondaggio eseguiti a scopo di caratterizzazione

geologica devono essere condotti in modo da consentire di definire anche queste proprietà.

d) Distribuzione e valori della pressione dell'acqua interstiziale (caratteristiche delle falde

idriche): per la misura delle pressioni neutre devono essere installati piezometri e devono

essere eseguite misure prolungate nel tempo; i dati delle misure devono essere correlati con

quelli delle precipitazioni meteoriche.

e) Caratteri geometrici e cinematici delle frane (in atto o potenziali): gli spostamenti di punti

siti sulla superficie del suolo sono controllati con metodi topografici mediante l'osservazione

degli spostamenti di punti di riferimento rispetto a caposaldi fissi; la misura di spostamento

del terreno in profondità e l'individuazione di eventuali superfici di scorrimento sono

eseguite per mezzo di misure inclinometriche in fori di sondaggio appositamente attrezzati

con una tubazione solidale al terreno (le sonde inclinometriche consentono di misurare, a

varie profondità, le variazioni di inclinazione nel tempo della tubazione e da queste risalire

alla deformata del foro).

L'ampiezza dell'indagine, e di conseguenza il suo costo dipendono dall'importanza del

problema. Tenuto conto che il verificarsi di una frana provoca di regola gravi danni, l'indagine

deve essere molto accurata ed ampia e non può essere limitata a sole osservazioni di superficie.

198

13.4 - VERIFICHE DI STABILITÀ

Ai fini della verifica delle condizioni di stabilità di un pendio, i franamenti possono essere

riportati ai seguenti tre casi semplici dal punto di vista geometrico e cinematico.

a) Scorrimenti traslativi (scivolamenti) su superficie piana parallela al pendio (ad es.:

scivolamenti di coltri superficiali; colate; scivolamenti su superfici di stratificazione o su

discontinuità).

b) Scorrimenti rotazionali (scoscendimenti) su superficie di rottura cilindrica a direttrice

circolare.

c) Scorrimenti rotazionali (scoscendimenti) su superficie di rottura cilindrica di forma non

circolare.

L'analisi di stabilità è eseguita nell'ipotesi di problema piano, impiegando i metodi

dell'equilibrio limite.

Con tali metodi si ipotizza l'esistenza di una superficie di scorrimento nel terreno

(questa può essere piana, circolare o di forma qualsiasi). Lungo la superficie di scorrimento la

resistenza al taglio disponibile è valutata assumendo che il criterio di rottura, valido per il

terreno considerato, sia soddisfatto in tutti i punti di tale superficie. La resistenza al taglio

necessaria per l'equilibrio che si ricava dal calcolo (resistenza mobilitata) è confrontata con

quella disponibile del terreno. Per tentativi, si trova la superficie di scorrimento critica in

corrispondenza della quale è minimo il rapporto tra resistenza disponibile e resistenza mobilitata.

I metodi di calcolo basati sull'equilibrio limite sono relativamente semplici e

consentono di tenere conto dell'influenza dei fattori più importanti ai fini della stabilità

(resistenza al taglio del terreno, pressione dell'acqua interstiziale, presenza di discontinuità). Essi

non forniscono però alcuna indicazione sullo stato tensionale e sulle deformazioni del terreno.

13.4.1 - Scivolamenti piani (pendio indefinito)

La condizione di pendio indefinito è valida per tutte le frane relativamente superficiali in

rapporto all'altezza ed alla lunghezza del pendio. In Fig. 13.2 sono riportate le ipotesi assunte per

la verifica di stabilità e la relazione di equilibrio alla traslazione lungo la superficie di

199

scorrimento.

Dalle relazioni d'equilibrio risulta evidente che la stabilità è funzione:

- del peso dell'unità di volume del terreno (γ);

- dell'inclinazione della superficie di scorrimento (β);

- della profondità della superficie di scorrimento (z);

- dei valori della pressione dell'acqua interstiziale n =zwz

⎛ ⎝

⎞ ⎠ ;

- della resistenza al taglio del terreno espressa dai parametri c' e ϕ'.

Nel caso di terreni incoerenti la stabilità è funzione solo delle pressioni interstiziali e

dell'inclinazione media del pendio e per n=1 si ha F=1 se β ≅12

′ ϕ .

13.4.2 - Scorrimenti su superfici circolari o di forma qualsiasi

Il criterio è applicato a tutte le frane su superfici relativamente profonde, in rapporto

all'altezza ed alla lunghezza del pendio, esso rappresenta con discreta approssimazione il

fenomeno fisico e, se i parametri determinanti ai fini della stabilità sono noti con sufficiente

esattezza, fornisce risultati attendibili.

Il problema è staticamente indeterminato. Si fanno assunzioni e semplificazioni per

rendere determinato il problema. Le equazioni della statica non sono sempre tutte rispettate e i

valori del coefficiente di sicurezza calcolati sono approssimati.

Il corpo ABC è diviso in n strisce a facce verticali (Fig. 13.3). Si considera l'equilibrio

delle singole strisce e della massa sotto l'azione del peso proprio, delle eventuali forze esterne Q

e delle forze interne (X, E).

Il metodo delle strisce consente di verificare la stabilità anche di pendii non regolari e in

terreni eterogenei.

200

Fig. 13.2 – Verifica di stabilità del pendio indefinito.

201

Metodo di Bishop semplificato

Impiego corretto nel caso di terreni omogenei ed isotropi. Il coefficiente di sicurezza si

ottiene dall'equazione dei momenti intorno ad O del peso della massa potenzialmente instabile e

della resistenza lungo la superficie di scorrimento (Fig. 13.3):

F =R Si

i=1

n∑

Wixii=1

n∑

La forza normale efficace sulla base del singolo concio N'=N-ul è ricavata dalla

relazione di equilibrio secondo la verticale e ponendo

X n − Xn+1( )= 0

F =1

Wi senα ii=1

n∑

′ c bi + Wi − uibi( )tg ′ ϕ i[ ] 1mαi

⎧ ⎨ ⎩

⎫ ⎬ ⎭ i=1

n∑ [13.1]

dove

mαi = cosαi 1 +tgα itg ′ ϕ i

F⎛ ⎝

⎞ ⎠ [13.2]

La relazione [13.1] va risolta per successive iterazioni:

I - assunto un primo valore F1 si ricavano i valori di mαi dalla [13.2];

II - dalla [13.1] si ricava un secondo valore F2;

III - con F2 si ricavano i nuovi valori di mαi dalla [13.2]; questi introdotti nella [13.1]

forniscono il nuovo valore F3.

202

La convergenza è molto rapida. Il calcolo può essere eseguito a mano o con piccoli

calcolatori.

Il metodo di Bishop semplificato, anche se trascura le forze di taglio lungo le facce dei

conci e non soddisfa l'equilibrio delle forze nella direzione orizzontale, fornisce risultati

accettabili.

Fig. 13.3 - Verifica di stabilità con il metodo di Bishop

13.5 - PROGETTAZIONE NEL CAMPO DELLA STABILITÀ DEI PENDII

I problemi di ingegneria geotecnica relativi agli interventi ed alle costruzioni sui pendii

sono riassunti nella Tabella 13.2 e, in sintesi, possono essere riportati alla definizione del

coefficiente di sicurezza F (casi A e C) o alla individuazione e progettazione delle opere di

stabilizzazione necessarie affinché sia F > 1 (caso B).

203

Tabella 13.2 - Progettazione nel campo della stabilità dei pendii

PENDII NATURALI PENDII ARTIFICIALI

A) Stabili

F > 1

B) Instabili

F = 1

C) Fronti di cavo

determinare il valore del

coefficiente di sicurezza nelle

condizioni attuali e le sue

variazioni per effetto della

costruzione di opere

Riconoscere le cause

dell'instabilità e progettare le

opere di stabilizzazione

affinché sia F > 1

Individuare le coppie (H, β:

altezza ed inclinazione dello

scavo) per le quali F = valore

dato (1,3 nel caso in cui siano

note con sufficiente certezza le

caratteristiche di resistenza

del terreno e le condizioni

idrauliche del sottosuolo);

definire i provvedimenti

costruttivi

Dati del problema (da accertare con indagini):

- geometria del pendio

- successione e caratteri litologici dei terreni

- caratteri strutturali dell'ammasso di terreno

- proprietà meccaniche dei terreni e loro possibili variazioni;

- distribuzione e valori della pressione neutra e loro possibili variazioni

13.6 INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE DI PENDII NATURALI E DI FRONTI

DI SCAVO

13.6.1 Principi e metodi di stabilizzazione

Un intervento di stabilizzazione di un pendio consiste nell'aumentare le forze

resistenti, cioè quelle forze che si oppongono al movimento del terreno, oppure nel ridurre le

204

forze motrici, cioè quelle forze che tendono a far avvenire il movimento stesso. Seguire l'uno o

l'altro principio, per stabilizzare una frana o per migliorare le condizioni di equilibrio di un

pendio naturale o di un fronte di scavo, dipende da molteplici fattori e circostanze di ordine

tecnico e di natura economica che vanno valutati caso per caso.

In generale, un intervento di stabilizzazione è tanto più efficace quanto più

profondamente agisce nel senso di eliminare le cause del dissesto in atto o temuto. A titolo di

esempio, se il fattore determinante dell'instabilità di un pendio è il valore elevato delle pressioni

neutre nel sottosuolo, l'intervento di stabilizzazione deve tendere a ridurre le pressioni neutre per

aumentare la resistenza al taglio del terreno, piuttosto che a fornire alla massa di terreno instabile

forze resistenti per mezzo di strutture di sostegno.

In Tab. 13.2 sono riportati i principali metodi di stabilizzazione distinti secondo il

principio di funzionamento, con alcune note sulla loro efficacia e sui campi di applicazione.

Metodi di stabilizzazione in relazione al tipo di frana - Nel caso di pendii in frana, la scelta del

metodo di stabilizzazione dipende in larga misura dal tipo di fenomeno franoso. Non tutti i

metodi possono essere impiegati per i diversi tipi di frane e ciascun tipo di frana, in relazione ai

suoi caratteri geometrici, cinematici ed idraulici, richiede criteri e metodi di intervento specifici.

13.6.2 Metodi di stabilizzazione più in uso

I metodi più in uso sono:

- scavi e riporti

- drenaggi

- strutture di sostegno

- interventi per prevenire l'erosione

Tutti i metodi sono in generale costosi e non sempre di esito sicuro specialmente a

breve e a medio termine.

205

Tabella 13.3 - Principi e metodi di stabilizzazione dei pendii

PRINCIPIO METODO NOTE

1 - Modifica della geometria

del pendio con riduzione

delle forze che tendono a

favorire la rottura (metodi

1.1 e 1.2), o con aumento

delle forze resistenti

(metodo 1.3).

1.1 Scavo di alleggerimento

sulla sommità del

pendio

1.2 Abbattimento della

scarpata

1.3 Costruzione di rinfianchi

(berme) e placcaggi al

piede del pendio

Non sempre fattibile per il

costo elevato, per l'esistenza

di manufatti, per pendii molto

lunghi.

2 - Riduzione delle pressioni

neutre in punti interni o

lungo il contorno

2.1 Allontanamento delle

acque superficiali

2.2 Drenaggio

a) trincee drenanti

b) dreni orizzontali

c) pozzi

d) gallerie drenanti

2.1 Non risolutivo se

impiegato da solo

2.2 Frequentemente

applicabile con risultati

soddisfacenti

3 - Incremento delle forze

resistenti per mezzo di

elementi strutturali

fondati o ancorati ad una

forma-zione sottostante

non interessata dal

dissesto.

3.1 Muri di sostegno

3.2 Sistemi di pali

3.3 Ancoraggi

a) tiranti

b) chiodi

3.4 Elementi strutturali con

tiranti

3.1 Molto costosi e non

sempre adeguati

3.2 Non sempre efficaci

3.3 Devono essere progettati

con criteri cautelativi

spe-cialmente quando

previsti con funzione di

sostegno permanente

3.4 Si applicano prevalente-

mente a pendii in roccia

206

13.6.2.1 Scavi e riporti

Le modifiche della configurazione geometrica del pendio risultano efficaci nel caso

delle frane rotazionali, mentre possono essere inutili per le frane di traslazione su superfici

piane. Tali interventi, comunque, possono essere progettati razionalmente, nel senso che la

posizione dello scavo o del riporto lungo il pendio può essere scelta il modo che, a parità di

volume di terreno rimosso o riportato, gli effetti stabilizzanti siano massimi.

Rimozione e sostituzione del terreno franato - Sia con materiale granulare permeabile, sia, più

economicamente, con lo stesso materiale di frana ricompattato e drenato con adeguati sistemi di

dreni. Questo metodo può essere impiegato, ovviamente, solo per frane di modeste dimensioni.

Scavi di alleggerimento - Sia operando una generale riduzione di inclinazione del versante (Fig.

13.4a), sia alleggerendo la testa del pendio (Fig. 13.4b). È importante che questi scavi siano

correttamente posizionati.

Fig. 13.4 - Scavi di alleggerimento (a, b) e riporti per caricare il piede del pendio (c)

Riporti per caricare il piede del pendio - Generalmente mediante berme associate a volte con

altre strutture a gravità tipo gabbioni (Fig. 13.4c). Anche in questo caso è importante il corretto

posizionamento del riporto, così come le sue condizioni di drenaggio.

207

13.6.2.2 Drenaggi

Il coefficiente di sicurezza di un pendio, come visto, è largamente influenzato dalle

condizioni idrauliche. Nella maggior parte dei casi, i pendii naturali ed i fronti di scavo sono

messi in movimento da fattori idraulici.

L'acqua influisce sulla stabilità dei pendii in tre modi:

a) attraverso l'aumento della pressione interstiziale e della pressione nelle discontinuità;

b) attraverso l'aumento, per saturazione, del peso di volume del terreno (effetto generalmente

del 2° ordine);

c) degradando il terreno in superficie (effetto ammorbidimento), importante nei terreni argillosi

sovraconsolidati.

In generale l'influenza dell'acqua è strettamente connessa con le variazioni della

pressione interstiziale. Queste sono determinate dalle caratteristiche dei moti di filtrazione

esistenti nel pendio.

Per migliorare la stabilità di un pendio si deve quindi operare sul regime di filtrazione.

Questo dipende dalle portate affluenti, dalle caratteristiche idrauliche del terreno e dalle

condizioni idrauliche al contorno. Si deve pertanto operare riducendo gli apporti di acqua nel

sottosuolo e variando le condizioni al contorno della filtrazione (con adeguati sistemi drenanti).

La stabilizzazione dei pendii mediante drenaggi di vario tipo è il metodo più in uso e,

tra l'altro, quello generalmente più economico.

Nello studio del comportamento dei sistemi drenanti viene di regola sottovalutato

l'aspetto relativo al tempo necessario affinché nel terreno si stabilisca la condizione di moto di

filtrazione in regime permanente. Se la permeabilità del terreno è bassa ed il terreno è

compressibile, il tempo necessario affinché si raggiungano condizioni di regime può essere

lungo. Anche in terreni con elevata permeabilità secondaria, il sistema raggiunge le condizioni di

regime in tempi dell'ordine di alcuni mesi; da ciò consegue che l'effetto consolidante dei sistemi

di drenaggio non è di regola immediato e che i movimenti del terreno possono continuare anche

dopo l'ultimazione dell'intervento. In molti casi può perciò essere conveniente sviluppare gli

interventi in fasi successive, dimensionando le opere in base ai dati che si raccolgono nel corso

208

dei lavori ("metodo osservazionale").

Raccolta e smaltimento delle acque superficiali - Intervento da operare in ogni caso e al più

presto per ridurre la quantità di acqua che penetra nel sottosuolo. Tuttavia questo intervento da

solo produce effetti limitati sulla distribuzione della pressione neutra nel sottosuolo.

Prevenire l'aumento della pressione dell'acqua nelle fessure di trazione sopra la cresta del

pendio - Il tentativo di sigillare tali fessure nell'intento di prevenire l'infiltrazione di acqua

superficiale generalmente non dà buoni risultati in quanto modesti movimenti del terreno

rompono la sigillatura. È preferibile, pertanto, drenare direttamente le fessure.

Trincee drenanti - Sono i sistemi drenanti più in uso e consistono in strette trincee (profondità

3÷8 m) riempite di materiali permeabili (Fig. 13.5, più o meno parallele e disposte secondo la

massima pendenza del versante.

Nel caso di frane profonde non è necessario che le trincee drenanti siano spinte in

profondità fino alla superficie di scorrimento della frana.

Fig. 13.5 - Sezione trasversale di una trincea drenante

Dreni tubolari - Sono fori suborizzontali di diametro 80÷120 mm all'interno dei quali viene

inserito un tubo "finestrato" (con aperture per il passaggio dell'acqua) ricoperto di geotessile. I

fori sono realizzati dalla superficie del terreno mediante perforazione a rotazione ed hanno

pendenza verso l'esterno. L'acqua proveniente dal terreno filtra attraverso il geotessile, che ha la

funzione di trattenere le particelle fini per evitare l'intasamento del tubo, e poi mediante questo

209

viene rapidamente smaltita all'esterno. I dreni tubolari possono essere lunghi fino a 50-60 m

(Fig. 13.6).

Fig. 13.6 - Schema geometrico di un sistema di dreni tubolari e condizioni idrauliche al

contorno

Gallerie drenanti - Sono piccole gallerie transitabili di dimensioni trasversali dell'ordine di 2 m,

rivestite con calcestruzzo gettato in opera. Sulle pareti e sulla volta del rivestimento esistono

finestre, protette da griglie e geotessile, attraverso le quali l'acqua proveniente dal terreno

penetra all'interno della galleria e defluisce naturalmente verso l'esterno in quanto l'asse della

galleria ha pendenza verso l'imbocco.

Pozzi drenanti - Sono pozzi verticali di diametro variabile da qualche decimetro ad alcuni metri.

I pozzi di piccolo diametro sono realizzati mediante perforazione a rotazione: una volta

eseguito il foro al suo interno viene sistemato un tubo "finestrato" in acciaio di diametro interno

in grado di alloggiare una pompa di tipo sommerso e l'intercapedine tra il terreno e il tubo è

riempita con materiale drenante (ghiaietto o sabbia di granulometria tale da trattenere le

particelle più fini del terreno). La pompa ha la funzione di mantenere il livello dell'acqua nel

tubo a quota inferiore a quella del livello della falda idrica; in queste condizioni l'acqua dal

terreno filtra attraverso il materiale drenate, penetra nel tubo ed è emunta dalla pompa.

I pozzi di diametro maggiore di 1,5 m (fino ad una decina di metri) sono generalmente

realizzati per scavo dall'interno e costruzione di anelli di calcestruzzo per il sostegno della

parete. Sulla parete del pozzo sono praticate finestre che consentono il passaggio dell'acqua dal

terreno all'interno del pozzo. L'acqua raccolta sul fondo del pozzo può essere asportata mediante

210

pompe o, nel caso che la morfologia del terreno lo consenta, può essere naturalmente

convogliata all'esterno mediante fori suborizzontali trivellati dall'interno del pozzo fino alla

superficie del terreno. In alcuni casi si realizza un allineamento di più pozzi, tra loro collegati

alla base con fori suborizzontali per il deflusso dell'acqua verso l'esterno.

Funzionamento dei sistemi drenanti (trincee, dreni tubolari, gallerie e pozzi) - Come detto la

funzione dei sistemi drenati è quella di modificare la rete di flusso nel pendio in modo da ridurre

i valori della pressione neutra. I dreni agiscono come superfici drenanti in corrispondenza delle

quali la pressione è pari a quella atmosferica. Nel pendio pertanto le linee di flusso tendono a

deviare verso tali superfici, riducendo i percorsi di drenaggio ed abbassando i livelli piezometrici

(Fig. 13.7). Perchè ciò avvenga è necessario che i dreni siano correttamente posizionati rispetto

all'originaria falda idrica e che la capacità di deflusso dell'acqua verso l'esterno sia tale da

garantire al loro interno pressione pari a quella atmosferica (Fig. 13.8).

Fig. 13.7 - Schema di funzionamento di trincee drenanti e dreni tubolari in un pendio indefinito

E' evidente che la scelta del tipo di dreno è legata alla forma ed acclività della superficie

del pendio ed alla conformazione e profondità della falda idrica. Ad esempio le trincee drenanti

possono essere impiegate nel caso di pendii indefiniti di pendenza non elevata e con superficie

libera della falda a piccola profondità dalla superficie del terreno. Gli altri sistemi drenanti vanno

utilizzati prevalentemente nel caso di versanti acclivi e di falde idriche relativamente profonde.

211

Fig. 13.8 - Configurazione della superficie libera della falda idrica in funzione del raggio della

galleria drenante

Vegetazione - La copertura vegetale agisce principalmente attraverso una riduzione delle

pressioni neutre nel terreno a seguito del processo di evapotraspirazione delle piante.

In generale la vegetazione riduce l'azione degli agenti climatici sulle masse di terreno

formanti il pendio a favore della stabilità nei seguenti modi.

A) L'insieme degli alberi e dell'altra vegetazione agisce:

- intercettando e proteggendo la massa dall'azione del sole, dei venti e della pioggia;

- trattenendo considerevoli quantitativi di acqua piovana sulle ampie superfici formate dalle

foglie, dai rami, dai tronchi;

- eliminando come vapore grandi quantitativi di acqua per mezzo della evapotraspirazione.

B) Il detrito vegetale che si accumula sul terreno agisce:

- immobilizzando una buona parte dell'acqua che raggiunge il suolo per effetto dell'alta

capacità di ritenuta

- favorendo, insieme al sistema di radici superficiali, la filtrazione dell'acqua nell'immediato

sottosuolo

- riducendo il ruscellamento durante le intense precipitazioni e quindi evitando gli effetti

erosivi.

212

C) Il sistema di radici favorisce la stabilità:

- meccanicamente, aumentando la resistenza al taglio media del terreno e favorendo la

distribuzione degli sforzi

- idraulicamente, favorendo la filtrazione nell'immediato sottosuolo ed evitando che l'acqua si

infiltri nel pendio.

Mentre il disboscamento di un pendio produce una serie di effetti praticamente

immediati che riducono il coefficiente di sicurezza, quali:

- immediata cessazione degli effetti stabilizzanti dovuti alla vegetazione nei riguardi dei fattori

climatici;

- immediata cessazione dell'intercettazione e ritenuta dell'acqua e dell'evapotraspirazione

(maggiori infiltrazioni nel pendio);

- perdita entro breve tempo, per ossidazione ed erosione, degli effetti positivi prodotti dallo

strato di detrito vegetale;

- risalita della superficie libera della falda idrica con possibile saturazione dei terreni

superficiali ed aumento del peso di volume.

Il rimboschimento farà risentire i suoi effetti positivi soltanto a tempi molto lunghi,

quando verrà a costituirsi una idonea copertura vegetale in grado di operare nei riguardi della

stabilità nei modi sopra indicati.

13.6.2.3 Strutture di sostegno

L'impiego di strutture di sostegno è generalmente meno indicato dei metodi di

stabilizzazione che comportano il drenaggio o la risagomatura del pendio. Tuttavia quando sono

opportunamente impiegate, tali strutture possono essere efficaci specialmente in condizioni di

spazio limitato.

Le strutture di sostegno sono efficaci per tutti i tipi di frana purché sia realizzata la

ovvia condizione di incastro della struttura nel terreno fermo. Il dimensionamento di queste

213

opere può essere verificato col calcolo. A tale fine devono essere note le caratteristiche della

frana, temuta o in atto, e le proprietà dei terreni e devono essere valutate le interazioni tra

struttura e terreno. Le azioni sulla struttura sono più intense di quelle corrispondenti alla

condizione di spinta attiva e dipendono dai rapporti tra le resistenze e le rigidità del terreno di

frana, del terreno d'incastro e della struttura.

Come già ricordato a proposito dei drenaggi, anche l'effetto stabilizzante causato da

modifiche della configurazione geometrica del pendio o da strutture di sostegno non è

immediato. In particolare nel caso delle frane di grandi dimensioni gli spostamenti del terreno, in

superficie ed in profondità, possono continuare per un certo tempo anche dopo l'ultimazione di

lavori.

Muri di sostegno fondati al di sotto del terreno instabile - Sono stati e sono variamente e

frequentemente impiegati, anche se in molti casi con scarso successo.

Pali e pozzi - Paratie di pali infissi a piccolo interasse possono essere efficaci per stabilizzare

frane superficiali (2÷3 m di spessore). Per frane più profonde (3÷6 m) sono state impiegate

paratie di pali trivellati di grande diametro a volte intirantanti alla testa (Fig. 13.9).

Fig. 13.9 - Paratia di pali con tiranti

214

Pozzi di grande diametro (fino a 13 m) ancorati, profondi circa 30 m, sono stati

impiegati in Italia per stabilizzare grandi frane.

Ancoraggi nei terreni e nelle rocce - Si definisce "tirante di ancoraggio" un elemento strutturale

operante in trazione, costituito da (Fig. 13.10):

- testata: insieme degli elementi terminali in acciaio atti a trasmettere alla struttura ancorata o

direttamente alla roccia, la forza di trazione del tirante N;

- parte libera: insieme degli elementi (armatura di trefoli di acciaio, del tipo di quella

impiegata per strutture in cemento armato precompresso) atti a trasmettere la forza di trazione

dalla testata alla fondazione;

- fondazione: insieme degli elementi (armatura di trefoli di acciaio ed ancoraggio per

cementazione) atti a trasmettere al terreno le forze di trazione del tirante.

Si definisce "chiodo" una barra generalmente di acciaio integralmente connessa al

terreno con cementazione mediante miscele cementizie o chimiche (Fig. 13.11)

Tiranti di ancoraggio, generalmente pretesi, sono impiegati sia abbinati a strutture di

sostegno tipo muri e paratie di pali (Fig. 13.9) sia da soli per ridurre le forze motrici di una frana

(azione esercitata dalla componente Nt) e per aumentare le tensioni efficaci normali sulle

superfici di scorrimento (azione esercitata dalla componente Nn). Perché il tirante possa

funzionare correttamente la fondazione deve essere ubicata nel terreno sicuramente stabile

situato in profondità.

Le chiodature sono usate generalmente per stabilizzazioni superficiali di pendii in

roccia.

215

Fig. 13.10 - Tirante di ancoraggio

Fig. 13.11 - Chiodo di ancoraggio

13.6.2.4 Interventi per prevenire l'erosione

Esiste una stretta relazione tra frane ed erosione. Prevenire l'erosione significa prevenire

le frane, in quanto l'asportazione del terreno ad opera delle acque ruscellanti modifica la

geometria del pendio e generalmente provoca un aumento degli sforzi di taglio.

Erosione al piede del pendio - Nel caso di pendii lambiti al piede dalle acque del mare, di laghi,

di bacini artificiali, di fiumi, gli interventi comunemente adottati sono: muri di calcestruzzo,

gabbionate, scogliere ad altri rivestimenti.

Erosione superficiale del pendio - Da prevenire con opportune opere di raccolta e smaltimento

delle acque di superficie (canalizzazioni, fossi, ecc.) e con adeguate coperture vegetali,

eventualmente sostenute con grigliati prefabbricati in calcestruzzo o con sistemi di georeti o

geogriglie.