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Collana diretta da Patrizia Botta Sezione III, “Il Traghetto” “Terra Iberica” 2 A10 215

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Collana direttada Patrizia Botta

Sezione III,“Il Traghetto”

“Terra Iberica”

2

A10215

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Collana “Terra Iberica”

diretta da Patrizia BOTTA

Comitato di redazione

Elisabetta VACCARO (Capo-Redattore)

e

Carla BUONOMI

Francesca DE SANTIS

Aviva GARRIBBA

Debora VACCARI

Sezione III, “Il Traghetto”, n. 2

Direzione e Redazione

Cattedra di Letteratura SpagnolaDipartimento di Scienze del Libro e del Documento

Facoltà di Lettere e FilosofiaUniversità di Roma “La Sapienza”

Sede di Villa MirafioriVia Carlo Fea, 2

00161 Roma

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José María Merino

Racconti del libro della notte

ARACNE

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Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1479–0

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2007

Sotto il patrocinio di:

Titolo originaleCuentos del libro de la noche

Alfaguara, Madrid, 2005

© José María Merino, per il testo

© Traduzione a cura di Sira Debén Tíscar e Giulia Tiradritti

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Indice del Volume

Introduzione

I mini-racconti della notte (a cura di Francesca DE SANTIS) ... p. IX

Testo

Traduzione italiana: Racconti del libro della notte ................. p. 7

Indice dei racconti ................................................................... p. 169

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I mini-racconti della notte

(a cura di Francesca De Santis)

L’imprecisato confine tra sogno e realtà, la perdita dell’identità, il viaggio, la morte, la memoria, la metamorfosi, sono alcuni dei temi che compaiono nei Cuentos del libro de la noche (Racconti del libro della notte) di José María Merino, maestro della narrazione breve de-gli ultimi anni e autore pluripremiato di romanzi ormai celebri1.

Pubblicata in Spagna da Alfaguara nel 2005 e qui approntata nella sua veste italiana, la presente raccolta si compone di 85 racconti bre-vissimi2, corredati da immagini che demarcano piacevoli pause nella lettura e fanno riposare il lettore dall’incalzante ritmo delle narrazioni.

Frutto di due anni di lavoro in cui lo scrittore ha messo insieme storie accadutegli durante la notte o anche «omaggi a temi classici, dall’Odissea alla Bibbia, con incursioni nella tradizione popolare»3, il libro è una sorta di diario di sogni in cui Merino svela quel che gli passa per la mente nelle sue lunghe notti di dormiveglia. Ed è proprio su questa soglia imprecisa fra sonno e veglia che l’Autore ambienta la maggior parte dei suoi racconti che della notte hanno lo «spazio carico di significato e di profonda ricchezza letteraria»4, i sussulti e il sudore freddo dei risvegli improvvisi5, ma anche le paure ancestrali dell’uomo (trovarsi in una realtà diversa da quella abituale6, o percepi-re il tempo scorrere all’indietro7).

Ma la notte raccontata da Merino è anche «oscurità, morte, l’ignoto […], un universo onirico pieno di inquietudine e di ango-scia»8, popolata da esseri mostruosi e irreali, ombre invisibili o spiriti dell’aldilà, vampiri avidi di sangue (Paese di vampiri), fantasmi che vagano nei castelli (Poca luce), draghi invecchiati che hanno perso il vigore originario (Leggenda), il Signore della Notte in persona (Sata-

1 Per una rassegna completa delle opere dell’Autore rimando a Patrizia BOTTA, L’Autore, in

José María Merino, Le trappole della memoria, trad. it. a cura di Elisabetta VACCARO, Roma, Arac-ne, 2007, pp. XII-XIV, e per la Bibliografia alle pp. XVI-XIX.

2 Si va dalle narrazioni più brevi di poche righe come Racconto d’autunno, False impressioni, Tracce, ai pochi testi che raggiungono le quattro pagine come I segni consueti.

3 Cfr. Aurora INTXAUSTI, José María Merino llena de angustia y desasosiego ‘Cuentos del libro de la noche’, in La cultura, «El País», 24-XI-2005 (mia la traduzione).

4 Cfr. Eduardo J. CARLETTI, Cuentos del libro de la noche de José María Merino, in Noticias de Axxón, in «Revista Axxón» (156), 20-XI-2005, in http://axxon.com.ar/not/156/c-1560246.htm (mia la traduzione).

5 Otto mini-racconti non consecutivi si riferiscono nel titolo a ore successive nell’arco della not-te che vanno da Mezzanotte a Le sei.

6 In Le quattro il passeggero di un volo ha l’impressione di vedere a poca distanza da sé un leo-ne, mentre in Le sei l’alcol mostra al protagonista la realtà da un’altra prospettiva.

7 In Le due il protagonista ode più volte i rintocchi di campane che pur a distanza di tempo suo-nano sempre la mezzanotte.

8 Cfr. CARLETTI, Cuentos cit. (mia la traduzione).

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nica) o al contrario, benevole fate dalle sembianze umane che occulta-no la loro vera identità (Le fate). Non mancano poi esseri che, sparen-do all’accendersi delle luci, condividono usanze e mosse umane (leg-gono il giornale, lavorano al computer); né mancano uomini “disuma-nizzati” dalle sembianze bestiali9 o singole parti del corpo divenute mostruose d’improvviso (Occhi, Piede). Se protagonista indiscussa dei racconti è dunque una selva di creature immaginarie, o con parole di Merino,

un esercito che, dai tempi classici, si compone di spettri, fantasmi e apparizioni; di vampiri […] di altri non morti e risuscitati; dell’ombra, del riflesso, dell’immagine, del doppio; delle creature artificiali e di creature frutto di alterazioni fisiche; degli animali e delle piante fanta-stiche, e ovviamente, di quella che potremmo chiamare Cattiveria Primordiale, quel sole oscuro che illumina i territori più caratteristici del regno10

numerosi sono cose11 e animali personificati e collocati in ambiti in-consueti – si pensi ai granchi sul metrò di Notte fonda, ai pesci che, inquietanti, fluttuano nel cielo di A destinazione, o agli strani anima-letti dentro quel tostapane che poi si rivelerà una sorta di ufo (Il tosta-pane) – oppure ribelli alla loro condizione (Post scriptum).

In queste brevi narrazioni meriniane realtà e sogno s’intrecciano come nel racconto cinese della farfalla di Chuan Tzú (autore che Me-rino cita in ex ergo alla raccolta: «Nel libro della notte le nostre pagine sono in bianco»), ove compare il tema del sognatore («che si sogna farfalla dalla coscienza d’uomo e uomo dalla coscienza di farfalla, senza riuscire a distinguere tra sogno e realtà»12) ripreso spesso da Me-rino. Ad esempio in Pedaggio il protagonista resta prigioniero di un luogo sognato, come quello de Il distratto (tre) intrappolato sulla so-glia di un sogno. Analogo caso di segregazione in atmosfere oniriche è quello de Il castello segreto, per uscire dal quale bisogna svegliarsi. Frutto di un sogno sembrano essere anche i racconti Il dolce oblio, dove un conferenziere si astrae durante un concerto; Un successo, do-ve si concretizza l’incubo di non essere all’altezza di affrontare una

9 Dice lo scrittore: «Oso considerarmi cronista dell’inquietudine, narratore di alcune ombre in-visibili, non so se nere […] che affiancano di continuo gli spazi apparentemente diafani e le dimen-sioni tangibili, misurabili, di ciò che conosciamo come realtà». Cfr. José María Merino, Ficción continua, Barcelona, Seix Barral, 2004, p. 25 (mia la traduzione).

10 Ibidem, p. 91 (mia la traduzione). 11 Tra gli oggetti animati, ricordiamo l’orsacchiotto di pezza che, con le sue storie e le sue can-

zoni, tiene sveglio un bambino travolto da una valanga salvandolo da una morte per assideramento (Sopravvissuto) e la monovolume che al contrario uccide divorando (Monovolume).

12 Così afferma Merino nella quarta di copertina dell’originale, riprodotta come quarta anche nel presente libro. Il tema del sognatore sognato, di origine indoeuropea, giunto in Spagna attraverso la mediazione araba de Le mille e una notte fu rielaborato da illustri autori ispanici come Calderón in La vita è sogno.

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situazione impegnativa (un’opera lirica in cui il protagonista non ri-corda la propria parte); e Tracce, dove uno scenario inquietante e de-serto si conclude col sudore freddo rimasto sul cuscino. Altrettanto inquietante è La famiglia sognata, ove il vuoto del quotidiano è im-provvisamente riempito dalla presenza, sognata, di un’intera famiglia di parenti venuti da lontano a scompaginare le abitudini del protagoni-sta ma anche a offrirgli la possibilità di vivere una seconda vita, paral-lela alla sua.

Oltre al sogno, un «procedimento naturale per viaggiare nel tem-po»13 nonché motivo centrale della raccolta meriniana è quello della memoria (fallace ne I giorni rubati) che riporta al passato e ci fa rivi-vere le nostre esperienze, come accade in Conchiglia (ove un amore è ricordato da un anziano dal solo contatto con una conchiglia) o in Rin-contrarsi, quando una notte di passione è rivissuta dal protagonista ogni sera davanti a una stanza d’albergo. E amori passati vengono de-scritti in False impressioni dove un marito ricorda con malinconia come sua moglie, nei momenti di passione dei primi anni di matrimo-nio, lo chiamasse col nome di un altro.

Un altro dei temi preferiti da Merino è quello dell’identità che, come l’Autore afferma, «è nel fondo di tutto ciò che scrivo»14. Stret-tamente connesso è lo specchio che permette di vederci in «un altro spazio di fronte a noi in cui non possiamo entrare»15. In Divorzio pro-prio l’immagine nello specchio caccerà malamente un uomo che si sta radendo nel suo cinquantesimo compleanno, sdoppiando la persona e il suo riflesso; in Andromeda, invece, una donna vedrà nello specchio «un volto estraneo dagli occhi spauriti» e al posto del marito una «e-norme figura squamosa», dall’«enorme testa di rettile». Il problema dell’identità riguarda anche i casi di inquietanti somiglianze tra sog-getti di ambiti diversi come Arturo, dove persone reali si confondono con personaggi del ciclo bretone, o Il distratto (due), in cui un viag-giatore appena giunto in una città sconosciuta crede di vedere, durante una passeggiata, parenti e amici defunti. Nel Viaggiatore apparente un uomo è invece scambiato per un certo Ramiro, partito tempo prima e mai tornato, e per un giorno si troverà a vivere la vita di quest’altra persona, godendo al suo posto della festa di bentornato. La perdita dell’identità è al centro di Bestsellers in cui si narra di come uno scrit-tore di successo decida di trascorrere un periodo tra i senzatetto per scriverne un articolo fino a far perdere ogni traccia di sé.

Legato all’identità e caro alla narrativa meriniana è il motivo della metamorfosi d’ispirazione kafkiana: uno dei racconti è intitolato per

13 Cfr. Merino, Ficción continua cit., p. 21 (mia la traduzione). 14 Ibidem, p. 23 (mia la traduzione). 15 Cfr. Verónica VIÑA, Conforme nos vamos haciendo mayores tenemos más fantasmas, in «Diario de

León», gennaio 2006, in http://www.diariodeleon.es/entrevistas/noticias.jfp?TEXTO=4416922.

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l’appunto Metamorfosi. Un altro, Rivelazione, mostra una donna, dai gesti simili a quelli dei volatili, volare via con dei fenicotteri16. Più e-laborato e complesso è Cat people che racconta, con non poca sensua-lità, il cambio graduale di una donna in gatta, con l’accenno prima a «un sottile e fuggevole, ma penetrante, odore di orina di gatto» che l’accompagna, poi al richiamo animalesco che provoca nei maschi della specie umana, e infine alla vera e propria metamorfosi17.

Altro tema affrontato dall’Autore è quello del viaggio, che riflette la sua esperienza di instancabile giramondo. Spiccano le modalità del viaggio senza ritorno (Fuori rotta) o di quello in cui è possibile un fu-gace amore tra due perfetti sconosciuti (Mini-romanzo e Vento). A volte il viaggio si intreccia con la morte, anch’esso motivo ricorrente nei racconti di Merino: ne Il distratto (uno) l’attenzione è focalizzata sull’unico passeggero di un aereo che, nonostante i numerosi segnali (il motore spento, il fumo denso, un terribile sbandamento e dei forti rumori) non si è reso conto che il velivolo su cui viaggia sta precipi-tando (di grande aiuto è per il lettore l’immagine di corredo che ‘dice’ al posto del testo che l’aereo va giù) mentre in L’altra parte la stan-chezza del viaggio, unita ai tepori di un bagno caldo, provocano nel viaggiatore immerso nella vasca un sonno che forse gli sarà fatale.

La morte può essere frutto di follia, come ne Il ritorno a casa, ove un detenuto condannato all’ergastolo racconta di quel giorno in cui, rientrato da un viaggio di lavoro dalla sua “Penelope” (si cita appunto l’Odissea), ritrova la moglie nel bel mezzo di una festa e, accecato dall’ira, spara all’impazzata. Altre volte la morte scaturisce dall’os-sessione, come in Somiglianze il cui protagonista per gelosia uccide la presunta sosia di sua moglie, un’attrice di una serie tv, e il suo partner nella finzione, o in Comparse, dove un uomo ha una crisi d’identità credendosi solo un figurante in un’opera che non gli appartiene, o in Lei non sa chi sono io, dove forse la Morte uccide l’uomo pedinato da tempo. Altre volte è una morte beffarda che colpisce i personaggi: il professore che ha dedicato la sua vita alla ricerca sui virus e che muo-re per un banale raffreddore (Virus) o lo scienziato, che da sempre studia il corpo umano come unione di due metà in conflitto, che muo-re col corpo spaccato in due metà uguali (Simmetria bilaterale). Non manca la morte di un uomo provocata dal suo corpo ribellatosi a qual-siasi comando (Corpo ribelle), o quella di un altro che, preso a osser-vare il percorso di una formica che sta per essere schiacciata da alcuni sassolini, non si accorge della propria fine imminente che ‘leggiamo’ ancora una volta nell’immagine di corredo (La formica sull’asfalto).

16 Anche nel racconto La prima Rosa dei Cincuenta cuentos y una fábula si allude a un legame

inspiegabile tra la cugina Rosa e una trota che tutti i giorni attraversa il fiume. 17 Ironica è invece la doppia metamorfosi (uomo-cane / cane-uomo) descritta in Signore e cane,

dove lo scrittore si sofferma sui rapporti, a volte bizzarri, tra uomini e animali domestici.

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La morte sembra legata anche a quei racconti che hanno a che vedere con il mare18, luogo, secondo Merino, carico di una «palpitazione o-scura e segreta, impercettibile»19: in Costa da morte, ambientato sull’omonima costa in Galizia, Amador Sánchez, perito nel naufragio della Virxe de Muxía 20, col corpo putrefatto e i vestiti strappati, va a gettarsi in mare per trovare la sua morte definitiva, mentre in Storia vera il protagonista va in barca verso un’isola dove sarà divorato da un orribile mostro a forma di millepiedi.

* * *

I racconti meriniani sono anche espressione di metaletteratura, autore-

ferenzialità e intertestualità. In Nicolino Merino descrive una scena di vita vissuta che ispirò il celebre quadro di Velázquez, Las Meninas (quella dell’uomo che appoggia il piede su un cane), ove è presente, tra l’altro, l’autoritratto del pittore. E la presenza dell’autoritratto suggerisce la scelta di Merino di far spesso riferimento a sé mediante un “Io”, soggetto nar-rante ambiguo, o mediante spunti autobiografici più espliciti (come quan-do ricorda ne Il gusto della fama di come si sia trovato in difficoltà a far capire il suo nome nel suo primo viaggio negli Stati Uniti).

Hanno l’apparenza di essere racconti autoreferenziali anche Installa-zione, dove per un errore di date un visitatore distratto entra nel padi-glione di una mostra ormai smantellata e resta profondamente colpito dalla bellezza dei giochi di luce e ombra e dal vuoto dello spazio circo-stante, e Crisi di percezione, dove si parla di una discordanza insanabile tra l’io narrante e la gente comune come una malattia da curare. La di-mensione metaletteraria del narratore narrato emerge anche in Satanica dove Merino racconta di come il Signore delle Tenebre si sia presentato a casa sua, con tanto di baffi e pizzetto da moschettiere e la voce di Mar-lon Brando ne Il padrino per rimproverargli di non averlo menzionato: «Stai scrivendo il libro della notte e non mi sono meritato neanche un accenno da parte tua»21. Altrettanto in prima persona è narrato Le quat-tro e mezza, scritto in omaggio a Medardo Fraile, autore spagnolo molto apprezzato da Merino22, mentre, come si legge nelle dediche finali, Le

18 Due eccezioni sono Racconto d’estate dove si ribalta la prospettiva di una morte per anne-gamento immaginando che creature fatte d’acqua possano morire, invece, divorate dalla sabbia, ed Effetto iceberg ove Merino, anziché parlare di morte, immagina cosa sarebbe successo se si fosse evitata una delle più grandi tragedie avvenute in mare nel secolo scorso, quella del Titanic.

19 Cfr. Merino, Ficción continua cit., p. 26 (mia la traduzione). 20 Il nome dell’imbarcazione ha a che vedere con La Virxe de Muxía o Nossa Señora da Barca,

santuario situato nella punta di Muxía nella Costa da Morte (La Coruña), e legato alla leggenda dell’Apostolo Santiago (=San Giacomo) che in un momento di scoramento per il poco successo delle sue prediche ricevette in una barca di pietra la visita della Vergine che gli diede forza per continuare l’opera evangelizzatrice.

21 In corsivo nell’originale. 22 Angel Basanta definisce Le quattro e mezza «uno dei migliori per la sua fusione arti-

stica di narrativismo, drammaticità e metalessi nel suo spostamento di livelli tra realtà e fin-

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XIV

sei è dedicato a Fredric Brown23, maestro statunitense del racconto breve di fantascienza. Altri autori cui Merino rende omaggio sono, tra i mo-derni, Horacio Quiroga cui è dedicato Mini-romanzo, Kafka con Meta-morfosi, e Nabokov, una delle cui opere è menzionata testualmente in Lolito (seppur con titolo lievemente variato).

Tra i celebri autori del passato spicca l’ispanico Cervantes, oggetto di molti articoli e saggi dello scrittore24. Al Don Chisciotte è infatti i-spirato La quarta uscita, dove il professor Souto, vero e proprio alter ego meriniano, scopre tra vecchie carte che il finale che tutti cono-sciamo altro non è che l’interpolazione di un chierico che, «per confe-rire esemplarità al romanzo», cambiò il finale vero secondo il quale l’hidalgo sposava l’amata Dulcinea e fondava una stirpe di cavalieri erranti. Nella raccolta si riconoscono altre opere immortali, lette e a-mate da Merino durante la sua infanzia e adolescenza, e che egli riela-bora, come Le mille e una notte (Colpo di stato), l’Odissea (Il ritorno a casa), o fiabe della tradizione popolare come Cenerentola (Né felici né contenti) che riscrive con ironia facendola finire col divorzio tra la protagonista e il Principe. In due racconti, poi, si allude a episodi bi-blici o evangelici: Genesi 3, lettura in chiave moderna della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre e La fine di Lazzaro che, turbato dalla breve permanenza «nel luogo di niente e di nessuno» non ce la fa a rientrare in vita e chiede a Gesù di poter morire, questa volta per sempre. I racconti dei Cronisti delle Indie sembrano, invece, aver ispi-rato Mangiatori di fumo per stile narrativo e per la descrizione di u-sanze locali e di terre lontane con flora colorata, variegata e insolita.

Nel racconto La grande trama / Il finale, lo stesso Merino peraltro allude a questa sequela di reminiscenze:

Ho pubblicato una raccolta di racconti brevi con molte allusioni di-chiarate a scrittori e finzioni letterarie, e alcuni critici hanno scoperto, inoltre, corrispondenze con autori e racconti delle quali io non ero consapevole. […] mi chiedo se quelle trame che ho trovato senza sa-pere che altri le avessero già trattate siano davvero estranee o se erano nascoste dentro di me e dentro di loro, in attesa del momento di dipa-narsi. Poi penso che forse non sono le trame a stare dentro di noi ma piuttosto siamo noi ad essere intrappolati in esse. E alla fine capisco che proprio la consapevolezza di questo segreto deve essere il finale stesso del racconto.

zione». Cfr. Angel BASANTA, Cuentos del libro de la noche, in www.elcultural.es, 12-I-2006 (mia la traduzione).

23 A lui sembra richiamare anche la menzione a «Aldebarán», astro della costellazione del To-ro, citato per ben due volte da Merino: la prima quando il nome della stella appare misteriosamente scritto sui vetri del convoglio deserto di Fuori rotta, e la seconda ne Il trapezista dove si menziona nel suo significato puramente astronomico.

24 Cfr. BOTTA, L’Autore cit., p. XV; Merino, Ficción continua cit., pp. 32-50.

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Merino ha dichiarato in una recente intervista25 di essersi avvicina-to al mini-racconto circa quindici anni fa, seguendo l’invito di Alfonso Fernández Ferrer, autore di La mano de la hormiga26 che gli fece sco-prire un genere letterario di grande intensità in pochissima estensione. Dalle forti radici orientali ma anche di vasta tradizione europea, il ge-nere fu ripreso nel secolo XX sia da autori spagnoli come Max Aub27, Ramón Gómez de la Serna, e altri della generazione del ’50 (Ignacio Aldecoa, Medardo Fraile, Mateo Díez) sia da nomi di fama internazio-nale, come Kafka (che scoprì «testi brevi, intensi e misteriosi. Mini-racconti antichi che hanno a che vedere con l’aneddoto tradizionale»28) o come Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares che per la prima volta nel 1955 pubblicarono l’antologia dei Cuentos breves y extraor-dinarios29. A differenza di altri generi di maggior estensione, il mini-racconto, per la sua estrema sintesi, è destinato a un pubblico elitario e raffinato, l’esatto opposto di quello abituato ai bestsellers di gran vo-ga, in quanto per Merino la brevità non implica una facilità nella lettu-ra ma al contrario, come per la poesia, richiede una certa formazione, una predisposizione a un genere per alcuni versi ellittico30. In linea con lo scrittore argentino Julio Cortázar31, per Merino ogni racconto deve caratterizzarsi per la costante tensione narrativa32, o palpitazione ar-chetipica33, e per la sintesi drammatica34. Inoltre nei suoi mini-racconti in cui l’intensità è inversamente proporzionale all’estensione ritrovia-mo anche il movimento, la sostanza35, la capacità di sorprendere36 e

25 Apud Winston MANRIQUE SABOGAL, Ficción en pequeñas dosis – El microrrelato es la quintaesencia na-

rrativa, in ELPAIS.com, in http://www.elpais.com/articulo/semana/microrrelato/quintaesencia/narrativa/elpepuculbab /20070901elpbabese_1/Tes.

26 Cfr. Alfonso Fernández Ferrer, La mano de la hormiga (Los cuentos más breves del mundo y de las literaturas hispánicas), Madrid, Fugaz, 1990.

27 Lo stesso Merino dichiara nella raccolta (cfr. infra p. 165) che i racconti Genesi 3, Androme-da, Il ritorno a casa, Effetto iceberg, La fine di Lazzaro, Né felici né contenti e La quarta uscita furono pubblicati sul numero 235 della rivista «Quimera» (2003), col titolo di Siete Di-versiones, con questa nota: Stiamo celebrando il centenario della nascita del grande Max Aub. In sua memoria queste sette di-versioni più -o meno- aubiane.

28 Cfr. MANRIQUE SABOGAL, Ficción cit. (mia la traduzione). 29 Cfr. Jorge Luis Borges - Adolfo Bioy Casares, Cuentos breves y extraordinarios, Buenos Aires,

Raigal, 1955. 30 «Perché anche se basta poco per leggerli, ciò che ci vuole è un lettore formato», cfr.

MANRIQUE SABOGAL, Ficción cit. (mia la traduzione). 31 Per Cortázar i tre elementi fondamentali di ogni racconto sono: il significato, inteso come la scelta

del tema trattato, l’intensità e la tensione, cioè il modo in cui lo scrittore attira l’attenzione del lettore, apud Yolanda PÉREZ SINUSÍA, El cuento literario español en el siglo XX: José María Merino y su concepto de literatura, Brno, Sborník prací filozofické fakulty brněnské univerzity/Studia Minora Facultatis Philosophicae Universitatis Brunensis, 2001, pp. 1-9, in http://www.phil.muni.cz/rom/sinusia01.pdf.

32 Cfr. Merino, Ficción continua cit., p. 233. 33 Apud VACCARO, Il racconto cit., p. XXII. 34 Ibidem. 35 «Deve avere sostanza, movimento, pur se poco. Di certo è molto vicino all’aforisma, alla

poesia, ma con movimento. È una quintessenza narrativa capace di cambiare dall’inizio alla fine», cfr. MANRIQUE SABOGAL, Ficción cit. (mia la traduzione).

36 «Anche i mini-racconti hanno il loro decalogo, che è in realtà un mini-decalogo, perché si compone di una sola regola: sorprendere oltre ogni cosa», cfr. Alejandro GAMERO PARRA, Cuentos

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una componente fantastica di stranezza legata alla quotidianità37, come pure accade in Borges. A questo proposito lo scrittore ha dichiarato che «la stranezza equivale alla normalità, e dobbiamo capacitarci che la quotidianità è piena di stranezza. Ciò che sorprende è che passiamo una vita senza stupirci della stranezza di vivere»38. In Ficción continua Merino include un suo saggio dedicato proprio al mini-racconto (De relatos mínimos) in cui precisa che «può esserci una certa tendenza all’astrazione, allo stile apologale, al surrealismo»39, mentre nell’intervista rilasciata a El País aggiunge che «Il gioco fantastico è propizio per questo genere» e che il mini-racconto dev’essere caratte-rizzato da:

L’ingegno, l’ironia e la precisione delle parole. E ovviamente l’umorismo […] La prospettiva ironica è un’altra arma che permette al lettore di completare ciò che l’autore non rende esplicito40. Di fatto in molti racconti l’ironia meriniana è risorsa non seconda-

ria: basti pensare alle parole forti pronunciate dall’immagine riflessa nello specchio di Divorzio («vai a cacare, imbecille, lasciami in pace una volta per tutte») o alla descrizione delle sorellastre di Cenerentola e del loro ambiguo comportamento col Principe nella riscrittura della fiaba (Né felici né contenti).

* * *

Ma c’è anche una redazione iconica del testo, giacché, come si è

detto, ogni mini-racconto è corredato da un’illustrazione dell’Autore o di altri artisti manipolati in vario modo. Sono tutte in bianco e nero. Oltre a captare l’attenzione del lettore e a divertirlo, le illustrazioni marcano pause tra racconti che si susseguono con ritmo concitato:

Il mini-racconto, per la sua brevità, può stancare il lettore. Sono troppi racconti in un solo libro, per questo ho pensato di fare delle illustra-zioni, per far riposare il lettore. Le illustrazioni hanno come finalità quella di pausare la lettura41.

del libro de la noche de José María Merino, in La piedra de Sísifo, in http: //santino.blogia.com/temas/ex-libris.php, del 30-VII-2006 (mia la traduzione).

37 «Nella mia estetica, pur se tratto di racconti fantastici parto sempre da problemi della realtà, quotidiani», cfr. MANRIQUE SABOGAL, Ficción cit. (mia la traduzione).

38 Apud Ángel VIVAS, La literatura debe aproximarse a la realidad frágil y quebradiza, in «El mundo/La crónica de León», 9-XII-2004, p. 44 (mia la traduzione).

39 Cfr. Merino, Ficción continua cit., p. 233 (mia la traduzione). 40 Cfr. Apud MANRIQUE SABOGAL, Ficción cit. (mia la traduzione). 41 Apud VIÑA, Conforme cit. (mia la traduzione).

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XVII

Come ha dichiarato Merino in un’intervista, il disegno è stata una delle sue grandi passioni giovanili, messa da parte e poi ripresa, «uno di quei capricci che ci si permette con l’età»42:

Avevo bisogno di imbarcarmi in questa doppia avventura: da un lato, creare racconti molto brevi che sono bagliori notturni dell’intuizione e del sogno, e, dall’altro, poter tornare a disegnare, cosa che avevo fatto da giovane e che avevo un po’ dimenticato43. Per ogni racconto che appartiene al mondo della notte44 lo scrittore

dice di aver realizzato durante il giorno la sua replica iconografica, che spesso è imprescindibile per chiarire aspetti ambigui del narrato, come quella de Il distratto (uno) –p. 13– dove all’interno di un cerchio è rappresentato il volo a picco di un aereo, illustrando quindi la scia-gura che non viene raccontata, o quella de La formica sull’asfalto –p. 36– dove dentro una bottiglia si vede un uomo che sta per essere schiacciato da un masso (il che nemmeno è detto nel racconto che in-vece parla di una formica su cui altrettanto incombono dei sassolini). Proprio la bottiglia, legata al mare e che sembra racchiudere misteriosi segreti, compare in altre immagini di corredo come in Effetto iceberg –p. 58– (qui è in posizione orizzontale), con al suo interno il Titanic che riesce a superare il grosso iceberg; ne I giorni rubati –p. 73–, dove racchiude l’immagine del pullman in corsa nella prima gita scolastica, e in Il ritorno a casa –p. 24– dove l’immagine del cavallo di Troia ac-costa il racconto di un omicida di ritorno da un viaggio all’Odissea. Ritroviamo la bottiglia (in posizione obliqua) anche in Racconto d’estate –p. 92– a racchiudere un veliero in mezzo al mare, e in Rac-conto d’autunno –p. 126– (dove appare rovesciata), con due foglie dentro e una fuori, come quelle che cadono dagli alberi. Altre illustra-zioni legate al mare sono l’ironico calamaro che impugna le posate di Tellurica –p. 76– e la stella marina di Mini-romanzo –p. 80–45.

Un’immagine ricorrente è quella del tarocco che riporta al senso di fa-talità della vita umana: il tarocco (n. XVIII) di Lei non sa chi sono io –p. 43– raffigura la Morte con la falce, mentre quello di Notte fonda (n. XXI) –p. 48– un ragno simile ai granchi che invadono il metrò. Un altro tarocco (n. LXV) accompagna Un successo –p. 128– e raffigura una corona come quella che forse indossa il protagonista dell’opera; mentre in Metamorfosi –p. 59– tro-viamo il tarocco della stella (n. 27) legata al destino dell’uomo46.

42 Apud CARLETTI, Cuentos cit. (mia la traduzione). 43 Ibidem. 44 Illustrazioni notturne sono quelle della mezza luna di Fuori rotta -p. 26- e dell’uomo che guarda la

luna piena in Poca luce -p. 71-. 45 Di altri artisti sono le illustrazioni marine di Conchiglia -p. 88- e la foto di Costa da morte -p. 89-. 46 Altri tarocchi compaiono in Paese di vampiri (n. 52) -p. 104-, dove sono rappresentati un martello e un

paletto (quest’ultimo menzionato nel testo), in Le sei -p. 139-, dove c’è il disegno di un robot, e in Pedaggio -p. 158- (n. 82), dove una mano rimanda al fermo imposto dal guardiano al sognatore privo di pedaggio per uscire.

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XVIII

Un altro Leitmotiv nelle illustrazioni è l’orologio, di varie forme e connesso allo scorrere del tempo nella notte insonne dell’Autore: l’orologio di Mezzanotte –p. 18–, uguale a quello de L’una –p. 32– ma privo di lancette, o quello de Il dolce oblio –p. 70– dalla forma rotonda e dai tratti umani e con oggetti al posto delle ore (un pesce, un fiore, una mano, una stella, un uccello, un quadrupede, una lucertola e un cuore). O ancora, l’orologio a pendolo di Le due –p. 65– di foggia bordolese e le cui ore vanno al contrario, da sinistra a destra (il tempo scorre all’indietro nel racconto).

Altre illustrazioni dell’Autore che hanno a che vedere con la morte sono la feroce Monovolume –p. 20– dai denti aguzzi, il teschio che ac-compagna Somiglianze –p. 38– (che si conclude con la morte di due at-tori di una serie tv), la figura di un uomo che sta per buttarsi giù da un precipizio in Corpo ribelle –p. 50–, il cimitero notturno de Il distratto (due) –p. 34–, gli Occhi –p. 54–47 che sembrano sovrastare un camposan-to, e degli scheletri e una tomba ne Il distratto (tre) –p. 134–.

Il tema dell’identità è, invece, illustrato in Pagina prima –p. 9– e riprodotto in Copertina: sulla soglia incerta fra notte e veglia, si staglia un uomo la cui ombra s’allunga a terra; in Divorzio –p. 11–, dove nel-lo specchio nero appaiono due inquietanti occhi o, ancora, in Rincon-trarsi –p. 110–, dove in un rombo si vedono un uomo e una donna se-parati in alto e uniti in basso come in un’ombra, mentre profili scuri senza volto compaiono nella foto di La famiglia sognata –p. 56–. Un’altra fotografia è quella di Foto antica –p. 105– ove la vicenda dei due uomini ritratti s’immagina dagli oggetti che hanno con sé.

Nonostante siano innumerevoli gli artisti cui si è ispirato Merino per le sue illustrazioni, solo tre vengono menzionati in un’apposita Nota (cfr. infra, p. 167): Juan Ortiz de Mendívil, autore della foto che riproduce il padiglione vuoto di Installazione –p. 112–, Félix de la Concha per la figu-ra di un santo seduto su uno scanno sotto al quale c’è niente meno che Bart Simpson a bordo del suo skateboard –p. 117–, e Antón Díez che pro-pone la complessa figura di un totem dal volto umano –p. 147–. Tra gli artisti famosi di epoche diverse cui Merino rende omaggio basti ricordare Michelangelo (Il trapezista) –p. 114–, Tiziano Vecellio (Andromeda) –p. 14–, Velázquez (Nicolino) –p. 156–, Bosch (A destinazione) –p. 90–, Ma-gritte (Case dipinte) –p. 149– e Edward Hopper (Le tre) –p. 86–, nonché diversi anonimi degli ultimi secoli (Le fate –p. 53– e Né felici né contenti –p. 122– che pare un cartone animato). Tra i disegni, Merino include anche un felino realizzato da sua figlia Ana (Cat people –p. 120–).

* * *

47 Un grande occhio con all’interno il segnale stradale di senso vietato compare in Viaggiatore

apparente -p. 140-.

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XIX

Lo stile della prosa di Merino, per lo più omogeneo nella presente raccolta, è lucido, razionale, equilibrato e con una spiccata tendenza alla concisione. L’ineccepibile eleganza e il registro alto scelto dall’Autore sono privi di qualunque ampollosità. Il ritmo della narra-zione è incalzante, carico di palpitazione e di suspense, e la sempre crescente drammaticità dei fatti può «far scaturire un tale interesse nella trama che il lettore si sente sospinto ineluttabilmente sino alla fine»48 e quindi coinvolto appieno nella narrazione.

Il lessico è ricco e vario e a volte ci troviamo di fronte a puri diver-tissements linguistici dell’Autore che gioca coi linguaggi settoriali, co-me ad esempio in Tellurica ove rielabora una semplice ricetta di mare con i toni del mito e della leggenda, o in Bollettino meteorologico dove invece il linguaggio delle previsioni del tempo è funzionale a uno scena-rio insolito: quello di una precipitazione all’interno di una casa.

Si rileva, peraltro, un abbondante uso di pronomi personali di pri-ma e terza persona per indicare il protagonista, quasi sempre anonimo, tra cui spicca l’“io”, usato ambiguamente dall’Autore come richiamo a sé (autoreferenzialità) o a una imprecisata voce narrante, e un altret-tanto assiduo ricorso a nomi comuni di persona (il bambino, il marito, la moglie, la fata, ecc.) che parimenti sopperiscono a una spiccata ca-renza di antroponimi, specie in caso di protagonisti. Infatti, fra ben 85 racconti, a un generale laconismo imperante attorno ai personaggi (notturni senza nome) fanno eccezione i pochi nomi propri espressi quali protagonisti del narrato o addotti come mera citazione: Lito, O-nio (Lolito); Adolfo, Agustín (Somiglianze); il professor Souto (La quarta uscita); Amador Sánchez (Costa da Morte); Mariano (Le quat-tro e mezza); Lazzaro, Gesù (La fine di Lazzaro); Cenerentola (Né fe-lici né contenti); Shariar, Visir, Sherazade, Alhakem, Babú (Colpo di stato); Don Diego, Margarita, José Nieto, Nicolino, Laciana, Maribár-bola (Nicolino); Efrén, Lola, Melquíades (Il distratto (due); Arturo, Isabel (Somiglianze); Lorenzo, Catalina, Lupe, Perico (La famiglia sognata); don Chisciotte, Dulcinea del Toboso (La quarta uscita); Victorino, Ramiro (Foto antica); Pachi (Un successo); Lancillotto, Merlino, Ginevra (Arturo); Manolín (False impressioni); Ramiro (Viaggiatore apparente); Juan Sánchez e Ciaciu (Mangiatori di fumo).

* * *

Nella presente traduzione, condotta sull’edizione Alfaguara del 2005 e portata a termine da due traduttrici del Master 2006 (Sira De-bén Tíscar e Giulia Tiradritti) sotto la mia revisione, abbiamo cercato di riflettere lo stile conciso e cristallino dell’originale spagnolo e di rispettare il registro alto scelto dall’Autore con una resa il più possibi-

48 Apud VACCARO, Il racconto cit., p. XXII.

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le fedele, mantenendoci aderenti ai costrutti e alla punteggiatura e ri-producendo anche gli accostamenti lessicali più audaci (come l’aggettivo “bordolese” =di Bordeaux) o quelli meno usuali tra i voca-boli (“le luci dei palazzi hanno un’aria smorta come la mia malinco-nia”, laddove Merino usa l’aggettivo mortecina).

L’unificazione delle scelte lessicali è stata resa possibile dal Glos-sario realizzato in un primo momento da Elisabetta Vaccaro per la sua traduzione de Le trappole della memoria e in un secondo momento da Sira Debén Tíscar e Giulia Tiradritti per la loro traduzione del presen-te libro (è in atto un ulteriore aggiornamento del Glossario per altre raccolte meriniane già in fase di avanzata traduzione) che, unito al te-sto informatizzato gentilmente concesso dall’Autore, ha permesso di uniformare ad locum ogni soluzione traduttiva e di avviare uno stile di Merino in lingua italiana.

Tra le problematiche traduttive qui affrontate ricordiamo la polisemia di voci spagnole che si riferiscono a parti della giornata (tarde, noche, madrugada): fra tutti noche, termine che appare già nel titolo e che in spagnolo può indicare sia la “sera” che la “notte”. I riferimenti interni, gli ambienti descritti e gli orari inequivocabilmente notturni che risultano in certi titoli ci hanno portato a optare per l’accezione di ‘notte’.

Un altro termine ambiguo molto usato nei racconti è sueño che in spagnolo può riferirsi sia al “sonno” che al “sogno” e che abbiamo scelto di tradurre nell’uno o nell’altro modo a seconda del contesto. Al contrario si è persa la variatio presente nell’originale con i termini in-quietud e desasosiego, che, pur avendo etimologie e prefissi diversi, abbiamo tradotto univocamente come “inquietudine”.

Termini non tradotti, ma corredati di note, sono stati quelli culturo-specifici come il bienmesabe (dolce tipico delle Canarie a base di uo-va, farina, miele e mandorle, senza un esatto corrispettivo nella tradi-zione dolciaria italiana), parchís (gioco da tavola simile all’italiano “non-ti-arrabbiare”) e botafumeiro (termine galego che indica l’in-censiere oscillante della cattedrale di Santiago de Compostela).

Si è deciso di tradurre, invece, l’espressione incongrua che appare in Un successo (“Prendo la prima e me metto de duran”) che riproduce quella altrettanto incongrua del protagonista («Cojo la primera y mi pongo di duran»).

Abbiamo dovuto operare un adattamento nella traduzione di Ni Colorín ni Colorado, titolo originale cui corrisponde il nostro Né felici né contenti, dovuto alla diversità di espressioni per chiudere le fiabe in lingua spagnola («Y Colorín Colorado este cuento se ha acabado») e in lingua italiana («E vissero felici e contenti»), e in quella di Cuento de hadas, letteralmente “fiaba”, ma che si è voluto tradurre con Le fate per non perdere il riferi-mento all’oggetto del racconto.

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Un altro cambio riguarda la frase pronunciata dal diavolo in perso-na in Satanica «Hablo español» che abbiamo adattato al lettore in “Parlo italiano”.

Per quanto riguarda l’onomastica abbiamo mantenuto inalterati i po-chi antroponimi che appaiono nell’originale tranne nei casi di «Ceni-cienta», tradotta con il corrispettivo “Cenerentola”, e «Nicolasito» che abbiamo deciso di tradurre con “Nicolino” in quanto il lettore italiano potrebbe non percepire il suffisso del diminutivo spagnolo («Nicolás + ito»). Diverso il caso di Lolito, titolo di uno dei racconti che si rifà al noto romanzo di Nabokov, e che, dunque, si è deciso di mantenere inva-riato. Non si è tradotto neppure Virxe de Muxía (in “Vergine di Muxía”), nome dell’imbarcazione naufragata e ritrovata sulla coste della Galizia, né Virxe da Peregrina, patrona di Pontevedra. Per quanto riguarda i to-ponimi abbiamo deciso di mantenere in galego il nome «Costa da Mor-te» mentre si è ritenuto opportuno esplicitare «San Bernardo» (quartiere madrileno) con l’aggiunta “quartiere di San Bernardo”.

Infine, per quanto riguarda la mise en page e l’aspetto tipografico del testo si è rispettato pienamente l’originale, che si è seguito pagina per pagina a mo’ di facsimile, riproducendo parimenti l’esatta colloca-zione delle immagini affinché anche nella traduzione italiana si ap-prezzasse la portata e la vis della redazione iconica.

Bibliografia su José María Merino (aggiuntiva49)

Ulteriori opere dell’Autore: La Glorieta de los fugitivos (2007). Mini-racconti e nano-racconti. Traduzioni italiane: José María Merino, L’oro dei sogni: cronaca veritiera delle avventure di Miguel Villace

Yolotl, trad.it. a cura di Laura DRAGHI, Firenze, Salani, 1993. José María Merino, Le trappole della memoria, trad. it a cura di Elisabetta VACCARO,

Roma, Aracne, 2007. Monografie: BRIZUELA, Mabel - ESTOFÁN, Cristina, Las horas del contar: estudios sobre la

narrativa del grupo leonés de José María Merino, Luis Mateo Díez y Juan Pedro Aparicio, Córdoba (Argentina), Comunicarte, 2002.

Recensioni e interviste ai Cuentos del libro de la noche (2005): BASANTA, Ángel, Cuentos del libro de la noche, in www.elcultural.es, 12-I-2006. CARLETTI, Eduardo J., Cuentos del libro de la noche de José María Merino, in Noticias

de Axxón, in «Revista Axxón» (156), 20-XI-2005, in http://axxon.com.ar/not/156/c-1560246.htm.

49 Si fornisce qui un aggiornamento della Bibliografia su Merino rispetto a quella già pubblica-

ta apud BOTTA, L’Autore cit., pp. XVI-XIX.

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GAMERO PARRA, Alejandro, Cuentos del libro de la noche, de José María Merino, in La piedra de Sísifo, 30-VII-2006, in http://santino.blogia.com/temas/ex-libris.php

INTXAUSTI, Aurora, José María Merino llena de angustia y desasosiego ‘Cuentos del libro de la noche’, in La cultura, «El País», 24-XI-2005.

LORENCI, Miguel, Merino escribe 85 microrrelatos inspirados por el insomnio, in «La voz de Galicia-Cultura y TV», 7-XI-2005, in http://www.lavozdegalicia.es/hemeroteca/ 2005/11/07/4232894.shtml

MANRIQUE SABOGAL, Winston, Ficción en pequeñas dosis “El microrrelato es la quintaesencia narrativa”, in http://www.elpais.com/articulo/semana/microrrelato/ quintaesencia/narrativa/elpepuculbab/20070901elpbabese_1/Tes

Notizie sull’Autore e la sua opera: José María Merino, in El poder de las palabras, in http://www.epdlp.com/

escritor.php?id=2551 PÉREZ SINUSÍA, Yolanda, El cuento literario español en el siglo XX: José María Merino

y su concepto de literatura, Brno, Sborník prací filozofické fakulty brněnské univerzity/Studia Minora Facultatis Philosophicae Universitatis Brunensis, 2001, pp. 1-9, in http://www.phil.muni.cz/rom/sinusia01.pdf

Ulteriori interviste: BRAVO, Julio, José María Merino, escritor: «La brevedad de los cuentos es al mismo

tiempo su gracia y su servidumbre», 27-I-2003, in abc.es, in http://www.abc.es/ hemeroteca/historico-27-01-2003/Cultura/jose-maria-merino-escritor-la-brevedad-de-los-cuentos-es-al-mismo-tiempo-su-gracia-y-su-servidumbre_158222.html

GARCÍA TERESA, Alberto, Entrevista a José María Merino, in http://www.bibliopolis.org/ articulo/merino.htm

LORENCI, Miguel, «Es fantástico poder leer un cuento en el teléfono móvil». Entrevista a José María Merino, in http://www.laverdad.es/alicante/prensa/20070913/cultu-ra_alicante/fantastico-leer-cuento-movil_20070913.html

MARÍN, Diego, Entrevista a José María Merino. «Ahora se consume mucha pseudoliteratura, filones comerciales», 28-XI-2006, in http://blogs.larioja.com/ ciudaddelhombre/2006/11/28/entrevista-jose-maria-merino

MIRANDA ZARAGOZA, Roberto, José María Merino ESCRITOR: “La ficción es la relación natural del ser humano con las cosas”, 22-IX-2007, in http://www.elperiodicodearagon.com/noticias/noticia.asp?pkid=352180

MUÑOZ, Miguel Ángel, Entrevista a José María Merino: El sistema universitario no forma lectores ni buenos conocedores de la literatura, 25-IX-2006, in http://elsindromechejov.blogspot.com/2007/09/jos-mara-merino-el-sistema.html

VIÑA, Verónica, «La literatura hay que leerla en voz alta, porque tiene que tener melo-día», in «Diario de León», novembre 2004, in http://www.diariodeleon.es/ entrevistas/noticia.jsp?TEXTO=3204992

VIÑA, Verónica, «Tengo muchas historias que contar pero hay que esperar que aflo-ren», in «Diario de León», novembre 2005, in http://www.diariodeleon.es/ entrevistas/noticia.jsp?TEXTO=4233126

VIÑA, Verónica, Conforme nos vamos haciendo mayores tenemos más fantasmas, in «Diario de León», gennaio 2006, http://www.diariodeleon.es/entrevistas/ noticia.jsp?TEXTO=4416922

VIÑA, Verónica, «Esta novela fue al principio un cuento que no me convencía», in «Diario de León», novembre 2006, in http://www.diariodeleon.es/entrevistas/ noticia.jsp?TEXTO=5302950

VISPO, Elena F., José María Merino, in «Fusión - Suplemento Castilla y León», in http://www.revistafusion.com/cyl/2000/diciembre/centrev87.htm

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Nel libro della nottele nostre pagine sono in bianco.

CHUAN TZÚ

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Pagina prima

Per cercare di scoprirli mi devo svegliare nelcuore della notte. Mi alzo, percorro lentamenteil corridoio. Non accendo mai le luci, porto inmano una piccola torcia. Il suo bagliore fioco,surrettizio, mi aiuta a trovarli, a volte. Col tempoho capito che vivono nell’oscurità come noinella luce. Una notte intravidi la figura di unuomo seduto in fondo al salotto mentre leggevail giornale. Un’altra volta la torcia mi permise discorgere il corpo fuggevole di una donna nell’in-gresso. Un’altra notte, passando davanti al mio

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studio, mi sembrò che ci fosse una sagomaseduta davanti al computer. Il tempo passa enon riesco più a ricordare se qualcuno di questiabitanti della casa di notte abbia scritto sul miocomputer i testi che ora considero miei.

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Divorzio

La mattina del giorno in cui ho compiutocinquant’anni, al momento di radermi, di fronte allamia immagine nello specchio, mi venne da dire buoncompleanno, e la mia immagine rispose vai a caca-re, imbecille, lasciami in pace una volta per tutte.Ben si capirà il mio stupore mentreil mio riflesso continuava amanifestare, con nuovi insulti,una avversione covata a quan-to pare per tutti gli anni dellanostra convivenza. Pensai chefosse solo un incidente sogna-to, ma da quel giorno, nelguardarmi allo specchio, lamia immagine non ha maismesso di manifestarmi il suodisgusto e il suo rifiuto. Queldiverbio assurdo, fantastico,che non poteva nemmenoessere raccontato, mi mortifi-cava a tal punto che decisi dicoprire lo specchio con un asciuga-mano e di farne a meno, il che non è poi così diffici-le per chi si pettina senza riga, si rade con il rasoioelettrico e lascia sempre fatto il nodo alla cravatta.Pur tuttavia, a volte alzavo un lembo dell’asciuga-mano per capire se il fenomeno fosse cessato, ma

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non appena i miei occhi si incontravano con i suoi, ilmio riflesso ripeteva le sue invettive e le brutte paro-le contro di me. Sono passati dieci anni da quandoho smesso di guardare la mia immagine a questospecchio e ho cercato di non volgere gli occhi sunessuna superficie in grado di rifletterla. Oggi, nelcompiere sessant’anni, ho voluto appurare se ancorapersisteva l’aberrante repulsione, ma quando lospecchio è rimasto libero dalla sua copertura hopotuto constatare che non riflette altro che un bagnovuoto. Sembra che la mia immagine mi abbia abban-donato per sempre e, invece di rattristarmi, mi hapervaso una piacevole sensazione di sollievo.

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Il distratto (uno)

L’aereo è atterrato, si sono fermati i motori,si è già spento il segnale che obbligava ad allaccia-re la cintura. Eppure, nessuno si alza. Non capiscocome mai gli altri non abbiano voglia di abbandona-re questo posto dopo aver sperimentato l’orribilevolo, gli strani rumori, l’esplosione, il fumo denso,il terribile sbandamento. Mi alzo io, apro la cappel-liera, prendo la mia borsa, il mio cappotto. Ho appe-na scoperto che tutti mi guardano. D’un tratto miindicano e scoppiano a ridere con una risata strana,una risata che sembra piena di dolore, ed eccomi quicon la borsa in una mano e il cappotto nell’altra,senza capire che cosa succede.

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Andromeda

Si sveglia con quella sensazione di stanchez-za prodotta dall’essere strappati da un sonno troppoprofondo e accende la luce del comodino. Di spalle alei il marito è immobile, sicuramente addormentato.Trascina il suo sguardo pigro lungo il soffitto dellastanza e poi giù per la parete che ha davanti, fino aincrociare lo specchio picchiettato di macchie di anti-chità, un bell’oggetto che è giunto a lei per inerziafamiliare. Nell’angolo superiore destro nota unagrande macchia nuova, e muove la testa per poterlavedere meglio. Scopre allora che non si tratta di unamacchia, bensì di un riflesso, e un ulteriore sposta-

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fosse consegnata alla voracità

che

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L’oracolo di Ammone indicò

come

unicasalvezza

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mento della testa le permette di identificare quel chesembra il frammento di una voluta giallastra, forsemetallica. Con ancor più sorpresa che agitazione,sposta lo sguardo sul punto riflesso e si rende contoche lì il muro è liscio e privo di decorazioni. E orala sorpresa è diventata allarme. Si alza, si avvicinaallo specchio. Il riflesso mostra una parete ricopertada un grande bassorilievo dalle forme bizzarre econfuse su un letto dalle lenzuola nere dove è anco-ra presente la figura di suo marito. Avvicina di più ilviso allo specchio e, invece di vedere i propri linea-menti, compare un volto estraneo, dagli occhi spau-riti. Come mai ti sei alzata così presto?, chiede ilmarito con una voce stranamente sibilante, e leiguarda attraverso lo specchio quella grande figurasquamosa che si è appena alzata dal letto, quel-l’enorme testa di rettile.

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Simmetria bilaterale

La ricostruzione, animata da immagini, deiprimi cordati, quei nostri antenati lontani milioni disecoli nel passato, lo spaventò per la certezza di averscoperto qualcosa che aveva sempre sospettato. Que-sto siamo, scrisse, una spina dorsale, una spina cheman mano ha dovuto sviluppare degli organi chel’aiutassero a muoversi, ad afferrare, ad alimentarsi,a percepire con maggiore chiarezza. Una spina cheha finito per creare a ogni lato, come protesi funzio-nali, un essere con un occhio, un orecchio, un polmo-ne, un rene, un braccio, una gamba, un’ovaia, untesticolo... La spina vorrebbe riunire i due esseri, madi solito uno degli occhi vede meglio dell’altro, unorecchio ha maggiore acutezza, la mano destra equella sinistra acquisiscono abilità che l’altra nonha. Io sono doppio, due esseri uniti da questa spinadorsale che cerca continuamente di conciliarli, ma iosono due, che possono entrare in conflitto, che forsesono perennemente in sordo conflitto. Nel corso deglianni, continuò a mettere per iscritto le sue esperienze,la sua coscienza di spina obbligata al permanentecoordinamento delle sue contrapposte protesi carnali.Nel quaderno sono anche registrati i primi dati delloscontro, la mano sinistra che non voleva permetterealla destra di scrivere, lo strabismo che spesso gli sfo-cava la vista, le gambe pronte a camminare ognuna inuna direzione diversa. Non chiese mai aiu-

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to, e la polizia ci mise molto a scoprire, attraversoquei quaderni, che la sua morte brutale nella grandesegheria, il corpo longitudinalmente diviso in duemetà uguali, era stata di sua volontà.

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Mezzanotte

A mezzanotte, ora dei limiti, il tempo divideogni giornata con la sua pericolosa coltellata. È l’orain cui, a volte, si riuniscono. Parlano a voce bassissi-ma, con lievi mormorii, ma dal letto, sforzando l’at-tenzione, posso avvertire quei bisbigli, le loro risate,il tintinnio dei bicchieri. Diverse notti mi sono alza-to di soppiatto per cercare di sorprenderli. Camminoa tentoni lungo il corridoio, apro lentamente le porte,accendo di colpo la luce del salotto. Non ci sono più,non ci sono mai quando arrivo. Se lasciano trac-

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ce? Una volta, il mio gatto aveva intorno al collo unfiocco verde. Un’altra volta, c’era un garofano sultavolo. Ieri, una cartolina di un tempio indiano il cuidestinatario non sono io, con una calligrafia pocointelligibile che, a quanto pare, parla del caldo eraccomanda di non dimenticare i pesci.

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Monovolume

Il meccanico, una persona seria, gli assicu-rò che la macchina era un vero affare perché avevapochi chilometri ed era molto ben tenuta. Era trop-po grande per una vedova sola, quella donna tristeil cui marito era mancato, e lei voleva sbarazzarse-ne al più presto. Dopo averla acquistata capì cheaveva fatto bene: la macchina era confortevole,potente, brillante, capace di percorrere le peggioristrade, e consumava pochissimo carburante. Tra-scorsero i mesi e una domenica, per passare ilprimo pomeriggio, si mise a dare un’occhiata almotore. Dalla finestra di casa, la moglie lo vide chealzava il cofano e si chinava fino a sparire allavista. Un paio d’ore più tardi, la moglie si

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stupì che il marito non avesse ancora finito. Il cofa-no, alzato a metà, non le permetteva di vedere il suocorpo. Aprì la finestra per chiamarlo, ma lui nonrispondeva. Alla fine uscì a cercarlo. Le gambesporgevano dal cofano, ma il resto del corpo era giàstato divorato dalla feroce monovolume.

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Bestsellers

Fece dei perdenti i protagonisti dei suoiromanzi e ottenne un successo straordinario e unottimo giudizio della critica. Il trionfo è innamora-to dei fiori dell’insuccesso, diceva, parafrasando unverso celebre per neutralizzare certe ironie. Il gior-nale più importante del paese gli affidò un serviziosui senzatetto. Certo di fare una bella figura, vestitoin modo adatto all’impresa, si mescolò ai barbonidei ponti, dei parchi, dei sottopassaggi della metro.Passarono i giorni, i mesi, si persero le sue tracce,nessuno riuscì a scovarlo. Tra tanti straccioni

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barbuti, chi avrebbe mai potuto riconoscere il famo-so scrittore? La storia è narrata da un giovane auto-re in un libro che, dopo aver ottenuto il premio edi-toriale di maggior entità, è diventato un bestseller.

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Il ritorno a casa

Il direttore porta sempre i visitatoriimportanti al padiglione dei condannati all’erga-stolo, affinché ascoltino quest’uomo raccontarela storia del suo delitto: Molto tempo lontano dacasa, prima dall’altra parte del pianeta, giorni egiorni di riunioni per cercare di entrare in quellabenedetta fusione, e quando riuscimmo a elimi-nare le resistenze e a battere i nostri avversari fuicostretto a percorrere una per una tutte le suc-cursali, le filiali, le aziende associate, evi-

tando tutti gli agguati: alcuni volevano ammaliarmicon delle astuzie, altri volevano che rimanessi, elu-dendo i canti seduttori di chi mi avrebbe divorato seavesse potuto, di chi avrebbe voluto distruggermi. Iostavo per scoppiare. Arrivo finalmente a casa, all’im-provviso, e scopro che mia moglie ha organizzato unafesta. A quanto pareva, non faceva altro che spassar-sela da che ero andato via, la casa piena di scrocconi

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che si bevevano i miei vini, che si mangiavano i mieisalumi e i miei formaggi. E mia moglie, placida, midice che mio figlio è andato via, non sa dove. Salgonel mio studio e mi ritrovo installato lì una specie ditelaio enorme, tutto è sottosopra, fili, stecche dilegno, forbici. Scoppiai, afferrai un paio di fucili,una pistola, scesi in salotto e cominciai a sparare,ero così accecato dall’ira che feci fuori anche lei. Ildirettore non si stanca di ascoltare questo racconto,bell’odissea, esclama ancora una volta mentre siallontana lungo il corridoio con i visitatori.

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Fuori rotta

L’espresso Madrid-Parigi è comparso sta-mattina in una piccola stazione dell’Estremadura,molto lontano dal suo percorso. L’intero convoglioè deserto, dalla cabina del macchinista fino all’ulti-ma cuccetta, e si ignora dove siano andate a finire leoltre duecento persone che vi viaggiavano. Nem-meno i loro bagagli sono stati trovati. Sui vetri diporte e finestre, sugli specchi dei bagni, sulla super-ficie dei tavolini, sulla moquette del pavimento, colrossetto, a penna, col pennarello, con la cioccolata,molte mani, anziane, mature, infantili, hanno scrittola parola Aldebaran.

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Mosca

La mosca svolazza senza troppa vitalità nelbagno. La guardo con ribrezzo. Che ci fa quest’in-setto in un albergo di lusso e, per di più, a febbraio?La colpisco con un asciugamano e cade esanime sulmarmo del lavandino. È una moscarara, biondastra, non moltogrande. Mi viene da pensareche è l’ultimo esemplaredi una specie che scom-parirà con lei. Mi vieneda pensare che avevatrovato nel bagno il suorifugio invernale. Che nelgiardino che si estendesotto la mia finestra c’è unapianta anch’essa molto rara, chepoteva essere impollinata soltanto da questa mosca.E che dall’impollinazione e dalla riproduzione diquella pianta dipenderà, tra alcuni millenni, la pre-senza di ossigeno sufficiente perché la nostra stessaspecie sopravviva. Che ho fatto? Uccidendo quellamosca ho condannato anche voi, discendentiumani. Ma la mosca muove le zampette in un lievetremore. Sembra che non sia morta! Ora le agitacon più forza, ora riesce a mettersi in piedi, ora sele sfrega, ora si liscia le alucce per accingersi avolare di nuovo, ora svolazza nel bagno. Vivete,

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respirate, umani del futuro! Quel volo maldestro miriporta alla mente l’iniziale immagine ripugnante.Mi scuoto dal mio stupore. Che ci fa qui quest’in-setto schifoso? Prendo l’asciugamano, la inseguo,la colpisco, la uccido. La schiaccio.

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Lolito

La signora è attraente: camicetta leggera chelascia intravedere i seni senza reggipetto, pantalon-cini corti, la giusta abbondanza di carni. Sebbenestia chiudendo, lo fa entrare e poi chiude con ilpaletto, mette il cartello. Ora lo guarda con occhisorridenti. E perché vuoi Lolita di Nabokov, tesoro?È un regalo per mio cugino Onio, dice, e si sentearrossire. La fisima del cugino Onio è l’erotismo.L’estate precedente, al mare, gliel’aveva raccontatocon il tono di un’importante confidenza: Lito, lamia fisima è l’erotismo. Detto così, all’improvviso,a lui sembrò che gli stesse confessando qualcosa dianomalo, una malattia, ma quando seppe di checosa si trattava rimase un po’ perplesso di fronte alfatto che una cosa del genere potesse nobilitarsi conil collezionismo. Siccome Onio abitava in un paesi-no sperduto, una volta gli aveva chiesto di procurar-gli delle pasticche. Impazzì per cercarle, e quandolo chiamò per dirgli che non riusciva a trovarlequello si mise a ridere: Non ti preoccupare, si trova-no su internet. Un’altra volta lo fece andare in unnegozio nel quartiere di San Bernardo a prenderedei giornaletti così sporcaccioni che si vergognavache a casa potessero vederli. Begli incarichi che midai, gli borbottò al telefono. Dai, Lito, c’è anche chicolleziona francobolli. Questo pomeriggio ha gira-to tutta la fiera in cerca del libro di cui gli avevano

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parlato i colleghi, i rapporti di un vecchio con unabambina, molto sesso -solo dicerie, nessuno di fattolo aveva letto- per regalarlo a Onio. Alla fiera dellibro non è riuscito a trovarlo, non è una novità, lohanno venduto. Alla fine, in uno stand gli diconoche di certo l’avrebbe trovato nella libreria vicinoalla fermata tale della metro, non molto lontana. Edeccolo qui, proprio all’ora di chiusura. La signoragli passa accanto strusciandogli contro i grandi seni,al tempo stesso sodi e morbidi. Entra e aspettami,tesoro, che te lo vado a cercare. In fondo agli scaf-fali carichi di libri, una stanzetta con una scrivania,

un divano logoro e un ventilatore in lotta contro lamorsa del caldo. La signora arriva con il libro. Le sisono slacciati altri due bottoni della camicetta.L’erotismo, pensa Lito, sentendo risvegliarsi nelsuo turbamento un’ansia inattesa. La signora si sie-

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de accanto a lui sul divano. Per scongiurare il silen-zio, lui spiega che suo cugino vive in un paesinovicino a Siviglia, che il libro è un regalo di comple-anno, che glielo spedirà per posta. Che coinciden-za, tesoro - esclama la signora, avvolgendolo tra lesue braccia profumate - oggi è anche il mio com-pleanno.

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L’una

Mi sveglio con la sensazione un po’ asfis-siante di emergere bruscamente da un abisso.Senza dubbio dormivo profondamente. Motorilontani ruggiscono nella notte della città. Guardol’ora: è l’una, e mi stupisce il poco tempo trascor-so da quando mi sono addormentato, come se laprofondità del sonno dovesse corrispondere allasua durata. Mi riaddormento pensando a questo, enuovamente cado in fondo all’oscuro precipizio,e mi sveglio anche stavolta di colpo. Guardol’ora: è l’una, e l’orologio non si è fermato, dalmomento che la lancetta dei secondi gira e chesento il suono del suo piccolo cuore meccani-

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co. Confuso, cerco di accettare la brevità di quelsonno così intenso e mi addormento ancora, preci-pito un’altra volta nella profondità molle e cieca,finché il brusco risveglio non avviene di nuovo.L’orologio, che non si è fermato, segna ancoral’una. Mi sento molto inquieto, credo che perderò ilsonno, invece il sonno mi fa precipitare, ancora unavolta, nel suo nerume senza contorni. E quando misveglio all’improvviso sento i motori lontani che rug-giscono nella notte della città, ma non voglio guarda-re quell’orologio che, così vicino, continua a palpita-re instancabilmente.

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Il distratto (due)

La città, con quella lividezza dei luoghi bui egelidi, riflette il colore grigio scuro del cielo. Il fred-do ristagna in questo albergo ove predomina ilmarmo. Si stava facendo sera, uscii a fare una pas-seggiata per quelle vie sconosciute, ed ebbi quegliincontri che mi hanno tanto commosso. Prima, quel-l’uomo dai capelli e baffi bianchi, con un soprabitodal taglio arcaico, che risaliva la rampa di un garage.Era uguale al povero Efrén, poteva essere proprioEfrén, fui sul punto di esclamare Efrén!, se nonavessi assistito al suo funerale appena un mese fa.Poi, vicino a un parco, la figura di una vecchia se-

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duta, immobile, mi fece rabbrividire di nuovo, poi-ché nella sua posa, nel modo di incrociare le mani,era il ritratto della zia Lola, e quando mi trovaiaccanto a lei il suo volto mi mostrò l’esatta imma-gine della defunta. Questo secondo incontro miturbò molto, ma dovevo ancora incrociare un uomocalvo, con grandi occhiali, cravattino, andaturalenta, che mi restituì la figura e il volto del defuntoMelquíades. Sono tornato in questo albergo arreda-to con un’austerità che sembra disumana. Non hovoluto cenare e scrivo queste note sul mio diariomentre l’oscurità confonde ormai cielo e terra e leluci dei palazzi hanno un’aria smorta, come la miamalinconia.

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La formica sull’asfalto

Agosto, quattro del pomeriggio. Quasi qua-ranta gradi di temperatura. Una strada con lavori incorso, un profondo fosso laterale. La grande grusposta terra e calcinacci. Nell’impressionante soli-tudine, un uomo aspetta l’autobus. Si è messo unfazzoletto in testa, è immobile e sente il sudore

sgorgare da tutta la sua pelle. Molto vicinos’innalza il piccolo zampillo di una tubatura

rotta. L’uomo scopre sul marciapiede uninsetto minuscolo, forse una formicasolitaria, che procede in linea retta. Ilgetto d’acqua colpisce un cumulo di sab-bia e fa saltare dei sassolini che cadonosempre più vicini alla formica. L’uomopensa che quell’insetto proceda ciecoverso il punto in cui uno dei sassolini loschiaccerà. Nel silenzio si sente soltantoil rumore del piccolo zampillo fortuito,ai suoi piedi, e il cigolio del contenitoredi materiale che dondola lassù, propriosopra la sua testa.

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Somiglianze

Arturo lavora molto, perché c’è sempre piùconcorrenza. Solo la caccia e lo spettacolo del cal-cio riescono a liberarlo un po’ dall’oppressione edalle preoccupazioni per il futuro. Di solito nonpranza a casa e passa poco tempo con sua moglieIsabel. Alcune serate davanti al televisore riallaccia-no la vita di coppia. Danno una serie, che va avantida settimane, che interessa parimenti entrambi iconiugi. In essa un gruppo di amici mostra imomenti più significativi delle proprie peripezieamorose e lavorative. Un giorno, ad Arturo sembradi trovare una certa somiglianza tra uno dei perso-naggi e il suo collega Joaquín. Nei giorni seguentigli altri personaggi della serie televisiva gli suggeri-ranno nuove somiglianze ancora: Lui è uguale adAdolfo, e quell’altro ad Agustín, dice a Isabel, malei non trova sorprendenti somiglianze. Nel riscon-trare tratti simili, Arturo capisce un giorno che laprotagonista è identica a Isabel, e finisce per scopri-re anche nel personaggio del marito un’inquietantesomiglianza con se stesso. In un certo episodio laprotagonista, cui il marito, immerso nel propriolavoro, non dedica molta attenzione, comincia a fre-quentare un giovane aitante, e in sole due puntate lafrequentazione si trasforma in adulterio. Vedere lacopia di Isabel fra le braccia di quell’adone mandainaspettatamente Arturo su tutte le furie e alla fine

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gli fa temere che il tradimento si riproduca nellavita reale. Decide di sorvegliare sua moglie, la fapedinare, la pedina lui stesso, fino a scoprire che haun amante. I problemi sul lavoro gli fanno vedere ifatti della sua vita con una tale drammaticità chedecide di ucciderli. Un pomeriggio tende loro unagguato, spara contro di loro. I giudici non riesconoa stabilire il movente di quel criminale silenzioso eschivo che ha ucciso una famosa attrice e l’attoreche era con lei. Isabel si è trasferita in un’altra cittàe vuole dimenticare il passato.

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I segni consueti

L’altro ieri è stato l’ultimo giorno dimarzo e oggi è il primo aprile, quindi non so chegiorno sia stato ieri. Spero di non rivivere maipiù una giornata simile. Non avvertii niente distrano fino a quando non ritirai dei soldi al ban-comat. Per prima cosa mi stupirono le banconotesconosciute, dai colori scuri, con segni indecifra-bili e immagini strane, e poi scoprii che non eroneanche in grado di identificare i numeri dellatastiera che avevo digitato senza guardare, ripe-tendo una vecchia abitudine. Da quel momentocompresi che, sebbene le strade mantenessero iltracciato e le forme abituali, i cartelloni, i nomi,i numeri, le pubblicità avevano trasformato i lorosegni familiari in altri, la cui inintelligibilitàconferiva alla quotidianità un’aria di lontananzae di minaccia: lettere mai viste prima dal disegnoasimmetrico, scarabocchi dalle forme confuse,aste storte, segni intrecciati in un amalgama dal-l’aspetto deforme. Anche i colori delle facciate edei veicoli avevano assunto un tono pastello,sbiadito. Tornai in ufficio e non fui in grado dicapire la lingua dei miei colleghi, ricca di coseche mi sembrarono onomatopee e schiocchi,espressa con sbuffi e suoni discordanti cheobbligavano i loro volti ad assumere stranesmorfie. Il testo dei documenti che sulla

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mia scrivania formavano quel che sarebbe stato illavoro della giornata presentava la stessa oscurità,l’aberrante disposizione di segni deformi e ingarbu-gliati. Neanche le telefonate, che risuonavano comeuna serie di ticchettii dal tono grave, in manieraassai diversa dal solito, mi trasmettevano messaggicomprensibili. Cominciai a sudare, e le mie manitremavano in modo scandaloso. Il mio aspettodoveva essere così brutto che una collega mi siavvicinò e mi parlò con parole anch’esse incom-prensibili che, pur nella loro stranezza, mi permise-ro di avvertire un certo tono di commiserazione.Venne poi il direttore, i suoi baffi trasformati in unaridicola spirale doppia, e mi chiese qualcosa chepure non capii, ma mormorai che non mi sentivobene, che mi sembrava di vivere la tipica allucina-zione da febbre alta. Notai nei suoi sguardi un’in-quietudine pari alla mia, che dimostrava che nonera in grado di capire le mie parole. La collega miportò il cappotto, me lo mise, mi condusse fino allaporta, tornai a casa. Sembrava la mia solita casa,quella in cui sono nato, dove ho vissuto per tantianni con i miei genitori, e con mia madre quandomorì papà, e con lei finché morì anch’ella, e glioggetti, le foto, i ricordi, i mobili, i libri avevanol’aspetto rassicurante di tanti anni di compagnia.Ma le scritte, le cifre, le parole stampate avevanosubìto quell’orrenda trasformazione, e in alcunefoto comparivano volti estranei, o persone conmostruose maschere di animali: cani, maiali, giraffe.In televisione, alla radio, i soliti annunciatori parlava-no quella lingua misteriosa, piena di aspirazioni eimprovvisi colpi di raucedine, di sillabe ripetute

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come in un balbettio, di vocali oscurate all’improvvi-so. Persino i miei documenti personali, la cartad’identità, la patente, le carte di credito avevano subì-to il cambiamento dei testi in quella lingua scritta contratti inusuali che mi sembravano sempre più orrendi.Rimasi seduto davanti al televisore fino a nottefonda, osservando le immagini, ascoltando quel-l’enigmatico linguaggio. Non avevo pranzato, noncenai e non fui neanche capace di scrivere sul miodiario di quell’atroce esperienza, contravvenendo perla prima volta in tanti anni a un’abitudine che ogninotte mi permette di recuperare per iscritto la norma-le pace dei miei giorni. Per strada risuonavano risa-te frenetiche, grida simili a ululati, ma non si vede-va nessuno, e alcuni veicoli con l’aspetto di uncarro funebre percorrevano di tanto in tanto lastrada solitaria, di solito assai trafficata. L’angosciami fece temere un’insonnia straordinaria e triplicai ladose delle pasticche che prendo ogni tanto, quandopenso che avrò problemi ad addormentarmi. Il miosonno è stato pieno d’incubi che non ricordo, d’am-

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biti oscuri, anch’essi difficili da identificare, di voltisfocati. Ben presto mi sono svegliato e sull’orologiodel comodino ho visto i segni numerici di sempre,che segnavano le sette meno dieci del primo delmese. Ho acceso la radio con timore, ma una voceben nota ha detto chiaramente che il tempo rimarràfresco e instabile. Anche i libri contengono testiscritti nell’unica lingua che conosco bene. Hoimmaginato che quegli spazi che ieri si sono incro-ciati con me corrispondano a un mondo alieno, chespero di non incontrare mai più e, persino primadell’abbondante colazione che intendo prepararmi,scrivo queste note, mentre mi accingo a tornare allaroutine dei segni consueti che, finora, mi hannodato ciò che all’improvviso scopro come una sortadi felicità.

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Lei non sa chi sono io

Certo che lo so. L’ho seguita tante volte. Sodove abita, a che ora la viene a prendere l’autista,quali ristoranti frequenta, dove si riunisce, all’insa-puta dei suoi soci, con quelli che vogliono impos-sessarsi dell’azienda. Così come so che molte serepercorre questo vicolo di nascosto, per incontrare lasua amante. Ora, in questo posto buio, quando misono avvicinato e l’ho interpellata con voce sicura ebeffarda, ha manifestato la sua paura con quellafrase trita e prepotente. Certo che so con chi sto par-lando: sto parlando con l’uomo che ucciderò.

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Leggenda

A quei tempi il drago aveva forma, corposquamoso, grandi ali, artigli potenti, fauci dallezanne infinite dalle quali sputava fuoco. Al contra-rio di ciò che si racconta, nessuno dei cavalieri pre-destinati ad abbatterlo ci riuscì, e tutti caddero nel-l’impresa. Quel drago morì di vecchiaia. Si sonosucceduti draghi sempre più amorfi, meno ricono-scibili nel loro aspetto esterno, e molti cavalie-ri sono morti lottando contro di loro, ma idraghi muoiono tutti di vecchiaia. Tutta-via, le stelle continuano asegnare la nascita di coloroche nascono con il destinodi uccidere il drago.Tu sei uno diloro.

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Racconto di primavera

— L ’ufficio ha una terraz-za interna che è chiusa con

un’inferriata, perchénon si usa. Agli operaiche lavorano in que-sti giorni in uno deipiani superiori ècaduto un attrezzo su

quella terrazza. Dopoaver cercato per molto

tempo la chiave si riescead aprire l’inferriata. L’uo-

mo che è sceso a riprendere l’attrezzo scopre dalì l’insolito retro degli enormi palazzi che cir-condano la zona, le innumerevoli vetrate chebrillano al sole, in forte contrasto con la penom-bra che avvolge il cortile. Poi guarda per terra. Èpieno di sporcizia, polvere, cicche, fogli di gior-nale, plastica, lattine vuote, la spazzola corrosadi uno scopettone. Nel tombino è cresciuta unapiantina. L’uomo, prima di raccogliere l’attrez-zo, si avvicina alla piantina, la strappa e la lancianel vuoto.

— Il racconto non finisce così. In realtà l’uo-mo, quando scopre la piantina, la toglie dal suo postocon molta cura, cercando di fare in modo che la radiceconservi la maggior quantità di terra possibile, l’av-

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volge in uno dei pezzi di plastica e se la porta a casa,dove la trapianta in un vaso. E la piantina crescemolto rigogliosa.

- E quindi?

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Notte

Stavano già chiudendo le porte quandoentrò nella stazione, ma fece in tempo a prenderel’ultima metro. Lo aspettava un lungo tragitto fino adestinazione, il capolinea, e si sedette, lasciò vagarelo sguardo per il vagone vuoto, osservò le luci alneon protette dalle grate metalliche, le piante dellelinee, il pavimento di gomma sul quale non restava-no quasi più le impronte della giornata. Avevasonno. Mezzo nascosto da un sedile, vicino a unaporta, spuntando dalla fessura che separava la pare-te dal pavimento, attirò la sua attenzione un piccolooggetto allungato, leggermente curvo, composto dauna successione di frammenti di vario spessore, conl’estremità appuntita, che sembrava la zampa di uncrostaceo. La forma era così assurda in quel contestoche si alzò per osservarla da vicino, e constatò che,incastrata dal lato più spesso, da quella fessura spun-tava ciò che sembrava proprio la zampa di un gran-chio, o di una granseola. La pestò per trascinarlaverso di sé, ma il contatto col piede produsse l’effet-to contrario e il piccolo oggetto si infilò più profon-damente nella fessura. L’effetto visivo dello sposta-mento aveva l’aspetto di un ritrarsi vero e proprio,come se quella cosa a forma di zampa di granchio sifosse mossa da sola. Era molto stanco, dopo unagiornata di duro lavoro, e il movimento dell’oggettolo fece sussultare in quel luogo trepidante e vuo-

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to. Con lo sguardo tornò a per-correre il vagone e a un trattovide, attraverso i finestrini, lasolitudine del vagone attiguo, incui pure c’era un solo passegge-ro. Si avvicinò di più al vetro.Quel viaggiatore, uno straccione,scarmigliato, con la barba incoltae le mani sporche, dormiva.Stava per sedersi di nuovo, quan-do intravide sul pavimento delvagone accanto qualcosa cheall’inizio era appena percettibile,corpi grandi quanto piccole

mani, con zampe come quella che gli era sembratodi vedere. In pochi istanti, quelle forme, simili a deigranchi scuri, giunsero fino all’uomo addormentatoe cominciarono ad arrampicarglisi sulle gambe, aricoprirgli il petto, gli raggiunsero le mani, la barba.L’uomo addormentato aprì gli occhi, e incrociò ilsuo sguardo. Lui si allontanò, girò le spalle. Dallafessura inferiore della parete del suo vagone spunta-va una miriade di zampe di granchio. Cercando dimantenere i nervi saldi, si domandò se potesse ser-vire a qualcosa far suonare l’allarme.

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Corpo ribelle

Dal giorno dell’operazione, il corpo mi hadisobbedito in molte occasioni. Si rifiuta di alzarsi,di sedersi. Si rifiuta di entrare o di uscire. Mi obbli-ga molti pomeriggi a rimanere in casa, fermo comeuno dei tanti mobili. Le pratiche testamentarie — disolito le ultime malattie cominciano insieme alleprime eredità — mi hanno obbligato a fare questoviaggio e mi ha sorpreso constatare la facilità concui il mio corpo si è preparato a questo. Ieri sera,appena giunto nella vecchia casa pregna di ricordid’infanzia e d’adolescenza che incrementavano ilmio disappunto, avvertii il primo segno di ribellio-ne: in un determinato momento della notte sentii diessere in una posizione scomoda che non mi lascia-va respirare bene e cercai di muovermi, ma il corponon mi rispondeva. Poiché ero addormentato, com-presi che era necessario che mi svegliassi per cam-biare posizione, ma il mio corpo non si voleva sve-gliare, e soltanto dopo una lunga lotta sulla sogliache collega sonno e veglia riuscii a vincere la suaresistenza. Un altro segno di ribellione si è verifica-to questo pomeriggio, dopo mangiato, quando miaccingevo a fare una passeggiata nel bosco. Il corponon mi ha obbedito e ho dovuto cambiare direzionee incamminarmi verso la scogliera. Adesso sonoseduto sul bordo del prato umido, sul mare ruggen-te. Tra le rocce scure, trenta metri più in basso, si

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infrange violenta la schiuma delle onde. Fa moltofreddo e ho cercato di tornare a casa, ma il miocorpo si ribella ancora una volta, si avvicina albordo del precipizio, alza le braccia. Accetto quelche sta per accadere con orrenda rassegnazione.

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Le fate1

C’era una volta un bambino cui interessava-no molto le fate: la loro delicata bellezza, la lorotunica di luce, il loro potere magico. Con il passaredegli anni scoprì le virtù principali che possiedonole fate: dare al mondo tenerezza e armonia, far sìche il tempo sembri avere solidità e senso, placare ilsospetto di fatalità che ci turba perennemente,accendere in noi una luce di speranza quando sen-tiamo che il nostro destino sicuro non è altro chedolore e ombra. Non riuscì mai a vederle, sebbeneintuisse spesso la loro presenza nel riflesso del tra-monto su una finestra, nel silenzio di una piazzetta,nella penombra del bosco, nel sussurro di una can-zone che qualcuno gli regalava nel passare. Ungiorno vide ridere una bambina e gli sembrò chesolo una fata avrebbe potuto farlo con una sicurezzacosì naturale. Soltanto una fata può ridere con quelsuono soave che non sembra una voce ma un fru-scio di brezza, di foglie che si muovono, di acquache scorre, pensò; soltanto negli occhi di una fatapuò esserci quel luccichio di sole, argento e spec-chio lontano. Altre risate, gesti e sguardi femminililo convinsero col tempo che le fate non sono esseri

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1 [N.d.T.: il titolo del racconto è Cuento de hadas, corrispondenteal monolemma italiano “fiaba”. Per non perdere il riferimento alle“fate” che costituisce il Leitmotiv del racconto si è preferito tradurrecon Le fate].

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con un corpo concreto, autonomo, ma spiriti invisi-bili, impalpabili, che abitano, colonizzano, determi-nati corpi femminili, e che si lasciano scoprire soloa volte in un gesto, in una parola, senza che le loroospiti sappiano chi sia dentro di loro. Vicino a casasua abitava quella bambina, che con il tempo diven-ne una ragazza e che, in molte sfumature del suocomportamento, e nonostante i rimproveri familiari,conservava una certa spontaneità infantile, nonancora piegata dalle convenzioni: parlava con glisconosciuti, correva per strada, rideva sfacciata-mente di tutto ciò che la divertiva. In quella ragaz-za, dunque, gli parve di intravedere la presenza abi-tuale di una fata. Vi erano attimi nella sua risata,sprazzi nel suo sguardo, un momento nel suo mododi scuotere i capelli, nella maniera di pronunciareuna frase, che potevano essere propri solo di unafata. Cercò di frequentarla, divennero amici, si fece-ro più intimi, si innamorarono, si sposarono, creb-bero i loro figli, vissero insieme per molti anni. Leinon perse mai quella spontaneità della sua adole-scenza e la fata che viveva in lei non la abbandonò,e lui non aspettava altro che apparisse la fata ai suoiocchi, alla sua bocca, che sentire il contatto dellafata sulla pelle, nei suoi baci, e viveva estasiato dalprivilegio di aver potuto condividere la sua esisten-za con una fata e dal fatto che i doni di armonia eaffetto venissero concessi senza sosta a ciò che loaveva circondato nel corso degli anni. Ovviamentenon le disse mai nulla, non ne parlava mai, facevafinta di niente, per non sconcertare la moglie, ma,soprattutto, per non allarmare la fata, poiché temevache se la fata si fosse accorta di essere stata scoper-

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ta da un essere umano, avrebbe forse abbandonatoquella donna in cerca di un altro rifugio dove conti-nuare a vivere inosservata. Divennero anziani, vec-chi. Lui si ammalò e capì che la morte era ormaivicina, ma la presenza di sua moglie e della fata cheviveva in lei gli rendevano meno penose le ultimegiornate. Giunse la fine, i suoi figli avevano viag-giato per stargli vicino ed erano riuniti nella stanzaaccanto, stanchi e afflitti. Una voce lo fece usciredal suo dormiveglia, poiché capì subito che si tratta-va della voce della fata. Guardò sua moglie e videche ormai era del tutto una fata, con gli occhi bril-lanti di una fata, con il volto raggiante di una fata.Gli teneva le mani con molta dolcezza e con voce difata, ormai senza nasconderlo, gli faceva capire diessere la fata, oltre che la moglie, colei che stavaparlando, e gli assicurava di essere sempre statafelice con lui. Allora lui capì che anche quello erauno dei momenti felici di una vita privilegiata, emorì con un sorriso.

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Occhi

Per strada tutti erano uguali, con quegliocchi mostruosi che danno loro un aspetto cosìrepellente, ma decisi di non perdere la calma,nascosi la mia inquietudine, e ho continuato a farlo

durante la mattinata, mentretutti in ufficio mostravanoquegli occhi orrendi. Tornaia mangiare a casa. Mi sedet-ti a tavola, e scoprii cheanche la zuppiera era pienadi grandi occhi. Mia mogliemi riempì il piatto e, impas-sibile, mi portai la primacucchiaiata alla bocca. Sa dipastina in brodo. Mentre ilpranzo va avanti, osservogli occhi enormi e sporgentidella mia famiglia, penso ai

miei, a quelli di tutti, a quel brodo dall’aspetto ripu-gnante, e mantengo con fermezza il proposito dinon allarmarmi.

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La famiglia sognata

Orfano di padre e di madre, fu cresciuto dalsuo unico parente stretto, uno zio anch’egli mortopresto. Era abituato a non avere famiglia e la sua vitasolitaria non gli causava alcuna inquietudine, anzi, sisentiva persino libero dai fastidi e dalle restrizioniche senz’ombra di dubbio deve comportare l’appar-tenenza al mondo famigliare. Una notte sognò chedall’altra parte del mare arrivava un cugino di nomeLorenzo, di cui non aveva mai avuto notizie, e sipiazzava a casa sua in attesa di una sistemazionedefinitiva. Quel cugino cominciò ad apparire abi-tualmente nei suoi sogni, cucinava piatti profumati,metteva musica assordante, lasciava i vestiti buttatisui divani. In un sogno successivo, il cugino Loren-zo gli disse che sarebbe venuta sua sorella Catalinacon i bambini, e quando arrivarono, poiché casa suaera grande, dovette ospitare anch’essi in quell’acco-glienza temporanea che andava ingrandendosisogno dopo sogno. Catalina era molto ordinata, maoccupava il bagno per molto tempo e i suoi figli,gemelli, fecero del salotto il teatro dei loro giochi. Ilsogno non smise di portargli in casa nuovi ospiti dipermanente provvisorietà: lo zio Perico, sedicentefratello di suo padre, a quanto pare emigrato in Mes-sico quarant’anni prima, che amava molto suonarela fisarmonica, e la zia Lupe, sua moglie, che avevabisogno del tavolo della sala da pranzo

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per montare i suoi enormi puzzles. Con tutto ciò, lavita dei suoi sogni si fece via via più scomoda,dal momento che non smetteva di sognare quel-la famiglia sopraggiunta e numerosa che tantoalterava le sue abitudini casalinghe. Cercò dieliminare quel sogno prendendo tisane, consul-tando medici e persino chiromanti, ma non ciriuscì, e ogni notte, prima di dormire, provava ilfastidio di essere obbligato a ripetere quellasorta di incubo, poiché era molto probabile chesognasse di nuovo se stesso, seduto su una sediadel salotto, circondato da quella famiglia inva-dente e rumorosa. Ma alla fine cominciò a trova-re nel sogno certe gratificazioni: i piatti che pre-parava il cugino erano molto saporiti, la cuginaCatalina aveva portato ordine e pulizia in tuttala casa, lo zio Perico e la zia Lupe raccontavanostorie curiose che erano come affascinanti sognidentro al sogno: di gente che volava, di fiumiche trascinavano grandi smeraldi tra le loroacque, di pesci che parlavano una notte all’an-no. A volte, giocava con i gemelli al par-

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chís1, al gioco dell’oca, scoprendo l’eco di passa-

tempi lontanissimi. Quando ormai aveva accettatoche quella famiglia occupasse irrimediabilmente lacasa dei suoi sogni, lo zio Perico e la zia Lupe tor-narono in Messico. Poi, il cugino Lorenzo trovò unappartamento conveniente e si trasferì. Da partesua, la cugina Catalina si innamorò di un informati-co e andò a vivere con lui, portando con sé i gemel-li. E così la famiglia scomparve dai suoi sogni. Orasogna che sta solo in casa, come quando è sveglio.Sogna che aspetta qualche lettera degli zii, una tele-fonata del cugino Lorenzo o della cugina Catalina,qualche cartolina con un messaggio dei gemelli.Sogna che non le riceve mai, e si sveglia semprecon la stessa sensazione di un incubo.

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1 [N.d.T.: gioco da tavola simile al “non-ti-arrabbiare”].

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Effetto iceberg (saggio)

All’ultimo secondo l’enorme transatlanticoriuscì a schivare l’iceberg e tutti i passeggeri arriva-rono a destinazione. Il saggio, approfondito e meti-coloso, esamina il ruolo che ognuno di loro svolsenella società a partire dal loro arrivo, nei vari aspet-ti e in relazione ai diversi mestieri e professioni. Latesi di questo saggio appassionante è che l’azionepersonale e sociale di quell’insieme di persone siastata decisiva affinché gli Stati Uniti, e di conse-guenza il mondo intero, abbiano potuto attraversareil periodo di pace, solidarietà ed equilibrio in tuttigli ambiti che stiamo vivendo più di novant’annidopo. Gli autori assicurano che se il Titanic fosseaffondato quella notte il mondo attuale sarebbemeno calmo e piacevole.

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Metamorfosi

Anche su di me pesa una maledizione ance-strale. Terzo figlio maschio di un boia, nacqui l’ul-timo giorno di febbraio di un anno bisestile. Pertan-to, ogni notte di luna nuova subisco la terribile tra-sformazione. Il mio corpo si ricopre di peli, sullamia testa le orecchie si fanno appuntite, le mie man-dibole si allungano a formare un muso per assecon-dare la dentatura prominente, dal mio coccige spun-ta una lunga coda. Allo stesso tempo la mia stazza simodifica in lunghezza e volume, e raggiungodimensioni assai diverse da quelle abituali. Dopoessermi trasformato, sorge in me la passione per lescelleratezze, una febbrile attività distruttrice. Ilmio naturale orrore per lospargimento di sangue miimpedisce di commettere leatroci angherie che hannoreso famosi altri miei colle-ghi, come il lupo mannaro.Forse per questo motivonon mi conosce quasi nes-suno, e nel contempo quasinessuno sa che posso essereeliminato con una trappolaper topi d’argento.

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Virus

Oggi vi parlerò dei virus, diceva per esem-pio il professore, e tutti i suoi alunni lo ascoltavanorapiti, pendendo dalle sue labbra, perché le suelezioni offrivano loro prospettive sempre impensa-bili e sorprendenti. Virus, entità biologiche emer-genti in un organismo che invadono man mano perdistruggerlo mentre fanno parte di lui, implacabili,invisibili, capaci di attraversare ogni filtro, ma cie-che, ignare in fondo di produrre la distruzione di ciòche invadono.

Vi sto parlando di virus, della specie umana,diceva a un tratto il professore, ad esempio dell’Ho-mo sapiens sapiens, che compare in un ambiente incui, per moltissimo tempo, i predecessori della suaspecie primigenia sono sopravvissuti nell’equili-brio stabilito dalle regole della natura, e all’im-provviso invasore, aggressore, che entra a far partedell’ambiente in cui vive per annichilirlo pianpiano mediante l’abuso delle risorse, l’inquina-mento idrico e atmosferico, l’alterazione di ogniarmonia. Una specie intelligente. Sono altrettantointelligenti i nostri virus, come quello dell’influen-za, che sta causando sgomento tra di noi, che para-lizza gli ospedali e fa traboccare gli studi dei medi-ci? Sono in grado di utilizzare tecnologie? Aveteconsiderato le forme perfette e l’esatta meccanicadel batteriofago?

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Fu in quello stesso inverno che il professoreprese il raffreddore che l’avrebbe portato allatomba, dopo una serie di complicazioni fatali per lasua cagionevole salute. La sua morte interruppe lesue personalissime ricerche, e tutti i virus continua-rono a proliferare su quel pianeta senza che nessunopiù tornasse a sospettare della loro vera natura.

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Il castello segreto

Il castello si erge proprio in questa zona, manon è visibile durante la veglia. Per arrivarci biso-gna trovare un sentiero che a volte compare insogno, aprendosi dinnanzi a noi mentre avanziamo

passo dopo passo. Il castello non sembramolto grande, ma dietro all’ampio

ingresso vi sono molti corri-doi, su più piani, con innu-merevoli porte identiche

che danno accesso allecamere. Io conosco la

camera senza confini,dove si cade senza sosta,e quella che dà accesso auna scala a chiocciolache non finisce mai.Conosco anche la stanzadei sussurri che non sipossono capire, quelladelle grandi ombre dalleforme mostruose, quel-la dell’orologio che

segna ogni secondo con una grande goccia di san-gue che schizza sulle pareti. E poi c’è la stanza delmare dei pesci morti, e quella degli uccelli ciechiche svolazzano senza meta. Io conosco la cameradelle dune, disseminate di scheletri di esploratori

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smarriti, e quella delle paludi, in cui galleggianoabiti, cappelli, mappe. Quel castello è pericoloso,perché per uscirne è necessario svegliarsi, e moltinon ci riescono, anche se ogni giorno te li vediaccanto e sia tu che loro credete di essere svegli.

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Le due

Mi hanno svegliato i rintocchi del vecchio oro-logio da parete. Sono le due, e mi stupisce che sianogiunte così nitidamente fino a me, con tutte le portechiuse. E provo inquietudine, quasi paura, perché quel-la notte è tornata con assoluta chiarezza nel mio ricor-do. Dovevo avere quindici o sedici anni, ed ero vittimadi un innamoramento impossibile. Passavo il Natale acasa di mia nonna, a Trobajo del Camino. Freddo,abbuffate, molti parenti. Quell’orologio, che ho eredi-tato, sovrastava la grande sala da pranzo. Tutti neapprezzavano la foggia bordolese1, il meccanismo. Loaveva portato uno di quei venditori ambulanti che unavolta attraversavano le montagne. Un orologio a ripeti-zione, che permetteva di sapere l’ora a quelli che, lon-tani dalla sala da pranzo, dentro o fuori casa, non aves-sero avvertito chiaramente la prima volta il numeroesatto dei rintocchi. Le due di notte è l’ora più confusadi tutte: la giornata precedente è ancora vicina e l’albaseguente ancora assai lontana. Quella mia insonnia gio-vanile mi fece sentire la solitudine di quell’ora indecisae un po’ persa. Ascoltai ripetersi i due rintocchi e, peruna qualche incoerenza meccanica, suonare una terzavolta le due, dopo alcuni minuti. Non riuscivo a ripren-dere sonno, oppresso dal turbamento dei miei amorinon corrisposti. Suonò il rintocco della mezza e, un belpo’ di tempo dopo, un altro rintocco solitario

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1 [N.d.T.: di Bordeaux].

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che mi fece capire che il meccanismo sonoro dove-va essere in avaria. Un sonno leggero, che mi inva-deva a ondate successive, non mi impedì di udireancora una volta la mezza, e infine, nitidamente, irintocchi della mezzanotte. Lo scombussolamen-to dell’orologio mi fece quasi sorridere, ma dopoparecchio tempo i cugini della mia età irrupperoin camera mia e mi buttarono giù dal lettoperché, secondo loro, era troppo pre-sto per andare a dormire. Alleundici giocavamo a tombola. Alledieci e mezza eravamo sedutia tavola, davanti ai torroni ealla frutta secca, e mia nonnasi preoccupava del mio scarsoappetito, mentre gli altri man-giavano con avidità e ingordi-gia. In quel momento sentiilo sbandamento provocato daquell’assurda regressione, emi venne voglia di gridare,di raccontare a tutti ciò chestava accadendo, ma come se aquell’ora il tempo disorientatoavesse ripreso il suo corso abitua-le, la cena non tornò all’indietrodai dolci ai piatti caldi, anche se ilmomento dei dolci si protrasse alungo, senza che nessuno avvertisse ladurata esagerata di quei minuti. Alla fine furonodi nuovo le undici e giocammo ancora a tombo-la, e mezzanotte, e mezzanotte e mezza, e andaia letto per perdermi in un sonno che fi-

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nalmente mi condusse senza sussulti alla giornatasuccessiva. I due rintocchi mi hanno riportato quel-la paura dimenticata, che non ho mai saputo seappartenesse o no ai puri incubi. Ora aspetto chesuonino di nuovo le due senza sapere se ci avviamoverso le tre o se torniamo all’una. Qualsiasi cosasucceda, mi riprometto ancora una volta di disfarmiper sempre di quell’orologio.

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Piede

Da scapolo è passato ad essere scapolone edè ormai abituato a dormire da solo. Una notte lasensazione di un contatto insolito lo sveglia: unodei suoi piedi si è scontrato con la pelle calda emorbida di un piede che non è suo. Mantiene il suopiede attaccato all’altro e allunga il braccio conattenzione, in cerca del corpo che dovrebbe giacer-gli accanto, ma non lo trova. Accende la luce, sepa-ra le lenzuola dal letto, ma lì dentro non c’è niente.Immagina di aver sognato, ma pochi giorni dopo sirisveglia sentendo di nuovo quel tocco di mor-

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bidezza e di calore altrui, e persino la forma di unapianta che si appoggia al suo collo del piede. Questavolta resta fermo, accettando il contatto come unacarezza, prima di riaddormentarsi. Da quel giornoin poi il piccolo piede va a cercare il suo notte doponotte. Durante il giorno, i colleghi, gli amici, lo tro-vano più attivo, gioviale, cambiato. Lui attende l’ar-rivo della notte per trovare nel buio il tocco di quelpiede contro il suo, impaziente come un giovaneinnamorato prima del suo appuntamento.

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Il dolce oblio

Gli dissero che l’avrebbe avuto a partiredalle nove di quella mattina. Il traffico era moltointenso e lui rischiava di perdere il treno, ma nonvoleva partire senza averlo preso. Chiese al tassistadi portarlo lì, di attenderlo per qualche istante, salì,glielo diedero. Tanta era la fretta per il poco tempoche restava prima che partisse il treno, che non volleleggerlo fino a che, sistemato infine nel suo posto,sentì che il convoglio cominciava a muoversi. Aprìdunque la busta, affrontò il breve testo e non seppese stupirsi o riconfermare una sicurezza segreta. Poipensò che quelle parole erano una sorta di formulamalefica. Lo aspettavano al suo arrivo e non lasciòtrasparire la sua commozione, ma tenne la confe-renza senza neanche rendersene conto, nel consuetoautomatismo, mentre il testo breve e categorico cheaveva letto in treno continuava a essere vivo nellasua mente. Dopo il suo intervento c’era un piccoloconcerto che chiudeva gli atti della giornata: duegiovani, un pianista e un’arpista, qualche metrodavanti a lui, avrebbero interpretato vari pezzi. Sipreparò a una parentesi di noia che l’avrebbe aiuta-to a continuare a nascondere il suo stato d’animo. Igiovani cominciarono a suonare e a poco a poco fupreso da quella corrente poderosa in cui i suoni s’in-trecciavano al filo del tempo. Anche la musica erauna formula, ma questa volta benefica, e si lasciò

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trasportare dalla sua vicinanza, s’immerse via via inessa finché non sentì che la sua inquietudine erasostituita da una suggestione di calma. Tutti i com-positori di quella musica erano già morti, ma la loroinvenzione continuava a fluire impregnata di vita, epersino di un tripudio sereno. La musica si riversa-va davanti a lui piena di forza e di verità, gli bagna-va tutto il corpo come un’acqua salutare. Quando ilbreve concerto si concluse, capì che aveva comin-ciato a riconciliarsi con ciò che annunciava il fatidi-co foglio che teneva in tasca.

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Poca luce

Io ero il precettore dei figli del conte. Neglienormi ambienti del castello c’era ben poca luce, equella penombra facilitò certi approcci amorosi.Con quella poca luce fui sedotto dalla contessa e lapoca luce mi permise di sedurre sua figlia. Quellapenombra fece in modo che, quando il conte vollevendicare il proprio onore, mi confondesse dappri-ma con il giardiniere, che trafisse con una stoccata,e poi col maggiordomo, che uccise con un colpo dipistola. Per colpa della poca luce, mi ruppi l’ossodel collo sulle scale della cantina, mentre il conteinfuriato mi inseguiva. Adesso sono il fantasma chepercorre questi merli solitari e questi saloni bui,umidi e vuoti, sotto i soffitti che crollano.

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I giorni rubati

Alla vigilia della mia prima gita scolastica, il ner-vosismo mi tolse il sonno. Dovevo visitare l’aerodromo,a sei chilometri dalla città. Avrei viaggiato su un pullmanchiamato La Saetta Azzurra e avrei pranzato al sacco conla fettina panata e l’uovo sodo che mia madre aveva cuci-nato per me. Ricordo chiaramente le rievocazioni di quel-la gita nella bocca degli altri bambini: le grandi eliche, imotori ruggenti, il pilota col cappello e la giacca di pelle,le bibite della merenda. Tuttavia, non una sola immaginedi quel giorno era rimasta impressa nella mia memoria,come se io non l’avessi vissuto insieme agli altri.

Alcuni anni più tardi, ormai adolescente,un’altra gita scolastica mi portò a Santiago de Com-postela. Anche stavolta la memoria altrui sarebbe ser-vita da riferimento per gli avvenimenti del viaggio, lenotti nella pensione, le prime sigarette, l’oscillazionedel botafumeiro1, poiché in me non era rimasto unsolo ricordo di quei giorni.

Mia moglie rimembrava il nostro viaggio dinozze, gli altri viaggi, la dolcezza del mare nelle isole, ilverde dei pini, ricordava dolci tramonti estivi, passeggia-te sulla neve, un uccello che mi si era posato sulla spallanell’isola di Taquile, ma la sua tenerezza non riusciva arisvegliare in me una sola immagine di quei ricordi.

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1 [N.d.T.: grande incensiere della cattedrale di Santiago de Compo-stela, che viene appeso al tetto della chiesa e messo in movimentograzie a un meccanismo].

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A quanto pare tutte le giornate piacevoli, pla-cide, stimolanti, che ho condiviso con gli altri nonsono altro che un’opacità senza luci né echi. I mieifigli e i miei nipoti mi portano adesso a vedere lasfinge, le piramidi. Osservo il territorio delle nuvoleche l’aereo sorvola e, sopra, il cielo azzurro, il sole.So che anche questi giorni per me andranno persi,mi chiedo chi sia colui che ha vissuto, colui che viveal posto mio le giornate felici della mia vita.

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Tracce

Quel cestino rovesciato. La scritta sul muro,come un’indecifrabile maledizione. Varie ciccheper terra, intorno all’albero. Un giornale piegato suuna panchina. Una piccola palla che galleggia nellaghetto. Il segno del rossetto sul bordo della tazza.Un calzino da bambino che pende dal cancello. Unosputacchio sanguinolento. La cicatrice della frenatasull’asfalto. Umidità sul cuscino. Questo racconto.

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Tellurica

Vengono dal mare, con il loro corpo allun-gato e i loro grandi occhi, col loro becco e le loroestremità tentacolari, da quelle profondità silen-ziose e fitte come i sogni delle origini. Li puliraicon attenzione, toglierai loro le viscere e la pelle,la lisca cristallina, metterai da parte il sacchettodell’inchiostro. In un tegame, terre terrose e ondu-late di Pereruela, con olio degli uliveti del sud, chetracciano su terre anch’esse ondulate un poema disaggezza e natura, farai appassire la cipolla tritata,i germoglietti verdi che spuntano nella terra neradell’orto di tuo nonno, soffriggerai il pomodoro, ipianori della campagna di Níjar con le sue grandiserre coperte di plastica. Mentre in un mortaio dilegno, pioppi dorati delle sponde dell’Esla, peste-rai aglio, penserai a Chinchón e alla sua piazza dibella asimmetria, ma di certo son cinesi, le secca-gne del Grande Ovest, le barche arrugginite cheportarono in Europa le sementi seguendo le vec-chie rotte costiere, con il sale grosso, saline di Tor-revieja, grumi biancastri che segnano lo splendoredell’estate tra gli scogli di Formentera, e quei sac-chetti neri che mantengono l’inchiostro densissi-mo. Al soffritto aggiungerai il calamaro a pezzetti,il pesto con un po’ d’acqua, una foglia di alloro, isentieri fiancheggiati di allori e sambuchi vicino aifiumi dell’infanzia, e che al lento calore,

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fuoco di gas algerino, di piastra elettrica con l’ener-gia di quei bacini idrici che forse coprirono i paesimontani, si cuocciano senza fretta, il tempo di fareinsaporire e addensare il sugo, almeno due ore, unafrazione di tempo insignificante per il pianeta, soloun lieve movimento di rotazione e di traslazionenell’imperscrutabile cammino degli astri.

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La quarta uscita

Il professor Souto, grazie a certi documentiprovenienti dal vecchio mercatino di Toledo, haappena scoperto che l’ultimo capitolo della secondaparte del Chisciotte — “Di come don Chisciottecadde ammalato, del testamento che fece e della suamorte” 1 — è un’interpolazione con cui un chierico,per dare esemplarità al romanzo, sostituì buonaparte del testo originario e il vero finale. Ci fu infat-ti una quarta uscita dell’ingegnoso hidalgo e cava-liere, in essa incontrò il mago che stregava le suevicende, un vecchio soldato monco aiutato da unmorisco2 istruito, e riuscì a sconfiggerli. Così, imulini tornarono ad essere giganti, le locandecastelli e le greggi eserciti, elui, dopo innumerevoli impre-se, sposò donna Dulcinea delToboso e fondò una stirpe dicavalieri erranti che fino adoggi hanno aiutato a salvare ilmondo dagli imbroglioni, dagliarroganti, dai malandrini e daifigli di puttana che continuanoa pretendere di imporci il loroabominevole dispotismo.

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1 [N.d.T.: Don Chisciotte della Mancia, traduzione di V. Bodini,rubrica cap. LXXIV, Vol. II, Torino, Einaudi, 2005].2 [N.d.T.: mussulmano convertito al cristianesimo dopo la Reconquista].

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Rivelazione

Mi è sempre sembrato che avesse un che diuccello: la maniera di muovere la sua piccola testa,con scatti morbidi, il modo di guardare un po’ di lato,i brevi gesti muti con cui spesso separava e univa lelabbra, come un beccuccio. Quando ci sposammo,l’intimità di ogni giornata mi dava nuove prove delsuo aspetto etereo, dei suoi lievi sussulti, una delica-tezza un po’ automatica, come quella dei volatili.Sono passati gli anni e i bambini sono cresciuti, sonoormai quasi adulti, e mi sembra di vedere anche inloro un’aria sempre più chiara di uccelli. Soprattuttoda quel giorno in cui, nelle saline, lei cominciò a cor-rere verso i fenicotteri e volò via con loro.

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Mini-romanzo

Lei arrivò col traghetto la sera del venerdì,quando il sole ritagliava sulla pineta un’ombrasoave e ocra. Portava una piccola borsa, in cui tene-va il telefono cellulare, di continuo manipolato conimpazienza. Lui percorreva l’isola immerso in unestraniamento che lo allontanava dalle spiagge e daibar. Nemmeno a lui il telefono serviva per ottenerela telefonata affannosamente cercata.

S’incontrarono quella stessa sera, davantia una delle taverne del porticciolo dei pescatori.Erano soli sulla punta del molo, e la vicinanza deiloro corpi risvegliò in entrambi il bisogno dicompagnia.

Lei si mostrò spensierata, gioviale, e non glidisse la verità sulla sua provenienza. Anche luiostentò serenità e mentì parlando della sua vita quo-tidiana. Tuttavia quelle bugie servirono a che cia-scuno scoprisse nell’altro una certa sicurezza difronte alla notte. La passarono insieme, e così igiorni successivi.

Il lunedì, a metà mattina, mentre eranodistesi sulla spiaggia, suonò il cellulare di lei, chesi allontanò per parlare, con voce eccitata. Luicominciò a guardarla con sorpresa, come se nonl’avesse mai vista. Quello stesso pomeriggio, luiricevette una telefonata sul cellulare cui risposecon gioia. Al calar del sole, mentre lei saliva sul

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traghetto, lui aspettava l’arrivo di un aereo.Non si rividero mai più.

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Crisi di percezione

Per molti anni la mia percezione delle coseè stata la stessa della maggior parte dei miei com-patrioti, e non so quale possa essere stata la causaper cui cominciò a manifestarsi l’anomalia, ma inoccasione della consegna di quel premio scopriiche il re era nudo, senza che nessuno si scompo-nesse, e continuai a vederlo nudo in tutte le ceri-monie trasmesse in televisione.

Appassionato come sono dell’opera e deglispettacoli teatrali, in quello stesso periodo comin-ciai a percepire che spesso il palcoscenico restavavuoto e che gli attori, quando andavano in scena,non cantavano né recitavano, il che non impedival’entusiasmo degli spettatori di fronte alla presuntarappresentazione.

Lo stesso mi accadde con i film e con iromanzi. Nei primi, laddove la gente trovavascene esilaranti, commoventi o piene di intri-ghi, io vedevo solo una continua immagine sfu-mata; nei secondi, gli elogi della critica o lafama procurata da qualche premio non riusciva-no a far sì che vi trovassi nient’altro che paginebianche o stampate con le stesse parole ripetuteall’infinito.

Consapevole della gravità del caso, nascosiper molto tempo ciò che mi stava accadendo, finchéarrivai a sentirmi così sradicato dalla mia

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comunità che cercai l’aiuto dei medici. Mi dissero chela mia malattia era molto rara, una grave perdita delsenso della convenzione, mi ricoverarono, mi detteromolte medicine, ma non sentivo di migliorare.

Alla fine ho deciso di provare a curarmi conla mia sola volontà e, dopo aver mentito in manieraconvincente ai dottori, sono tornato a casa e mi sfor-zo di vedere il re vestito, di trovare sui palchi o suglischermi gli stupendi spettacoli che dicono abbianoluogo, e nei romanzi le ammirevoli e ben narratestorie che tanti lettori elogiano. Credo che, se conti-nuo a provarci, riuscirò a guarire del tutto.

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Vento

Era una giornata grigia e il traghetto rispon-deva con un leggero dondolio alle raffiche di ventoche riempivano l’estuario di piccoli ventagli spu-mosi. Sentì gli occhi della sconosciuta non appenala barca cominciò a staccarsi dal molo. Stava anchelei seduta nell’ultima fila, ma dall’altro lato. Nelsuo sguardo c’era un’espressione di saluto, unoscintillio accogliente. La barca si allontanava dallasponda e i due si guardarono in un repentino dialo-go dei loro occhi, legati da una simpatia che sem-brava inevitabile. All’improvviso la barca ebbe unaforte oscillazione e la gente si spaventò, si avvicinòai finestroni da cui si vedeva l’acqua increspata.Anche loro si alzarono e lui si appressò al posto incui stava lei. Era passato poco tempo dalla parten-za, ma il forte ondeggiare dell’imbarcazione facevavomitare alcuni passeggeri, e i bambini piangeva-no. Ora si trovavano in piedi, a pochi passi l’unodall’altra, e continuavano a guardarsi in una spe-cie di fervido abbandono. Un nuovo colpo divento, che scosse violentemente la barca e fecegridare i passeggeri, dipinse sui loro sguardi uncaldo cenno d’intesa, un’espressione di maggioreintimità. Ma il traghetto aveva ormai attraversatoil centro dell’estuario e il vento perdeva forza.Loro non smettevano di guardarsi mentre la barcasi avvicinava alla sponda, riduceva l’andatura,

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i marinai percorrevano la coperta preparando l’or-meggio. Il traghetto infine si fermò e la gente, conaria mogia, confusa, cominciò a sbarcare. Loro sta-vano fermi, continuavano a fissarsi, fino a che nonrimase quasi nessuno a bordo. Solo allora la scono-sciuta scosse un po’ la testa, come se si risvegliasse,si voltò bruscamente e, dopo aver raggiunto il molocon passo sostenuto, si allontanò tra la gente. E luisentì l’improvvisa assenza del suo sguardo e quel-l’allontanamento come una delle perdite più doloro-se della sua vita.

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Le tre

- Sono le tre.- Diceva a me?- Lei è l’unico cliente rimasto nel bar. Le

dicevo che sono le tre.- E allora?- È ora di chiudere.- No, per favore, non mi dica così, non mi

dica che mi sta sbattendo fuori.- In genere chiudiamo prima. Oggi si è fatto

molto tardi, per colpa di quelli dell’addio al celiba-to. Io abito piuttosto lontano.

- Queste sono le chiavi della mia Mercedes.Chiuda quando glielo dico io e la macchina è sua,glielo giuro. E ora mi dia un altro Chivas doppio.

- Mi dispiace, ma le ho già detto che è ora dichiudere. Ecco il conto.

- Io sono stato un uomo felice.- Santo cielo!- Sono riuscito ad avere tutto ciò che si può

desiderare. Belle macchine, belle case, donne stu-pende. Una barca a vela.

- E invece io sono un disgraziato lavoratorecon dei bambini piccoli che vive in una merda diappartamento e che di mattina lavora in un super-mercato. Il suo conto, la prego.

- Queste sono le chiavi del mio appartamentoin città. Trecento metri quadri e quanto non immagi-

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na. Chiuda quando glielo dico io e anche l’apparta-mento è suo.

- La prego, mi devo alzare presto.- E le troverò un lavoro comodo e ben paga-

to nell’agenzia immobiliare. Le scrivo subito unbiglietto, e domani si presenta lì da parte mia.

- Maledizione! Ci risiamo.- Sono stato felice fino ad oggi. Quello che

c’è in questa busta mi ha distrutto.- La prego, signore.- Basta, devo congedarmi.- Quindi, paghi il conto.- No, dico che devo congedarmi da tutto. Ho

preso la decisione, ma non creda che sia facile.Addio. Ecco, prenda i soldi, e poi mi dia un altroChivas doppio.

- Le sto dicendo che devo chiudere, e nonsto scherzando.

- Ho preso la decisione, ma ho bisogno dibere ancora, di acquisire il tono. Mi capisce?

- Perché non va a casa sua?

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- Non posso tornare a casa. Forse mi penti-rei, perderei il coraggio. Macchina, casa, lavoro, leoffro tutto questo, ma non chiuda, non mi sbattafuori.

- Questo è il resto e non le servo più da bere.Mi faccia il favore di uscire.

- Non è questo il modo di trattare una perso-na nella mia situazione.

- Su, esca subito. Fuori.- Lei non è un essere umano.- Fuori!

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Conchiglia

Da piccolo credeva che quel rumore che sisente dentro le conchiglie fosse l’eco del mare. Loricorda molti anni dopo, quando avvicina al suoorecchio l’enorme conchiglia. E, in effetti,sente il rumore del mare,quel sordo bramare delleonde lontane, masente anche il grac-chiare di gabbianiche passano, la sirenadi una nave, e infineuna voce che canta,erano molto giovani,splendeva il sole esti-vo, passeggiavanosulla spiaggia manonella mano e lei can-tava quella stessacanzone, una canzo-ne che parla di ciòche custodiscono le conchiglie, questa conchigliache gli risuona nell’orecchio mentre il rigattiereguarda con aria diffidente quel signore anziano cheda più di venti minuti sta ad occhi chiusi con unadelle vecchie conchiglie del negozio appoggiatasull’orecchio destro.

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Costa da Morte

La cosa peggiore non fu trovare la Virxe deMuxía distrutta, lo scafo sprofondato, quasi ricoper-to dalla sabbia, tra le secche più remote del Mar deTrece. Né il peggio fu scoprire un braccio umanospuntare dalla sabbia, vicino alla barca, e dissotter-rare poi il corpo di Amador Sánchez, che lascia una

vedova con cinquebambini piccoli. Il peg-gio fu vedere come quelcorpo morto, conimmenso sforzo, sialzava in piedi e sem-brava guardare con isuoi occhi putrefatti ilpaesaggio spoglio e glispettatori terrorizzati. Ilpeggio fu vedere comequel corpo, con le carnibluastre e corrose sotto

i brandelli di stoffa, prendeva a camminare conpasso incerto e penoso verso il mare, piano piano,ed entrava nell’acqua finché le onde non se lo ripre-sero, stavolta per sempre, spero.

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A destinazione

Finalmente, alcune luci tra i campi annun-ciarono un centro abitato. Quando arrivarono inpiazza, il tassista fermò la macchina.

- Siamo arrivati - disse.Il passeggero pagò e uscì dal veicolo.

Tutto era silenzioso, solitario, ma dietro i vetridelle finestre c’erano molti occhi che lo fissava-no. Un bagliore che veniva dall’alto gli fece alza-re lo sguardo. Al di sopra della località, nel cielonerastro, scivolava una figura gigantesca con ilventre bianco e l’incedere oscillante di un pesce.Altre figure simili galleggiavano in lontananza.Pesci, pesci immensi che si muovevano lenta-mente in un cielo senza stelle. Un rumore

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secco, forse uno schiocco di chele, echeggiò per lestrade vuote. Il pesce più vicino diede una codata.Delle grida risuonarono in lontananza. Affogherò,pensò il passeggero, e poi disse ad alta voce:

- Ma si può sapere dove mi ha portato?- A destinazione - replicò il tassista, prima di

rimettere l’automobile in moto e allontanarsi.

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Racconto d’estate

Loro sono fatti d’acqua, il vento li fa appari-re tra le onde, col mare mosso, uomini d’acqua,donne d’acqua, bambini d’acqua. D’acqua i lorovolti, le loro braccia, d’acqua quei corpi che, all’im-provviso, nascono nelle creste di schiuma. I bambi-ni sono i più coraggiosi, arrivano di corsa a riva. Avolte, un bambino corre troppo ed esce fuori dal-l’onda che lo sostiene. La sabbia lo divora. Accorro-

no allora le madri, formano una filanella schiuma, gridano. Spesso

anche una madre arrivatroppo lontano. La sab-

bia la divora. Iosono la sabbia.

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Comparse

Si sposarono e andarono nell’appartamento.Avevano trovato l’affitto meno caro in una frazionedi periferia, tra enormi edifici di mattoni che si alli-neavano moltiplicando la simmetria di innumerevo-li finestre. Vivevano lontano dal loro lavoro, untreno, un autobus, la metro, si dovevano alzareprima dell’alba e passavano le domeniche a letto,cercando di recuperare il sonno. Pochi mesi dopocominciarono ad avere diverbi, a rimproverarsi perquestioni domestiche, a lamentarsi l’uno dell’altro,scontri dovuti alla stanchezza. Una sera la discus-sione fu così accesa che lui uscì di casa sbattendo laporta e prese a camminare per il viale incanalato trale due muraglie di edifici. Soffiava un vento freddoe cercò riparo in una delle strette strade perpendico-lari che separavano i caseggiati, fino ad arrivare allaparte posteriore, lato che non conosceva. La literecente lo rendeva molto inquieto e sentiva la suavita come un mero scorrere insoddisfacente, uncontinuo sacrificio lavorativo in cui non c’era nien-te di stimolante. Nell’ultimo tratto la sua curiositàfu destata da una gigantesca impalcatura metallica,e finì per scoprire quella che sembrava la strutturadi una scenografia. Visti da lì, i caseggiati davanol’impressione di mancare di profondità, di esserefittizi, simulacri, apparenze, solo enormi pannelli difacciata. Decise di tornare, ma poco a poco andò

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smarrendosi sempre più tra quelle intelaiature in cuinon compariva nessun volume abitabile. Nel freddodella notte, mentre cercava la strada di casa, ebbepaura di pensare che forse la sua vita non era altroche il ruolo insignificante di una semplice compar-sa in uno spettacolo che lui stesso ignorava.

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L’Anno Nuovo

Abbiamo appena messo a letto il nonno ece ne andiamo a dormire. Entrando in cameranostra troviamo sul letto l’anno appena nato. È unpiccolo fascio di petali, o di piume. Come unpollo, dice mia moglie. Ora riesco a distinguere inlui qualcosa di tondo, che sembra un occhio, e hopaura. Ha un luccichio giallastro, maligno, cheforse intravede i missili che cadranno su città iner-mi, le bombe che i fanatici faranno esplodere, lemasse in fuga attraverso luoghi ostili, i bambini

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affamati divorati dalle mosche, le catastrofi dighiaccio, fuoco, acqua e i detriti che ci aspettano.Ma l’anno appena nato gira la testa, se quella è unatesta, e mostra quel che potrebbe essere un altroocchio verdino, dal riflesso benefico, e mi accarez-za una sensazione di pace, giacché forse quell’oc-chio vede giorni belli, bambini ben nutriti che impa-rano a leggere, persone che si godono in pace lafesta dopo il lavoro, città i cui abitanti si sentono incompagnia e protetti, un mondo pieno di amici e diamanti. Nel giro di pochi secondi l’anno è cresciu-to. Adesso è un cespuglio multicolore che all’im-provviso si alza in volo e attraversa come un raggiodi luce le tende e i vetri della finestra. La apriamoper vederlo ascendere, facendo splendere nellanotte i suoi petali multicolori mentre si mescola agliinnumerevoli botti e fuochi d’artificio che i vicinistanno lanciando per festeggiare il suo arrivo.

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Bollettino meteorologico

Ci sono molte nuvole all’ingresso, chenascondono la lampada sul soffitto e si infiltranoprogressivamente in cucina e in corridoio. Le tem-perature continueranno a scendere, e si prevedegrandine in bagno e pioggia in salotto. Le precipita-zioni saranno nevose in cima alla credenza e sulbordo superiore dei quadri. Nelle camere in fondo iltempo si manterrà secco e soleggiato.

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Le quattro

Dovevano essere le quattro del mattino aMadrid, qui dentro era, com’è ancora, quell’oraindefinita, misteriosa, degli aerei che attraversanodi notte l’oceano. Il film era finito da poco, tuttoera buio e io mi avvolgevo nella coperta cercandodi trovare un po’ di sonno nell’inquietante dondo-lio e ronzio dei motori. L’Airbus 340 continuava aessere impregnato di un odore in tutto simile aquello dell’orina di gatto, che era stato moltointenso al mio ingresso nell’aereo, alcune oreprima, e che non era del tutto scomparso. Dall’al-

tro lato del corridoio sonnecchiavaun uomo molto bianco e molto

grasso, così grasso che ilsuo adipe debordava sul

bracciolo. Una hostessche si avvicinò diri-gendosi verso la codami fece aprire gliocchi e scoprii che mi

ero addormentato. Sulviso della hostess c’era

una smorfia che potevaessere l’inizio di un sorriso o di

un gemito. Era ormai passata oltre e iostavo per richiudere gli occhi, quando apparve nel-l’ombra del corridoio una figura insolita, che

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quando fu a breve distanza mi sembrò terrificante emi immobilizzò: era un leone, con la testa alta quan-to gli schienali, la criniera che occupava l’interaampiezza del corridoio. Teneva la bocca aperta equando fu molto vicino vidi brillare le sue enormizanne, lucide di saliva. Strinsi gli occhi, mi avvolsinella coperta, cercai di nuovo il sonno che mi faces-se dimenticare l’inerzia forzata del viaggio e la peri-colosa visione. Non so quanto tempo sia passato,c’è ancora oscurità, la leggera oscillazione, il ronziodei reattori. Giro la testa con cautela: il passeggerograsso è scomparso e in fondo la hostess, in piedi,mi fissa. In cabina continua a esserci un odoremolto simile a quello dell’orina di gatto.

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Le quattro e mezza

Sono le quattro e mezza del mattino e sonointrappolato nella trama di un racconto che non rie-sco a concludere, un racconto che mi è stato richie-sto per un’antologia miscellanea intitolata La stan-za chiusa. Il termine per la consegna scade domanied eccomi qua, un po’ seccato dalla situazione,mentre il ladro professionista che ho immaginato sitrova intrappolato in un luogo dal quale non riescead uscire, perché non mi viene in mente un modo ditirarlo fuori. È un uomo alla soglia della terza età,che ha accettato di realizzare il suo ultimo lavoro,l’incarico di un collezionista capriccioso, rubarecerti oggetti da un museo, delle lettere, un reliquia-rio, un anello con sigillo, una pistola, un piccoloritratto, l’insieme dei ricordi di un famoso poetaromantico suicidatosi per amore. Sono le quattro emezza del mattino e il ladro, come me, si pente diaver accettato l’incarico. Per entrare senza essereintercettato dal sistema di vigilanza che protegge laporta e le finestre dell’edificio ha dovuto forzare lafinestrella di un solaio. Entrare è stato un grandesforzo ed è ansimante e sudato, perché non si aspet-tava che fosse tanto arduo arrampicarsi su diversitetti, dopo il percorso lungo le terrazze e le acroba-zie che si è visto costretto a compiere. Il sangue glipulsa ancora nelle tempie. Ha preso facilmente glioggetti che erano lo scopo del suo furto, ma poi ha

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trovato la piccola galleria ermetica dove sono espo-sti gioielli d’epoca, collane, braccialetti, girocolli, enon ha saputo resistere alla tentazione. Nelle suediscrete visite al museo per preparare il colpo, illadro ha visto che la galleria ha una porta d’ingres-so e un’altra di uscita che, una volta riunito un certonumero di visitatori, un custode può aprire da unpiccolo bancone, spingendo un pulsante che sbloc-ca le serrature. Il ladro ha spinto il pulsante ed èentrato nella galleria, ma il rumore secco della portaalle sue spalle lo fa sussultare. La porta d’ingresso èdi nuovo bloccata, e nemmeno quella d’uscita siapre. L’azione del guardiano doveva essere comple-tata da qualche altra manovra che non era statocapace di cogliere, e si trova rinchiuso nella galleriadei gioielli, alle quattro e mezza di mattina, senzasapere come uscire. Nemmeno io lo so. Il ladro edio capiamo che bisogna trovare una soluzione primadelle nove, ora in cui il personale di servizio arrivaal museo. Visto che non può uscire, bisognerà tro-vare il modo di nasconderlo. La galleria è lunga. Dauna parte, la parete è coperta da una vetrina conti-nua. Sulla parete opposta c’è un’altra vetrina simile,ma su questa è appoggiato nella parte inferiore unbancone della stessa lunghezza che sporge di mezzometro, più o meno. Il ladro decide di nascondersinell’angusto spazio sotto il bancone, dopo averindividuato degli sportelli. In quel luogo, molto pol-veroso, si trovano le scatole che erano forse serviteper il trasporto dei gioielli. Il ladro vi penetra condifficoltà, si distende a terra, sentendo la ristrettez-za di quello spazio come una bara, e si di-

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spone ad aspettare, sentendosi soffocare. Alle novearriva il personale degli uffici, il portiere, i custodi.Nel suo primo giro, uno dei custodi scopre il furto,ma prima di dare l’allarme entra nella galleria deigioielli, azionando correttamente il meccanismo diapertura. Verifica che non manca nulla, ma un’altratentazione irresistibile, consapevole che l’ignotoladro lo rende impune, lo invita a sottrarre tre pre-ziose collane che nasconde nelle sue tasche. Poi ilcustode infedele lascia aperta la porta della galleriadei gioielli e avverte il direttore del museo, chechiama la polizia. C’è un lasso di tempo in cui, seavesse voluto, il ladro avrebbe potuto scappare,perché le sale sono rimaste vuote. Eppure non lofa. Quando arriva la polizia, mentre uno degliagenti parla col custode, l’altro studia la scenadel delitto. Trovando aperta la porta della galle-ria, si sente anch’egli tentato di impossessarsi diqualche oggetto luccicante e senza farsi vederemette le mani su un paio di bracciali, una spilla

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e una collana. Il ladro continua a non fiatare, e iodecido di andare a letto. Parlerò con gli editori perposticipare la scadenza. Prima di addormentarmi soche, pochi giorni dopo, data l’imminenza dell’esta-te, quell’ala del museo verrà chiusa per portare atermine dei lavori di restauro architettonico. Ilcorpo putrefatto del ladro verrà fuori a dicembre,quando la galleria si riaprirà al pubblico. Io sono ilprimo a capire che l’uomo nascosto è morto d’infar-to quella stessa notte. Gliel’aveva già detto suamoglie prima del colpo, quando aveva saputo le cir-costanze e la difficoltà dell’impresa: Pensaci bene,Mariano, che hai già sessantacinque anni e non haipiù il fisico per queste cose.

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Paese di vampiri

Qui il riposo perfetto è impossibile. Nonpossiamo dormire tranquilli, anche se il nostro rifu-gio è sicuro. Cadiamo in un sonno agitato, timoro-so, pieno di sussulti. Un sonno in cui li presagiamo,intenti alla loro avida ricerca, col proposito inflessi-bile di raggiungerci. Pervasi da una paura che avolte ci fa svegliare, immaginiamo le loro sagomeoscure, i loro mantelli svolazzanti, la valigetta in cuitengono il paletto appuntito che sperano di piantar-ci nel cuore.

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Foto antica

Hanno avuto una buona mira e si sentonoorgogliosi dei loro trofei di peluche come se avesse-ro cacciato una pantera nera e un orso bruno. Si puòintuire dietro la loro euforia l’ombra del serviziomilitare, e persino della guerra: la camicia a righeche indossa quello di sinistra sotto la saharianafarebbe pensare aCuba, se non fosse daquel che sembra tantolontana dal tempo dellafoto, e quei turbantiche sicuramente gli hamesso il fotografo permaggior spirito non cievocano i Nababbi del-l’India, ma Abd-el-Krim, il disastro diAnnual e lo sbarco diAlhucemas1.. Inoltre,osservate il modo incui uno dei due regge ilsuo gattino con quella mano contadina come sefosse un fucile. Anche l’altro ha l’aria di tenereun’arma lunga, anche se con un fare più delicato. Un

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1 [N.d.T.: riferimenti alla cosiddetta Guerra del Rif (1921-1926),che ebbe inizio con la rivolta dei berberi del Marocco contro la domi-nazione coloniale spagnola e francese].

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congedato e una recluta? Due veterani? Voglio pen-sare che parteciparono a una bella festa e che i loropupazzi di stoffa servirono a trovare delle ragazzeallegre e disponibili che ballarono con loro per tuttala notte. Ma si possono immaginare anche altrecose. Il fatto è che, sul retro della foto, con calligra-fia molto rozza e inchiostro che è anch’esso giàocra, qualcuno ha scritto: Astorga. Alla Chiesadella Vergine. Sempre amici. Victorino. Ramiro.

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La grande cascata

Il piccolo aereo ci portava verso la grandecascata, il salto d’acqua naturale più grande delmondo, il cui bramito si sentiva sin dall’albergo incui alloggiavamo, a buona distanza da lì. La matti-na era nebbiosa, ma il pilota aveva detto che prestosi sarebbe schiarita. A un tratto notai qualcosa diinsolito dietro il sedile occupato da mia moglie,davanti al mio. Incastrato tra il sottile zoccolo diplastica e la parete della cabina c’era un oggettorosso, che non aveva l’aria di appartenere alla strut-tura dell’aeroplano. Mi chinai e lo toccai con il dito:sembrava una matita, che scivolò andando a infilar-si di più tra lo zoccolo e la parete. Lo toccai dinuovo e lo spinsi poco a poco, fino a farne sporgereuna parte considerevole della sua lunghezza. Effet-tivamente, si trattava di una matita dalla sezioneesagonale, di quelle che hanno la gomma su unestremo. Data la sua posizione, poteva muoversibene in senso longitudinale, scorrendo lungo l’in-terstizio, ma era difficile tirarla fuori da quella fes-sura. Un grido di mia moglie attirò la mia attenzio-ne: la nebbia si stava diradando e in lontananza siintravedeva un enorme muro biancastro, che spic-cava tra la folta vegetazione della foresta. L’aero-plano si inclinò su un’ala per cambiare direzione escoprii che la matita si era spostata leggermentefuori dal suo occasionale alveolo. Se avessi un fil

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di ferro, una graffetta per le carte, sarebbe faciletirarla fuori, pensai. Lacascata! La cascata!, escla-mò mia moglie con voceentusiasta e sentii che ilmuro biancastro, ora piùvicino, stava alla nostradestra. Mi venne in menteallora che forse una stan-ghetta dei miei occhialipoteva servirmi da gancioper afferrare la matita etirarla fuori. Il rumore dellagrande cascata ormai era

assordante e l’aeroplano sobbalzava bruscamente,rendendo abbastanza arduo il mio compito. Mi chi-nai più che potei. Aiutandomi con l’altra mano, cer-cai di portare a termine l’estrazione. La matita sfug-gì varie volte, ma alla fine riuscii a tenerla benferma e, forzando il bordo del sottile zoccolo, atirarla fuori del tutto. Il rumore della grande cascatasi era fatto di nuovo meno intenso. Mia moglieguardava indietro e anch’io volsi lo sguardo percontemplare l’enorme muro biancastro dal quale cistavamo allontanando. Non ti è sembrato incredibi-le?, mi chiese urlando, e io annuii, confuso. Su unodei lati della matita c’era impresso, a lettere dorate,Germany, dessin 2000, Faber-Castell.

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Rincontrarsi

Si incontrarono di nuovo a un pranzo inonore del loro amato professore, vent’anni dopoaver finito l’università. Lui ricordava quanto quelladonna l’avesse attratto durante il periodo degli studie certi sguardi di lei che a quell’epoca sembravanoesprimere analogo atteggiamento. Tuttavia, frequen-tavano gruppi di amici diversi, e anche la politica liseparava. Ma durante il pranzo, seduti allo stessotavolo, la vecchia barriera crollò ed entrambi scopri-rono che era ancora acceso in loro l’antico sentimen-to di reciproca attrazione. Non ci fu bisogno di paro-le. Al momento del dolce, quando cominciavano idiscorsi, se ne andarono insieme. Un alberghettovicino li accolse e per tutto il pomeriggio i loro corpidialogarono con passione, senza più riserve né falsipudori. Verso sera lei disse che doveva andare e luil’accompagnò fino al treno che la riportava alla suacittà, a suo marito e ai suoi figli, prima di tornare asua volta a casa sua, dalla sua famiglia.

A partire da quel momento i giorni sem-brarono privi di consistenza, come se la realtà, ela sua vita, avessero perso densità. Un pomeriggiotornò sulla piazza in cui si trovava il piccoloalbergo che aveva protetto i loro abbracci, e con-templò la finestra di quella stanza, dove splende-va la luce all’interno. Rimase lì per molto tempo,finché non si destò in lui il sospetto che

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l’unione di quel pomeriggio non era terminata,che i loro corpi erano ancora lì dentro, avviluppa-ti nel loro amoroso abbandono, che i loro baci nonerano finiti, né le carezze profonde che li inebria-vano. Loro due erano ancora lì, pensò, e tutto ilresto era solo ombra, un esterno sfocato e senzavolume, una scenografia appena abbozzata, edegli stesso un fantasma superfluo, il frammento diun pensiero vago.

Continua a recarsi lì ogni imbrunire, per con-templare quella stanza in cui permane la realtà di unincontro interminabile, la verità dei loro corpi che siabbracciano senza fine. Questa convinzione lo aiutaa sopportare la routine dei giorni che passano.

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Storia vera

L’arcipelago è ricco di isole peculiari. In unaci sono pozzanghere di fango che rendono più bellala pelle di chi vi si immerge. Un’altra è circondatada una spiaggia di sabbia fine e bianca su cui i gio-vani ballano per tutta la notte. Intorno a un’altra cre-scono le conchiglie più grandi. Quella è ricca dialberi, questa di campi di cereali, e l’altra di cavalli.Ma nessuno voleva parlarmi di quella più lontana.Meglio non andare fin lì, mi dicevano. Non tisognare neanche di avvicinarti, ripetevano. Navigai

fino ad essa un mattino d’estate, con un bel ventoa favore, e quando fui vicino vidi che da una

spiaggia dorata, circondata da pini, un gruppo dipersone mi salutava allegramente. Gettai l’ancora

nell’insenatura, calai la scialuppa eremai fino a riva. Gli uomini eranoprestanti e le donne bellissime, maquando mi trovai vicino a loro

scoprii che aprivano bocche enor-mi con un’infinità di denti affilati,

mentre mi circondavano con ariaminacciosa. Mi metto a correre, i miei

inseguitori presto mi raggiungono, ecapisco che le loro figure sono solo

un trucco del ripugnante essere aforma di millepiedi che si accinge

a divorarmi.

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Installazione

Per un errore di date, visitò quel luogo dopoche avevano ormai tolto ciò che aveva costituito lamostra di un artista abbastanza conosciuto: una diquelle esposizioni d’arte contemporanea che pre-sentano certi oggetti quotidiani o triviali per spo-gliarli della loro funzione e offrirli a un altro sguar-do. Non si accorse, tuttavia, che la mostra era finita,perché sulla facciata del grande padiglione a vetric’erano ancora i cartelloni che l’annunciavano.

Stupito dal luogo deserto, entrò. Spo-glia l’area di qualsiasi cosa, un gioco di chia-roscuri si dispiegava come unica presen-

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za. Al di là dei vetri, gli spazi di bagliore si alterna-vano con l’insinuarsi vegetale e cupo del parco cre-puscolare. All’interno, le strutture delle colonne diferro che sostengono l’intelaiatura metallica del-l’edificio si univano al sole calante nella densitàpalpabile dello spazio vuoto, generando un ambien-te robusto e inquietante. Sulla morbidezza del pavi-mento polveroso si depositavano i segni sicuri,anche se indecifrabili, delle ombre allungate.

Le condizioni della luce favorivano quel-l’installazione stupefacente. Rimase immobile perun bel po’ di tempo e, senza accorgersi ancora delsuo errore, pensò che il responsabile di quellamostra evanescente fosse, senza dubbio, un artistastraordinario.

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Il trapezista

Mentre mi osservate lassù in alto, pensateche faccio salti inverosimili, che mi attorciglio nel-l’aria in folli contorsioni. Eppure, quassù, nell’aria,io riproduco la danza orbitale di Giove, i giri diVenere, le continue derive delle grandi comete, lavertiginosa rotazione di Aldebaran. E in sincroniacol palpitare dell’universo, vi vedo, in basso, dal-l’altra parte della rete, nella vostra inverosimile efolle quiete di spettatori attoniti.

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Sopravvissuto

Uno dei sopravvissuti è stato quel bambino,che stava abbracciato al suo orsacchiotto di pezza.È in buone condizioni di salute, anche se è tenutosotto controllo da un’équipe di psicologi. Il periodosotto la neve e la prolungata solitudine non glihanno lasciato altro ricordo che la lunga conversa-zione che dice di aver avuto col suo orsacchiotto pertutto il tempo, tra la valanga e il salvataggio. Assi-cura che l’orsacchiotto gli cantava canzoni, gli rac-contava storie, gli faceva immaginare di non trovar-si sotto la neve, ma sull’erba, al sole d’estate. Ful’orsacchiotto a dirgli che non doveva aver paura,che mamma e papà erano fuori, in salvo, in cerca dipale e picconi per arrivare fino a lui. E quando siaddormentava, intirizzito dal freddo, l’orsacchiottolo obbligava a svegliarsi, perché diceva che biso-gnava stare attenti, da poter gridare quando avessesentito che lo chiamavano, poiché gli orsacchiottinon possono gridare ma solo parlare sottovoce. Glipsicologi attribuiscono all’orsacchiotto quella natu-ra di talismano, di oggetto miracoloso, di compagnospeculare nato dalla nostra stessa paura, sul quale sitrasferiscono desideri e preoccupazioni, con la spe-ranza di ricevere un sicuro aiuto. È un caso damanuale, un esempio classico, dicono, anche se cisono aspetti difficili da spiegare, come il fatto cheun bambino così piccolo, che non aveva mai avuto

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un’esperienza simile, sapesse che le squadre di soc-corso chiamavano le persone ad alta voce sulle casesepolte dalla neve. Ma non ci hanno pensato tropposu, e non voglio farlo neanch’io, anche se mentrefacevo la foto mi è parso che l’orsacchiotto stessemormorando all’orecchio del bambino mezzoaddormentato una di quelle ninnananne che untempo cantavano le mamme e le nonne.

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La fine di Lazzaro

A quindici giorni dalla sua resurrezioneLazzaro cominciò a trovarsi molto male. La per-manenza nel luogo di niente e di nessuno avevacambiato il suo modo di vedere le cose e persinoil suo modo d’essere. Nel luogo più bello sentivail tempo corrodere tutto, nell’allegria dei bambi-ni e delle ragazze indovinava la loro tristezza davecchi, tutti i cibi sapevano di un corpo senzavita, percepiva continuamente l’agguato e persi-no l’invasione della fine che annichilisce.

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Passò un altro mese e un mattino andò a trovareGesù e gli chiese di ridargli la morte. Il suo atteg-giamento era molto umile, ma nei suoi occhi c’erauna scintilla di determinazione e di rimprovero.Gesù, dopo aver osservato il suo amico per un po’,alzò una mano. E Lazzaro cadde morto, stavolta persempre.

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Cat people

Il suo gatto è abituato a ricevere cibo in sca-tola alle prime ore del mattino e alle ultime delpomeriggio, a vedersi aprire ogni tanto il rubinettodel lavello perché beva, ad accoccolarsi sulle suegambe stese mentre lei guarda la televisione. Que-sta routine si interrompe quando lei è in viaggio.Confinato in una parte della casa, il gatto è costret-to a mangiare croccantini e a bere acqua stagnantein una ciotola. A volte, se l’assenza è lunga, il gattoprotesta marcando alcuni punti con l’orina: i libri ei giornali che si ammucchiano nello studio, e persi-no la copertura di plastica del computer. Ieri, primache lei partisse, è rimasto a guardarla steso sulletto, apparentemente immobile, mentre lei mette-va in valigia le camicette, le gonne, tutti i vestitinecessari per questi giorni che deve passare fuoricasa. È stato nel tassì che ha percepito per la primavolta un sottile e passeggero, ma penetrante, odoredi orina di gatto. È stata sul punto di chiedere altassista se aveva anche lui un gatto, ma non lo hafatto. Una volta in aeroporto ha immaginato chel’odore potesse provenire da lei stessa e le sembròpure di notare delle strane occhiate al suo passag-gio. In bagno si annusò i vestiti e le sembrò di sco-prire un resto di quell’odore sulla sua gonna. Senzadubbio il gatto aveva approfittato del suo andirivie-ni nella preparazione della valigia per

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impregnarla. Non era bagnato, ma lì era marcata lasua traccia, come fosse una protesta. Arrivata adestinazione, mentre aspettava la valigia, ebbe ilprimo segno: qualcuno si strinse al suo corpo, unginocchio le cercò senza pudore le natiche, e giran-dosi trovò gli occhi sporgenti di un tizio dalla barbascura, che allontanò, provando un inatteso turba-mento. Nel lasso di tempo tra il recupero della vali-gia e il suo arrivo alla stanza d’albergo si verifica-rono vari incidenti simili: altri tentativi di approc-cio in aeroporto, una strana palpata del tassistamentre le scaricava le valige, prossimità eccessivadi altri clienti alla reception, tutti di sesso maschi-le, in loro lo stesso sguardo deviato. Finalmente incamera, cominciò a sospettare, sempre più turbata,una relazione tra l’odore sottile che emanavano isuoi vestiti e quelle insolite adunanze maschili. Ilcondizionatore attenuava il caldo umido che arri-vava dalla foresta per intridere la città. Si fece unbagno e poi con cura pulì la gonna. D’un trattoscoprì la sua nudità nel grande specchio e ri-

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cordò con inquietudine gli sguardi e gli approccimaschili. Dormì male, con sogni strani e carnali. Lasvegliò un miagolio di gatti nel giardino. Si eramessa a letto nuda e uscì in terrazza. La luna per-metteva di distinguere i piccoli corpi. Il suo turba-mento era intensissimo e tra gli odori della nottericonosceva quell’odore familiare, non più repel-lente ma carico di promesse. Si mise a quattrozampe e saltò in giardino, dove i gatti l’aspettavano.

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Né felici né contenti

Cenerentola, che non serbava rancore,perdonò la matrigna e le sue due figlie e cominciòa riceverle a Palazzo. Le giovani non erano parti-colarmente aggraziate, ma cominciarono ad averemolta confidenza col principe e ben presto i tre sifacevano scherzi, giocherellavano. A partire dacerti giorni d’estate particolarmente favorevoli allassismo, entrambe le sorelle cominciarono adavere col principe un’intimità che suscitava lechiacchiere della servitù. L’autunno seguente, lamatrigna e le sue figlie si erano ormai trasferite aPalazzo. La matrigna finì per esercitare unagestione dispotica delle questioni domestiche.Tre anni più tardi, la principessa Cene-

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rentola rese pubblico il suo malessere e la sua deci-sione di divorziare, cosa che comportò gravi conse-guenze politiche. Quando al principe fu tagliata latesta, Cenerentola viveva già da tempo con la suamadrina, ritirata nel Paese delle Meraviglie.

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Le cinque

Quella volta mi svegliò un fruscio di stoffamolto vicino, come se qualcuno vestito di unospesso soprabito o un giaccone di tela si fosseseduto per terra. Sentii anche un odore rancido:forse quegli abiti sgualciti erano vecchi e chi li por-tava non era particolarmente pulito. Accesi la luce,ma lì non c’era nessuno. L’episodio si ripeté altrevolte, anche se non riuscii mai né a vedere né a toc-care il presunto corpo che arrivava all’improvvisonell’oscurità per rannicchiarsi vicino al mio letto eper svegliarmi. Una notte mi parve di udire il mor-morio di una voce che diceva licenziato. Moltenotti dopo, alla stessa ora, la stessa voce bi-

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sbigliò qualcosa che, da come mi è parso, parlava dimalattia, di un ospedale. Cominciai a prendere dellepillole per dormire, ma non erano del tutto efficaciquando quel soprabito o giaccone si sgualciva per imovimenti dell’essere invisibile. Due mesi fa losentii parlare per l’ultima volta, mormorò qualcosaa proposito di un’operazione. Non è più tornato asvegliarmi.

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Racconto d’autunno

Era parecchio più grande di me e non cisaremmo rivisti mai più. Intorno a noi, ciò cherestava dell’estate era ormai solo un cadaverecoperto di sangue giallastro e ocra. Mi disse qualco-sa nella sua lingua, accarezzò il mio viso, mi diedeun rapido bacio. Allora sentii per la prima volta ildolore dell’autunno.

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Un successo

Cerco di calmarmi e di pensare che è normaleche io indossi abiti d’epoca, con gli altri cantanti, dalmomento che canterò nell’opera, ma mi preoccupa ilfatto di non ricordare, se non in modo vago, la mia parte.Lo spazio, tuttavia, non è quello di un teatro, ma unapiccola aula di Lettere e Filosofia dell’Università Com-plutense, e noi attori ci troviamo sulla pedana. Abbiamosolo cinque spettatori, divisi tra i banchi: mia moglie,mia cognata Pachi, la mia figlioccia e una coppia scono-sciuta, la testa di lui coperta da un berretto con visieradalla forma classica, piuttosto anziani, che si siedonovicini tenendosi a braccetto. Tocca a me cominciare lospettacolo e ho in mano il testo della mia aria: Prendo laprima e me metto de duran1, dice, esattamente. Dall’in-tuizione di un ricordo molto vago, capisco che devocantare a lungo e comincio a improvvisare cercando difare in modo che ogni sillaba, e ogni parola, duri molto:pren pren pren pren pren, ripeto, varie volte, con diver-si toni di voce, in uno stile che mi sembra mozartiano, edopo un po’arrivo alla sillaba seguente, do do do do do,e così via, con un’infinità di gorgheggi, fino a completa-re la prima frase, prendo la prima, prendo la prima,prendo la prima, e mi infervoro mentre canto, percorrocon la voce una scala molto ampia di suoni, fino a con-cludere con bravura il mio cantabile. Quando fi-

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1 [N.d.T.: la frase nell’originale, “Cojo la primera y mi pongo diduran”, non ha senso e usa erroneamente il mi e il di].

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nisco, mia moglie, mia cognata e la mia figliocciaapplaudono con sincero entusiasmo, gridano bravo,bravo, più volte. La coppia di sconosciuti sorridecompiaciuta. Non smettono di tenersi a braccetto,ma la donna colpisce col palmo di una mano la spal-la del compagno, anch’essa in segno di applauso.Mia moglie si alza, viene veloce verso di me, miabbraccia, mi bacia, un successo, esclama emozio-nata, un successo.

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Arturo

Il bifacciale di quarzite, nella teca al centrodella sala, ha un riflesso dorato, di gioiello misterio-so. Gli archeologi l’hanno chiamata Excalibur. Nonriesco a immaginare le antichissime mani ancoranon del tutto umane che l’adoperarono, ma il nomeha risvegliato in me percezioni oscure, che neanchesono in grado di decifrare. Quando esco dal museola nevicata si fa più intensa tra i giganteschi edificie la gente si affretta sui marciapiedi. Sotto un tettodi impalcature scopro la figura di un uomo sedutosu un tappeto di giornali. Porta uno strano cappelloa punta e un vecchio soprabito strappato e tiene trale mani un bicchiere di plastica in attesa di un’ele-mosina. Il suo aspetto, venerabile malgrado la spor-cizia, e la sua lunga barba canuta, insolita in questopaese senza capelli bianchi, mi fa pensare a Merli-no, il mago, e sono sul punto di esclamare magoMerlino! Poi penso di essere stato vittima di unosbandamento mentale, ma l’immagine di un poli-ziotto, la mano appoggiata sulla culatta della pisto-la, mi restituisce inequivoca la figura del biondoLancillotto. Sempre più smarrito nella convinzionedi star recuperando qualcosa di familiare, all’im-brunire, mentre mangio un panino, scopro tra gliodori di cibo triste la regina Ginevra nella donnadagli occhi assenti che sta alla cassa del locale.Continua a nevicare e nell’oscurità risaltano i corpi

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gialli dei tassì. Gli incontri successivi mi hanno resomalinconico ed entro in un bar mezzo vuoto. Sullepareti ci sono foto di squadre di baseball e sui ripia-ni numerosi trofei, che duplicano le loro forme sullospecchio retrostante. Bevo il mio whisky e distinguotra quelli una coppa la cui forma mi ricorda certeimmagini leggendarie. Notando il mio interesse, ilcameriere prende la coppa e me la porge affinché laesamini. È un ragazzo negro, dai capelli molto cortie dalle mani lunghe e affusolate. Nei suoi occhi

sembra brillare un’intensa simpatia. Il miovolto si riflette nello specchio occupando ilpunto in cui si trovava la coppa dall’ariaantica. Nell’immagine, l’impronta delcappello ha lasciato sui miei capelli un

vago segno di corona. E mi sentoall’improvviso meno confuso, come sestessi per tornare a Camelot, come se

Avalon non fosse scomparsa persempre dal mondo.

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Il bienmesabe1

Era degno degli angeli, dicevano, il fa-moso bienmesabe che le sue mani sapeva-no preparare. In occasio- ne di unavisi-ta del-l’Arcivescovo alla diocesi, tutti conven-nero che doveva essere quello il dolce percoronare il raffinato pranzo che si sarebbe offer-to al Monsignore. Anche lei era presente, e as-saggiò appena le portate del banchetto perl’impazienza di assistere al momento in cuil’Arcivescovo avrebbe degu- stato il suo glo-rioso bienmesabe. Infine arrivò il dolce, e l’Ar-civescovo mangiò il bienmesabe come le altre pie-tanze, con l’indifferenza di chi compie una sempli-ce routine alimentare. Per lei, quella delusione fu ilpiù grande dispiacere di tutta la sua vita, e moltevolte sognò quel momento, il silenzio della sala,l’Arcivescovo che consumava a piccole cucchiaiateil bienmesabe senza mostrare il minimo compiaci-mento, con gli occhi di tutti che la fissavano riflet-tendo forse una certa sfiducia improvvisa.

Molti anni dopo, l’Arcivescovo visitò dinuovo la diocesi, ma, sebbene il bienmesabe che leipreparava fosse sempre famoso, a nessuno venne in

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1 [N.d.T.: dolce a base di uova, farina, mandorle e miele, tipico del-le isole Canarie].

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mente di proporlo come culmine del nuovo ban-chetto. E quando arrivò il momento del dolce, l’Ar-civescovo, che nemmeno allora aveva fatto alcunaallusione alle varie portate del pranzo, percorse conlo sguardo i suoi anfitrioni ed esclamò, con sicurorimprovero: vedo che oggi non mi offrite quel dolcecosì buono che mi avete dato nella mia visita scor-sa.

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False impressioni

Nei primi anni del nostro matrimonio, ilManolín! con cui si concludeva il suo abbandonoamoroso mi riempiva di sconforto. Adesso, quandoin quegli stessi momenti mi chiama col mio veronome, sento la tristezza di non ricordarle più gliabbracci appassionati di quello sconosciuto.

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Il distratto (tre)

Mi sono messo a letto e mi sono addormen-tato subito, ma mi sono svegliato all’improvvisosentendo l’oppressione del mio giaciglio, che non èpiù morbido e mi preme i gomiti e i fianchi con stra-na ma ineluttabile rigidità. Nel nerume della came-ra da letto, mi pare di udire mormorii, voci chebisbigliano o pregano. Cerco di muovermi, di alzar-mi, ma non ci riesco e immagino di essere intrappo-lato sulla soglia di un sogno. Pazienza.

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Il sapore della fama

Nel mio primo viaggio negli Stati Uniti, ungiornalista della televisione chicana, dopo la confe-renza, si avvicinò per farmi un’intervista. Mentreun collega riprendeva la scena con la telecamera inspalla, il giornalista mi mise il microfono davantialla bocca e disse: è qui con noi il molto famoso eimportante scrittore spagnolo… qual è il suo nome?E quando risposi, con un tono di voce poco udibile,offuscato dalla sorpresa, il giornalista insistette,imperturbabile: lo può ripetere? Anni dopo, in unadelle mie visite in quelle isole, mi presentarono, inuno stand della fiera del libro, un popolare autorelocale al quale chiesero che mi firmasse il suo libropiù famoso. L’autore locale, che doveva essere unpo’ sordo, prima della firma mi chiese come michiamavo. Visto che non riusciva ancora a capire,mi vidi costretto a cercare uno dei miei libri, checasualmente si trovava dentro lo stand, perchécopiasse da lì. All’eccellente scrittore Tizio Tal deiTali, con tutta la mia ammirazione e cordialità,scrisse. Stavolta, alla fiera del libro di un’altra lon-tana città di provincia, mi accingo a firmare le pre-sunte copie del mio libro più recente. Qualcuno si èsbagliato, e anche se l’autore ha pure un nome com-posto e il suo cognome ha le stesse sillabe e lo stes-so numero di lettere del mio, e comincia per emme,non c’è il minimo dubbio che si tratti di un altro che

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non sono io. Ma a questo punto della mia vita nonmi scompongo più, e alla ciurma di librai, organiz-zatori e qualche curioso firmo i libri altrui: Congrande simpatia, a Caio, questo libro che non èmio, ma che dedico in nome dell’autore; Il fanta-sma dell’autore muove la mano che firma questolibro a Sempronio, e così via. Alla fine, non solo misono sentito autore del libro, ma anche padronedella sua fama.

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Genesi 3

Quella mattina cominciammo a vedere lecose in modo più chiaro: la complessità dell’univer-so, l’evoluzione degli esseri viventi, che su unpunto d’appoggio si sarebbe potuto sollevare il pia-neta, che era la Terra a girare attorno al Sole e non ilcontrario e, soprattutto, intuimmo che l’esistenza èun mistero indecifrabile. Non erano passate nean-che due ore quando venne la guardia con l’ingiun-zione di sfratto: il padrone di casa era riuscito asbatterci fuori. Venimmo in questo posto così fred-do, avemmo figli. Di quel che seguì, voi ne sapetemolto più di noi. Il fatto è che quella mattina, a cola-zione, ci eravamo divisi una mela.

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Le sei

Apre gli occhi e scopre i volumi della città,il lungo muro che si alza da un lato e l’enorme cur-vatura di un altro edificio, una specie di cupola chesi innalza dal lato opposto e, più oltre, un edificiopiù piccolo che ripropone nelle sue linee formesimili. In mezzo ad essi, in alto, un sole offuscatospande la sua luce sbiadita sopra le cose, incapacedi produrre sia forti contrasti che solide ombre.Tutti i luoghi del pianeta sono piccoli e ogni confi-ne sembra così vicino che ogni posto ha l’aspetto diun interno, privo delle estese prospettive chiuse daun orizzonte lontano. I volumi di quegli edifici, ilsole velato in alto, e lui caduto sul pavimento,improvvisamente riportato alla coscienza: qualcheingranaggio, qualche pezzo non funziona nel suomeccanismo, e percepisce chiaramente il malfun-zionamento come un’opacità che si intromette osta-colando il fluire del pensiero. Il pianeta coi suoipeculiari abitanti, il lavoro di robot che svolge neiprecipizi, la battaglia. Il suo sistema logico eviden-temente deve essere compromesso come il resto deisuoi meccanismi, dacché non riesce a ricordare conchiarezza niente di quel che sta cercando di evoca-re. Quando è avvenuto tutto questo? Proprio adessoprova un’altra sensazione, quella che se il suo corpoavesse uno stomaco umano, esso starebbe attraver-sando un gran brutto momento. All’improvviso, un

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suono acuto si ripete, varie volte, e lui prova a indi-viduarne la natura. È il telefono. Lui si trova distesoa terra nel bagno, gli fa male la testa, il telefonosquilla ancora mentre si alza. C’è qualcuno chedorme sul divano. Il telefono smette di squillare.Bottiglie vuote, bicchieri sparsi, montagne di cic-che. Cerca nei cassetti qualche farmaco per combat-tere i postumi della sbronza.

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Viaggiatore apparente

L’itinerario dell’aperitivo non fu come glialtri giorni. Nel vederlo, molti manifestavano unagrande gioia, si rallegravano per il suo ritorno,erano felici di averlo di nuovo tra loro. Bentornato,Ramiro, era ora che rientrassi, bentornato, te n’eriandato troppo lontano, gli offrivano da bere, un bardopo l’altro, Ramiro è tornato, dicevano, bisognafesteggiare. Bevve troppo, e quando, dopo essersicongedato, se ne andò a casa per pranzo, con consi-stente ritardo, camminava insicuro e aveva moltaconfusione in testa, ma non tanta da non sapere chenon era mai uscito da quella città e che non si chia-mava Ramiro.

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Satanica

Col passare degli anni, nella mia casa hannotrovato posto diversi simboli religiosi, i tre Re Magicoi loro paggi, Shiva Nataraja, una Vergine di cerami-ca, un San Pancrazio, un Ganesh, una Virxe da Pere-grina1,.un’icona rumena con la nascita di Gesù, un SanMichele che infigge la lancia nella bocca del drago,l’Ankh egiziano, insomma, molti di quei talismani chepossiedono a quanto pare il potere di scacciare le forzedel male. E invece oggi entrando nel mio studio mitrovo Satana seduto sulla mia poltrona da lettura. Loriconosco subito perché non ha l’aspetto di un giovaneprestante né di un signore distinto, ma è di colorerosso, è nudo, con le gambe pelose che finiscono inzampe di capra, dietro la sua schiena spuntano due alidorate e in mezzo alla sua chioma nera sorgono duecorna anch’esse dorate. Sul suo viso rosso gli occhibrillano di quella che sembra più tristezza o fastidioche radicale malvagità. Porta i baffi e il pizzetto, comeun moschettiere. Vade retro, esclamo, nel dubbio.Parlo italiano, risponde, pungente. Ha la voce di Mar-lon Brando ne “Il Padrino”. Stai scrivendo il librodella notte e non mi sono meritato neanche un accen-no da parte tua, aggiunge. Io sono il signore di questolibro, che è molto più di un libro, è un territorioimmenso con città e foreste, con porti e parchi a tema,un territorio di grande iniquità, di maesto-

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1 [N.d.T.: patrona della provincia di Pontevedra].

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sa ingiustizia, di crimini splendidi, e tu di questonon hai detto una sola parola. Non so che risponde-re. Meno male che mia moglie si è affacciata allaporta e Satana distoglie per un attimo la sua atten-zione da me. Mia moglie entra di colpo e lanciaqualcosa addosso a Satana: è il suo rosario dellaprima comunione, e Satana si trasforma in unamassa bianca, effervescente, come l’acqua ossige-nata quando si deposita su una ferita. Mia moglie,con determinazione, mette le mani sotto a quellaschiuma, afferra il corpo che essa copre, lo stringe,lo impasta e lo rimpicciolisce come se stessemaneggiando della neve, fino a trasformarlo in unapalla che può stare tra le sue mani. Poi mette la pallain un sacchetto di plastica, ci disegna sopra unacroce con lo stesso pennarello che usa per indicareil contenuto dei sacchetti di cibo, e la mette nel con-gelatore; finché non troviamo un postomigliore, dice. Cosicché ho Satanaprigioniero nel frigorifero dicasa. Forse nel libro della nottenon prosperano più l’iniquità,l’ingiustizia e il crimine, ma nellibro del giorno questa prigioniadel Signore del Male nonsi è notata, il mondocontinua ad essere domi-nato dall’ipocrisia, dallaguerra, dall’orrore. E hopaura di immaginare a chitocca il potere sul libro delgiorno.

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Signore e cane

Un’importante promozione nella sua car-riera, col trasferimento nella grande città, gli per-mise di prendere casa in un quartiere elegante. Sulfar della sera vedeva i vicini distinti, circospetti,percorrere le strade intime portando i loro cani apasseggio. Quegli uomini e quelle donne tenevanoil guinzaglio con lo sguardo perso, assorti nel lorocamminare, e comparando la loro imperturbabilitàalla vivacità degli animali che li precedevano glivenne l’idea che fossero quei cani di razza pura,quegli esemplari di grande valore, a portare a pas-seggio gli umani. L’inclinazione dei vicini lospinse a entrare un giorno in un negozio di anima-li e a ordinare un cane. Stasera gliel’hanno

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portato a casa ed entrambi sono rimasti a osservarsiper molto tempo. È un cane a pelo lungo, con gran-di mandibole allungate e piccole orecchie appunti-te. Ancora cucciolo, salta intorno a lui. Improvvisa-mente smette di saltare, cerca un guinzaglio nelcesto in cui l’hanno trasportato e si avvicina tenen-dolo in bocca. Andiamo a passeggio, sente chepensa il cane, e lui, agitando le natiche con impulsorepentino, risponde abbaiando felice.

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Racconto d’inverno

C’era un uomo che viveva vicino a un cimi-tero. Colline coperte di croci, lapidi e sepolcri difamiglia, un orizzonte formato dalle alte costruzio-ni di un altro quartiere della città erano il panoramache poteva vedere ogni giorno dalle sue finestre.Molti anni di lavoro oscuro e abitudinario, di vitaaustera e faticosa, erano sfociati finalmente nel pen-sionamento e da allora passava quasi tutto il giornoin casa, osservando il cimitero. Scoprì che lì c’eragente che camminava e cominciò anche lui a pas-seggiare per quelle strade strette che fiancheggiava-no le tombe e i monumenti funebri. Leggeva i nomidei defunti e, col passare del tempo, cominciò avederli seduti sulle proprie pietre sepolcrali, oappoggiati alle sculture, o a passeggio lentamenteall’ombra scarsa dei cipressi, scar-ni, arruffati, alcuni con crostesecche di sangue sulla testa,sugli abiti sciupati. Scoprìanche che lì i giorni eranodiversi: a volte si susse-guivano vari lunedì, o inquella settimana nonc’erano mercoledì, nésabati. A volte il mese stes-so si allungava tanto, quaran-ta, cinquanta giorni, che i lunedì

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cominciavano a chiamarsi lunerdì, o i giovedì, gior-tedì, o i sabati, sameniche. Ma tutto era tranquillità,quiete, non si sentiva una voce più alta di un’altra,né rumore di motori, lì non faceva freddo, né veni-va fame, né sonno. Perciò non si scompose quando,passati alcuni anni, seppe un giorno che dovevarestare lì, che non poteva più tornare a casa.

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Colpo di Stato

L’esecuzione di tante donne una dopo l’altraprovocò nel re Shariar il gusto della vista e del-l’odore del sangue versato. Dopo aver risparmiatola vita a Sherazade, ogni giorno, molto presto, face-va decapitare un condannato. Poco dopo l’alba,Babù, lo schiavo tra gli schiavi del re Shariar, gliporgeva il primo infuso della giornata e una listacon vari nomi di rei possibili vittime, perché lui sce-gliesse. Un’ora più tardi, dopo aver fatto colazionee aver indossato i suoi abiti di governo, il re Shariarassisteva, da molto vicino, alla decapitazione delreo designato. Stamattina, Babù, loschiavo tra gli schiavi, gli ha portol’infuso ma non la lista dicondannati e il re Shariar loguarda con severa sorpresa.Oggi il condannato saretevoi, mio signore, mormoraBabù. Il Gran Visir vi haspodestato questa nottementre dormivate.

Il Gran Visir, cheregnò col nome di Alhakeme col soprannome di Misia-no, pose rimedio a moltedelle ingiustizie di Shariar efu molto amato dai suoi

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sudditi. Sposò Sherazade, la proclamò Prima Signo-ra, e ogni notte ascoltava un racconto dalla suabocca. Si dice che il godere da ascoltatore esclusivoi racconti della saggia narratrice fu il motivo princi-pale della sua rivolta per spodestare Shariar, ma laverità la conosce solo Dio, il Clemente, il Miseri-cordioso.

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Case dipinte

Il viaggiatore si imbatté accidentalmentenella casa e scoprì con stupore che quella costruzio-ne sul fianco della montagna, riprodotta in un pic-colo quadretto ereditato da una prozia, era stato ilvago stimolo grazie al quale erano cominciati i suoiviaggi ormai numerosi. INIZIATINA, diceva l’iscri-zione sulla cornice e quello stesso nome apparivascolpito sull’architrave di pietra, sulla porta dellacostruzione. Un giorno andrò a cercare Iniziatina,si era ripromesso da bambino, davanti al dipinto diquella casa solitaria dalle finestre chiuse, circonda-ta da cinque enormi alberi. Bussò e gli aprì una

donna con un vestito colorato, che risultavagrottesco data la sua veneranda età. La

donna, che doveva essere sorda, lofece entrare e gli chiese diattendere mentre lei andavaad avvisare il padrone. Il

viaggiatore diede un’occhiataalla sala e, su una delle pareti,scoprì un quadretto nel qualeera riprodotta la facciata dellacasa in cui viveva, nella suacittà natale. Il portone apparivachiuso e tutte le finestre scure esulla cornice c’era una scrittache diceva TERMINATINA. Il

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viaggiatore sentì in lontananza dei passi che si avvi-cinavano, ma un impulso repentino lo spinse a usci-re da quella casa e ad allontanarsene di corsa, nellaluce sciupatina del crepuscolo.

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Mangiatori di fumo

Mi chiedete di narrarvi la cosa più stranache ho visto al mio arrivo in quella terra meraviglio-sa, ma furono così tante che la mia memoria siingarbuglia e si confonde nel tentativo di sceglierla.Da una parte, il terreno stesso stupisce per l’abbon-danza della vegetazione, gli enormi alberi, i fiorimai visti prima, gli uccelli con piume di tanti colo-ri, le lucertole miti che rizzano la cresta del lorodorso. Dall’altra, le genti, dai corpi belli, che cam-minano nude come mamma le ha fatte, uomini edonne, che si dipingono il viso e il corpo di rosso, dibianco, di nero. Anche le loro imbarcazioni, fatte diun pezzo unico, intagliate in un solo tronco d’albe-ro, pur se non hanno strumenti adatti. E le loro casedi legno, le loro scodelle dipinte con strani disegni,le focacce di farina gialla che mangiano, i frutti didimensione e sapore molto diverso dai nostri. Maforse la cosa più strana di tutte è un pasto che fannospesso, composto di solo fumo. Mi spiego. Quandosi avvicinarono alle nostre navi non lo portava nes-suno, ma arrivati a terra ne vedemmo molti checamminavano nel fumo e pensammo che si trattassedi piccole torce che portavano in mano, anche se,essendo pieno giorno, non ne capivamo il senso.Altri pensarono che si trattasse di incensieri per iloro dèi e riti, ma presto scoprimmo che non eranoné torce né incensieri, ma una sorta di cibo. Il fumo

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usciva da certi rotoli o canne scure, con un’estremi-tà accesa, e loro li portavano alla bocca e succhiava-no dall’altra estremità, aspiravano con gusto quelfumo e se ne riempivano il petto. Il fumo uscivaloro dalla bocca e dalle narici e sembrava procuraregrande soddisfazione, come se li alimentasse vera-mente, e presto capimmo che quei rotoli o canneerano fatti di foglie secche, delle foglie che, quandosono ancora verdi, misurano circa un palmo, e cre-scono su piante alte. Dopo pochi giorni il maestroJuan Sánchez, chirurgo della mia nave, venne asapere che mangiando quel fumo, a parte il gusto difarlo, si calmavano i suoi dolori e si attenuava lastanchezza, e che le foglie della pianta pestate indegli intrugli servivano loro a cicatrizzare le ferite.Un giorno, mentre eravamo alla fonda in una picco-la baia, in attesa del vento favorevole per continua-re le nostre esplorazioni, lo stesso Juan Sánchez tiròfuori dalla borsa della cintola una di quelle canne,l’accese con una brace del focolare e si mise a suc-chiarla. Lontani dalla terra, riuscivamo a sentirel’aroma singolare di quel fumo e ci sembrò che JuanSánchez provasse piacere nell’assaporarlo. Ciaciu,il nostromo, gli chiese allora di lasciarglielo suc-chiare, ma quando lo fece si mise a tossire conforza, con ansia, varie volte, e si contorcevacome se non riuscisse a smettere di farlo. Ericordo che ilsignor Cristo-foro, ches t a v a

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seduto sul castello di poppa a scrivere annotazionisui suoi quaderni, si affacciò sentendo i colpi ditosse e poi si mise a ridere, vedendo cosa stavaaccadendo, e disse: Cristiani mangiatori di fumo?Non si è mai vista una cosa tanto strana, e sonosicuro che nessuno la vedrà mai più al mondo!

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L’altra parte

Il viaggiatore è arrivato stanchissimoall’albergo e, senza aprire le valige, ha riempitola vasca da bagno, si è spogliato, si è immersonell’acqua. Appoggiati alla parete della vasca,sotto i rubinetti, i suoi piedi mostrano la parteanteriore, ventaglio di dita che è rimasto a fissareper molto tempo, prigioniero del sopore datodalla stanchezza unita al calore dell’acqua, finchégli viene il sospetto che quelle due figure simme-triche non siano dei piedi, ma qualche incom-

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prensibile forma viva che lo sta guardando con reci-proca fissità. Forse non vuole lasciarmi uscire dallavasca, pensa il viaggiatore, prima di addormentarsi.

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Nicolino1

Don Diego sta dipingendo. Molto vicino alui, le intelaiature rivestite con gli abiti dei Sovraniriflettono nello specchio in fondo dei corpi senzatesta. Sono venuto al suo fianco e, dopo aver guar-

dato come dipinge, cosìassorto, mi giro per fare leboccacce a tutti. Alcuni fannola faccia divertita, come l’In-fanta Margarita, e altri di rim-provero, come Maribárbola.All’improvviso arriva dalfondo la voce di don JoséNieto: Nicolino, composto, elo scorgo nel vano della porta.Don Diego ha smesso didipingere e, trovandomi alsuo fianco, mi parla con seve-rità. Torna immediatamenteal tuo posto, ordina. Ma almio posto s’è già sdraiata lacagna Laciana. Sto per darleun calcio, per scacciarla,

quando don Diego mi dice di restare col piede su dilei e le braccia alzate. Che rompiscatole!

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1 [N.d.T.: i personaggi di questo racconto (pittore compreso) sonoquelli ritratti da Diego Velázquez nel celebre dipinto Las Meninas].

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Pedaggio

Cominciai a sognare che stavo davantiall’entrata di un luogo che doveva essere moltoantico, a giudicare dall’aspetto delle oscure mura dipietra e dalla qualità dell’enorme porta, nella qualeil legno, il bronzo, l’oro e l’argento si assemblavanomostrando una solidità e una maestà d’altri tempi.Mi avvicinai per entrare, ma lì c’era un guardiano,un uomo molto alto, vestito da sik, con le bracciaconserte, che portava un grande pugnale appeso allacintura, e che mi intimò di pagare una moneta. Ionon avevo denaro con me, e dovetti restare davantialle grandi porte e al guardiano immobile per moltotempo, finché non mi svegliai. Il sogno si ripetétante di quelle volte che cominciai a inquietarmi, eun giorno lo raccontai a mia moglie, mentre faceva-mo colazione. Mettiti un euro nella tasca del pigia-ma, disse mia moglie, scoppiando a ridere. Cosìfeci, e infine ho sognato che il guardiano mi lascia-va passare dopo che gli avevo dato la moneta. Illuogo è immenso, e in esso si concentra tutta la glo-ria degli imperi antichi, il sito di Tikal, la piramiderossa di Sakkara, il palazzo di Dario a Persepoli e itempli carnali di Khajuraho, il palazzo di Ctesifon-te, il Forte Rosso di Agra, il tempio sonoro di Visnùa Vijayanagar, con molti altri edifici, giardini, siticerimoniali. È un’ora di crepuscolo permanente, laluce rosata indora le antiche pietre e io sono l’unico

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visitatore di questo luogo in cui permangono i segnidell’antico splendore. Ma è passato molto tempo edecido di tornare alla porta. Il guardiano si trova oradalla parte interna, e quando mi accingo a uscire michiede un’altra moneta. Gli dico che ormai non neho più, estrae il pugnale con fare minaccioso e miobbliga a fermarmi davanti all’uscita. Ed eccomiqua, in attesa di un risveglio che non arriva.

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Post scriptum

Un’altra cosa: di notte, quando vai a dormi-re, non ti scordare di chiudere bene le ante degliarmadi. Altrimenti, gli abiti e i vestiti possono usci-re nell’oscurità a passeggiare per casa, a ballare insalotto, e i calzini a fare le gare lungo il corridoio, epersino le camicie e le camicette e i boxer e lemutande a prendere quell’aria notturna che dà loroun aspetto più pallido, e quando ti sveglierai forse tiritroverai una giacca che dorme sul divano o il pavi-mento dell’ingresso innevato di fazzoletti.

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Il tostapane

È una stupenda mattina di primavera eandiamo a fare colazione sul terrazzo. Mentre miamoglie prepara il caffè porto fuori la frutta, le mar-mellate, il miele, le tazze. Sul tavolo, già collegatoalla presa, trovo un tostapane nuovo, senz’altro unasorpresa di mia moglie, visto che il precedente,ormai molto vecchio, non si poteva regolare e bru-ciava sempre il pane. Questo è oblungo, tutto arro-tondato, brillante, con una forma aerodinamica, unalinea molto moderna, senza spigoli. Ma mi chiedosubito dove si infilerà il pane, non essendoci alcunaapertura sulla parte superiore. Infine vedo, all’estre-mità opposta del cavo elettrico, uno spazio orizzon-tale, allungato, trasparente. Immagino che sia unvassoio, ma non riesco a estrarlo, e mentre ci provoscopro all’interno qualcosa che mi fa un’impressio-ne sgradevole, degli animaletti vivi con la testabiancastra e strane membra prensili. Chiamo urlan-do mia moglie e lei arriva di corsa. Non ce li homica messi io, risponde, guardando gli animaletticon la mia stessa ripugnanza. All’improvviso, ilcavo che collega il presunto tostapane alla correntesi stacca e si ritrae all’interno dell’oggetto, il qualepercorre il tavolo, salta nel vuoto, rimane sospesoper alcuni istanti e vola via rapidamente fino a per-dersi nel cielo pieno di luce. L’incidente ci ha moltoinquietati: le antenne di mia moglie vibrano impau-

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rite e io sento che i peli del mio addome si sonodrizzati e che mi tremano tutte le zampe.

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La grande trama / Il finale

Ho pubblicato una raccolta di racconti brevicon molte allusioni dichiarate a scrittori e finzioniletterarie, e alcuni critici hanno scoperto, inoltre,corrispondenze con autori e racconti delle quali ionon ero consapevole.

Ho dovuto intraprendere un viaggio e al mioritorno devo partecipare alla presentazione diun’antologia di racconti, e ho portato con me il libroche devo presentare. Ne ho letta la prima metà nelviaggio di andata e ho trovato il riferimento a unracconto di Kipling che viene a coincidere, nell’im-postazione e quasi anche nel finale, con un mio rac-conto di quella raccolta di racconti brevi. Tuttavia,io non conoscevo il racconto di Kipling, e il mioracconto è il risultato dell’aver chiarito con l’imma-ginazione certe incognite nascoste nell’apparentebanalità del verbale di un incidente stradale che housato a volte come materiale di un laboratorio discrittura narrativa.

Il mattino seguente, quando mi alzai, unamosca che svolazzava nel bagno dell’albergo,incoerente con la stagione, mi suggerì la stesura diun altro racconto breve, che finii prima di colazio-ne. Ma proprio oggi, nel viaggio di ritorno, leggen-do ciò che restava dell’antologia di racconti chedevo presentare, ne ho scoperto uno di KatherineMansfield, prima a me del tutto ignoto, che sembra

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il diretto antefatto di quello che ho scritto di gettoieri mattina.

Il treno continua ad attraversare le terre gri-gie e coperte di nebbia, e mi chiedo se quelle trameche ho trovato senza sapere che altri le avessero giàtrattate siano davvero estranee o se erano nascostedentro di me e dentro di loro, in attesa del momentodi dipanarsi. Poi penso che forse non sono le tramea stare dentro di noi ma piuttosto siamo noi ad esse-re intrappolati in esse. E alla fine capisco che laconsapevolezza di questo segreto deve essere pro-prio il finale della narrazione, e che con ciò devonoconcludersi anche tutti questi racconti.

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Dediche

Questo libro è dedicato a Maricarmen, checontinua a sognare al mio fianco.

«Il distratto (uno)» è per Merche Caballud eil club di lettura di Ballobar.

«Andromeda» è per mia figlia María.«Mosca» è per gli amici di Cáceres.«Anno Nuovo» è per Ignacio Soldevilla

Durante.«Foto antica» è per Marifé Santiago Bolaños.«La grande cascata» è per Antonio Martínez

Menchén.«Mini-romanzo» è un omaggio a Horacio

Quiroga.«Le quattro e mezza» è dedicato a Medardo

Fraile, in omaggio a un suo racconto.«Il bienmesabe» è per Antonio Abdo, che

me l’ha raccontato.«Le sei» è un omaggio a Fredric Brown.«Il tostapane» è per Hipólito G. Navarro.«Genesi 3», «Andromeda», «Il ritorno a

casa», «Effetto iceberg», «La fine di Lazzaro», «Néfelici né contenti» e «La quarta uscita» sono appar-si sul numero 235 della rivista Quimera, col titolo di«Siete Di-versiones», con la seguente nota: Stiamocelebrando il centenario della nascita del grandeMax Aub. In sua memoria queste sette di-versionipiù 1 -o meno- aubiane.

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1 [N.d.T.: nell’originale «max - o menos» è un gioco di parole intra-ducibile basato sull’assonanza tra lo spagnolo más (in italiano “più”)e il nome Max].

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Nota alle illustrazioni

Anche se sono il responsabile di ognuna, permolte di esse ho utilizzato, manipolandole in variomodo, immagini di alcuni artisti antichi e moderni,che cito volta per volta.

Desidero ringraziare in particolare per laloro collaborazione Félix de La Concha, AntónDíez e Juan Ortiz de Mendívil, autori esclusivi delleimmagini che portano il loro nome.

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Indice

Pagina prima 9

Divorzio 11

Il distratto (uno) 13

Andromeda 14

Simmetria bilaterale 16

Mezzanotte 18

Monovolume 20

Bestsellers 22

Il ritorno a casa 24

Fuori rotta 26

Mosca 27

Lolito 29

L’una 32

Il distratto (due) 34

La formica sull’asfalto 36

Somiglianze 37

I segni consueti 39

Lei non sa chi sono io 43

Leggenda 44

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Racconto di primavera 45

Notte 47

Corpo ribelle 49

Le fate 51

Occhi 54

La famiglia sognata 55

Effetto iceberg (saggio) 58

Metamorfosi 59

Virus 60

Il castello segreto 62

Le due 64

Piede 67

Il dolce oblio 69

Poca luce 71

I giorni rubati 72

Tracce 74

Tellurica 75

La quarta uscita 77

Rivelazione 78

Mini-romanzo 79

Crisi di percezione 81

Vento 83

Le tre 85

Conchiglia 88

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Costa da Morte 89

A destinazione 90

Racconto d’estate 92

Comparse 93

L’Anno Nuovo 95

Bollettino meteorologico 97

Le quattro 98

Le quattro e mezza 100

Paese di vampiri 104

Foto antica 105

La grande cascata 107

Rincontrarsi 109

Storia vera 111

Installazione 112

Il trapezista 114

Sopravvissuto 115

La fine di Lazzaro 117

Cat people 119

Né felici né contenti 122

Le cinque 124

Racconto d’autunno 126

Un successo 127

Arturo 129

Il bienmesabe 131

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False impressioni 133

Il distratto (tre) 134

Il sapore della fama 135

Genesi 3 137

Le sei 138

Viaggiatore apparente 140

Satanica 141

Signore e cane 143

Racconto d’inverno 145

Colpo di Stato 147

Case dipinte 149

Mangiatori di fumo 151

L’altra parte 154

Nicolino 156

Pedaggio 157

Post scriptum 159

Il tostapane 160

La grande trama / Il finale 162

Dediche 165

Nota alle illustrazioni 167

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La Collana “Terra Iberica” è volta ad accogliere lavori di iberistica (ispanisticae lusitanistica) di livello universitario, e ha per logo una mappa antica dellaPenisola tracciata da Tolomeo. A promuoverla è la Cattedra di Spagnolo dellaFacoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”(Dipartimento di Scienze del Libro e del Documento).La Collana si articola in tre Sezioni:

- Sezione I, “Didattica”, maneggevole e in piccolo formato, per ilmateriale finalizzato alle attività di insegnamento iberistico sia diLaurea Triennale che di Laurea Specialistica (testi in lingua,dispense, brevi saggi, grammatiche, esercizi, ecc.).

- Sezione II, “Ricerca”, per i risultati di singole ricerche (monogra-fie e miscellanee di un solo autore) o di ricerche collettive (atti diconvegni e libri a firma plurima).

- Sezione III, “Il Traghetto”, per le traduzioni di importanti opere let-terarie iberiche non ancora diffuse in Italia e che necessitano diessere ‘traghettate’ dalla lingua originale, elaborate sia dal “Masterdi II° livello in Traduzione specializzata” (che la Cattedra coordi-na) sia da traduttori esperti in campo iberistico.

Le proposte di pubblicazione vanno rivolte alla Direzione o alla Redazionedella Collana.

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“Terra Iberica” Volumi pubblicati e in preparazione

Sezione I, “DIDATTICA”1. Aviva GARRIBBA, Elisabetta VACCARO (a cura di)

Testi e traduzioni dallo spagnolo all’italiano (Antologia)

2. Elisabetta VACCARO (a cura di) Traduzione di testi settoriali (Antologia)

3. NATALIA RODRÍGUEZ PELÁEZ (a cura di) Lingua Spagnola 2. Esercizi di Lettorato

4. Montserrat CARRERAS BOIX (a cura di) (in preparazione) Spagnolo elementare 1

5. NATALIA RODRÍGUEZ PELÁEZ (a cura di) (in preparazione) Spagnolo intensivo

6. Elisabetta VACCARO (a cura di) (in preparazione) Spagnolo specialistico: arte e dintorni (Antologia)

Sezione II, “RICERCA”

1 Studi di Ispanistica (in preparazione)

2 Daniela DI PASQUALEMetastasio al gusto portoghese. Traduzioni e adattamenti del melodramma metastasiano nel Portogallo del Settecento (in preparazione)

Sezione III, “IL TRAGHETTO”

1. José María Merino Le trappole della memoria Traduzione a cura di Elisabetta VACCARO

2. José María Merino Racconti del libro della notte Traduzione a cura di Sira DEBÉN TÍSCAR e Giulia TIRADRITTI

3. José María Merino 50 racconti e una favola (in preparazione)

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Finito di stampare nel mese di dicembre del 2007dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)

per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE Copertina: Digit Linen 270 g/m2; Interno: Bravomatt patinata opaca 115 g/m2. ALLESTIMENTO Legatura a filo di refe / brossura