Apparenza e Obbligazioni

29
Apparenza e obbligazioni "propter rem" Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 3, 987 Rossana Pennazio Dottoranda di ricerca dell'Università di Torino Sommario: 1. Premessa. 2. Il caso. 3. Origini della dottrina dell'apparentia iuris e diritto successorio. 4. I criteri ordinatori dell'istituto. 5. Apparenza, iura in re e obbligazioni reali. 6. Sulla controversa applicabilità dell'apparentia iuris alle obbligazioni ob rem. 7. Apparenza e affidamento: l'emersione di un principio generale. 1. A fianco dell'esigenza, avvertita nel mondo giuridico, di rendere più spedito il traffico mercantile, si è imposta una rafforzata difesa dei terzi che in buona fede abbiano confidato nella altrui condotta affidante (1). In particolare, tutelando il destinatario della dichiarazione e consentendogli di invocare la dottrina dell'affidamento il sistema garantisce in definitiva l'interesse all'agilità del traffico giuridico. Al riguardo è appena il caso di osservare che tra Ottocento e Novecento si è assistito infatti ad una contrapposizione di orientamenti: con l'affermazione dell'io assoluto hegeliano la volontà, forza creatrice degli effetti giuridici, richiede protezione a prescindere dall'affidamento; a séguito del successivo passaggio dalla teoria volontaristica a quella della dichiarazione si giunse al diverso epilogo secondo cui una manifestazione di volontà, espressa anche solo per fatti concludenti, crea l'obligatio siccome il destinatario della dichiarazione confida su ciò che appare, quantunque la effettiva volontà del soggetto in tal modo vincolato non collimi con la prospettata manifestazione. 2. In questo sfondo le sezioni unite della suprema Corte (2) sono state chiamate a risolvere il contrasto sorto fra le sezioni semplici circa la titolarità in capo al condomino, che ha medio tempore alienato la proprietà solitaria, dell'obbligazione di pagamento delle spese comuni e della conseguente legittimazione ad agire del soggetto passivo. La controversia che sottostà all'intervento delle sezioni unite è scaturita da un ricorso monitorio proposto dall'amministratore del condominio contro il precedente condomino, anziché nei riguardi del neoacquirente. I giudici di merito respinsero le doglianze dell'opponente, imputandogli di non aver comunicato l'avvenuta alienazione della sua "porzione immobiliare"; ritennero inoltre ininfluente il fatto che il rogito fosse antecedente alla deliberazione di riparto delle spese condominiali, perché il venditore originale continuò ad esercitare i poteri dominicali senza rendere nota all'amministratore la predetta vicenda traslativa. I diversi nodi interpretativiche emergono dalla motivazione della sentenza di legittimità qui esaminata si incentrano sul problema dell'applicabilità del principio dell'apparenza giuridica in materia di oneri condominiali nei rapporti fra condominio e condomino in ipotesi di trasferimento della proprietà solitaria. L'iter

Transcript of Apparenza e Obbligazioni

Page 1: Apparenza e Obbligazioni

Apparenza e obbligazioni "propter rem"Riv. trim. dir. proc. civ. 2005, 3, 987

Rossana Pennazio

Dottoranda di ricerca dell'Università di Torino

Sommario: 1. Premessa. 2. Il caso. 3. Origini della dottrina dell'apparentia iuris e diritto successorio. 4. I criteri ordinatori dell'istituto. 5. Apparenza, iura in re e obbligazioni reali. 6. Sulla controversa applicabilità dell'apparentia iuris alle obbligazioni ob rem. 7. Apparenza e affidamento: l'emersione di un principio generale.

1. A fianco dell'esigenza, avvertita nel mondo giuridico, di rendere più spedito il traffico mercantile, si è imposta una rafforzata difesa dei terzi che in buona fede abbiano confidato nella altrui condotta affidante (1).In particolare, tutelando il destinatario della dichiarazione e consentendogli di invocare la dottrina dell'affidamento il sistema garantisce in definitiva l'interesse all'agilità del traffico giuridico. Al riguardo è appena il caso di osservare che tra Ottocento e Novecento si è assistito infatti ad una contrapposizione di orientamenti: con l'affermazione dell'io assoluto hegeliano la volontà, forza creatrice degli effetti giuridici, richiede protezione a prescindere dall'affidamento; a séguito del successivo passaggio dalla teoria volontaristica a quella della dichiarazione si giunse al diverso epilogo secondo cui una manifestazione di volontà, espressa anche solo per fatti concludenti, crea l'obligatio siccome il destinatario della dichiarazione confida su ciò che appare, quantunque la effettiva volontà del soggetto in tal modo vincolato non collimi con la prospettata manifestazione. 2. In questo sfondo le sezioni unite della suprema Corte (2) sono state chiamate a risolvere il contrasto sorto fra le sezioni semplici circa la titolarità in capo al condomino, che ha medio tempore alienato la proprietà solitaria, dell'obbligazione di pagamento delle spese comuni e della conseguente legittimazione ad agire del soggetto passivo.La controversia che sottostà all'intervento delle sezioni unite è scaturita da un ricorso monitorio proposto dall'amministratore del condominio contro il precedente condomino, anziché nei riguardi del neoacquirente. I giudici di merito respinsero le doglianze dell'opponente, imputandogli di non aver comunicato l'avvenuta alienazione della sua "porzione immobiliare"; ritennero inoltre ininfluente il fatto che il rogito fosse antecedente alla deliberazione di riparto delle spese condominiali, perché il venditore originale continuò ad esercitare i poteri dominicali senza rendere nota all'amministratore la predetta vicenda traslativa.I diversi nodi interpretativiche emergono dalla motivazione della sentenza di legittimità qui esaminata si incentrano sul problema dell'applicabilità del principio dell'apparenza giuridica in materia di oneri condominiali nei rapporti fra condominio e condomino in ipotesi di trasferimento della proprietà solitaria. L'iter argomentativo si sviluppa dall'accennato contrasto giurisprudenziale che ha alimentato il sorgere di due orientamenti opposti. Il primo, più remoto, ma ripreso in tempi recenti da un precedente di legittimità (3), sostiene che il condomino il quale alieni la propria "unità immobiliare" è obbligato a pagare i pregressi oneri condominiali se continua ad esercitare in concreto i diritti inerenti alla qualifica di condomino.Più in dettaglio, negli anni ottanta del secolo scorso la Corte di cassazione, seguendo il primo dei due indirizzi, sancì che il pagamento delle spese condominiali è suscettibile di essere preteso nei confronti dell'" apparente" condomino qualora egli mediante comportamento concludente abbia indotto l'amministratore a confidare sulla situazione

Page 2: Apparenza e Obbligazioni

apparente, nonostante il rilievo che questi non si sia premurato di consultare i registri immobiliari prima di promuovere il ricorso monitorio (4).In tal modo la giurisprudenza accredita il carattere generale dell'apparenza del diritto, applicabile anche al di fuori delle ipotesi tipiche (5), quando da un lato la situazione di fatto corrisponda astraendo dalla titolarità effettiva all'immagine riflessa della situazione di diritto e, dall'altro, a condizione che chi la invochi abbia maturato un giustificato convincimento di essere entrato in relazione con l'avente diritto (6).Senza qui considerare i profili di giustizia sostanziale che possono aver ispirato l'interpretazione in esame, è esplicita la volontà di ricondurre alla tutela della buona fede l'istituto dell'apparenza, trascurando però di chiarirne i rapporti con la pubblicità immobiliare. Conviene sin d'ora rimarcare che pubblicità e apparenza non sembrano concetti inconciliabili perché la prima non esclude una possibile discrasia fra situazione reale, risultante dai pubblici registri, e situazione apparente idonea ad indurre il terzo inconsapevole a confidare nella rispondenza al diritto di ciò che risulta dalla condotta affidante (7); si dovrà quindi verificare, alla luce del caso concreto, la rilevanza giuridica dell'errore scusabile del terzo (8).Il secondo indirizzo ritiene viceversa legittimato passivo soltanto il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire tale. Nel rapporto tra condominio e singolo condomino non sarebbe invocabile la teoria dell'apparenza al fine di risolvere il conflitto di interessi nascente fra la "massa" e l'ex condomino, ove quest'ultimo continui ad esercitare di fatto i relativi diritti. L'assunto si fonda sulla costatazione a mente della quale il condominio non è terzo meritevole di tutela, ma è parte di un rapporto che esiste nella realtà ed è positivamente disciplinato (9). Tale statuto normativo si riferisce all'obbligazione di pagamento delle spese della porzione d'immobile di proprietà esclusiva ed alla ripartizione pro quota delle spese per le parti comuni(ex artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c.): se in casi simili si applicasse il principio dell'apparenza si giungerebbe secondo i giudici ad un paradosso dando forza, senza necessità alcuna, ad una situazione meramente apparente a scapito di quella effettiva, riguardo alla quale non sembra rintracciabile l'esigenza di tutelare il terzo in buona fede (10).Ciò posto, le sezioni unite giungono alla conclusione secondo cui la descritta contrapposizione vada composta nel senso da ultimo rappresentato.Prima di addentrarci nei meandri degli oneri condominiali e della tutela delle situazioni affidanti, pare opportuno esaminare gli elementi costitutivi dell'apparenza.3. Un'accreditata dottrina, dopo aver definito l'apparentia iuris come "una situazione di fatto che manifesta come reale una situazione giuridica non reale", suddivide la fattispecie in due sottoclassi: quella pura, legislativamente prevista e di natura eccezionale, che ricorre quando l'errore e lo stato di fatto non corrispondente allo stato di diritto sono da soli sufficienti a dare prevalenza alla tutela del terzo che si inganna; quella colposa la quale invece esige che l'errore sia imputabile alla colpa del titolare del diritto (11). I primi casi, prescindendo dal dolo o dalla colpa del dominus, vanno interpretati restrittivamente, mentre l'applicazione giurisprudenziale dell'apparentia iuris al di là delle previsioni legislative presuppone l'imputabilità della condotta affidante (12). Ne discende che il carattere transtipico dell'apparenza si fonda sul presupposto del concorso colposo del titolare, nella misura in cui secondo la communis opinio il comportamento negligente di questi sopperisce, per così dire, alla mancanza di corrispondenza tra fatto e diritto (13).La dottrina che precede pare fondarsi su un'analisi prevalentemente dommatica (14), da cui però non si può prescindere nel trattare il tema relativo alla tutela delle situazioni affidanti (15).In questo quadro conviene cogliere seppur per sommi capi i punti cardinali

Page 3: Apparenza e Obbligazioni

seguìti dalla letteratura giuridica nello studio dell'apparenza.A tal fine occorre volgere lo sguardo all'elaborazione d'oltralpe del XIX secolo per scorgere in nuce una dottrina dell'apparenza che ha come epicentro l'istituto dell'erede apparente. Esso costituisce infatti l'architrave della struttura plasmata dagli interpreti per sorreggere la teoria dell'apparenza anche al di fuori del diritto successorio, sebbene nel corpo del code civil non è dato scorgere una disposizione corrispondente all'art. 933 c.c. del 1865 che come si noterà tra breve rappresentò la pietra miliare dell'elaborazione dottrinale italiana in questo campo (16). In Francia assunsero così rilevanza il domicile apparent, il mariage apparent, il pagamento al creditore apparente e altre ipotesi ancora (17), fra cui spicca la proprietà apparente la quale rileva anche in nome della massima error communis facit ius(18).Se le osservazioni che precedono attestano l'interesse della letteratura francese per l'argomento che si sta trattando, non può sfuggire al lettore la circostanza che gli studi più approfonditi sull'apparenza giuridica si devono alla dommatica tedesca.Fondamentale importanza rivestì l'opera di Huber (19) sulla Gewere, che diede un rilevante contributo all'elaborazione dell'apparenza; ad essa seguirono i saggi di Naendrup e Krückmann, in cui lo studio dell'apparentia iuris si intreccia, rispettivamente, con la formulazione della dottrina della Gewere e del possesso dei diritti.Ad avviso di Naendrup la Gewere è una fattispecie integrante gli estremi del mero potere sulle cose connesso all'effettivo o apparente diritto sulle cose stesse (20); in particolare, l'apparente titolarità del diritto reale diventa una Wahrscheinlichkeit per il giudice (21).Per Krückmann, invece, l'apparenza giuridica equivale ad una legittimazione all'esercizio di un diritto proprio o altrui, esercizio che dà luogo alla fattispecie del possesso del diritto (22).È appena il caso di osservare che ciò che Krückmann definisce possesso del diritto altrui corrisponde, secondo l'interpretazione proposta da Naendrup, all'apparenza del diritto proprio (23).Sulla scorta di questa letteratura l'apparenza è vista come una sorta di legge della fenomenologia giuridica per la quale, al posto di alcune fattispecie complesse fonti di una determinata situazione giuridica, in talune circostanze trovano applicazione ipotesi più semplici, che implicano l'insorgere di una legittimazione meramente formale.Siffatta prospettiva, dai contorni alquanto sfumati, è superata dal principio di pubblicità (Publizitätsprinzip) ispirato all'esigenza di tutelare la pubblica fede: si valorizza l'aspetto esteriore delle situazioni giuridiche che si palesano nel traffico dei diritti e si configura l'apparentia iuris come una forma di manifestazione all'esterno della realtà giuridica.La teoria del Rechtsschein non ha tuttavia influenzato i sistemi di common law, ove per proteggere il terzo in buona fede si ricorre a rimedi di equity o a talune applicazioni dell'estoppel(24).Nel panorama italiano l'art. 933 c.c. del 1865 riconobbe un fondamento normativo alla dottrina dell'apparenza: nei rapporti dell'erede apparente con i terzi sono fatti salvi i diritti acquistati da questi ultimi per effetto di convenzioni, a titolo oneroso, perfezionate in buona fede con l'erede apparente. Giova sottolineare che la giurisprudenza fece leva su tale disposizione considerandola espressione di un principio generale, per tutelare analoghe situazioni di diritto (25).La dottrina degli anni trenta, sedotta dalla letteratura tedesca, risulta tuttavia ancora lontana da una vera e propria generalizzazione del principio (26). Nel contempo la giurisprudenza tese vieppiù ad accreditare la forza espansiva della dottrina dell'apparenza: non a caso autorevoli contributi in questa materia si devono a D'Amelio, allora primo presidente della Corte di cassazione (27).Più in dettaglio, sotto la vigenza del codice abrogato ci si interrogava intorno ai limiti del principio in materia successoria (28); fu così chiarito

Page 4: Apparenza e Obbligazioni

che la buona fede dell'erede apparente non rientrava nella fattispecie (29), mentre è il terzo ad essere gravato dall'onere di dimostrare la sua buona fede (30).L'art. 933 c.c. abrogato è stato sostanzialmente riprodotto nell'art. 534, cpv., c.c. vigente. Ci troviamo dinanzi ad una delle più rilevanti figure di acquisto a non domino e l'unica, come è stato sostenuto dalla letteratura, a fondarsi su una situazione di apparenza del diritto in senso tecnico (31).La citata ipotesi di acquisto a non domino, in riferimento alla quale non rileva che l'erede sia possessore dei beni ereditari (32), pone la necessità di contemperare interessi conflittuali: da un lato l'esigenza, nodale nel diritto successorio, di tutelare l'interesse del vero erede alla conservazione dell'asse (dunque la sua "proprietà sacrificata") (33), dall'altro il fine di rendere più efficiente la circolazione giuridica.Proprio l'esigenza di sicurezza e speditezza nei rapporti giuridici e sociali che si persegue con gli acquisti a non domino rappresenta il fine ultimo della tutela delle situazioni affidanti fondate sull'apparenza; due facce di uno stesso principio generale: l'affidamento legittimo.Tornando al particulare, l'art. 534, cpv., c.c., costituisce una fattispecie complessa la quale, rientrando nel più vasto fenomeno dell'apparenza (34), presuppone l'esistenza di tutti quegli elementi che concorrono ad integrarne lo schema tipico: una situazione di fatto che manifesta come reale una situazione giuridica non reale, la buona fede di chi acquista dall'erede apparente e la natura onerosa dell'atto posto in essere.A questo punto dell'indagine conviene concentrare l'attenzione non potendosi intrattenere oltre misura sulle applicazioni giurisprudenziali (35) sul presupposto che costituisce il filo conduttore del nostro lavoro, e cioè la buona fede del terzo. Quest'ultima dovrebbe intendersi non già come mera ignoranza di ledere l'altrui diritto, secondo il disposto dell'art. 1147 c.c., bensì alla stregua dell'erronea convinzione di acquistare dall'erede vero e dunque di comportarsi iure. L'elemento soggettivo in parola non è escluso solo in caso di colpa grave, ma anche qualora il terzo non abbia agito secondo i dettami della diligenza ordinaria (36); per di più la buona fede è fatto costitutivo non presunto che dunque il terzo ha l'onere di provare (37).Per quanto concerne la natura del negozio, concluso fra erede apparente e terzo, che può rilevare come elemento della fattispecie di cui all'art. 534, cpv., c.c., è appena il caso di rammentare che sono presi in considerazione da tale disposizione soltanto gli atti a titolo oneroso. Quelli gratuiti risultano tuttavia contemplati limitatamente alle ipotesi particolari previste dagli artt. 2652, n. 7, e 2690, n. 4, c.c. là ove, con riguardo rispettivamente ai beni immobili ed ai mobili registrati, l'efficacia dell'acquisto da parte del terzo in buona fede è subordinata all'avvenuta trascrizione.Giova segnalare che in detti casi la pubblicità il cui rapporto con l'apparenza sarà meglio esaminato infra non esplica la funzione tipica di cui all'art. 2644 c.c., ma soddisfa il principio della continuità delle trascrizioni ex art. 2650 c.c.: l'onere pubblicitario assurgerebbe così inteso ad ulteriore elemento costitutivo della fattispecie complessa di cui all'art. 534 c.c. (38).Parte della dottrina ha nondimeno sostenuto, con particolare riferimento all'ipotesi dell'art. 2652, n. 7, c.c., che quest'ultima disposizione differisce per fondamento e disciplina dall'art. 534 c.c. il cui comma 2° si giustificherebbe alla luce del rilievo che l'accertamento della qualità di erede presenta di regola non marginali difficoltà (39), mentre nel caso in cui l'acquisto riguardi beni immobili, ove è richiesta la trascrizione sia dell'acquisto dell'erede apparente sia di quello del terzo, la funzione dell'apparenza sarebbe posta in secondo piano rispetto a quella espletata nell'ipotesi di acquisto di beni mobili (40). Nella fattispecie prevista dall'art. 2652, n. 7, c.c. mezzo di tutela del terzo non risulterebbe l'apparentia iuris ma un mero meccanismo intriso di formalismo giuridico,

Page 5: Apparenza e Obbligazioni

per il quale alla pubblicità dell'acquisto, non contestato per un quinquennio, è attribuito nei rapporti con l'erede vero l'effetto di pubblica fede (41). Tale compressione della portata del principio dell'apparentia iuris sembra però vacillare dinanzi all'interpretazione dell'art. 534, cpv., c.c., tesa a ricomprendere in essa il terzo acquirente dal legatario apparente, confortata dalla lettera dell'art. 2652, n. 7, c.c. che lo richiama (42).Dalle notazioni che precedono affiora per un verso la centralità dell'art. 534 c.c. nell'àmbito della tutela delle situazioni affidanti, per l'altro emerge che il principio di buona fede, assieme ai rapporti intercorrenti fra tale principio e la disciplina della pubblicità immobiliare, costituiscono aspetti centrali dell'apparentia iuris.4. L'esigenza di tutelare la posizione dei terzi che confidano su una data situazione ha spinto il legislatore del 1942 ad accogliere l'istituto al di là dei confini del diritto successorio (43).Basti pensare innanzitutto alla fattispecie del pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c. che ha come noto efficacia liberatoria per il debitore che effettui la solutio a chi si trovi nel godimento di fatto di una determinata situazione giuridica da cui promana la titolarità del credito. Come per l'acquisto dall'erede apparente, così per il pagamento compiuto dal solvens nelle mani di chi non è il vero legittimato, l'erede vero ed il titolare del credito esistono nella realtà, ma non sono i soggetti con cui il terzo entra in contatto. Nei casi testé menzionati si pone un problema di legittimazione apparente (a trasferire la proprietà della res o a ricevere il pagamento) fondata sulla titolarità putativa del diritto soggettivo sottostante (44).La tutela dell'affidamento del terzo è assicurata solo là ove sussistano i requisiti stabiliti ex lege: la presenza di circostanze univoche nell'ipotesi di pagamento al creditore apparente, lo stato soggettivo di buona fede dell'acquirente a titolo oneroso nella previsione dell'art. 534 c.c. In entrambe le fattispecie parrebbe dunque irrilevante la colpa del controinteressato, anche se la giurisprudenza in riferimento all'art. 1189 c.c. sostiene che l'apparenza sia invocabile allorché, nel caso concreto, ricorra non solo una situazione oggettiva capace di ingenerare l'erroneo affidamento del terzo di buona fede, ma che tale situazione sia addebitabile a dolo o colpa del soggetto nei cui confronti è invocata (45).Così configurato, il requisito del comportamento colposo costituisce un quid pluris utilizzato per estendere l'istituto dell'apparenza ad ipotesi non previste ex lege. È il caso della rappresentanza apparente in cui non emerge un problema di falsa titolarità di un diritto, propagandata da un soggetto, ma vi è piuttosto un soggetto che afferma di avere il potere di trattare affari conferitogli dal titolare reale (46). L'esame dei precedenti in materia di rappresentanza attesta un'applicazione del principio dell'apparentia iuris fondata perlopiù sulla colpa dell'apparente gerito, la quale assume coloriture talvolta deboli, sino a ricomprendere anche un contegno di tolleranza verso il sedicente rappresentante (47).Parrebbe comunque emergere il timore, per la stabilità del sistema, di estendere all'eccesso la portata dell'apparenza, non senza però qualche tentativo di senso contrario volto a salvaguardare l'affidamento del terzo anche quando non ricorra neppure il citato elemento soggettivo della colpa (48).Non intendendo indulgere in eccessive esemplificazioni, è bene comunque segnalare che le Corti hanno nel complesso accreditato la valenza generale del principio dell'apparenza muovendo dalle sue applicazioni nel campo della rappresentanza e della tutela delle condotte affidanti (49).Le implicazioni di una siffatta impostazione hanno però suscitato talune perplessità da parte della letteratura, la quale in alcune occasioni ha preferito parlare nel settore specifico della rappresentanza di solo principio dell'affidamento in cui convoglierebbe l'apparenza, la quale invero non assumerebbe i connotati di principio autonomo (50).

Page 6: Apparenza e Obbligazioni

Sennonché pare poco persuasivo imboccare percorsi argomentativi che finiscono con il dare sfogo a meri esercizi formalistici volti a distinguere due princìpi che sono piuttosto in stretta correlazione tra loro. Prova ne sia che la tutela della condotta affidante assicurata dalla dottrina dell'apparenza presuppone il riconoscimento in capo a chi la invoca della buona fede: un requisito basilare che accentua il legame indissolubile fra apparentia iuris e affidamento. Su queste tracce vale la pena rimarcare che il titolare del diritto soggettivo può essere pregiudicato solo da colui il quale invochi l'affidamento suscitato dalla condotta riflettente l'immagine di tale diritto, a patto che questi abbia confidato sulla situazione apparente. Ciò tuttavia non implica che l'onere di diligenza di chi confida sull'apparenza renda necessaria un'indagine tesa a svelare la situazione reale, quando le circostanze oggettive avvalorino la convinzione poniamo di pagare al creditore o al rappresentante apparente. Basti pensare, volendo restare nel campo della rappresentanza, all'applicazione dell'apparentia anche quando il preponente abbia provveduto agli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge per informare i terzi delle limitazioni di poteri dei suoi rappresentanti, ma abbia poi assunto un comportamento colposo tale da trarre in inganno i terzi medesimi (51).Sul rapporto fra apparenza e pubblicità si tornerà tra breve, ma allo stato dell'arte le linee direttrici ora esposte sembrerebbero confermare la portata generale del principio dell'apparentia iuris.5. Il sommario inquadramento dei criteri ordinatori dell'istituto esaminato è funzionale all'esame della già citata sentenza pronunciata dalle sezioni unite della Cassazione, che ha offerto lo spunto a questa indagine. Il dictum pone in primo piano il problema dell'applicabilità dell'apparenza agli iura in re: molteplici sono i nodi della questione da sciogliere, come si osserverà di qui in avanti.La regola aurea del trapasso dei diritti reali è racchiusa nel passo di Ulpiano che recita nemo plus iuris transferre potest quam ipse haberet(52): non si tratterebbe di un mero assioma logico, ma di un principio normativo che prevede delle eccezioni, quali appunto gli acquisti a non domino(53).Nelle pagine precedenti, allorché ci soffermammo intorno all'operatività dell'apparenza nel diritto successorio, l'attenzione si è appuntata sull'art. 534 c.c., che costituisce il paradigma dell'acquisto dal non titolare a prescindere dal possesso. Con riguardo alla circolazione degli iura in re, merita almeno un cenno la regola del possesso vale titolo la quale lo dimostra il dato storico presenta molteplici punti di contatto con la tutela delle situazioni affidanti.Il principio sancito dall'art. 1153 c.c. cardine fondamentale di un sistema basato sull'esigenza di assicurare il rapido commercio dei beni mobili è stato mutuato dal code civil, che recepì un'antica regola del diritto franco-germanico (54). Nel diritto consuetudinario l'azione di "rivendica" ante litteram dei beni mobili sottratti al dominus non era collegata alla proprietà, ma alla saisine, equivalente del concetto tedesco di Gewere: con entrambi gli istituti lo si è già accennato retro in passato si intendeva alludere alla disponibilità fisica della cosa, integrante gli estremi del possesso inteso come investitura formale del diritto, da cui derivava una sorta di presunzione di proprietà in capo all'apparente titolare (55).Non è senza significato ribadire che dagli studi in tema di Gewere il passo è stato breve per porre, a fondamento dell'acquisto di buona fede delle cose mobili, l'apparenza del diritto suscitata dalla antecedente condotta del titolare consistente nello spossessamento volontario mediante consegna della res al non titolare.Una costruzione dottrinale cosiffatta non ha potuto tuttavia affermarsi nel nostro ordinamento, ove il principio consensualistico governa il trasferimento della proprietà: la regola solo consensu preclude la possibilità di considerare il mero possesso di cose mobili come fonte di apparenza di diritto (56).

Page 7: Apparenza e Obbligazioni

Sul versante della circolazione dei diritti reali sui beni mobili altri principi, e segnatamente la buona fede, sono stati preferiti all'apparenza determinata dalla situazione anteriore posta in essere dal titolare del diritto, al fine di salvaguardare l'affidamento del terzo incolpevole e, di riflesso, il suo acquisto; proprio per il favor commercii è prevalsa la tutela dello stato di fatto, purché caratterizzato dalla buona fede e qualificato da un titolo idoneo (57).Il possesso ex fide bona è noto funziona dunque rispetto ai mobili non registrati alla stessa stregua dei mezzi di pubblicità attuati con la trascrizione degli atti traslativi dei diritti reali immobiliari.Nella sentenza n. 5035 del 2002, il problema posto all'attenzione delle sezioni unite scaturisce come osservammo all'inizio di questo lavoro da una controversia, sorta a seguito della vendita di un appartamento compreso all'interno di un condominio, concernente l'individuazione del soggetto su cui grava l'obbligo di pagamento delle spese ex art. 1123 c.c. Occorre dunque stabilire se il debitore sia l'attuale proprietario oppure sia colui il quale possa apparire tale avendo continuato ad esercitare i diritti di condomino.Allo scopo di risolvere la questione dell'applicabilità o meno in questo campo del principio dell'apparenza, le sezioni unite tacciono in merito alla vexata quaestio sulla natura degli oneri condominiali. Eppure nella citata lite la questione dell'obbligo di pagare le spese ex art. 1123 c.c. richiama inevitabilmente la categoria delle obbligazioni ambulatorie di contenuto reale (propter rem o ob rem), in cui la persona del debitore cambia sulla base del mutamento di titolarità del ius in re(58).Occorre segnalare che la dottrina ha cercato di separare le obbligazioni propter rem dagli oneri reali, ma il discrimen si è rivelato molto labile: lo dimostra il fatto che negli oneri reali l'obbligo ricade sulla cosa; se così, l'obligatio di chi gode della res si estende anche alle prestazioni maturare precedentemente al rapporto con essa. Nelle obbligazioni reali, invece, di regola obbligata dovrebbe essere soltanto la persona nella cui sfera patrimoniale ricadono gli obblighi per le prestazioni maturate dopo l'inizio del rapporto relativo al bene; sennonché tale regola è derogata dalla disciplina in tema di comunione (e dunque anche nel condominio di edifici) ove la legge accolla all'acquirente l'obbligazione di pagamento delle spese dovute dall'alienante ex artt. 1104, comma 3°, c.c. e 63, cpv., disp. att. c.c. (59).In realtà, esemplificazioni a parte, conviene porre in chiaro che quando si parla di onere reale con riferimento all'ordinamento vigente tanto la dottrina quanto la giurisprudenza usano l'espressione perlopiù in senso ampio, come sinonimo di obbligazione propter rem(60).Appurato che nelle obbligazioni ob rem, in virtù dell'acquisto, chiunque si trovi nella situazione di titolarità del diritto sulla res succede automaticamente nel rapporto obbligatorio, ne consegue che in materia condominiale le spese per la conservazione ed il godimento delle cose comuni incombono sul nuovo comproprietario ex art. 1123 c.c., secondo il principio cuius commoda eius et incommoda esse debent(61).Le sezioni unite hanno accolto lo notammo addietro l'indirizzo che nega in subiecta materia l'applicabilità dell'apparenza al fine di individuare il legittimato passivo al pagamento degli oneri condominiali.Dalla motivazione delle sentenze che si uniformano a suddetto orientamento pare però emergere sia pure implicitamente una distorsione dell'essenza strutturale delle obbligazioni ob rem: vale a dire, in esse prevarrebbe il carattere della realità il quale le renderebbe ex se opponibili erga omnes, con l'esito di paralizzare la possibilità di invocare la fattispecie dell'apparentia iuris, di massima strumentale a garantire la tutela dell'affidamento maturato dall'amministratore del condominio sulla base della prospettata situazione apparente (62).Ma proprio questo assunto costituirebbe il punto debole dell'argomentazione qui criticata, stante da un lato l'alterato rapporto che

Page 8: Apparenza e Obbligazioni

ne discenderebbe tra apparenza e pubblicità, dall'altro il travisamento dei caratteri salienti delle obbligazioni reali.Prendendo le mosse da questo secondo profilo, giova sottolineare che nell'obligatio propter rem si rivela più tenue quella nuance di realità che è invece come si è visto peculiare dell'onere reale. In più si aggiunga che individuare con le lame del coltello un criterio discretivo fra obbligazioni e oneri reali può apparire arduo (se non sterile). Ma, al di là di ogni altra considerazione, non sembra dopotutto convincente far rifluire sic et simpliciter le obbligazioni reali nell'alveo degli iura in re(63).A dimostrazione di quanto testé affermato, si pensi infatti alle ipotesi ricorrenti di obbligazioni reali che dottrina e giurisprudenza individuano, con maggior certezza, in materia di usufrutto, servitù, comunione e condominio. A questo riguardo spiccano le obbligazioni dell'usufruttuario di restituzione del fondo (art. 1001 c.c.), di pagamento del canone (se l'usufrutto non è gratuito) e dei carichi annuali imposti sul reddito e sulla proprietà (artt. 1008 e 1009 c.c.), nonché gli oneri di custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa (art. 1004 c.c.). Ulteriori esempi significativi si rinvengono nelle prestazioni cui in materia di servitù può essere eccezionalmente tenuto il titolare del fondo servente in forza dell'atto costitutivo o della legge (arg. ex 1030 c.c.): così si deduce che le spese necessarie per la conservazione della servitù possono ex lege o ex contractu formare il contenuto di un'obbligazione ob rem posta a carico del proprietario del fondo servente (art. 1069, cpv., c.c.), oppure si pensi agli oneri di manutenzione spettanti al concedente in funzione della normale distribuzione delle acque (art. 1091 c.c). Altra ipotesi di obbligazione reale è data dalla facoltà riconosciuta ex art. 1045 c.c. ai proprietari dei fondi, attraversati da fogne o fossi altrui, o comunque interessati da lavori eseguiti in forza dell'art. 1044 c.c., di utilizzare a vantaggio del proprio predio le opere realizzate da altri a patto che ne sostengano in misura proporzionale le spese necessarie (64). Trattasi di un obbligo ob rem avente ad oggetto il contributo dovuto per la manutenzione dei canali utilizzatati e resi comuni, il quale si pone sul medesimo piano di altre norme del codice come quelle previste rispettivamente negli artt. 882, 883 c.c. per la riparazione e l'abbattimento del muro comune, considerate applicazioni particolari dell'art. 1104 c.c.Quest'ultima disposizione costituisce infatti esempio tipico di obbligazione ambulatoria gravante sui partecipanti alla comunione, tenuti a provvedere a determinate spese per la cosa comune; sullo stesso livello si adagiano gli artt. 1118 e 1123 c.c. (65).Sembra fondato desumere da queste esemplificazioni che le obbligazioni in esame, pur qualificate come reali, assumano una veste accessoria rispetto agli iura in re cui afferiscono, profilo questo che non è sfuggito alla dottrina più attenta, con riguardo alla servitù negativa ove peraltro il discrimen tra diritto reale ed obbligo ob rem sembra più labile (66).Possiamo dunque ritenere che l'obligatiopropter rem nasca sì dal diritto reale, ma per così dire viva di "vita" obbligatoria. Prova ne sia, innanzitutto, la mancanza di assolutezza, la quale si esprime attraverso il dominio sulla cosa adversus omnes che solo il diritto reale conferisce al soggetto titolare del ius in re.Non è difatti revocabile in dubbio che l'onere correlato al diritto sulla cosa, pur nascendo sotto il profilo della fattispecie costitutiva dal ius in re, è attratto nelle maglie del rapporto obbligatorio, essendo invocabile per un verso contro il titolare del diritto reale, e per l'altro esclusivamente a favore di colui che beneficia di un rapporto qualificato (dalla vicinitas o da altra circostanza) con il titolare del ius in re.Quanto precede si riflette altresì sul problema della tipicità dato che come noto gli iura in re sono governati dal principio del numerus clausus, sebbene tale limite potrebbe essere aggirato tramite un amplio riconoscimento di obbligazioni reali. I privati sono legittimati a costituire

Page 9: Apparenza e Obbligazioni

rapporti obbligatori allo scopo di realizzare interessi meritevoli di tutela, di modo che collegando tali rapporti ad una relazione di fatto con la res si finirebbe con l'aprire le porte al superamento del principio di tipicità. Sennonché, ove si condivida la già citata tesi secondo cui le obbligazioni reali soggiacciono alla regola della tipicità, ne discende che il suaccennato rischio di aggiramento risulterebbe alquanto ridotto siccome entrerebbe qui in scena la regola a mente della quale la legge lascia ai privati la facoltà di integrare la disciplina legale in tema di diritti reali entro i confini del numero chiuso (67).Resta da osservare che quest'ultimo indirizzo restrittivo non entra necessariamente in contraddizione con la tesi postulante la natura pienamente obbligatoria (sotto il profilo degli effetti) delle obbligazioni reali. Ciò in quanto detto orientamento ricade nell'area della fattispecie costitutiva senza direttamente incidere su quella delimitante il rapporto obbligatorio nascente dal ius in re. La prospettata distinzione fra il profilo genetico ed il rapporto scaturente dall'obligatioob rem è utile a mettere in chiaro che dalla dimostrata relatività del vinculum iuris ob rem è possibile trarre un non infondato argomento a supporto dell'intrascrivibilità della categoria qui indagata. L'obbligazione reale non può infatti essere ex se trascritta come le vicende riguardanti la costituzione e il trasferimento di diritti reali: l'onere della trascrizione può solo interessare la fattispecie costituiva del vincolo legato alla cosa, ma non l'obbligo il quale appunto non partecipa della natura del diritto reale cui accede.A compimento delle riflessioni sin qui svolte sembra evidente che nell'area occupata dalle obligationes propter rem viene alla luce una relazione eminentemente personale fra il titolare della pretesa alla prestazione e l'onerato, come previsto per ogni rapporto obbligatorio, ma non emerge alcun potere immediato sulla cosa che, viceveresa, deriva dal diritto reale opponibile erga omnes, come a ben vedere non era sfuggito alla dottrina più attenta (68).6. Nella sentenza n. 5035 del 2002 la Corte, non ponendosi l'interrogativo circa la natura delle obligationes ob rem, fonda il suo argomentare su una premessa debole: della presunta realità degli obblighi di ripartizione delle spese previsti nell'art. 1123 c.c.Cosicché il Collegio incentra la motivazione sul rapporto che intercorrerebbe fra pubblicità e apparenza: là ove peraltro, come nel caso di specie, l'atto traslativo sia stato trascritto, nulla quaestio, poiché la "realtà" risultante dai registri immobiliari dovrebbe sempre prevalere sulla situazione apparente, nonostante il rilievo empirico che la condotta affidante del venditore dell'immobile, ove egli abbia continuato ad esercitare i diritti di condomino, sia stata fonte di inganno per l'amministratore del condominio.Il ragionamento della Corte pare poco persuasivo: il punctum dolens si scorge, in primo luogo, nell'omessa qualificazione del pagamento degli oneri condominiali come adempimento di un'obbligazione pecuniaria soltanto connessa con la titolarità del diritto di proprietà. I giudici, invece, si trincerano dietro l'apodittico assunto che il rapporto giuridico fra condominio ed effettivo condomino esiste "in ogni caso" nella realtà essendo previsto dagli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c. (69).Il supremo Collegio, forse consapevole della debolezza intrinseca del proprio ragionamento, cerca di rafforzarlo osservando che in ipotesi di procedimento civile, promosso per ottenere la condanna al pagamento delle spese condominiali, l'apparenza non potrebbe operare a causa della sua asserita (sic) natura di istituto proprio del diritto sostanziale e non processuale. Si badi però che la stessa Corte non esita a pervenire alla soluzione opposta, là ove l'apparente condomino non sollevi alcuna contestazione alla richiesta stragiudiziale di pagamento degli oneri condominiali (70). Delle due l'una: o l'apparenza non può trovare mai applicazione in materia di oneri condominiali, oppure se rileva nei rapporti posti al di fuori del processo, non si vede come non possa similmente

Page 10: Apparenza e Obbligazioni

rilevare all'interno del giudizio civile. A questo riguardo è appena il caso di osservare riservandoci di tornare sul punto fra poco che gli istituti di diritto sostanziale non possono di massima subire mutamenti a seconda della circostanza che sia o no stata proposta un'azione giudiziale.Il sorprendente argomentare non può non destare motivate perplessità se solo si confronti il dictum con quanto rappresentato retro sul versante dei criteri ordinatori dell'apparentia iuris e sulle sue applicazioni pratiche (71).I giudicanti, infatti, trascurano di verificare se nel caso sottoposto alla loro attenzione ricorressero gli estremi per invocare l'apparenza. Prova ne sia che la parte venditrice, contro cui era stato proposto il ricorso monitorio, aveva continuato ad esercitare i diritti di condomino presentandosi come effettivo proprietario. Pare dunque ragionevole intravedere nel venditore una condotta atta a ledere l'affidamento riposto dall'amministratore del condominio sull'effettiva corrispondenza della concreta situazione apparente a quella realmente esistente, cui si affianca un comportamento perlomeno colposo del nuovo acquirente.A questo punto dell'indagine conviene rammentare che colui il quale invochi l'apparenza deve essere in buona fede. Quantunque la sussistenza di siffatto ulteriore requisito non sembrerebbe sindacabile nel caso in esame, tuttavia la suprema Corte accoglie l'orientamento secondo cui "quando la legge con i normali sistemi di pubblicità consente al contraente di accertarsi del vero stato delle cose, non è necessario alcun principio che protegge la buona fede del terzo" (72).Le sezioni unite alludono come si è anticipato al rapporto che intercorrerebbe fra apparenza e trascrizione immobiliare: là ove, da un lato, si sia confidato su una situazione apparente, ma esista dall'altro una forma di pubblicità dichiarativa, la prima dovrebbe cedere dinanzi alla trascrizione del titolo.I giudici, attraverso questa tesi, avallano l'inatteso epilogo che vedrebbe l'amministratore di condominio (o comunque il legale incaricato all'uopo di agire in giudizio) tenuto a consultare in ogni caso i registri immobiliari, come se la portata dell'apparenza fosse addirittura condizionata dalla diligenza di chi si dovrebbe adoperare per effettuare sempre le opportune ricerche.È di immediata percezione che, prendendo le mosse da un siffatto assunto, si giunge come accennato al paradosso di considerare l'azione giudiziaria alla stregua di elemento demolitore dell'apparenza.In realtà, così motivando, si palesa la già evocata debolezza dell'iter argomentativo sorreggente il precedente, il quale sembra essersi ispirato più a criteri equitativi, che non ai principi di diritto destinati ad orientare il giudizio di legittimità: si è così imposto al destinatario della condotta affidante un onere di diligenza alquanto gravoso, a differenza di analoghe controversie ove, al contrario, il sistema pubblicitario ha ceduto il passo all'operatività dell'apparenza e la consultazione dei registri immobiliari è, al limite, assurta a mera indagine cautelativa (73).Ma sussistono ulteriori ragioni in grado di suffragare l'opinione secondo cui non sarebbe conferente, nelle controversie in materia di obbligazioni reali, risolvere il conflitto sulla base della considerazione che la pubblicità sia sempre un limite all'efficacia dell'apparenza (74).L'assunto deve infatti essere in primo luogo posto in correlazione sistematica con la funzione tipica della trascrizione che come noto è quella di rendere pubbliche le vicende relative alla circolazione giuridica di determinati beni: il fine ultimo dell'istituto è pertanto quello di garantire una presunzione legale di conoscenza e, come effetto, l'inopponibilità ai terzi dell'atto non trascritto.Tuttavia occorre tener presente che la pubblicità non è elemento costitutivo dell'acquisto del diritto di proprietà. Cosicchè, è possibile rivendicare un immobile a prescindere dall'avvenuta pubblicità dell'acquisto, sempre che altri non abbia trascritto prima (75): la validità

Page 11: Apparenza e Obbligazioni

dell'atto traslativo, ovviamente, prescinde dalla pubblicità del contratto.La trascrizione dei negozi traslativi ha funzione dichiarativa e svolge infatti il precipuo compito di risolvere un conflitto fra titoli quando vi siano più acquirenti dallo stesso autore; per questo motivo il sistema è incentrato sul dettato dell'art. 2644 c.c. a mente del quale si accredita, attraverso la tempestiva trascrizione, il criterio di preferenza tra due atti d'acquisto incompatibili in opposizione al canone prior in tempore potior in iure.Nonostante la chiarezza della lettera della legge, la dottrina non ha esitato a precisare che, mancando un dissidio fra conflittuali atti traslativi o costitutivi di iura in re, gli effetti della trascrizione sono sul punto neutri (76).Il rilievo è fondamentale per il discorso che si sta svolgendo siccome dalla pronuncia n. 5035 del 2002 si scorge un conflitto fra diritto dominicale e obbligazione costituita dal pagamento degli oneri condominiali, e non già un contrasto fra iura in re, il quale ultimo farebbe entrare in azione l'art. 2644 c.c., con l'esito di riconoscere alla trascrizione il ruolo di limite dell'apparenza (77).Alla luce del quadro appena tratteggiato, parrebbe preferibile riconoscere la natura obbligatoria del rapporto scaturente dagli oneri condominiali; posta questa base, non dovrebbe assumere qui rilevanza il meccanismo pubblicitario cui spetta invece come si è cercato di dimostrare il compito di dirimere un contrasto fra diritti reali (78).Merita aggiungere che la riconduzione implicita delle obbligazioni ob rem nei confini dei diritti reali non ha ragion d'essere neppure ipotizzando di dover soddisfare un'esigenza di opponibilità dell'onere reale ai terzi, giacché il problema si gioca su due piani diversi: la proprietà è opponibile, limitatamente alla soluzione di conflitti, con la trascrizione, ma l'onere reale è un obbligo in riferimento al quale torniamo a ripetere è suscettibile di trascrizione la sola fattispecie costitutiva, che nel caso qui indagato è rappresentata dall'acquisto della porzione solitaria.Poste queste premesse, e costatato che l'obligatio propter rem non è un diritto reale, sembrano di riflesso svanire le remore all'operatività dell'apparenza in subiecta materia.Non si tratterebbe dunque di affievolire la portata del sistema pubblicitario, ma di comprendere che il nodo della controversia sottesa dalla sentenza qui discussa non implica l'applicazione della disciplina in tema di trascrizione, in quanto trattandosi di vicenda obbligatoria rileva solo indirettamente la proprietà della res vendita(79).La pubblicità dovrebbe farsi dunque da parte e non porsi in contrapposizione con l'istituto dell'apparenza qualora sia dato scorgere al limite un onere cautelativo di consultazione, ma non un conflitto fra titoli: campo di prova di quanto esposto è l'ipotesi della rappresentanza apparente.Come si è già accennato retro, accennando ai criteri ordinatori dell'apparenza, il principio in parola ha trovato applicazione anche in ipotesi ove la legge prescrive strumenti ad hoc per rendere noto al terzo la reale situazione di diritto. Si allude al sistema pubblicitario in materia di società commerciali, il quale di fatto è rimasto incompleto fino all'istituzione del registro delle imprese di cui alla legge 29 dicembre 1993, n. 580.Non si può negare che la questione della rappresentanza apparente, in riferimento allo statuto dell'imprenditore commerciale, è stato per la giurisprudenza terreno di scontro fra apparenza e pubblicità risoltosi, in passato, nel senso di ritenere di massima il terzo pregiudicato dalla pubblicità, pur non mancando però pronunce di segno opposto (80).Tuttavia tra le pronunce più recenti emerge che spesso le Corti hanno messo addirittura fuori gioco l'apparato pubblicitario ogni qual volta la situazione apparente era a tal punto persuasiva da non suscitare neppure il dubbio circa l'esigenza di effettuare dei controlli. Così si è risolta la

Page 12: Apparenza e Obbligazioni

controversia applicando l'apparentia iuris anche se i poteri di rappresentanza erano stati pubblicati e dunque sarebbe bastata una "visura camerale" per accertarli (81). Oppure si è reputata colposa la condotta di una società, apparente rappresentata, che aveva provveduto a far iscrivere presso il registro delle imprese la revoca della procura di un suo agente, ritenendo tale adempimento insufficiente per informare la clientela, posto che l'ex rappresentante, pur con altra mansione, era rimasto senza soluzione di continuità a lavorare nei locali dell'agenzia (82).Questo orientamento giurisprudenziale sembra convincente, anche perché risponderebbe ai dettami della legislazione comunitaria. Basti pensare infatti al d.p.r. 29 dicembre 1969, n. 1127 che, in esecuzione delle direttive Cee in materia societaria volte ad armonizzare la disciplina fra gli Stati membri relativa alle persone che hanno il potere di obbligare la società, ha novellato l'art. 2384 c.c.: il comma 2° dispone che "le limitazioni al potere di rappresentanza che risultano dall'atto costitutivo o dallo statuto, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società".Se dunque l'apparentia iuris prevale di massima sulla pubblicità commerciale, pare giustificato dubitare che in materia immobiliare la soluzione debba essere diversa: trascrizione e apparenza non avrebbero dovuto, nel caso sottoposto all'esame delle sezioni unite, escludersi a vicenda, dal momento che richiamate le considerazioni sopra esposte ciò che rileva è la lesione dell'affidamento dell'amministratore con la conseguente irrilevanza del dibattito incentrato sul conflitto fra diritti dominicali ex art. 2644 c.c.7. Avviandoci alla conclusione di questo lavoro, pare importante sottolineare che le sezioni unite finiscono con l'indebolire la criticata interpretazione double face dell'apparenza in subiecta materia (a seconda che sia stato promosso il giudizio civile) là dove riconoscono, sia pure obiter, la portata generale del principio (83).L'apparentia iuris per tutto dire esprime al massimo livello l'esigenza, sempre più avvertita dal diritto privato moderno, di tutelare le situazioni affidanti.Si parli infatti vuoi di principio di autoresponsabilità, vuoi di apparenza giuridica, affiora sempre un aggregante punto di riferimento, nel senso che chi ingenera l'aspettativa di colui che è indotto a confidare in buona fede su una data situazione, sia pure non corrispondente a quella reale, dovrà assumersi il rischio della sua condotta noncurante.D'altronde la tutela dell'affidamento, forgiatasi in materia contrattuale, si va estendendo dall'àmbito dei diritti privati a quello dei rapporti pubblici, assurgendo a principio generale (84).L'apparenza, in questo contesto, assume analoga funzione, garantendo la protezione di quei terzi in buona fede che altrimenti vedrebbero ingiustamente disattesa la loro legittima aspettativa di tutela.In conclusione il precedente delle sezioni unite entra in collisione con questi principia, ma il vulnus affiorante dagli obiter dicta forse stimolerà un auspicabile ripensamento delle Corti in materia di applicazione dell'apparenza alle obbligazioni propter rem.

(1) Cfr. D'Amelio, Sull'apparenza del diritto, in Mon. trib., 1934, spec. p. 523; Falzea, voce Apparenza, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 682 ss., ora pubblicata in Voci di teoria generale del diritto³, Milano, 1985, p. 97 ss. (mette conto segnalare al lettore che le citazioni che seguono si riferiscono alla seconda delle fonti indicate).(2) Cass., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035, in Guida al dir., 2002, 17, p. 42 ss., con nota di Piselli, Inapplicabile il principio dell'apparenza del diritto quando non si deve tutelare la buona fede dei terzi, ivi, p. 48 ss. (si rammenti che le successive citazioni della sentenza si riferiscono a questa

Page 13: Apparenza e Obbligazioni

pubblicazione); in Giust. civ., 2002, I, p. 1827 ss., con nota di Izzo, Sull'apparenza del diritto nel condominio e l'onere di consultazione dei registri immobiliari, ivi, p. 1836 ss.; in Corr. giur., 2002, p. 1577, con nota di C. Villani, Il principio dell'apparenza del diritto e la sua applicazione in materia condominiale: le sezioni unite compongono il contrasto di giurisprudenza, ivi, p. 1582 ss.; in Giust. civ., 2003, I, p. 1641 ss., con nota di Monticelli, Quando la "formalità sufficiente" esclude l'operatività e la tutela del principio dell'apparenza del diritto, ivi; nonché con nota di Mazzieri, Spese condominiali ed accertamento della titolarità dell'immobile, la Suprema Corte pone termine a un dibattito ventennale sull'apparenza del diritto, ivi, p. 1901 ss.(3) Trattasi di Cass., 20 marzo 1999, n. 2617, in Arch. loc., 1999, p. 410 s.(4) In particolare v. Cass., 14 febbraio 1981, n. 907, in Giust. civ., 1981, I, p. 2998 ss., con nota di Raganelli, Apparenza del diritto e risultanze dei registri immobiliari, ivi, p. 3000 s.; nonché in Foro it., 1981, I, c. 1318 s., con nota redazionale di Sforza (si segnala che le successive citazioni della sentenza si riferiscono alla prima delle due pubblicazioni indicate).(5) Sono tali i casi di apparenza previsti e riconosciuti dal legislatore su cui cfr., per un primo inquadramento, Bessone-DiPaolo, voce Apparenza, in Enc. giur. Treccani, II, Roma, 1988, p. 3. S'intende alludere alla salvezza ex art. 534 c.c. dei diritti acquistati dai terzi in buona fede per effetto di convenzioni a titolo oneroso dall'erede apparente, alla validità del matrimonio celebrato dinanzi ad un apparente ufficiale dello stato civile (art. 113 c.c.), all'acquisto della proprietà per usucapione decennale (art. 1159 c.c.), al pagamento effettuato al creditore apparente (art. 1189 c.c.), agli atti compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato (art. 1729 c.c.), alle annotazioni sul libretto di deposito al risparmio firmate dall'impiegato che appare addetto al servizio (art. 1835 c.c.).(6) V., in particolare, Falzea, voce Apparenza, cit., spec. p. 101 ss.(7) Cfr. Cass., 14 febbraio 1981, n. 907, cit., che opera un singolare distinguo su cui si ritornerà infra fra casi in cui vi è un nesso diretto fra trascrizione nei registri immobiliari e apparenza ed altri, invece, in cui il rapporto negoziale sarebbe suscettibile di essere ricondotto solo in via mediata alla situazione giuridica resa pubblica. Nella prima ipotesi la tutela dell'apparenza non potrebbe essere invocata da chi abbia trascurato di accertare sui pubblici registri la situazione giuridica; nel secondo caso ciò che risulta dai libri fondiari declasserebbe a semplice indagine cautelativa. Cosicché, conclude il Collegio, l'apparenza può essere applicata quando la situazione risultante dai pubblici registri "non venga in rilievo direttamente, ma solo come presupposto della fattispecie complessa, rilevante autonomamente sul piano giuridico". L'iter argomentativo trova riscontro anche nella successiva giurisprudenza di merito: v., in particolare, Trib. Milano, 3 marzo 1986, in Arch. loc., 1986, p. 476 s., il quale precisa che la pretesa di riscossione dei contributi condominiali fatta valere dall'amministratore non implica l'accertamento della posizione di proprietario del presunto condomino, poiché essa concerne "l'adempimento di un'obbligazione pecuniaria connessa con la titolarità del diritto di proprietà, e non questo diritto di per sé, o nei suoi riflessi reali".(8) Così infatti Cass., 14 febbraio 1981, n. 907, cit.; ed anche Cass., 16 novembre 1984, n. 5818, in Arch. loc., 1985, p. 285.(9) Cfr. Cass., 8 luglio 1998, n. 6653, in Giust. civ., 1998, I, p. 2763 ss., con nota di Renga, Apparenza del diritto ed oneri condominiali, ivi, p. 2764 s.; in Foro it., 1998, I, c. 2783 ss. Occorre tuttavia osservare che nel precedente ora menzionato la res litigiosa aveva ad oggetto un contratto di locazione e non già di vendita.(10) Così Cass., 27 giugno 1994, n. 6187, in Corr. giur., 1994, p. 829 ss. con nota di V. Carbone, Apparenza del diritto e spese condominiali, ivi, p. 831 ss.; in Foro it., 1995, I, c. 866 ss., con nota redazionale di Piombo; e in

Page 14: Apparenza e Obbligazioni

Riv. giur. edilizia, 1995, I, p. 792 ss. con nota di DeTilla, Contrasti sulla legittimazione del condomino apparente, ivi, p. 796 ss. Più di recente cfr. Cass., 19 aprile 2000, n. 5122, in Riv. giur. edil., 2000, I, p. 1049 ss., con nota di Avolio, Il principio dell'apparenza del diritto nella ripartizione delle spese condominiali, ivi, p. 1050 ss.; e in Corr. giur., 2000, p. 1335 ss., con nota di DeMarzo, Apparenza del diritto e pagamento delle quote condominiali: permane il contrasto nella giurisprudenza di legittimità, ivi, p. 1336 s.(11) Cfr. Falzea, voce Apparenza, cit., p. 140.(12) Falzea, op. ult. cit., p. 136 ss.(13) Si pensi, ad esempio, al diritto di famiglia ove il coniuge rimasto estraneo al contratto è stato chiamato a rispondere delle obbligazioni contratte dalla consorte là ove, oltre a soddisfare l'interesse della famiglia, rilevi "l'affidamento, ingenerato dai coniugi stessi con il loro comportamento, che l'obbligazione sia stata contratta anche per conto del coniuge non stipulante": così Cass., 25 luglio 1992, n. 8995, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 26 ss., con nota di Caravaglios, Rilevanza esterna del regime primario della famiglia e responsabilità solidale dei coniugi, ivi, p. 29 ss. La sentenza è esaminata da Calvo, La famiglia e le successioni. Casi e problemi, Torino, 2004, p. 81, il quale mette in luce che nel precedente ora citato l'apparenza sarebbe tuttavia intesa in senso improprio, perché "la solidarietà nasce non già dall'immagine riflessa di una procura o di una legittimazione "proiettata" dall'azione noncurante del soggetto falsamente rappresentato, bensì da una non transitoria condotta la quale permette ai terzi di desumere il contenuto dell'accordo sull'indirizzo della vita familiare rilevante ai sensi dell'art. 144 cpv. c.c.". Evocano altresì il principio dell'apparenza in materia di responsabilità patrimoniale dei coniugi: Cass., 8 gennaio 1998, n. 87, in Giust. civ., 1998, I, c. 1314 ss.; Cass., 7 luglio 1995, n. 7501, ivi, 1996, I, c. 142 ss.; nonché Cass., 28 aprile 1992, n. 5063, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 820 ss., con nota di Quadri, Obbligazioni contratte per soddisfare necessità familiari e responsabilità dei coniugi, ivi, p. 822 ss.(14) Cfr. Sacco, voce Apparenza, in Dig., disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 357 che, esaminando la teoria di Falzea, osserva: "ogni contaminazione fra fatto apparente (contrapposto e reale) e elemento esterno della fattispecie è sconfessato; e l'analisi concettuale della categoria si raffina con rigore che raggiunge il virtuosismo".(15) Cfr. Bessone-DiPaolo, voce Apparenza, cit., p. 3.(16) Per un'analisi dell'evoluzione storica dell'istituto dal diritto romano a quello francese ed austriaco, v. Tardivo, L'erede apparente, Padova, 1932, pp. 1-19.(17) Cfr. sul punto la casistica esaminata da D'Amelio, L'apparenza del diritto nella giurisprudenza francese, in Mon. trib., 1934, p. 641 ss.(18) Così Sacco, voce Apparenza, cit., p. 354, il quale osserva che di proprietà apparente "si riconoscono tre epifanie: il proprietario simulato, o prestanome, e l'erede apparente, che noi già conosciamo; cui qualche interprete aggiunge colui che risulti tale per un errore generalizzato della comunità giuridica". Gli aa. francesi non distinguono, però, fra apparenza ed errore comune anche se i due princìpi non andrebbero confusi: v. D'Amelio, voce Apparenza del diritto, in Noviss. dig. it., 1957, I, Torino, p. 716; Id., L'apparenza del diritto nella giurisprudenza francese, cit., p. 641, il quale, cercando di chiarire come si forma l'error communis, spiega che "costituitasi cotesta opinione generale, è essa stessa che trae in inganno le persone di buona fede, indipendentemente dal contegno o comportamento della persona, cui l'errore si riferisce", mentre "nell'apparenza del diritto gioca, invece, principalmente il detto contegno, che è causa dell'inganno del terzo". Sulle origini della teoria dell'errore comune cfr. le osservazioni di Moschella, Contributo alla teoria dell'apparenza giuridica, Milano, 1973, p. 49 ss. Come osserva Rajneri, Il principio dell'apparenza giuridica, Trento, 2002, p. 16 ss., la massima

Page 15: Apparenza e Obbligazioni

dell'error communis facit ius aveva trovato fortuna presso le corti francesi superando la teoria della saisine collective, concetto evanescente derivante dalle consuetudini germaniche ed assimilabile alla Gewere che indicava sia la signoria fisica sul bene sia la capacità di disporne. V., altresì, Jobard-Bachellier, L'apparence en droit international privé, Paris, 1984, p. 45 ss., la quale incentra la sua analisi sugli effetti dell'applicazione dell'apparenza nel diritto internazionale privato, ma per esaminare i punti nodali del problema muove proprio dalla disciplina dell'errore, ponendo in luce, fin dall'incipit del suo lavoro, che "l'erreur, source de droit, en matière d'apparence, doit être distinguée des autres erreurs, source de droit, en raison de ses effets spécifiques qui permettent exclusivement de valider les situations mises en cause" (ivi, p. 11).(19) Huber, Die Bedeutung der Gewere in deutschen Sachenrecht, Bern, 1894, passim.(20) Naendrup, Die Gewere Theorien, Münster, 1910, p. 74.(21) Naendrup, op. ult. cit., p. 78.(22) Krückmann, Nachlese zur Unmöglichkeitslehre, in Jherings Jahrbüchern für Dogmatik, 57 (1910), spec. p. 189; Id., Einführung in das Recht, Tübingen, 1912, spec. p. 172 s. Sulla scia della predetta dottrina si colloca l'opera di Finzi, Il possesso dei diritti, Roma, 1968 (rist.), p. 241 ss.(23) Naendrup, Die Gewere Theorien, cit., p. 80 nota 5.(24) Cfr. sul punto Rajneri, Il principio dell'apparenza giuridica, cit., p. 101 ss.; nonché Jobard-Bachellier, L'apparence, cit., p. 367 ss. che mette in luce le differenze fra istituto dell'estoppel e teoria dell'apparenza così come elaborata nel sistema francese.(25) V. la casistica riportata da D'Amelio, Sull'apparenza del diritto, cit., p. 521 ss.(26) Il primo interlocutore italiano con la dottrina germanica fu Finzi (Il possesso dei diritti, cit.) cui seguì, nell'àmbito del diritto commerciale, l'elaborazione di Mossa (Dichiarazione cambiaria, in Riv. dir. comm., 1930, I, p. 305 ss.), sviluppata ulteriormente da Sotgia (Apparenza giuridica e dichiarazioni alla generalità, Roma, 1930, spec. p. 263 ss.). A questi aa. si obietta tuttavia di non spiegare con chiarezza il fondamento di un istituto considerato così sui generis e neppure di definirne i limiti di applicazione: v., in tal senso, G. Stolfi, L'apparenza del diritto, Modena, 1934, p. 5 ss., che esprime "netto dissenso dalle tendenze dottrinali in parola, che minacciano di sconvolgere senza ragione il nostro sistema giuridico". Si profila altresì l'opinione di chi ritiene che la tutela dell'apparenza vada posta a confronto con l'effetto della pubblicità: così Bolaffi, Le teorie sull'apparenza giuridica (Note critiche), in Riv. dir. comm., 1934, I, p. 131 s.(27) Cfr. D'Amelio, voce Apparenza del diritto, cit., p. 714 ss. Si badi che l'articolo riproduce pressoché integralmente la stessa voce già apparsa nel 1937 sul Nuovo dig. it., sentore forse questo che l'elaborazione contenuta nella prima pubblicazione del contributo vigente il codice del 1865 era già rappresentativa dell'affermarsi a pieno titolo dell'istituto.(28) Cfr., ad esempio, Cass., 9 agosto 1934, in Foro it., 1935, I, c. 103 ss. con nota di A. Segni, Osservazioni sull'erede apparente, ivi, c. 104 ss.(29) Cfr. P. Bonfante, Successione Erede apparente Alienazione, nota ad App. Venezia, 23 aprile 1894, in Foro it., 1895, I, c. 238, secondo cui per contraddistinguere l'erede apparente bisogna guardare alla "sua esteriore parvenza di fronte ai terzi, all'opinione che altri o il pubblico n'abbia". Al riguardo Tardivo, L'erede apparente, cit., p. 31 chiarisce che "erede apparente è colui che possiede con veste di erede, e come tale si comporta senz'esserlo, a prescindere dalla sua buona o male fede, purché appaia ai terzi possessore pubblico, pacifico e non equivoco dell'eredità", mentre nel diritto romano continua l'a. (ivi, p. 60) "la validità delle alienazioni era ammessa per tutelare la buona fede dell'erede apparente, quindi solo quando quest'ultimo fosse tale".

Page 16: Apparenza e Obbligazioni

(30) In giurisprudenza si è anche sostenuto, al contrario, che valesse la presunzione ex art. 702 c.c. 1865 di buona fede del terzo: v., ad esempio, App. Roma, 19 luglio 1932, in Foro it., 1935, I, c. 104 ss. con nota di A. Segni, Osservazioni sull'erede apparente, ivi, cit.; Cass., 12 giugno 1945, n. 425, in Rep. Foro it., 1943-45, voce "Successione legittima o testamentaria", n. 152. Tardivo, L'erede apparente, cit., p. 113, mette invece in luce che la presunzione ex art. 702 c.c. non ha portata generale, ma vale unicamente per i possessori di beni ereditari e non anche per i terzi acquirenti.(31) Così v. Mengoni, Gli acquisti "a non domino"³, Milano, 1975, p. 153.(32) Cfr. Cass., 14 luglio 1955, n. 2231, in Giust. civ., 1955, I, p. 1245. Alcuni rilievi anche in App. Firenze, 27 febbraio 1948, in Riv. dir. comm., 1949, II, p. 100 ss., con nota di Sacco, Se il detentore di beni ereditari sia erede apparente, ivi, p. 100 ss.(33) Per usare gli stessi termini con cui affronta il tema Messinetti, La tutela della proprietà "sacrificata". Contributo allo studio delle circolazioni acquisitive legali, Padova, 1999, p. 183 ss.(34) Per una diversa prospettiva v. Galli, Il problema dell'erede apparente, Milano, 1971, pp. 31, 237 ss. e spec. p. 261, il quale sostiene che "il cardine della disciplina legislativa non è tanto l'erede apparente, quanto piuttosto ed in primo luogo l'intera vicenda successoria" e continua "apparente e non vero non è tanto l'erede, quanto l'intero procedimento successorio mortis causa" perché ad esempio "apparente può essere la morte (e quindi l'apertura della successione), il tipo di delazione, l'accettazione".(35) Pare opportuno almeno segnalare Cass., 30 marzo 1971, n. 929, in Giur. it., 1971, I, 1, c. 1102 ss., che ritiene configurabile una sorta di concorso nella stessa persona della qualità di erede vero ed erede apparente; nonché Cass., 24 aprile 1954, n. 1262, in Giust. civ., 1956, I, p. 828 ss.; anche in Riv. dir. comm., 1957, II, p. 105 ss., con nota di Mengoni, In tema di terzi acquirenti mediati dall'erede apparente, ivi, p. 105 ss., in cui si asserisce che la qualità di erede apparente non si può trasferire all'erede che subentra nella posizione giuridica del defunto, già erede apparente.(36) In questo senso v., ad esempio, Cass., 29 settembre 1959, n. 2627, in Foro pad., 1960, I, c. 28 ss., spec. c. 34, ove i giudici chiariscono che "la tutela della buona fede del terzo acquirente dall'erede apparente, stabilita dal secondo comma dell'art. 534 c.c., non sia applicabile tutte le volte in cui l'errore del terzo sia dipeso dall'omissione, da parte sua, della normale diligenza in ordine all'accertamento della reale situazione giuridica". Così anche Cass., 6 marzo 1961, n. 479, in Rep. Foro it., 1961, voce "Successione legittima o testamentaria", n. 62bis; Cass., 7 ottobre 1954, n. 3393, ivi, 1954, n. 91.(37) V. sul punto diffusamente Mengoni, Acquisti, cit., p. 352 ss., spec. p. 366.(38) In questo senso cfr. Galli, Il problema dell'erede apparente, p. 348, nota 195; Busnelli, voce Erede apparente, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, p. 206; L. Ferri-Zanelli, Della trascrizione immobiliare³, in Comm. c.c. Scialoja-Branca., a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1995, p. 272 s. V., altresì, Palazzo, Apparenza e pubblicità degli acquisti mortis causa e trans mortem, in Familia, 2005, spec. pp. 53-55, il quale puntualizza non si possa negare che "il fenomeno dell'apparenza sia del tutto autonomo da quello pubblicitario, ma è la stessa legge ad instaurare un nesso inscindibile tra acquisto di immobili (o mobili registrati) dall'erede apparente e trascrizione dell'acquisto dell'erede apparente" (ivi, p. 56). L'orientamento è stato accolto anche dai giudici di legittimità: cfr. Cass., 15 marzo 1980, n. 1741, in Giust. civ., 1980, I, p. 1909 ss., con nota critica di Triola, L'art. 2652 n. 7 c.c. e la prova della buona fede, ivi, p. 1913 s.(39) Cfr. Galli, Il problema dell'erede apparente, cit., p. 92 s.; Busnelli, Erede apparente, cit., p. 200.

Page 17: Apparenza e Obbligazioni

(40) In questo senso v. Mengoni, Acquisti, cit., p. 295 s.(41) Mengoni, op. ult. cit., spec. pp. 161 s. e 298 ss. Condividendo questo argomentare i giudici di legittimità hanno allora modificato un loro precedente orientamento (si allude a Cass., 15 marzo 1980, n. 1741, cit.) ritenendo che per l'art. 2652, n. 7, c.c., distinto dalla previsione di cui all'art. 534 c.c., operi il principio generale secondo cui la buona fede si presume: così Cass., 21 marzo 1989, n. 1409, in Riv. not., 1990, p. 526 ss., con nota adesiva di DeRosa, Acquisti immobiliari a titolo gratuito dall'erede apparente e onere di prova della buona fede: un nuovo orientamento della Corte di cassazione, ivi, p. 530 ss.; nonché in Giur. it., 1989, I, 1, c. 1714 ss., con nota adesiva di Buonpensiere, Sulla prova della buona fede del terzo acquirente nelle ipotesi dell'art. 2652, n. 7, c.c., ivi, c. 1713 ss.(42) La dottrina pare favorevole all'applicazione estensiva: v. in particolare Busnelli, Erede apparente, cit., p. 208; Bucelli-Galli, Acquisto dal legatario apparente, in Familia, 2004, p. 737 ss.; L. Ferri-Zanelli, Della trascrizione immobiliare, cit., p. 338 s.; ulteriori riferimenti in Tardivo, L'erede apparente, cit., p. 27 s.; DelBene, Acquisti mortis causa, trascrizione e apparenza, Milano, 2000, p. 253 ss. Contra, nel senso di un'interpretazione letterale dell'art. 534 c.c., si è espressa Cass., 28 gennaio 1995, n. 1048, in Riv. not., 1996, p. 1287 ss. Lamenta una sistematica difettosa nel rapporto fra acquisto ex art. 534, cpv., c.c. e disciplina della trascrizione, Mengoni, Acquisti, cit., p. 160 ss., che ritiene ancora aperto il problema della configurabilità in capo al legatario di una situazione di apparenza.(43) In particolare, oltre all'esaminata fattispecie dell'art. 534 c.c. ed a quella di cui si dirà subito nel testo del pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c., si allude alla protezione del diritto del terzo ex art. 1415 c.c. che ha acquistato in buona fede dal titolare apparente, all'efficacia del matrimonio celebrato ai sensi dell'art. 113 c.c. davanti ad un apparente ufficiale di stato civile e alla piena prova fra banca e depositante ex art. 1835, comma 2°, c.c. delle annotazioni sul libretto di risparmio firmate dall'impiegato, apparente addetto al servizio.(44) In merito alla fattispecie disciplinata nell'art. 1189 c.c., v., per tutti, Giorgianni, Creditore apparente, in Scritti minori, Napoli, 1988, p. 366 ove si chiarisce che "alla mancanza del diritto nell'apparente creditore in che consiste l'essenza della cosiddetta apparenza corrisponde la mancanza della legittimazione a ricevere l'adempimento nell'apparente legittimato: entrambi non sono, in verità, abilitati a ricevere l'adempimento, per cui l'eccezionale liberazione del solvens è fondata esclusivamente sulla tutela della sua buona fede di fronte a "circostanze univoche" che l'hanno tratto in inganno malgrado l'uso della diligenza richiesta". L'a., osservando l'organizzazione delle imprese commerciali, costata che "l'àmbito di applicazione dell'art. 1189 comprenda tutte le ipotesi di pagamento effettuato a chi, in base a circostanze univoche, appare legittimato a ricevere la prestazione, e cioè a chi appare come il creditore ovvero come una di quelle persone elencate dall'art. 1188". Cfr. anche Moschella, Contributo alla teoria dell'apparenza, cit., p. 164 ss.(45) Cfr., fra le tante, Cass., 19 gennaio 1987, n. 423, in Nuova giur. civ. comm.,1987, I, p. 486 ss., con nota redazionale di Ceccherini, ivi, p. 488 ss.; Cass., 7 maggio 1992, n. 5436, in Foro it., 1992, I, c. 2680 ss. con nota redazionale di DeMarzo, ivi, p. 2680 s.(46) In questo àmbito ciò che appare è la relazione, in realtà inesistente, tra rappresentato putativo e rappresentante e non la titolarità del diritto. V., in particolare, Zanelli, Rappresentanza e gestione, in Studi urbinati, 1965-66, p. 296 ss.(47) Rileva dunque anche un comportamento omissivo del rappresentato: v. Cass., 17 maggio 2001, n. 6756, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 365 ss., con nota di Meoli, Apparenza e responsabilità della banca per fatto degli ausiliari, ivi, p. 371 ss. Oppure si pensi ai casi in cui gli

Page 18: Apparenza e Obbligazioni

amministratori di una società abbiano consentito più volte ad un agente senza rappresentanza di compiere atti giuridici in nome e per conto della società stessa: cfr., ex pluribus, Cass., 29 luglio 1992, n. 9083 in Giur. it., 1993, I, 1, c. 564 ss., con nota redazionale di Weigmann; Cass., 20 aprile 1970, n. 1129, in Giust. civ., 1970, I, p. 1873 ss.In dottrina v. Patti, Profili di tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978, spec. p. 150 ss., in cui si sottolinea che la responsabilità del rappresentato è riconducibile alla violazione del principio di buona fede.(48) V., in particolare, Cass., 19 febbraio 1993, n. 2020, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 2088 ss., con nota di Traniello, Preposizione institoria ed apparenza: brevi note su orientamenti vecchi e nuovi, ivi, c. 2087 ss.: la controversia ha ad oggetto la validità di un accordo transattivo stipulato dal capo dipartimento vendite prodotti speciali di una società, privo dei necessari poteri di rappresentanza. Con un iter argomentativo che si discosta dall'orientamento maggioritario, la Corte osserva in punto colpa della società che "la posizione di colui al quale la situazione giuridica appare, senza sua colpa, esistente, deve essere tutelata, nel conflitto di interessi contrapposti, anche senza ed indipendentemente dal concorso di un simile elemento, se si vuole evitare che la sua protezione divenga evanescente". La pronuncia ha suscitato le critiche della dottrina: v., per ulteriori riferimenti, Tranquillo, Fondamento, limiti e tendenze del principio di apparenza in materia di rappresentanza, in Giur. it., 1996, IV, c. 426 ss.(49) Cfr., tra le altre, Cass., 19 settembre 1995, n. 9902, in Resp. civ. e prev., 1997, p. 169 ss., con nota di Rajneri, Ciò che la Cassazione non dice sull'apparenza "pura", ivi, p. 171 ss. La forza espansiva dell'apparenza ha peraltro indotto la suprema Corte ad applicare l'istituto anche in casi di mandato senza procura riconoscendo, in forza della condotta affidante posta in essere dal mandante, la legittimazione del terzo ad agire contro il mandante stesso al fine di ottenere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo. In questo senso spicca Cass., 13 gennaio 1990, n. 92, in Giust. civ., 1990, I, p. 1252 ss., ove si legge che "anche sotto il profili della apparenza del diritto, del resto, una volta che il mandante abbia con la domanda di pagamento diretto, manifestato di volere assumere a proprio carico ed in prima persona la esecuzione dell'affare sembra ragionevole il convincimento nel terzo il quale abbia contrattato con il mandatario-commisionario che i compiti gestori a quest'ultimo affidati siano stati ormai esauriti e che controparte nel rapporto, pervenuto alla sua fase esecutiva, sia ormai soltanto colui che accentra in sé la titolarità del credito (azionato) e la disponibilità del bene alienato" (ivi, p. 1256). La sentenza è criticata da Calvo, I singoli contratti. Casi e problemi, Torino, 2004, p. 143 s., secondo cui sarebbero state preferibili altre vie per proteggere il terzo acquirente, ponendo in luce che "il mandato senza procura rappresentava nel raffigurato contesto una fattispecie negoziale ingegnosamente sfruttata allo scopo di eludere la responsabilità patrimoniale del mandante (art. 2740 c.c.). Oppure sostenendo che l'interposizione non era reale ma fittizia, laddove il pagamento del prezzo ex latere accipientis nelle mani del mandante avrebbe permesso d'intravedere il perfezionamento di un accordo diretto fra terzo avente causa del mandatario e dominus negotii".(50) Occorre dunque individuare i limiti di operatività dell'istituto: v., in particolare, Bonelli, Studi in tema di rappresentanza e di responsabilità dell'imprenditore, Milano, 1968, p. 21 ss., spec. p. 227 s., ove si legge che "la protezione che il terzo può ricevere sulla base del sistema di rappresentanza in forza di apparenza non è, però, illimitata. Essa, emergendo dall'interpretazione del diritto positivo e non dalla invocazione aprioristica di un generale principio di apparenza, è contenuta entro confini ben precisati". Così anche, più di recente, DiGregorio, La rappresentanza apparente, Padova, 1996, spec. pp. 158 ss. e 272 ss. Per ulteriori rilievi sul punto v. Verbruggen, La théorie de l'apparence:

Page 19: Apparenza e Obbligazioni

quelques acquis et beaucoup d'incertitudes, in Mélanges offerts à Pierre Van Ommeslaghe, Bruxelles, 2000, spec. p. 308 ss.(51) Così, tra le altre, Cass., 29 luglio 1992, n. 9083, cit.; Cass., 16 dicembre 1968, n. 3998, in Foro it., 1969, I, c. 892 ss.(52) D., 50, 17, 24.(53) In tal senso cfr. Mengoni, Acquisti, cit., pp. 2-4.(54) Così infatti l'art. 2279 code civil il cui comma 1° specifica che "en fait de meubles, la possession vaut titre".(55) V. Mengoni, Acquisti, cit., p. 43 ss.(56) Mengoni, op. ult. cit., p. 84 ss.(57) Mette conto segnalare che nell'ordinamento spagnolo le applicazioni paradigmatiche dell'apparenza giuridica si rinvengono proprio negli acquisti a non domino sulla base del principio a mente del quale, in quel sistema giuridico, i diritti reali si trasmettono con la coesistenza del titolo e del modo. Sul punto cfr. BustosPueche, La doctrina de la apariencia jurídica, Madrid, 1999, spec. p. 46 s. ove si spiega che "en derecho español la propiedad y demás derechos reales se transmiten mediante la concurrencia del título y el modo (artículos 609 y 1095 c.c.). Pues bien, el artículo 34 de la ley hipotecaria, para cosas inmuebles, y el 464 del código civil, para muebles, hacen posible la adquisición a non domino, esto es, adquirir a pesar de que el tradens carecía de poder dispositivo sobre la cosa. Según el sistema legal, teoría del título y el modo, la ausencia de uno de estos elementos normalmente, por ineficacia declarada con posteriodad del título o negocio impide que tenga la eficacia prevista el negocio traslativo: que transmita el derecho real al accipiens. Esta es la regla. Sin embargo, el accipens que se halla comprendido en el àmbito del artículo 34 l.h. o del 464 c.c. adquire el derecho real objecto del negocio. Cómo se explica tan llamativa exceptión? Por aplicatión de la teoría de la apariencia jurídica". Secondo l'a. l'istituto dunque si applica sulla base della costatazione che l'accipiens ha confidato sulla situazione apparente, vale a dire sul legittimo potere dispositivo del tradens sul bene. La ratio giustificatrice dell'applicazione giurisprudenziale dell'apparenza si rinviene infatti nella tutela dell'affidamento, della "proteccíon de terceros" (ivi, p. 111 s.).(58) Il tema è approfondito da Balbi, Le obbligazioni propter rem, Torino, 1950, p. 117 ss.(59) Cfr., in questo senso, il criterio distintivo rappresentato da Trabucchi, Istituzioni di diritto civile40, Padova, 2004, p. 635: "nell'onere reale si considera il peso che è fatto gravare obiettivamente sul fondo per ottenere la prestazione di cui si tratta da colui che risponde con la cosa stessa; nell'obligatio propter rem la proprietà non è gravata da un peso, ma l'appartenenza del bene vale per individuare il soggetto che resta personalmente obbligato".(60) V. Balbi, Le obbligazioni propter rem, cit., p. 45, il quale osserva che "nel nostro ordinamento vigente non si danno casi di onere reale". Nello stesso senso cfr. Comporti, Contributo allo studio del diritto reale, Milano, 1977, p. 305 ss., che si sofferma anche ad esaminare le ipotesi di oneri ormai sconosciuti all'attuale codice civile, come ad esempio il censo, i livelli, le precarie, che caratterizzavano l'assetto feudale e furono oggetto di una copiosa legislazione abrogativa, già a partire dalla rivoluzione francese. Si segnala, per l'analisi storica approfondita, Gandolfi, voce Onere reale, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, p. 139 ss. e spec. p. 147 ove spiega che "se si prescinde dai rapporti di antica origine, l'onere reale non esiste più nel nostro ordinamento come istituto del diritto civile inteso quale strumento suscettibile di utilizzazione da parte dell'autonomia privata", ma secondo l'a. ne permangono due esempi nell'àmbito pubblicistico, cioè "l'imposta locale sui redditi [...] e il contributo consorziale di bonifica, colonizzazione e simili". L'a. tuttavia auspica una reviviscenza degli oneri reali, del tutto aggiornati nei contorni alla luce dell'esperienza comparatistica, in particolare delle codificazioni dell'area

Page 20: Apparenza e Obbligazioni

germanica (ivi, p. 148).(61) V., in particolare, l'analisi di BigliazziGeri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Trattato dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XI, 3, Milano, 1984, p. 111 ss.(62) Cfr., in particolare, Cass., 19 aprile 2000, n. 5122, cit.; Cass., 8 luglio 1998, n. 6653, cit.; Cass., 27 giugno 1994, n. 6187, cit.(63) Sul punto v. Balbi, Le obbligazioni propter rem, cit., p. 50, il quale osserva che "l'onere reale e l'obbligazione reale sono entrambi rapporti obbligatori", pur distinguendo nella sua trattazione i due istituti.(64) Anche se sul punto BigliazziGeri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 110 s., rimarca che in realtà la necessità di sopportare le spese per modificare gli impianti esistenti assumerebbe la veste di obbligo solo se le opere fossero eseguite dal proprietario dei canali, ma allora varrebbe l'art. 1069, comma 3°, c.c. a mente del quale se le opere giovano anche al fondo servente le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi. E, continua l'a., "un obbligo (personale) è invece sicuramente quello avente ad oggetto il preventivo pagamento (o, quanto meno, la preventiva offerta) delle spese già sostenute dal dominus dei canali, quale corrispettivo di un acquisto (trasferimento coattivo) della comproprietà delle opere, analogo a quello concernente la comunione forzosa del muro (art. 874)".(65) In àmbito condominiale la dottrina rinviene anche nell'art. 1132, ult. cpv., c.c., gli estremi dell'obligatio propter rem: qualora l'assemblea abbia deliberato di promuovere, o resistere ad una lite, e l'esito positivo della causa giovi anche al condomino dissenziente, questi è tenuto a concorrere nelle spese di giustizia che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. L'azione legale di cui alla disposizione succitata risponderebbe infatti alle stesse esigenze di conservazione della cosa comune già espresse dagli obblighi di cui agli artt. 1104 e 1123 c.c. In senso dubitativo sulla fondatezza della soluzione dottrinale che fa ricadere le spese legali ob rem sul condomino dissociatosi, cfr. BigliazziGeri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 114.(66) V. Balbi, Le obbligazioni propter rem, cit., p. 67, il quale puntualizza che "l'assolutezza costituisce la caratteristica che si accompagna costantemente all'elemento obbligatorio nella servitù e che, per contro, manca sempre nell'obbligazione reale". E, continua l'a., proprio l'assolutezza scioglie il nodo più intricato della distinzione dell'obbligazione dal diritto reale, poichè "è decisiva per distinguere la servitù di non fare dall'obbligazione ob rem negativa". Cfr. anche Grosso, in Grosso-Dejana, Le servitù prediali, in Trattato dir. civ.it., diretto da Vassalli, V, 1, Torino, 1951, pp. 37 s. e 51 ss.(67) Sul punto v. Balbi, Le obbligazioni propter rem, cit., p. 169 per cui "la tipicità delle obbligazioni reali è tuttavia temperata dalla facoltà, riconosciuta ai privati, di modificare il contenuto (la prestazione) senza che vengano meno gli effetti caratteristici di esse". Cfr. anche Grosso, in Grosso-Dejana, Le servitù prediali, cit., p. 55 ss., spec. p. 59.(68) Cfr. Allara, Le nozioni fondamentali del diritto civile³, I, Torino, 1949, spec. p. 443, il quale scrive che "la caratteristica della obbligazione in esame non riguarda il contenuto del rapporto, ma consiste nella accessorietà di tale rapporto rispetto al rapporto reale od al possesso [...]; questa accessorietà significa che intercedono delle relazioni tra le vicende del rapporto reale o del possesso e le vicende della obbligazione". Sul punto v. anche Balbi, Le obbligazioni propter rem, cit., spec. pp. 50 e 66 s.;BigliazziGeri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., spec. pp. 22 ss. e 73 ss.; Biondi, Oneri reali ed obbligazioni propter rem, in Foro pad., 1953, I, spec. c. 351 s.; DiMajo, voce Obbligazione, I) Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, p. 11; Funaioli,Oneri reali e obbligazioni propter rem: a proposito della distinzione fra diritti di credito e diritti reali, in Giust. civ., 1953, I, p. 173; Fusaro, voce Obbligazione "propter rem" ed onere reale, in Dig., disc. priv., sez. civ., XII, Torino,

Page 21: Apparenza e Obbligazioni

1995, p. 393 s.; Grosso, in Grosso-Dejana, Le servitù prediali, cit., p. 51. Contra Fr. Romano, Diritto e obbligo nella teoria del diritto reale, Napoli, 1967, pp. 167 ss. e 187 ss., il quale mira a ridimensionare la concezione dell'assolutezza e pienezza del diritto reale per giungere a ritenere la situazione reale alla stregua di "una sintesi complessa del potere e del dovere". In riferimento al dovere, l'a. distingue quei profili essenziali per configurare il ius in re immodificabili dall'autonomia privata denominati doveri assoluti da quelli invece che chiamati obblighi o obbligazioni trovano la loro causa nella legge, ma possono essere regolati dalle convenzioni delle parti secondo la disciplina dei rapporti obbligatori. Così, ad esempio, a proposito di obblighi ob rem di ripartizione delle spese fra comunisti ex art. 1104, comma 1°, c.c. l'a., criticando l'orientamento prevalente, osserva che "rimane altamente equivoco il parlare di obbligazione propter rem [...] Questi doveri, risultanti da regole di esercizio, completano la definizione della proprietà, ed in quanto tali riguardano ogni proprietario che si sostituisca nel rapporto con la res" (ivi, p. 220); secondo detta elaborazione l'obligatio viene dunque fatta rifluire nel diritto reale. Così anche Comporti, Contributo allo studio del diritto reale, Milano, 1977, p. 308 ss.(69) V. Cass., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035, cit., spec. p. 46.(70) Cass., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035, cit., p. 47, ove la Corte, volendo rafforzare la sua distinzione fra ipotesi contenziosa e non contenziosa, ritiene legittimo nel secondo caso il pagamento da parte dell'apparente condomino in quanto configurabile anche come adempimento del terzo ex art. 1180 c.c.(71) Cfr. Izzo, Sull'apparenza del diritto nel condominio, cit., p. 1844 s., il quale pone in luce l'incoerenza di un principio di diritto applicato in modo altalenante.(72) Cass., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035, cit., p. 46.(73) V., in particolare, Cass., 16 novembre 1984, n. 5818, cit.; Cass., 14 febbraio 1981, n. 907, cit.(74) Merita attenzione rilevare che, contrariamente al sistema italiano, nell'ordinamento spagnolo il sistema pubblicitario è annoverato fra i requisiti obiettivi dell'istituto. Sul punto v. BustosPueche, La doctrina de la apariencia, cit., spec. p. 72 ove si chiarisce che "para el tercero non es duboso que el registro, como medida de publicidad organizada en su favor, precisamente, por el Estado, constituye el primer elemento de la apariencia jurídica". Interessanti rilievi anche in Danis- Fatôme, Apparence et contrat, Paris, 2004, pp. 394-410 e 447 ss.(75) Così, chiaramente, cfr. Funaioli, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit., p. 175, il quale osserva che "se io acquisto un immobile posso poi rivendicarlo, anche se non ho trascritto, salvo che altri non abbia acquistato e trascritto contro il mio autore un diritto eguale o incompatibile". In giurisprudenza, sulla possibilità che il titolare del diritto reale possa agire a sua tutela anche senza previa trascrizione del relativo titolo di acquisto, cfr. Cass., 5 luglio 1996, n. 6152, in dvd Juris data; Cass., 2 giugno 1993, n. 6159, ivi.(76) V., per tutti, Nicolò, La trascrizione, Milano, 1973, p. 117 ss., spec. p. 119, ove si mette in evidenza che "la trascrizione ha dunque la funzione di far prevalere un titolo su di un altro, con esso incompatibile, ma non è fonte di un diritto autonomo, diverso da quello dell'autore dell'atto di disposizione; risolve cioè, per usare una formula sintetica, un conflitto fra titoli, ma non fra diritti". Cfr. altresì L. Ferri, Note introduttive ad uno studio sulla trascrizione immobiliare, in Studi in onere di Antonio Cicu, I, Milano, 1951, spec. p. 352 ss.; Funaioli, Oneri reali e obbligazioni propter rem, cit. spec. p. 175; Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in C.c. comm., diretto da Schlesinger, Milano, 1998, spec. p. 49 ss. Per ulteriori riferimenti v. anche Ragazzini, Nuovi orientamenti di dottrina, giurisprudenza e legislazione in tema di trascrizione, in Riv. not., 1989, spec. p. 107 ss.; nonché Argiroffi, Caducazione del contratto ad effetti

Page 22: Apparenza e Obbligazioni

reali, Napoli, 1984, p. 93 ss.(77) Tuttavia accreditata dottrina riconduce anche l'art. 2644 c.c. nell'alveo della legittimazione apparente, v. Betti, Teoria generale del negozio giuridico², Napoli, 1994 (rist.), p. 228, secondo cui "in virtù dei criteri che determinano la preferenza fra più aventi causa da un medesimo autore, facendola dipendere dall'anteriorità della trascrizione o dell'iscrizione per gli acquisti immobiliari [...], chi ha già disposto del diritto sull'immobile o conferitane l'aspettativa appare legittimato ad ulteriori atti di disposizione o di attribuzione del godimento fino a che il negozio antecedente non sia stato reso riconoscibile ai terzi nei modi prescritti".(78) Non paiono attratti da un discorso intorno alla natura delle obbligazioni reali neppure gli annotatori della sentenza n. 5035 del 2002, salvo qualche riferimento: v., tra gli altri, Mazzieri, Spese condominiali ed accertamento della titolarità dell'immobile, cit., p. 1901 ss. Così anche le pronunce della Corte conformi al dictum delle sezioni unite: cfr. Cass., 9 marzo 2005, n. 2616, in Dir. e giust., 2005, 14, p. 46 s.; Cass., 18 aprile 2003, n. 6323, in Foro it., 2003, I, c. 2384 ss.; Cass., 30 agosto 2002, n. 12709, in dvd Juris data.(79) V., in particolare, Cass., 14 febbraio 1981, n. 907, cit. e Trib. Milano, 3 marzo 1986, cit.(80) Si sono infatti registrate già prima dell'istituzione del registro delle imprese alcune aperture verso un riconoscimento della rilevanza dell'apparenza anche contro le risultanze pubblicitarie: v., in particolare, Cass., 29 luglio 1992, n. 9083, cit., nonché Cass., 20 aprile 1970, n. 1129, cit. Contra, ad es.: Cass., 3 novembre 1998, n. 10978, in dvd Juris data; Cass., 5 luglio 1979, n. 3859, in Giur. it., 1980, I, 1, c. 498 ss. con nota redazionale di Cagnasso, ivi, c. 497 ss.; Cass., 4 dicembre 1971, n. 3510, in Giust. civ., 1972, I, p. 882 ss.(81) Così Cass., 19 settembre 1995, n. 9902, cit. V. altresì Cass., 14 luglio 2004, n. 13084, in dvd Juris data.(82) In questo senso Cass., 30 dicembre 1997, n. 13099, in Danno e resp., 1998, p. 456 ss., con nota di Laghezza, Il contratto concluso dal falsus procurator ed il principio dell'apparenza, ivi, p. 458 ss. Più di recente cfr. Cass., 10 gennaio 2003, n. 204, in Dir. e giust., 2003, 6, p. 69 ss., con nota di Rossetti, Contratto di assicurazione e tutela dell'apparenza incolpevole, ivi, p. 73 ss. Per un'applicazione dell'istituto anche nei casi di trascrizione degli atti relativi a beni mobili registrati v., ad esempio, Cass., 26 maggio 2004, n. 10133, in Danno e resp., 2005, p. 153 ss., con nota di Tassone, Principio dell'apparenza del diritto, concorso di colpa e responsabilità civile, ivi, p. 156 ss.(83) Cass., sez. un., 8 aprile 2002, n. 5035, cit., p. 46, ove si chiarisce che il principio dell'apparenza giuridica risulta "rispondente (come ammesso in dottrina, ma soprattutto in giurisprudenza) ad uno schema negoziale di vasta portata, trascendente l'àmbito delle singole figure legislativamente disciplinate e riconducibile a quello più generale della tutela dell'affidamento incolpevole".(84) Cfr. P. Barcellona, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, spec. p. 434 ss.; Calvo, Giurisdizione di equità e gerarchie assiologiche, in Contr. e impr., 2005, n. 4, in corso di pubblicazione; Modugno, voce Principi generali dell'ordinamento, in Enc. giur. Treccani, XXIV, Roma, 1991, spec. p. 5; Sacco, voce Affidamento, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 661 ss., spec. p. 664 s. Con attenzione al profilo dell'interpretazione e dell'analisi del linguaggio, v. Irti, Testo e contesto, Padova, 1996, p. 127 ss. V., altresì, Riccio, La tendenza generalizzatrice del principio dell'apparenza del diritto, in Contr. e impr., 2003, p. 520 ss.; nonché le riflessioni conclusive di BustosPueche, La doctrina de la apariencia, cit., p. 130 ss.; ed anche v. Verbruggen, La théorie de l'apparence, cit., spec. p. 308 ss.

Page 23: Apparenza e Obbligazioni