antropologia

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 Evoluzionismo (scienze etno-antropologiche) L'evoluzionismo, nelle scienze etnoantropologiche, è un approccio teorico che vede le varie culture umane collocate in differenti stadi evolutivi. I diversi stadi evolutivi possono essere rapportati a quelli deniti dalla legge dei tre stadi di Auguste Comte. È stato nella seconda metà dell'Ottocento, quando l'antropologia (o etnologia) si è affermata nel mondo accademico, il paradigma teorico dominante. Nel Novecento viene soppiantato da altri approcci che negano alcuni elementi basilari della visione evoluzionistica. Una parte minoritaria della comunità scientica, prevalentemente negli Stati Uniti, ritiene tuttora valida la teoria evoluzionistica della cultura. Questi studiosi sono stati spesso deniti neoevoluzionisti. La teoria evoluzionistica classica I primi antropologi riconosciuti come scienziati furono britannici e americani. Studiosi come Edward Burnett Tylor e James Frazer in Gran Bretagna si occuparono dell'argomento lavorando soprattutto su materiali raccolti da altri, di solito missionari, esploratori, o ufciali coloniali, e vengono spesso deniti "antropologi da poltrona". Negli Stati Uniti, fu Lewis Henry Morgan il primo grande antropologo. Egli concentrò la ricerca sui nativi americani, stabilendo con alcuni di essi rapporti molto profondi. Questi etnologi erano interessati in modo particolare nelle motivazioni per cui i popoli che vivevano in diverse parti del globo avessero credenze e pratiche simili. Tutti fondavano la loro teoria sulla convinzione dell'esistenza di un progresso nella storia dell'uomo. La storia della società umana era vista come il prodotto di una sequenza necessaria di stadi di sviluppo sempre più complessi, culminante nella società industriale di metà Ottocento. Le società contemporanee più semplici non avevano ancora raggiunto gli stadi culturali più elevati del progresso e potevano essere ritenute simili alle società più antiche. In questo quadro si cercava di dare spiegazione di comportamenti e usanze ritenute altrimenti insensate: sarebbero state sopravvivenze di precedenti stadi culturali. In questo paradigma teorico, i popoli "selvaggi" sparsi sui vari continenti possono illustrare le condizioni di vita degli uomini preistorici, antenati della nostra civiltà. Per cui le società non europee venivano viste come dei "fossili viventi" di stadi di evoluzione sorpassati dalla civiltà occidentale e che potevano essere studiati per gettare luce sul passato di quest'ultima. Quest'approccio teorico implicava una contrapposizione alle teorie razziste che sostenevano vi fossero differenze razziali e biologiche tra i vari popoli. Per gli antropologi evoluzionisti la specie era unica e non vi sono differenze biologiche tra i vari gruppi per quanto riguarda le abilità mentali. Per questo era possibile per ogni gruppo sociale percorrere le tappe che lo avrebbero fatto progredire. Provenienze dell'evoluzionismo antropologico Nella teologia medioevale si affermava una scala dell'esistenza alla sommità della quale vi era Dio, poi angeli, esseri umani, scimmie, e via via gli altri animali e piante. Il concetto di evoluzione con connotazioni positive come lo conosciamo oggi si sviluppa nelle scienze morali ed economiche durante l'illuminismo. David Hume e Adam Smith hanno una visione della società che migliora se stessa se lasciata libera di cambiare il suo assetto produttivo, distributivo e istituzionale. Jean-Baptiste de Lamarck nel 1809 espone la sua teoria evolutiva per la quale i caratteri acquisiti vengono trasmessi ai gli. L'evoluzione darwiniana introduce la selezione dei caratteri più adatti e rende in breve l'evoluzionismo biologico uno dei pilastri della scienza. Cosiccome era stato inuenzato dagli evoluzionismi dei loso, il darwinismo eserciterà grandissima inuenza sulle nascenti scienze sociali ed etnoantropologiche. Correnti evoluzionistiche nelle scienze etnoantropologiche Julian Steward individua tre loni principali (1955): • unilineare • universale • multilineare Evoluzionismo unilineare È quello dominante nell'evoluzionismo classico dell'Ottocento. Per questa concezione esiste una linea evolutiva dominante, tutte le società passano attraverso gli stessi stadi e lo fanno con velocità diverse. Tipici argomenti trattati erano l'evoluzione dell'organizzazione familiare, vista da Morgan come un passaggio da matrilinearità a patrilinearità, o della religione; Frazer individuava nelle fasi in cui c'è il predominio della magia, della religione e della scienza i tre stadi che le società attraversano. Evoluzionismo universale Approccio orito a inizio Novecento, cerca di dare meno importanza ai percorsi evolutivi dettagliati che si cercavano no allora, concentrando l'attenzione sull'individuazione di più generiche fasi epocali della società. In seguito Leslie White, negli anni 1940 e 1950, propose una teoria dell'evoluzione della cultura determinata principalmente dalle condizioni tecnologiche. Marshall Sahlins [1], Marvin Harris e altri materialisti culturali ereditarono in parte questa visione. Evoluzionismo multilineare Julian Steward affermò l'idea di diverse linee di evoluzione nelle diverse aree geograche. Importante diviene quindi il rapporto ecologico tra l'ambiente naturale e le tecnologie umane (ecologia culturale). Peter Murdock portò avanti un'opera di catalogazione di tratti culturali delle diverse società, in modo da rendere possibili analisi statistiche per individuare linee evolutive. Neodarwinismo e sociobiologia Nel 1975 Edward Osborne Wilson con la sociobiologia portò la genetica all'interno della riessione

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Evoluzionismo (scienze etno-antropologiche)L'evoluzionismo, nelle scienze etnoantropologiche, è un approccio teorico che vede le varie culture umane collocatein differenti stadi evolutivi. I diversi stadi evolutivi possono essere rapportati a quelli definiti dalla legge dei tre stadidi Auguste Comte. È stato nella seconda metà dell'Ottocento, quando l'antropologia (o etnologia) si è affermata nelmondo accademico, il paradigma teorico dominante. Nel Novecento viene soppiantato da altri approcci che neganoalcuni elementi basilari della visione evoluzionistica. Una parte minoritaria della comunità scientifica, prevalentementenegli Stati Uniti, ritiene tuttora valida la teoria evoluzionistica della cultura. Questi studiosi sono stati spesso definitineoevoluzionisti.

La teoria evoluzionistica classicaI primi antropologi riconosciuti come scienziati furono britannici e americani. Studiosi come Edward Burnett Tylor eJames Frazer in Gran Bretagna si occuparono dell'argomento lavorando soprattutto su materiali raccolti da altri, disolito missionari, esploratori, o ufficiali coloniali, e vengono spesso definiti "antropologi da poltrona". Negli StatiUniti, fu Lewis Henry Morgan il primo grande antropologo. Egli concentrò la ricerca sui nativi americani, stabilendocon alcuni di essi rapporti molto profondi.Questi etnologi erano interessati in modo particolare nelle motivazioni per cui i popoli che vivevano in diverse partidel globo avessero credenze e pratiche simili. Tutti fondavano la loro teoria sulla convinzione dell'esistenza di unprogresso nella storia dell'uomo. La storia della società umana era vista come il prodotto di una sequenza necessariadi stadi di sviluppo sempre più complessi, culminante nella società industriale di metà Ottocento. Le societàcontemporanee più semplici non avevano ancora raggiunto gli stadi culturali più elevati del progresso e potevanoessere ritenute simili alle società più antiche. In questo quadro si cercava di dare spiegazione di comportamenti e

usanze ritenute altrimenti insensate: sarebbero state sopravvivenze di precedenti stadi culturali.In questo paradigma teorico, i popoli "selvaggi" sparsi sui vari continenti possono illustrare le condizioni di vitadegli uomini preistorici, antenati della nostra civiltà. Per cui le società non europee venivano viste come dei "fossiliviventi" di stadi di evoluzione sorpassati dalla civiltà occidentale e che potevano essere studiati per gettare luce sulpassato di quest'ultima.Quest'approccio teorico implicava una contrapposizione alle teorie razziste che sostenevano vi fossero differenzerazziali e biologiche tra i vari popoli. Per gli antropologi evoluzionisti la specie era unica e non vi sono differenzebiologiche tra i vari gruppi per quanto riguarda le abilità mentali. Per questo era possibile per ogni gruppo socialepercorrere le tappe che lo avrebbero fatto progredire.

Provenienze dell'evoluzionismo antropologicoNella teologia medioevale si affermava una scala dell'esistenza alla sommità della quale vi era Dio, poi angeli, esseriumani, scimmie, e via via gli altri animali e piante. Il concetto di evoluzione con connotazioni positive come loconosciamo oggi si sviluppa nelle scienze morali ed economiche durante l'illuminismo. David Hume e Adam Smithhanno una visione della società che migliora se stessa se lasciata libera di cambiare il suo assetto produttivo,distributivo e istituzionale. Jean-Baptiste de Lamarck nel 1809 espone la sua teoria evolutiva per la quale i caratteriacquisiti vengono trasmessi ai figli. L'evoluzione darwiniana introduce la selezione dei caratteri più adatti e rende inbreve l'evoluzionismo biologico uno dei pilastri della scienza. Cosiccome era stato influenzato dagli evoluzionismidei filosofi, il darwinismo eserciterà grandissima influenza sulle nascenti scienze sociali ed etnoantropologiche.

Correnti evoluzionistiche nelle scienze etnoantropologicheJulian Steward individua tre filoni principali (1955):• unilineare• universale• multilineareEvoluzionismo unilineareÈ quello dominante nell'evoluzionismo classico dell'Ottocento. Per questa concezione esiste una linea evolutiva

dominante, tutte le società passano attraverso gli stessi stadi e lo fanno con velocità diverse. Tipici argomenti trattatierano l'evoluzione dell'organizzazione familiare, vista da Morgan come un passaggio da matrilinearità apatrilinearità, o della religione; Frazer individuava nelle fasi in cui c'è il predominio della magia, della religione edella scienza i tre stadi che le società attraversano.Evoluzionismo universale Approccio fiorito a inizio Novecento, cerca di dare meno importanza ai percorsi evolutivi dettagliati che si cercavanofino allora, concentrando l'attenzione sull'individuazione di più generiche fasi epocali della società. In seguito LeslieWhite, negli anni 1940 e 1950, propose una teoria dell'evoluzione della cultura determinata principalmente dallecondizioni tecnologiche. Marshall Sahlins [1], Marvin Harris e altri materialisti culturali ereditarono in parte questavisione.Evoluzionismo multilineareJulian Steward affermò l'idea di diverse linee di evoluzione nelle diverse aree geografiche. Importante diviene quindiil rapporto ecologico tra l'ambiente naturale e le tecnologie umane (ecologia culturale). Peter Murdock portò avantiun'opera di catalogazione di tratti culturali delle diverse società, in modo da rendere possibili analisi statistiche perindividuare linee evolutive.

Neodarwinismo e sociobiologiaNel 1975 Edward Osborne Wilson con la sociobiologia portò la genetica all'interno della riflessione

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socio-antropologica. La cultura sarebbe determinata dai geni e l'evoluzione dei comportamenti sociali e culturalisorgerebbe in continuità con l'evoluzione biologica. Approcci di questo tipo non ebbero fortuna nell'antropologiaquanto nella biologia. Harris e Sahlins bollarono la sociobiologia come riduzionismo biologico.

Edward Burnett Tylor (Londra, 2 ottobre 1832 – Wellington, 2 gennaio 1917) è stato un antropologo britannico.Egli è vissuto e ha compiuto le sue ricerche durante l'epoca d'oro dell'Inghilterra vittoriana, epoca caratterizzata danotevole sviluppo socio-economico, militare e coloniale oltre che da un clima di crescente fiducia nel progresso.

RicercheIl concetto di culturaNel 1871 Edward Tylor pubblicò il saggio Primitive Culture in cui in apertura presentava la prima e più importantedefinizione sistematica del concetto di cultura. Essa recita:« La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell ʼinsieme complesso che include la conoscenza, lecredenze, lʼarte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall ʼuomo come membro diuna società. »Come si nota, Tylor mantiene in questa definizione anche il termine civiltà, che spesso è usato come sinonimo dicultura e altre volte invece è usato nel suo senso specifico diverso da quello di cultura. La cultura designa per Tylordue fenomeni distinti:• Cultura come soggetto storico dellʼevoluzione umana;• Cultura come particolare patrimonio collettivo di un gruppo umano.

Tylor utilizza nel testo il termine civiltà per intendere il processo di evoluzione culturale dellʼumanità che ha il suofondamento nellʼidea di Herbert Spencer di uno sviluppo unilineare dal semplice al complesso. Quando invece si

discute di scenari più locali e ristretti, come quelli di una tribù o di un popolo, Tylor usa il termine cultura. A questolivello il riferimento non è Spencer ma Gustav Klemm che fu il primo a conferire al termine cultura il significato diinsieme di costumi e credenze (non si dimentichi che Klemm era esponente del romanticismo tedesco e guardava consospetto agli ideali illuministici insiti nel concetto di civiltà e civilizzazione). Nella definizione che Tylor dà di cultura, essadesigna non un “dover essere” che si può rintracciare nel concetto di civiltà ma un modo di essere collettivo.Lʼopposto di cultura, intesa nel senso tyloriano, è il concetto di natura. Essa è universale perché è la basedellʼuguaglianza di tutti gli uomini, uguali appunto perché condividono lo stesso patrimonio genetico e lo stessodestino biologico. Se la natura è universale, la cultura è particolare; e non a caso Tylor enfatizza il ruolo dei costumie delle abitudini nella sua definizione di cultura, rispetto alla definizione illuminista di insieme di conoscenze(artistiche, filosofiche, giuridiche): lʼarte, la morale, sono universali, laddove i costumi sono quanto di più particolaree locale esista. Nella sua definizione, Tylor pone lʼaccento inoltre sul termine “acquisito” che rimanda sempre alrapporto di esclusione reciproca tra natura e cultura: la cultura non si trasmette per via genetica, non è ereditaria etale per nascita (come per il patrimonio biologico), ma viene appresa, acquisita appunto, dagli individui nel corsodella loro vita, soprattutto nelle prime fasi. Questa acquisizione è inconsapevole e si basa sull ʼinterazione sociale,sullʼimitazione e lʼinferenza: in antropologia il termine che definisce questo processo è inculturazione. L'antropologoAlfred Kroeber esplica la differenza tra natura e cultura sulla base del concetto di istinto, laddove l ʼistinto è qualcosadi «inciso internamente» in quanto parte del proprio corredo genetico, mentre la cultura è qualcosa che viene dal difuori.Nella sua definizione, infine, Tylor introduce una nozione molto importante, quella cioè di insieme complesso. Tuttiquegli elementi citati da Tylor – costume, arte, morale, credenze ecc. – non sono slegati gli uni dagli altri macostituiscono una totalità organizzata tale per cui la cultura è un tutto diverso dalla somma delle parti che lacompongono. Con questa definizione Tylor sembra voler sostantivizzare la cultura facendone qualcosa dotato di unapropria realtà empirica; non è una supposizione errata vista la vicinanza di Tylor al positivismo, che lo porta aconferire alla “cultura” lo status di fatto sociale che Emile Durkheim teorizzerà poco più tardi.

MetodologiaPer riuscire nella sua analisi, Tylor usò il metodo comparativo, di cui fu grande cultore. Attraverso lʼosservazione deivari popoli e culture, egli cercò di costruire un sistema di classificazione universale dei fenomeni culturali sulla basedelle somiglianze tra tratti e istituzioni delle diverse culture. Questa comparazione privilegiava ovviamente leuniformità a scapito delle differenze, cercando poi di disporle per stadi, «in ordine probabile di evoluzione»;diversamente da altri, tuttavia, Tylor corresse in parte gli inevitabili errori di questo approccio facendo ricorso – tra iprimi nelle scienze sociali – a un approccio statistico: nel suo saggio sulle leggi del matrimonio e della discendenza(1899), egli studiò un campione di più di trecento società per giungere alle sue conclusioni. Tylor non può fare ameno di muoversi su un doppio binario: da una parte l ʼuso del metodo induttivo per studiare empiricamente gliscenari locali, dallʼaltra lʼapplicazione del metodo deduttivo per costruire lo scenario dellʼevoluzione culturale chenon può essere realizzato sulla sola scorta del materiale empirico troppo vasto per la sua portata. L ʼapprocciocomparativo fu inoltre una scelta obbligata: Tylor non fu un ricercatore sul campo, benché fosse assolutamenteconvinto dellʼimportanza di questo metodo di studio, e pur avendo trascorso un paio di anni in giro tra Stati Uniti,Messico e Cuba, egli si basò perlopiù su dati di seconda mano.

Adesione all'evoluzionismoIn base a queste teorie, è facile classificare Tylor tra gli antropologi evoluzionisti. Infatti è bene ricordare cheall'epoca coesistevano due distinti modi di concepire la storia dell'uomo:

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• La corrente creazionista poggiava sulla convinzione che la storia dell'uomo fosse riconducibile a un arco di tempodelimitato dalla data di creazione del mondo. Ciò significava che l'uomo e la natura fossero identici all'epoca dellacreazione. I creazionisti individuarono popoli più primitivi e altri più civili. Questa tesi era accettata dalla chiesainglese e dalla sua scienza.• La corrente evoluzionista nacque grazie al libro Origine della Specie di Charles Darwin. Gli antropologievoluzionisti sostenevano che l'uomo e le altre specie si sarebbero trasformate in base ad un processo di mutazionidovute alla capacità d'adattarsi all'ambiente che avevano fatto evolvere l'uomo sia fisicamente che mentalmente.Esistevano però popoli meno sviluppati di altri.

Lʼidea di Tylor, come si è visto, è quella di una storia dellʼumanità evoluiva, concepita come una successione di stadiculturali che procedono dal semplice al complesso in vista di un progresso costante. Questo processo è unilineare euniversale, nel senso che la cultura è una sola, unica per tutta l ʼumanità, e le differenze tra culture non sono che stadidiversi della sua evoluzione. Tutta lʼumanità è quindi destinata a percorrere lo stesso cammino e passare per le stessetappe. Alla base di questo assunto vi era una tesi, sostenuta dallʼantropologo e grande viaggiatore Adolf Bastian,detta dellʼunità psichica del genere umano. Sulla base dei numerosi studi compiuti, Bastian giunse alla conclusioneche le straordinarie somiglianze tra popoli geograficamente lontanissimi potessero essere spiegate supponendolʼesistenza di idee innate, valide e comuni a tutta l ʼumanità, che definì strutture di pensiero elementari. In altreparole, non vi sarebbero differenze specifiche tra gli esseri umani riguardo la loro vita psichica. Questo concettoaveva di positivo una forte valenza antirazzista per l ʼepoca, essendo una confutazione implicita dellʼesistenza didifferenze innate tra i popoli. Da questa idea, Tylor formò la nozione di sopravvivenza per indicare quelle usanze,abitudini e credenze che sono residui di uno stadio evolutivo precedente e che permangono «in uno stadio della

società diverso da quello in cui avevano la loro sede dʼorigine». Le sopravvivenze sarebbero quindi prove che aiutanolʼantropologo a tracciare il corso che la civiltà ha effettivamente seguito, quasi come fossero fossili da cui gli studiosi

possono ricostruire il processo evolutivo delle società umane. Non va tuttavia dimenticato che lo schema evolutivo diTylor è però più una sorta di modello ideale che un'effettiva realtà storica, come è invece quella ipotizzata da LewisHenry Morgan sulla base degli stadi di Comte che suddivide l ʼevoluzione della società in tre stadi – selvaggio,barbaro, civile. Ad ogni modo questo tipo di schema evolutivo tyloriano, pur conferendo pari dignità ai “primitivi” eai “moderni” eliminando certi concetti razzisti come quelli di barbari e selvaggi, legittima una concezione della storiaallʼinsegna del progresso in cui è forte lʼimpronta eurocentrica. Ponendo lʼOccidente come modernità, e dunque comeapice dellʼevoluzione culturale, si riconosce a tutti gli altri popoli extra-europei uno status più basso di evoluzione.La cultura ha avvicinato i popoli, mentre l ʼidea di progresso li ha allontanati sulla base di una rigida gerarchia. Taleetnocentrismo è pienamente riscontrabile nella doppia negazione della storia e dell ʼalterità: la storia non è più intesacome un insieme di percorsi costruititi da eventi irripetibili e non riconducibili a leggi determinate, ma è vista comeun percorso unitario che ha un fine, quello dell ʼevoluzione verso il complesso. Lʼalterità dei popoli extra-europei ènegata nella sua specificità, poiché le uniche differenze contemplate sono quelle che si collocano su un asse verticalecome varianti quantitative dellʼevoluzione culturale. In questo modo, lʼantropologia svolge un ruolo di primo pianonella costruzione della modernità. Il concetto di moderno, infatti, non si definisce da solo ma necessità di un terminedi riferimento rispetto al quale definirsi per negazione. Proprio perché studia i popoli rimasti arretrati, insabbiatinelle tradizioni e dunque ancora primitivi, l ʼantropologia permette alla modernità di rappresentarsi attraverso ladefinizione delle società premoderne. La peculiarità della modernità sta infatti nel riclassificare rispetto a se stesso leepoche e le civiltà precedenti, ordinandole e denominandole a partire dalla propria centralità: concetti quali “epocaprimitiva”, “medioevo”, “sottosviluppo” e anche “post-modernità” ne sono gli esempi maggiori. Il concetto di culturasvolge un ruolo chiave in questo processo, essendo la categoria che rende pensabili le alterità rispetto alle quali ilmoderno si definisce per differenze. Alterità del passato, ma anche del presente: quelle rappresentate dalle societàprimitive al di fuori dei confini dellʼOccidente. Il concetto di insieme complesso teorizzato da Tylor non è che unaltro prodotto della modernità, laddove la modernità può essere definita come l ʼepoca in cui domina una ragioneforte capace di costruire spiegazioni totalizzanti del mondo. La totalità strutturata rappresenta dall ʼinsieme complessotyloriano dimostra che ci troviamo di fronte alla proiezione di un paradigma della modernità sul mondo primitivo. Il

concetto di insieme complesso è frutto della modernità, e nel momento in cui una cultura, per essere riconosciuta,devʼessere un insieme complesso, essa deve uniformarsi al modello espresso dalla modernità.

Gli stadi di sviluppo Nel corso dei suoi studi antropologici, Tylor individuò tre stadi di sviluppo che si differenziavano e susseguivano inbase all'incremento di conoscenza. Secondo questi studi, esisterebbe infatti un processo continuo per il quale unaqualsiasi popolazione tende a diventare sempre più civile. I tre stadi consistono ne:1. Lo stadio selvaggio: la popolazione vive prevalentemente di caccia, pesca e raccolta. Stadio caratterizzato danomadismo. La comunità primitiva non avverte l'esigenza di stabilirsi su di un territorio preciso e si sposta divolta in volta.2. Lo stadio delle barbarie: la popolazione si dedica all'agricoltura ed all'allevamento degli animali. Le comunitàcominciano a raggiungere notevoli livelli di strutturazione sociale (ad es. fanno la loro comparsa i tabù comequello dell'incesto). Scompare o cala vistosamente il fenomeno del nomadismo.3. Lo stadio della civiltà, ossia lo stadio che - secondo Tylor - è stato raggiunto solo dalle civiltà occidentali; è lostadio più evoluto fra i tre ed è uno stadio in cui nasce e si sviluppa l'economia industriale.Poiché le società più semplici non hanno ancora raggiunto gli stadi culturali più elevati del progresso, possono essereritenute simili alle società più antiche. È quindi possibile che le tribù primitive riescano a illustrare le condizioni divita dei nostri antenati.

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Opere• Primitive Culture: Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art andCustom, 1871

CulturaLa nozione di cultura appartiene alla storia occidentale. Di origine latina, proviene dal verbo "coltivare". L'utilizzo di taletermine è stato, poi, esteso, a quei comportamenti che imponevano una "cura verso gli dei": così il termine "culto".Il concetto moderno di cultura può essere inteso come quel bagaglio di conoscenze ritenute fondamentali e che vengono

trasmesse di generazione in generazione. Tuttavia il termine cultura nella lingua italiana denota due significati principalisostanzialmente diversi: ▪ Una concezione umanistica o classica presenta la cultura come la formazione individuale, un ʼattività checonsente di "coltivare" lʼanimo umano (deriva infatti dal verbo latino "colere"); in tale accezione essa assume unavalenza quantitativa, per la quale una persona può essere più o meno colta. ▪ Una concezione antropologica o moderna presenta la cultura come il variegato insieme dei costumi, dellecredenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle abitudini delle diverse popolazioni o società del mondo.Concerne sia lʼindividuo sia le collettività di cui egli fa parte. In questo senso il concetto è ovviamente declinabile alplurale, presupponendo l'esistenza di diverse culture, e tipicamente viene supposta l'esistenza di una cultura per ognigruppo etnico o raggruppamento sociale significativo, e l'appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa allacondivisione di un'identità culturale.

Esistono quindi diversi significati del concetto di cultura: ▪

Secondo una concezione classica la cultura consiste nel processo di sviluppo e mobilitazione delle facoltàumane che è facilitato dallʼassimilazione del lavoro di autori e artisti importanti e legato al carattere di progresso dellʼetàmoderna. ▪ Secondo una concezione antropologica la cultura - o civiltà - presa nel suo più ampio significato etnologico è “quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze, lʼarte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altracompetenza e abitudine acquisita dallʼuomo in quanto membro della società” secondo la nota definizionedellʼantropologo inglese Edward Tylor (da Cultura primitiva, 1871).

La cultura in senso antropologico consiste in: ▪ Sistemi di norme e di credenze esplicite, elaborati in modi più o meno formalizzati. ▪ Costumi e abitudini acquisite da esseri umani per il semplice fatto di vivere in determinate comunità,comprese quindi le azioni ordinarie della vita quotidiana. ▪ Artefatti delle attività umane, dalle opere dʼarte vere e proprie agli oggetti di uso quotidiano e tutto quantofa riferimento alla cultura materiale, al sapere necessario per vivere.Le caratteristiche che definiscono la cultura nella concezione descrittiva dellʼantropologia sono principalmente tre: ▪ La cultura è appresa e non è riducibile alla dimensione biologica dell'uomo. Ad esempio il colore della pellenon è un tratto culturale bensì una caratteristica genetica. ▪ La cultura rappresenta la totalità dell'ambiente sociale e fisico che è opera dell'uomo. ▪ La cultura è condivisa all'interno di un gruppo o di una società. Essa è distribuita in maniera omogeneaall'interno di tali gruppi o società.Perché un'azione o un tratto possano essere definiti "culturali" occorre quindi che siano condivisi da un gruppo. Ciò perònon significa che un fenomeno "culturale" debba essere obbligatoriamente condiviso dalla totalità della popolazione: ènecessario lasciare spazio per la normale variabilità individuale.Anche per quanto riguarda le variazioni di comportamento tra individuo ed individuo all'interno di una società, però, èpossibile individuarne dei limiti circoscritti proprio dalle norme sociali che regolano quel determinato gruppo.Frequentemente gli individui appartenenti ad una determinata cultura non percepiscono la loro condotta regolata da talinorme che impongono quale comportamento sia consentito e quale no.

In antropologia l'insieme di queste norme sociali (comunemente chiamate "ideali") vengono definite modelli culturaliideali.

Le proprietà antropologiche della culturaLa Cultura è: ▪ un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni) PER e DI:In tutte le culture esiste un modello di (es. pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si pensa qualcosa. I modellidi generano modelli per, modelli guida al diverso modo di agire ▪ operativa: permette un accostamento al mondo in senso pratico e intellettuale e un relativo adattamentoambientale. Permette quindi di passare dall'ideale all'operatività. ▪ selettiva: effettua infatti una selezione di modelli funzionali al presente ▪ dinamica: si mantiene nel tempo, ma non è fissa. Interagendo con altre culture vi sono cambiamentireciproci. ▪

stratificata e diversificata: all'interno della stessa società si notano differenze culturali in base all'età, algenere, al reddito, ecc., e queste differenze condizionano i comportamenti sociali. A seconda delle società vi è inoltreuna diversa distribuzione della cultura.

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La cultura presenta al proprio interno dei dislivelli. Gramsci, schematizzando, parlò di Cultura Egemonica (che ha ilpotere di definire i suoi confini) e Cultura Subalterna che, non avendo tale potere, non ha possibilità di definirsi. Adesempio la divisione tra Hutu e Tutsi è nata in seguito alla colonizzazione belga. Nella società moderna, pur essendopresenti differenze culturali su base linguistica ed etnica, esse sono tollerate perché viene favorita l'integrazione culturaletramite l'istruzione obbligatoria e le classi sociali non hanno confini rigidi: Baumann addirittura parla di «modernitàliquida». ▪ basata sulla comunicazione: la cultura nasce infatti da uno scambio costante ▪ olistica: (da olòs, intero) ed è quindi formata da elementi interdipendenti tra loro. Ad esempio vi è un

legame tra la religione e l'alimentazione di un paese e di conseguenza sull'economia. Secondo alcuni antropologi alcuneculture sono più olistiche perché realizzano meglio questa interdipendenza tra elementi (es. la divisione nelle casteindiane e lo stretto legame tra di esse). ▪ porosa: vi sono continui sconfinamenti tra le culture ed è difficile definire un vero limite, un vero confine traculture.La Cultura non é apparato esteriore della vita. E' consapevolezza pratica legata alla propria esperienza individuale (nihilin intellectu quod non fuerit in sensu) , divenuta anche teorica attraverso una rete concettuale via via più complessa inbase all'apporto del mondo esterno, delle esperienze altrui, di quanto gli autori-aumentatori hanno trasmesso di loro edel loro mondo (della loro epoca). È fatto sia individuale che sociale. Sociale però anche in senso negativo: i modelli cheprovengono dall'esterno, proprio perché si pongono come modelli, ci rendono passivi se ci danno l'illusione di avertrovato il significato e persino il fine da perseguire. Più che di imitazione, dinamica ricerca di miglioramento, si trattaspesso di pura e semplice seduzione. Negli aspetti sociali della cultura c'é più apparato esteriore che stimolo allapersonalità di ciascuno, più paternalismo e padreternismo che autentica liberazione. Più competizione che stimolo al

meglio: siamo i primi, siamo gli unici, siamo i migliori. In poche parole c'é più sussiego che autenticità e sviluppo. (Luciadegli Scalzi) Fritjof Capra rappresenta la Cultura di una rete sociale come una cellula con un nucleo culturale più definitoe dei confini porosi. A seconda dei propri valori una cultura può essere aperta o chiusa, così come una cellula accettaalcuni elementi ed altri no.

In sociologia, influenzata dagli studi dellʼantropologia culturale, la sociologia si dedica con particolare attenzione allostudio della cultura.Il contributo di Émile DurkheimÉmile Durkheim, ponendosi il problema del perché la società mantenga un livello minimo di coesione, ritiene che ognisocietà si stabilisce e permane solo se si costituisce come comunità simbolica. Nel suo studio, e in quello dei suoi allievi,hanno una grande importanza le rappresentazioni collettive, cioè insiemi di norme e credenze condivise da un grupposociale, sentite dagli individui come obbligatorie. Esse sono considerate da Durkheim vere e proprie istituzioni sociali checostituiscono il cemento della società, consentendo la comunicazione tra i suoi membri e mutando con il cambiamentosociale.

Sir James George Frazer (Glasgow, 1º gennaio 1854 – Cambridge, 7 maggio 1941) è stato un antropologo e storicodelle religioni scozzese.« La magia è tanto un falso sistema di leggi naturali quanto una guida fallace della condotta; tanto una falsa scienzaquanto un'arte abortita. »(James G. Frazer, Il ramo d'oro (The Golden Bough), traduzione di Lauro De Bosis, Giulio Einaudi editore, 1950.)È fondamentale il suo contributo all'antropologia culturale e alla storia delle religioni.

BiografiaScrisse Il ramo d'oro, opera monumentale in cui espose la sua teoria sulla magia, intesa come inizio di un complessopercorso che la vede evolversi prima nella religione e poi nella scienza. Definisce la magia come un fenomeno disimpatia tra le cose, capace di instaurare legami per omeopatia, similitudine (come nel caso dei riti vodoo) o

contagio (due cose in contatto fra di loro continuano ad avere un influsso l'una sull'altra anche dopo essere stateseparate).È importante anche la teoria che sviluppa a proposito del dio morente, un tema che Frazer individua all'interno dinumerose religioni, a partire dagli studi di Wilhelm Manhardt, che vede la divinità coinvolta in una vicenda in cuiperderà la vita, per poi riacquistarla nuovamente in un momento successivo.Ne sono esempi le vicende mitiche di Osiride, Dioniso, Attis, Adone, Baal, Gesù, etc.Il tema centrale da cui si sviluppa Il ramo d'oro è la vicenda del Rex Nemorensis, sacerdote di Diana nel tempio diNemi, sopravvivenza di un antico culto all'interno del contesto storico dell' antica Roma. Secondo l'interpretazione diFrazer, egli agisce sulla natura e sulla fertilità per i suoi poteri simpatici (propri della magia simpatica di sopra) e haun ruolo sociale fondamentale per la comunità che vi circola attorno.Per difenderne l'integrità fisica essa ha stabilito un sistema di tabù finalizzato a proteggerlo, mentre l'integritàspirituale viene garantita dal trasferimento simbolico in un'anima esterna (il ramo d'oro).Al sopraggiungere della decadenza fisica del re mago, non più adatto al suo ruolo sociale, la successione vienedeterminata dall'uccisione rituale del rex nemorensis da parte di uno sfidante, che lo deve uccidere in duello dopoaver spezzato il ramo del boschetto di Diana.Secondo il giornalista britannico Henry Noel Brailsford, Frazer ha contribuito a formare il pensiero del Novecento,come Karl Marx e Sigmund Freud, oltre che di Charles Darwin, del quale Frazer si considerava discepolo econtinuatore.

5/10/2018 antropologia - slidepdf.com

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Ma proprio il metodo "darwiniano" applicato alla storia delle religioni gli attirò le critiche di Ludwig Wittgenstein,secondo il quale Frazer « non è in grado di immaginarsi un sacerdote che in fondo non sia un pastore inglese del nostrotempo, con tutta la sua stupidità e insipidezza » (Ludwig Wittgenstein. Note sul "Ramo d'oro" di Frazer)e poco più oltre:« Frazer è molto più selvaggio della maggioranza dei suoi selvaggi, perché questi non potranno essere così distanti dallacomprensione di un fatto spirituale quanto lo è un inglese del ventesimo secolo. Le sue spiegazioni delle usanzeprimitive sono molto più rozze del senso di quelle usanze stesse » (Wittgenstein, p. 28.)

Lewis Henry Morgan (Aurora, 21 novembre 1818 – Rochester, 17 dicembre 1881) è stato un etnologo e antropologo statunitense.Fu consulente giuridico di una compagnia ferroviaria e attivo militante del partito repubblicano, che rappresentò alCongresso come deputato e, successivamente, come senatore. Visse a lungo tra gli Irochesi e compì spedizioni fra lepopolazioni indigene del Kansas, del Nebraska, delle Montagne Rocciose e del Nuovo Messico.

La ricerca antropologicaAppassionato di antropologia, spese le sue energie nella ricerca, facilitato dall'amicizia con l'indiano ElyParker(commissario governativo per gli affari indiani durante la guerra civile). Insieme a lui fondo la "lega degliIrochesi"(1851). Avvantaggiato dalla presenza di molte tribù indiane nel suo paese, che egli visitava di frequente,partecipò alla loro vita, guadagnandosi la loro amicizia: tra queste, la tribù degli indiani Seneca, a cui appartenevaEly Parker, lo adottò col nome di "Taydawahguh", "colui che si tiene in mezzo", ossia colui che fa da mediatore tragli Indiani e i bianchi.

Sistemi di consanguineità e di affinità nella famiglia umana (1871) Lewis H. Morgan condivide con Tylor il titolo di fondatore dell'antropologia culturale. La storia umana, secondoMorgan, si è sviluppata in tre periodi etnici; lo stato selvaggio, la barbarie, la civiltà. Egli suddivide a sua voltaquesti tre stadi in sette periodi, dallo "stadio selvaggio inferiore"(gli uomini si nutrono di frutta e di bacche), allostadio civile(uso dell'alfabeto fonetico e della scrittura). All'interno di questa evoluzione, la famiglia ha conosciutocinque tappe: 1.La famiglia consanguinea, in cui il matrimonio avveniva tra fratelli e sorelle. 2.La famiglia punalua,in cui vigeva il divieto di matrimonio tra fratelli e sorelle. 3.La famiglia sindiasmiana, nella quale le coppienascevano e si scioglievano spontaneamente. 4.La famiglia patriarcale, in cui l'autorità suprema spettava al capo disesso maschile. 5.La famiglia monogamica, basata sull'uguaglianza tra maschio e femmina, che si va evolvendoverso la famiglia nucleare. Questi passaggi sono avvenuti a causa del succedersi delle forme di economia, da quelladei cacciatori e raccoglitori a quella dell'industrializzazione moderna. Questo lo dimostrò nella sua operà successiva:La società antica(1877), criticata dagli anti-evoluzionisti, ignorata dai funzionalisti, mentre fu molto apprezzatadalla tradizione Marxista: Engels ne fece l'elogio nell'opera L'origine della famiglia, della proprietà privata e delloStato.Altre opere di Morgan: 1857- Leggi di discendenza tra gli Irochesi