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APPUNTI, 7 Economia

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John Kenneth Galbraith

L’arte di ignorare i poveri

abiblioforum per utopie e skepsis

Premesso da

L’economia cannibaledi Emiliano Bazzanella

Seguito da

Sul buon uso del cannibalismodi Jonathan Swift

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Prima edizione: dicembre 2011Traduzione dei testi di J. K. Galbraith e J. Swift

di Gea Polonio

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INDICE

EMILIANO BAZZANELLAL’economia cannibale1. L’economia e l’Altro, 9 2. Cannibalismo, 13

3. Il reale che noi stessi siamo, 164. Povertà e reale, 20

5. Povertà e consumismo, 226. L’economia cannibale e la decrescita, 29

JOHN KENNETH GALBRAITHL’arte di ignorare i poveri, 33

JONATHAN SWIFTSul buon uso del cannibalismo, 43

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1. L’economia e l’Altro

Una delle critiche che Sartre rivolge a Marx e almarxismo in genere, oltreché una scarsa considera-zione dell’individuo nella sua singolarità, riguardal’assenza di una particolare attenzione nei confron-ti della realtà per così dire fisica o naturale nellaquale si sviluppa una società. Quasi anticipandoalcune tonalità presenti nel “reale” lacaniano, infat-ti, Sartre ipotizza che al di là della struttura econo-mica, ci sia a monte dei processi di socializzazioneanche la penuria (in francese: rareté) ossia un’as-senza costitutiva, una mancanza. In questo senso irapporti economici tra le classi, lo sfruttamento e iprocessi di accumulo sarebbero innanzitutto moti-vati da una certa configurazione della realtà, dal-l’abbondanza o meno cioè di quelle che sono lecosiddette risorse naturali.La storia dell’uomo è costellata quindi da gerar-

chie, rapporti di dominio e sottomissione, divisionetra gruppi sociali e così via, non soltanto a causadella sua innata predisposizione verso l’ingiustizia ela sopraffazione, ma anche in ragione del suo rap-porto con l’ambiente. Se per certi versi la prospetti-

L’economia cannibaleEMILIANO BAZZANELLA

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va marxiana era corretta nell’attribuire un ruolocentrale all’economia nella strutturazione dellesocietà umane, d’altro canto essa aveva omesso unapprofondimento della sua effettiva natura. Quella che abbiamo un po’ innanzi agli occhi è

un’idea di economia che, come osserva SergeLatouche, consiste in un dispositivo di sapere che apartire da Adam Smith si è allargato anche a campidisciplinari eterogenei. Il lessico che tutti noi oggiutilizziamo, infatti, sembra ispirato al linguaggioeconomico, anche quando parliamo di sport, politi-ca, pedagogia. Termini come competizione, profit-to, concorrenza, mercato, etc. si sono svestiti delloro ruolo “tecnico” per divenire i significanti domi-nanti della nostra epoca, dei veri e propri “signifi-canti-maestri” come diceva Lacan.Tuttavia l’estensione dell’orizzonte economico

pare a mio avviso essere appena un sintomo.Indubbiamente non è bello sentir descrivere la pro-pria epoca come qualcosa di simile a un campo dibattaglia in cui non c’è pietà per i vinti, ove i princi-pi etici stanno vieppiù venendo meno per lasciare ilposto a un utilitarismo che ci pare inumano, ove ilfine giustifica i mezzi ad ogni costo, talché l’unicacosa che veramente conta è l’efficientismo, il merca-to e il guadagno che ne possiamo trarre. Ma siamosicuri che sia proprio così? Non sarà che questecostruzioni di senso occultano (e ci proteggono da)qualcosa di più sotterraneo e silente, qualcosa cheriguarda intimamente la nostra soggettività, ilnostro essere-uomini? Il pamphlet di Jonhatan Swift s’incunea proprio

attraverso questi dubbi, radicalizzando a dismisurauna prospettiva economicista e utilitaristica che,

10 L’ARTE DI IGNORARE I POVERI

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dunque, non è più la triste prerogativa della nostraepoca, ma diviene un connotato metatemporale del-l’umanità. L’idea del cannibalismo organizzato erazionalizzato per sopperire all’inedia della popola-zione di Dublino nella seconda metà del Settecento,ci sembra a un tempo raccapricciante e tragicomi-camente assurda. Il tono di Swift infatti assume lamedesima seriosità che oggi riscontriamo negli eco-nomisti e nei politici quando parlano di pareggio dibilancio e di necessità di riduzione del Welfare. Unariduzione del benessere, un peggioramento dellecondizioni esistenziali vengono filtrate da conside-razioni tecnicistiche, da statistiche e formule mate-matiche, cosicché il vero tema, il “denotato” – comedicono i logici – scompare sotto la freddezza delsapere.Swift fa lo stesso sceverando i dettagli del suo abo-

minevole progetto: bambini allattati e ingrassatifino al primo anno di vita quando la carne è ancoramorbida e gustosa; modalità di cottura; distribuzio-ne e commercializzazione con un preciso rendicon-to contabile dei guadagni e dei risparmi nei con-fronti di una carne suina a quei tempi sempre piùrara e costosa. Egli in breve sembra fare un discor-so prettamente economico, non dissimile nei modidai discorsi che attualmente sentiamo in continua-zione ai telegiornali o che leggiamo sui quotidiani.Ciò che mi pare significativo, al di là di un orrore

per il cannibalismo sul quale tornerò, è che entram-bi i discorsi – quello dell’economista del 2011 equello paradossale di Swift – sono accomunati dalmedesimo serpeggiare di un’inquietudine, di qual-cosa che indubbiamente è in-sensato, “fuori-senso”.E se è vero che in fondo entrambi questi discorsi

11L’ECONOMIA CRIMINALE

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sono “economici”, è anche vero che vi riscontriamo– se ciò poi è possibile – qualcosa di oscuro e allo-trio che riguarda l’essenza dell’economia stessa.Per accostarci al problema potremmo allora

seguire alcune suggestioni che ci provengono daJacques Derrida: nella sua concezione della “trac-cia” e dell’ ”archiscrittura”, infatti, egli correla sor-prendentemente la dimensione dell’economico aquella dell’Altro. La traccia o la “marca”, comesovente egli la definisce, implica un processo di dif-ferimento e di spaziatura: essa appare da un latocome qualcosa di “materiale” – ogni iscrizione nonè che una modificazione oggettiva e reale di unasuperficie più ampia – ma dall’altro non è di fattonulla, bensì pura relazione, assoluto “rimando”.Grazie a questa doppia e paradossale funzione, latraccia non può essere assimilata a nessuna identitàoggettiva: essa è una non-cosa, un non-ente, cioè èla pura e abissale alterità che abita ciò che sembrapiù vicino a noi, la dimensione del “senso” in quan-to veicolata dalla scrittura. E questo Altro, perDerrida, mette in gioco dei meccanismi di dissemi-nazione e di distribuzione che sono l’essenza stessadell’economia.Se proviamo a sostituire l’Altro con il concetto ela-

borato da Lacan di “reale” (sebbene né Derrida, nélo stesso Lacan sarebbero pienamente d’accordo), citroviamo innanzi alla condizione paradossale percui l’economia – assieme al cannibalismo – mette-rebbe in gioco un certo rapporto con un livelloestraneo e insensato della nostra esistenza. Cioè l’e-conomia, al di là dei suoi tentativi di razionalizza-zione, non cesserebbe di relazionarsi al non-sensodel reale che la sostiene: la centralità dell’idea di

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“mercato” ad esempio, così come oggi si è diffusaquale paradigma di senso in quasi ogni campo disci-plinare, non richiama affatto un insieme ordinatodi regole, leggi e saperi condivisi, quanto semmairappresenta il tentativo di quantificare e “controlla-re” entità imprevedibili e irrazionali come la fiducia,il desiderio e la speranza dell’uomo.

2. Cannibalismo

Jonhatan Swift introduce un elemento sconcertantenella discussione oltre alla povertà: il cannibalismo.Egli lo fa per provocazione, eppure i toni della suascrittura paiono quasi realistici. Come risolvere ilproblema della fame del mondo? Come evitare atanti bambini un destino di miseria, di sofferenza edi mortificazione? Disinnescando il tabù del canni-balismo e permettere che gli esseri umani si mangi-no l’un l’altro, ovviamente! Oltre a saziare intere popolazioni otterremmo

come risultato collaterale anche un decrementodemografico e risolveremmo a monte uno dei gran-di problemi ecologici della terra. Cinismo e sarca-smo si saldano in una prospettiva aberrante e allu-cinata. Tuttavia sembrerebbe che il tema del canni-balismo e la proposta di Swift mettano il dito su unaquestione dolente, su un non-detto che intrama ilpensiero e la cultura dell’uomo occidentale.Oltre all’iniziale paradosso, la proposta swiftiana

opera un sovvertimento che riguarda l’accezionestessa di cannibalismo: facendone un fatto pura-mente “alimentare”, di fatto ne porta alla luce unconnotato estremo, non presente – a parte rarissi-me eccezioni – nella storia dell’uomo. Il cannibali-

13L’ECONOMIA CRIMINALE

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smo è stato (ed è ancora oggi in qualche popolazio-ne della terra) un momento rituale nella vita dellacomunità: può riguardare i riti vittimari e sacrifica-li di cui ci parla René Girard, i rituali riguardanti leesequie, certi riti propiziatori. Si possono altresìmangiare gli appartenenti al proprio gruppo etnico,oppure si mangiano i nemici, magari dopo averli“addomesticati”. In tutte queste forme cannibali-che, tuttavia, ciò che emerge è un certo rapporto conl’Altro o, talvolta, con un divenire-Altro.L’ipotesi girardiana è forse quella più affascinan-

te, poiché pone il cannibalismo alla base dei proces-si di culturalizzazione di tutta l’umanità. L’idea èche in ogni popolazione umana si sia evidenziato inun momento della sua storia una tipologia ritualebasata sul “capro espiatorio”. Si tratta di un ritocruento in cui per sedare le tensioni sociali ed evita-re un runaway della comunità, viene scelto unmembro della stessa sul quale veicolare l’aggressivi-tà collettiva. In altre parole, per immunizzarsidall’Altro-reale che è anche la comunità (la sua fac-cia violenta e incontrollabile, lo stato hobbesianodell’homo hominis lupus), l’uomo ha messo in attoun mezzo “economico” per ridurre quanto più pos-sibile le perdite.Ciò che ci sbatte davanti agli occhi il cannibalismo

è un certo rapporto con l’Altro; ma anziché essereesso stesso una forma belluina di bestialità e incivil-tà, diviene nell’uomo una forma di difesa e di immu-nizzazione. Il mostro che è in noi non consiste nel-l’essere potenzialmente cannibali, ma il cannibali-smo è già una forma di copertura e occultamento diquesta medesima mostruosità. Estremizzando l’ar-gomentazione, potremmo anche dare ragione a

14 L’ARTE DI IGNORARE I POVERI

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Swift e sostenere che essendo la povertà una formadi alterità, l’unica modalità di protezione nei suoiconfronti sia un endo-cannibalismo ritualizzato daprecise regole economiche.I processi di ritualizzazione sono fondamentali

nella cultura umana e potremmo quasi affermareaforisticamente che “cè sempre un rito in più”.Quando andiamo in massa a vedere le partite di cal-cio, oppure quando ci rechiamo nei mastodonticiCentri Commerciali delle nostre periferie urbanenon facciamo che ripetere ossessivamente gesti,azioni e movimenti codificati collettivamente e fun-zionali alla coesione sociale. Il fatto che ci sia sem-pre “un rito in più”, tuttavia, ci segnala anche quan-to la ritualizzazione possa eccedere e debba quindi asua volta essere immunizzata. Ora il cannibalismo stesso ha subìto varie forme

di ulteriore ritualizzazione e deutero-immunizza-zione: l’esempio più significativo in questo senso èindubbiamente rappresentato dall’eucaristia in cuiil corpo umano viene simbolizzato dal vino e dalpane; ma anche il concetto di “trapianto”, sebbenefiltrato dal sapere e dalla competenza della scienzamedica, palesa chiare tracce della sua origine canni-balica: organi umani introiettati da altri uomini. Maoltre a quest’ultima, qual è oggi la forma di autoim-munizzazione del cannibalismo? Quale capro espia-torio è stato eletto a vittima sacrificale della societàcontemporanea? Swift sembra instradarci verso la direzione giusta

e proprio nell’economicismo esasperato del suoargomentare scorgiamo il meccanismo di autodife-sa che viene messo in gioco: se il cannibalismo, perquanto strano possa sembrare, è in qualche manie-

15L’ECONOMIA CRIMINALE

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ra già una forma di addomesticamento dell’Altro,l’economia ne costituisce una forma ulteriore diritualizzazione, forma tuttavia che non significatotale sensatezza e razionalità, ma che risulta vice-versa – come vedremo – intramata dal non-senso edal reale.

3. Il reale che noi stessi siamo

Abbiamo forse messo un po’ di troppa carne sulfuoco – diciamolo così per rimanere in tema: neabbiamo però preliminarmente desunto che ilragionamento swiftiano assume dei tratti orribili eraccapriccianti non tanto per il cannibalismo (o nonsoltanto per quello) di cui tratta con minuzia, masoprattutto per un cinismo portato all’iperbole checonfigura un sapere e una competenza di tipo eco-nomico. Ciò è ancora più allarmante, poiché oggil’economia è una disciplina così condivisa e diffusada penetrare anche la vita privata di ciascuno. Tuttoè commercializzabile; e l’ultima verità per ogni cosaè soltanto il mercato!Ci dovremmo chiedere allora perché qualcosa con

cui abbiamo tanta confidenza, mostri all’improvvisotratti così orripilanti e traumatici. Derrida ci avviasulla strada giusta, connettendo tra di loro il pianodell’economia con quello dell’alterità: l’ homo oeco-nomicus insomma è un uomo intaccato dal reale, èaltro-da-se-stesso. Sin dai primi vagiti, quando sitrova all’improvviso costretto a respirare un’ariache brucia gli alveoli polmonari e la gola, il bambi-no deve affrontare l’alienante condizione di trovarsinell’assoluta alterità, di essere un “dentro” che è“fuori”. Il movimento delle sue gambine, la luce sfo-

16 L’ARTE DI IGNORARE I POVERI

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cata che gli aggredisce la retina, ma soprattutto quelpianto fragoroso di cui non realizza ancora d’esserel’emittente sono le forme angoscianti in cui egli è-nell’Altro, è altro-da-se-stesso dove però quel “se-stesso” non esiste ancora. Formando un “tutto” conla madre, il neonato costituisce una biunità che pro-lunga il legame uterino, soltanto che ora esso non èpiù intimo e interiore, ma è completamente estruso,è “fuori-di-sé”.Una buona esemplificazione di questo stato

inquietante e alienato, la possiamo trovare nel Lametamorfosi di Franz Kafka: il protagonista delbreve racconto, Gregor Samsa, si sveglia un mattinonel proprio letto e scopre all’improvviso di non esse-re più un uomo, bensì un grande scarafaggio. Conuna serenità surreale, anziché farsi prendere dalpanico, egli inizia invece ad addomesticare quelcorpo-altro che è ancora il “suo” corpo, ma che nonriesce a controllare. La sua carne, i suoi arti molti-plicati e deformati sono divenuti Altro, ma questoAltro fa ancora parte del sé.Questa trasformazione surreale ci pone tuttavia

un dubbio: e se la condizione in cui si trova Samsafosse in realtà la nostra condizione normale? Setutto ciò che chiamiamo apprendimento, cultura,civilizzazione non fosse che una copertura di questaalterità che ci intrama sin dalla nascita? I filosofiGilles Deleuze e Félix Guattari cercarono di descri-vere questo processo con l’immagine icastica del“corpo senza organi”: il neonato, Gregor Samsa, loschizofrenico che delira e si sente estraneo nel pro-prio corpo configurano quello stato originario in cuic’è un’esperienza dell’essere originariamente alie-nati. Senza le stratificazioni del sapere, senza una

17L’ECONOMIA CRIMINALE

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graduale strutturazione delle propriocezioni, senzal’entrata in un universo simbolico in cui ogni cosaha il suo nome, il corpo dell’uomo è un ammassoindifferenziato e indistinto di carne privo di un sog-getto che lo possa governare.La cosa interessante, tuttavia, è la strategia che il

bambino utilizza per uscire dall’impasse. Si trattadi un complesso di azioni che potremmo definire“immunologiche” poiché egli non esclude l’elemen-to estraneo e potenzialmente pericoloso, ma loaccoglie e lo “addomestica”. Analogamente alnostro sistema immunitario, l’antigene non vienetenuto a distanza ed escluso dall’organismo, ma alcontrario viene accolto e integrato in un sistemadifensivo complesso che assomiglia molto a un’ar-mata della fanteria. Nella misura in cui il batterio oil virus entra in contatto con l’organismo, ne vienefatto una sorta di “calco” che “spia” la sua strutturachimica; successivamente l’informazione viene tra-smessa anche ai distretti periferici e in ultimaistanza vengono attivate varie forme offensive. Inbreve, la difesa nei confronti dell’Altro avvieneattraverso l’Altro!Ecco allora che il bambino incomincia a proteg-

gersi partendo dall’alterità della sua voce: invecedi far silenzio e quindi di non affrontare diretta-mente il fragore allotrio del proprio pianto, ripe-tendo il suo grido stridulo e modulandolo consempre maggior finezza egli addomestica unsuono che si fa vieppiù famigliare. Il pianto divie-ne a poco a poco un segnale efficace per indicare ilproprio stato interiore e le eventuali impellenzedel suo corpo: fame, sete, caldo, freddo, dolore,ansia. Ma esso diviene anche un fedele compagno

18 L’ARTE DI IGNORARE I POVERI

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che conforta e acquieta nei momenti di stress,ricreando una sorta di campana sonora che rie-cheggia i medesimi suoni attutiti e tranquillizzantidell’utero materno: il battito cardiaco, regolare equasi ossessivo nel suo ripetersi; le voci filtrate dimamma e papà, musiche e rumori lontani simili anenie rilassanti e securizzanti.La faccenda però non si esaurisce qui. Talvolta il

pianto-altro che è stato addomesticato e differenzia-to in varie identità sonore (il pianto del sonno, ilpianto della fame, il pianto della noia, il pianto didolore) dando luogo a una forma prodromica di lin-guaggio, può diventare eccessivo e incontrollabile.A questo punto s’innesca un circolo vizioso in cui ilbambino per mitigare il proprio pianto, ne aumentaall’opposto il tono e l’intensità. Ciò che era divenutofamigliare diviene-reale, cioè svela nuovamente lapropria essenza allotria e inquietante. Continuandol’analogia immunologica, siamo dinanzi a una rea-zione autoimmune in cui le difese dell’organismo acausa di un eccesso funzionale finiscono per aggre-dire le cellule autogene danneggiandole.L’evoluzione di ogni sistema sociale potrebbe così

essere interpretata come una complessa dialetticadi immunizzazioni e autoimmunizzazioni in cui c’èuna continua compensazione degli eccessi. L’uomosfugge l’Altro creando continue sfere protettive,orizzonti di senso che “mediano” un rapporto con il“fuori” che potrebbe anche risultare traumatico. Mala costruzione di queste identità e sicurezze puòdivenire eccessiva e portare quindi a nuove forme dialienazione: il cannibalismo costituisce nella suaessenza una ritualizzazione di quell’aggressivitàimpulsiva che porterebbe l’uomo ad annientare

19L’ECONOMIA CRIMINALE

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sistematicamente tutti gli altri uomini; l’economi-cizzazione paradossale che ne fa Swift potrebbe rap-presentare altresì un’opzione alternativa di control-lo e di addomesticamento dello stesso cannibali-smo, che invece di rimuoverlo facendone un tabù, loutilizza invece come uno strumento funzionale allarazionalizzazione della società.Il paradosso swiftiano rimane dunque quantomai

suggestivo dal punto di vista teoretico perché –come vedremo – non solo palesa la funzione immu-nizzante dell’economia, ma smaschera alcuni com-portamenti cannibalici occulti e ritualizzati che tuttinoi mettiamo in atto quotidianamente, anche nellenostre pratiche più consuete e abituali come il “farela spesa”, ad esempio.

4. Povertà e reale

Ci si chiederà legittimamente dove conducano que-ste digressioni e che cosa c’entrino il pianto delbambino e l’immunologia con una questione cosìdelicata e grave come quella della povertà. Un indi-zio dei luoghi entro i quali ci stiamo inoltrando ce looffre forse il breve articolo di Kenneth Galbraith chequi presentiamo e che ha senz’altro un titolo signifi-cativo: How to Get the Poor off our Conscience.Tutti i grandi pensieri dell’epoca per così dire

“classica” (secondo una classificazione che dobbia-mo a Foucault) non sarebbero che forme di oblio edi rimozione della povertà. L’utilitarismo diBentham, l’evoluzionismo darwiniano e spenceria-no, il positivismo costituirebbero delle forme di“negazione” di una realtà che fa troppo male e dellaquale abbiamo paura. Il grande inconscio

20 L’ARTE DI IGNORARE I POVERI

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dell’Occidente sarebbe costituito insomma dall’ino-pia e dall’inedia e l’intera evoluzione culturale del-l’uomo non sarebbe che una strategia di evitamentodella povertà.L’etimo stesso della parola “povertà” – il latino

pauper – evidenzia in effetti che attorno alla mise-ria e all’indigenza si sono innescate varie strategiedi immunizzazione, come se la povertà fosse ilnostro Altro rimosso e obliato. Pauper rimandainfatti a un pauca pariens, cioè a colui che producepoco, alludendo così a un giudizio etico negativo giàa partire dall’epoca antica. La povertà è originatadalla condizione del povero stesso, egli è causa sui elo stato precario in cui versa rappresenterebbe ilgiusto contrappasso della sua accidia e indolenza.D’altronde serpeggia ancora oggi la convinzione ste-reotipica che attribuisce la causa della povertà deipaesi del Sud alla pigrizia e inerzia atavica dei suoiabitanti: essi hanno ciò che meritano mentre, alcontrario, se fossero come noi avrebbero cibo inabbondanza, consumerebbero e vivrebbero nell’o-pulenza.La povertà nel suo carattere allotrio richiama inol-

tre i concetti di homo sacer e di “nuda vita” diGiorgio Agamben: nel pensiero antico e, soprattut-to, nel diritto romano la sacertà significava esclusio-ne dalla comunità e, nello stesso tempo, liceità diannientamento. Vengono messe assieme cioè abie-zione, divinità e disconnessione da quelle che sonole usuali regole della vita sociale. In ciascuno di noicoesiste una nuda vita, che è quindi il nostro Altroo, più significativamente, il “reale” lacaniano, cioèquella parte fuori-senso, “impossibile” e permanen-te di cui ciò nondimeno ne siamo. In breve, l’Altro di

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cui il bambino ha orrore è il se-stesso in quantonuda vita, residuo materiale e corporeo che neces-sariamente viene ricoperto da sustruzioni di senso eda significati.Rimanendo ancora in un orizzonte di discorso

consentaneo, Derrida associa questa dimensione diestraneità all’essere-animale. In epoca ellenistica,in un contesto di pensiero perlopiù stoico, il canni-balismo veniva persino associato all’utilizzo alimen-tare della carne degli animali. Nel De esu anima-lium Plutarco si chiede così se sia lecito che l’uomosi cibi della carne di altri esseri viventi, o se questanon sia un’aberrante sopraffazione. Ecco allora cheDerrida associa l’animalità a quell’alterità di cuisiamo composti sicché gran parte dei soprusi chestoricamente sono stati perpetrati nei confrontidegli animali non sarebbero che una forma dicopertura e di occultamento. Povertà, animalità, sacertà sono uniti da un unico

vettore che li lega assieme e sono accomunati dalmedesimo destino. Il paradosso del cannibalismo èche esso si incunea in questa dimensione parados-sale e funziona già come una forma di immunizza-zione. Quando Swift ipotizza il suo utilizzo metodi-co per sconfiggere la povertà, non sostiene quindiuna cosa così assurda.

5. Povertà e consumismo

Rimane tuttavia ancora oscuro il legame chedovrebbe collegare tra di loro la povertà, il canniba-lismo e le forme contemporanee di immunizzazionedi quest’ultimo. Da un certo punto di vista infatti lacultura non sarebbe che una copertura e uno sfuggi-

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mento del cannibalismo, ma quest’ultimo a suavolta costituisce già una mediazione del rapportotraumatico che l’uomo intrattiene con il reale. La rimozione della povertà che caratterizza l’uo-

mo occidentale dunque non dipende dall’egoismo edalla generica indifferenza dell’essere umano. È ingioco un meccanismo più sottile in cui povertà ecannibalismo sono legati tra di loro da un rapportodi mutua immunizzazione. Rimangono aperte tutta-via delle questioni dolenti: com’è possibile che unaparte del mondo muoia di fame e l’altra parte siainvece incombenzata a consumare sempre di più ead accumulare ricchezze che non potrà mai spende-re? Che processi sono sottesi a questo paradossoche sarebbe facilmente superabile seguendo unamassima dettata dal buon senso del tipo: “dai a chinon ha ciò che tu hai in eccesso”? Come può essereche nell’epoca della globalizzazione possano coesi-stere un bambino africano con gravissimi problemidi denutrizione e di carenze alimentari, e un bambi-no occidentale obeso che invece deve curare malat-tie dismetaboliche da eccesso alimentare?La povertà è cosa antica: a causa della rareté sar-

triana e del frequente inceppamento del meccani-smo della reciprocità del dono (se sei fuori dal cir-colo degli scambi, divieni irrimediabilmente poveroed escluso dalla società perché non hai nulla dadonare), essa ha aleggiato da sempre nelle comuni-tà umane. Ed è stata rimossa più o meno allo stessomodo. Il cristianesimo ha tentato di disincepparequesto meccanismo ingiusto e perverso, sovverten-do lo schema economico del dono e facendo dellapovertà un “valore”: colui che è povero è colui cheperdona e quindi è caro a Dio. Venute meno le dife-

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se immunitarie della com-munitas e della reciproci-tà del dono (anticipatrice per certi versi del sistemaeconomico) s’instaura un altro tipo di difesa chesopperisce alle dissimmetrie ovviamente importatedal dono e dal per-dono unilaterale. Invece che alloscambio, l’uomo viene subordinato ad una Leggedivina che garantisce l’equilibrio e l’assetto dellasocietà. Nelle sue ultime riflessioni Michel Foucaultcorrela queste mutazioni dei dispositivi colletivi didifesa delle società a conseguenti cambiamentinello statuto del soggetto: se il mondo greco eracaratterizzato da un certo individualismo, in epocaprotocristiana e in epoca classica assistiamo al pre-dominio di un dispositivo di sapere basato sulleregole, le classificazioni e l’ordinamento tabulariz-zato della realtà. È il periodo delle certezze, sianoesse divine o sovrane; è l’epoca in cui si crede nellacompleta corrispondenza tra le parole e le cose.La contemporaneità, tuttavia, sembra marcare

una decisa cesura rispetto alla prevalenza dellalegge e di un’idea “forte” del pensiero, tantoché ilfilosofo sloveno Slavoj Žižek parla – riprendendo unlessico lacaniano – di “ritiro del grande Altro”, cioèdel venir meno di quelle strutture di senso che inepoca classica fungevano da filtro nei confrontidella realtà. Questa circostanza comporta indubbia-mente un deficit immunologico o, meglio, implicauna vera e propria rivoluzione di quelli che sono imeccanismi di difesa della comunità. Da un lato,infatti, assistiamo all’inflazione dell’immaginarioincarnata dalla cosiddetta società dello spettacolo;dall’altro a una “passione per il reale” che possiamoriscontrare nella ricerca spasmodica di emozioniforti, in un certo gusto per l’horror, e anche nel

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medesimo New Realism filosofico che vorrebbe unpensiero più “vicino” alla realtà. Si tratta di duemodalità immunologiche differenziate che si com-pensano reciprocamente: l’immaginario distogliel’individuo in infiniti mondi virtuali e mediatizzatiche implicano un deciso distacco dalla realtà, unavera e propria “evasione”; la passione per il realefunziona quale contrappunto eccessivo che, come sisuol dire, riporta l’uomo con i piedi per terra. Ineffetti questo intreccio che consegue all’indeboli-mento del simbolico, corrisponde anche ad unasorta di infantilizzazione della società: tutto è dive-nuto un gioco di immagini, di sport estremi e dieccessi in cui ci si illude di avere una certa padro-nanza della realtà.Se il cannibalismo integra un tipo di immunizza-

zione che mantiene una certa prossimità con ilreale, non è così assurdo pensare che l’età contem-poranea con la sua passione per il reale metta anchein gioco una qualche forma nuova di ritualizzazionecannibalica. E invero dal mio punto di vista questoneo-cannibalismo che controbilancia la societàdello spettacolo, quantomeno per la sua struttura,può essere benissimo assimilato al consumismo.Il “bambino obeso medio” della società americana

e non solo somma in sé queste due nuove strategieimmunologiche della spettacolarizzazione dell’esi-stenza e del consumismo cannibalico in quanto “ri-avvicinamento” infantile al reale: egli, infatti, se nesta quasi tutto il giorno seduto davanti alla TV o allasua Play Station, perdendosi in innumerevoli mondifittizi e immaginari. Non esce di casa ma vive ilmondo esterno standosene ben riparato tra le muradomestiche. Se deve comunicare con qualcuno lo fa

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su Facebook oppure per SMS, e comunque evitandoquanto più possibile un contatto diretto con l’Altro:il “faccia a faccia” per lui è insostenibile poiché nonci sono più quelle regole sociali e quelle norme chegarantivano un rapporto sicuro e, se non proprioequilibrato, organizzato almeno secondo gerarchiegià prescritte.Eppure ciò non basta. Sempre per esigenze immu-

nitarie, egli deve compensare quest’evasione psicoti-ca nei mondi immaginari dei mass-media, trovandoun canale alternativo di relazione con la realtà. E sel’alternativa non può essere il cannibalismo toutcourt, può comprensibilmente esser rappresentatada una sua modificazione: il nostro piccolo obeso,oltre a rimaner fermo tutto il giorno a guardare laTV, contemporaneamente si riempie lo stomaco disnacks, patatine e salatini, trovando un confortoulteriore proprio in questo consumo bulimico. Ilcibo diviene per lui l’unico contatto – comunquemediato – con il reale; egli mangia qualcos’altroincessantemente perché in fondo si rende conto,almeno inconsciamente, di essere anche lui un“pezzo di carne” edibile. Egli sfugge il proprio-esse-re-Altro attraverso una nuova ritualizzazione delcannibalismo, che non implica più la fagocitazionedel reale nella forma della carne umana, bensì delreale nelle caleidoscopiche fogge dei gadgets inutili.Già nell’etimo della parola “consumo” trapelano

in effetti assonanze un po’ sinistre: consumere, nelsenso di spendere, ridurre a nulla, distruggere. Ilcon-sumare, cioè, è un’azione che implica il totaleannientamento dell’oggetto, mentre il “con” alludeal carattere rituale e collettivo di questa stessa azio-ne. Quando andiamo tutti assieme nei Centri

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Commerciali, magari alla domenica, mettiamo inatto un rituale vittimario di tipo girardiano: la ten-sione preparatoria dovuta al sovraffollamento eall’eccesso di suoni e di luci; la ricerca ossessiva del-l’oggetto del desiderio con gli effetti ipnotici delleofferte e dei saldi; l’acquisto e, infine, il consumospasmodico e annientante.Dovremmo forse guardare a questo processo e

non ai sedicenti relativismi post-heideggeriani pertrovare – se c’è – la radice del nichilismo postmo-derno. La cosa curiosa, infatti, è che l’oggetto deldesiderio, l’oggetto che consumiamo di fatto noncontiene nulla, è una pellicola o un involucro vuoto.Žižek fa l’esempio dell’ovetto Kinder, gioia permolte generazioni di bambini postmoderni: è unpiccolo uovo di cioccolata al latte che al suo internocontiene una sorpresa insulsa. Ciò che il piccoloricerca con ansia non è sicuramente il dolce piaceredella cioccolata né tantomeno il soddisfacimento diun bisogno esistenziale primario come la fame; ilvero oggetto del desiderio è quella stupida sorpresache non significa nulla, e che anzi ha il solo scopo di“significare” il “niente” interno all’ovetto.Ora, per Žižek, quel vuoto è il reale che l’uomo

contemporaneo cerca di recuperare, dopo il venirmeno delle grandi narrazioni e dei dispositivi disapere di tipo positivistico. È qualcosa di out-of-joint, di completamente disconnesso e con il qualeogni tentativo di rapporto è impossibile: ogniqual-volta consumiamo qualcosa, ci accorgiamo di fallireil nostro godimento e ci sentiamo così nuovamentealienati. Più l’uomo tenta di sfuggire il proprio esse-re-Altro, più se lo ritrova paradossalmente sotto lasuola delle scarpe, come dice Lacan. Egli ritualizza il

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proprio rapporto con il reale attraverso il consumosistematico, ma alla fine si ritrova nuovamente alie-nato, fuori-di-sé.Su tale “debolezza” si basa tutto l’impianto del tar-

docapitalismo: quest’ultimo rappresenta il “Super-Io” della nostra epoca, ossia quella funzione psichi-ca che, introiettata, fa da mediatrice tra le istanzedella comunità e l’Io. Ma a differenza del Super-Iodei tempi di Freud in cui grosso modo esso si espri-meva con l’imperativo: “rimuovi il tuo desiderio senon si accorda con le leggi morali vigenti!”, oggil’imperativo superegoico si è trasformato in unsecco: “Godi!” L’individuo sfugge l’alienazione incui si trova gettato sin dalla nascita, ma questa fugaavviene attraverso un’ulteriore alienazione.L’uomo viene così nuovamente sottomesso e da

consumatore si tramuta in oggetto di consumo, inun “pezzo di carne”. Una simile circostanza – cheinvero potrebbe apparire balzana – la possiamonotare in moltissimi frangenti della nostra vita quo-tidiana: il “consumo del tempo”, ad esempio, cosìstrategico oggi basti pensare al “tempo libero” e alleaziende che si occupano di capitalizzare e specularesu di esso, non è che un fenomeno in cui c’è uncapovolgimento dei ruoli e la nostra vita divienequalcosa che viene consumato. Non abbiamo più“tempo-per”, poiché anche i momenti in cui nonlavoriamo, anche le ore spensierate in cui il bambi-no gioca all’aria aperta, anche le stesse vacanze sononevroticamente riempite da impegni e occupazioniperlopiù imposte dal mercato.

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6. L’economia cannibale e la decrescita

Dovremmo a questo punto trarre qualche conclu-sione: abbiamo visto che la proposta di Swift non èpoi così iperbolica e assurda come potrebbe appari-re in prima istanza poiché mette in luce – almenodal punto di vista strutturale – le strane similaritàche accomunano la povertà e il cannibalismo. Ilcannibalismo rituale difende dall’Altro immanentein ogni comunità umana, ma la povertà è a suomodo un’ulteriore espressione dell’alterità nellamisura in cui evidenzia la nuda vita dell’uomo, ilsuo esser-carne (anche nel senso merleau-pontianodel termine). Swift pensa allora di risolvere il pro-blema della povertà auspicando provocatoriamenteil cannibalismo dei bambini indigenti dell’età d’unanno, e così facendo ipotizza paradossalmente lacosa più razionale. Siffatta razionalità si desumeperaltro dalla prospettiva economicista con cui egliaffronta la questione, evidenziando come siano ingioco precise strategie di marketing, di logistica e dicommercializzazione.Nel mondo contemporaneo assistiamo a una sor-

prendente disparità nelle condizioni di vita dellepopolazioni dei vari continenti: c’è una maggio-ranza che vive di stenti ed è malnutrita, e c’è unaminoranza pingue e obesa. Agli occhi di un ipote-tico extra-terrestre la cosa potrebbe apparirequantomai assurda e illogica. Ancora: perché chiha in eccesso non dà a chi non ha nulla? Se siamodestinati all’alienazione e ad essere-altri-da-noi-stessi perché non accondiscendere a un altruismoche, a questo punto, dovrebbe apparire come lasoluzione più spontanea? Perché arroccarsi in uno

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sterile, inutile e fallimentare egoismo?Assistiamo a un capovolgimento dei termini in

gioco: ciò che dovrebbe essere l’opzione più sensatae percorribile, viene altresì esclusa in favore dellasoluzione solo in apparenza più logica. La scelta del-l’uomo occidentale è stata infatti quella della rimo-zione, in quanto la povertà rappresenta il proprioessere-Altro osceno e insostenibile. E questa rimo-zione ovviamente si esplica nell’esatto opposto del-l’indigenza, ossia nel consumismo sistematico.L’uomo consuma perché vuole rimuovere la pover-tà che è il suo “essere-reale”; ignora l’indigenza nelmondo poiché nega e si distanzia da una parte osce-na di sé che non vuole vedere e ammettere, ma que-sta parte oscena ri-torna ineluttabilmente nellamisura in cui egli stesso diviene “oggetto di consu-mo” e quindi di cannibalismo.Ecco palesarsi il sottile gioco di incastri in cui ci

getta Swift: 1) il cannibalismo riguarda la povertàma non nel senso economicistico ed utilitaristicoesposto nel pamphlet, bensì nel fatto che la rimo-zione-esclusione della povertà si concretizza alfinein un cannibalismo consumistico: il povero nonviene mangiato direttamente, ma viene consumatoin modo traslato e occulto dallo sfruttamento, dallanon condivisione delle risorse e dall’oblio. Ciò signi-fica che la proposta orribile di Swift è già in atto inquesto momento e tutti noi siamo un po’ cannibali.2) L’eccesso consumistico e l’imperativo sociale checi impone di rincorrere un godimento impossibile,fa sì poi che il meccanismo consumistico ci si rivol-ga beffardamente contro e ad essere cannibalica-mente consumati siano proprio gli iniziali consu-matori, noi!

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