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Competitività e Sostenibilità Anno acc. 2015-16 Prof. Aurora Magni APPUNTI A SUPPORTO DELLE LEZIONI : GLI SCENARI IN CUI SI SVILUPPA IL TEMA DELLA SOSTENIBILITA1 E’ legittimo usare risorse senza preoccuparsi della loro potenziale esauribilità futura? E’ legittimo scaricare scarichi industriali e rifiuti nell’ambiente naturale? E’ legittimo sottrarre a popolazioni non industrializzate le risorse della loro terra? La nostra moderna sensibilità ci fa rispondere di no ma per secoli si è pensato che tutto questo fosse accettabile, addirittura inevitabile e necessario. Era diffusa la convinzione che la natura fosse in grado di riprodurre le materie prime prelevate e di elaborare gli elementi inquinanti nel giro di poco tempo. Il futuro non destava preoccupazione e per quanto riguarda le relazioni con i paesi poveri l’occidente evoluto riteneva fosse un pieno diritto adottare una sorta di “diritto del più evoluto” su popolazioni arretrate. Nel Patto costitutivo della Società delle Nazioni del 28 giugno 1919 si legge, ad esempio: Art. 22. 1. I principi seguenti si applicano alle colonie e territori che, in seguito alla guerra, hanno cessato di essere sotto la sovranità degli Stati che li governavano precedentemente e che sono abitati da popoli non ancora capaci di reggersi da sé nelle condizioni particolarmente difficili del mondo moderno. Il benessere e lo sviluppo di questi popoli formano una missione sacra di civiltà, e conviene incorporare nel presente Patto delle garanzie per il compimento di tale missione. 2. Il miglior metodo per realizzare praticamente questo principio è di affidare la tutela di questi popoli alle nazioni progredite che, in ragione delle loro risorse, della loro esperienza o della loro posizione geografica, sono meglio in grado di assumere questa responsabilità e che consentono ad accettarla. In altre parole si distingueva il mondo in due entità diversamente dotate e sviluppate: da un lato i possessori di know how (ma poveri di risorse), da un altro i possessori di materie prima non in grado/interessati a sfruttarle. Il problema della disponibilità delle risorse naturali era stato posto da Robert Malthus (1798) nel suo Saggio sul principio della popolazione in cui spiega come la crescita esponenziale della popolazione favorita dall’incremento del benessere generale, porterà all’esaurimento delle risorse vitali e al diffondersi di un diffuso stato di povertà. Geroge Parkins Marsh (1864) in Man and Nature pone il problema del deterioramento dell’ambiente da parte dell’uomo, tema che sarà ripreso da Ernst Hoeckel (1866), è il primo a dare una definizione di ecologia intesa come “l’economia del naturale, le relazioni del mondo animale con l’ambiente organico ed inorganico, le dinamiche di ostilità tra i soggetti). Occorre ricordare che simili teorie vengono elaborate e diffuse nel pieno delle rivoluzione industriale caratterizzata dalla straordinaria alleanza tra scienza, tecnica ed economia in cui la necessità di mantenere adeguato il flusso delle materie prime necessari ai processi produttivi và di pari passo alla necessità di favorire il commercio dei manufatti realizzati favorendo l’accesso della nuova classe emergente (la borghesia) al mondo del consumo. L’esigenza di garantire l’approvvigionamento di risorse –controllandone i paesi proprietari anche attraverso la loro colonizzazione, è alla base delle strategie (spesso militari) connesse all’imperialismo. L’intento aggressivo della politica imperialista è spesso attenuato dall’ideologia della diffusione globale del benessere. Un discorso del presidente Truman (1949) ben sintetizza questa filosofia, ed è considerato “l’invenzione dell’idea di sviluppo”: Per la prima volta nella storia l’umanità è in possesso delle conoscenze tecniche e 1 Il testo in oggetto è un inedito non sottoposto a controllo bozze, è pertanto possibile siano presenti errori di battitura

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Competitività e Sostenibilità – Anno acc. 2015-16 – Prof. Aurora Magni

APPUNTI A SUPPORTO DELLE LEZIONI : GLI SCENARI IN CUI SI SVILUPPA IL TEMA DELLA SOSTENIBILITA’1 E’ legittimo usare risorse senza preoccuparsi della loro potenziale esauribilità futura? E’ legittimo scaricare scarichi industriali e rifiuti nell’ambiente naturale? E’ legittimo sottrarre a popolazioni non industrializzate le risorse della loro terra? La nostra moderna sensibilità ci fa rispondere di no ma per secoli si è pensato che tutto questo fosse accettabile, addirittura inevitabile e necessario. Era diffusa la convinzione che la natura fosse in grado di riprodurre le materie prime prelevate e di elaborare gli elementi inquinanti nel giro di poco tempo. Il futuro non destava preoccupazione e per quanto riguarda le relazioni con i paesi poveri l’occidente evoluto riteneva fosse un pieno diritto adottare una sorta di “diritto del più evoluto” su popolazioni arretrate. Nel Patto costitutivo della Società delle Nazioni del 28 giugno 1919 si legge, ad esempio: “Art. 22. 1. I principi seguenti si applicano alle colonie e territori che, in seguito alla guerra, hanno cessato di essere sotto la sovranità degli Stati che li governavano precedentemente e che sono abitati da popoli non ancora capaci di reggersi da sé nelle condizioni particolarmente difficili del mondo moderno. Il benessere e lo sviluppo di questi popoli formano una missione sacra di civiltà, e conviene incorporare nel presente Patto delle garanzie per il compimento di tale missione. 2. Il miglior metodo per realizzare praticamente questo principio è di affidare la tutela di questi popoli alle nazioni progredite che, in ragione delle loro risorse, della loro esperienza o della loro posizione geografica, sono meglio in grado di assumere questa responsabilità e che consentono ad accettarla. In altre parole si distingueva il mondo in due entità diversamente dotate e sviluppate: da un lato i possessori di know how (ma poveri di risorse), da un altro i possessori di materie prima non in grado/interessati a sfruttarle. Il problema della disponibilità delle risorse naturali era stato posto da Robert Malthus (1798) nel suo Saggio sul principio della popolazione in cui spiega come la crescita esponenziale della popolazione favorita dall’incremento del benessere generale, porterà all’esaurimento delle risorse vitali e al diffondersi di un diffuso stato di povertà. Geroge Parkins Marsh (1864) in Man and Nature pone il problema del deterioramento dell’ambiente da parte dell’uomo, tema che sarà ripreso da Ernst Hoeckel (1866), è il primo a dare una definizione di ecologia intesa come “l’economia del naturale, le relazioni del mondo animale con l’ambiente organico ed inorganico, le dinamiche di ostilità tra i soggetti). Occorre ricordare che simili teorie vengono elaborate e diffuse nel pieno delle rivoluzione industriale caratterizzata dalla straordinaria alleanza tra scienza, tecnica ed economia in cui la necessità di mantenere adeguato il flusso delle materie prime necessari ai processi produttivi và di pari passo alla necessità di favorire il commercio dei manufatti realizzati favorendo l’accesso della nuova classe emergente (la borghesia) al mondo del consumo. L’esigenza di garantire l’approvvigionamento di risorse –controllandone i paesi proprietari anche attraverso la loro colonizzazione, è alla base delle strategie (spesso militari) connesse all’imperialismo. L’intento aggressivo della politica imperialista è spesso attenuato dall’ideologia della diffusione globale del benessere. Un discorso del presidente Truman (1949) ben sintetizza questa filosofia, ed è considerato “l’invenzione dell’idea di sviluppo”: “Per la prima volta nella storia l’umanità è in possesso delle conoscenze tecniche e

1 Il testo in oggetto è un inedito non sottoposto a controllo bozze, è pertanto possibile siano presenti errori di

battitura

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pratiche in grado di alleviare le sofferenze delle persone che vivono in aree sottosviluppate (…). Noi dovremmo incoraggiare l’investimento di capitali nelle regioni dove lo sviluppo manca (..). Quel che prevediamo è un programma di sviluppo basato sui concetti di un negoziato equo e democratico… un programma che permetterà di utilizzare al meglio le risorse umane e naturali del mondo. L’esperienza dimostra che il nostro commercio con gli altri paesi cresce con i loro progressi industriali ed economici”. Il dibattito sul rapporto incremento industriale/diffusione del benessere si focalizzava prevalentemente sugli aspetti sociali della questione. Ci si chiedeva ad esempio in che misura l’innovazione tecnologica riducendo l’azione umana nei processi di lavorazione non finisse per creare disoccupazione e povertà o quanto fosse alienante il lavoro della catena di montaggio basata sulla divisione della pratica lavorativa in micro mansioni standardizzate e ripetitive (Ford). I temi erano quindi, come del resto aveva insegnato il marxismo, l’espropriazione dell’uomo dalla sua capacità creativa /produttiva mediante l’industrializzazione, l’alienazione, la sostituzione dell’operaio con la macchina (Movimento luddista). I tempi non sono ancora maturi perché si avverta la necessità di difendere l’ambiente. Perché questo avvenga è necessario che l’ambiente (ormai inquinato dalle azioni umane) venga riconosciuto come una minaccia per la salute e la sicurezza. Rimarginate le ferite della 2^ guerra mondiale il mondo occidentale stava vivendo una fase di crescita economica ed industriale (il Italia gli anni 60 saranno noti per il boom economico). Il processo di industrializzazione delle aree agricole aveva subito forti accelerazioni con conseguenze immaginabili. Viene posto da parte delle organizzazione sindacali e umanitarie il tema della sicurezza sul lavoro e della salute in fabbrica ma i costi ambientali sono ancora considerati esternalizzati (a carico cioè della società). Gli anni 70 Agli inizi degli anni 70 era forte e diffuso il convincimento che non vi fossero motivi per rallentale le produzioni industriali o per considerare in modo critico gli effetti di queste sull’ambiente: si pensava che il pianeta fosse in grado di metabolizzare le emissioni e che le materie prime necessarie a sfamare e a soddisfare le necessità della popolazione mondiale fossero “inesauribili”. Il ricordo delle ristrettezze economiche della seconda guerra mondiale era ancora recente e la crescita della tecnologia e delle sue innovazioni generava ottimismo stimolando nuovi consumi e nuovi stili di vita. La crisi petrolifera del 1974 conseguente all’embargo imposto dai paesi arabi alle nazioni occidentali che avevano sostenuto Israele nella guerra dello Yom Kippur (i 4 mesi il prezzo del petrolio quadruplica e gli effetti si fanno sentire sull’economia e sulla qualità della vita delle popolazioni coinvolte), accelera la discussione sulla rinnovabilità delle risorse. Seppur all’epoca poco ascoltato, il rapporto The limits to growth del Club di Roma (1972) è un documento davvero interessante. Vi si affermava che se i livelli di crescita della popolazione mondiale fossero rimasti invariati i limiti biologici del pianeta sarebbero stati raggiunti nell’arco di un secolo e non ci sarebbe stato cibo per tutti. Il rapporto aprirà la strada alla Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma (1972), primo grande evento internazionale in cui si parla di ambiente e sviluppo.

Sempre negli anni 70 un fatto grave introduce una profonda riflessione sulla sicurezza dei sistemi produttivi: l’industria può provocare danni non limitabili al proprio reparto produttivo. Il “Disastro di Seveso” è il nome con cui si ricorda l'incidente, avvenuto il 10 luglio 1976 nell'azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube della diossina TCDD, una sostanza chimica fra le più tossiche. Non vi furono morti ma oltre 200 persone registrarono gravi problemi dermatologici. Secondo uno studio del 2008 la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona delle madri è 6,6 volte maggiore della media. Le alterazioni ormonali causano di difetti fisici ed intellettuali durante lo sviluppo (Fonte Wikipedia)

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La vicenda è ricostruita in un articolo del Sole 24ore del 18 aprile 2007:

“Dopo quattro giorni dall'incidente le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, inizia la moria di galline, uccelli e conigli. Nell'area interessata vivono circa 100mila persone e si verificano i primi casi di intossicazione nella popolazione. Il 15 luglio il sindaco di Seveso emana un'ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l'erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all'aria aperta; il 18 luglio parte un'indagine dei carabinieri del comune di Meda e il pretore decreta la chiusura dello stabilimento; si procede all'arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all'emergenza. I casi d'intossicazione aumentano, i più colpiti sono i bambini. Si dà nome a una malattia allora quasi sconosciuta: la cloracne, il sintomo più eclatante dell'esposizione alla diossina, che colpisce la pelle, soprattutto del volto e dei genitali esterni, se l'esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Il 10 agosto si decide di evacuare l'area circostante l'impianto per circa 15 ettari e le famiglie residenti nelle zone più colpite sono invitate ad abbandonare le proprie abitazioni. Reticolati sono posti per delimitare le zone pericolose. Continuano intanto casi di intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno; nelle donne incinte si diffonde la preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui futuri nascituri. Ma gran parte degli "esperti" tendono a tranquillizzare tutti sminuendo gli effetti della diossina, anche se la televisione e i giornali continuano a mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli volti coperti da estese macchie rosse e le zone contaminate dove si aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di terreno e bruciano carcasse di animali. Il risultato concreto fu di privare quella gente, combattuta fra opposte versioni, di ogni certezza”.

Gli anni 80

Gli anni 80 sono segnati da un disastro di dimensioni globali: l’incidente all’impianto nucleare di Černobyl, considerato insieme all' incidente avvenuto nella centrale di Fukushima Dai-Ichi in Giappone nel marzo 2011, il più grave disastro verificatosi in una centrale nucleare. L’incidente avvenne il 26 aprile 1986 presso la centrale Lenin. Una nube di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente e rendendo necessari l'evacuazione di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l’Europa e addirittura la costa orientale del Nord America.

Il rapporto ufficiale, redatto da agenzie dell'ONU, parlò di 65 morti accertati e stimò altri 4 000 decessi dovuti a tumori e leucemie lungo un arco di 80 anni forse associabili direttamente al disastro. Secondo associazioni ambientalistiche i decessi vanno valutati (negli anni) in decine di migliaia.

Energia da fonti inquinanti, combustibili fossili e pericolosità del nucleare, inquinamento sono al centro dell’attenzione delle istituzioni mondiali che devono fare i conti con il difficile equilibrio tra sviluppo economico e sostenibilità Il Rapporto delle Nazioni Unite Brundtland del 1987 diventerà il documento di riferimento per lo sviluppo sostenibile. Si dice chiaramente: “Ciò di cui abbiamo bisogno attualmente è una nuova era di crescita economica, una crescita vigorosa ma a pari tempo socialmente e ambientalmente sostenibili”. Lo sviluppo cioè deve “soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere quelli delle generazioni future”. Nel 1988 verrà fondato per volere delle Nazioni Unite, l'Intergovernmental Panel on Climate Change un forum di esperti con l’obiettivo di monitorare gli effetti dei cambiamenti climatici sul pianeta. Ad oggi sono stati presentati 5 rapporti, l’ultimo nel 2013. Dagli anni 90 ad oggi

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Nel 1991 IUCN, UNEP e WWF pubblicano La strategia per un vivere sostenibile in cui si riconoscono i limiti biologici del pianeta e si pongono due priorità: fermare la crescita della popolazione mondiale e ridurre il consumo di risorse naturali da parte dei paesi ricchi, prendendosi cura della Terra attraverso comportamenti quali: rispettare e aver cura di tutte le forme di vita, migliore la qualità della vita, conservare la forza vitale e le diversità biologiche, ridurre lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili,rimanere nei limiti delle capacità di carico della Terra, cambiare gli atteggiamenti e i comportamenti personali. Sviluppare programmi nazionali senza dimenticare le specificità territoriali, creare un’alleanza mondiale. 1992 Rio: Summit della Terra. E’ stata la prima conferenza mondiale dei capi di stato sull'ambiente e un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e sulle scelte politiche e di sviluppo che l'hanno seguita. Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17.000 persone aderirono al NGO Forum. Al centro gli effetti delle produzioni industriali e dei trasporti sullo stato di salute del pianeta, la ricerca di fonti di energia rinnovabile, la scarsità d’acqua. E’ stata lanciata l’Agenda 21 (cioè cosa fare nel 21^ secolo e come farlo) che prevede principi a cui le singole nazioni devono ispirarsi:

Corresponsabilizzazione – la società civile partecipa al processo Miglioramento continuo - Monitoraggio delle varie fasi del processo affinché vengano

continuamente ricalibrate per raggiungere i migliori risultati possibili. Governance - Passaggio da un'ottica impositiva ad una partecipativa, flessibile ed aperta alle varie

componenti sociali. Principio precauzionale (non correre rischi se non si hanno certezze scientifiche) Trasversalità - Inserimento del concetto di sostenibilità in tutte le politiche di settore. Visione condivisa - Costruzione di uno scenario comune di sviluppo sostenibile di una comunità,

condiviso dal più ampio numero di stakeholders. Partenariato - Creazione di partnership fondate su un nuovo modo di intendere il rapporto pubblico-

privato, per la concreta realizzazione di azioni concertate per lo sviluppo sostenibile.

Il protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale sottoscritto a Kyoto l'11 dicembre 1997 da più di 180 Paesi in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia. Prevede impegni di limitazione e riduzione delle

emissioni da parte degli Stati membri per il primo periodo di impegno. Il protocollo di Kyoto concerne le emissioni di sei gas ad effetto serra di cui prevede la riduzione in misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 – considerato come anno base – nel periodo 2008-2013: - la CO2

2 (anidride carbonica), prodotta dall’impiego dei combustibili fossili in tutte le attività energetiche e industriali oltre che nei trasporti; - il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso; - l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche; - gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere;

2 quando si parla degli obiettivi di riduzione emissiva si fa sempre riferimento a valori espressi in termini di CO2eq

(CO2 equivalente), una unità di misura che considera la somma ponderata della capacità serra di tutti i 6 diversi gas (o famiglie di gas) oggetto del Protocollo di Kyoto

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- i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere; - l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.

Nel 2013 il protocollo risultava sottoscritto da 174 Paesi e un'organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) Questi Paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra. Nell’ambito del Protocollo di Kyoto, l’Italia ha sottoscritto un obiettivo di riduzione emissiva del -6,5% identificato sulla base delle indicazioni di Enti di ricerca nazionali, che lo avevano quantificato come risultato dell’attuazione di un pool di azioni necessarie per l’ammodernamento del Paese e per lo stimolo dell’economia nazionale.

Secondo il Rapporto “Italian Greenhouse Gas Inventory” – ISPRA 2011 nel 2009 le emissioni nazionali totali dei sei gas serra (GHG), espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 5,4% rispetto ai livelli del 1990.

Secondo un’altra fonte, l’“Inventario annuale delle emissioni di Gas Serra” (Enea, 2010) il totale di emissioni di CO2 italiane nel 2009 ammontava a circa 491 MtCO2eq, così ripartite:

- 33% settore energetico – 27% trasporti – 20% settore civile (terziario, residenziale PA) – 18% industria – 2% agricoltura

La generazione dell’energia in Italia gioca il ruolo principale nell’ambito della generazione delle esternalità ambientali negative a livello climatico, ma anche gli altri settori contribuiscono in maniera complessivamente rilevante.

L’art. 12 del protocollo di Kyoto prevede inoltre il meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism o CDM) che permette alle imprese dei paesi industrializzati con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo senza vincoli di emissione. Questo permette ai paesi in via terzi di disporre di tecnologie più pulite ed orientarsi sulla via dello sviluppo sostenibile. Consente inoltre l'abbattimento delle emissioni lì dove è economicamente più conveniente e quindi la riduzione del costo complessivo dell’adempimento degli obblighi derivanti dal Protocollo di Kyōto. Questo meccanismo ha sollevato critiche: trattando i crediti di emissione come oggetto di transazione economica sposta l’impegno dalla prevenzione delle emissioni alla compensazione (piantumazione di foreste).

E’ comunque sempre più evidente che esista uno stretto rapporto tra difesa dell’ambiente e lotta alla fame e alla povertà.

La Dichiarazione del Millennio dell’8 settembre 2000 emessa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Millennium Summit) infatti proclama 8 obiettivi fondamentali: sradicare fame e povertà, rendere universale l’istruzione primaria, rendere paritari i rapporti tra i sessi e l’autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute delle madri, combattere l’HIV e altre malattie letali, garantire la sostenibilità ambientale e sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.

Summit sullo sviluppo sostenibile 2002: il segretario generale dell’Onu Kofi Annan rende noto un rapporto dedicato allo stato di attuazione di quanto deciso a Rio nel 92 e sottolinea il mancato rispetto degli accordi. Il Piano di attuazione individua tre livelli: sviluppo economico, sociale ed ambientale e apre trattative tra i paesi membri relativamente a: energia (fonti rinnovabili), clima, acqua (si sottoscrive l’impegno a dimezzare entro il 2015 la quantità di popolazione mondiale che non ha ancora accesso all’acqua potabile e alla sanità di base),Fondo di solidarietà per aiutare i paesi più poveri,sostanze chimiche (entro il 2020 dovranno essere prodotte sostanze chimiche a basso impatto ambientale), biodiversità, ambiente marino, aiuto pubblico

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allo sviluppo. Il summit non riesce a entrare nel merito degli aspetti operativi. Pesa sull’evento il clima generato 11 mesi prima dall’attacco alle Torri Gemelli. Nel 2007 l’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) rende noto il suo 4 rapporto sui cambiamenti climatici sottolineando le responsabilità delle attività umane. Si aprono le negoziazioni per la riduzione della produzione di gas serra da parte dei singoli paesi. Nel 2011 la Resource Efficienty Road Map della Commissione Europea sottolinea l’importanza del riciclo dei materiali post consumo e post produzione e della produzione di energia da fonti alternative. L’approccio fa da sostegno al 7^ programma quadro di azione ambientale. L’obiettivo è quello di “decarbonizzare” il Vecchio Continente, abbattere fino al 95% le emissioni nocive nel 2050, in confronto al 1990). Il programma:

Soddisfare il 55% dei consumi finali di energia con le rinnovabili nel 2050 (30% nel 2030) Riqualificare edifici Potenziare le rinnovabili Definire un mercato unico dell’energia che equilibri i prezzi (ad esempio, per un'impresa italiana il

costo dell'elettricità è superiore del 130% rispetto a quello che pagherebbe un'industria francese o polacca, dell'80% se confrontato con quanto spenderebbe la stessa industria in Germania).

Giugno 2012 Conferenza di Rio: è il punto di partenza per i successivi programmi di azione a livello internazionale. Si incoraggiano tutti i governi del mondo a considerare la green economy come un principio guida nella definizione dei loro percorsi economici e di sviluppo. Vi parteciparono 172 governi e 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17.000 persone aderirono al NGO Forum.

"A Green Economy in the context of sustainable development and poverty eradication" (un’economia verde nel contesto dello sviluppo sostenibile e riduzione della povertà da intendersi come transizione verso un’economia verde (adattata al contesto nazionale), che non sia solo un miglioramento ambientale, ma un nuovo paradigma che cerchi di alleviare minacce globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la desertificazione, l’esaurimento delle risorse naturali e al tempo stesso promuovere un benessere sociale ed economico.

Priorità in discussione:

risorse idriche

impatto dei processi produttivi

energie alternative

inquinamento da trasporto

difesa della biodiversità

2013 Fifth Assessment Report (AR5) dell’Ipcc dal titolo “Climate Change 2013: The Physical Science Basis” e le sue conclusioni sono coerenti con quanto già anticipato e comunque con le indicazioni che la scienza sostiene da decenni: il cambiamento climatico esiste e l’uomo ne è con certezza la causa. Il business deve prepararsi agli impatti catastrofici del riscaldamento globale. Lo rivela anche il nuovo rapporto sui cambiamenti climatici della più grande società di servizi professionali al mondo, la Pricewaterhouse Coopers (PwC), che avverte sulla necessità di un'azione radicale per decarbonizzare l'economia globale e mette in guardia gli investitori sui risultati negativi di determinati investimenti.0

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I punti più significativi:

• La temperatura media globale è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012 • È molto probabile un aumento della temperatura di oltre i 2 gradi Celsius entro fine secolo • 2 gradi Celsius è la soglia oltre il quale gli scienziati sostengono che il cambiamento climatico sarà

irreversibile • La concentrazione di CO2 in atmosfera non è mai stata così alta da 800mila anni. Nel 2013 ha

toccato i 400 ppm. Una crescita del 40 per cento dall’epoca pre-industriale causata soprattutto dai combustibili fossili. Gli oceani finora hanno assorbito il 30 per cento delle emissioni prodotte dall’uomo e questo ha portato a una loro progressiva acidificazione

• L’innalzamento del livello dei mari è stato pari a 0,19 metri tra il 1901 e il 2010. Salirà ancora, da 26 a 82 centimetri ulteriori, entro il 2100 secondo tutti i modelli analizzati

• Negli ultimi due decenni lo scioglimento dei ghiacciai ha colpito la Groenlandia e l’Antartide. Anche la copertura nevosa al Circolo polare artico si è ridotta e continuerà a ridursi durante tutto questo secolo.

23 settembre 2014: Summit sul cambiamento climatico a New York (assenti: Cina e India). Anticipato da

manifestazioni nelle principali capitali del mondo ha lo scopo di spianare la strada alla firma di un

accordo globale nel 2015 a Parigi, sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

La politica europea per la sostenibilità

2010, EUROPA 2020 “Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. Obiettivi:

il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;

il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in R&S; i traguardi "20/20/20" in materia di clima/energia devono essere raggiunti.

In particolare: ridurre i gas ad effetto serra del 20% (o del 30% in caso di accordo internazionale); ridurre i consumi energetici del 20% aumentando l'efficienza energetica; soddisfare il 20% del fabbisogno energetico europeo con le energie rinnovabili.

il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve

essere laureato; 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.

La transizione da un’economia lineare ad un’economia circolare è al centro dell’agenda europea stabilita nell’ambito della strategia Europa 2020 sulla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per accelerare il viaggio verso la realizzazione di una società che sappia trarre il massimo dalle risorse, reimmettendole nel ciclo produttivo invece di collocarle in discarica come rifiuti, la Commissione Europea ha presentato alcune proposte in tema diriciclo. Le nuove misure adottate da Bruxelles alzano l’asticella dell’ambizione, prevedendo di portare, entro il 2030, il riciclaggio europeo al 70% per i rifiuti urbani e all’80% per i rifiuti di imballaggio. Tra i nuovi obiettivi figura anche il divieto, a partire dal 2025, di collocare in discarica rifiuti che possono essere recuperati e riciclati e target di riduzione dei rifiuti marini e alimentari. Il pacchetto suggerisce inoltre di misurare la produttività delle risorse in base al rapporto tra PIL e consumo di materie prime, proponendo di individuare nell’aumento del 30% di tale produttività entro il 2030 un possibile obiettivo principale da inserire nella prossima revisione della strategia Europa 2020.

L’Europa mette a disposizione di imprese ed enti di ricerca/università ingenti finanziamenti a supporto della ricerca e dell’innovazione una parte rilevante dei quali è destinata a programmi che abbiano al centro

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tematiche ecologiche. Questi programmi hanno anche la finalità di supportare lo scambio di informazioni e la collaborazione tra soggetti di diversi paesi europei. Tra i programmi europei a sostegno dell’economia sostenibile: Horizon 2020, Life, Eco Innovation. Fondi nazionali, regionali o messi a disposizione da soggetti privati (fondazioni bancarie) integrano l’offerta di sostegni economici alla ricerca.

La Green Economy può creare occupazione

Secondo il rapporto GreenItaly 2012, in Europa di potevano contare nell’anno di riferimento 3,4 milioni di posti di lavoro nell’eco-industria (intesa come industria che realizza beni e servizi finalizzati a misurare, limitare, minimizzare o correggere i danno ambientali), pari all’1,5% dell’intera forza lavoro europea. A questi posti di lavoro si devono aggiungere quanti operano nei settori che adottano o sperimentano metodologie green o realizzano prodotti con approcci ecocompatibili dall’agricoltura biologica al turismo sostenibile, al terziario di settore, al mondo della ricerca e dell’innovazione. Una misura rilevante degli investimenti nei settori produttivi riguarda interventi su energia, gestione acque e depurazione, eco design. La diffusione della cultura e della pratica della sostenibilità produce la crescita di mansioni operative, progettuali e manageriali identificabili come green anche se ancora non codificate in termini di competenze e skills.

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Perchè si parla di riduzione della CO2

La CO2 è il gas che contribuisce per oltre il 55% all’effetto serra odierno: quando si parla -quindi- degli obiettivi di riduzione emissiva si fa sempre riferimento a valori espressi in termini di CO2eq (CO2 equivalente), una unità di misura che considera la somma ponderata della capacità serra di tutti i 6 diversi gas (o famiglie di gas) oggetto del Protocollo di Kyoto. La CO2 è parte dei cicli biogeochimici naturali, quale il risultato della ossidazione delle molecole organiche (cioè le molecole della vita, definite “carboniose” proprio perché strutturate intorno all’atomo di carbonio).

A partire dal XIX^ secolo l’uso intensivo di combustibili fossili ha alterato l’equilibrio naturale. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera risulta attualmente pari a circa 390 ppm –parti per milione (430 ppm CO2 equivalente se si includono anche gli altri gas serra), con un ritmo di crescita di 2,5 ppm annue: il limite di concentrazione atmosferica di CO2 per poter limitare l’incremento di temperatura sotto i 2 °C (e quindi sperare in effetti non disastrosi dei cambiamenti climatici) è stato quantificato in 450 ppm CO2 eq, un limite a cui siamo pericolosamente prossimi.

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Alla C02 vanno inoltre sommati:

- il CH4 (metano), prodotto dalle discariche dei rifiuti, dagli allevamenti zootecnici e dalle coltivazioni di riso;

- l’N2O (protossido di azoto), prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche; - gli HFC (idrofluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere; - i PFC (perfluorocarburi), impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere; - l’SF6 (esafluoruro di zolfo), impiegato nelle industrie chimiche e manifatturiere.

La situazione per quanto riguarda le emissioni di CO2 mostra come, per quanto il problema sia globale, la responsabilità dei tassi di inquinamento non grava in modo uniforme sulle varie aree del mondo.

Popolazione (in milioni)

Emissioni CO2 procapite (tonn.CO2)

Intensità carbonica (tonn CO2 per tep)

Usa 296,7 19,8 2,5

EU (27) 491,8 8,1 2,2

Ex Urss 277,8 8,5 2,4

Cina 1.311,4 3,9 3,0

India 1.094,6 1,1 2,2

Giappone 127,8 9,8 2,4

Altri paesi sviluppati 151,7 12,5 2,2

Paesi in via di sviluppo 2.007,2 2,4 2,1

Paesi non sviluppati 672,6 0,2 0,6

Mondo 6.431,7 4,3 2,4

Tab. 1 Fonte: OECD, 2008 (Tep = tonnellate equivalenti di petrolio)

E’ evidente lo stretto rapporto tra produzione di CO2 e quindi gas serra e attività umane. Le previsioni fanno supporre un incremento dei cittadini della terra superiore ai 9 miliardi.

Crescita attesa della popolazione mondiale: le nazioni più popolate:

2007 2050

Cina 1.318 India 1.747

India 1.132 Cina 1.432

Usa 302 Usa 420

Indonesia 232 Indonesia 297

Brasile 189 Pakistan 295

Pakistan 169 Nigeria 282

Bangladesh 149 Brasile 260

Nigeria 144 Bangladesh 231

Russia 142 Rep.Dem. Congo 187

Giappone 128 Filippine 150 Tab. 2 Incrementi popolazione mondiale attesi

Per quanto alcuni scienziati ritengano che il riscaldamento del pianeta non sia dovuto all'aumento di emissioni di CO2 ma ad un surriscaldamento globale del sistema solare3 per quanto le attività umane abbiano indiscutibilmente una responsabilità nelle alterazioni climatiche.

3 Si veda al riguardo: http://dioni.altervista.org/La_verita_clima.html

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Non sorprende che la governance del pianeta esprima preoccupazioni e lanci obiettivi di riduzione della CO2.

La praticabilità – o meno – dello sviluppo sostenibile Il vero problema è come far coesistere politiche di riduzione dell’impatto ambientale delle attività produttive e vitali e sviluppo sociale /eliminazione delle povertà. Su questo tema, sulla possibilità che possa esistere uno sviluppo sostenibile il dibattito è molto accesso. Eliminare o almeno ridurre l’indigenza che colpisce aree intere del mondo dando dignità a milioni di persone richiede investimenti economici importanti e l’insediamento in quelle aree di attività economiche primarie e secondarie che consentano alle comunità di migliorare il proprio reddito grazie alla possibilità di fabbricare beni o di incrementare/differenziare le produzioni agricole. In altri termini attivando iniziative di sfruttamento intensivo della terra o sviluppando attività pre-industriali quando non industriali. In altre parole introducendo quelle attività produttive riconosciute come causa di inquinamento se non sono svolte con le precauzioni necessarie. Che questo comporti un incremento dei consumi e quindi dello sfruttamento delle risorse, emissioni di CO2 e produzione di scarti e reflui è la conseguenza inevitabile. “Lo sviluppo sostenibile –si legge ad esempio nel rapporto Brundland- è un processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, l’andamento degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in reciproca armonia e incrementano il potenziale attuale e futuro di soddisfazioni dei bisogni e delle aspirazioni umane”. Il questa frase, considerata il fondamento della teoria stessa della sostenibilità l’enfasi è sul concetto di sviluppo armonico e sulla responsabilità verso le generazioni future. Certamente viene introdotto un cambio di prospettiva che mette in discussioni alcuni valori base dell’economia. L’economia neoclassica identificava lo sviluppo economico e sociale con le crescita quantitativa della produzione e dei consumi dei beni. In questa visione lo sviluppo è inteso come crescita, incremento cioè di fattori identificati come garanti di accresciuto benessere sociale. Espressione tangibile di questo approccio è il PIL (prodotto interno lordo) che con valori quantitativi e percentuali di incremento o flessione definisce lo stato di salute economica di uno stato4. Alla base della visione tradizionale possiamo identificare alcuni fattori:

convinzione nell’efficacia della rivoluzione industriale come connubio di tecnologia, scienze,modelli organizzativi finalizzati all’ottimizzazione delle risorse e dei processi di trasformazione e potenzialmente in grado di garantire la crescita esponenziale dei manufatti realizzati,

legittimità del colonialismo: appropriazione e uso legalizzato di risorse di altri paesi ritenuti non sufficientemente evoluti per gestire autonomamente le proprie ricchezze,5

4sull’adeguatezza del Pil si veda: http://www.sustainability-lab.net/it/blogs/sustainability-lab-news/oltre-il-pil.aspx

5 Nel Patto costitutivo della Società delle Nazioni (28 giugno 1919) si legge, ad esempio

Art. 22. 1. I principi seguenti si applicano alle colonie e territori che, in seguito alla guerra, hanno cessato di essere sotto la sovranità degli Stati che li governavano precedentemente e che sono abitati da popoli non ancora capaci di reggersi da sé nelle condizioni particolarmente difficili del mondo moderno. Il benessere e lo sviluppo di questi popoli formano una missione sacra di civiltà, e conviene incorporare nel presente Patto delle garanzie per il compimento di tale missione.

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concorrenza/libero mercato come condizioni autoregolanti de dinamiche domanda/offerta di beni,

innovazione tecnologica come possibilità di crescita illimitata di efficienza produttiva. Naturalmente la definizione di sviluppo implica quella di sottosviluppo riferita a paesi/popolazioni le cui capacità di autopromuovere il proprio benessere sono da ritenersi limitate o inadeguate. Un discorso del presidente Truman (1949) è considerato “l’invenzione dell’idea di sviluppo”: “Per la prima volta nella storia l’umanità è in possesso delle conoscenze tecniche e pratiche in grado di alleviare le sofferenze delle persone (che vivono in aree sottosviluppate) … Noi dovremmo incoraggiare l’investimento di capitali nelle regioni dove lo sviluppo manca (..). Quel che prevediamo è un programma di sviluppo basato sui concetti di un negoziato equo e democratico… un programma che permetterà di utilizzare al meglio le risorse umane e naturali del mondo. L’esperienza dimostra che il nostro commercio con gli altri paesi cresce con i loro progressi industriali ed economici”. In altre parole il modello occidentale basato sullo produzione industriale e sui consumi intensivi di beni viene identificato come modello di sviluppo a cui contrapporre l’arretratezza di società agricole o preindustriali. L’attenzione alla libertà individuale come espressione/conseguenza dello sviluppo verrà sancita qualche decennio dopo. Nel 1990 il rapporto della Commissione internazionale Sud proponeva questa definizione: “Lo sviluppo è un processo che permette agli esseri umani di sviluppare la loro personalità, di acquisire fiducia in se stessi e di condurre un’esistenza dignitosa e realizzata. E’ un processo che libera le popolazioni dalla paura del bisogno e dello sfruttamento e che fa arretrare l’oppressione politica, economica e sociale. E’ attraverso lo sviluppo che l’indipendenza politica acquista il suo vero significato”. All’idea di sviluppo inteso come miglioramento armonico di condizioni di vita, sicurezza, benessere e dignità si contrappone la visione più critica di sviluppo inteso come occidentalizzazione di modelli di vita ritenuti inadeguati, arretrati, non consoni (in quanto non finalizzati ad alimentare la crescita dei consumi necessaria a garantire il successo del modello capitalistico). La globalizzazione dei mercati (sostenuta politicamente dalla nascita del WTO6) e la nuova geopolitica delle produzioni e dei consumi rappresentano le fasi principali di questo processo di allineamento planetario ad un modello economico.

Sul piano ambientale lo sviluppo inteso come interferenza della scienza nei processi naturali e l’industrializzazione sono poi identificati come principale causa delle problematiche ecologiche talvolta più per motivi ideologici che realmente provati. E’ quanto sostiene ad esempio, il libro “Eco-imperialismo” di Paul Driessen7. La tesi di fondo è facilmente sintetizzabile: l’idea che la difesa dell’ambiente rappresenti una priorità è alla base dell’estrema povertà e dell’arretratezza di buona parte del mondo. L’ecologia (portata alla sua esasperazione) non avrebbe fatto altro che impedire lo sviluppo sociale ed economico condannando alla morte per fame e malattia gli abitanti dei paesi più poveri. Il tutto per preservare a quelli dei paesi ricchi condizioni globali di relativo equilibrio ambientale e mettere un po’ a tacere la propria coscienza. Driessen offre un’ampissima serie di esempi: dai morti per malattie respiratorie dovute all’uso di legno, carbone e biomasse come unica fonte di riscaldamento, alla diffusione della malaria a seguito della

2. Il miglior metodo per realizzare praticamente questo principio è di affidare la tutela di questi popoli alle nazioni progredite che, in ragione delle loro risorse, della loro esperienza o della loro posizione geografica, sono meglio in grado di assumere questa responsabilità e che consentono ad accettarla. 6 Da http://www.treccani.it: L’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) rappresenta attualmente il più

importante foro negoziale per le relazioni commerciali multilaterali a livello internazionale, in ambiti che si estendono non solo al commercio di beni ma anche ai servizi e agli aspetti commerciali della proprietà intellettuale. Il Wto è oggi composto da 157 membri che contano per più del 97% del commercio mondiale. Principali compiti del Wto sono quelli di agevolare l’attuazione e la gestione degli accordi multilaterali in campo commerciale, fornire un foro negoziale per la discussione e amministrare la soluzione delle controversie. 7 edito da Liberilibri (2004)

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messa al bando del DDT, per fare solo un paio di esempi. Le coltivazioni OGM e le reazioni dei movimenti ecologisti alla loro diffusione e alla ricerca scientifica forniscono molti altri esempi e si citano casi di eco-terrorismo (distruzione di piantagioni e di laboratori di ricerca). “L’economista Indur Goklany ha calcolato che, se il mondo tentasse di sfamare l’attuale popolazione di 6 miliardi di persone utilizzando le tecnologie e i prodotti prevalentemente biologici del 1961 occorrerebbe sfruttare oltre l’82% dell’area coltivabile totale invece del 38% di oggi. Bisognerebbe dissodare la foresta pluviale dell’Amazzonia, irrigare il deserto del Sahara…”.

Sul fronte opposto del dibattito ci sono invece le posizioni dei sostenitori della decrescita il cui rappresentante più famoso è Serge Latouche, autore di numerosi trattati sull’argomento8 che indica il superamento della crisi in un nuovo modello economico contrapposto a quello globale-liberista.

L’idea della decrescita è sintetizzabile nel programma delle 8 R che rappresentano otto obiettivi interdipendenti:

Rivalutare. I valori –si legge nel programma- sono diventati vuoti simulacri, sostituiti da megalomania individuale, egoismo e rifiuto della morale. Occorre rivendicare valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere, la dimensione locale delle produzioni e dei consumi.

Riconcettualizzare. La mancanza di valori dà luogo ad una visione diversa del mondo. Occorre ridefinire concetti come la ricchezza/povertà, la rarità/abbondanza distinguendo gli elementi reali da quelli di creazione artificiale.

Ristrutturare. Adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori.

Ridistribuire. La ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse ha un effetto positivo sulla riduzione del consumo, per due fattori: ridimensionamento del potere dei consumi del Nord e diminuzione dello stimolo al consumo vistoso.

Rilocalizzare. Segue il principio del “think global, act local” per il quale occorre produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari ai bisogni delle popolazioni. Cioè produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari a soddisfare i bisogni della popolazione, in imprese locali finanziate dal risparmio collettivo raccolto localmente.

Ridurre. Ridurre non significa necessariamente tornare indietro ma limitare/eliminare il sovraconsumo ed abbattere gli sprechi. La riduzione non coinvolge solo le risorse, ma anche aspetti sociali come il tempo dedicato al lavoro.

Riutilizzare/Riciclare. E’ necessario ridurre lo spreco, combattere l’obsolescenza delle attrezzature e riciclare rifiuti non riutilizzabili.

Dal punto di vista prettamente economico l’idea di base è quindi quella di promuovere un abbassamento dei quantitativi dei consumi rinunciando in particolare a quelli che non aggiungono qualità alla vita ma al contrario generano dipendenza e malessere. La produzione deve quindi essere orientata a soddisfare i reali bisogni senza indurne altri avvalendosi delle risorse e delle opportunità che il territorio offre. In altre parole si auspica una sorta di autoproduzione di cibo e beni necessari alla vita spostando l’attenzione sulla qualità delle relazioni e su stili di vita basati su valori diversi da quelli su cui i consumi di beni voluttuari fanno leva. Questo riequilibrio negli stili di vita e nell’accesso ai beni consentirebbe di attenuare le differenze tra le classi sociali e i diversi livelli di ricchezza. La crisi economica è –secondo Latuche- un’ottima occasione per rivedere gli assunti alla base dell’attuale modello economica la cui infondatezza sarebbe confermata dall’incremento di gap tra ricchi e monto ricchi e poveri.

Per approfondire: Video Rai http://www.economia.rai.it/articoli/serge-latouche-crisi-e-decrescita-felice/19503/default.aspx

8 La produzione letteraria di Latouche è consultabile qui http://it.wikipedia.org/wiki/Serge_Latouche

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Recentemente il dibattito ha visto scendere in campo anche Thomas Piketty, economista francese specializzato nello studio delle ineguaglianze. Piketty sostiene innanzitutto che l’economia sia una scienza sociale (quindi inesatta) e che solo una massiccia indagine quantitativa possa offrire chiavi di lettura significative. Per questo i suoi studi si focalizzano sull’evoluzione dei patrimoni e dei redditi analizzando un’entità incredibile di dati ed arrivando alla conclusione che nei paesi industrializzati sono aumentate soprattutto le disuguaglianze relative ai patrimoni e che la crescente rilevanza delle rendite finanziarie potrà creare in futuro una distribuzione dei redditi ancora più polarizzata tra molto ricchi (pochi) e molto poveri (tanti). L’immagine che Piketty offre è quella della società descritta da Jane Austin in cui la ricchezza è data dalle rendite di proprietà (di cui il proprietario raramente si occupa), dai matrimoni, dalle eredità. Una società apparentemente immobile spazzata via dall’industrializzazione (o che ha alla fine sostenuto con i propri capitali l’avvio di quest’ultima). Il futuro anticipato dalla visione di Piketty potrebbe far pensare a una casta di milionari in grado, grazie al controllo sulla finanza e alla possibilità di muovere immani capitali, di governare l’economia planetaria mentre in assenza di un salario minimo per i ceti più bassi la forbice tra chi ha risorse accantonate e chi ha solo “tempo e competenze da offrire al mercato del lavoro” (per dirla in termini marxiani) inevitabilmente si allarga. Le soluzioni suggerite riguardano ovviamente aliquote fiscali per i redditi più alti, imposte patrimoniali, controlli sui capitali, tracciabilità degli stessi. Interessa a questo punto capire cosa ne è della ricchezza generata dall’ impresa che si interessa sì ai capitali ma a condizione che gli stessi siano investiti in idee, progetti e non solamente depositati in banca o immobilizzati in ville e tenute in molti casi nemmeno utilizzate dai proprietari. E’ infatti evidente che la bassa crescita dell'economia mondiale stia generando un picco nell'ineguaglianza: oggi le piccole proprietà del ceto medio servono infatti a coprire la mancanza di reddito dei membri più giovani della famiglia e le pensioni degli anziani fungono da ammortizzatore sociale per i soggetti resi più fragili dalla crisi economica. Che la maggior parte dei giovani oggi non sia in grado di accantonare risparmio è un dato che deve preoccupare perché genererà una fascia di neo poveri che nei decenni prossimi dipenderanno in larga misura dall’assistenza pubblica. In altre parole l’ineguaglianza dipende dalla differenza tra la reddività del capitale e il tasso di crescita economica e che tanto più i profitti garantiti dal capitale (cioè le rendite) sono superiori alla crescita economica, tanto più ad avvantaggiarsene sono i proprietari di capitale non esposto ai rischi e alle turbolenze del mercato. Viceversa, nei periodi storici di vivace crescita economica aumenta la ricchezza prodotta dal lavoro e dalla produzione e questo innesca meccanismi di maggiore uguaglianza sociale.

In questo contesto diventa interessante il punto di vista di Michael Porter9, già autore della teoria della Catena del Valore (1985) in cui l’azienda è vista come un’organizzazione complessa i cui processi contribuiscono alla creazione di out put di valore. Porter rivendica il ruolo di attore sociale dell’impresa e anche la sua catena del valore è rivisitata ed integrata e serve ad indicare le linee di azione da adottare per promuovere valore condiviso.

9 Creare Valore condiviso, Harvard Business Review Italia (gennaio/febbraio 2011)

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Fig. 1 La catena del valore (1985)

Fig. 2: La catena del valore condiviso (2010)

Porter introduce una riflessione interessante: strette dall’assedio dell’opinione pubblica che le considera responsabili di problematiche sociali le imprese devono rilanciare con una strategia di ampia portata che le

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porti a trasformare la responsabilità sociale ed ambientale in valore caratterizzante i prodotti e i servizi realizzati. Le aziende “continuano a vedere la creazione del valore in un’ottica ristretta, ottimizzando la performance finanziaria nel breve periodo mentre perdono di vista i bisogni più importanti dei loro clienti”. Sotto accusa la strategia ad esempio di delocalizzare produzione solo per vantaggi di costi. “Le aziende devono attivarsi per riconciliare business e società. La soluzione sta nel valore condiviso che comporta la creazione di valore economico con modalità tali da creare valore anche per la società”. Attenzione però: non si tratta di fare beneficenza o filantropia. Porter parla di business e vantaggi per l’impresa. “Il concetto di valore condiviso ridefinisce i confini del capitalismo. Mettendo più efficacemente in relazione il successo delle imprese con il miglioramento sociale, apre molte opportunità per soddisfare nuovi bisogni, acquisire efficienza, creare differenziazione ed espandere i mercati.” Come? Porter indica tre modalità:

Ri-concepire prodotti e mercati (cioè partire dalla consapevolezza che un’impresa ha nell’indurre i consumatori ad adottare determinati comportamenti per migliorare la qualità della vita e il benessere complessivo10,

ridefinire la produttività nella catena del valore partendo da una maggior consapevolezza della disponibilità delle risorse e degli effetti ambientali e sociali indotti dai processi di trasformazione (Fig.2)

facilitare lo sviluppo di cluster locali, Rispetto a strategie compensative o finalizzate a dare reputazione all’impresa, la teoria del valore condiviso fa coincidere logiche di business all’impegno verso la società e l’ambiente. L’azienda infatti non adotta comportamenti responsabili sotto la pressione degli stakeholders ma li elabora ed assume come elementi portanti di una strategia volta a massimizzare il profitto trasformando i vincoli in opportunità a vantaggio tanto dell’azienda quanto della comunità di riferimento. Il tema della responsabilità sociale d’impresa è stato affrontato da un altro pensatore contemporaneo, Edward Freeman in un saggio del 1984 “Strategic Management: A Stakeholder Approach” e in più recenti approfondimenti. In particolare a Freeman è riconosciuto il merito di aver introdotto nelle strategie economiche il ruolo degli stakeholders cioè dei cosiddetti portatori di interesse: fornitori, clienti, azionisti, dipendenti e comunità locale, cioè individui o gruppi che hanno “un interesse legittimo o una pretesa legittima sull’impresa”. La loro funzione è quindi duplice: da un lato le loro pretese definiscono i limiti alla legittimità aziendale, cioè indicano lo scopo e la priorità dell’impresa stessa; dall’altro consentono lo stabilirsi di relazioni sinergiche e fiduciarie tra l’azienda e la società con cui la stessa si relaziona. Contrariamente a quanto si pensa l’approccio di Freeman non è ispirato da intenti “moralizzatori”, come scrive in Il bello e il buono. Le ragioni della moda sostenibile. “Non è rilevante stabilire se la Ferrari sia un bene di lusso oppure no. La vera questione è: gli stakeholders, le comunità, stanno meglio o peggio a causa della sua produzione? Se la responsabilità è al centro del business non c’è bisogno di distinzione tra beni di lusso e beni necessari “11. La funzione dello sviluppo come strumento per ridurre la povertà è al centro anche di un recente lavoro di Deidre McCloskey che in “I vizi degli economisti, le virtù della borghesia”12 rivendica il potere delle idee che trasformate in progetti innovativi agiscono sul benessere e sulle condizioni sociali. “Le disuguaglianze non si riducono affrontandole come una questione etica ma liberando le idee, investendo in processi e prodotti innovativi”. Capacità storicamente appannaggio della borghesia, categoria sociale che l’autrice definisce bistrattata dagli economisti (una frecciatina a Piketty?).

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In controtendenza con la teoria del lusso tanto popolare nel mercato del Fashion Porter suggerisce, a titolo esemplificativo, di considerare le enormi potenzialità del target dei consumatori meno vantaggiati o portatori di particolari criticità 11

Il Bello e il buono. Le ragioni della moda sostenibile”. M. Ricchetti, M.L. Frisa, Marsilio 2010 12

LBL libri, 2014

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Il legame tra competitività d’impresa e sviluppo collettivo è andato intensificandosi negli ultimi anni trovando nel PIL13 e nella sua definizione un centro di riflessione nevralgico. Nel 2009 la Commissione Europea con il documento “Non solo PIL. Misurare il progresso in un mondo in cambiamento” fornisce alcune raccomandazioni operative sull’integrazione del PIL con indicatori ambientali e sociali e sull'inserimento di questi nella contabilità nazionale. Nel rapporto pubblicato l’anno successivo “Misura della Performance Economica e del Progresso Sociale” si sottolinea l'importanza della misura del benessere della popolazione considerato come un insieme di fattori non solo economici, quali sanità, istruzione, ambiente e relazioni sociali. Occorre maggiore attenzione alla distribuzione del reddito, ai redditi delle famiglie ed al consumo di beni e servizi fondamentali. Anche l’ambiente è stato recentemente individuato come fattore che deve partecipare alla determinazione del PIL in quanto elemento imprescindibile nella determinazione del grado di benessere di una nazione .

L’individuazione della soluzione del problema ambientale nella riduzione dei consumi (e quindi delle attività produttive alla base della fabbricazione dei beni di consumo) ha alla base un antico dibattito filosofica che riguarda aspetti morali (la legittimità della ricchezza e della sua ostentazione) che ha impegnato pensatori ed opinionisti per secoli. Fermi sostenitori della immoralità dei consumi voluttuari sono stati alcuni importanti protagonisti della cultura cattolica (si pensi ad esempio al movimento Francescano) e i pensatori marxisti.

D’altro lato anche l’idea che la manifestazione della ricchezza attraverso manufatti e abitudini di vita ispirati al lusso e all’eccesso fosse fonte di benessere per le classi sociali meno agiate ha trovato numerosi sostenitori, da Montesquieu “ E’ necessario che ci sia il lusso: se i ricchi non sperperassero i poveri morirebbero di fame” (Lo spirito della legge) a Voltaire “Il superfluo: cosa estremamente necessaria” e a Defoe “La smisurata vanità della nostra epoca nutre i commerci e di conseguenza il povero”.14 L’idea che il lusso di pochi favorisca (almeno in qualche misura) il benessere di altri o quanto meno ne garantisca la sopravvivenza trova una teorizzazione interessante nel pensiero di Werner Sombart (1922) che indica proprio nella domanda (e quindi nella produzione) di beni frivoli e non necessari, la principale spinta all’industrializzazione capitalista.15

In tempi più recenti il dibattito intorno alla legittimità dei comportamenti consumistici e alle loro conseguenze sociali, ambientali ma anche psicologiche16 hanno trovato nella sensibilità ecologica un importante alleato. A fronte di consumi esasperati corrispondono infatti sprechi di risorse, emissioni, scarti e rifiuti spesso di difficile gestione. Se la riduzione dei consumi ha però un effetto sulla capacità produttiva della società e quindi sull’occupazione creando vere e proprie criticità sociali, il problema può essere affrontato in termini di qualità dei consumi e quindi valorizzazione dell’oggetto acquistato e del contesto

13 Il Prodotto Interno Lordo (PIL), in inglese Gross Domestic Product (GDP), esprime il valore complessivo dei beni e

servizi finali prodotti all'interno di una nazione in un certo arco di tempo, solitamente un anno. Questo dato, quindi, non prende in considerazione la produzione di beni intermedi destinati ai consumi industriali, ossia di quei prodotti scambiati tra le imprese, poiché il valore di questi ultimi è già incorporato nel valore dei beni finali. Pertanto, se si considerassero nel PIL anche le vendite dei beni intermedi, si avrebbero delle inutili duplicazioni. Il calcolo del PIL è effettuato esclusivamente sulla produzione del Paese, con esclusione di quanto è prodotto all'estero da aziende nazionali, ma considerando quanto prodotto nel Paese da aziende straniere. Fonte: http://www.borsainside.com/finanzainside/pil/

14

Per approfondire: Thierry Paquot Elogio al lusso, ovvero l’utilità dell’inutile, Castelvecchi, 2007 15

W.Sombart Dal lusso al capitalismo, Armando editore 16

Gli acquisti compulsivi sono considerati una patologia (http://www.siipac.it/it/patologie/dipendenza-da-shopping) così come si ritiene che la moda e l’estrema magrezza ostentata dalle modelle in passerella contribuiscano al diffondersi di disturbi alimentari quali anoressia e bulimia.

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del suo utilizzo. Appartengono a questo filone pratiche quali slow food, produzioni a km 0, recupero di tradizioni artigianali eccellenti, tracciabilità delle filiere, gruppi d’acquisto solidali, negozi equosolidali.

Ma sarebbe errato immaginare una sorta di polarizzazione tra prodotti finalizzati allo shopping intensivo (alto contenuto fashion, caratteristiche innovative, grande distribuzione etc) e prodotti alternativi ed esterni alla catene tradizionali del consumo. Il divario tra questi due approcci produttivi e commerciali è sempre meno radicato grazie a dinamiche culturali trasversali che individuano proprio nella sostenibilità un valore irrinunciabile e un argomento competitivo.17

In sintesi: L’ecologia è la somma di oikos (οἴκος) e logos (λόγος), ovvero lo studio della casa, delle relazioni che intercorrono tra ambiente ed elementi che lo abitano. Percepita come “area problematica/costi/penalità” la relazione impresa –ambiente si è andata trasformando in un’opportunità competitiva per le imprese. La sostenibilità applicata ai processi economici ha una valenza culturale profonda ma si presenta come argomento fortemente pragmatico: Incide sulla cultura economica perchè metto inevitabilmente in discussione alcuni pilastri concettuali del modello consumistico. Già nel 1955, l’economista statunitense Victor Lebow scriveva «la nostra economia, così bisognosa di produrre sempre di più, ci impone di plasmare sul consumo la nostra stessa vita, di trasformare in riti l’acquisto e l’uso dei beni materiali, di fare del consumo la nostra unica fonte di soddisfacimento spirituale e di autorealizzazione … Smaniamo per consumare, eliminare, sostituire ogni genere di oggetto ad un ritmo sempre più rapido18». Nelle sue evoluzioni più ideologica la sostenibilità giunge a sostenere la necessità della decrescita, del non sviluppo come soluzione ai problemi ambientali più critici e via per una nuova qualità della vita. Anche senza arrivare alle posizioni più estremiste si tratta certamente di una visione che sottolinea l’impegno etico o vede l’attività economica come un obbligo morale: negli anni illustri economisti e teorici hanno sostituito alla visione difensiva dell’impresa che si impegna a non fare danni l’idea che la stessa possa avere una propria funzione culturale e incidere attraverso i propri prodotti e le modalità con cui li realizza sulle condizioni di vita delle comunità con cui si relaziona. Il tutto traendone vantaggio (minori sprechi, valorizzazione del marchio, legami con il territorio..). Alla diffusione di questo nuovo modello di sviluppo economico, alla cui definizione partecipa ogni singola impresa anche senza esserne pienamente consapevole, hanno certamente contribuito fattori esterni al sistema prettamente produttivo:

- la crescente sensibilità ambientale sollecitata da esperienze drammatiche che hanno lasciato segni fortissimi nella memoria collettiva (ad esempio: Seveso, Cernobyl, Fukushima Dai-ichi, patologie e decessi indotti da alterazioni nella catena alimentare etc),

- L’impegno formalizzato delle principali istituzioni politiche mondiale a monitorare e contenere emissioni e consumi,

- Leggi e normative volte a ridurre e penalizzare i comportamenti ambientalmente scorretti, - Il costo rilevante di materie prime, energia, processi di depurazione

17

Non sorprende infatti che proprio grandi brand della distribuzione globale come H&M, Zara, Mango usino sempre più argomenti ecologici per attrarre consumatori. 18

Price Competition in 1955“, Victor Lebow. – Journal of retailing - See more at: http://www.informazionesostenibile.info/2846/il-pessimismo-della-

ragione-globale-lottimismo-della-volonta-locale/#sthash.t6hTRNnj.dpuf

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19

- Le scoperte e le innovazioni scientifiche e tecnologiche messe a disposizione del mondo produttivo. E’ nell’ambito di questo dibattito che, a partire dagli anni 80, prende corpo il concetto di sviluppo sostenibile nell’ambito della comunità internazionale. Per essere sostenibile (in grado cioè di preservare ambiente e risorse per le future generazioni) lo sviluppo dovrà essere diverso da come è stato inteso dall’economia classica. Come suggerisce la parole è uno sviluppo che sostiene, supporta, mantiene, dà forza. La sostenibilità mette in discussione infatti il concetto stesso di crescita delle attività di depauperamento delle risorse naturali e delle materie prime, quindi dei consumi e dei conseguenti rifiuti e lega la ricerca di politiche economiche mirate a garantire benessere sociale al rispetto dei limiti biologici del pianeta. Ciò introduce due livelli di azione: il primo compensativo, volto cioè a mitigare gli effetti rovinosi dei processi umani e/o compensarli intervenendo in aree diverse ma in grado di garantire una sorta di effetto riequilibrante (esempio: piantumazione di aree diverse da quelli in cui si svolge l’attività industriale inquinante), il secondo preventivo. Le teorie più recenti individuano proprio nella green economy un argomento di business molto interessante per le imprese che possono attraverso strategie di contenimento dei consumi di risorse ed energia abbassare i propri costi produttivi, oltre, naturalmente, a differenziare il proprio prodotto grazie a contenuti etici che il mercato può apprezzare e “farsi” così una reputazione.

L’economica classica non teneva conto nella determinazione dei costi di impresa, del valore economico dell’ambiente coinvolto/impiegato quando non danneggiato nei processi produttivi. Il costo di beni pubblici come l’aria, l’acqua non venivano conteggiati. Le cose cambiamo con l’acquisizione di un principio fondamentale: chi inquina paga19. Ma non si tratta solo di intervenire a danno fatto. Nella green economy i costi ambientali sono internalizzati dall’impresa perché solo identificandoli è possibile attivare le azioni necessarie a ridurre l’inquinamento o a compensarne gli effetti. A livello nazionale alcuni vanno considerati anche nella determinazione del PIL20 in quanto una diminuita qualità ambientale determina un aumento di costi sociali che ricadono sulla collettività (malattie ad esempio).

Green economy non equivale solo a produzione di energie alternative o di beni socialmente apprezzati o all’ottimizzazione dei consumi energetici. A questa visione “ristretta” si contrappone una visione più estensiva che non si limita a valutare la natura della materia prima e del bene realizzato ma valuta come questo viene prodotto e quale effetto ha il suo utilizzo e la sua dismissione sull’ambiente a fine vita. Partecipano quindi alla green economy i settori primari (agricoltura biologica, allevamenti rispettosi degli equilibri ambientali), la conservazioni dei parchi naturali, i settori secondari (industria, commercio, servizi) se adottano modalità di contenimento dei costi ambientali delle attività e producono tecnologie finalizzate alle energie alternative), il terziario (ricerca e sviluppo, economica degli eventi, knowledge society…).

l ruolo del territorio: I luoghi produttivi non sono cosa altra dal territorio che li ospita e che si ricorda della loro presenza solo in caso di problematiche ambientali indotte dalle attività (emissioni, rumore..). All’approccio sanzionatorio successivo agli eventi problematici occorre sostituire una visione collaborativa tra governance politica del territorio e industria affinchè si condividano soluzioni e iniziative in grado di generare/garantire lavoro e quindi benessere senza penalizzare la qualità dell’ambiente e della vita dei suoi abitanti. La condivisione di criteri di programmazione e di gestioni di elementi caratterizzanti il territorio quali strade e ferrovie, discariche, depuratori, impianti di produzione energia… è fondamentale per la qualità della vita.

19

1973, Primo programma d’azione in materia ambientale Comunità Europea 20

La questione fu posta dallo stesso ideatore dei calcoli del PIL, Wassily Leontief (1906-1999), poi premio Nobel 1973 in un

articolo del 1970.

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

20

L’economia circolare è uno degli argomenti cardine dello sviluppo sostenibile.

Alla base vi è un’idea apparentemente semplice e di buon senso: poiché il rischio che materie prime e

risorse naturali si riducano progressivamente è reale, affinchè in futuro sia possibile garantire la

sopravvivenza di una popolazione mondiale in continua crescita, è necessario sostituire al processo

“produzione-consumo-scarto” il più razionale “produzione -consumo-riciclo-produzione”. In altre parole è

vitale trasformare eccedenze produttive e scarti in nuove risorse per i processi biologici o industriali.

“L’economia circolare è un’economia pensata per potersi generare da sola. In un’economia circolare i flussi

di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici,

destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.

Così definisce l’economia circolare la Ellen MacArthur Fondation21.

Due macro problemi sollecitano questo nuovo approccio:

1. Materie prime e risorse naturali non sono illimitate e quelle rinnovabili non si rigenerano con la

velocità che i nostri consumi richiedono,

2. Più aumentano i consumi più crescono i rifiuti. Scarti e rifiuti generati dai processi produttivi (sfridi,

eccedenze, etc) e dalla dismissione degli oggetti occupano suolo sottraendolo alle popolazioni,

inquinano, deturpano l’ambiente, producono emissioni spesso molto pericolose.

Esaurimento risorse (e naturalmente incremento delle emissioni conseguenti a prelevamento, trasporto e

lavorazione delle stesse) e aumento dei rifiuti sono una diretta conseguenza della crescita della

popolazione mondiale, oltre che dell’uso non sempre razionale che l’umanità tende a fare delle risorse di

cui dispone.

Attualmente gli abitanti del pianeta sono circa 7 miliardi22 ma raggiungeranno i 9 miliardi nel 2040. La

crescita è attesa soprattutto in Asia, Africa e America Latina mentre la popolazione europea registrerà una

flessione. Uno degli effetti più diretti di questo fenomeno sarà l’aumento dei consumi anche grazie

all’allungamento e al miglioramento della qualità della vita di ampie fasce di popolazione e alla crescita di

una middleclass23 globale. Nei prossimi 20 anni ci saranno al mondo tre miliardi di nuovi consumatori con

un’elevata propensione ad acquistare generi e beni di consumo. I consumi nei mercati emergenti

supereranno i 30 mila miliardi di dollari/anno nel 2025, una crescita rilevante se si pensa che nel 2010

erano stimati in 12 mila miliardi.

21

http://www.ellenmacarthurfoundation.org/ 22

7,125 miliardi nel 2013 secondo la Banca Mondiale 23

Il ceto medio, valutato in circa 2 miliardi di persone nel 2009 salirà a 4,9 miliardi nel 2030 e crescerà soprattutto in

Asia e nelle regioni del Pacifico (Fonte: Ellen MacArthur Foundation )

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

21

1. L’acqua diventa sempre più preziosa

L’ allarme riguarda in particolar modo le risorse idriche del nostro pianeta. Solo il 3% dell'acqua del pianeta

Terra è occupato da acqua dolce, di questo i 2/3 si trovano nei ghiacciai perenni e solo l'1% risiede nelle

falde sotterranee nell'atmosfera, è quindi bene ricordare che24:

- meno di 10 Paesi di dividono il 60% dell’acqua dolce del pianeta,

- nel mondo 1 miliardo e 300 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile,

- l'agricoltura preleva il 60 % dell'acqua disponibile mentre l’industria ne preleva il 20% ,

- i prelievi per uso civile e domestico sono pari al 10%.

Toni allarmanti sono usati anche nel Rapporto mondiale delle Nazioni Unite “L'acqua per un mondo

sostenibile”25. Da oggi al 2030, si legge, l’umanità dovrà far fronte a un deficit di approvvigionamento idrico

del 40% perché la richiesta aumenterà in tutti i settori, non solo in agricoltura ma anche nell’ industria (tra

il 2000 e il 2050 la richiesta di acqua aumenterà del 400%) e nei settori per la produzione energia (entro il

2035 ci si aspetta una crescita del 70% della domanda di elettricità con un incremento del 20% dei prelievi

di acque dolci).

L’acqua consumata non è solo quella che esce dal rubinetto e usiamo direttamente, è contenuta in tutti i

beni che consumiamo, siano essi beni alimentari (attraverso l’irrigazione dei campi, l’alimentazione degli

animali) o oggetti che hanno necessitato nel processo di lavorazione di trattamenti ad umido. Si chiama

“impronta idrica” e indica il volume d’acqua contenuto. ”Per preparare una tazzina di caffè nei Paesi Bassi,

servono 140 litri d’acqua. Per la maggior parte, sono utilizzati per coltivare la pianta del caffè. Ancor più

sorprendente è che per produrre un chilo di carne bovina servono in media 15.400 litri

d’acqua”. Fonte: Water Footprint Network

Alla carenza di acqua si aggiunge un dato oltremodo preoccupante: si stima che il 15 % del patrimonio

idrico mondiale sia contaminato. La Cina è al primo posto nell’inquinamento dei corsi d’acqua (il 40% dei

propri fiumi e laghi risulterebbe essere in gravi condizioni di tossicità).26

Molte le cause: dalla mancata o inadeguata depurazione delle acque reflue civili (le fogne, che riversano nei

fiumi e nel mare materiali organici, batteri e composti contenenti fosforo e azoto), alle emissioni delle

attività industriali (sversamento di sostanze chimiche spesso pericolose) e agricole come fertilizzanti e

pesticidi, che la pioggia trasporta dai campi alle falde e ai fiumi.

Anche il suolo, risorsa prima non rinnovabile, può presentare effetti di contaminazione diretta, imputabile

cioè ad una specifica azione umana eseguita su uno spazio determinato, o diffusa, imputabile cioè a

24

Fonte dati citati: http://www.coldiretti.it/organismi/ecclesiastici/oro_blu/relazione_dr_rosario_lembo.html 25

http://www.unesco.org/new/en/natural-sciences/environment/water/wwap/ 26

Fonte: Greenpeace

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

22

molteplici cause quali deposizioni atmosferiche (traffico stradale, riscaldamento domestico, attività

industriali, inceneritori etc) e attività agricole (concimazioni, uso di fotofarmaci, liquami zootecnici etc).

Secondo quanto denunciato da Fifth Assessment Report del 2013 elaborato dall’Intergovernment Panel on

Climate Change (IPCC) la concentrazione di CO2 in atmosfera non è mai stata così alta da 800mila anni, nel

2013 ha infatti toccato i 400 ppm, una crescita del 40 per cento dall’epoca pre-industriale causata

soprattutto dai combustibili fossili. Gli oceani finora hanno assorbito il 30 per cento delle emissioni

prodotte dall’uomo e questo ha portato a una loro progressiva acidificazione.

2. In un mondo più popolato si consumeranno volumi crescenti di materie prime.

Vi sono “materie prime rinnovabili” come i vegetali e altre “non rinnovabili” destinate cioè, una volta

compiuta l’azione di prelievo e di trasformazione, ad esaurirsi definitivamente. E’ questo il caso dei metalli,

alcuni dei quali come zinco,rame, stagno, nichel, platino, importanti per l’economia e la cui disponibilità in

futuro desta non poche preoccupazioni. Un indicatore importante per valutare disponibilità o rarità delle

commodities è ovviamente il loro prezzo che gli osservatori valutano in crescita nei prossimi anni27.Si ritiene

infatti che dal 2000 l’indice mondiale dei prezzi delle commodities ha un tasso di crescita medio doppio

rispetto a quello del PIL.28

Volendo fare una sintesi delle materie prime potremmo così raggrupparle:

- risorse idriche

- prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento

- prodotti della pesca

- materiali derivati da combustibili fossili (plastica, gomma, fibre man made)

- materie prime di origine minerale (fosfati, rame, piombo etc)

- minerali energetici (petrolio, gas naturale, carbone, uranio).

Alcuni gruppi di materie prime come acqua, prodotti dell’agricoltura e della pesca, essendo destinate

prevalentemente all’alimentazione, sono fondamentali per la vita delle persone, altre sono fortemente

connesse alla mobilità, alle attività produttive, all’illuminazione e alla gestione del clima abitativo (minerali

energetici), altre ancora alle tecnologie innovative. 5 anni fa l’UE ha individuato 14 minerali a rischio

esaurimento utilizzati nella produzione di prodotti high tech, telefoni cellulari, batterie al litio, fibre ottiche

ed altro. Secondo il rapporto pubblicato dalla Commissione europea, la domanda di queste materie prime

27

L’attuale flessione dei prezzi delle principali commodities (prima di tutte il petrolio) non deve trarre in inganno essendo dovuta principalmente al rallentamento delle principali economie occidentali e della Cina http://www.corriere.it/economia/finanza_e_risparmio/notizie/materie-prime-prezzi-giu-50percento-ecco-chi-puo-ripartire-prima-38c9169a-1402-11e5-896b-9ad243b8dd91.shtml 28

Fonte: McKinsey Commodity Index

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

23

triplicherà entro il 2030 a seguito della continua crescita delle economie emergenti e della diffusione di

nuove tecnologie29.

Il consumo di risorse è un trend inarrestabile: senza interventi strutturali il fabbisogno di materie prime da

parte dell’economia mondiale potrebbe crescere di oltre il 50% nei prossimi 15 anni30.

Anno Materie prime consumate ( Miliardi/tonn)

2000 58

2015 105

2030 162

Consumi materie prime, fonte: Seri, – Sustainable Europe Research Institute

3. Con i consumi crescono i rifiuti

I rifiuti sono ovunque. Nelle discariche, nei centri di raccolta e riciclo ma anche e soprattutto nell’ambiente

e, come detto, i loro volumi sono destinati ad aumentare.

Difficile quantificare il fenomeno soprattutto a livello globale. Le statistiche disponibili sono fornite da

centri raccolta legali e naturalmente non contemplano tutto il fenomeno de-regolamentato, le discariche a

cielo aperto, i fiumi coperti di liquami e rifiuti in cui giocano i bambini delle periferie del mondo.

Secondo il capitano Charles J. Moore, fondatore dell’Algalita Marine Research Institute e scopritore, nel

1997, del Pacific Trash Vortex, l’isola galleggiante di rifiuti, le dimensioni di quest’ultima stanno aumentando

a ritmo sostenuto. Ciò che gli oceanologhi chiamano gyres è un fenomeno naturale, causato dall’incontro di

più correnti marine, le quali formano delle zone di relativa quiete, nelle quali i rifiuti rimangono intrappolati

e tendono ad aggregarsi per l’azione del moto indotto dalle onde marine.

L’abbandono dei rifiuti nell’ambiente rappresenta un problema drammatico e non solo nei paesi terzi, ma

sarebbe sbagliato considerarlo il frutto di un comportamento individuale, marginale. Si tratta invece in

29 L'elenco dei minerali a rischio è stato redatto nell'ambito dell'Iniziativa europea sulle materie prime (2008) e

comprende i seguenti elementi: antimonio,berillio, cobalto, fluorite, gallio, grafite, germanio, indio, magnesio, niobio,

PGM, terre rare, tantalio e tungsteno. Si tratta di minerali, altamente richiesti sul mercato, che vengono estratti

solamente in Cina, Russia, Repubblica Democratica del Congo, Brasile.

30

Fonte: SERI – Sustainable Europe Research Institute

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

24

molti casi di un comportamento organizzato, di un vero e proprio business illegale gestito da

organizzazioni criminali come insegna la storia della “Terra dei fuochi” in Campania31.

Una stima sui rifiuti complessivamente prodotti in un anno può essere fatta considerando i quantitativi di

beni consumati che, una volta giunti a fine vita, vengono scartati e che durante le varie fasi del processo di

fabbricazione hanno generato a loro volta scarti di produzione e packaging. In media, ogni cittadino dell’UE

consuma 16–17 tonnellate di materiali l’anno, una cifra che sale a 40–50 tonnellate a persona se si

considerano i materiali inutilizzati (sfidi di lavorazione, parti del materiale non utilizzabili etc.) .32

Per avere un dato “locale” basta pensare che solamente a Roma si producono mille tonnellate di rifiuti al

giorno, seicento chili l’anno a persona. Oggi in Italia la raccolta differenziata riguarda circa 13 milioni di

tonnellate di rifiuti urbani, di cui una quota di poco inferiore al 20% finisce, comunque, in discarica o a

generare energia.

Riciclare il 70% dei rifiuti urbani e l'80% degli imballaggi entro il 2030, stop alla discarica per i materiali

riciclabili per il 2025 e riduzione del 30% dei rifiuti alimentari. Questi gli obiettivi chiave delle nuove norme

proposte dalla Commissione europea, che alzano il livello di ambizione rispetto al target precedente del

50% di riciclo dei rifiuti urbani, fissato al 2020.

La nuova strategia sulla gestione dei rifiuti proposta da Bruxelles dovrebbe creare circa 580mila nuovi posti

di lavoro e rendere l'Unione dei 28 più competitiva e meno dipendente dall'import di materie prime,

sempre più costose.

Ma cosa accade a un oggetto una volta declassato a rifiuto?

31

Area tra le province di Napoli e Caserta che comprende 57 comuni utilizzata come discarica abusiva di materiali spesso tossici con effetti gravi per quanto riguarda il suolo e le emissioni (provocate dai frequenti incendi) che rappresentano una concreta minaccia alla salute della popolazione. 32

http://www.eea.europa.eu/it/segnali/segnali-2012/articoli/dalla-miniera-ai-rifiuti-e-oltre

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

25

Secondo il report Waste End pubblicato da Symbola nel 201533 relativo ai rifiuti urbani:

0,9% è avviato a riutilizzo,

21% a riciclo nell’industria manifatturiera,

13,3% a recupero agronomico e produzione di biogas,

17,3% a incenerimento o altra forma di recupero energetico,

38,3% a discarica (il 21,6% come tal quale, il resto come stabilizzato o scarto di altri trattamenti di

recupero),

9,3% è costituito da perdite di degradazione o altri usi e non contabilizzati.

Le discariche in Italia, censite nel 2013, erano 180. Nel 2013 a queste discariche sono affluiti circa 11

milioni di tonnellate di rifiuti urbani o derivanti (almeno principalmente) dal trattamento di rifiuti urbani (in

primo luogo scarti e sottoprodotti dei trattamenti meccanico-biologici, di compostaggio), pari al 38% dei

rifiuti urbani prodotti. La buona notizia è che rispetto al 2004 si è registrata una riduzione dei volumi portati

in discarica (erano il 57% dei rifiuti raccolti). Ma questo non risolve il problema.

Secondo lo studio di Symbola l’Italia vanta buon risultati per quanto riguarda il riciclo industriale: a fronte di

un avvio a recupero industriale di 163 milioni di tonnellate di rifiuti, in Italia ne sono state recuperate 24,1

milioni, il valore assoluto più elevato tra tutti i paesi (in Germania sono state recuperate 22,4 milioni di

tonnellate). Il settore del recupero dei materiali cresce. Nel periodo 2008-2011 sono aumentati il numero

delle imprese (+7%), il valore aggiunto (+40%) e gli occupati (+11%).

Vale comunque la pena ricordare che nel dicembre 2014 la Corte Ue ha condannato l'Italia a pagare una

multa milionaria per non essersi adeguata alla direttiva rifiuti sulle discariche, infliggendo una sanzione

33

http://www.symbola.net/assets/files/Waste%20End_0312_1426168813.pdf. Lo studio ha lanciato gli obiettivi 2020: ridurre all’incirca ad un terzo il rifiuto urbano residuo indifferenziato (dal 56,9% al 18,1%), raddoppiare la raccolta differenziata (dal 43,1% all’81,9%) ridimensionando il ruolo delle discariche e degli inceneritori.

Bene a fine vita

indifferenziata differenziata

discarica inceneritore

Preparazione al riciclo

Trattamento biologico

riuso

riciclo Recupero agronomico / Produz. biogas

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

26

forfettaria di 40 milioni di euro e una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre di ritardo nell'attuazione

delle misure necessarie di adeguamento alla sentenza del 2007. Alleggerire le discariche fa bene

all’ambiente e al bilancio nazionale.

4. Progettare per il futuro

Per ridurre l’impatto della produzione dei rifiuti la soluzione non è individuare nuovi spazi in cui depositare

gli scarti delle produzioni e dei consumi come avviene in Leonia ma prevenire il problema evitando cioè

che vengano prodotti scarti. Vediamo come.

a. I rifiuti sono risorse. La carenza di materie prime e la creazione esagerata di immondizie impongono di

rivedere il concetto stesso di rifiuto: non qualcosa da depositare in un luogo lontano dalla comunità34

ma qualcosa che deve essere rielaborato e reinserito nei processi produttivi,

b. Più tardi un oggetto diventa uno scarto meglio è per tutti. La rapida obsolescenza dei prodotti deve

essere sostituita con cicli di vita più lunghi che consentano di utilizzare in modo più intensivo i materiali

ritardandone la sostituzione e l’accantonamento,

c. I beni devono poter essere riparati in caso di guasto e modificati per soddisfare le mutate esigenze

dell’utilizzatore,

d. Quando si progetta un prodotto occorre pensare al suo riciclo,

e. Dematerializzare i consumi, cioè sostituire un bene fisico di proprietà con un servizio (es: testi digitali e

non fotocopie, utilizzo di servizi in sharing).

Alla base di questo nuovo approccio vi sono due idee fondamentali:

1. le cose che usiamo devono essere poi restituite. Il fatto di aver pagato un oggetto non fa di noi i

suoi proprietari ma i suoi utilizzatori. Usiamolo finchè ne abbiamo bisogno ma pensiamo a come

restituirlo all’ambiente e alla collettività (è biodegradabile? può essere usato da altre persone?

Posso modificarlo e dargli una nuova funzione? Come posso facilitare il suo riciclo?)

2. Riusare, riciclare significa essere pragmatici. Materiali second life possono offrire un vantaggio

economico al consumatore (pensiamo al risparmio ottenuto dall’acquisto di oggetti usati o, ad

esempio, dallo scambio di abiti per bambini nelle cerchie famigliari) e rendere più competitiva

l’azienda che li sceglie. Attraverso la valorizzazione ecologia e responsabile delle sue azioni e dei

34

In realtà le discariche (legali e abusive) vengono aperte lontano dalle residenze degli abitanti più abbienti ma in prossimità delle comunità più povere. Secondo uno studio della Commissione UE del 2013 circa il 25% delle spedizioni di rifiuti in paesi in via di sviluppo in Africa e Asia avvenga in violazione alle normative internazionali. Al loro arrivo questi rifiuti vengono spesso abbandonati e gestiti in maniera scorretta con conseguenze molto gravi per la saluti delle persone e per l’ambiente Fonte: http://ec.europa.eu/environment/waste/shipments/news.htm

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

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suoi prodotti l’azienda acquisisce reputazione presso i propri clienti ma più in generale presso gli

stakeholders (finanziatori, media, istituzioni del territorio, ONG, parti sociali, fornitori etc) e una

buona reputazione ha valore sul mercato.

Ma perché questo si traduca in un nuovo modello economico in grado di modificare le criticità ambientali è

necessario pensare a questo modello con logiche industriali uscendo cioè dagli approcci volontaristici ed

individuali. E’ un cambiamento di prospettiva che deve riguardare tutto il sistema economico e coinvolgere

tutti i luoghi in cui avvengono consumi e comportamenti collettivi.

In realtà non si tratta di un’idea originale.

Da sempre le società contadine o quelle più povere riusano e riciclano le cose e l’acqua stessa. L’hanno

fatto i nostri nonni prima di noi, perché lo avevano imparato dai loro genitori, ma noi abbiamo dimenticato

come fare. Nelle società preindustriali “L’aia della cascina era un laboratorio di trasformazione,

riutilizzazione, riciclaggio dove si riducevano al minimo i rifiuti e anche questi, bruciati nei campi, divenivano

cenere fertilizzante. Un esempio è la vecchia lavorazione del latte che dava burro, formaggio e infine siero,

che era usato come alimento per i porci. Una selezione accurata prevedeva la conservazione di carta, spago,

bottiglie, recipienti, imballaggi, tavole di legno. Era quasi un’ostinazione voler riciclare tutto ad ogni costo.”

Carlo Lapucci. L’economia dei contadini. Libreria Editrice Fiorentina

Grazie all’eco design siamo ora in possesso di strumenti metodologici che ci aiutano a progettare oggetti e

processi sostenibili.

Alcuni principi base vanno tenuti sempre presenti:

- Se non misuro non individuo i problemi e non c’è miglioramento.

Meglio un prodotto usa e getto o uno riutilizzabile? Difficile dirlo a naso, occorre valutare la storia

produttiva dei due articoli e il loro ciclo di vita senza escludere il grado di biodegradabilità o riciclo.

E’ fondamentale passare dalle percezioni soggettive a valutazioni oggettive. Valutare l’impatto ambientale

di un materiale ad esempio non è facile se non si hanno dati e standard a cui riferirsi, è un po’ come

ritenere più sostenibile una fibra tessile solo perché naturale rispetto una sintetica. Strumenti come il Life

Cycle Assessment hanno la funzione di misurare la storia produttiva di un prodotto relativamente ai

consumi energetici e all’impatto ambientale delle sue emissioni. Sono procedure complesse, non sempre

applicabile ad ogni prodotto realizzato e progettato dall’azienda. Nello sviluppare un nuovo prodotto o

migliorare le performance di un prodotto standard è utile darsi un obiettivo (ad esempio: riduzione

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

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consumi energetici nel caso di una tecnologia, maggior durata, assenza di sostanze chimiche tossiche etc) e

una strategia per raggiungerlo. Dotarsi di un sistema di misurazione (test sui consumi, sulla resistenza

all’usura etc) è fondamentale.

- Progettare il riciclo

Il grado di riciclabilità di un articolo è dato da più fattori, oltre che dall’esistenza o meno di

tecnologie/metodologie in grado di renderlo possibile quali le caratteristiche chimico fisiche dei materiali

che lo compongono e la scomposizione degli elementi costitutivi. La presenza di sostanze chimiche tossiche

nei materiali utilizzati rappresenta un serio problema che può azzerare il vantaggio ambientale

dell’operazione di riciclo: vengono ridotti i volumi di rifiuti destinati alla discarica ma anche ridistribuite in

nuovi prodotti sostanze pericolose. In fase di progettazione è quindi importante scegliere materiali sicuri.

- Allungare la durata dell’articolo

La moda e l’enfasi per le nuove tecnologie digitali sono fenomeni che accelerano l’obsolescenza dei

prodotti spesso scartati ancora funzionanti solo perché non più in linea con i nuovi parametri estetici. In

altri casi i prodotti “hanno una data di scadenza” programmata dal produttore. Allungare la vita del

prodotto presentando ai consumatori questo aspetto come un valore aggiunto è un primo passo. Ma non si

tratta solo di modalità di comunicazione. Un articolo destinato a durare è di buona qualità (in grado cioè di

sopportare cicli lunghi di utilizzo e di manutenzione) ma anche versatile, in grado di adattarsi ad eventuali

nuove esigenze del consumatore, ha uno stile che va oltre la brevità dei trend tipici del fast fashion.

- Privilegiare materiali sostenibili

E’ buona cosa però informarsi sulla natura di ciò che stiamo scegliendo, privilegiando materiali certificati,

rinnovabili, ottenuti da riciclo o con una storia di impegno sociale che meriti di essere sostenuta35. Nella

progettazione di un articolo valutare le alternative produttive meno impattanti, acquistare materiali vicini

ai luoghi di produzione e le risorse del territorio.

- Ridurre/Semplificare le azioni di manutenzione/pulizia

Quanto costano all’ambiente (in termini di acqua, energia, sostanze chimiche, emissioni) le azioni svolte per

lavare, asciugare, stirare, lucidare, oliare un articolo? Alcuni materiali hanno performances migliori di altri

valutati da questo punto di vista (ad esempio un telo da bagno con una percentuale di poliestere asciuga

35

Ad esempio cotoni Fair Trade o BCI nel caso delle fibre tessili, bioplastiche e materiali da riciclo, materiali realizzati in prossimità che non comportano costi per di trasporto o realizzati da filiere artigiane ed agricole locali.

Sostenibilità e competitività – Anno Accademico 2015-16– Prof.sa Aurora Magni

29

prima di un telo in cotone 100% e riduce la necessità di provvedere a stiratura). Nei trattamenti

antimacchia occorre però valutare la sicurezza per l’ambiente e le persone dei prodotti chimici utilizzati36.

- Progettare con criteri restrittivi toglie spazio alla creatività?

Molte delle idee industriali più interessanti ed innovative sono nate in periodi particolarmente difficili.

Materiali come il Lanital (una fibra artificiale ottenuta da caseina), il cuoio rigenerato, la faesite37 sono stati

sviluppati negli anni 30 del secolo scorso in piena autarchia, in uno dei periodi più bui della recente storia

italiana.

Le problematiche ambientali possono dare un forte stimolo a guardare alla realtà con occhi diversi

esplorando nuove strade e testando soluzioni innovative.

5. Più servizi, meno prodotti: l’economia dell’intangibile

Perché stampare, consumare carta e inchiostro, impacchettare, trasportare cioè che il lettore può ricevere

comodamente sul pc o sullo smart phone? Perché comprare un cd quando posso scaricare musica on line?

In termini ambientali la smaterializzazione degli oggetti significa risparmio di materie prime, di sostanze

chimiche di processo, di energia di produzione, di reflui e scarti. Vengono inoltre eliminati il packaging e i

consumo di carburante per trasportare il bene dalle sedi produttive ai punti vendita a da questi al luogo di

fruizione del bene. Con la smaterializzazione dell’oggetto è cambiata l’idea stessa dello sviluppo: da

crescita quantitativa (incremento dei volumi come indicatore di successo) a “evoluzione” della natura

stessa del business. La digitalizzazione cambia il format e potenzia il servizio, riduce i vincoli materici,

elimina gli intermediari, taglia i costi della logistica. Un esempio è fornito dall’evoluzione della fotografia

analogica al digitale, sistema che ha non a caso conquistato anche i fotografi più tradizionali. Non più

stampa di immagini spesso di non soddisfacente qualità destinate ad essere cestinate, non più spreco di

carte, energia, colori. L’utente può memorizzare numeri illimitati di immagini, scegliere ed archiviare –e

volendo, stampare- le migliori. E soprattutto linkarle, taggarle, insomma condividerle.38 Una modalità che

ha modificato la gestione privata delle immagini ma anche le modalità di lavoro e di archiviazione

professionale dei dati.

36

Sostanze chimiche come i composti chimici perfluoroclorurati utilizzati nel tessile e sulla pelle per rendere i materiali antimacchia e impermeabili, sono ritenuti potenzialmente cancerogeni ed interferenti endocrini. Banditi in alcuni paesi e segnalati come pericolosi dalla Convenzione di Ginevra, sono tra le sostanze chimiche delle quali Greenpeace chiede l’eliminazione. 37

Uno dei primi tipi di truciolato messo a punto da Osvaldo Protti di Faè, provincia di Belluno che morirà nella

tragedia del Vajont. E’ un compensato realizzato da scarti di produzione del legno.

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In realtà anche la tecnologia digitale di immagini ha costi ambientali seppur non comparabili a quelli delle tecnologie

tradizionali. La veloce obsolescenza delle strumentazioni in primis e naturalmente il costo energetico necessario per il salvataggio e la condivisione dei nostri scatti online. I datacenter sostengono infatti costi in termini energetici, sia per l’utilizzo delle macchine stesse sia per la climatizzazione degli ambienti dove lavorano 24 ore su 7 giorni i server.

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La cultura dell’immateriale ha posto l’accento sul servizio ridimensionando il valore dell’oggetto materico.

La crescita esponenziale della app e delle start up nate per realizzarle, aggiornarle e promuoverle ne è la

dimostrazione. Se un tempo per non perdersi nella metropolitana di Londra era necessario acquistare una

mappa cartacea ingombrante e di non facile consultazione, oggi scaricando gratuitamente una delle app

disponibili l’utente è in grado di localizzare il punto esatto in cui si trova e il percorso da compiere. Un

servizio al posto di un oggetto, attivato da un oggetto (lo smart phone) che assume valore in funzione dei

dati immateriali e delle capacità connettive di cui è dotato.

L’industria digitale ha introdotto un cambiamento epocale nell’accesso dei consumatori ai beni

consentendo potenzialmente a tutti di beneficiarne a condizione di possedere le cognizioni e le abilità per

accedervi. Il cambiamento non riguarda però solo la modalità con cui avvengono il consumo e il possesso

dell’oggetto che, essendo immateriale non posso considerare mio, al massimo lo posso usare insieme ad

altri utenti e finchè mi serve. Sono cambiati anche il modello di business e i sistemi organizzativi che lo

producono.

Nell’economia digitale non intervengono, se non in misura marginali le materie prime, operano invece un

ruolo di primo piano le conoscenze, le capacità degli operatori, la loro creatività.

Quella dell’intangibile è un’economia che punta ad ottenere il massimo utilizzando il minino e che si è

guadagnata la definizione di GreenWebEconomy in contrapposizione alla più tradizionale ed inquinante

Grey economiy.

A torto o ragione è ritenuta un’economia “più intelligente e più giusta di quella Grey, fondata su network

diffusi, innovativi e democratici di piccole imprese e non su lobby concentrate di grandi imprese

conservative, di tipo oligarchico, sprecone”.39

Di sicuro è una modalità di produzione che enfatizza problemi quali la proprietà intellettuale, la riservatezza

delle informazioni, temi già noti ai sistemi produttivi tradizionali ma che diventati ancor più rilevanti.

6. Condividere anziché possedere

Fortemente connessa all’economia del web è l’economia della condivisione di beni e servizi.

Senza accedere a una rete di informazioni attendibili e rapide che mi segnalino dove e come trovare ciò che

mi serve –un’automobile o un abito per un’occasione importante, un’attrezzatura per il fai da te etc- non

potrei avvalermi dei suoi vantaggi. E’ nella rete che le istanze più disparate sono visibili ed accessibili. Un

approccio difficilmente immaginabile vent’anni fa che sta modificando il rapporto tra utenza e prodotto e

che propone aspetti coerenti con l’economia circolare. L’oggetto condiviso ha una vita più lunga e più

intensa, soddisfa i bisogni di un numero maggiore di individui che ne diventano possessori temporanei. La

sharing economy è cresciuta come risposta alla crisi economica ed è certamente figlia della critica della

società dei consumi ma sarebbe un errore non interpretarla come un avanzato modello di business a cui

39

Davide Reina, Silvia Vianello, Green Web Economics. La nuova frontiera. Egea, 2011 pag.17.

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anche molte imprese tradizionali guardano con interesse. Esempi interessanti sono offerti da Fubles, una

community finalizzata a trovare compagni per le partite di calcetto, che vanta una collaborazione con

Adidas a cui è seguito un importante finanziamento da Renzo Rosso, (Diesel)40 o la collaborazione tra

Barilla e Gnammo, una piattaforma di social eating.

Certamente un fenomeno destinato a crescere. Negli Stati Uniti ha generato nel 2013 3,5 miliardi di dollari

di utili, attirando investimenti globali stimati per un miliardo di dollari. “What’s mine is yours” per il Times è

l’idea che cambierà l’economia e la società del nostro secolo.

Anche l’Italia sembra avviare i primi passi in questo settore. Secondo i dati della Cattolica nel 2013 erano

130 start-up specializzate nei più svariati settori .

Vantaggi economici ma anche relazionali, la sharing economy modifica gli stili di vita. E’ stato definito “un

ecosistema emergente che monetizza delle capacità produttive sotto- utilizzate, o privilegia il prestito,

l'affitto, lo spezzettamento di micro-competenze41” ma è anche un sistema costruito sulla fiducia

reciproca, sulla collaborazione.

Il lato grigio della sharing economy

Un’idea bellissima che favorisce il risparmio, l’uso condiviso e razionale degli oggetti ma che in molti casi

sfugge al rigore dell’economia formale e genera introiti non dichiarati e quindi non tassabili e concorrenza

sleale nei confronti delle imprese ufficiali. Una situazione che può essere causa di tensioni sociali come

avvenuto nel caso di Uber, il sistema di trasporto automobilistico attivato da un’app contestato dai tassisti.

E’ quindi necessario individuare una forma fiscale che si adatti a transazioni tra privati o a pagamenti in

contanti di pochi euro e una normativa che permetta alla sharing economy di offrire sempre nuovi servizi

senza però cannibalizzare posti di lavoro ed economie tradizionali

7. Vantaggi inattesi: incremento dell’occupazione

L’adozione di logiche di economia circolare nel sistema di produzione e consumo consente di individuare

aree di attività economica ancora poco sfruttate:

- recupero degli scarti

- preparazione dei rifiuti ai processi di riciclo

40

http://www.economyup.it/startup/332_renzo-rosso-entra-in-fubles-un-segnale-da-amplificare.htm 41

PwC US Consumer Intelligence

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- riciclo/riuso

- attività informative/educative/promozionali.

I dati presenti nello studio Wast end di Symbola e Kinexia spa42 offrono una incoraggiante conferma:

- La capacità industriale di preparazione al riciclo raddoppierebbe da 12 milioni di tonnellate attuali a

24 milioni di tonnellate,

- il recupero di materia nei processi industriali passerebbe dall’attuale 24% dei rifiuti al 48,5%, il

recupero per usi agronomici dal 13% al 30%, mentre il recupero per usi energetici dal 19% attuale

scenderebbe al 14%, privilegiando soluzioni meno inquinanti e più innovative.

Una rivoluzione che porta con sé nuove imprese, e nuova occupazione. Nel ciclo di gestione dei rifiuti si

avrebbero entro il 2020 circa 22.000 occupati in più (+37%), per effetto di una forte crescita nei settori a più

alta intensità di lavoro, in particolare nella raccolta (+17.000 unità) e preparazione al riciclo (+9.000),

mentre si ridurrebbe l’occupazione nella gestione degli impianti di smaltimento (-3.800 unità). Nel settore

del riutilizzo si genererebbero fino a 10.500 nuovi occupati (solo in parte sostitutivi di occupazione

esistente). Lo sviluppo del riciclo determinerebbe una crescita di 12.000 occupati rispetto alla situazione

attuale. Il valore della produzione nell’industria di preparazione passerebbe da 1,6 miliardi attuali a 2,9

miliardi.

Previsioni positive anche quelle fornite da Conai e Althesis nello studio “Crescita e occupazione nel settori

del riciclo dei rifiuti urbani. Nello scenario più favorevole, nel caso in cui i Paesi Europei siano in grado di

raggiungere gli obiettivi fissati a livello comunitario per il 2020, cioè la riduzione del 50% della produzione di

rifiuti urbani e l’azzeramento del ricorso alla discarica) si

avrebbe la creazione di 875mila nuovi posti di lavoro in Europa di cui 609mila nelle attività di raccolta,

trasporto, selezione e riciclo al netto dei posti di lavoro persi per l’azzeramento del ricorso alla discarica.

8. Le nuove competenze

Ma i cambiamenti non sono valutabili solo in termini quantitativi (meno addetti alla manutenzione delle

discariche, più addetti al recupero e al riciclo) ma anche qualitativi. L’economia circolare rende necessarie

nuove competenze e modifica i modelli organizzativi nei sistemi produttivi e distributivi.

Ecco qualche input, ma il sistema formativo dovrà certamente approfondire questo argomento per cogliere

i segnali di cambiamento ed inserirli nelle proprie strategie formative.

Progettazione dei nuovi prodotti: sarà necessario assumere la filosofia dell’ecodesign e adottare criteri di

valutazione e selezione dei materiali in base al loro impatto ecologico, pianificare l’allungamento della

durata del prodotto, ridurre l’impatto ambientale delle azioni di manutenzione e pulizia, semplificare la

42http://www.symbola.net/assets/files/Waste%20End_0312_1426168813.pdf

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scomposizione dei componenti per facilitare il riciclo. Le fasi progettuali dovranno avvalersi delle modalità

di prototipazione più ecologiche sfruttando al massimo le opportunità della tecnologia digitale e la stampa

3D,

Ufficio Acquisti: la selezione dei beni di consumo e delle attrezzature dovrà ispirarsi alla logica del green

procurement introducendo sistemi di valutazione che consenta di privilegiare le proposte a basso impatto

ambientale,

Organizzazione dei processi produttivi e dei servizi connessi. L’economia circolare presuppone una

riduzione sistematica dei consumi energetici e idrici, delle eccedenze, degli sfridi e degli scarti causati da

errori di lavorazione e difettosità su prodotto, il recupero sistematico del packaging dei materiali/additivi

chimici/ausiliari di processo. La programmazione delle attività produttive, la gestione del layout

dell’ambiente di lavoro, della logistica dovrà tener conto di questi indicatore di performance ambientale,

Marketing e Comunicazione. Le funzioni finalizzate a promuovere sul mercato i prodotti ispirati alla

sostenibilità dovranno usare modalità di comunicazione ed informazione in grado di trasferire ai clienti

attuali e potenziali il valore intrinseco dell’offerta aziendale. Questo significa studiare ed adottare modalità

di comunicazione oggettiva, efficace, emozionale che eviti ogni possibile rischio di greenwashing.

Gestione risorse umane, Formazione. L’economia circolare diviene prassi aziendale diffusa ed efficace a

condizione che tutti i membri della comunità aziendale ne condividano le finalità e assumano i

comportamenti adeguati. Perché questo avvenga è necessaria un’azione di informazione e di motivazione

costante che valorizzi le azioni partecipative e promuova le buone pratiche.

Rapporti con gli stakeholders. La cultura della sostenibilità ha porto l’azienda al centro di un network di

relazioni con soggetti diversi ma interessati alle attività della stessa: le autorità locali, i clienti, i fornitori, gli

azionisti, i dipendenti, le associazioni ecologiste, i mass media, i rappresentanti delle comunità con cui

l’impresa entra in contatto. Rapportarsi con queste realtà, condividere riflessioni e obiettivi di comune

interesse sono pratiche che richiedono al management dell’azienda un cambiamento nel proprio approccio

culturale.