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ANTROPOLOGI A

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ANTROPOLOGIA

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REPERTI FOSSILII reperti fossili possono essere analizzati in vario modo.1. Datazione del reperto mediante isotopi di elementi chimici.2. Studi archeologici, geopaleontologici, paleoclimatici.3. Studi morfologici (specie, età e sesso dell’individuo) 4. Analisi geneticaL’analisi genetica per la datazione è molto accurata perché

permette di usare le mutazioni come una sorta di orologio biologico.

Poiché le mutazioni avvengono secondo una frequenza costante nel tempo, più lunga è la storia evolutiva di una specie o di una popolazione entro la specie e maggiori devono essere le differenze genetiche accumulate nella sequenza di regioni conservate del DNA.

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DNA mitocondrialeI mitocondri sono organuli intracellulari deputati alla respirazione cellulare e alla

fosforilazione ossidativa.Contengono DNA di forma circolare chiusa, analogo a quello dei Procarioti, e ciò

rappresenta una delle prove a favore della teoria endosimbiontica di Lynn Margulis.Il DNA mitocondriale è lungo 16.500 paia di basi (16,5 kbp), con una zona molto

conservata chiamata d-loop, ed è ereditato solo per via materna.Lo studio filogenetico delle specie antropomorfe e umane si basa su estrazione,

sequenziamento e confronto delle sequenze del DNA mitocondriale per i seguenti motivi:

• Ha dimensioni molto minori rispetto a quello nucleare e una frequenza di mutazione 10 volte maggiore.

• È presente in quantità maggiore rispetto a quello nucleare a causa dell’abbondanza dei mitocondri nei tessuti.

• La trasmissione uniparentale rappresenta una condizione di aploidia e assenza di ricombinazione.

PERTANTO è più facile estrarlo integro e in quantità sufficientemente elevate anche da reperti fossili ed è più semplice da analizzare. Il DNA mitocondriale viene estratto dal midollo osseo dei reperti fossili, per evitare la possibile contaminazione con “DNA moderno” di chi li ha toccati.

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Teoria multiregionaleLa presenza di popolazioni umane, differenti dal punto di vista

morfologico, linguistico, culturale e il ritrovamento di vari reperti fossili del genere Homo in molte parti del mondo risalenti a epoche diverse,

In Asia, uomo di Giava risalente a 700.000 anni fa e uomo di Pechino risalente a 300.000 anni fa.

In Europa uomo di Neanderthal risalente a 100.000 anni fa,avevano fatto ipotizzare erroneamente che l’antenato dell’uomo

moderno fosse apparso in varie parti del mondo più di 1.000.000 di anni fa, in modo più o meno simultaneo, e che si fosse evoluto separatamente in ogni area dando origine alle diverse “razze umane”.

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Ipotesi dell’antenato comuneIl Prof. Allan Wilson confrontò il DNA mitocondriale di 134 persone

viventi, appartenenti ai 5 principali gruppi etnici (europei, asiatici, africani, popolazioni originarie delle Americhe).

I risultati indicarono che il gruppo europeo e asiatico, incluse le popolazioni di Australia e Nuova Guinea, presentavano poche differenze genetiche ed erano popolazioni “recenti”, risalenti a circa 90.000 anni fa e che le popolazioni amerinde erano geneticamente simili a popolazioni mongolidi e quindi asiatiche.

Al contrario, i vari gruppi africani presentavano differenze maggiori e quindi una storia evolutiva più lunga.

L’ipotesi di Wilson, inizialmente non condivisa dalla comunità scientifica, suggeriva che l’uomo moderno (Homo sapiens) si fosse evoluto a partire da un antenato comune, originatosi in Africa circa 200.000 anni fa, e poi migrato in aree diverse del pianeta e differenziatosi morfologicamente per adattamento ad ambienti differenti e culturalmente per isolamento geografico.

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COME SPIEGARE I REPERTI FOSSILI DEL GENERE HOMO

CON DATAZIONE PRECEDENTE AI 200.000 ANNI FA?

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Genere HomoIl lavoro di Wilson, è stato proseguito da un suo ex-allievo, il Prof. Svante Paabo,

che ha confrontato il DNA mitocondriale dei reperti fossili umani con quello delle popolazioni di Homo sapiens moderno.

I risultati hanno mostrato che un europeo e un asiatico differiscono per 8 basi azotate su 378 (2%), mentre la differenza tra Homo neaderthalensis e uomo moderno europeo sono di 26 basi azotate su 378 (7%): una differenza troppo grande per considerare H. neanderthalensis l’antenato degli attuali europei. Risultati analoghi sono stati ottenuti confrontando l’uomo di Giava e l’uomo di Pechino (Homo erectus) rispettivamente con australiani e asiatici moderni.

Questi confronti hanno, da un lato, confermato l’ipotesi di Wilson secondo cui le popolazioni umane attuali sono geneticamente troppo simili tra loro per derivare da antenati diversi e, dall’altro lato, hanno messo definitivamente in crisi l’ipotesi multiregionale e con essa l’idea erronea dell’esistenza di razze umane diverse.

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Genere Homo• Attualmente esiste una sola specie del genere Homo,

la specie Homo sapiens.• Tutti gli esseri umani attuali sono imparentati tra

loro attraverso un comune antenato africano.• Le altre specie del genere Homo che hanno

preceduto o che hanno convissuto con Homo sapiens, a volte anche incrociandosi con esso, si sono estinte.

• La scoperta di nuovi fossili costringe ad aggiornare continuamente l’albero filogenetico dell’evoluzione umana.

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Homo di Dmanisi o H. georgicusA Dmanisi (Georgia) nel Piccolo Caucaso a metà strada tra Mar Nero e Mar Caspio in

cima a uno sperone roccioso che sovrasta la confluenza tra due fiumi, durante gli scavi di rovine medievali di un villaggio importante lungo la Via della Seta, emersero fossili risalenti a circa 1.850.000 anni fa (primo Pleistocene).

Si trattava di fossili di faune dal sapore africano (rinoceronti), manufatti primitivi e resti umani numerosi e ben conservati presenti al crocevia di tre continenti, con una datazione tra le più antiche fuori dall’Africa. L’importanza riguarda soprattutto il gran numero di reperti che dà la possibilità di studiare una popolazione e non individui isolati.

La morfologia li avvicina agli Homo erectus, la specie umana che colonizzerà l’Estremo Oriente, ma a causa della ridotta dimensione del cranio e del corpo porta con sé i caratteri dell’antenato (Homo habilis) che si riteneva troppo primitivo per avere capacità migratorie. Per i fossili di Dmanisi è stata proposta una specie nuova: Homo georgicus, intermedia tra H. erectus e H. habilis Ammesso che sia davvero una specie nuova, si tratta comunque di una forma umana primordiale uscita dall’Africa per prima.

Le domande che si pongono sono: perché gli esseri umani hanno lasciato l’Africa per la prima volta e come hanno fatto? Si ritiene la migrazione una risposta alla ricerca di prede per soddisfare una dieta sempre più carnivora rispetto a quella erbivora degli australopiteci, che avrebbe consentito agli individui di sopravvivere in climi rigidi.

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Homo erectus e Homo floresiensisSi tratta delle due specie che hanno colonizzato il continente asiatico prima della comparsa di H. sapiens

e che hanno convissuto con esso per varie migliaia di anni. Si ritiene che si siano evolute dall’Homo di Dmansi.

Mentre H. erectus era alto e slanciato, H. floresiensis era straordinariamente basso (circa 1 metro di altezza), con una statura trovata solo negli Australopitechi, era un H. erectus in miniatura, soprannominato affettuosamente l’hobbit dell’isola di Flores. Inoltre, si estinto 13000 anni fa e quindi ha convissuto con H. sapiens più a lungo di H.neanderthalensis e di H. erectus stesso, forse in qualche modo protetto dal suo stesso isolamento.

Secondo la “regola delle isole”,infatti, sulle isole tendono ad evolversi specie anomale: gli animali di taglia superiore ad un coniglio riducono le proprie dimensioni, mentre gli animali più piccoli le incrementano, probabilmente come risposte adattative alla limitata disponibilità di risorse alimentari e sembra che gli uomini siano stati soggetti alle stesse regole evolutive degli animali.

La particolarità di H. floresiensis è rappresentata da manufatti ad un livello di perfezionamento confrontabile con H. sapiens, con attività di caccia in gruppo agli elefanti in miniatura dell’isola (Stegodon) con utilizzo del fuoco, sfatando l’assunto che ad un cervello grande corrispondesse una maggiore intelligenza.

Una volta che il cervello ha raggiunto una certa dimensione, non è più il volume che conta, ma l’organizzazione cerebrale e le connessioni cerebrali.

H. erectus

Confronto tra cranio di H. floresiensis (a sinistra) e di H. sapiens (a destra): sono evidenti le ridotte dimensioni di questa specie umana.

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Homo di Ceprano o H. heidelbergensisNel 1994 a Ceprano (Lazio) sono stati scoperti i frammenti di un cranio umano

fossile. La morfologia del cranio ricorda H. erectus ben nota in Asia, ma finora mai identificata in Europa con altrettanta evidenza, sembra derivato da una migrazione di H. di Dmanisi.

La datazione, dopo alcune revisioni, converge su 400.000 anni fa circa e questo lo rende molto interessante. Infatti, si pensava che i fossili umani di questa epoca in Europa indicassero un percorso inequivocabile e univoco: la comparsa dell’H. neaderthalensis, ma questo cranio non mostra caratteristiche da Neanderthal.

Piuttosto assomiglia a H. erectus e a H. ergaster, e differisce da essi per una maggiore “ modernità”: potrebbe essere il morfotipo ancestrale di H. heidelbergensis. La storia dell’evoluzione umana in Europa deve essere stata più complessa di quanto si pensava, con una considerevole variabilità intraspecifica o, in alternativa, della coesistenza di differenti linee evolutive.

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Homo neanderthalensisNel 1856, in Germania nella valle del Neander, fu

scoperto uno scheletro fossile incompleto con cranio massiccio, arcata soppracciliare sporgente, fronte bassa e sfuggente, prognatismo facciale, mancanza di mento, ossa degli arti robuste e tozze, torace a “barile” che erano chiaramente diverse da ossa umane di tipo moderno. Perciò gli fu assegnato il nome di H. neanderthalensis. Agli inizi del ‘900 in Francia un altro reperto simile confermò l’esistenza di questa specie e un attento esame indicò, però, che postura e movimenti dei neanderthaliani dovevano essere uguali ai nostri. Un cranio di questa specie è stato rinvenuto nel 1939 nella Grotta Guattari del Monte Circeo. Inoltre, Fumane in Valpolicella è un sito preistorico di straordinario interesse per le fasi che videro avvicendarsi H. neanderthalensis e H. sapiens e ha dato adito ad una immagine “modernista” di H. neanderthalensis, anche se forse troppo simile ad un Sioux o a un Cheyenne.

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Homo neanderthalensis Le proporzioni del corpo permettevano una più

efficiente conservazione del calore nei gelidi inverni glaciali. Inoltre, analisi dei resti di animali li indicano come abili cacciatori capaci di abbattere animali molto grandi con lance dalla punta di pietra. Inoltre, parevano in grado di variare le strategie di sussistenza a seconda del tipo di ambiente e di stagione. Quindi, non si sono estinti per la loro incapacità di adattarsi. Sembra che H. sapiens avesse alcuni vantaggi cognitivi: il pensiero simbolico e il linguaggio, che permisero loro di superare la staticità dei neanderthaliani con una vasta gamma di innovazioni. Tuttavia, alcuni ricercatori ritengono anche i neanderthaliani capaci di un linguaggio sebbene più semplice e meno simbolico.

La linea evolutiva di H. neanderthalensis e quella di H. sapiens si è separata circa 500.000 anni fa e l’ultimo antenato comune era H. heidelbergensis.

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Homo di DenisovaSui monti Altai, nella Siberia meridionale, quasi al confine con la Mongolia,

nella grotta di Denisova sono stati recentemente scoperti e analizzati (2010) un dente molare e una falange del dito mignolo di un individuo databile intorno a 40.000 anni fa.

Le analisi del DNA mitocondriale hanno indicato che non si tratta né di H. sapiens né di H. neanderthalensis che in quel periodo convivevano in quelle zone, ma di un’altra specie del genere Homo che avrebbe condiviso con le altre due un antenato vissuto tra 1.000.000 e 500.000 anni fa.

Quindi, almeno in Asia centrale, bisogna valutare la ben più complessa rete di rapporti tra tre diverse specie umane: diversi dal punto di vista comportamentale, morfologico e genetico.

Tuttavia, il clima della Siberia ha consentito anche la straordinaria conservazione del DNA nucleare. Questo DNA si ricombina ad ogni generazione e quindi non dà informazioni nitide sulle traiettorie e sui tempi dell’evoluzione come quello mitocondriale, ma ci dice qualcosa di interessante sui rapporti tra le popolazioni.

I risultati delle analisi sembrano indicare un incrocio tra Homo di Denisova e H. sapiens, ancora rintracciabile negli attuali popoli papua-melanesiani, ma non altrove.

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Homo sapiensProbabilmente H. sapiens aveva le strutture anatomiche necessarie per il pensiero

simbolico fin dall’origine della specie (circa 200.000 anni fa).Tuttavia, i dati genetici fanno pensare che la grande svolta nell’evoluzione umana si verificò

70.000 anni fa, quando H. sapiens si trovò a fronteggiare una grave crisi climatica. L’eruzione del Monte Toba, una enorme caldera vulcanica che corrisponde all’attuale lago Toba a Sumatra, provocò 6 anni di terribile “inverno vulcanico” seguiti da una glaciazione che durò 1000 anni. Queste condizioni favorirono una transizione dall’organizzazione sociale a piccoli gruppi a quella della tribù: cooperare per cacciare grandi animali e condividere le risorse favoriva la sopravvivenza e la trasmissione dei propri geni alle generazioni future.

Secondo Richard Klein (Stanford University) una mutazione genetica avvenuta circa 50.000 anni fa ebbe l’effetto casuale di riorganizzare i circuiti neuronali del cervello umano rendendolo capace di pensiero simbolico, compreso il linguaggio, di migliori tecnologie per la caccia e lo sfruttamento delle risorse, di oggetti artistici e ornamenti da usare come merce di scambio o per mostrare lo status sociale. Gli individui portatori di questa mutazione erano avvantaggiati rispetto agli altri e in breve li superarono nella competizione e li soppiantarono. Poterono migrare fuori dall’Africa e grazie all’aumento demografico raggiungere una notevole massa critica.

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MIGRAZIONIIn Europa, sembra si siano susseguite due iniziali ondate migratorie:La prima avvenuta circa 1.200.000 anni fa, relativa ad Homo antecessor rinvenuto

per ora solo in Spagna (Sierra de Atapuerca, vicino Burgos) forse estinto intorno a 600.000 anni fa per la glaciazione.

La seconda avvenuta intorno ai 500.000 anni fa, relativa ad Homo heidelbergensis che anticipa H. neanderthalensis europeo, il quale si evolverà successivamente da esso.

In Asia, a partire dall’ Homo di Dmanisi in Georgia (1.850.000 anni fa) si sarebbe verificata la migrazione e l’evoluzione che ha portato all’Homo erectus e all’Homo floresiensis.

In Africa, dopo i primi Homo habilis ci sarebbe stata l’evoluzione di Homo ergaster (1.600.000 di anni fa) e, in seguito a partire da H. heidelbergensis non migrati (600.000 anni fa) di H. sapiens che poi avrebbe determinato l’ultima ondata migratoria fondamentale per la diffusione mondiale della specie H. sapiens stessa intorno a 200.000 anni fa.

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Specie umane40.000 anni fa vivevano in contemporanea sul pianeta 5 specie umane• La specie Homo sapiens si è evoluta in Africa, da lì è migrata nel continente

euro-asiatico; è l’unica sopravvissuta nel corso dell’evoluzione ed è quella a cui apparteniamo.

• La specie asiatica Homo erectus, vissuta fino a 120.000 anni fa, era caratterizzata da un alta statura e ha convissuto con H. sapiens per 50.000 anni in Eurasia grazie ad una precedente migrazione dall’Africa.

• La specie Homo neanderthalensis si è estinta 26.000 anni fa dopo avere convissuto sul continente europeo e in Medio oriente con la specie Homo sapiens.

• In Indonesia, la specie Homo floresiensis, discendente di H. erectus, ha colonizzato l’isola di Flores e si è miniaturizzata dopo essere rimasta bloccata sull’isola da una sglaciazione che ha sollevato il livello del mare.

• La quinta specie era localizzata in Siberia, Homo di Denisova, e i fossili sono ben conservati a causa del freddo e della scarsa acidità del suolo.

Le altre specie di ominidi si sono estinte per deriva genetica e contingenze ecologiche, ma non a causa di H. sapiens.

Infatti, se ci fosse stata una competizione tale da portare all’estinzione le altre specie, non sarebbero stato possibile convivere nello stesso territorio per un tempo così lungo.

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Incrocio tra specie umane• H. sapiens e H. neanderthalensis sono due specie diverse e quindi non

dovrebbero incrociarsi o almeno non avere prole fertile.• Tuttavia, all’inizio della loro convivenza nello stesso territorio, le barriere

riproduttive tra le due specie non erano ancora ben definite e c’è stato incrocio.

• In particolare, dal DNA mitocondriale si è scoperto che negli incroci gli uomini appartenevano sempre ai Neanderthal e le donne sempre ai sapiens.

• Inoltre, è possibile che tale incrocio sia avvenuto anche con le altre specie del genere Homo con il risultato che il nostro genoma è una specie di “mantello di Arlecchino”.

• Infine, dato che nella storia evolutiva umana si è verificato un collo di bottiglia e che gli attuali esseri umani derivano da 20.000 fondatori, il genoma degli uomini attuali è molto omogeneo e dal punto di vista genetico non ha senso parlare di razze, ma solo di popolazioni umane.

SIAMO UNA SPECIE MOLTO GIOVANE, PROMISCUA E SENZA DIFFERENZE GENETICHE, E IN 12000 ANNI ABBIAMO PROVOCATO L’ESTINZIONE DEL 45% DELLA BIODIVERSITA’ DEL PIANETA

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QUANDO IL GENERE HOMO SI È SEPARATO DALLE

SCIMMIE ANTROPOMORFE?

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Caratteristiche delle scimmie antropomorfe

Le scimmie antropomorfe sono gibboni, orangutan, gorilla e scimpanzè. • Unghie al posto di artigli che aumentano la capacità tattile• Pollice opponibile alle mani e ai piedi che permette di afferrare oggetti.• Flessibilità di spalla, braccio e mano che permettono movimenti ampi e

complessi.• Alternanza tra postura eretta e quadrupede, sebbene la prima sia molto

limitata.• Vita prevalentemente non arboricola• Posizione frontale degli occhi che permette una visione più acuta.• Prolungate cure parentali e neonati che hanno praticamente già completato

lo sviluppo cranico.

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Caratteristiche dell’uomo moderno • Cranio più rotondo nella regione parietale e temporale, più allungato nella regione

occipitale, più pronunciato nella regione frontale.• Arcate sopraccigliari e fosse nasali, mascelle e mandibole di dimensioni ridotte.• Accorciamento degli arti superiori e allungamento di quelli inferiori.• Perdita del pollice opponibile ai piedi e notevole riduzione della lunghezza delle falangi

in particolare dei piedi, ma anche alle mani • Postura eretta completamente realizzata con riduzione del bacino e del canale pelvico.• Neonati che presentano solo il 25% dello sviluppo cranico definitivo e le ossa craniche

non ancora suturate, proprio per permettere il passaggio attraverso il canale pelvico• Grande foro occipitale, in cui si inserisce la colonna vertebrale, è esattamente alla base

del cranio,la colonna vertebrale forma un angolo retto con il cranio, mentre nelle scimmie forma un angolo ottuso.

• La visione a colori a discapito della visione notturna.• Cambiamento di dieta da frugivori a carnivori e successivamente anche cottura dei

cibi.

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Il confronto tra gli scheletri delle scimmie antropomorfe e uomo moderno permette di evidenziare le principali differenze (per evidenziare le proporzioni tra le parti dello scheletro, quello del gibbone è rappresentato due volte più grande del naturale):

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AustralopithecusSecondo il prof. A. Wilson il fatto che la specie Homo sapiens sia

relativamente giovane, costringe a spostare in avanti la separazione del genere Homo dalle scimmie antropomorfe, ad una data che corrisponderebbe non a 15.000.000 di anni fa, ma solo a 5.000.000 di anni fa. Il genere a cui attinge la nostra specie è Australopithecus e l’antenato dell’uomo si è ramificato dallo scimpanzè .

Molto noto è il fossile di una femmina di Australopithecus afarensis, Lucy, e scoperto nel 1974 in Etiopia nei pressi di Afar. Il fossile risale a 3.200.000 anni fa e, sebbene si tratti di un individuo bipede, la sua capacità cranica è simile a quella di uno scimpanzè.

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Australopithecus

Nel 2000, a Dikka nella stessa regione è stato trovato lo scheletro più completo e ben conservato di una bambina di tre anni di A. afarensis databile intorno a 3.300.000 anni fa, chiamata Selam (pace in varie lingue etiopi).

Caratteristiche distintive di A. afarensis sono: muso sporgente, setto nasale stretto, locomozione bipede, senza alluce prensile, sebbene nelle articolazioni superiori assomigli molto ad una scimmia.

L’evoluzione avrebbe selezionato il bipedismo negli arti inferiori e nella zona pelvica, mentre le parti non direttamente funzionali al bipedismo, come braccia e spalle, si potevano modificare in uno stadio successivo. È un esempio di evoluzione a mosaico.

Caratteristica fondamentale pare sia costituita da uno sviluppo cranico di Salem pari al 65-88% , a differenza di uno sviluppo cranico >90% in uno scimpanzè di 3 anni.

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AustralopithecusSono stati misurati i livelli di due isotopi dello Stronzio nei denti dei fossili di

austalopitecine del Sud Africa e anche nel suolo dei siti di scoperta dei fossili e di aree a una certa distanza.

Il rapporto tra i due isotopi dello stronzio fornisce una firma del contesto geologico in cui un animale è cresciuto, perché si fissa in modo indelebile nella struttura mineralizzata dei denti e rispecchia quello dell’ambiente in cui sono vissuti i proprietari dei denti analizzati.

I risultati indicano che le impronte isotopiche dei maschi sono simili a quelle dei suoli in cui sono stati rinvenuti i resti, mentre quelle delle femmine sono quasi sempre differenti.

Le femmine sembrano essere cresciute in altre zone e poi essersi spostate nel corso della vita e questo potrebbe significare una differente tendenza a disperdersi nei due sessi, in rapporto alle strutture sociali delle loro comunità e alle loro modalità riproduttive.

In particolare, indicherebbe un modello più simile a quello degli attuali scimpanzè, dove a disperdersi per la riproduzione sono appunto le femmine, che non a quello dei gorilla, a cui altre ricerche avevano avvicinato il genere Paranthropus.

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Australopithecus sedibaRitrovato nel 2008 in Sudafrica nelle grotte di Malapa, vicino a

Johannesburg e risalente a 1.980.000 anni fa, quindi posteriore a A. afarensis e non lontano da H. habilis.

È un mosaico di tratti arcaici e moderni e potrebbe fare luce riguardo alla transizione tra australopiteco ed uomo, ed è ancora in fase di studio.

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QUESTA IMMAGINE MOLTO FREQUENTE, quando si parla di evoluzione umana, NON È CORRETTA DAL PUNTO DI VISTA EVOLUTIVO, perché sottintende sempre l’obsoleto concetto aristotelico di “scala naturae”: un progresso temporale da forme inferiori a forme superiori. In realtà, le varie tappe, dovrebbero includere un numero più variegato e diversificato di specie, anche contemporanee.

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ALBERO EVOLUTIVO IN CONTINUO AGGIORNAMENTO SULLA BASE DEI REPERTI FOSSILI

ASIA

AFRICA

EUROPA

UNICA SPECIE RIMASTA E DIFFUSA IN TUTTO IL GLOBO

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CRANIO di HomoSembra che la rotondità cranica favorisca l’integrazione degli stimoli sensoriali e lo

sviluppo di rappresentazioni astratte dell’ambiente circostante e che derivi da eventi che si verificano nel primo anno di vita e non siano già presenti alla nascita.

La figura mostra un chiaro incremento nella rotondità e nella dimensione della scatola cranica e una riduzione della dimensione della mandibola e del prognatismo.

Homo ergaster Homo antecessor di Atapuerca

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S.J. Gould e l’evoluzione umana• Punctuated equilibria: il cambiamento capace di produrre una nuova specie

sarebbe favorito in piccole popolazioni isolate che si troverebbero in tempi rapidi a confrontarsi con quelle della specie madre. I fossili mostrano morfologie “moderne” che si affiancano per decine di millenni a variabilità “arcaiche” durante la loro diffusione e la paleoecologia descrive una fase arida con frammentazione di habitat e isolamento delle popolazioni.

• Approccio evo-devo: la comparsa della specie moderna sarebbe da ricondurre a una nuova regolazione nelle modalità dello sviluppo soprattutto in età perinatale. Il fenomeno generale della encefalizzazione porta in H. sapiens a un nuovo equilibrio tra espansione encefalica e ossificazione della volta cranica. La forma alta e tondeggiante appare improvvisamente nella documentazione fossile, forse una mutazione in un gene regolatore dello sviluppo.

• Exaptation: i neonati nascono con un cervello “prematuro” e una scatola ossea del cranio ancora elastica poiché il nostro cervello adulto sarebbe troppo grande per le dimensioni del canale pelvico in un bacino più stretto adattato alla postura eretta. Questo ha però allo stesso tempo, consentito una prolungata recettività all’apprendimento e allo sviluppo di nuove connessioni neuronali, fino a consentire arte, tecnica e linguaggio.

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MANUFATTII manufatti compaiono ad un certo momento della storia dell’uomo e caratterizzano i siti

preistorici. Quelli rinvenuti in Africa sono molto antichi: 1.700.000 anni (area di Melka Kunture, Etiopia) e oltre 2.000.000 di anni (Gona, Etiopia).

Interessante è il bifacciale o ascia-a-mano, il cui modello è stato riprodotto continuamente per centinaia di migliaia di anni, sebbene varino le dimensioni, le fogge e tipi di pietra usata. Si pensa che l’artefice sia una specie primordiale del genere Homo, chiamata Homo habilis e datata 2.600.000 anni fa.

Questa data è importante perché coincide con un fenomeno paleoambientale di portata cruciale per l’evoluzione umana: un cambiamento climatico su scala mondiale che verso i 3.000.000 di anni fa si riverberò con particolari modalità in Africa orientale, a est della Rift Valley, e spinse in savana ominidi già bipedi, condizionandoli ad evolvere strategie di approvvigionamento e consumo di alimenti insoliti per la scimmia che eravamo stati.

La produzione di manufatti si sarebbe affiancata a un significativo incremento nel consumo di carne da parte dei primi Homo e le proteine animali ricavate dalle carcasse dei grandi erbivori, avrebbero rappresentato una precondizione per lo sviluppo del nostro sistema nervoso (fenomeno di encefalizzazione). Da questo sarebbe derivato il notevole successo adattativo e demografico e la tendenza a diffondersi e colonizzare nuovi ambienti in Africa e in Eurasia.

Forse, possibili prove raccolte nell’area di Dikika (Etiopia) mostrano tracce dell’uso di manufatti, rimaste impresse sulle carcasse di due grandi erbivori, datate circa 3.400.000 anni fa quando non esisteva nessun individuo del genere Homo, ma solo del genere Australopithecus, come Lucy.

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LINGUAGGIOSembra da studi biologici e statistici che, su un campione di 504

lingue, il numero dei fonemi (le unità di suono fondamentali che differenziano le parole) usati nelle lingue di tutto il mondo diminuisca progressivamente via via che ci si allontana dall’Africa sud-occidentale, esattamente come la variabilità genetica entro la nostra specie.

Questo è spiegato come “effetto del fondatore in serie”: una popolazione si espande attraverso una sequenza di spostamenti di piccoli gruppi di pionieri, che giungono in un territorio, crescono demograficamente e poi irradiano nuovi gruppi pionieri. Quindi a causa della deriva, la diversità genetica va scemando in maniera proporzionale alla distanza percorsa dall’area di origine.

Questa è una conferma ulteriore all’ipotesi già formulata tra i primi da Luigi Luca Cavalli-Sforza, secondo cui geni, popoli e lingue avrebbero avuto un analogo processo di differenziazione a partire da un ceppo africano recente.

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STUDIARE E SALVARE LE SCIMMIE ANTROPOMORFE

Jane Goodall (3 aprile 1934) all’età di 26 anni giunse alla riserva di Gombe Stream, in Tanzania, per studiare il comportamento degli scimpanzè in natura. Assunta dal famoso paleoantropologo Loius Leakey, secondo il quale il comportamento delle grandi scimmie antropomorfe poteva fornire informazioni sugli antenati della nostra specie, non aveva una preparazione scientifica ortodossa. Tuttavia, questo le permise di cogliere aspetti del comportamento degli scimpanzè che erano sfuggiti agli altri ricercatori. Attraverso le sue osservazioni dimostrò che gli scimpanzè condividono con noi molti tratti in precedenza ritenuti esclusivi degli esseri umani. Oggi J. Goodall è una primatologa di fama internazionale, ha 77 anni e lavora per salvare gli scimpanzè in via di estinzione e il loro habitat, attraverso una fondazione che ha anche l’obiettivo di aiutare le popolazioni del luogo e sensibilizzarle per eliminare il bracconaggio.

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Dian Fossey (1932- 1985), durante un viaggio in Tanzania, conobbe Loius Leakey e la moglie Mary che esaminavano quell'area alla ricerca di fossili umani.

Nel 1966 ci fu la grande svolta, Leakey contattò la Fossey per uno studio a lungo termine sui gorilla e quella fu l'inizio della sua attività stabile in Ruanda.

Nel 1967 Dian fondò il Karisoke Research Center in Ruanda per osservare i gorilla. Nel 1970 il National Geographic Magazine inviò un suo fotografo, Bob Campbell per

documentare il lavoro della Fossey, contrinbuendo alla sua fama.Dian sfruttò tutta quella celebrità per pubblicizzare la causa dei gorilla, minacciati dai

bracconieri il loro habitat , minacciati dal crescente turismo in quelle zone incontaminate.

STUDIARE E SALVARE LE SCIMMIE ANTROPOMORFE

Dian Fossey fu brutalmente assassinata la sera nel 1985 nella sua capanna con una sorta di macete usato dai bracconieri. Sulla sua morte c'è ancora un fitto mistero. •Gorillas in the Mist: the story of Dian Fossey Warner Bros, Sigourney Weaver.•Camilla de la Bedovore No one loved gorillas more 2005.•Georgiane Nienaber Gorillas Dreams: The legacy of Diane Fossey 2006.•R. Sapolskj "Diario di un uomo scimmia",

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Bibliografia• Allan Wilson• Svante Paabo• Kate Wong• Ian Tattersall• Luca Luigi Cavalli Sforza• Guido Barbujani• Telmo Pievani• Giorgio Manzi• S. J. Gould