APPROFONDIMENTI PER LO STUDIO...

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Management Pubblico Modulo II – Prof. Francesco Merloni APPROFONDIMENTI PER LO STUDIO INDIVIDUALE IL FASCICOLO CONTIENE I SEGUENTI SAGGI/ARTICOLI/DOCUMENTI: Guido Sirianni, PROFILI COSTITUZIONALI. UNA NUOVA LETTURA DEGLI ARTICOLI 54, 97 E 98 DELLA COSTITUZIONE Bernardo Giorgio Mattarella, DOVERI DI COMPORTAMENTO Pietro Barrera, RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE DEI DIPENDENTI PUBBLICI Francesco Merloni, INCARICHI SUCCESSIVI ALLA CESSAZIONE DELLA FUNZIONE (i saggi sono tratti dal volume “La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, a cura di F. Merloni – L. Vandelli, Passigli editore, di imminente pubblicazione per i Quaderni di Astrid”) Enrico Carloni , LA “CASA DI VETRO” E LE RIFORME. MODELLI E PARADOSSI DELLA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA (in Diritto Pubblico, 2009, n. 3) Commissione indipendente per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza - CIVIT, Delibera n. 105/2010_ Linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità Francesco Merloni, COORDINAMENTO E GOVERNO DEI DATI NEL PLURALISMO AMMINISTRATIVO Benedetto Ponti, TITOLARITÀ E RIUTILIZZO DEI DATI PUBBLICI (gli ultimi due saggi sono tratti dal volume “Il regime dei dati pubblici. Esperienze europee e ordinamento nazionale”, a cura di B. Ponti, Maggioli, 2008)

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  • Management Pubblico Modulo II – Prof. Francesco Merloni

    APPROFONDIMENTI PER LO STUDIO INDIVIDUALE

    IL FASCICOLO CONTIENE I SEGUENTI SAGGI/ARTICOLI/DOCUMENTI:

    • Guido Sirianni, PROFILI COSTITUZIONALI. UNA NUOVA LETTURA DEGLI ARTICOLI 54, 97 E 98 DELLA COSTITUZIONE

    • Bernardo Giorgio Mattarella, DOVERI DI COMPORTAMENTO

    • Pietro Barrera, RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE DEI DIPENDENTI PUBBLICI

    • Francesco Merloni, INCARICHI SUCCESSIVI ALLA CESSAZIONE DELLA FUNZIONE

    (i saggi sono tratti dal volume “La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, a cura di F. Merloni – L. Vandelli, Passigli editore, di imminente pubblicazione per i Quaderni di Astrid”)

    • Enrico Carloni , LA “CASA DI VETRO” E LE RIFORME. MODELLI E PARADOSSI DELLA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA (in Diritto Pubblico, 2009, n. 3)

    • Commissione indipendente per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza - CIVIT, Delibera n. 105/2010_ Linee guida per la predisposizione del Programma triennale per la trasparenza e l’integrità

    • Francesco Merloni, COORDINAMENTO E GOVERNO DEI DATI NEL PLURALISMO AMMINISTRATIVO

    • Benedetto Ponti, TITOLARITÀ E RIUTILIZZO DEI DATI PUBBLICI

    (gli ultimi due saggi sono tratti dal volume “Il regime dei dati pubblici. Esperienze europee e ordinamento nazionale”, a cura di B. Ponti, Maggioli, 2008)

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    Guido Sirianni

    PROFILI COSTITUZIONALI. UNA NUOVA LETTURA DEGLI ARTICOLI 54, 97 E 98 DELLA COSTITUZIONE

    1. L’etica pubblica nella Costituzione repubblicanaLa diffusione della corruzione, per le sue caratteristiche quali-

    tative e quantitative, evidenzia uno stato di sofferenza che coin-volge l’intero assetto istituzionale.

    È dunque naturale di cercare nella Costituzione una guida ca-pace di orientare le condotte pubbliche e private volte a contra-stare effi cacemente i processi corruttivi.

    La Carta costituzionale non si sottrae al problema della etica pubblica, ma lo affronta in modo originale, nella prospettiva di una democrazia pluralista.

    L’etica pubblica non viene infatti dalla Carta assunta, in una prospettiva di stampo liberale, come una mera condizione di siste-ma presupposta o immanente, pre-giuridica e pre-costituzionale, né viene considerata come il prodotto automatico della osservanza delle leggi, adeguatamente sanzionato. Parimenti è del tutto estra-nea alla Carta ogni concezione autoritaria od organicistica di una etica pubblica scaturente dall’abbattimento dei confi ni tra privato e pubblico, evocatrice di funesti scenari di «Stato etico».

    Nella prospettiva repubblicana, l’ordinamento democratico non può né disinteressarsi, né imporre una etica pubblica, ma deve tuttavia promuoverla, assumendola come un valore essen-ziale sociale e costituzionale di responsabilità personale, integrato nel sistema dei valori costituzionali, e conferendo ad essa la for-ma, variamente atteggiata, del dovere civico.

    Lo snodo del programma di promozione dell’etica pubblica repubblicana, considerata per l’aspetto che qui più interessa, è rappresentato dall’art. 54 che, dopo aver prescritto ai cittadini (ovviamente, ed a maggior ragione, anche ai cittadini investi-ti di funzioni pubbliche) il dovere di fedeltà alla Repubblica, e di osservarne la Costituzione e le leggi), richiede ulteriormente (comma secondo) a coloro cui sono affi date funzioni pubbliche

  • «il dovere di adempierle con disciplina ed onore» e di prestare giuramento, nei casi stabiliti dalla legge.

    Tale precetto fondamentale, indirizzato ai funzionari, intesi in senso allargato come coloro ai quali sono affi date funzioni pub-bliche, non resta isolato, ma si integra con una serie di precetti costituzionali ulteriori: in particolare, la diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici (art. 28); il dovere dei pubblici impiegati di essere all’esclusivo servizio del-la nazione (art. 98): il precetto per cui i pubblici uffi ci vanno orga-nizzati in modo da assicurare il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione (art. 97).

    L’etica pubblica viene dunque promossa sia sotto il profi lo sog-gettivo (la condotta personale prescritta agli agenti) sia sotto quel-lo organizzativo (la organizzazione pubblica non deve fare velo alla responsabilità, intesa in senso lato, degli agenti, ma viceversa, deve fondarsi su tale responsabilità), nella prospettiva democrati-ca di un ordinamento personalisticamente inteso nel quale sono i cittadini che governano ed amministrano la collettività.

    2. Le letture riduzionistiche del dovere di disciplina e onoreIl dovere di disciplina ed onore, pur così solennemente affer-

    mato dalla Carta, non ha tuttavia ricevuto una considerazione ed una attenzione adeguata, come confermano sia la poca attenzione della giurisprudenza, sia la frammentarietà – pur con importanti eccezioni – della rifl essione dottrinaria.

    A ciò hanno concorso più circostanze. Certamente un ruolo preponderante ha avuto il peso di una tradizione giuspositivisti-ca, propensa a relegare ogni dimensione etica nell’ambito pre-giuridico. Forti remore sono venute dalla preoccupazione di se-gno garantista che una qualifi cazione giuridicamente pregnante ed espansiva del dovere di disciplina ed onore, potesse aprire il varco a limitazioni del pieno godimento dei diritti riconosciuti ai pubblici dipendenti nella loro qualità di cittadini, e soprattutto a discriminazioni ideologiche, in una prospettiva di «democrazia protetta» estranea all’impianto della Costituzione italiana. Il con-creto prevalere, poi, nella vita politico-istituzionale, di un model-lo di democrazia che riservava ai partiti politici un forte, se non

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    debordante, ruolo di mediazione, ha infi ne alimentato un oggetti-vo disinteresse per la prospettiva di una maggiore responsabiliz-zazione individuale degli agenti pubblici, in una realtà dominata da apparati e attori collettivi.

    Tali elementi hanno spinto verso letture riduzioniste, che han-no di fatto spento le potenzialità innovative compresse nel precet-to dettato dall’art. 54, co. 2.

    Nella lettura prevalente (Mortati, Barile), il dovere si risolve in un precetto etico, in un monito, certamente rilevante, ma di dub-bia valenza giuridica, o in una sorta di poco utile «metadovere» riassuntivo di doveri che trovano tuttavia in altre norme, costitu-zionali ed ordinarie, la loro fonte ed il loro limite. In ogni caso, nella ricostruzione del signifi cato dei termini di «disciplina» ed «onore» si è optato (Lombardi, Ventura) per soluzioni di sostan-ziale continuità rispetto ai tradizionali assunti del diritto pubbli-co: il dovere, quando riferito ai dipendenti pubblici, non farebbe che confermare la responsabilità disciplinare e il dovere di fedeltà all’amministrazione prescritti nell’ordinamento del pubblico im-piego (oltre che la responsabilità disciplinare, la norma avrebbe addirittura costituzionalizzato un assetto organizzativo di tipo ge-rarchico). Ma, anche quando si indirizza al personale politico, il dovere non aggiungerebbe nulla di nuovo, ribadendo, per un ver-so, un generico quanto innocuo precetto di onore, e per l’altro, la soggezione alle blande prescrizioni disciplinari poste a presidio del buon funzionamento di collegi ed assemblee.

    Isolata è viceversa rimasta la lettura secondo la quale il dovere di disciplina ed onore rappresenterebbe una fedeltà qualifi cata (Lombardi), specifi cativa, per i funzionari, del generale dovere di fedeltà alla Repubblica, destinata a ricevere applicazione da parte del legislatore. Egualmente senza sviluppi diretti risulta la prospettiva che riconosce nell’art. 54, co. 2, l’arco di volta di un nuovo disegno organizzativo, radicalmente opposto a quello del-la tradizione, incardinato non più sulla fi gura dell’organo, ma su quella dell’uffi cio e del funzionario, inteso come colui che adem-pie una funzione pubblica disciplinatamente e cioè secondo rego-la, nell’ambito dell’uffi cio (Marongiu).

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    3. La «riscoperta» dell’articolo 54Vari elementi inducono a riconsiderare il precetto di disciplina

    ed onore, sottraendolo ad un lungo oblio. A fronte del dilagare di fenomeni corruttivi, di malamministrazione e di malcostume, ricompare con crescente frequenza, nel dibattito pubblico l’evo-cazione dell’art. 54, comma secondo, ogni qual volta si intende richiamare l’esigenza che la condotta di coloro che sono investiti di funzioni pubbliche, si ispiri a regole di decoro adeguate alla fi ducia in essi riposta, che vanno oltre l’ ossequio formale ed este-riore alle leggi. La dottrina, per parte sua, dimostra una rinnovata attenzione al tema (v., da ultimo, i contributi raccolti in F. Merloni e R. Cavallo Perin (a cura di), Al servizio della Nazione, Franco Angeli, 2009).

    La «riscoperta» del dovere di disciplina ed onore acquista un senso tanto più pregnante se essa non si esaurisce nel ribadire il valore etico e civile del precetto, cosa oggettivamente inconte-stabile, o nel riferire, correttamente, al dovere di disciplina ed onore, le prescrizioni di vario ordine ispirate da un intento di moralizzazione della vita pubblica. La sfi da sta nel verifi care se questo lascito costituzionale, dimenticato da decenni, può, una volta liberato dalla polvere e dai pregiudizi che lo hanno coperto, ritrovare la sua funzione precettiva e di indirizzo, in un contesto ordinamentale che, nel frattempo, ha subito grandi trasformazio-ni nella direzione del decentramento e della autonomia. La strada in questa direzione potrebbe essere meno certa che in passato: i pregiudizi giuspositivistici si sono stemperati; le diffi denze garan-tistiche sono venute meno e vengono rimpiazzate dalla preoccu-pazione di porre rimedio alla crisi della responsabilità; è svanita ogni pur relativa fi ducia nella capacità dei partiti di ergersi come garanti dell’etica del personale politico.

    Alla ricerca di punti fermi, si può in primo luogo ritenere supe-rata la questione relativa alla natura giuridica o meno del dovere di disciplina ed onore. Esclusa la possibilità di considerarlo come una mera ridondanza del testo costituzionale, resta piuttosto da chiarire quale sia la portata del principio in questione.

    Parimenti da respingere pare la lettura che riconosce nel dove-re una mera sintesi verbale di altri doveri ed altri principi dettati da altri precetti. In realtà tra l’art. 54, co. 2, e i precetti rivolti ora

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    agli uffi ci, ora ai funzionari, dagli articoli 28, 97, 98 della Costi-tuzione, esiste una indubbia continuità, nel senso che ciascuno di essi presuppone ed implica l’esistenza degli altri (il pubblico im-piegato non può essere all’esclusivo servizio della nazione se non esercita le sue funzioni con disciplina ed onore e se l’uffi cio in cui opera non è ordinato in modo da assicurare buon andamento ed imparzialità.). Questa circostanza non autorizza a ritenere che ciascuno di tali principi possa essere considerato superfl uo, per-ché immanente agli altri. Al contrario, si potrebbe sostenere che l’art. 54, co. 2, anche in ragione della sua collocazione nell’ambito dei rapporti politici, e per la sua consequenzialità logica rispet-to al principio di eguaglianza dei cittadini nell’accesso agli uffi ci ed alle cariche elettive, sancito dall’art. 51, possa rappresentare il riferimento unifi cante dei disparati precetti costituzionali concer-nenti i doveri e le responsabilità dei funzionari.

    Quale è, dunque il contenuto precettivo del dovere di disci-plina ed onore? I termini, per la loro vaghezza, lasciano all’inter-prete uno spazio fi n troppo esteso. Nell’intento di restringere il campo, pare opportuno notare che, se il dovere di disciplina ed onore si indirizza, per inequivoca volontà del Costituente, tanto ai funzionari onorari, quanto ai pubblici impiegati, il contenuto del medesimo dovere non può mutare o essere diversamente gra-duato per intensità, a seconda che esso riguardi gli uni o gli altri, come viceversa è stato prospettato nelle ricostruzioni dottrinarie prevalenti, ma deve restare sempre il medesimo. Se infatti, rom-pendo una tradizione di netta separazione, governanti e servitori pubblici assumono la nuova comune veste di cittadini-funzionari, ciò corrisponde alla precisa volontà di chiedere ad essi una pari responsabilità, e soprattutto una responsabilità che si gioca non più all’interno degli ordinamenti d’appartenenza, ma nel rappor-to con la collettività.

    La «disciplina» evocata dall’art. 54, co. 2, non può dunque es-sere appiattita nella responsabilità disciplinare interna a rapporti più o meno intensi di supremazia speciale. Non avrebbe tuttavia molto senso sostituire alla responsabilità disciplinare altri doveri ed altri obblighi di contenuto specifi co, compilandone una sorta di elenco. Il dovere, sebbene si indirizzi alle persone dei funzio-nari, trova il suo nucleo nella affermazione di un principio che

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    deve essere sviluppato negli ordinamenti attraverso una catena di deliberazioni.

    Riconsiderata in tale luce, la «disciplina» assume il senso più arioso di regolarità, perizia, competenza, apprendimento (v. ad vocem S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Utet, 1966). Essa, come suggerito da G. Marongiu, è «dovere obbiet-tivo ed insieme corredo personale delle attitudini per l’esercizio del dovere». In ultima analisi, ciò che la Costituzione chiede ai funzionari, è di essere capaci ed onesti. Non è cosa da poco: esi-gere capacità ed onestà, in cambio dell’affi damento ricevuto, è qualcosa che va molto oltre il dovere di rispettare le leggi.

    Il dovere di disciplina ed onore, inteso in questi termini, si con-fi gura come un principio direttivo indirizzato principalmente al legislatore, da declinarsi in ogni momento del rapporto che uni-sce il cittadino e l’uffi cio, e non solo limitatamente all’esercizio della funzione: quindi nell’accesso agli uffi ci, la cui regolazione deve corrispondere all’esigenza di ammettere i capaci e gli onesti, nella condotta personale e, entro certi limiti, anche nei comporta-menti immediatamente successivi alla cessazione della funzione. Tale principio dovrebbe ovviamente trovare composizione e bi-lanciamento con altri principi, connessi ed opposti, assumendo carattere parametrico nel giudizio di legittimità delle leggi che disciplinano l’accesso alle cariche e lo stato giuridico dei funzio-nari.

    In conclusione, la «riscoperta» dell’art. 54, co. 2, della Costitu-zione, essenziale per ridefi nire in termini unitari una nozione di funzione pubblica, nell’ambito di un assetto organizzativo plu-ralista e federalistico passa per una fase destruens relativamente facile, diretta a sgomberare il campo da approcci che hanno in passato relegato la norma in una condizione di marginalità, ed una fase construens molto più diffi cile ed incerta, che richiede un ruolo attivo del legislatore, della giurisprudenza e della dottrina, in un percorso simile a quello che ha consentito, in epoca recente, la emersione del principio di imparzialità e buon andamento.

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    Bernardo Giorgio Mattarella

    DOVERI DI COMPORTAMENTO

    1. IntroduzioneUna volta che un cittadino ha assunto una carica pubblica, egli

    è soggetto a una serie di regole di comportamento, che nel loro complesso costituiscono esplicazione della previsione fondamen-tale dell’art. 54 della Costituzione:

    i cittadini cui sono affi date funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con disciplina ed onore.

    Questa previsione, nella sua semplicità e con un linguaggio or-mai un po’ fuori moda, è importante, perché distingue i funzio-nari pubblici, per un verso, dalla generalità dei cittadini e, per un altro verso, dai lavoratori privati.

    Dal primo punto di vista, tutti i cittadini – recita il primo com-ma dello stesso articolo – devono rispettare la Costituzione e le leggi: non è poco ma, per i funzionari pubblici, non è tutto; i fun-zionari pubblici devono fare qualcosa di più, devono mettere una particolare cura nell’adempimento della funzione loro affi data, devono quasi essere di esempio per gli altri cittadini. Dal secondo punto di vista, la previsione costituzionale fa sì che i doveri dei funzionari pubblici non derivino solo da accordi, come i contratti di lavoro, ma anche da determinazioni unilaterali contenuti in atti come le leggi e i codici di comportamento, che danno contenuto all’obbligo di comportarsi con disciplina e onore: non che i lavo-ratori privati non debbano comportarsi con disciplina e onore, ma non hanno un obbligo costituzionale di farlo, i loro doveri derivano solo dai loro contratti di lavoro.

    L’art. 54 offre la base per la defi nizione degli speciali doveri dei funzionari pubblici. Altre norme della Costituzione ne ispirano il contenuto. Tra esse, in primo luogo, quelle che impongono a questi soggetti di servire onestamente la Nazione. Questo termine è usato in tre articoli della Costituzione: due di questi tre artico-li servono ad assoggettare le due grandi categorie di funzionari

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    pubblici – i politici e i dipendenti – al servizio dei cittadini. A norma dell’art. 67,

    ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

    A norma dell’art. 98, «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». Entrambe le norme mirano a far sì che la condotta dei funzionari pubblici, elettivi o di carriera che siano, sia ispirata alla tutela dell’interesse generale e non alla tutela di interessi di parte. Queste previsioni, quindi, servono a bilanciare altre previsioni costituzionali, che potrebbero altrimenti giusti-fi care parzialità e privilegi: per i politici, l’appartenenza a partiti politici non deve far perdere di vista il dovere di servire tutti i cittadini; per gli impiegati, il principio della responsabilità mini-steriale non deve pregiudicare quello di imparzialità.

    Se il primo dovere dei funzionari pubblici è quello di servire i cittadini, non possono stupire previsioni come quella dell’art. 2, co. 1 e 5, del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, a norma delle quali

    il dipendente conforma la sua condotta al dovere costituzionale di servire esclusivamente la Nazione con disciplina ed onore e di rispettare i principi di buon andamento e imparzialità dell’ammi-nistrazione

    e

    il comportamento del dipendente deve essere tale da stabilire un rapporto di fi ducia e collaborazione tra i cittadini e l’amministra-zione. Nei rapporti con i cittadini, egli dimostra la massima dispo-nibilità e non ne ostacola l’esercizio dei diritti.

    Tutte le regole di comportamento, in effetti, possono essere ri-condotte all’idea di servizio a favore dei cittadini.

    Occorre, però, esaminare più nel dettaglio le regole di com-portamento delle diverse categorie di funzionari pubblici. Queste regole sono poste da molti atti di vario tipo e hanno ambiti di applicazione diversi. Il modo migliore per esaminarle è conside-rare i diversi problemi ed esigenze, che esse mirano a risolvere o a soddisfare. Ciò consentirà di verifi care come le stesse esigenze si

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    pongono spesso in modo analogo, e a volte in modo diverso, per le diverse categorie di funzionari. Nelle pagine che seguono, dunque, si esamineranno dapprima i diversi problemi che si pongono nel-la defi nizione delle regole di comportamento dei funzionari pub-blici, valutando il modo in cui essi sono risolti nell’ordinamento vigente. Successivamente, si proporrà un bilancio della disciplina vigente, considerando i diversi atti normativi in cui le regole di comportamento sono contenute. Saranno considerate le principali categorie di funzionari pubblici: i politici, gli altri funzionari ono-rari, i dipendenti pubblici e, in particolare, i magistrati.

    2. L’adeguatezza dell’impegnoUna prima esigenza, che le regole di condotta dei funzionari

    pubblici devono tendere a soddisfare, è quella di assicurare un ade-guato impegno, in termini di tempo e di energie, da parte del fun-zionario pubblico nello svolgimento dei compiti inerenti alla sua funzione. Questa esigenza trova una enunciazione generale nell’art. 2, co. 3, del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici:

    Nel rispetto dell’orario di lavoro, il dipendente dedica la giu-sta quantità di tempo e di energie allo svolgimento delle proprie competenze, si impegna ad adempierle nel modo più semplice ed effi ciente nell’interesse dei cittadini e assume le responsabilità con-nesse ai propri compiti.

    Ma, naturalmente, essa non riguarda solo i dipendenti, ma an-che i funzionari onorari, come i titolari di cariche politiche.

    L’obiettivo dell’impegno adeguato può essere conseguito con diversi strumenti. Per i politici, lo strumento principale è l’incom-patibilità, istituto che può servire a diversi scopi: oltre che a que-sto, in particolare, può servire a prevenire il confl itto di interessi. L’incompatibilità può sussistere tra diverse cariche pubbliche o tra cariche pubbliche e private.

    Come è noto, nel nostro ordinamento la relativa disciplina è risalente e inadeguata, in particolare per quanto riguarda i par-lamentari: il loro elevato tasso di assenteismo dipende non solo dalla dinamica dei rapporti tra Governo e Parlamento, che può dare una sensazione di inutilità dei lavori parlamentari, ma anche dalla quantità di ulteriori impegni politici e professionali dei par-

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    lamentari stessi. Mancano norme che regolino la possibilità dei parlamentari di svolgere attività imprenditoriali e professionali. Simili norme dovrebbero essere equilibrate e non troppo restrit-tive, per evitare di allontanare persone capaci dalla vita politica, ma dovrebbero comunque assicurare un adeguato impegno nel-lo svolgimento dell’attività politica. Vi sono, invece, norme che limitano la possibilità di rivestire contemporaneamente diverse cariche politiche, per esempio quella di parlamentare e di sinda-co: ma si tratta di norme spesso violate, con la benedizione degli organi parlamentari di controllo, a cui spetterebbe di farle rispet-tare. Sarebbe utile, quindi, da un lato, aggiornare la disciplina delle incompatibilità dei parlamentari (e analogo discorso si potrebbe fare per le Regioni e per gli enti locali, nel quadro delle rispettive autonomie); dall’altro, affi dare il controllo sul suo rispetto a un orga-no estraneo alla sfera politica e non governato da maggioranze po-litiche (per i membri del Parlamento potrebbe ben trattarsi della Corte costituzionale, secondo una proposta spesso avanzata).

    Migliore di quella relativa ai parlamentari, anche se incompleta sotto il profi lo dei controlli e delle sanzioni, è la disciplina delle incompatibilità dettata per i membri del Governo dalla legge n. 215 del 2004. Si tratta della nota legge Frattini sul confl itto di interessi, legge fasulla e votata all’ineffi cacia per quanto riguarda il confl itto di interessi, ma utile per la disciplina dell’incompati-bilità. Si tratta, peraltro, di una disciplina dettata allo scopo di preservare l’indipendenza dei ministri più che allo scopo di assi-curarne un impegno adeguato.

    Il Parlamento non si preoccupa molto di questo problema, con riferimento ai propri componenti, e non se ne è preoccupato mol-to neanche per i componenti dei consigli e delle giunte regionali. I principi dettati dalla legge n. 165 del 2001, emanata in attuazione dell’art. 122 della Costituzione, infatti, sono molto ragionevoli, in generale e – in particolare – con riferimento all’incompatibilità. Ma anche questa disciplina dell’incompatibilità è volta a far sì che le leggi regionali assicurino l’indipendenza dei politici regionali, piuttosto che l’adeguatezza del loro impegno. Eppure, come per i parlamentari nazionali, ci si dovrebbe almeno porre il problema di assicurare che per i consiglieri e gli assessori regionali la relati-va carica sia l’impegno primario, e non un titolo onorifi co o una

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    prebenda. Naturalmente, possono ben essere le singole Regioni a farsi carico di questa esigenza.

    Lo stesso può dirsi per il personale politico degli enti locali: la pur analitica disciplina delle incompatibilità, contenuta nel te-sto unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) è fi nalizzata a garantirne l’indipendenza da interessi esterni (e in questa chiave se ne dirà in seguito) e non a imporre loro un cer-to impegno. In questo caso, peraltro, la scelta legislativa appare ragionevole: sia perché nella maggior parte degli enti locali l’im-pegno degli amministratori non è tale da escludere altre attività lavorative (né lo è di regola la loro retribuzione), sia perché gli enti di maggiori dimensioni, per i quali il problema può porsi, possono ben provvedere con i propri statuti e regolamenti. Non a caso, il testo unico contempla sia l’ipotesi di aspettativa, sia i per-messi retribuiti per gli amministratori locali che abbiano rapporti di lavoro dipendente.

    Per quanto riguarda gli altri funzionari onorari, è diffi cile fare un discorso unitario, per via della loro eterogeneità. Molti incari-chi in enti e organi pubblici costituiscono esplicazione di attività professionale, quindi l’esclusione di altre attività professionali è diffi cilmente proponibile. Per altri, come quelli in molte autorità indipendenti, vi sono divieti di svolgimento di altre attività, che sembrano dettati più a tutela dell’indipendenza (per prevenire i confl itti di interessi) che dell’effi cienza. Colpisce, però, l’eteroge-neità della disciplina, anche tra diverse autorità indipendenti: si confronti, per esempio, la disciplina rigorosa dettata per i com-ponenti delle autorità di regolazione dei servizi pubblici, quella opposta dettata per i componenti della Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e quella intermedia dettata più recentemente per la Commissione per la valutazio-ne, l’integrità e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche. Occorrerebbe estendere alcune regole essenziali di incompatibilità, già previste per alcune autorità indipendenti, alle altre. Sarebbe ragionevole anche stabilire una correlazione tra retribuzione e im-pegno nella carica, richiedendo un impegno esclusivo per gli inca-richi con retribuzioni al di sopra di un certo limite.

    Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, il problema è normal-mente risolto vietando ulteriori attività lavorative e richiedendo la

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    preventiva autorizzazione per le attività occasionali: nel pubblico impiego, la regola è quella dell’esclusività, salvo le ipotesi margi-nali di impiego a tempo determinato e categorie particolari, come quella dei professori universitari a tempo defi nito, che rinunciano a una quota della propria retribuzione in cambio della libertà di svolgere un’attività professionale. Si tratta di un sistema alquanto rigido, che comporta costi burocratici non irrilevanti in termini di procedure di autorizzazione e controllo. Ma si tratta forse di una scelta necessaria, in difetto di meccanismi incentivanti volti a pro-muovere effi cacemente l’impegno dei dipendenti: esso potrebbe essere reso più elastico, lasciando ai dipendenti maggiore libertà nell’uso del proprio tempo libero, se il sistema di valutazione e di premi all’effi cienza garantisse comunque un impegno adeguato da parte dei dipendenti.

    Per quanto riguarda, in particolare, i magistrati, il problema si pone raramente, perché le norme – a tutela della loro indipen-denza – impongono un regime molto restrittivo, che rende molto improbabile che le loro altre attività, eventualmente autorizzate, richiedano un impegno tale da pregiudicare lo svolgimento delle loro funzioni. Al contrario, le attività spesso svolte, come quella scientifi ca e un limitato impegno didattico, possono avere effetti positivi su di esso. Un’eccezione riguarda probabilmente alcune ipotesi relative ai magistrati amministrativi, il cui impegno didat-tico ed editoriale assume a volte dimensioni tali da far dubitare di quale sia la loro attività prevalente e da temere l’aggiramento del divieto di svolgere attività d’impresa. Sebbene la ricchezza di esperienze dei suoi componenti sia sempre stata un punto di forza della magistratura ordinaria, servirebbero regole più stringenti e maggiore vigilanza sul loro rispetto.

    3. L’effi cienzaNaturalmente, non basta dedicare la giusta quantità di tempo

    ed energie allo svolgimento della propria funzione: occorre anche impiegarli profi cuamente, svolgendo la funzione stessa in modo effi ciente.

    L’effi cienza dei politici nello svolgimento delle loro funzioni, per ovvie ragioni, non è facilmente misurabile, né è bene che sia

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    misurata da soggetti diversi dagli elettori, anche perché i para-metri utilizzati – per esempio il numero di proposte di legge o di mozioni presentate – sono per lo più ingannevoli. Ci sono, natu-ralmente, regole di comportamento inerenti allo svolgimento dei lavori degli organi politici (per esempio, leggere ciò che si fi rma) e ai rapporti con gli elettori (per esempio, rispondere alle lettere), ma non è certo il caso di controllare il loro rispetto. È giusto, però, che i politici stessi, di propria iniziativa o su impulso dei partiti, informino gli elettori dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, anche in relazione ai propri programmi elettorali. Dove non ba-stano i rapporti personali, la rete internet offre molti strumenti per farlo: siti, blog, newsletters e simili. Da questo punto di vista, è auspicabile che siano i partiti politici a chiedere ai propri rappre-sentanti di adottare simili strumenti di trasparenza e ad offrire loro il proprio supporto, in modo che l’effi cienza dei politici sia, se non misurata, apprezzata dagli elettori.

    Lo stesso ragionamento può valere per molti altri funzionari onorari, il cui operato può essere valutato dai soggetti che li eleg-gono o nominano, oltre agli strumenti di controllo a volte previsti per i singoli organi, come la decadenza per la mancata adozione di determinati atti o per la ripetuta assenza alle riunioni di un organo collegiale.

    Per altre categorie di funzionari pubblici, come quelli legati da un rapporto di lavoro con un’amministrazione, l’attività è meno libera e l’effi cienza è più facilmente declinabile in norme organiz-zative e anche in norme di condotta, come quelle contenute nel Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che richiedono al dipendente innanzitutto di essere realmente al servizio dei citta-dini:

    il dipendente limita gli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese a quelli indispensabili e applica ogni possibile misura di semplifi cazione dell’attività amministrativa, agevolando, comun-que, lo svolgimento, da parte dei cittadini, delle attività loro con-sentite, o comunque non contrarie alle norme giuridiche in vigore (art. 2, co. 6).

    Ulteriori previsioni sono più genericamente volte a promuove-re l’effi cienza:

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    salvo giustifi cato motivo, non ritarda né affi da ad altri dipendenti il compimento di attività o l’adozione di decisioni di propria spet-tanza;nel rispetto delle previsioni contrattuali, il dipendente limita le as-senze dal luogo di lavoro a quelle strettamente necessarie (art. 10, co. 1 e 2).

    Si tratta di previsioni che traducono in norme di comporta-mento individuale principi e regole relativi all’organizzazione e al funzionamento delle amministrazioni.

    Poiché, poi, il buon funzionamento delle amministrazioni ri-chiede il rispetto delle rispettive competenze e dei relativi princi-pi costituzionali, è altresì stabilito che,

    nello svolgimento dei propri compiti, il dipendente rispetta la di-stribuzione delle funzioni tra Stato ed enti territoriali. Nei limiti delle proprie competenze, favorisce l’esercizio delle funzioni e dei compiti da parte dell’autorità territorialmente competente e fun-zionalmente più vicina ai cittadini interessati (art. 2, co. 7).

    A differenza di quello dei politici, il rendimento dei dipendenti pubblici può non solo essere declinato in norme più specifi che, ma anche soggetto a controlli, il cui esito può avere rilievo su diversi piani, compreso quello della retribuzione e della responsa-bilità disciplinare, soprattutto a seguito della riforma operata dal decreto legislativo n. 150 del 2009. Il Codice di comportamento, sia pure con espressioni che andrebbero aggiornate a quelle usate da questo decreto, si preoccupa di tradurre anche questa esigenza in regole di comportamento:

    il dirigente ed il dipendente forniscono all’uffi cio interno di con-trollo tutte le informazioni necessarie ad una piena valutazione dei risultati conseguiti dall’uffi cio presso il quale prestano servizio. L’informazione è resa con particolare riguardo alle seguenti fi nalità: modalità di svolgimento dell’attività dell’uffi cio; qualità dei servizi prestati; parità di trattamento tra le diverse categorie di cittadini e utenti; agevole accesso agli uffi ci, specie per gli utenti disabili; semplifi cazione e celerità delle procedure; osservanza dei termini prescritti per la conclusione delle procedure; sollecita risposta a reclami, istanze e segnalazioni (art. 13).

  • 233

    Per quanto riguarda i magistrati, infi ne, il tema dell’effi cienza è ovviamente delicato, sia perché la misurazione del rendimen-to della relativa attività è diffi cile, sia perché essa va operata in modo da garantirne l’indipendenza. La tutela dell’indipendenza, negli ultimi decenni, ha fatto premio sull’esigenza di garanzia. È probabile ed auspicabile che in futuro le norme e gli organi di go-verno si facciano maggiormente carico di questa esigenza. Il tema, peraltro, va al di là dell’oggetto di questo scritto.

    4. L’imparzialitàL’imparzialità è evidentemente un principio fondamentale,

    enunciato dall’art. 97 della Costituzione, per i dipendenti pubbli-ci. Nella normale condotta del dipendente, si traduce soprattutto nella parità di trattamento, alla quale è dedicato l’art. 13 del Co-dice di comportamento:

    il dipendente, nell’adempimento della prestazione lavorativa, assi-cura la parità di trattamento tra i cittadini che vengono in contatto con l’amministrazione da cui dipende. A tal fi ne, egli non rifi uta né accorda ad alcuno prestazioni che siano normalmente accordate o rifi utate ad altri. Il dipendente si attiene a corrette modalità di svolgimento dell’attività amministrativa di sua competenza, respin-gendo in particolare ogni illegittima pressione, ancorché esercitata dai suoi superiori.

    Per i magistrati, naturalmente, l’imparzialità assume un signifi -cato ancora più forte.

    Essa non assume lo stesso valore, invece, per i politici. Non che essi possano fare favoritismi o disparità di trattamento nel disporre di risorse pubbliche. Essi, però, nell’adozione delle loro decisioni, devono ovviamente operare scelte, sulla base di orien-tamenti legittimamente «di parte». Anche i politici, peraltro, de-vono rispettare l’imparzialità delle pubbliche amministrazioni e, quindi, astenersi da pressioni indebite su di esse e da condotte da «partito di occupazione», secondo la felice espressione di Leo-poldo Elia. Il concetto è ben espresso dall’art. 78, co. 1, del testo unico degli enti locali:

    Il comportamento degli amministratori, nell’esercizio delle proprie

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    funzioni, deve essere improntato all’imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori […] e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni.

    Da questo punto di vista, le norme che consentono forme di spoils system favoriscono oggettivamente comportamenti contrari al principio di imparzialità: a tutela dell’imparzialità amministra-tiva, esse andrebbero combattute, sia al livello legislativo sia al livello di regole di comportamento dei politici.

    Per gli altri funzionari onorari, l’imparzialità si pone in termini variabili, ma spesso in termini più simili a quelli propri dei dipen-denti pubblici che a quelli propri dei politici, dato che le cariche da essi ricoperte sono spesso cariche di governo in amministra-zioni pubbliche. Ciò vale a maggior ragione, naturalmente, per i componenti delle autorità indipendenti, per i quali l’esigenza di imparzialità si pone in modo simile a come per i magistrati.

    5. L’indipendenzaLe attività ulteriori rispetto allo svolgimento della funzione

    pubblica, che il funzionario svolga, possono costituire un pro-blema anche se esse non lo impegnano a tal punto da distrarlo dalla funzione stessa (problema di cui al par. 2). Esse possono, infatti, legarlo professionalmente a soggetti, i cui interessi siano in confl itto con quelli pubblici o, comunque, siano affetti dal-la sua attività di rilievo pubblicistico, generando la tentazione di favoritismi e scambi di favori. Ciò, ovviamente, può determinare condizionamenti che compromettono la sua indipendenza nello svolgimento della funzione.

    Anche questo problema si pone per tutte le categorie di funzio-nari pubblici. Per quanto riguarda i politici, anche in questo caso il rimedio principale è l’istituto dell’incompatibilità, utilizzato per le diverse categorie di titolari di cariche politiche. Per i parlamen-tari, come già rilevato, la disciplina è del tutto antiquata.

    Per i membri del Governo, la disciplina è migliore, vietando lo svolgimento di attività imprenditoriali e professionali. Essa, peral-tro, è, come già accennato, incompleta sotto il profi lo dei controlli e delle sanzioni. La legge attribuisce agli organi dei relativi ordi-

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    namenti professionali il compito di far valere il divieto di esercizio di attività professionali e all’Autorità garante della concorrenza e del mercato quelli di accertare la sussistenza di situazioni di incompatibilità e di promuovere la rimozione o la decadenza dalla carica o uffi cio incompatibile, la sospensione del rapporto di impiego incompatibile e la sospensione dall’iscrizione in albi e registri professionali. Queste previsioni possono evitare che il titolare di cariche di governo abbia incarichi pubblici incompati-bili e svolga attività professionali incompatibili, ma non possono impedire di svolgere attività di impresa: di fronte al titolare di cariche di governo che mantenga la qualità di imprenditore o una carica in una società per azioni, l’Autorità antitrust non sembra avere armi. Occorrerebbe introdurre sanzioni per l’inosservanza del divieto di svolgere attività private incompatibili con la cari-ca pubblica: sia agendo sul versante pubblico (con la decadenza dalla carica di governo o con l’invalidità degli atti compiuti e la responsabilità civile di chi li avesse posti in essere), sia agendo su quello privato (con sanzioni pecuniarie a carico dell’impresa, con la revoca o sospensione dell’autorizzazione o della concessione amministrativa, sulla base della quale essa svolgesse eventualmen-te la propria attività, con la decadenza dalla carica eventualmente ricoperta dall’interessato in una società). Molte di queste sanzioni potrebbero essere irrogate da organi giurisdizionali e, quindi, la loro applicazione sarebbe stata in buona parte sottratta alle in-fl uenze politiche.

    Per quanto riguarda il personale politico delle Regioni, la già citata legge quadro n 165 del 2004 pone alcuni semplici e buoni principi, stabilendo che l’incompatibilità va prevista dalle leggi regionali:

    in caso di confl itto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle Regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva; …in caso di confl itto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e le

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    funzioni svolte dai medesimi presso organismi internazionali o so-pranazionali;

    ed eventualmente in caso di lite pendente con la Regione.Alcune buone regole sono poste anche per gli amministratori

    locali. L’art. 78 del relativo testo unico stabilisce che

    i componenti la giunta comunale competenti in materia di urbani-stica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato;

    al sindaco ed al presidente della Provincia, nonché agli assessori ed ai consiglieri comunali e provinciali è vietato ricoprire incari-chi e assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza dei relativi Comuni e Province.

    Per gli altri funzionari onorari, anche in questo caso, è diffi cile fare un discorso generale, perché le regole variano da ente a ente e da autorità ad autorità. Ma si può notare una lacuna particolar-mente grave, che riguarda il personale degli uffi ci di diretta col-laborazione dei ministri e degli organi di vertice di altri enti. Essi occupano posizioni di grande rilievo e delicatezza, con funzioni di decisione e di mediazione di interessi, ma non ci sono regole volte a tutelare la loro indipendenza da questi interessi e neanche forme di incompatibilità: non è raro che essi abbiano, contempo-raneamente, anche altri incarichi e neanche che svolgano attività professionali, che possono facilmente generale confl itti di interes-si. È un aspetto di una carenza più generale, a cui occorrerebbe porre rimedio: occorre defi nire in via generale i doveri dei titolari e degli addetti agli uffi ci di staff dei vertici delle amministrazioni.

    Va ancora osservato che l’indipendenza del pubblico funzio-nario può essere messa in pericolo non solo dallo svolgimento di attività ulteriori rispetto allo svolgimento delle funzioni d’uffi cio, ma anche da altri fattori, come la partecipazione ad associazioni, operanti nell’ambito di interesse dell’amministrazione e la rice-zione di regali o ospitalità da parte di soggetti interessati, con i quali egli ha rapporti per ragioni d’uffi cio. Come dimostrato dalla

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    cronaca recente, le norme al riguardo sono carenti, in particolare per i politici, e sarebbero quanto mai opportune.

    Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, vi sono le regole del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: in ordine alla partecipazione ad associazioni, esso impone obblighi di traspa-renza, stabilendo che

    il dipendente comunica al dirigente dell’uffi cio la propria adesione ad associazioni ed organizzazioni, anche a carattere non riservato, i cui interessi siano coinvolti dallo svolgimento dell’attività dell’uffi -cio, salvo che si tratti di partiti politici o sindacati;

    e tutela la libertà di associazione, prevedendo che

    il dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associa-zioni ed organizzazioni, né li induce a farlo promettendo vantaggi di carriera (art. 4).

    In ordine alla ricezione di regali, il Codice prevede che il di-pendente

    non accetta da soggetti diversi dall’amministrazione retribuzioni o altre utilità per prestazioni alle quali è tenuto per lo svolgimento dei propri compiti d’uffi cio

    e

    non accetta incarichi di collaborazione con individui od organizza-zioni che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un in-teresse economico in decisioni o attività inerenti all’uffi cio (art. 7);

    non chiede, per sé o per altri, né accetta, neanche in occasione di festività, regali o altre utilità salvo quelli d’uso di modico valore, da soggetti che abbiano tratto o comunque possano trarre benefi -ci da decisioni o attività inerenti all’uffi cio;

    non chiede, per sé o per altri, né accetta, regali o altre utilità da un subordinato o da suoi parenti entro il quarto grado. Il dipendente non offre regali o altre utilità ad un sovraordinato o a suoi parenti entro il quarto grado, o conviventi, salvo quelli d’uso di modico valore (art. 3).

  • 238

    Infi ne, l’indipendenza del funzionario richiede che egli sia di-sinteressato, nel senso proprio del termine: che egli non abbia in-teressi, coinvolti nella propria attività, diversi da quello pubblico, che deve perseguire. Finora si è fatto riferimento a ipotesi in cui il funzionario è esposto all’infl uenza di interessi altrui. Ma a turbare il corretto svolgimento delle sue funzioni può essere anche un interesse proprio del funzionario: questa è l’ipotesi del confl itto di interessi. In questa sede, peraltro, non ci si sofferma su questo tema, per il quale si rinvia al relativo contributo.

    6. Trasparenza e riservatezzaUna serie di problemi ulteriori, inerenti ai rapporti tra funzio-

    nari pubblici e cittadini, riguarda l’uso delle informazioni delle quali i primi siano in possesso per ragioni d’uffi cio. Il problema si pone in termini molto diversi per i politici e per gli altri fun-zionari pubblici, per via della concezione tradizionale basata sul principio di responsabilità ministeriale, in base alla quale i politici rispondono ai cittadini dell’operato delle amministrazioni, men-tre i dipendenti sono tenuti al segreto nei confronti dei cittadini, dovendo invece fornire tutte le informazioni richieste ai vertici politici. Questa concezione si è a lungo tradotta in un’assenza di regole relative ai politici e in un obbligo di segreto a carico dei dipendenti. La situazione è però mutata, per un verso, a causa della diffusione di obblighi di trasparenza a carico dei politici e, per un altro verso, per l’affermarsi del principio della trasparenza amministrativa.

    La trasparenza imposta ai politici – in particolare ai parlamen-tari – riguarda non lo svolgimento delle loro funzioni, ma essen-zialmente informazioni relative ai loro redditi e ai loro interessi fi -nanziari. Esse vengono periodicamente pubblicate, anche se sotto questo aspetto, in Italia, il livello di trasparenza è ben più basso di quello imposto ai parlamentari di ordinamenti come gli Usa, la Germania e il Regno Unito. Non vi sono, invece previsioni sulla trasparenza dell’attività inerente allo svolgimento del mandato elettivo, che peraltro è in gran parte pubblica.

    Norme in materia di trasparenza degli interessi fi nanziari e di informazioni come i redditi, gli incarichi e il curriculum vitae sono

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    state introdotte, negli ultimi anni, anche per varie categorie di di-pendenti pubblici, in particolare per quelli di livello dirigenziale. Da ultimo, il decreto legislativo n. 150 del 2009 ha stabilito che alcune informazioni, come i curricula e le retribuzioni dei dirigen-ti, siano pubblicati sul sito istituzionale di ciascuna amministra-zione. Peraltro, il Codice di comportamento dei dipendenti pub-blici prevede già obblighi di trasparenza, per tutti i dipendenti e, in particolare, per i dirigenti: per i primi è stabilito l’obbligo di informare il dirigente dell’uffi cio dei rapporti di collaborazione retribuiti dell’ultimo quinquennio, con particolare riferimento a quelli intercorsi con soggetti che abbiano interessi in attività o de-cisioni inerenti alle pratiche a lui affi date; per i secondi è previsto l’obbligo di comunicare all’amministrazione, prima di assumere le proprie funzioni,

    le partecipazioni azionarie e gli altri interessi fi nanziari che possano porlo in confl itto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti entro il quarto grado o affi ni entro il secon-do, o conviventi che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l’uffi cio che egli dovrà dirigere o che siano coinvolte nelle decisioni o nelle atti-vità inerenti all’uffi cio (art. 5).

    Nel complesso, i pubblici funzionari devono accettare un sa-crifi cio per la loro riservatezza, una minore tutela dei loro dati personali. Questo sacrifi cio è giustifi cato alla luce degli art. 54, 67 e 98 della Costituzione: i pubblici funzionari devono compor-tarsi «con disciplina e onore» e devono essere pronti ad accettare controlli sull’adempimento di questi doveri; essi sono «al servizio della Nazione» e devono sottoporsi al controllo dei cittadini.

    Più in generale, la trasparenza amministrativa ha determinato un progressivo spostamento del confi ne tra l’area coperta dall’ob-bligo del segreto d’uffi cio e quella coperta dal diritto alla traspa-renza. La relativa previsione del testo unico sul pubblico impiego del 1957 è stata riformulata, come è noto, in occasione dell’in-troduzione della disciplina del diritto d’accesso nel 1990. La sua portata è ulteriormente ridotta, ovviamente, dalle previsioni della legge n. 15 e del decreto legislativo n. 150 del 2009, in materia di «accessibilità totale», cioè di pubblicità, delle informazioni ine-

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    renti all’organizzazione e all’attività amministrativa. Anche que-sta evoluzione trova un riscontro nel Codice di comportamento, a norma del quale il dipendente

    favorisce l’accesso degli stessi alle informazioni a cui abbiano titolo e, nei limiti in cui ciò non sia vietato, fornisce tutte le notizie e in-formazioni necessarie per valutare le decisioni dell’amministrazio-ne e i comportamenti dei dipendenti (art. 2, co. 5).

    Le informazioni amministrative, peraltro, continuano a dover essere utilizzate solo nell’interesse dei cittadini e non per altri sco-pi: il Codice ricorda infatti che «il dipendente […] non utilizza a fi ni privati le informazioni di cui dispone per ragioni di uffi cio» (art. 2, co. 4).

    La trasparenza, infi ne, riguarda non solo i contenuti delle co-municazioni ai cittadini, ma anche i modi di essa: è per questo che, sempre a norma del Codice di comportamento, il dipenden-te, «nella redazione dei testi scritti e in tutte le altre comunica-zioni il dipendente adotta un linguaggio chiaro e comprensibile» (art. 11, co. 4).

    7. L’immagine dell’amministrazioneNei rapporti tra i funzionari pubblici e i cittadini, c’è l’esigen-

    za di fornire ai secondi le informazioni necessarie, ma c’è anche l’esigenza di non distorcere la percezione dell’amministrazione e di non danneggiarne ingiustifi catamente l’immagine. Un’ulteriore area di doveri dei funzionari pubblici, di conseguenza, attiene alla cura dell’immagine esterna dell’amministrazione. Questi doveri possono esplicarsi in regole inerenti ai rapporti con i cittadini, ai rapporti con la stampa e anche alla vita privata. La loro violazio-ne può non essere sanzionata, ma può anche essere sanzionata pesantemente, come dimostrato dalla giurisprudenza della Corte dei Conti in materia di responsabilità per danno all’immagine del-l’amministrazione.

    Per i funzionari onorari, peraltro, il dovere di custodire l’im-magine dell’amministrazione non si traduce in specifi ci obblighi di comportamento: per essi, di regola, il danno all’immagine del-l’amministrazione assume rilievo solo in seguito alla commissione

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    di reati ed è, quindi, la conseguenza della violazione di norme penali e non di specifi che norme volte a tutelare questo valore.

    Per i dipendenti pubblici, invece, vi sono regole specifi che, contenute nei Codici di comportamento. Per quanto riguarda lo svolgimento delle mansioni, il Codice di comportamento dei di-pendenti pubblici stabilisce che

    il dipendente in diretto rapporto con il pubblico presta adeguata attenzione alle domande di ciascuno e fornisce le spiegazioni che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e di altri dipendenti dell’uffi cio. Nella trattazione delle pratiche egli rispetta l’ordine cronologico e non rifi uta prestazioni a cui sia tenuto mo-tivando genericamente con la quantità di lavoro da svolgere o la mancanza di tempo a disposizione (art. 11, co. 1).

    Si tratta, come è evidente, di previsioni volte a promuovere non solo il corretto funzionamento delle amministrazioni, ma anche la percezione di esso. Nella stessa prospettiva può essere valutata la previsione secondo la quale

    il dipendente non prende impegni né fa promesse in ordine a de-cisioni o azioni proprie o altrui inerenti all’uffi cio, se ciò possa ge-nerare o confermare sfi ducia nell’amministrazione o nella sua indi-pendenza ed imparzialità (art. 11, co. 3).

    L’immagine dell’amministrazione può essere lesa anche dai comportamenti riprovevoli dei pubblici funzionari nella vita pri-vata. Si tratta peraltro, come è facile intuire, di un aspetto parti-colarmente delicato e diffi cile da disciplinare, per diverse ragio-ni: perché regole di condotta nella vita privata determinano pur sempre un’intromissione del datore di lavoro pubblico nell’atti-vità extralavorativa del funzionario; perché simili regole possono essere espressione di un approccio moralistico o paternalistico alla condotta dei funzionari pubblici, che può non essere condi-viso; perché valutare la correttezza dei comportamenti privati, e quindi le relative violazioni, è molto più diffi cile che valutare la correttezza del comportamento in servizio, e rischia di tradursi in valutazioni arbitrarie.

    Occorre però ricordare la specifi cità dei funzionari pubblici e del loro statuto giuridico: quanto mai opportuno, al riguardo, è il

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    richiamo al dovere di comportarsi con onore, richiesto dall’art. 54 della Costituzione. Il bilanciamento tra queste opposte esigenze non è facile. Non a caso, regole di comportamento dettagliate si hanno solo per determinate categorie di dipendenti pubblici, come quelli appartenenti ai corpi militari, i quali sono sottoposti a una disciplina più rigorosa. Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, invece, si limita a porre un divieto di appro-fi ttare indebitamente della propria posizione:

    nei rapporti privati, in particolare con pubblici uffi ciali nell’eserci-zio delle loro funzioni, non menziona né fa altrimenti intendere, di propria iniziativa, tale posizione, qualora ciò possa nuocere all’im-magine dell’amministrazione (art. 9).

    Un ultimo problema, inerente ai rapporti esterni e all’immagi-ne dell’amministrazione, attiene ai rapporti con la stampa. Anche a questo riguardo, ci sono esigenze diverse da contemperare, es-sendo coinvolti la libertà di manifestazione del pensiero e la liber-tà di stampa. Anche a questo riguardo, non vi sono regole per i politici, per i quali i rapporti con la stampa e la facoltà di critica costituiscono elementi essenziali dello svolgimento delle funzioni d’uffi cio. Ve ne sono, invece, nei codici di comportamento, che bilanciano variamente gli interessi in gioco: quello generale dei dipendenti pubblici è abbastanza liberale, stabilendo che

    salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagi-ne dell’amministrazione. Il dipendente tiene informato il dirigente dell’uffi cio dei propri rapporti con gli organi di stampa (art. 11, co. 2).

    Per i magistrati ordinari, il codice etico dell’Associazione na-zionale magistrati privilegia ancora più decisamente la libertà del magistrato di avere rapporti con la stampa rispetto all’esigenza di riservatezza:

    il magistrato non sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla pro-pria attività di uffi cio. Quando non è tenuto al segreto o alla ri-servatezza su informazioni conosciute per ragioni del suo uffi cio e ritiene di dover fornire notizie sull’attività giudiziaria, al fi ne di ga-

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    rantire la corretta informazione dei cittadini e l’esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l’onore e la reputazione dei cittadini, evita la costituzione o l’utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati. Fermo il principio di piena libertà di mani-festazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa (art. 6).

    Ben più rigoroso, per esempio, è il codice etico dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, secondo il quale

    il dipendente non intrattiene rapporti con gli organi di stampa. Nel caso in cui sia destinatario di richieste di informazioni o chiari-menti da parte di organi di stampa, ne informa tempestivamente il responsabile dell’uffi cio presso il quale presta servizio (art. 8).

    8. Il giuramentoAll’inizio di questo contributo si è fatto riferimento all’art. 54

    della Costituzione, come fondamento di un corpo di principi e regole di comportamento peculiari dei pubblici funzionari, che li distinguono rispetto agli altri cittadini e, in particolare, dai la-voratori del settore privato. La formulazione dell’art. 54 è com-pletata dalla previsione secondo la quale i funzionari pubblici prestano giuramento nei casi previsti dalla legge. Si tratta di una previsione coerente con quell’idea: il giuramento può costituire un momento solenne, nel quale il funzionario si fa esplicitamente carico di questa peculiarità e dello status particolare che consegue all’assunzione di una carica pubblica e che lo distingue dagli altri cittadini. Si tratta di un ulteriore obbligo, strumentale alle regole di comportamento proprie del funzionario, che gli può essere im-posto: coerentemente, la Costituzione pone una riserva di legge sulle relative previsioni.

    Attualmente non esiste una previsione legislativa generale al riguardo, ma solo previsioni relative a singole categorie di funzio-nari, come i ministri e i magistrati. In un disegno di legge recente-mente presentato al Parlamento, peraltro, il Governo ha ipotizzato che tutti i dipendenti pubblici, all’atto della prima assunzione in un’amministrazione pubblica, prestino un giuramento di fedeltà. Si tratta di una proposta che può essere valutata favorevolmente:

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    4. Interessi organizzati,lobbying e decisione pubblica

    di Enrico Carloni

    1. Etica, corruzione e interesse pubblico

    In un saggio tra i più citati nella letteratura giuridica statunitense del-l’ultimo ventennio, Cass R. Sunstein lamentava la diffusa, forte insoddisfa-zione per la governance democratica statunitense, e questo in conseguenzadei problemi “produced by the existence of interest groups, or ‘factions’,and their influence over the political process”1. Il problema delle lobbies,che nella dottrina statunitense è spesso ricondotto alla posizione di Madisonrispetto agli interessi parziali2, è, oggi, di non secondaria rilevanza, come cidimostra l’attenzione che al tema è stata posta nel corso dell’ultima campa-gna presidenziale statunitense e quindi già nei primi interventi di BarackObama successivi alla vittoria elettorale3.

    Si tratta di una questione, come sarà più chiaro nel prosieguo, che è, pe-rò, tanto evidente quanto spesso estranea al dibattito pubblico e trascurata

    1 Cfr. C. R. Sunstein, “Interest Groups in American Public Law”, Stanford Law Review,1985-1986, 29.

    2 Nella letteratura statunitense sul lobbying è frequentemente ripresa (vedi da ultimoesempio A. S. Krishnakumar, “Towards a Madisonian, Interest-Group-Based, Approach toLobbying Regulation”, Ala. Law Rev., 2006-2007, 513) la posizione di James Madison rinve-nibile in particolare nel Federalist Paper, n. 10, che, nel criticare le “fazioni” e i gruppi porta-tori di interessi particolari, sosteneva che ci sono due metodi per risolvere il problema (“theone, by removing its causes; the other, by controlling its effects”), salvo poi riconoscerel’impossibilità, e indesiderabilità, della prima soluzione, per concludere quindi che “the regu-lation of these various and interfering interests forms the principal task of modern legislation”.Il collegamento con le posizioni medisoniane è evidente, in particolare, in D. B. Truman, TheGovernmental Process: Political Interests and Public Opinion, New York, 1951.

    3 Si veda, in particolare, il discorso del 28 febbraio 2009 (cosiddetto “‘so am I’ speech”,perché si chiude appunto con la rivendicazione di un diverso rapporto con gli interessi orga-nizzati nel promuovere riforme di interesse generale). La questione del peso eccessivo dellelobbies nella politica americana è stato peraltro ricorrente nel corso della campagna eletto-rale anche nei discorsi del candidato repubblicano J. McCain.

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    dalla stessa dottrina giuridica italiana (peraltro in questo distratta dalleanomalie italiane riferibili alla diversa ma non distante questione del con-flitto di interessi4): da un lato presumendola confinata in ordinamenti diver-si da quello nazionale, dall’altro, e in ogni caso, assumendola circoscrittaalle deliberazioni del Parlamento o, al più, alle decisioni del Governo. En-trambi questi assunti sono, però, errati: il fatto che un fenomeno non sia re-golato non significa che non esista (come, peraltro, ci dimostrano anchedati empirici)5, mentre attenti studi sulle agenzie e sulle autorità di regola-zione hanno da tempo mostrato l’importanza del fenomeno a livello di de-cisioni amministrative6.

    Al pari della corruzione7, e persino più di questa in vari ordinamenti tracui il nostro, il conflitto tra interessi e la cattura dell’interesse pubblico fi-nisce per essere un clandestin administratif8 di cui talvolta si ignoral’esistenza, ma che più spesso è semplicemente occultato, “rimosso” comefatto problematico, tanto dai protagonisti che dalla stessa opinione pubblica(o, almeno, da parti significative di questa).

    Se accogliamo il modello “principale-agente”, proposto frequentemente

    4 Si veda, in tal senso, l’attenzione assolutamente prevalente, giustificata appunto dallaspecificità dell’esperienza italiana, che, tra le varie problematiche relative alla “cattura” del-l’azione pubblica al servizio di interessi parziali è dedicata, nella dottrina giuridica italiana,alla questione del conflitto tra interessi propri del funzionario ed esercizio della funzionepubblica (in questo senso per esempio i diversi contributi in S. Cassese, B. G. Mattarella (acura di), Democrazia e cariche pubbliche, Bologna, 1996). Segnali di attenzione alla pro-blematica dei gruppi di pressione possono, però, rinvenirsi nella dottrina giuspubblicistica:si veda in questo senso Aa. Vv., Rappresentanza politica. Gruppi di pressione. Elites al po-tere (atti del convegno di Caserta, 6-7 maggio 2005), Torino, 2006.

    5 Si pensi all’esperienza comunitaria, dove pure in assenza di una disciplina legislativaorganica, si ravvisa la presenza di un numero ingente di lobbisti (cfr. infra, par. 4).

    6 Si veda, in particolare, le analisi sul rapporto tra interessi e amministrazioni di regola-zione nel quadro degli studi sulla regulatory capture (a partire dal saggio di G. J. Stigler,“The Theory of Economic Regulation”, Bell Journ. of Econ. and Management Science,1971, 3).

    7 Intesa in senso ampio e non limitata alla specifica ipotesi penale. Di corruzione, ladottrina sociologica, politologica e giuridica si è occupata con una certa intensità soprat-tutto nel periodo immediatamente successivo al cosiddetto “fenomeno Tangentopoli”: cfr.M. D’Alberti, R. Finocchi (a cura di), Corruzione e sistema istituzionale, Bologna, 1994;F. Cazzola, L’Italia del pizzo, Torino, 1993; D. Della Porta, A. Vannucci, Corruzione po-litica e amministrazione pubblica, Bologna, 1994; la recente riemersione dell’attenzioneal tema nella letteratura scientifica è, unitamente ad altri più specifici indicatori, qualiquelli di Transparency International, il segnale di un problema tutt’altro che superatonello scenario italiano.

    8 L’espressione è di J. Tulard e G. Thuillier, “Administration et corruption”, La RevueAdministrative, 1993, 272.

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    in ambito sociologico9 e ripreso anche dalla dottrina giuridica10, per illustra-re le dinamiche fisiologiche o patologiche che si sviluppano entro le orga-nizzazioni complesse, e in particolare nelle istituzioni pubbliche, il rilievodella pressione degli interessi organizzati si pone però nitidamente al centrodelle questioni di etica pubblica. Il che è tanto più vero quanto più si colle-ghi l’etica pubblica al “servizio alla nazione”, a sua volta inteso come per-seguimento dell’interesse generale11.

    Lo sviamento dell’azione pubblica da tale finalità ultima, attraverso lacattura dei decisori pubblici da parte di interessi parziali organizzati è, allo-ra, ascrivibile alla dimensione patologica della corruzione, nell’accezionelarga che di questa si dà nelle scienze sociali: l’agente, così facendo, tradi-sce infatti il proprio principale o finisce per porsi al servizio di due padroni,uno manifesto e uno occulto12.

    Al pari dei conflitti di interesse, assistiamo a condotte che possono por-re in crisi la funzionalizzazione dell’azione pubblica alla cura dell’interessegenerale, ma la cui esistenza, ed evidenza, finisce per mettere in crisi lastessa nozione di interesse pubblico, specie allorché si voglia tenere fermal’idea rousseauiana della legge come coincidente con la volontà generale,espressione e traduzione di questa (e, quindi, dell’interesse generale comecoincidente con le statuizioni del legislatore). Si tratta di problematiche diindubbio rilievo, che finiscono per toccare valori fondamentali e per porrein evidenza una serie di nervi scoperti dei sistemi democratici contempora-nei. La diffusa percezione della perdita dell’orizzonte del bene comune inuna serie di decisioni pubbliche asservite a interessi particolari determina inultima istanza la delegittimazione delle stesse istituzioni rappresentative.

    Si tratta di fenomeni che però si sviluppano in uno spazio non privo diambiguità, dal momento che il confine tra il legittimo confronto con istanzemeritevoli di attenzione e asservimento a volontà parziali è, in concreto, dinon sempre agevole delimitazione.

    9 Da ultimo in questo senso si veda D. Della Porta, A. Vannucci, Mani impunite, Roma-Bari, 2007.

    10 B. G. Mattarella, Le regole dell’onestà, cit., passim.11 Cfr. F. Merloni, nel saggio che introduce questo lavoro. Il riferimento è in particolare

    agli artt. 54, comma 2, e 98, comma 1, della Costituzione.12 Cfr. A. Claisse, “Conflitto di interessi e funzioni governative: analisi comparata”, in S.

    Cassese, B. G. Mattarella, Democrazia e cariche pubbliche, cit., 13. Lo stesso Claisse riscontrain questa nozione l’eco del classico ammonimento a “non servire due padroni” (“Mai sopra iltrono si vede più di un padrone: per quanto sia grande esso non può sorreggerne due”: Racine,La Tebaide, a. IV, s. 3). Un richiamo che, peraltro, troviamo già in Matteo (6, 24), e che è fre-quentemente registrato tra le sentenze medioevali (Walther, 16405, 16406, 16346m 16416,16446): cfr. R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Milano, 1991.

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    2. La partecipazione dei portatori di interessi e i gruppi di pres-sione

    Cogliere il fenomeno del lobbying unicamente attraverso una chiave dilettura negativa non consente di inquadrare correttamente la questione delruolo che i gruppi di pressione svolgono, e sono chiamati a svolgere, neimoderni sistemi democratici, per l’efficienza ed efficacia degli stessi pro-cessi decisionali pubblici, e non permette, d’altro canto, di collocarli cor-rettamente quali manifestazione, fisiologica seppure non priva di rischi,dello stesso pluralismo sociale13.

    Come spesso accade è, infatti, necessario fare delle distinzioni: il chein questo casi è doppiamente utile. Per un verso occorre delimitare conmaggiore precisione il lobbying nel novero dei fenomeni di partecipazio-ne attiva dei portatori di interessi14, per un altro è altrettanto utile distin-guere le diverse realtà (fisiologiche e patologiche) che possiamo ricondur-re alle attività di rappresentanza di interessi organizzati e di “pressione”sui decisori pubblici.

    È stato detto che il lobbying è un precipitato, un effetto collaterale einevitabile della stessa democrazia pluralistica15. L’interesse pubblico na-sce, in ultima istanza, nel confronto tra interessi, e l’ordinamento non puòpredeterminare tutti i possibili assetti, né escludere in via assoluta gli inte-ressi dal percorso che conduce alla decisione pubblica. Questo è partico-larmente vero a livello amministrativo, ma non di meno a livello di sceltelegislative è evidente che nei sistemi democratici la partecipazione attiva, ilconfronto con i destinatari delle scelte, la possibilità di presentare istanze e

    13 Graziano, in particolare, sottolinea l’esigenza di mostrare non solo i lati “oscuri”del fenomeno, ma anche gli aspetti (positivi) spesso sottaciuti, quali “il rapporto lobbies-società civile; l’apporto che le lobbies interessatamente recano al processo decisionalepubblico; la ridefinizione a cui inducono dell’idea di interesse generale” (così G. Grazia-no, Le lobbies, Roma-Bari, 2002, V; in materia cfr. Id., Lobbying, pluralismo, democra-zia, Roma, 1995).

    14 Già A. De Tocqueville, La democrazia in America (Milano, 1999) ravvisaval’importanza delle associazioni, in particolar modo per la funzione che queste svolgono neiconfronti del potere politico, limitando la dittatura della maggioranza e, così facendo, assi-curarando le libertà individuali (per esempio, ivi, 201 ss.).

    15 Sull’inevitabilità delle fazioni e delle organizzazioni portatrici di interessi parzialinelle democrazie pluraliste, si veda per tutti D. B. Truman, The Governmental Process, cit.,passim. Le dinamiche della “rivincita degli interessi” (particolari) sulla teorica della demo-crazia come cura dell’interesse generale, come ben rimarca N. Bobbio (Il futuro della demo-crazia, Torino, 1991, 11-13), è evidente e ha portato a categorie interpretative della realtàcontemporanea come società neocorporativa: cfr. M. Maraffi (a cura di), La società neocor-porativa, Bologna, 1981.

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    l’esigenza che queste siano tenute in considerazione costituiscono elementinon eludibili16.

    Interessi e decisione pubblica, sono, cioè, consustanziali l’un l’altra, ela scelta definisce di per sé un’opzione in ordine a un determinato assetto diinteressi17.

    Sotto un diverso punto di vista, dal momento che i pubblici poteri svol-gono una funzione centrale e pervasiva rispetto alla distribuzione e redistri-buzione di ricchezza, diviene inevitabile che, da un lato, gli interessi privatipremano sul decisore pubblico e, dall’altro, che lo stesso decisore pubblicopossa essere portato a privilegiare decisioni coerenti con determinati assettidegli interessi. Questo fenomeno è nella natura stessa delle istituzioni, del-l’amministrazione contemporanea e del pluralismo sociale: gli interessi siorganizzano, cercano e talora trovano tutela nella legge, in macrodecisionipubbliche18 che costituiranno poi la cornice di interventi più puntuali, inmicrodecisioni che intervengono in contesti e casi specifici.

    Né, d’altra parte, è possibile risolvere il problema a monte, inibendo ledinamiche partecipative che si pongono sempre più, anzi, al centro delle pro-cedure di allocazione e della stessa legittimazione delle istituzioni19. Se lapartecipazione svolge, a un tempo e con minore o maggiore pregnanza di unadi queste dimensioni nei diversi casi, una funzione di conoscenza, di garanziae di legittimazione20, prescindere dal contributo degli interessati è pregiudi-

    16 Il riconoscimento della funzione positiva del lobbying in un sistema democraticoaperto e partecipato è evidente nei principali documenti in materia della Commissione euro-pea, per tutti il Libro verde. Iniziativa europea per la trasparenza, COM(2006)194 def., delmaggio 2006, dove troviamo affermati tanto l’esigenza di apertura che “ha sempre rappre-sentato il principio guida della Commissione nei contatti con i rappresentanti dei gruppi diinteresse” (ivi, 3), quanto il riconoscimento del fatto che “il lobbismo rappresenta una com-ponente legittima dei sistemi democratici” e “i lobbisti possono contribuire a richiamarel’attenzione delle istituzioni europee su alcuni problemi importanti” (ivi, 5).

    17 In merito, e con riferimento alla dimensione amministrativa del problema, fonda-mentale il lavoro di M. S. Giannini (Il potere discrezionale della pubblica amministrazione.Concetti e problemi, Milano, 1939, spec. 72-80). Più recentemente, la problematica del rap-porto tra interessi e azione/organizzazione amministrativa è al centro della costruzione teori-ca di G. Rossi, Diritto amministrativo, I, Principi, Milano, 2005, spec. 67 ss. (cui rinviamoper ulteriori riferimenti bibliografici).

    18 Tematiche, queste, su cui restano rilevanti gli stimoli di M. Cammelli, Politica e ap-parati nella mediazione degli interessi, relazione al Convegno del Gruppo S. Martino, Tori-no, 15 aprile 2005.

    19 Questioni che, a livello sociologico e politologico, rinviano agli studi sui processi de-cisionali inclusivi e al dibattito sulla democrazia deliberativa. In merito cfr. L. Bobbio, A piùvoci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi decisionaliinclusivi, Napoli, 2004.

    20 Come rileva S. Cassese, si richiede la partecipazione dei privati all’azione pubblica per

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    zievole per lo stesso interesse pubblico, oltre che per i diritti e i beni dellavita dei destinatari delle decisioni pubbliche. Il che, si noti, è tanto vero chepaiono sempre più ingiustificate quelle previsioni normative che continuanoa limitare gli spazi di partecipazione trasparente in presenza di procedure perl’adozione di atti a contenuto generale o normativo, come se il particulierpotesse incidere solo su questioni puntuali, mentre le determinazioni a conte-nuto generale dovessero essere preservate nella loro purezza in termini dirappresentazione non parzialmente condizionata dell’interesse generale.

    In questo senso va letta la ricorrente critica alle esclusioni operate dallalegge 241/1990 agli istituti partecipativi in presenza di procedimenti voltiall’adozione di atti non a contenuto puntuale21: una carenza solo in partecompensata da tutta una serie di previsioni speciali o a valenza territoriale,prime tra tutte quelle in campo urbanistico22.

    Una carenza che, si noti, diviene assolutamente insostenibile nel mo-mento in cui la stessa competenza all’adozione di atti normativi sfugge ta-lora ai modelli tradizionali in cui si poneva come precipitato della legitti-mazione democratica: in tali ipotesi, deve intervenire necessariamente unalegittimazione procedimentale attraverso dinamiche partecipative23.

    3. Il lobbying: alla ricerca di una definizione

    Giunti a questo punto della riflessione, risulta necessario, per procedereoltre, dare una più precisa definizione dei fenomeni dei quali ci si ripro-

    motivi diversi “Il primo è quello di consentire all’amministrazione una migliore conoscenza deifatti e degli interessi sui quali essa deve basare le sue scelte. Il secondo è quello di permettere alprivato di far valere i suoi diritti fin dalla fase preparatoria della decisione, oltre che nel-l’eventuale giudizio che sorga a sèguito di un ricorso successivo. Il terzo è quello di assicurare ilcoinvolgimento dei privati interessati nel processo decisionale” (cfr. Id., “La partecipazione deiprivati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato”, Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 13).

    21 Sul punto, si veda più ampiamente infra, par. 6.22 Quello del governo del territorio e della pianificazione urbanistica è uno degli ambiti

    più sensibili, a livello di amministrazioni locali, per quanto attiene alla problematica delconfronto con gli interessi. In materia, si veda M. Morisi, S. Passigli, Amministrazioni egruppi di interesse nella trasformazione urbana, Bologna, 1994 e, più recentemente, L. Ca-sini, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, 2006.

    23 Il riferimento è alla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, per la qualel’esercizio di poteri regolatori da parte di soggetti posti al di fuori della tradizionale triparti-zione dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 della Costitu-zione, è “compensato” dall’esistenza di strumenti di partecipazione dei soggetti interessati,in varia misura sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative (così da ul-timo TAR Lombardia, Milano, III, 10 aprile 2009, n. 3239).

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    mette di indagare l’assetto positivo e i modelli di regolazione, vale a direquelli che si intende ricompresi nel concetto di lobbying. Il tema è oggettoda tempo di attenzione dalla dottrina: esiste una significativa letteraturacomparata sul tema, in particolare grazie alle riflessioni intorno al sistemastatunitense24 e più recentemente a quello comunitario25, ed è ampia la lette-ratura sociologica e politologica26.

    Una definizione può quindi essere proposta anzitutto attingendo agliautori che più a fondo hanno investigato il fenomeno.

    In questo senso, con prima approssimazione, si intende per lobby ilgruppo portatore dell’interesse o della causa da tutelare, per lobbista il per-sonale interno o esterno all’organizzazione attraverso cui si attua la rappre-sentanza, per lobbying (o lobbismo) “l’insieme delle tecniche o attività checonsente la rappresentanza politica degli interessi”27. Il termine è, peraltro,ormai ampiamente entrato a far parte del linguaggio corrente28.

    Se confrontiamo questa definizione con quella contenuta nella disciplinastatunitense, la più ampia e organica (in particolare il Lobbying DisclosureAct del 1995), che intende il contatto lobbistico come quelle comunicazionivolte alla formulazione o adozione di progetti di legge e atti legislativi (fede-rali), di regolamenti amministrativi o di altri programmi o alla presa di posi-zione governative, alla negoziazione di contratti, al rilascio di sovvenzioni,prestiti, autorizzazioni, alla ratifica senatoriale di nomine governative, apparechiaro il fatto che il lobbying è in ultima istanza una forma di comunicazionepolitica (rivolta all’interno del sistema, anziché al pubblico) che non ha peròa oggetto unicamente il processo legislativo29. Si noti, in questo senso, che

    24 La letteratura giuridica statunitense sul tema del lobbying è estesissima: ci sia con-sentito rinviare ai riferimenti in A. S. Krishnakumar, “Towards a Madisonian, Interest-Group-Based, Approach to Lobbying Regulation”, cit., 514.

    25 Si veda, in particolare, T. Checcoli, “Il fenomeno del lobbying negli Stati Uniti e nel-l’Unione europea”, Quad. cost., n. 4, 2006; S. Panebianco, Il lobbying europeo, Milano,2000; G. Pizio Ammassari, L’Europa degli interessi. Rappresentanza e lobbying nell’UnioneEuropea, Trieste, 2004.

    26 Si veda, in questo senso, D. B. Truman, The Governmental Process, cit.; L. Graziano,Le lobbies, cit.; Id., Lobbying, pluralismo, democrazia, cit.; M. Fotia, Le lobby in Italia.Gruppi di pressione e potere, Roma, 2002; L. Fiorentino, K. il lobbista. Introduzione alprincipio di democrazia partecipativa, Napoli, 2007.

    27 Cfr. L. Graziano, Le lobbies, cit., spec. 22.28 Tanto che ritroviamo termini come lobby o espressioni italiane da questo derivate

    (lobbismo, lobbista) nei dizionari italiani (si veda per esempio G. Devoto, G. C. Oli, Dizio-nario della lingua italiana, Firenze, 1996, ad vocem) a intendere il “gruppo di pressione ingrado di influenzare a proprio vantaggio l’attività dei legislatori e le decisioni dei governan-ti” (ivi, 1103) e le relative attività.

    29 In ambito comunitario, nel quadro dell’iniziativa europea per la trasparenza, si intende

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    precedenti regolazioni aventi a oggetto le sole dinamiche parlamentari e por-tate a escludere la dimensione “amministrativa” del lobbying, hanno mostratol’impraticabilità della distinzione fra attività legislativa e non legislativa co-me confine per inquadrare o meno il fenomeno30.

    Vero è, peraltro, che se correttamente e complessivamente inquadrato,il lobbying ricomprende attività diverse dalla sola pressione informale suidecisori pubblici: l’attività lobbistica si nutre, anzitutto, dell’accesso a in-formazioni privilegiate, è un’attività di scambio in primo luogo di tipoconoscitivo31. Rientrano nel fenomeno attività dirette a influenzare i deci-sori in modo diretto, ma anche per via indiretta tramite la mobilitazionedelle basi associative e dell’opinione pubblica (grass roots lobbying)32,mentre un passaggio significativo del processo di influenza sui decisoripassa per momenti distanti dalla specifica scelta pubblica, quali il finan-ziamento delle campagne elettorali33. A fronte di un così ampio raggio diattività, è chiaro che l’idea risalente di un contatto lobbistico di tipo in-formale e strettamente contiguo alle dinamiche dello scambio corrotto ènon solo inesatta, ma riduttiva e non utile nella prospettiva di una disci-plina del fenomeno.

    A livello italiano, pure in assenza di una legge volta a regolare com-piutamente questa attività, è interessante la definizione che accompagnavail concetto di “rappresentanza di interessi particolari” nel forse più noto, manon per questo più fortunato, tentativo di disciplina italiana, il cosiddetto

    per lobbying le attività poste in essere con l’obiettivo di influenzare il processo decisionaledelle istituzioni comunitarie (cfr. Libro verde. Iniziativa europea per la trasparenza, cit.).

    30 Il riferimento è al Federal Regulation of Lobbying Act del 1946. Sul punto si veda L.Graziano, Le lobbies, cit., 86-88 e cfr. infra, par. 4.

    31 In questo senso costituiscono confine delle legittime attività di lobbying tutte quelleprevisioni volte ad assicurare il riserbo dei funzionari pubblici rispetto ai processi decisio-nali in corso (vedi infra, par. 7). Il rapporto tra potere e informazione è ben segnalato, tra glialtri, da A. Orsi Battaglini, L’astratta e infeconda idea, ora in Scritti giuridici, Milano, 2007,1350, che evidenzia quindi come “nella logica del potere sia lecito acquisirla solo in quantosi sia coinvolti nel suo esercizio, nel suo sistema di relazioni”: da ciò discende come non siatanto l’effettiva capacità di tenere il riserbo, quanto l’opposta opzione in favore di una pienatrasparenza un meccanismo già particolarmente incisivo di contenimento delle pressioni in-debite e di riequilibrio democratico.

    32 In argomento vedi, per esempio, G. Graziano, Le lobbies, cit., 35-37.33 Sul dibattito statunitense, legato in particolare ai costi delle campagne elettorali e al

    peso dei gruppi di interesse nel finanziamento della politica specie attraverso i PACs (Politi-cal Action Committees), M. Jezer, E. Miller, “Money Politics. Compaign Finance and theSubversion of American Democracy”, Notre Dame Journal of Law, Ethics & Public Policy,1994, 467. Nel contesto italiano, regole minime di trasparenza e limiti di spesa in campoelettorale sono state previste dalla legge 515/1993 (si veda in particolare l’art. 7).

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    “DDL Santagata”34. In questo progetto, l’intervento normativo risulta ri-volto a coloro che rappresentano, direttamente o per conto di portatori diinteressi particolari35, presso i “decisori pubblici” (membri del Governo,componenti degli uffici di diretta collaborazione governativi, dirigenti ge-nerali e vertici delle autorità indipendenti)36 e presso i membri del Parla-mento “interessi leciti di rilevanza non generale, anche di natura non eco-nomica, al fine di incidere su processi decisionali in atto, ovvero di avviarenuovi processi decisionali pubblici”37.

    Nel novero delle dinamiche partecipative, la caratteristica specifica dellobbying è quindi la presenza di un’attività organizzata, volta a influire surilevanti processi decisionali politici o amministrativi. Variano, però, i con-fini “legali” del fenomeno a seconda delle specifiche esperienze, come saràperaltro più chiaro nel prosieguo grazie a un confronto con le principaliesperienze comparate. Resta, non di meno, come elemento ricorrente, lapercezione negativa di queste attività, viste come forme prevalentementepredatorie38 e questo invero più a livello diffuso che avendo a riferimentogli stessi decisori pubblici39. Una distonia tra percezione popolare e perce-zione da parte degli attori, che giustifica la ricorrente riconduzione di questifenomeni, negli studi dei processi degenerativi delle istituzioni pubbliche,nel novero della cosiddetta “corruzione grigia”, attingendo qui alle catego-rie ben evidenziate da Heidenheimer molti anni addietro40.

    34 A. S. 1866, recante “Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi particolari”,presentato il 31 ottobre 2007.

    35 Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b, con l’espressione “portatori di interessi particolari”si intendono i datori di lavoro o i committenti dei “rappresentanti di interessi particolari”.

    36 Si noti che la categoria dei “decisori pubblici” è quindi assolutamente trasversale ri-spetto alle tradizionali categorizzazioni dei funzionari pubblici, talché il confronto con la pro-blematica del rapporto con lobbisti attraversa tanto l’etica del personale burocratico, del perso-nale politico statale, del personale di diretta collaborazione, dei verttici di autorità indipendenti.

    37 Processi decisionali pubblici sono intesi, in particolare, “i procedimenti di formazio-ne degli atti normativi e degli atti amministrativi generali” (cfr. art. 2, comma 2, lett. d).

    38 Così L. Graziano, Le lobbies, cit., 3.39 Si noti, peraltro, la crescente tendenza da parte dei rappresentanti di interessi a legit-

    timarsi attraverso una autorappresentazione che passa per espressioni meno caratterizzate: inparticolare è sempre più diffuso l’utilizzo dell’espressione “relazioni pubbliche” a intendereun insieme più ampio ma ricomprendente le attività di lobbying (in questo senso, la princi-pale associazione italiana di categoria, la Ferpi, definisce attività professionale di relazionipubbliche quella volta a sviluppare “sistemi di relazione con i pubblici influenti”, quindi nonsolo con il decisore pubblico ma anche le attività rivolte al pubblico: cfr. art. 1 dello Statuto,in www.ferpi.it).

    40 A. J. Heidenheimer, Political Corruption. Readings in Comparative Analysis, NewYork, 1970, e, più recentemente, Id., “Perspectives on the perception of corruption”, in A. J.

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    4. La regolazione del lobbying nello scenario comparato

    La questione della disciplina dell’attività di lobbying ha due implica-zioni, una sociale (come riconoscimento e legittimazione della professio-ne di rappresentanza di interessi), una giuridica (come possibilità di pre-vedere regole di trasparenza, obblighi di dichiarazione, diritti e doveri deilobbisti). Nello scenario comparato, si confrontano due distinti approccial problema, che possiamo sinteticamente indicare come modello statuni-tense (di hard regulation) e modello comunitario (di soft regulation),mentre risulta peraltro prevalente la tendenza a trascurare specifici e or-ganici interventi in materia.

    L’attività di rappresentanza di interessi a livello politico trova, nel-l’ordinamento statunitense, una specifica e forte copertura costituzionalenel primo emendamento della Costituzione, ai sensi del quale “il Congressonon farà alcuna legge […] che limiti il diritto delle persone a riunirsi pacifi-camente e a rivolgere petizioni al Governo per riparare ai torti subiti”.Nello scenario di un fonda