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Numero 4 maggio-giugno 2009 /// www.ingegneri.cc Antisismica ISSN 2036-3311

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Processo tipologico e sicurezza sismica.La pianificazione della prevenzioneGiovanni Mochi*

È possibile, oggi, elaborare una proposta teorico-operativa che abbia, quale obiettivo principale, quello di definire una strategia di valutazione delle vulnerabilità dei tessuti edilizi storici e, conseguentemente, una pianificazione delle fasi d’intervento (1)? Le recenti vicende connesse alla tragedia abruzzese ripropongono con maggiore forza tale domanda a cui è necessario dare una risposta al fine di ottenere, al contempo, maggiore sicurezza, ma senza rinunciare alla conservazione del patrimonio storico diffuso.

Il primo passo risulta essere, senza dubbio, quello che presenta le maggiori difficoltà in merito al reperimento dei dati necessari alla identificazione delle caratteristiche costruttive e, più in generale, dello stato di fatto degli edifici raccolti in aggregati.Esistono, infatti, diversi studi circa la possibilità di definire livelli di vulnerabilità del costruito alle diverse scale di indagine, ma si è lontani dalla definizione di un quadro di riferimento ben delineato e utilizzabile. I livelli a maggiore scala consentono di mappare la pericolosità dei centri storici di un territorio per scendere, successivamente, a livello urbano basandosi su rilevazioni aeree ed agendo su campioni di aggregati in cui particolarizzare e tarare l’indagine.L’obiettivo di queste indagini a scala ampia sembra più quella di pianificare l’emergenza ed orientare le scelte nella gestione delle risorse di protezione civile, ma se si vuole agire nella direzione della prevenzione del danneggiamento appare necessario definire livelli di indagine e lettura critica che giungano alla definizione della vulnerabilità a scala edilizia e dell’aggregato, la sola scala che permette di individuare quali azioni possano efficacemente essere intraprese per

contrastare l’insorgere dei meccanismi di danno o di collasso. A tal fine occorre elevare i livelli di conoscenza sul patrimonio costruito per giungere alla definizione delle caratteristiche costruttive e materiche dei tessuti e dei processi di modificazione che questi hanno subito, per giungere alla definizione di vulnerabilità tipiche e specifiche, e da queste far discendere la definizione degli interventi atti a prevenire il danneggiamento.La conoscenza della qualità costruttiva ed edilizia nel suo complesso è, crediamo, l’indice principale per misurare la possibilità per giungere ad una efficace campagna di mitigazione del rischio che veda agire insieme amministrazioni locali e proprietari di immobili nel raggiungimento di un unico obiettivo.

Un approccio qualitativoFacendo riferimento a quanto prodotto daA. Giuffrè e dalla sua scuola, emerge chiaramente quale importanza abbia la definizione dei caratteri della compagine costruttiva dell’edificato e dei processi di modificazione da questo subito. Ma mentre sul primo dato appaiono esserci maggiori attenzioni da parte degli studiosi, Centro storico di Bovino (FG). Veduta zenitale

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sulla possibilità di individuare i processi di trasformazione dell’edilizia storica, responsabili di molti danneggiamenti in quanto peggiorativi della sicurezza degli organismi, a causa della perdita delle caratteristiche di scatolarità e continuità muraria, risulta difficile reperire studi, a esclusione delle pioneristiche ricerche del già citato Giuffrè, di V. Ceradini e C. Carocci (2).I lusinghieri risultati ottenuti durante il processo di ricostruzione attuato nelle Marche e in Umbria dopo la crisi sismica del 1997-98 sono derivati

dalla possibilità che si è avuta, in quell’occasione, di poter rilevare, analizzare e studiare profondamente una serie di tessuti edilizi in cui il danneggiamento era già avvenuto e vi era una ben chiara e precisa cornice normativa. Ma in sede preventiva, con l’obiettivo cioè di mitigare il danno futuro, risulta molto difficile costituire la base dati operativa necessaria al raggiungimento dello scopo prefissato. Acquisire i rilievi geometrici e costruttivi, potendo visionare da vicino soluzioni di dettaglio e sistemi di lesioni

già presenti (spesso testimonianti una fisiologica risposta dell’edificio alle modificazioni intervenute negli anni), risulta essere eccessivamente dispendioso senza una cospicua campagna di finanziamento pubblico e di sensibilizzazione verso la popolazione residente.Ciò porta a dover considerare poco attuabile una campagna di prevenzione basata su di una conoscenza analitica e di dettaglio del patrimonio esistente, spingendo verso soluzioni che privilegino un approccio macroscopico della caratterizzazione dei tessuti edilizi storici.Una via possibile può essere quella di procedere a una lettura dell’edificato esistente tesa a mettere in luce aspetti qualitativi dei caratteri

costruttivi ed edilizi, attraverso un approccio multidisciplinare.Una tale scelta deriva dalla possibilità che si ha, operando in questa maniera, di poter analizzare anche porzioni rilevanti di tessuti edilizi storici, individuandone aspetti salienti e determinanti, utilizzabili per creare scenari plausibili di vulnerabilità che interessino la totalità degli organismi, da cui far discendere le ipotesi di intervento. Una puntuale verifica e aggiornamento delle base dati, nello scenario qui indicato, verrebbe demandata alla fase esecutiva degli interventi, da attuarsi a carico dei singoli proprietari e nella quale, avendo come riferimento le analisi e le proposte preliminari evidenziate nella lettura macroscopica, le singole vulnerabilità, tipiche e specifiche, andrebbero testate in dettaglio, con la possibilità di compiere numerosi saggi e diagnosi più approfonditi, eseguiti di concerto e con il concorso dell’ente locale di vigilanza. Ciò permetterebbe, con una logica passo-passo, di migliorare il livello di conoscenza di ogni singolo aggregato o isolato per giungere, nel giro di qualche anno, a una sempre maggiore efficacia dell’intervento di prevenzione dei danneggiamenti sismici sul patrimonio edilizio storico.

Metodologia propostaL’approccio proposto si basa sul concorso di molteplici competenze coordinate per il raggiungimento dell’obiettivo di caratterizzare la qualità costruttiva ed edilizia. In merito al primo aspetto, la qualità della costruzione, appare essenziale il contributo della diagnostica non distruttiva, oltre che dell’analisi visiva dei paramenti e delle soluzioni tecniche di dettaglio (dove ciò sia possibile).La presenza di sacchi interni, la rifoderatura di murature preesistenti, allo scopo di aumentare le sezioni in vista di sopraelevazioni, o la deficienza di diatoni, elementi questi che condizionano pesantemente la qualità muraria, costituiscono caratteristiche presenti in molti contesti di edilizia storica; la loro individuazione rappresenta un momento imprescindibile da collegare

Centro storico di Bovino (FG). Individuazione di un isolato oggetto di analisi della vulnerabilità connessa alla qualità edilizia e costruttiva. Elaborazione a cura di Mirko Marseglia

Centro storico di Bovino (FG). Vulnerabilità connesse alla qualità costruttiva ed edilizia. Elaborazione a cura di Mirko Marseglia

Significato dei simboli

Spinta delle volte sulle pareti

Mancanza di ammorsatura dovuta alla diversa tipologia di muratura

Probabile mancanza di ammorsamento dovuto alla diversa epoca di costruzione della muratura

Probabile ribaltamento dovuto alle spinte delle volte

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alla definizione più generale della tessitura e all’organizzazione degli elementi costituenti i paramenti.Oltre a perfezionare l’applicabilità delle indagini strumentali, occorre procedere al riconoscimento dei processi costruttivi che, durante i secoli passati, hanno trasformato gli impianti edilizi originari nei vari contesti d’indagine. La caratterizzazione delle murature, infatti, necessita di molteplici informazioni e il dato puramente materico va letto parallelamente all’informazione tecnica e storica per offrire un panorama esaustivo riguardo all’influenza della qualità muraria sulla vulnerabilità degli edifici esistenti. Troppo spesso risultati molto interessanti, ai fini dell’obiettivo di questo lavoro, rimangono sedimentati all’interno di una specifica cultura

disciplinare senza la possibilità di concorrere, sinergicamente, alla definizione di corretti e appropriati schemi interpretativi della costruzione muraria. L’idea che i tecnici, gli archeologi, i restauratori hanno della muratura risulta molto differenziata, a volte plasmata su modelli precostituiti derivanti da percorsi di ricerca paralleli e raramente intersecatisi. La comune riflessione sull’oggetto di indagine potrebbe fornire occasione di sintesi efficaci.Il caso dello studio delle murature storiche è, senza dubbio, emblematico in questo senso. Interpretazioni basate esclusivamente sulla manualistica storica non danno ragione della molteplicità delle soluzioni riscontrabili nella realtà, spesso frutto di tradizioni locali che variano nel corso dei secoli per una pluralità

di condizionamenti esterni. Queste tradizioni andrebbero analizzate attentamente, senza la pretesa di includerle all’interno di tassonomie precostituite, derivanti da contesti geografici differenziati, ma incentrando l’attenzione sul singolo oggetto d’indagine, rimandando a fasi successive la possibilità di paragonare il singolo dato con una più generale casisitica relativa a contesti ristretti.Importanti appaiono gli elementi caratterizzanti qualitativamente la muratura, come l’individuazione di stratificazioni, alterazioni e/o manomissione, paramenti affiancati, chiusura o presenza di vuoti, variazioni di materiale, presenze di ammorsature e soluzioni di continuità; elementi questi che si riferiscono, tutti, al concetto non statico di costruzione,

di fabbrica continuamente in evoluzione che include, assimila e reinterpreta le fasi precedenti. La rilevanza di tali fattori nel danneggiamento dell’edificato è stata ampiamente dimostrata.Quanto detto deve intendersi valido anche per gli elementi di orizzontamento e copertura. Ecco quindi che le soluzioni di solaio intermedio o sommitale vanno attentamente valutate e riconosciute anche se, rispetto alle strutture verticali, esse appaiono di minore complessità poiché, generalmente, appartengono a fasi costruttive di più facile identificazione.Ma è la valutazione della qualità e la lettura alla scala edilizia a rappresentare, probabilmente, l’ostacolo maggiore. Va precisato che per scala edilizia si intende quella in cui vengono analizzate le condizioni di formazione, consolidamento e

Centro storico di San Secondo Parmense (PR). Individuazione delle tipologie strutturali. Scheda a cura di Filippo Martinelli Centro storico di Castelbolognese (RA). Rifoderaturadi muratura quattrocentesca

Centro storico di Castelbolognese (RA). Esempiodi discontinuità muraria che testimonia le diverse epochedi costruzione dei due fronti e la mancata ammorsaturadella muratura del prospetto di sinistra

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modificazione, delle singole cellule costituenti un intero aggregato edilizio.Tale fase di analisi necessita di una quantità di informazioni il cui reperimento richiede un’attenta organizzazione e pianificazione delle ricerche, operazioni possibili solo inquadrando nelle indagini un contesto ampio e solitamente coincidente con l’intero centro storico. Ritenendo di aver già mostrato (3) come, riferendosi a taluni contesti emiliani, sia fondamentale avere informazioni sulle varie fasi di formazione e trasformazione dei nuclei storici, appare innegabile come queste debbano essere ricercate con metodiche plurime: geografi, geologi, storici e archeologi principalmente, possono fornire dati tesi a delineare scenari evolutivi fondamentali per definire quelle che sono le condizioni di vulnerabilità dei tessuti attraverso la ricostruzione di fasi edilizie.Saranno queste informazioni, unite a quelle già in possesso dei tecnici e derivanti dall’osservazione dei danneggiamenti tipici, funzionali alla conformazione e posizione degli edifici nell’aggregato e all’individuazione dei meccanismi di collasso, a fornire quadri plausibili di scenari del danneggiamento futuro, da cui partire per efficaci campagne di prevenzione e riduzione del rischio.È tutto ciò possibile? Il quadro delineato potrebbe trovare applicazioni realistiche date l’elevato numero delle competenze richieste e la quantità di dati da ricercare?È nella direzione di tentare di dare una risposta a questi quesiti che sono state condotte alcune simulazioni in diversi contesti regionali per capire quali fossero le difficoltà maggiori e cercare di saggiare l’efficacia di quanto esposto, in merito soprattutto alla scala dell’approfondimento. Vi sono alcune questioni di fondo che andrebbero chiarite con il concorso di specialisti di diversa estrazione: ci si riferisce, in particolar modo, alla individuazione delle fasi iniziali di un insediamento storico. La questione è sicuramente di complessità notevole, ma come è stato fatto nel caso indagini a tappeto che hanno interessato il territorio nazionale in diversi campi, da quello geologico e geofisico

secolo, spesso fotografano situazioni ancora prossime alle fasi più antiche di impianto. Tutto ciò, associato ad analisi riferite alle tecniche costruttive e ai materiali, permetterebbe di ottenere quelle informazioni fondamentali che, abbinate alla lettura delle modificazioni tipiche dei tessuti, propria degli studiosi di tipologie edilizie, consentirebbero la formazione di un quadro conoscitivo di indubbia efficacia.

Centro storico di San Secondo Parmense (PR). Individuazione delle tipologie di chiusure orizzontali. Scheda a cura di Filippo Martinelli

a quello delle architetture rurali, si è dell’opinione che sarebbe possibile definire macroaree significative in cui sintetizzare informazioni assolutamente necessarie, anche basandosi su quanto già noto. Ci si riferisce soprattutto alle modalità che sembrano essere alla base delle diverse forme d’insediamento organizzato, probabilmente molto simili in aree vaste.I tipi a corte, più diffusi nei centri dell’Italia

meridionale o insulare, o quelli a schiera tipici delle aree vallive padane sembrano essere, ai fini della definizione delle trasformazioni edilizie, elementi determinanti. Anche la sistematica acquisizione e pubblicazione delle cartografie catastali storiche, redatte su base topografica, potrebbero facilitare la lettura delle trasformazioni, atteso che tali rappresentazioni, databili dalla fine del XVIII

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Un’ulteriore considerazione va fatta in merito alla disponibilità di rilievi planimetrici e altimetrici dei contesti da indagare. Il cosiddetto rilievo speditivo delle singole unità edilizie, elaborato su base catastale, appare essere una imprescindibile condizione operativa, magari perfezionabile attraverso l’utilizzazione di sistemi GIS. In questo caso occorrerebbero campagne di rilevamento a tappeto che le amministrazioni comunali potrebbero commissionare anche in funzione del controllo di parametri fiscali quali ICI e TARSU.

La pianificazione della prevenzioneOttenuta la base dati necessaria alla elaborazione, si passa alla fase di definizione delle vulnerabilità dei singoli aggregati. Non è questa la sede per esporre le modalità di riconoscimento di tali vulnerabilità a partire dall’ottenimento delle informazioni descritte al paragrafo precedente; va ricordato che esiste oramai una bibliografia piuttosto recente ed esaustiva in proposito, anche se con accentuazioni diverse, comunque riferibile all’impostazione data dagli studi di Antonino Giuffrè.Appare importante offrire un contributo alla messa a punto di un percorso propositivo che, partendo dalla definizione delle vulnerabilità degli aggregati, sia funzionale alla strutturazione della prevenzione sismica.Associata a ogni singola vulnerabilità esiste una serie di interventi tendenti a eliminare tale forma di potenziale danneggiamento (4). L’aspetto rilevante è che gli interventi individuati non possono essere posti in atto contemporaneamente, ma vanno pensati come diluiti in un arco temporale, di medio periodo, che potrebbe essere di circa 10-20 anni. Tale considerazione deriva dalla constatazione che il periodo individuato potrebbe coincidere con un intervallo entro cui i diversi immobili, ragionevolmente, subiranno un qualche intervento manutentivo o di trasformazione significativa.Le singole amministrazioni comunali, adottando un piano finalizzato alla prevenzione del danno del patrimonio edilizio storico, avrebbero così l’occasione di indicare ai proprietari, e ai tecnici da loro incaricati per la progettazione di

trasformazioni o manutenzioni straordinarie, una serie di interventi fondamentali per il raggiungimento di elevate condizioni di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche.Altresì, il piano dovrebbe contenere anche la richiesta di puntuale verifica delle previsioni effettuate in fase di studio, permettendo così un controllo e una valutazione degli scenari previsti, con la possibilità di calibrare le ipotesi fatte sulla definizione delle trasformazioni e quindi sulla vulnerabilità dei tessuti. Si prefigura, in tal senso, una forma di pianificazione aperta, perfezionabile secondo una logica del tipo step by step, a cui concorrerebbero non solo specialisti nella fase di progetto, ma anche i singoli tecnici durante l’attuazione degli interventi.Questa doppia velocità di attuazione, fondata su una prima fase di lettura e analisi macroscopica, contenente la definizione di plausibili ipotesi di vulnerabilità, e una seconda di verifica e realizzazione degli interventi, viene ritenuta indispensabile ai fini della fattibilità dell’intera operazione di pianificazione e attuazione della prevenzione. Ciò, infatti, permetterebbe di ipotizzare scenari la cui verifica, prima della fase d’intervento, appare impossibile ed economicamente non sostenibile mentre una calibrazione passo-passo permetterebbe verifiche di dettaglio durante le fasi di cantiere.

Note1. Si veda anche Guidotti A., Mochi G., Processo tipologico e sicurezza sismica, in AstruA F., cAlderA C., Polverino F. (a cura di), Intervenire sul patrimonio edilizio. Cultura e tecnica, pp. 357-368, Celid, Torino, 2006.2.Cfr. A. Giuffrè (a cura di), Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia, Laterza, Bari, 1993. Dopo tale esperienza sono state molteplici le occasioni in cui il prof. Giuffrè e i suoi collaboratori hanno applicato la metodologia studiata a Ortigia; tra esse si ricordano i casi del centro storico di Palermo e dei Sassi di Matera. Si veda, ad esempio, A. Giuffrè, c. cArocci, Codice di pratica per la sicurezza e conservazione del centro storico di Palermo, Laterza, Bari, 1995.3. Si veda la nota 1.4. Anche in questo caso non si ritiene di dover proporre una esemplificazione di interventi tesi a migliorare il livello della sicurezza dell’edificato storico. Si rimanda alla bibliografia

Centro storico di Bovino (FG). Ipotesi di ricostruzione della fase di impianto dell’isolato. Elaborazione a cura di Mirko Marseglia

allegata al presente contributo per un’elencazione dei testi contenenti la descrizione di tali interventi in relazione alle diverse vulnerabilità riscontrate.

BibliografiaBernArdini A. (a cura di), La vulnerabilità degli edifici: valutazione a scala nazionale della vulnerabilità sismica degli edifici ordinari, CNR-GNDT, Roma, 2000.cAnGi G., Manuale del recupero strutturale ed antisismico, Dei – Tipografia del Genio Civile, Roma, 2005.doGlioni f., MAzzotti P. (a cura di), Codice di pratica per gli inteventi di miglioramento sismico nel restauro del patrimonio architettonico, Regione Marche, 2007.Giuffrè A. (a cura di), Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia, Laterza, Bari, 1993.Guidotti A., Mochi G., Processo tipologico e sicurezza sismica, in AstruA f., cAlderA c., Polverino f. (a cura di), Intervenire sul patrimonio edilizio. Cultura e tecnica, Celid, Torino, 2006, pp. 357-368.Gulli r., Il recupero edilizio in ambito sismico, EdicomEdizioni, Monfalcone (GO), 2002.

Centro storico di Bovino (FG). Ipotesi di trasformazione del tessuto edilizio. Elaborazione a cura di Mirko Marseglia

Gurrieri f. (a cura di), Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica degli edifici, Dei – Tipografia del Genio Civile, Roma, 1999.lAGoMArsino s., uGolini P. (a cura di), Rischio sismico, territorio e centri storici, Franco Angeli, Milano, 2005.

* Ricercatore presso il Dipartimento di architettura e pianificazione territoriale, Università di Bologna

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Reportage su L’AquilaStefano Brusaporci*

Per la conoscenza e la valutazione di quella grande documentazione storica tradotta in pietra che si ha nei vecchi centri, la minuta congeria delle case ha valore spesso maggiore dei grandi monumenti.

Gustavo Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, 1931

Il sisma che ha colpito L’Aquila e il suo territorio il 6 aprile 2009 ha avuto magnitudo 5,8 della scala Richter; la scossa principale era stata preceduta, poche ora prima, da altre due scosse di intensità 3,9 e 3,5. Il lunedì precedente una di magnitudo 4 aveva indotto all’evacuazione di numerosi edifici, tra cui la Facoltà di ingegneria, e prodotto fessurazioni in edifici del centro storico. Scosse erano in atto sin dal dicembre precedente, con intensità variabile tra 2 e 2,5 e dopo il 6 aprile sono seguiti altri eventi di magnitudo variabile tre 2,5 e 3,5, con picchi di 4,9 e 5,3. Secondo prime stime, il sisma ha prodotto un abbassamento del terreno di circa 20 cm per ampia parte della conca aquilana. In alcune zone sarebbe stata valutata un’accelerazione al suolo attorno ai 0,6 g, dato che, se confermato, risulterebbe superiore ai valori di calcolo secondo normativa.Il centro storico dell’Aquila risulta gravemente danneggiato. Gli edifici monumentali sono tutti in varia misura colpiti: per citare solo alcuni esempi, si è avuto il crollo della chiesa capo-quarto di S. Maria Paganica; il crollo del braccio sinistro Chiesa di S. Maria del Suffragio: vista del fronte principale su Piazza del Duomo

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del transetto del Duomo; il crollo delle arcate e delle coperture del transetto della Basilica di Collemaggio, nonché di parte della volta del coro; il crollo del campanile di S. Bernardino e lesioni al tamburo; il crollo parziale del tamburo e della cupola della chiesa di S. Maria del Suffragio in piazza Duomo; il crollo del campanile e delle coperture della chiesa di S. Giusta; crolli parziali e diffuse lesioni nelle chiese di S. Agostino, S. Marco e S. Biagio.Negli edifici in muratura, i danni più diffusi, da un primo sopralluogo speditivo, riguardano fessurazioni, rotazioni, schiacciamenti, ribaltamenti, espulsioni di paramenti e murature, crolli delle coperture, lesioni degli orizzontamenti e degli elementi di comunicazione verticale. La vulnerabilità degli edifici in muratura potrebbe aver risentito dei profondi fenomeni di stratificazione che hanno accompagnato gli

Edificio del centro storico

organismi edilizi, perlopiù di impianto medievale, nelle trasformazioni che si sono succedute nei secoli. In via di ipotesi, interventi di recupero condotti su singole unità immobiliari, e non sull’intero sistema strutturale, potrebbero non essere stati adeguati. Restano da valutare gli effetti che sulle strutture murarie potrebbero aver prodotto le sollecitazioni indotte dalle scosse avutesi nei tre mesi precedenti al 6 aprile.

Gli edifici in cemento armato hanno subito perlopiù danni strutturali limitati, fatta eccezione per situazioni eclatanti, come quella della tristemente nota Casa dello Studente. Se nella maggior parte dei casi, le strutture hanno mantenuto un comportamento in campo elastico, il sisma ha evidenziato problematiche relative agli elementi non strutturali, quali chiusure verticali

portate, controsoffittature, ecc. che si sono lesionati e scollegati dall’ossatura portante, con conseguenze per la sicurezza anche importanti. Tali considerazioni evidenziano come gli elementi non strutturali rivestano un ruolo non eludibile in fase di progettazione.L’Aquila è divenuta un laboratorio di studio per geologi, geotecnici e strutturisti. Le responsabilità di cattiva progettazione e mala realizzazione, gravissime e non trascurabili, da sole non sono sufficienti a spiegare in maniera esaustiva tutti gli effetti prodotti dal terremoto: zone contermini dell’abitato sono state colpite in maniera differente, con conseguenze non riconducibili alle sole ragioni di imperizia costruttiva, ragioni che statisticamente si dovrebbero poter ritenere diffuse in maniera omogenea sull’intero territorio. Gli studi dovranno correlare il tipo di danno, le tipologie costruttive,

Il Duomo, particolare dei crolli nella zona del transetto

le caratteristiche microgeologiche del sito, così da stimare come l’onda sismica possa aver trovato incremento od attenuazione in situazioni di costa o di cresta delle stratigrafie sottostanti.L’Aquila già nel 1703 era stata profondamente danneggiata dal terremoto, così che solo nel 1711-12 ebbe inizio la ricostruzione del Duomo, pressoché distrutto; tra il 1705 ed il 1706 venne riparata e ri-decorata un’altra delle chiese simbolo dell’Aquila: quella Basilica di Collemaggio dove fu incoronato Papa Celestino V; la Basilica di S. Bernardino, che ospita il corpo del famoso santo senese, parzialmente crollata, fu ricostruita tra il 1707 ed il 1725. Al contrario la chiesa di S. Maria Paganica, poco colpita nel 1703, è oggi la chiesa con i maggiori danni: edificio tra i più evidenti nello skyline della città, ironia della sorte, è il simbolo di quel paese di Paganica tra i più colpiti dal sisma.

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Edificio del Convitto: opere di messa in sicurezza Chiesa di S. Maria Paganica. Tra le più evidenti nel profilo urbano, risulta la più danneggiata

In epoche precedenti i due terremoti del 1315 e del 1349 avevano raso al suolo L’Aquila, favorendo la sua riorganizzazione amministrativa per quarti. In prospettiva storica talvolta si è parlato di questi avvenimenti come di «spunto» per il rinnovo della città. Così anche dopo il 1703 la ricostruzione ha condotto alla riconfigurazione barocca della maggior parte degli organismi edilizi. Oggi si pone una profonda questione: se, dopo la cesura operata nella tradizione costruttiva dai processi industrializzati, con la perdita del saper fare tradizionale, si sarà in grado di reagire adeguatamente, con la dovuta capacità critica: «La nozione di monumento storico comprende tanto la creazione artistica isolata quanto l’ambiente urbano o paesistico che costituisca la testimonianza di una civiltà particolare, di un’evoluzione significativa o di un avvenimento storico. Questa nozione si applica

non solo alle grandi opere ma anche alle opere modeste che, con il tempo, abbiano acquistatoun significato culturale» (Carta del Restaurodi Venezia, 1964, art. 1).La partita diviene complessa in un centro storico che supera i 100 ettari: ferma l’accortezza che verrà dedicata ai monumenti vincolati, per il tessuto edilizio si auspica la necessaria attenzione: non facili demolizioni o svuotamenti, né interventi economicamente ottimizzati e finalizzati alla sola sicurezza sismica, senza tenere in debito conto anche i valori storici, architettonici ed ambientali. Al contrario potrebbe essere l’occasione per ripulire il centro storico da episodi di speculazione edilizia, incongrui per caratteri, dimensioni e valori. Non si possono escludere nuove costruzioni, ma per la singolarità del contesto solo di altissima qualità.In ultima analisi, appare utile una notazione

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Edificio INA Casa

Lesioni e crolli delle parti non strutturali di un edificio con ossatura in cemento armato

Tratta di mura urbane crollate

relativa alle questioni urbanistiche: il progetto di circa 13.000 nuovi alloggi nella periferia ovest della città, per accogliere quanti non hanno la possibilità di rientrare nelle proprie abitazioni; il futuro riutilizzo di tali costruzioni, si ipotizza come residenze universitarie; la costruzione di spazi per accogliere i necessari servizi; la definizione di una nuova armatura urbana e dei relativi sistemi infrastrutturali. Tutti questi elementi, non di breve o medio termine, condurranno ad un riassetto dell’intero sistema Città.I terremoti del Belice nel 1968, del Friuli nel 1976, dell’Irpinia nel 1980 e dell’Umbria-Marche nel 1997 ci ricordano che sismi importanti non sono eventi rari. La speranza è che gli avvenimenti aquilani possano ridestare e diffondere nell’intero Paese la cultura della prevenzione antisismica.

* Ingegnere, ricercatore presso l’Università di L’Aquila

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Consapevolezza urbanisticadel rischio sismicoLuca Gullì*

La necessità che ha portato a ricollocare la dimensione del rischio sismico all’interno di una più ampia riflessione sull’azione pubblica deriva dalla messa a fuoco dell’inestricabilità tra aspetti tecnico-ambientali e risvolti sociali, che ogni evento sismico comporta; il rischio territoriale, infatti, presenta caratteri non circoscrivibili settorialmente: – le ripercussioni implicate sono temporalmente,

spazialmente ed economicamente (per tacere delle conseguenze sull’immaginario sociale) estremamente variabili;

– ogni evento implica molti tipi di rischio (fisico-naturali, tecnologici, sociali) contemporaneamente (2).

A causa di questa dilatazione di portata, il rischio sismico e la sua gestione non sono affrontabili solo con gli strumenti che attengono all’approccio strutturale (inteso come attività che comporta la realizzazione di manufatti o la produzione di regole che tali manufatti informano) ma investono appieno l’azione collettiva, come unico ambito adatto per affrontare il rischio sismico e territoriale nella sua duplice accezione di produzione sociale (vulnerabilità dei sistemi

Molti dei temi settoriali che definiscono alcuni ambiti specialistici dell’azione di trasformazione del territoriohanno visto negli ultimi anni dilatare le proprie competenze, tanto da portare i propri strumenti specifici a proporsi come riferimenti generalizzati e come “prospettiva paradigmatica, potenzialmente innovativa per l’intera area disciplinare” di governo del territorio (1).Tra queste influenti pratiche specialistiche, che hanno caratterizzato l’intera attività urbanistica delle ultime generazioni (piani strategici, ambientali, temporali, partecipativi, formali), si possono definire i fattori che individuano la dimensione del rischio territoriale, quale tema di particolare interesse per individuarele relazioni tra ingegneria e politica.

Alberto Burri, il “Grande cretto”, Gibellina, 1980 (da oddo M., Gibellina la nuova: attraverso la citta di transizione, Torino,Testo & immagine, 2003)

antropici) e di pratica che coinvolge operazioni di regolamentazione di attività (prevenzione, valutazione, organizzazione ed emergenza) (3). Tutti questi aspetti, che riguardano il patto sociale che regge una comunità insediata (con i suoi valori, le sue priorità, le sue risorse), non possono essere governati dalla sola razionalità ingegneristica: per la loro insopprimibile dimensione consensuale, questi devono essere prerogativa tipica delle funzioni di pianificazione territoriale. La considerazione della necessità di una interpretazione territorialmente allargata del rischio sismico, con il conseguente sviluppo di una sensibilità più evoluta e attenta nella elaborazione di strumenti concettuali e tecnici adatti a fronteggiare le catastrofi territoriali è stata, paradossalmente, il frutto delle ricerche dei tecnici specialisti, piuttosto che esito delle riflessioni degli urbanisti o degli scienziati sociali. Sono stati, infatti, i grandi programmi di ricerca nazionali, avviati a seguito degli eventi calamitosi degli ultimi quaranta anni, a contribuire alla formulazione di una disciplina di protezione sismica concepita coerentemente con la politica

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Rilievo dei caratteri costruttivi del tessuto edilizio di Ortigia (da Giuffrè A. (a cura di), op. cit.)

nazionale di gestione del territorio. In questi contributi, per la prima volta e in modo esplicito, troviamo espresse in modo integrato e completo le molte e concorrenti funzioni della politica di riduzione del rischio sismico. Il più autorevole studioso italiano di ingegneria sismica fornisce un elenco delle determinanti che definiscono la dimensione complessiva e multidisciplinare del problema politico-decisionale della protezione dal rischio territoriale, elenco che tuttora si può considerare esaustivo (4):– produzione di norme per le nuove costruzioni;– definizione delle azioni di riabilitazione

dell’esistente;– regolazione degli usi del territorio;– messa a punto di modelli comportamentali per

la prevenzione e l’emergenza;– previsione.Tali funzioni normative e operative attengono, quindi, alla dimensione tecnico-realizzativa tanto quanto a quella politico-programmatica; esse, vista la loro natura eterogenea che investe azioni attuali o decisioni e comportamenti futuri, necessitano di un inquadramento sintetico e complessivo sul territorio. La normativa sismica, invece, è finora stata concepita in modo poco integrato con la disciplina della regolamentazione urbanistica. La valutazione delle caratteristiche di vulnerabilità dei siti è stata sempre valutata a posteriori di eventi sismici calamitosi, inoltre, tale normativa tecnica si concentra esclusivamente sui caratteri costruttivi e realizzativi dei singoli manufatti edilizi, mentre si sente il forte bisogno di una cultura della sicurezza sismica che riguardi i sistemi urbani nel loro complesso, in modo da legare la disciplina di piano e gli usi del suolo ad una considerazione più estesa dei fenomeni sismici: tali connessioni si sono, per ora, sviluppate solo in fase di ricostruzione (5).La capacità di arrivare ad un approccio integrato tra politica urbanistica e riduzione del rischio sismico porta necessariamente ad una specificazione appropriata degli strumenti che attengono ai due ambiti disciplinari, in modo che le analisi specialistiche siano mirate a costituire

un supporto decisionale per l’azione pubblica (6), la quale a sua volta dovrà avere capacità ordinare e valutative tali da orientare, ordinare e programmare in modo specifico i dati e le informazioni (7). Tale visione allargata del rischio sismico investe la dimensione urbanistica secondo due accezioni che, pur essendo entrambe multi-scalari e multi-dimensionali, presentano specificità e strumenti concettuali e operativi nettamente diversi:

– una valutazione della vulnerabilità degli insediamenti nel loro complesso in quanto dimensione che investe appieno i risvolti funzionali, logistici, organizzativi del sistema urbano; questi aspetti rivestono un ruolo cruciale, ovviamente, per la loro capacità di generare effetti perversi del secondo ordine (8) ma anche per la loro aleatorietà valutativa, tale da ripercuotersi sui costi sociali e collettivi per estensioni geografiche e temporali anche

molto difformi (tali da generare danni di diversa natura, alcuni altamente selettivi: danni diretti, indiretti, sistemici, di processo) (9);

– una seconda accezione del rischio per i sistemi urbani nel suo complesso riguarda la specificità morfologico-insediativa degli aggregati ed entra, quindi, in modo diretto negli approcci che si occupano della salvaguardia del costruito nel suo complesso, in quanto opera di valore storico-culturale.

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Riabilitazione sismica di una porzione del tessuto edilizio di Ortigia: stato di fatto e intervento (da Giuffrè A. (a cura di), op. cit.).

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Sono, difatti, i tessuti antichi che storicamente subiscono i danni maggiori a seguito di eventi sismici. La estesissima quota di costruito che attiene al patrimonio edilizio storico sottopone, quindi, ad un livello molto alto di rischio un paese moderatamente sismico come l’Italia. Per trattare adeguatamente la sicurezza e la conservazione dei centri antichi, occorre agire secondo più approcci, approfondendo le specifiche che attengono alle relazioni interne ed esterne ad essi.

La politica per la conservazione dei centri storici, difatti, non è separabile dal funzionamento complessivo della città contemporanea: ogni azione volta alla tutela, sicurezza, rifunzionalizzazione delle parti storiche della città deve necessariamente inserirsi coerentemente entro strategie che funzionino in modo coordinato

Modi di danno di un edificio storico del comune di Santa Sofia in Romagna(da creMonini i., foschi M. (a cura di), Il recupero edilizio in zona sismica, Regione Emilia-Romagna, Bologna, 1992.)

per l’intera compagine urbana (10). Agire in ambito storico-monumentale ai fini della riabilitazione sismica comporta, inoltre, un livelli di comprensione del tutto particolare delle specificità costruttive e tipologiche dei manufatti, dei meccanismi di formazione e costituzione dei tessuti e degli aggregati. Il livello di dettaglio cui si arriva nell’ambito di questi studi incrocia sismicità locale e rilievo materico-costruttivo di minuto, per giungere ad una declinazione edilizia della microzonazione sismica e dei conseguenti effetti di amplificazione locale (11).Inoltre, il mutato clima culturale che ha visto evolversi gli approcci volti alla salvaguardia ed alla ricostruzione delle aree storiche danneggiate ha maturato una più profonda consapevolezza dei valori in gioco, quando si tratta di intervenire

Analisi della vulnerabilità del tessuto edilizio del centro di Forlì (da creMonini i., dondi c., lAMBertini s. (a cura di), op. cit.)

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su formazioni urbane che rappresentano sia testimonianze storico-culturali, tanto quanto modelli comunitari e di convivenza sociale. Ogni iniziativa di tutela di tali formazioni urbane deve farsi carico, in modo integrato, sia della dimensione tecnica del rischio (consistenza e stato di conservazione del patrimonio) tanto quanto della dimensione culturale e valoriale (12).Avere ignorato gli aspetti che compongono l’identità urbana, l’eredità comportamentale, i modelli e gli stili di vita della comunità locale, i valori paesaggistici, le tradizioni costruttive e produttive locali, ha portato ad una ricostruzione che ha esportato modelli di sviluppo urbano avulsi dal contesto in cui si operava con finalità di riabilitazione. Tutto questo ha fatto in modo che al disastro portato dall’evento sismico si aggiungesse l’ulteriore violenza della cattiva urbanistica, della insensibilità progettuale e di un malinteso concetto di rigenerazione territoriale (13).

Note bibliografiche1. PAlerMo P.C., Forme, interpretazioni e tendenze dell’attuale, apparente pluralismo urbanistico, in “Territorio”, n. 2, 1996, p. 138 e segg.2. Menoni S., Pianificazione ed incertezza, Angeli, Milano, 1997, p. 25.3. Menoni s., Idem, pp. 78-81.4. GrAndori G., Analisi costi-benefici in ingegneria sismica, in Benedetti D., cAstellAni A., GrAndori G., Petrini v. (a cura di), “Ingegneria sismica”, Progetto finalizzato geodinamica, vol. 6, in “Quaderni della ricerca scientifica”, n. 114, C.N.R., Roma, 1987, pp. 70-71.5. MonAco A., MonAco r., Urbanistica e rischio sismico, Esselibri, Napoli, 2005, p. 135 e segg.6. fAccioli e., (a cura di), Elementi per una guida alle indagini di microzonazione sismica, Progetto finalizzato geodinamica, vol. 7, in “Quaderni della ricerca scientifica”, n. 114, C.N.R., Roma, 1986, pp. 9-10.7. luhMAnn n., La società del rischio, Bruno Mondadori, Milano, 1996 (ed. or. 1991), p. 39.8. cheruBini A., GAvArini c., Petrini v., Rischio sismico di edifici pubblici, C.N.R., Roma, 1993, p. 5 e passim.9. Menoni s., op.cit., pp. 85-86. 10. cervellAti P.l., MiGliAri M., I centri storici, Guaraldi, Firenze, 1977, pp. 17-20.11. creMonini i., dondi c., lAMBertini s. (a cura di), Esperienze della Regione Eminlia-Romagna per il progetto SISMA, Centro stampa della Giunta E.R., Bologna, 2007, p. 18, pp. 56 e segg.12. Giuffrè A. (a cura di), Sicurezza e conservazione dei centri storici, Laterza, Roma-Bari, 1993, p. 11 e passim.13. cAGnArdi A., Belice 1980, Marsilio, Venezia, 1981, p. 29 e segg. nicolin P. (a cura di), Dopo il terremoto, “Quaderni di Lotus”, n. 2, Electa, Milano, 1983, p. 13 e segg.

Microzonazione sismica del comune di Santa Sofia in Romagna

(da creMonini i., dondi c., lAMBertini s. (a cura di), op. cit.)

* Dottore di ricerca in Ingegneria edilizia e territoriale, Università di Bologna [email protected]

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La progettazione antisismica. Teoria e pratica nella realtà professionaleLuisa Bravo*

La normativa antisismica in Italia nasce nel 1909 con il regio decreto n. 193, in seguito al terremoto di Reggio-Calabria e Messina, responsabile di 80.000 vittime e 600 miliardi di lire di danni. Il decreto prevedeva una classificazione del territorio nazionale sulla base del rischio sismico e l’introduzione di norme tecniche obbligatorie per le riparazioni, le costruzioni degli edifici pubblici e privati, unitamente alla definizione di un elenco di comuni sottoposti all’osservanza di dette norme. I successivi terremoti disastrosi verificatisi all’inizio del secolo scorso hanno imposto la necessità di emanare una serie di decreti per definire e aggiornare una mappa sismica del territorio nazionale e per regolamentare l’attività di progettazione degli edifici: il decreto n. 1526 del 1916 introduce la quantificazione delle forze sismiche e la loro distribuzione lungo l’altezza dell’edificio (azioni statiche dovute al peso proprio e la azioni dinamiche dovute al moto sismico ondulatorio); il regio decreto n. 431 del 1927 introduce due categorie sismiche, la I e la II, a differente pericolosità; il regio decreto n. 640 del 1935 descrive specifiche direttive

La legge italiana inizia a trattare di antisismica cento anni fa, dopo i terremoti che rasero al suolo Reggio-Calabria e Messina. Oggi, tra proroghe, deroghe e imprecisioni siamo ancora in attesa di un’applicazione definitiva delle norme antisismiche. Nel presente lavoro presentiamo un’esaustiva “storia della norma in tema di progettazione antisismica”: una storia ancora lungi dall’essere conclusa.

Effetti del sisma: lesione di parete in cemento armato

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tecniche e l’obbligo per i comuni di approntare propri regolamenti edilizi rispondenti alla limitazione delle altezze degli edifici in funzione della larghezza delle strade, al permesso di innalzamento delle altezze massime in funzione delle tecnologie costruttive, al dimensionamento delle strutture in cemento armato, alla variazione dell’entità delle forze sismiche globali (coefficiente di riduzione dei sovraccarichi); infine il regio decreto n. 2125 del 1937 ha fissato le norme del buon costruire anche per i comuni non classificati lasciando inalterate le norme per i comuni classificati introdotte dal regio decreto del 1935.

L’esecuzione e il collaudo delle strutture in cemento armato e metalliche, nonché il rinforzo delle strutture esistenti attraverso queste tecniche costruttive, viene disciplinato a partire dal 1971 con la legge n. 1086 “Norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica”.La legge 1086 si applica a tutte le opere di ingegneria civile ed edile (edifici per abitazione, industriali, ponti, cavalcavia, sottovia, gallerie, passerelle, dighe e altre opere di ritenuta, opere

di fondazione) ed esclude le opere di ingegneria meccanica, elettrotecnica, chimica, mineraria, navale e aeronautica, oltre a opere edili minori (elementi costruttivi in cemento armato che assolvono limitata importanza nel contesto statico, come per esempio scale di collegamento interno), opere impiantistiche e opere costruite per conto dello Stato, nel caso in cui l’ente avesse un proprio ingegnere nell’organico dell’Ufficio tecnico. Il progetto strutturale, da depositare presso l’amministrazione competente per avviare la procedura di approvazione (Ufficio del Cemento Armato), deve contenere lo schema strutturale globale (distribuzione di pilastri e travi, orditure dei solai), i particolari esecutivi (disposizione e sagomatura dei ferri e carpenterie), le prescrizioni esecutive (tempi di disarmo, modalità di getto, modalità di prelievo dei campioni da inviare ai laboratori di prova), le indicazioni sui materiali, gli elementi strutturali prefabbricati e una relazione di calcolo, vale a dire una “relazione illustrativa dalla quale risultino le caratteristiche, le qualità e le dosature dei materiali”. In fase di esecuzione, le opere sono soggette a un collaudo tecnico/amministrativo, con prove di carico, esecuzione e verbalizzazione, e a un collaudo strutturale

Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale secondo l’Ordinanza PCM 3519 del 28 aprile 2006.Fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologiahttp://zonesismiche.mi.ingv.it

Effetti del sisma: espulsione del copriferro e deformazione dell’armatura in mancanza di idonea staffatura

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da parte di ingegnere o architetto “che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione dell’opera”. L’inosservanza della legge 1086 prevede la contestazione di reato penale, punibile con ammenda o arresto nei casi più gravi. La legge non fa alcun riferimento all’incolumità delle persone ma valuta unicamente l’importanza,

modesta o significativa, della struttura da realizzarsi nell’ambito della statica generale dell’intero fabbricato.

La successiva legge n. 64 del 2 febbraio 1974 “Provvedimenti per la costruzione con particolare prescrizioni per le zone sismiche” prevede che

l’Ufficio del Cemento Armato autorizzi l’inizio dei lavori, quindi non è più sufficiente il semplice deposito della documentazione progettuale. L’intenzione di eseguire una costruzione in una zona dichiarata sismica (a eccezione di quelle con bassa sismicità), sulla base della legge del 1915 sul rischio sismico, secondo cui erano pericolose

le zone dove si erano verificati terremoti, viene eseguita mediante lettera raccomandata con A/R o con messo comunale al sindaco e all’Ufficio del Cemento Armato competenti, indicando i professionisti coinvolti, l’esecutore e la natura della costruzione ed allegando gli elaborati di progetto e una relazione sulle fondazioni.

Effetti del sisma: dissesto strutturale di un fabbricato di civile abitazione

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delle strutture e il d.m. 16 gennaio 1996 “Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi” con successiva circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 156AA.GG/STC del 4 luglio 1996.Il d.m. 16 gennaio 1996 introduce una metodologia concettualmente innovativa perché prevede che le “verifiche di resistenza”, come disciplinato al capo B.8, possano essere effettuate secondo due differenti procedimenti di calcolo: o verificando gli stati di tensione secondo il metodo delle tensioni ammissibili (rimane sostanzialmente in vigore quanto previsto dal d.m.14 febbraio 1992) o verificando gli stati di sollecitazione secondo il metodo semiprobabilistico degli stati limite, per i diversi stati limite ultimi di resistenza, in recepimento della normativa europea limitatamente ed esclusivamente alla Parte 1-1 di EC2, pubblicata

Zone sismiche del territorio italiano secondo l’Ordinanza PCM 3247 del 20.3.2003.Fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologiahttp://zonesismiche.mi.ingv.it

Gli enti dello Stato, che non ricadevano sotto la giurisdizione della legge 1086/1971, ricadono invece nella giurisdizione della legge n. 64 del 2 febbraio 1974.In seguito al terremoto in Irpinia del 1980, nel 1984 tutto il territorio nazionale viene classificato

con criteri omogenei, sulla base della “Proposta di riclassificazione sismica”, elaborata studiando gli eventi calamitosi verificatisi fino a quel momento, all’interno del Progetto Finalizzato Geodinamica del Cnr, i cui esiti sono pubblicati nel testo dal titolo Indagini di microzonazione

sismica.La normativa tecnica, già a partire dal 1971, si organizza separandosi in:– norme tecniche relative ai carichi e

sovraccarichi sulle costruzioni;– norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il

collaudo delle strutture.

Le norme tecniche vengono emanate dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed il Consiglio nazionale delle ricerche, sotto forma di decreto. Risultano attualmente in vigore per il calcolo, l’esecuzione e il collaudo delle strutture il d.m. ll.pp. del 9 gennaio 1996 “Norme tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato, normale e precompresso e per le strutture metalliche” con successiva circolare del Ministro dei lavori pubblici n. 252 del 15 ottobre 1996; per i carichi e sovraccarichi

Effetti del sisma: lesione di componente strutturale di edificio storico

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in Italia come UNI-ENV 1992-1-1 (gennaio 1993) Eurocodice 2 “Progettazione delle strutture in cemento armato normale e precompresso Parte 1.1.: Regole generali e regole per gli edifici”, e alla Parte 1-1 di EC3, pubblicata in Italia da UNIENV 1993-1-1 (giugno 1994) Eurocodice 3 “Progettazione delle strutture in acciaio Parte 1.1: Regole generali e regole per gli edifici”. Non è ammesso che per parti di una stessa struttura si adottino dei diversi metodi di verifica. Scopo della norma è di dare uniformità alla normativa strutturale e consentire, anche per le costruzioni in zona sismica, il ricorso al metodo di verifica agli stati limite. Il decreto contiene inoltre diverse integrazioni e modifiche, anche di rilievo costruttivo: nei criteri generali di progettazione, è prevista la possibilità di introduzione di isolatori sismici o di sistemi costruttivi contenenti dispositivi di dissipazione dell’energia trasmessa dal sisma, previa dichiarazione di idoneità del presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, su conforme parere dello stesso Consiglio. Viene maggiormente articolato e sviluppato il tema

degli spostamenti e delle deformazioni (paragrafo B.9.), con lo scopo principale di evitare danni agli elementi non strutturali ed agli impianti, nonché quello relativo alle fondazioni (paragrafo B.10.), in particolar modo per quanto concerne la valutazione degli spostamenti relativi del terreno tra punti non collegati dal reticolo di fondazione. Per quello che riguarda gli edifici esistenti, il decreto distingue due diverse modalità di intervento: opere finalizzate a un miglioramento sismico, vale a dire “esecuzione di una o più opere riguardanti i singoli elementi strutturali dell’edificio con lo scopo di conseguire un maggiore grado di sicurezza senza, peraltro, modificare in maniera sostanziale il comportamento globale dell’edificio”, oppure finalizzate a un adeguamento sismico, vale a dire “esecuzione di un complesso di opere sufficienti a rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche”, soggette a collaudo statico attraverso “risultanze di saggi e di prove sia in situ che su campioni in laboratorio”, vale a dire che, a differenza degli usuali collaudi strutturali, le prove sperimentali (non necessariamente prove di

carico) sono obbligatorie.Per gli edifici in muratura, il d.m. 16 gennaio 1996 fa integrale riferimento al d.m. 20 novembre 1987 “Norme tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento”, attualmente in vigore, che disciplina la progettazione e il consolidamento di “edifici ad uno o più piani con struttura in tutto o in parte in muratura portante costituiti da un insieme di sistemi resistenti,

Effetti del sisma: lesione di un setto strutturale

Effetti del sisma: nodo strutturale collassato

Blocchi di lateriziopieni: foratura <15% σr= 5 MPa = 50 kg/cmqsemipieni: 15% < foratura <45% σr=20 MPa = 200 kg/cmqforati: 45% < foratura <55% σr=15 MPa = 150 kg/cmqSpessori minimi delle murature (con funzioni strutturali):

– blocchi artificiali pieni (mattoni pieni, gasbeton) 12 cm– blocchi artificiali semipieni (semipieno 5.5*11*24) 20 cm– blocchi artificiali forati (tipo Alveolater o doppio UNI) 25 cm– blocchi in pietra squadrata (es. tufo): 24 cm– muratura listata* 40 cm– muratura in breccia di cava* 50 cm

* raramente impiegata

collegati tra di loro e le fondazioni e disposti in modo da resistere ad azioni verticali ed orizzontali”. Per le murature di nuova costruzione è previsto:

Il collaudo statico delle strutture in muratura avviene attraverso prove di carico (da eseguire tipicamente sui solai), saggi diretti sulle murature o su singoli elementi resistenti (carotaggi di piccolo diametro su elementi in calcestruzzo

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Effetti del sisma: collasso di pilastri in seguito a sollecitazioni orizzontali

armato o su elementi in laterizio purché pieni, etc.), controlli non distruttivi sulle murature (prove con martinetti piatti sulle murature, ecc.).Per quello che riguarda il consolidamento statico di strutture in muratura esistenti, vale a dire l’insieme di “opere necessarie per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni verticali ed orizzontali”, il collaudo è obbligatorio nei casi di:sopraelevazione o ampliamento;– variazione di destinazione d’uso con

incremento dei carichi di oltre il 20%;– mutamento radicale dell’organismo edilizio

rispetto a quello esistente a seguito di pesanti interventi strutturali;

– rinnovamento e sostituzione di parti strutturali dell’edificio che implichino sostanziali alterazioni del comportamento globale dell’edificio;

– interventi strutturali per reintegrare l’organismo edilizio esistente mediante un insieme sistematico di opere.

Il decreto si applica anche a strutture in muratura di edifici storici, per i quali le caratteristiche di resistenza possono essere significativamente inferiori rispetto a quelle indicati per la nuova costruzione e sui quali, nel

corso del tempo, possono essere intervenute alterazioni disorganiche della struttura portante, con conseguente diminuzione o aumento dei sovraccarichi utili previsti dalla normativa vigente (200 Kg/mq per edifici di civile abitazione). L’intervento strutturale per tali edifici risulta quindi estremamente complesso, anche nel caso in cui si tratti di opere non soggette a consolidamento, quali ad esempio lo spostamento di pareti divisorie, l’apertura di nuovi varchi nelle pareti portanti, il rinforzo di alcuni elementi strutturali (solai, volte, singole pareti portanti, travi del tetto) con sostituzione o aggiunta di elementi portanti, il rifacimento limitato di alcuni orizzontamenti, di porzioni di muratura, di parti delle coperture, il rifacimento di murature lesionate con interventi localizzati, l’inserimento di alcune catene, l’inserimento di nuovi elementi strutturali che non mutano l’organismo edilizio (ad esempio l’apertura di una scala interna di collegamento tra due piani) o in caso di mutamento di destinazione d’uso che non cambi sostanzialmente i carichi verticali (per esempio la conversione di un’abitazione in un ufficio non aperto al pubblico). Questo perché l’assetto statico di un fabbricato storico può non

essere semplicisticamente ricondotto ad uno schema di muri o setti portanti, ma va valutato in una visione più ampia ch tenga conto anche delle modificazioni distributive e strutturali che l’edificio ha subito nel corso del tempo.

L’ordinanza 3274/2003 e le Norme tecnicheIn seguito al terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, la Protezione Civile ha incaricato un gruppo di esperti di redigere le “Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici”, oggetto dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (o.P.C.M.) n. 3274 del 20 marzo 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zone sismiche”, successivamente più volte integrata e modificata. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, allo stesso tempo, si è occupato della stesura delle “Norme Tecniche per le Costruzioni” (NTC), di cui al d.m. 14 settembre 2005. Una nutrita serie di revisioni del testo della norma e di decreti “milleproroghe” hanno fatto sì che ancora oggi, a giugno 2009, si sia in attesa di avere il testo definitivo di riferimento per la progettazione in zona sismica. Questa situazione è dovuta al fatto che, a differenza dei precedenti normativi in materia, l’ordinanza è stata adottata in tempi molto ridotti, salvo dover essere successivamente emendata a causa delle numerose imprecisioni, senza cioè prevedere la tradizionale serie di consultazioni con gli organi istituzionali e l’acquisizione di pareri tecnici da parte dei soggetti interessati. In regime transitorio, i professionisti possono ancora scegliere se applicare, avendone facoltà, per le nuove strutture il metodo tradizionale alle tensioni ammissibili secondo quanto fissato dal d.m. 9 gennaio 1996 e dal d.m. 16 gennaio 1996 o quello semiprobabilistico agli stati limite, già in precedenza adoperato in misura minore e principalmente per la progettazione di grandi opere. Con l’entrata in vigore dell’ordinanza sarà obbligatorio utilizzare come metodo di verifica

per la progettazione in zona sismica unicamente il metodo semiprobabilistico agli stati limite. L’ordinanza divide il territorio nazionale in 4 zone sismiche, basate su predefiniti intervalli dei valori di accelerazione massima al suolo, attraverso il parametro ag, avente un periodo di ritorno di 475 anni, con possibilità di superamento del 10% in 50 anni. Dal punto di vista teorico, adotta un’impostazione prestazionale, per la quale sono individuati “gli obiettivi da raggiungere in termini di danni accettati a fronte di livelli di azione sismica definiti (requisiti di sicurezza)” e le “disposizioni di dettaglio il cui rispetto è condizione sufficiente per assicurare il soddisfacimento dei requisiti di sicurezza, ma non escludendo approcci alternativi che portino alle stesso obiettivo”, come riportato nella nota esplicativa del Servizio sismico nazionale presso il Dipartimento della Protezione Civile del 29 marzo 2004 (p. 2). L’ordinanza impone il rispetto di due requisiti di sicurezza fondamentali: sicurezza nei confronti della stabilità (stato limite ultimo SLU), viene cioè individuato un criterio di salvaguardia della vita umana, e sicurezza nei confronti del danno (stato limite di danno SLD), vale a dire un criterio puramente economico. L’approccio prestazionale (performance based design) prevede quindi che le strutture di un edificio, sotto l’effetto dell’azione sismica, riescano a mantenere una residua resistenza e rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali e l’intera capacità portante nei confronti dei carichi verticali (criterio di stabilità) e, allo stesso tempo, non subiscano danni gravi e interruzioni d’uso in conseguenza di eventi sismici che abbiano una probabilità più elevata di quella dell’azione sismica di progetto (criterio di sicurezza).Le strutture in zona sismica dovranno essere progettate in maniera tale da garantire che per il sisma di esercizio il comportamento sia prevalentemente elastico lineare; nel caso di sisma di progetto si ammette che la struttura esibisca un comportamento non-lineare, tale comunque da non compromettere la stabilità

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Mappa sismica del territorio italiano, 1937.Fonte: Centro Europe di formazione e ricerca in Ingegneria sismica – EUCENTRE

della stessa, la struttura deve quindi essere dimensionata in maniera tale da garantire un comportamento sufficientemente duttile. In questo senso nella progettazione sarà di fondamentale importanza dimensionare la struttura in maniera tale che i meccanismi di comportamento non-lineare che si possono instaurare sotto azioni sismiche siano caratterizzati da elevata duttilità e comportamento stabile (meccanismi flessionali), inibendo lo sviluppo di meccanismi di rottura fragile (taglio per il cemento armato e fenomeni di instabilità). In altri termini, la struttura nel caso di terremoti di piccola e media intensità avrà sufficiente rigidezza per assicurare che vengano minimizzatii danni non-strutturali (stato limite di danno SLD); nel caso di terremoti di media intensità, avrà sufficiente resistenza per assicurare in campo elastico minimi danni strutturali e non solo(stato limite di danno SLD);

* Ingegnere Libero professionista, assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna [email protected]

per terremoti di elevata intensità avrà sufficiente capacità di spostamento, ovvero duttilità, per potersi deformare senza perdita eccessiva di resistenza (stato limite ultimo). Le strutture dovranno quindi essere progettate e costruite in maniera tale da garantire che non avvenga il collasso per il sisma di progetto e che venga limitato il danneggiamento per il sisma di esercizio.Nella progettazione architettonica sarà dunque necessario definire un buon impianto strutturale al fine di consentire una più agevole progettazione strutturale, che assumerà caratteri di grande complessità. Questo sarà possibile solo attraverso un maggior confronto e dialogo tra i diversi professionisti coinvolti nella progettazione delle opere, e in maggior misura, più che mai, tra progettista architettonico e progettista delle strutture.

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Geometrie in movimento.Modelli numerici e simulazione dinamicadell’effetto sismico sugli edificiSimone Garagnani* I recenti fatti accaduti presso L’Aquila nell’aprile scorso hanno prepotentemente riportato di attualità i criteri e

i metodi con i quali, oggi, si progettano edifici in grado di contrastare le azioni sismiche. Gli strumenti analitici a disposizione di tecnici chiamati a progettare nuovi fabbricati od a recuperare complessi di interesse storico danneggiati, permettono di eseguire elaborazioni sofisticate per simulare gli effetti distruttivi di un terremoto. Seppure la conoscenza della risposta all’azione sismica di un organismo edilizio nella sua globalità rimanga sempre un’incognita, i modelli geometrici e numerici preposti alla sintesi computazionale della situazione reale possono raccogliere elementi critici validi per riprodurre con accuratezza gli stati di danneggiamento più o meno gravi che possono verificarsi, onde prevenirli o porvi rimedio.

ll deciso sviluppo normativo avviato oramai più di un lustro fa, iniziato con l’emanazione della discussa ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3274 del 20 marzo 2003, per proseguire con le successive modifiche introdotte con le Norme tecniche per le costruzioni del 14 settembre 2005 e la loro stesura finale nel d.m. del 14 gennaio 2008, ancora oggi non ha condotto a un corpus definitivo di regolamenti, applicabili senza ambiguità o senza continui periodi di transizione con indicazioni normative precedenti.Quello che però appare evidente dai codici, è la necessità dei progettisti di ricorrere a programmi di calcolo automatico, particolarmente utilizzati in campo strutturale da svariati anni, atti a fornire moltissime elaborazioni, non eseguibili (e talvolta neppure controllabili) manualmente. Da questa considerazione si evince, indipendentemente dall’entità dell’opera, come sia plausibile il legittimo sospetto sulla totale perdita del

Sperimentazioni condotte su due modelli di edificio equivalenti per comportamento cinematico a un fabbricato reale, disposti su una tavola vibrante: a sinistra il modello semplicemente fissato subisce deformazioni importanti, a destra è invece disposto su un sistema di isolamento alla base, in grado di ridurre sostanzialmente le sollecitazioni agenti sugli elementi strutturali e sulle fondazioni. Questo sistema si è rivelato utile, particolarmente nei fabbricati di interesse storico, permettendo di non intervenire invasivamente sulla struttura in elevazione e neppure, in assenza di dissesti, sulla struttura di fondazione. Fonte dell’immagine: Wikimedia Commons

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controllo fisico del prodotto numerico per la maggior parte dei professionisti operanti nel mondo delle costruzioni.Pertanto, una situazione di emergenza sismica come quella che il Paese sta vivendo in queste settimane rimanda all’obbligo della riflessione su come sia possibile procedere alla ricostruzione del patrimonio danneggiato e mediante quali strumenti questo rifacimento possa essere attuato, siano essi normativi o progettuali.Tralasciando i primi, dei quali molto si è scritto e ancora molto si scriverà, si vuole porre l’attenzione sui secondi, intendendo come strumenti progettuali solamente quelli che fanno capo all’analisi numerica digitale del comportamento degli edifici sottoposti ad azione sismica. Affrontare in toto il tema della sismica nelle costruzioni, infatti, implicherebbe un’esposizione multidisciplinare approfondita, inclusiva di svariati aspetti tecnici, al contrario di come invece accade, quando si assiste alla sconcertante disinvoltura con la quale i media diffondono opinioni e norme di buon costruire attraverso sedicenti esperti “globali”, pronti a dispensare valutazioni sommarie su architettura, ingegneria e sismica senza esibirne troppa riflessione.Al contrario, conoscere la risposta all’azione sismica di un organismo edilizio nella sua globalità rimane sempre un’incognita, nonostante i calcolatori contribuiscano ad alimentare il mito dell’infallibilità numerica, accentuando pericolosamente la dipendenza dalle macchine elettroniche. Pur tuttavia, il livello di approssimazione raggiungibile può fornire dati di interesse per il tecnico-progettista, si esso chiamato a intervenire su edifici esistenti, magari di natura storico-monumentale, sia su progettazioni ex-novo.In entrambi i casi, l’affidabilità del risultato dipende da come viene generato e secondo quali criteri viene strutturato il modello dell’edificio che sarà sottoposto al calcolo. Limitandosi alle sole fasi di analisi di comportamento strutturale, la modellazione digitale si può suddividere nei seguenti aspetti:

La conservazione degli edifici di interesse storico artistico colpiti da sisma dovrebbe essere una delle priorità nella gestione del patrimonio culturale italiano: recuperare quella cultura della manutenzione dell’edificio, senza stravolgerne la tipologia e la funzione con interventi spregiudicati dettati da mera speculazione economica, è possibile anche in virtù delle simulazioni numeriche che possono rendere conto degli interventi prefigurandoli prima di una loro distruttiva esecuzione. Immagine di Simone Garagnani, 2008

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– modellazione geometrico-morfologica– modellazione degli elementi non lineari– modellazione dei materiali costituenti

La modellazione geometrica deriva in massima parte dalla morfologia architettonica di progetto o, nel caso dell’edificio storico, dalle pre-esistenze strutturali rilevate: procedendo in un’ideale tassonomia degli elementi, la riproduzione geometrica inizia dalla strutturazione più o meno approssimata del comportamento del terreno (1) per arrivare, attraverso lo studio degli elementi di connessione tra travi e colonne (2) (i nodi del telaio laddove esistente), all’analisi degli elementi di sommità e soprattutto dei collegamenti verticali dotati di grande massa statica, come i vani ascensore e le scale di percorrenza. La definizione della rigidezza delle sezioni per tutti questi componenti è degna di attenzione, dal momento che conduce indirettamente a esaminare lo stato delle fessurazioni eventualmente esistenti: la distribuzione globale della rigidezza infatti può essere fortemente influenzata dalla stato fessurativo degli elementi. Per gli edifici esistenti, soprattutto se sono già stati sottoposti a carichi sismici o altre azioni di notevole importanza, lo studio condotto considerando anche le sezioni fessurate assume un significato ancora più rilevante, essendo indice di problematiche non trascurabili (3).

La modellazione del comportamento fisico di elementi per i quali lo stato tensionale e la deformazione relativa non seguono andamenti lineari, fa riferimento tra gli altri alle membrature strutturali in calcestruzzo armato: queste possono essere parametrizzate secondo principi di non linearità concentrata seguendo un approccio semplificato al problema. Se infatti si conoscono matematicamente i legami costitutivi non lineari degli elementi, espressi generalmente in termini di relazioni tra momento e curvatura delle sezioni dove si pensa si realizzeranno le cerniere plastiche, viene eseguito un calcolo simulativo solamente su di essi, sgravando il calcolatore.

Progetto di consolidamento ai fini di un miglior comportamento strutturale in caso di sisma, per un monumento di interesse storico: chiesa di S. Domenico a Budrio (BO). Il modello numerico elaborato agli elementi finiti è composto da elementi di tipo “frame” (trave) e di tipo “shell” (lastra). In generale per questa simulazione l’elemento finito di tipo “frame”, a due nodi, ha tenuto conto della flessione biassiale, della torsione, della deformazione assiale, della deformazione da taglio (Bathe Wilson, 1976) mentre l’elemento finito di tipo “shell” include sia il comportamento flessionale che quello in regime di membrana. Gli effetti del taglio trasversale sono stati stimati mediante la formulazione di Mindlin/Reissner. Modello ed intervento realizzato dagli ingg. G. Dallavalle, S. Garagnani ed E. Montevecchi (febbraio 2006)

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In altre parole, soltanto la risposta degli elementi a non linearità concentrata viene sottoposta ad un processo solutivo di tipo incrementale-iterativo, mentre le matrici di rigidezza e di smorzamento viscoso lineare relative all’ampia parte del modello caratterizzata da una risposta di tipo elastico non sono assoggettate ad aggiornamenti al passo (4). La modellazione di elementi non lineari è possibile anche ricorrendo a modelli detti “a fibre”, dove i singoli componenti della struttura sono immaginati come fasci di fibre legate tra loro da una relazione di congruenza. Per ogni tipologia di fibra poi si può definire una legge specifica di comportamento (legame sforzo/deformazione) che ne simula il comportamento dinamico sotto azioni sismiche, approssimando però fortemente il comportamento reale.

Da ultimo, il modello computazionale dei materiali riveste importanza al pari delle concettualizzazioni precedenti. Uno dei più rilevanti vantaggi derivante dall’utilizzo di programmi analitici dinamici per le strutture, è che la stima della distribuzione verticale delle forze può essere significativamente differente da quella ottenuta dalla sola analisi dei carichi statici equivalenti. Conseguentemente i materiali in gioco, senza entrare nello specifico argomento della loro qualità o del loro corretto impiego, rivestono grande importanza nel sopportare queste condizioni di carico variabile, come nel caso specifico di un terremoto.Una volta ultimata la modellazione del fabbricato in progetto sismico, infatti, si procede alla valutazione del comportamento dinamico attraverso programmi numerici di analisi strutturale SAP, appositamente scritti per supportare appieno la modellazione dei materiali, per rendere il modello quanto più possibile fedele al comportamento reale.La gran parte degli algoritmi di calcolo utilizzabili nei software commerciali e non sfruttano differenti approcci numerici, mutuati dalla necessità di studiare il comportamento in campo dinamico dell’edificio nelle tre

dimensioni e prestando particolare attenzione alle sue frequenze naturali di vibrazione. Le indagini corrispondenti possono essere di tipo lineare statico e dinamico (per le quali la rappresentazione dell’azione sismica è garantita tramite un sistema di forze statiche orizzontali e dal calcolo delle sollecitazioni indotte da tali forze su un sistema elastico lineare (5)), oppure solamente di tipo lineare dinamico (basato sulla possibilità di decomporre la risposta di una struttura legata a più modi di vibrare nella risposta dei singoli modi componenti). Il modello, a seconda delle esigenze di intervento, può essere sottoposto anche ad altre forme di analisi, quali quella non lineare statica (conosciuta come push-over), per la quale viene applicato un set di forze alla struttura in modo tale che il comportamento ottenuto inviluppi tutte le possibili risposte calcolate mediante analisi non lineari dinamiche, integrazioni queste delle equazioni del moto intese come calcolo delle risposte in spostamento e delle azioni sulle estremità delle aste con le quali si immagina semplificata la struttura.Si è appurato nel corso degli anni che il continuo progresso prestazionale dei processori di calcolo reca la possibilità di analizzare, con gli algoritmi brevemente esposti, modelli sempre più complessi. Questo aspetto ha garantito una maggiore sensibilità verso l’ambiente già costruito e il patrimonio storico, molto variegato e di difficile schematizzazione nella sua realtà di stratificazione temporale. Tuttavia rimane la generazione del modello la vera chiave di volta di tutto il processo analitico, quell’intuizione data dallo studio e dall’esperienza che formano la componente “umana”, sintesi di una conoscenza empirica e logica del costruito e del costruire che per certo il calcolatore non può simulare.

Bibliografia- Recommended Lateral Force Requirements and Commentary, Sixth Edition, Seismology Committee, Structural Engineers Association of California, 1996.- olsen K.B., ArchuletA r.J., Three-dimensional simulation of earthquakes on the Los Angeles fault system, Bull. Seism. Soc. Am., n. 3, vol. 86, 1996.- Eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance Part 1: General rules, seismic actions and rules for buildings.- Ordinanza del P.C.M. n. 3274 del 20 marzo 2003, Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per la costruzione in zona sismica.- Nota esplicativa del Dipartimento di Protezione Civile del 4 giugno 2003.- Petrini l., Pinho r., cAlvi G.M., Criteri di progettazione antisismica degli edifici, IUSSPRESS, Pavia, 2004.- Ghersi A., La regolarità strutturale nella progettazione di edifici in zona sismica, Atti del convegno tecnico-scientifico “Problemi attuali di Ingegneria Strutturale”, dal volume omonimo, CUEN, Napoli, 2000.

Note1. Uno dei sistemi più rapidi e conosciuti per modellare l’effetto indotto dal terreno è quello di utilizzare il modello alla Winkler per definire molle ideali, corrispondenti alla reazione del suolo. La rigidezza della singola molla nelle quali si immagina composto il terreno è data, come è noto, dal prodotto dell’area di appoggio della fondazione per il coefficiente di Winkler (Ks).2. Per modellazioni semplici con comportamento lineare si evidenzia come sia opportuno considerare l’effetto irrigidente che i nodi determinano sugli elementi ad essi connessi. 3. Anche le normative, a partire dall’ordinanza n. 3274, danno importanza a questo aspetto, particolarmente in tema di assunzioni del momento d’inerzia “fessurato” o di distribuzione delle forze orizzontali sugli elementi di piano (i solai a piano rigido). Inoltre durante azioni sismiche di bassa entità i nodi strutturali dovrebbero rimanere in campo elastico, giacché in assenza di danno, non occorrerebbe nessuna riparazione successiva, della quale il modello originale potrebbe non tenere conto.4. In sorAce s., terenzi G., BAndini l., Le potenzialità della “FNA” nell’analisi dinamica non lineare di strutture dotate di sistemi avanzati di protezione sismica, atti del XVI Convegno Italiano di Meccanica Computazionale, Bologna 26-28 giugno 2006.5. Un’analisi di questo genere è in grado di dare risultati soddisfacenti solo nel caso di strutture la cui risposta non è significativamente influenzata da modi elevati di vibrare. Ciò avviene quando sono verificate le condizioni di regolarità in alzato.

* Ingegnere libero professionista, Università di Bologna [email protected]

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I principali terremoti in Italia nel XX secolocon scosse sismiche superiori al quinto gradodella scala RichterFerdinando Zanzottera*

I drammatici eventi accorsi nei mesi scorsi nelle Marche hanno tragicamente ricordato che tutto il territorio italiano è caratterizzato da un forte rischio sismico. La predisposizione ai terremoti dell’Italia è dovuta alla presenza nel sottosuolo dello scontro della placca Euroasiatica con la placca Africana, la cui estensione percorre l’intera lunghezza della nazione congiungendo la Sicilia al Friuli, interessando l’intera dorsale appenninica. Ad eccezione della Sardegna, dunque, tutto il suolo della nazione è a rischio sismico, con concentrazione differente dei comuni “in pericolo” tra l’area settentrionale e quella centro-meridionale. Secondo alcune stime, infatti, oltre il 45 % dei comuni italiani è interessato dalla minaccia sismica. Cifra che raggiunge il valore del 70 % se si analizza la fascia centrale e meridionale dell’Italia.

I recenti eventi di cronaca hanno rilevato l’interesse dei media, dei mezzi di comunicazione e delle reti telematiche al tema dei movimenti tellurici del suolo. Sono infatti oltre otto milioni (8.010.000) i siti in lingua italiana che secondo Google contengono l’espressione “terremoti italiani”. Un numero che raggiunge quasi i nove milioni se la ricerca viene effettuata nelle pagine web non in lingua italiana. Sul territorio nazionale, invece, i siti che si occupano in generale del tema dei terremoti sono circa undici milioni, mentre le pagine web che contengono l’espressione italiana “terremoto” sono quasi 13.500.000.L’elenco delle istituzioni che offrono materiale sul tema è profondamente eterogeneo e a un navigatore anche inesperto, ad esempio, appaiono facilmente raggiungibili i dati divulgati dall’European-Mediterranean Seismological Centre (1) o dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (2) (INGV). I “navigatori” di internet possono dunque consultare con rapidità il Catalogo delle osservazioni macroscopiche dei fenomeni sismici corredato da mappe Messina, Corso Cavour dopo le scosse del terremo del 28 dicembre 1908 (Fototeca ISAL, Fondo Pacchioni)

illustrative, il Catalogo parametrico dei terremoti che hanno colpito il territorio nazionale, l’elenco dei principali terremoti italiani dal 461 a.C. ai giorni nostri o l’elenco degli eventi sismici più forti che hanno interessato l’area mediterranea tra il 760 a.C. e il XVI secolo (3). Quantità impressionanti di dati vengono dunque offerti con estrema facilità a studiosi e a semplici curiosi interessati ai fenomeni tellurici di vaste aree o ad aree particolari più limitate, come nel caso di quelli messi a disposizione dal Servizio Geologico Sismico e dei Suoli della Regione Emilia Romagna (4). L’ISPRO, inoltre, fornisce dati puntuali sulla Storia dei disastri italiani (5), mentre siti meno istituzionali divulgano a livello amatoriale gli interessanti dati raccolti a partire dal 1998 da un sismografo collocato a Varese (6). Filmati audio, stralci di interviste televisive e registrazioni video arricchiscono il patrimonio di testimonianze offerte dalla rete che tuttavia necessita di operazioni di sistematizzazione e di elaborazione critica per giungere a una sorta di storia dei terremoti italiani.

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Terremoto dell’Umbria e delle Marche (1997)Tra i più recenti terremoti italiani del XX secolo con magnitudo superiore al quinto grado della scala Richter vi è certamente il terremoto che nel 1997 interessò l’Umbria e le Marche, in cui la cui scossa principale avvenne alle ore 11:40 del 26 settembre. Questo terremoto fu caratterizzato da una sequenza impressionante di scosse sismiche di ragguardevole intensità, che furono registrate tra il 5 maggio del 1997 ed il 26 giugno dell’anno successivo. Tra queste ben sei scosse ebbero un’intensità superiore al quinto grado della scala Richter, alle quali si aggiunse la scossa del 26 settembre, che ebbe come epicentro Annifo e che raggiunse l’intensità di 6,1 gradi Richter. Il terremoto ebbe dunque inizio nel mese di maggio con una serie di scosse con epicentro Massa Martana (Perugia) che provocarono ingenti danni al patrimonio storico-artistico, rendendo inagibile oltre il 70% degli edifici residenziali del centro storico del paese (7). Nel mese di agosto e di settembre i movimenti sismici si avvertirono con ragguardevole intensità nell’Appennino umbro-marchigiano, colpendo maggiormente i comuni di Foligno, Colfiorito, Cesi e Annifo. Furono questi ultimi tre comuni a risultare l’epicentro delle scosse del 4 e del 26 settembre, che provocarono ingenti danni al tessuto urbano dei centri storici e al patrimonio edilizio storico-monumentale (8). Alla tragedia umana degli sfollati, dei feriti e dei morti (9) si aggiunse la grave ferita inferta dal sisma al patrimonio monastico-conventuale di molte cittadine umbro-marchigiane. La più grave, forse, fu quella inferta fin dalla prima scossa del 26 settembre alla Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, che provocò menomazioni agli affreschi di Giotto e di Cimabue. Fu tuttavia nella scossa delle ore 11:42 che si ebbe il crollo di tre vele della navata della chiesa, quando precipitarono al suolo 180 mq di affreschi. In questa immane tragedia, che ha sfigurato uno dei vertici dell’espressività artistica della cultura medievale italiana, perirono anche padre Angelo Lapi, Zdzislaw Borowiec, Bruno Brunacci e Claudio Bugiantella, colti dal sisma durante un

altro grave evento tellurico. Esso fu denominato “Terremoto di Santa Lucia” poiché avvenne nella notte del 13 dicembre del 1990, data in cui Siracusa celebra la patrona della città. La scossa raggiunse i 5,2 gradi di magnitudo della scala Richter, mentre l’epicentro fu localizzato, non senza polemiche, nel Golfo di Augusta.Tra i centri maggiormente colpiti figurarono Augusta, Carlentini, Francoforte (Siracusa), Melilli e Sortino, anche se ingenti danni furono registrati finanche nella provincia di Catania e Ragusa.Complessivamente il terremoto provocò la morte di 17 persone, tutte perite nel crollo delle proprie abitazioni site nel comune di Francoforte e costruite con blocchi di tufo. Danni ingenti furono registrati anche nella Val di Noto, inserita nell’elenco dei siti del patrimonio UNESCO. Anche, anche in questo caso, i danni maggiori degli edifici residenziali furono accusati dal patrimonio architettonico moderno-contemporaneo, manifestando la sua acutezza soprattutto nel territorio comunale di Augusta. Ampie polemiche seguirono il periodo immediatamente successivo alla scossa principale del terremoto, poiché molti dubbi furono avanzate sull’adeguatezza tipologica e qualitativa impiegata nella realizzazione degli edifici moderni crollati o gravemente lesionati. Ulteriori polemiche si concentrarono nei mesi seguenti sulla localizzazione dell’epicentro e sull’entità della scossa principale che, secondo quanto pubblicato il 16 gennaio del 1991 dall’Istituto Nazionale di Geofisica, sarebbe stato più alto di un grado Mercalli rispetto al valore ufficiale attribuito all’evento sismico. Alcuni storici e giornalisti, invece, caldeggiano la tesi che il governo avesse posto pressioni sui geofisici per far spostare la localizzazione dell’epicentro del sisma, almeno in una prima fase del post-terremoto, per non accrescere i timori di danneggiamenti alle strutture chimiche e petrolchimiche di Augusta (10).

Terremoto dell’Irpinia (1980)Gli eventi che funestarono la Sicilia sud-orientale accaddero esattamente dieci anni dopo una

sopraluogo da parte di tecnici specializzati che stavano verificando i danni subiti dalla basilica nella scossa precedente. Il crollo fu fortuitamente ripreso da un cameraman di Umbria Tv che in quel momento si trovava all’interno della chiesa per effettuare alcune riprese documentaristiche dei danni subiti nella nottata dalla basilica francescana. Immagini che hanno registrato l’evento sismico in tutta la sua drammatica vitalità e crudezza e che sono state mandate in onda da tutte le televisioni del mondo. Nei mesi seguenti numerose altre scosse interessarono la regione causando completivamente danni a circa 80.000 edifici e il crollo totale o parziale di numerosi fabbricati storici, tra i quali il Palazzo Comunale di Foligno, menomato della lanterna in occasione della scossa del 14 ottobre ma già gravemente lesionato dalle numerose scosse dei mesi precedenti.Il terremoto del 1997 fu tuttavia un’occasione unica per testare la grande capacità operativa

dei restauratori italiani che, con l’ausilio di innovative tecniche informatiche, ricomposero i 300.000 frammenti degli affreschi crollati al suolo, operarono delicatamente per la messa in sicurezza delle parti del sacro convento danneggiate dal sisma e restaurarono i quasi 5.000 mq dei cicli pittorici presenti in chiesa. Materiali edili appositamente creati per il restauro della chiesa furono impiegati con il plauso della comunità scientifica internazionale, che aveva in un primo momento definito la fabbrica della basilica il “Cantiere dell’utopia”.Malgrado gli ingenti danni arrecati alle manifestazioni storico artistiche e monumentali della zona, il terremoto provocò la morte di “solo” 11 persone ed il ferimento di un centinaio di esseri umani.

Terremoto di Santa Lucia (1990)Solamente sette anni prima del sisma “di Assisi” si era verificato nella Sicilia sud-orientale un

Lioni, Effetti del sisma del 23 novembre 1980 in una fotografia dell’agosto 1981 (fotografia di F. Zanzottera)

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delle maggiori sciagure sismiche dell’Italia del XX secolo: il Terremoto dell’Irpinia. Alle 19.34 di domenica 23 novembre 1980, infatti, una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter scosse per novanta secondi il suolo di una vasta area del Vulture e dell’Irpinia, concentrando la sua forza distruttiva sulle province di Avellino, Salerno e Potenza. Gli effetti del movimento della crosta terrestre furono devastanti e lesioni e crolli si ebbero anche nel beneventano, nel casertano, nel foggiano, nel napoletano, nel potentino, nel salernitano, a Matera e a Poggioreale. Nel capoluogo campano, ad esempio, furono danneggiati e subirono menomazioni molti edifici che versavano in uno stato di conservazione già precario o costruzioni edificate con blocchi di tufo. A Poggioreale, invece, si assistette alla distruzione di architetture moderne, e scalpore fece il crollo dell’edificio per abitazioni di via Stadera che, probabilmente a causa di una non perfetta esecuzione dei lavori, provocò la morte di 52 persone.Le dichiarazioni ufficiali del Commissario Straordinario nominato dal Governo per l’immane tragedia del terremoto attestano che i comuni danneggiati dal sisma furono 506, un numero pari al 74,52 % dei comuni delle otto province interessate dal sisma. L’epicentro del terremoto fu localizzato a Conza della Campania con ipocentro a circa 30 km di profondità. I morti furono 2.914, i feriti 8.848 e gli sfollati raggiunsero il numero di 280.000.Completamente distrutti risultarono molti centri arroccati sulle alture irpine dalla caratteristica conformazione urbana e contraddistinti da strade strette ed edifici in pietra. Tra i centri più colpiti Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Morra De Sanctis e Castelnuovo di Conza, nomi divenuti tristemente familiari a tutti gli italiani e catapultati all’improvviso agli “onori della cronaca” per le immagini drammatiche che continuavano a scorre su tutte le reti televisive durante quel mesto natale del 1980. Al termine dei conteggi statistici furono 70 i comuni dichiarati “disastrati” cioè centri urbani completamente distrutti o fortemente danneggiati. Impressionanti furono

gli effetti del sisma. Intere infrastrutture e 20.000 alloggi furono completamente distrutti o vennero giudicati irrecuperabili, 50.000 subirono danni gravissimi e medio-gravi, mentre oltre 30.000 alloggi risultarono danneggiati. Alcuni settori industriali furono completamente distrutti dalla furia del terremoto con la conseguente ingente perdita di posti di lavoro e l’indebolimento dei comparti dell’indotto. Al termine di un lungo processo di valutazione da parte degli enti ministeriali i danni provocati dal sisma furono stimati in circa 60.000 miliardi di lire, di cui 58.640 già erogati attraverso contributi pubblici statali prima dell’anno 2000 (11).Anche in questo frangente numerose furono le polemiche che investirono la prassi edilizia-costruttiva delle architetture contemporanee o di recente realizzazione, dimostrando concretamente l’inadeguatezza antisismica di molte strutture pubbliche e la fragilità della Protezione Civile, i cui prodromi moderni sono da ricercare nel dibattito sviluppatosi in Italia negli anni Sessanta a seguito dell’alluvione di Firenze (1966) e del Terremoto del Belice (1968), ma i cui regolamenti attuativi vennero legiferati dal Parlamento italiano solo dopo il Terremoto dell’Irpinia.Numerose furono le iniziative a sostegno dei terremotati e le offerte tangibili di solidarietà giunte da tutto il modo, che si espressero attraverso contributi finanziari diretti e l’invio di elicotteri, strumentazione scientifica, unità cinofile e personale altamente specializzato nel soccorso dei terremotati.

Terremoto del Friuli (1976)Altro evento catastrofico dell’ultimo quarto del XX secolo fu il Terremoto del Friuli che, alle ore 21.06 del 6 maggio del 1976, devastò l’intera regione con una scossa sismica che raggiunse l’intensità di magnitudo 6,4 della scala Richter.L’epicentro del terremoto fu individuato nel monte San Simeone ad una profondità di 2-8 km, ma gli effetti delle onde sismiche si avvertirono in tutto il territorio settentrionale d’Italia e nelle nazioni limitrofe, con particolare veemenza nel territorio dell’attuale Slovenia. I danni materiali, invece,

interessarono un’area abitata da 80.000 abitanti dislocati in 77 comuni, colpendo maggiormenteBordano, Buja, Gemona del Friuli, Osoppo, Trasaghis e Venzone. Lo sciame sismico si protrasse nei mesi seguenti e tra le scosse più significative vi furono quelle registrate alle ore 18.31 e 18.40 dell’11 settembre, che raggiunsero i 6,1 gradi di magnitudo della scala Richter, e quella avvertita alle ore 05.00 e alle ore 11.30 del 15 settembre, che superarono il decimo grado della scala Mercalli. Nuovi danni agli edifici, dunque, si aggiunsero a quelli causati dalle prime scosse e alcuni dei centri situati nei pressi dell’epicentro della scossa del 6 maggio furono completamente rasi al suolo. Il bilancio finale dei danni e delle vite umane spezzate dal terremoto fu pesantissimo poiché

i morti furono 989 e gli sfollati raggiunsero il numero di 45.000.Il terremoto del Friuli fu l’occasione per il Governo di sperimentare una nuova strategia di intervento, nominando l’onorevole Giuseppe Zamberletti Commissario Straordinario per il coordinamento dei soccorsi e la ricostruzione, dotandolo di vasti poteri decisionali e di un’ampia autonomia economica. Terminata la prima fase di urgenza, che assicurò un riparo in strutture provvisorie a tutti gli sfollati, il Governo decise di ricorrere per la ricostruzione a protocolli particolarmente efficienti, che ancora oggi costituiscono elementi di studio e di riferimento.Tra le numerose manifestazioni e studi che hanno monitorato e raccontato l’evento sismico nei decenni successivi particolarmente significativo

Lioni, Il “campanile provvisorio” eretto dopo il sisma del 23 novembre 1980 in una fotografia dell’agosto 1981(fotografia di F. Zanzottera)

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è il progetto ideato dal Laboratorio di Interazione Uomo-Macchina dell’Università di Udine e realizzato in collaborazione con l’Associazione Sindaci della Ricostruzione del Friuli Terremotato e l’Associazione Consiglieri della Regione Autonoma Friuli-Venezia-Giulia. Il progetto, denominato “6 maggio 1976”, è stato diretto da Luca Chitaro e si è posto come obbiettivo la riproduzione dell’esperienza del terremoto ricostruendo, attraverso l’impiego di sistemi di realtà virtuale, gli effetti del sisma sul Duomo di Venzone. In particolare il progetto ha sviluppato un modello matematico del Duomo, ridisegnando la struttura architettonica complessa quasi concio per concio, suddividendolo in aree di macro-crollo e confrontando i danni reali con gli effetti ottenuti dalla simulazione. Il progetto, inoltre, ha posto particolare attenzione alla riproduzione dei rumori dei crolli e del terremoto stesso, caratterizzato da una forte componente ultrasonica. Il progetto, pertanto, ha condotto

alla realizzazione di un’apposita stanza dotata di impianto di diffusione immersiva (12).

Terremoto del Belice (1968)Inferiore per numero di morti rispetto al sisma friulano fu il Terremoto del Belice del 1968 che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio colpì la Sicilia occidentale con una scossa principale di magnitudo 6,4 della scala Richter. Gli effetti prodotti dal sisma furono tuttavia molto gravi e interessarono principalmente le province di Agrigento, Palermo e Trapani. Gli sfollati ammontarono a circa 70.000 persone, mentre i feriti furono circa un migliaio e i morti raggiunsero la cifra di 370. Al termine del sisma completamente distrutti risultarono i centri abitati di Gibellina, Montevago, Salaparuta e Poggioreale, mentre fortemente danneggiati emersero i centri storici di Calatafimi, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Menfi, Partanna, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa, Salemi, Sciacca e Vita. La drammaticità degli eventi è particolarmente riscontrabile nei testi degli articoli dei cronisti dell’epoca e nelle fonti scritte che tentarono di raccontare la storia e la cronaca degli eventi sismici attraverso la testimonianza diretta dei primi soccorritori e dei medici che operarono in condizioni di estrema drammaticità. In tutta la sua crudezza il terremoto del Belice seppe evidenziare l’arretratezza in ambito antisismico dell’edilizia residenziale e pubblica italiana. In particolare il sisma sottolineò la deficienza o la completa assenza di strutture preparate ed organizzate per intervenire in caso di calamità naturali o la completa inadeguatezza di alcuni edifici costruiti con tecniche tradizionali. Simbolo della ricostruzione e dell’impegno del mondo artistico e culturale profuso per migliorare la condizione di vita dei terremotati divenne Gibellina, la cui ricostruzione non avvenne sul luogo originario del centro urbano ma scostato della sua posizione originaria di circa 20 km. Poiché la città di Gibellina fu completamente rasa al suolo dal terremoto si decise di costruire una nuova città chiamando architetti, urbanisti

e artisti di fama internazionale, trasformando il nuovo centro siciliano in un vasto laboratorio di sperimentazione artistica a cielo aperto. Tra i molti artisti che aderirono all’iniziativa figurano importanti personalità quali Franco Angeli, Alberto Burri, Pietro Consagra, Andrea Cascella, Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro, Mario Schifano e Leonardo Sciascia. Con il passare del tempo gli artisti e gli architetti coinvolti hanno supertao i 50. Tra le opere principali vi è l’opera artistico-urbana denominata “Cretto” di Alberto Burri (1984), che immobilizza lo schema urbano dell’originaria Gibellina e la distruzione della città attraverso la “cementificazione” delle macerie prodotte dal terremoto stesso. Fondamentale per il ruolo simbolico che riveste nell’immaginario collettivo e nella nuova società gibillinense è la scultura di quasi venticinque metri di altezza intitolata “Stella d’ingresso al Belice” realizzata da Consagra nel 1981. Per ragioni completamente differenti tra le opere più significative è da collocare la Chiesa Madre progettata da Ludovico Quaroni insieme a Lucia Anversa, la cui commissione risale al 1970. Terminata l’ideazione della chiesa nel 1972, i lavori di costruzione iniziarono solamente nel 1985 consentendo l’apertura al culto del nuovo edificio nel 1989. A soli cinque anni dalla consacrazione della chiesa, il 15 agosto del 1994, la copertura dell’edificio ecclesiastico crollò al suolo, danneggiando il resto della struttura architettonica e “ferendo mortalmente” l’immagine della città e dell’intera ricostruzione post terremoto.

Terremoto del Monte Volture (1930)La notte del 23 luglio del 1930 segna un’altra tappa nell’elencazione delle tragedie provocate da eventi sismici sul territorio italiano. In questa occasione le aree maggiormente interessate dal sisma furono le regioni della Basilicata, della Campania e della Puglia. L’epicentro del sisma fu individuato nel Monte Vulture e la forza degli eventi naturali si concentrarono particolarmente sul territorio delle province di Avellino, Benevento e Foggia. In queste aree si

registrò il numero maggiore di morti e di feriti. Al termine dell’evento i documenti dell’epoca registrarono complessivamente 1.404 morti, mentre imprecisato rimase il numero dei feriti. L’area colpita, tuttavia, fu molto più vasta dell’area epicentrale ed interessò il territorio di 50 comuni dislocati in sette province differenti. Tra i centri maggiormente colpiti vi furono i comuni di Aquiloia e di Lacedonia, in cui si registrò il crollo di oltre il 70 % degli edifici pubblici e privati. La natura geomorfologica del terreno, la scarsa qualità tecnico-esecutiva di molte architetture e i materiali scadenti impiegati in molti casi per la loro realizzazione, furono le concause che condussero a una desolante distruzione di intere aree geografiche e delle pesanti devastazioni che interessarono i centri storici di Ariano Irpino, di Melfi e delle regioni adiacenti all’area appenninica, nei pressi del confine tra la Campania e la Basilicata.

Terremoto di Bologna (1929)La grande tragedia del 1930 seguì di un solo anno una serie di scosse sismiche che interessarono l’Emilia Romagna e che riguardarono, in particolare, il territorio bolognese. A partire dalle ore 05.44 del 10 aprile del 1929, infatti, si manifestarono una serie di scosse che perdurarono con fasi alterne per sette mesi. L’area interessata dal fenomeno fu assai più limitata rispetto ai terremoti degli anni seguenti, tuttavia i suoi effetti si avvertirono su una superficie di circa 70.000 chilometri quadrati.La scosse di maggiore intensità si ebbero nel mese di aprile, la cui prima scossa provocò ingenti danni al patrimonio artistico e architettonico della città di Bologna e di altri centri minori, quali Bazzano, Castenaso, Castel di Serravalle, Castel San Pietro, Crespellano, Monterenzio, Monteveglio, Monte San Pietro, Ozzano dell’Emilia, Pianoro, Praduro e Sasso. Le cronache dell’epoca non registrano morti ma attestano le gravi preoccupazioni che animavano le sovrintendenze territoriali. Numerosi furono i comignoli a crollare al suolo provocando danni al Palazzo d’Accursio e all’Ospedale Maggiore,

Lioni, Gli effetti del sisma del 23 novembre 1980 sulla chiesa principale in una fotografia dell’agosto 1981(fotografia di F. Zanzottera)

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oltre che in numerose abitazioni private. Si registrarono anche molteplici crolli di lucernari e al suolò rovinò il belvedere di un edificio di via Saffi. Il patrimonio artistico della città di Bologna fu principalmente interessato dalla caduta di intonaci (es. il Palazzo della Prefettura), dall’allargamento di fessurazioni già esistenti o dalla formazione di nuove crepe nelle murature storiche. Nella chiesa di San Luca, ad esempio, si riaprirono le fessurazioni verticali causate dal sisma del 1881, mentre nuove lesioni si registrarono sulla lanterna. I tecnici furono sollevati nel constatare che il sisma non produsse alcun effetto significativo sulla Torre degli Asinelli e sulla Torre della Garisenda e registrarono con solerzia che la chiesa di San Luca non rovinò al suolo grazie agli interventi ottocenteschi di consolidamento. A seguito del terremoto del 1881, infatti, l’ing. Roffeni era intervenuto sul monumento consolidando la lanterna e cerchiando la muratura ellittica sommitale con elementi metallici.Maggiori danni subì la chiesa di San Salvatore, le cui pareti laterali cedettero verso l’esterno, indebolendo le strutture già danneggiate dal citato terremoto ottocentesco e dal sisma del 1779. Uno strapiombo di 8 cm. fu invece registrato nelle strutture murarie meridionali della chiesa del Sacro Cuore. Attentamente studiate e analizzate al termine dello sciame sismico, conclusosi nel mese di ottobre, esse si inserirono in un delicato sistema complesso di danni che ebbe il suo apice nel vistoso abbassamento di un pilone absidale e nel successivo crollo della cupola della chiesa avvenuto il 21 novembre 1929 (13).Malgrado il perdurare dei fenomeni sismici, che provocò ansia e preoccupazione nei bolognesi, i danni gravi subiti dagli edifici abitativi della città furono pressoché inesistenti, tanto che solamente due strutture furono dichiarate inagibili. Nel suo complesso il terremoto provocò un numero ingente di sfollati e polemiche accompagnarono l’invio di oltre 40.000 tende da campo, poiché numerose persone risultavano ancora in strutture provvisorie a cinque mesi dal sisma.

Se Bologna uscì pressoché indenne dal terremoto, altrettanto non si può affermare per il territorio di alcuni comuni espressamente menzionati dal regio decreto n. 759 emanato il 9 maggio del 1929 (14). La scossa del quinto grado di magnitudo della scala Richter avvenuta nella notte tra il 19 e il 20 aprile, infatti, causò l’apertura di una fenditura nel suolo del comune di Monte San Pietro lunga circa un chilometro e larga fino a 15 cm (15).

Terremoto de Mugello (1919)Esattamente dieci anni prima del terremoto di Bologna un altro sisma di magnitudo 6,2 della scala Richter interessò l’Appennino tosco-emiliano. La scossa principale si verificò il pomeriggio del 29 giugno 1919 ed ebbe come epicentro il comune di Vicchio. Gli esperti, inoltre, stimarono che la profondità ipocentrale dovesse essere compresa tra i 5 e i 10 km.Il terremoto si manifestò immediatamente nella sua forza distruttrice provocando 100 morti, 400 feriti e migliaia di sfollati.

A Vicchio la distruzione del centro storico fu pressoché totale, poiché delle 1.500 abitazioni esistenti il 47% crollarono al suolo, il 33% risultarono inagibili e il rimanente 20% subirono danni giudicati gravi. Fortemente colpiti furono anche i comuni di Borgo San Lorenzo, Dicomano, Firenzuola e San Godenzo. Nel primo di essi il sisma provocò l’inagibilità del 75 % delle case, mentre a Dicomano crollò la Torre dell’Orologio e gran parte del patrimonio residenziale privato fu compromesso e gravemente danneggiato. La scossa di questo terremoto provocò danni anche a Prato e a Firenze, in cui eterogenee lesioni alle abitazioni private furono registrate dai funzionari della soprintendenza e della prefettura. Tra gli edifici colpiti è da annoverare la chiesa di San Lorenzo, in cui si aprirono numerose crepe nelle muratura e caddero al suolo o furono danneggiate molteplici pertinenze decorative. Danni minori, invece, si regisrarono nella chiesa di Santa Maria Novella e all’Osservatorio Ximeniano.

La memoria di questo evento sismico, quasi del tutto dimenticato, è tornato prepotentemente alla memoria di molti storici e di numerose persone nel 2008, quando il territorio del Mugello è stato interessato da una serie di 76 scosse. Esse si sono tutte verificate tra le ore 06.14 e le ore 11.51 della giornata del primo marzo 2008. In quest’occasione la paura e il panico si sono diffusi tra gli abitanti della zona in ragione dell’intensità di almeno tre scosse che hanno superato i 4 gradi della scala Richter e dalla vicinanza temporale con gli eventi del settembre del 2007, in cui la medesima area era stata interessata da una sequenza di 16 scosse telluriche (16).

Terremoto dell’Alto Adriatico (1916)Nel 1916 l’Italia fu interessata da un altro periodo sismico che perdurò per alcuni mesi. Dal 7 maggio fino alla fine dell’anno, infatti, decine di scosse fecero tremare la terra in un’area circoscritta di circa 10.000 chilometri quadrati, con particolare intensità nel riminese e nell’area della bassa Romagna. In questi territori la forza della natura provocò ingenti danni al patrimonio architettonico e la popolazione assistette inerme al crollo di numerose case ed edifici pubblici.Il numero di morti fu molto limitato (“solamente” 4 persone) ma le migliaia di case rese inagibili o con importanti lesioni strutturali determinarono un cospicuo numero di sfollati. Il terremoto, inoltre, provocò alcuni cambiamenti morfologici del terreno producendo limitati e localizzati fenomeni di abbassamento del terreno e la variazione di alcuni corsi d’acqua sotterranei.Il terremoto fu avvertito anche a Fano, in cui non si ebbero grossi danni ma localizzati fenomeni di dissesto, tra i quali quelli subiti da Palazzo Arnolfi (o Casa della Santa), verificatisi a seguito delle scosse del 15, 16 e 17 agosto.

Terremoto della Marsica (1915)La storia d’Italia fu fortemente segnata anche dall’evento sismico del 13 gennaio del 1915 che provocò la morte di quasi 30.000 persone. L’epicentro del terremoto fu individuato nella

Lioni, La tensostruttura utilizzata come chiesa provvisoria dopo il sisma del 23 novembre 1980 in una fotografia dell’agosto 1981 (fotografia di F. Zanzottera)

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Conca del Fucino, ma i suoi effetti devastanti colpirono una vasta area dell’Abruzzo e del Lazio meridionale. L’intensità della scossa fu impressionante (decimo grado della scala Mercalli e settimo grado della scala Richter) e lo sciame sismico che fu avvertito nei mesi successivi fece registrare oltre 1.000 scosse, alcune delle quali raggiunsero un’intensità del settimo grado della scala Mercalli.Tra i centri maggiormente colpiti vi fu Avezzano, la cui città fu completamente distrutta dal sisma. Dell’intero paese, infatti, un solo edificio non crollò al suolo, pur rimanendo fortemente danneggiato. Alla devastazione del territorio comunale si aggiunse il dramma umano di un intero paese completamente cancellato in pochi secondi, poiché sotto le macerie perì il 97,3 % della popolazione: oltre 10.719 persone su 11.000 abitanti. Circa 5.000 morti si

ebbero a Pescina, 3.500 a Gioa dei Marsi, 847 a Collarmene, circa 700 a Magliano de’ Marsi e a Cese, mentre a Sora i morti furono 3.000, facendo risultare questa cittadina tra le località più disastrate tra i centri laziali colpiti dal terremoto.Di fronte a questa catastrofe l’Italia rimase basita poiché dimostrava la sua estrema fragilità agli eventi sismici, l’inadeguatezza di gran parte del suo patrimonio residenziale e l’inesistenza di una forza di soccorso capace di intervenire con efficienza e rapidità in simili occasioni. Il terremoto, inoltre, mostrò lo scarto esistente tra il sapere dell’intellighenzia politecnica della cultura ingegneristica italiana e la prassi architettonica diffusa su tutto il suolo della nazione, che tuttavia reclamava un posto di rilievo in campo internazionale e si proclamava tra le potenze economico-militari maggiori del mondo.

La scossa di terremoto del 13 gennaio fu avvertita in una vasta area e provocò numerosi danni anche a Roma, in cui si ebbero lesioni considerevoli e gravi a circa 60 edifici. In città, inoltre, si registrò anche la caduta di due sfere in pietra calcarea nella chiesa di Sant’Ignazio e il crollò al suolo della statua di San Paolo nella Basilica di San Giovanni. Danni furono subiti anche dal Colonnato del Bernini antistante la basilica di San Pietro, dall’acquedotto Claudio e dalle chiese di Sant’Andrea delle Fratte, di San Carlo ai Catinari, di San Carlo al Corso, di Santa Maria del Popolo, di San Callisto e di Sant’Agata dei Goti (17).Il caso specifico di Avezzano ripropose anche il tema di un miglioramento del controllo del suolo e dell’edilizia. È infatti probabile che il gran numero di persone perite sotto le macerie sia stato determinato da una generalizzata insensibilità alla qualità architettonica e a una scellerata scelta di risparmio da perseguire impiegando materiali edili estremamente scadenti e tempi di progettazione e di edificazione non idonei.Completamente distrutti furono anche i simboli storici di Avezzano, il Castello Orsini e la cattedrale San Bartolomeo, sostituiti nell’immaginario simbolico-rappresentativo di oggi dalle nuove Casette Asismiche costruite nei mesi successivi al terremoto.Le cronache del sisma costituiscono un interessante spaccato del ruolo sociale e storico ricoperto dai giornalisti e dai cronisti dell’epoca, sempre dignitosi e rispettosi nella ricerca delle notizie e, in molti casi, innovatori per l’impiego di fonti dirette e di un linguaggio semplice, immediato ma mai sciatto o trasandato. Tra gli esempi più eclatanti si può annoverare il lavoro svolto dai cronisti de Il Mattino, che seguirono con molto interesse gli eventi drammatici del 1915. Tra i numerosi articoli pubblicati spicca, per valore documentario e l’immediatezza comunicativa raggiunta, l’intervista ad un operaio riportata sul quotidiano del 14 gennaio, nella quale egli racconta: “Non mi resi subito conto di ciò che era avvenuto; ritenni dapprima che

si trattasse del crollo improvviso dello stesso stabilimento dove ero occupato: catastrofe forse avvenuta per lo scoppio di qualche macchina. Non potevo immaginare quale orribile immane catastrofe si fosse abbattuta sulla ridente Avezzano, così tranquilla e piena di vita. La gamba sinistra mi doleva abbastanza, ma ciò non mi impedì di trascinarmi fino all’aperto. Ma appena fuori, le mie orecchie furono straziate da mille lamenti. Guardai Avezzano e credetti ancora di essere vittima di un orrendo sogno: il castello, gli stabilimenti dagli alti fumaioli, la Chiesa dell’artistico ed agile campanile, tutto era scomparso. Avezzano era scomparsa ed al suo posto non si scorgevano che pochi muri” (18).

Terremoto di Messina o Terremotocalabro-siculo (1908)Il più grosso e devastante terremo italiano che la storia ricordi è certamente il sisma che colpi Messina e Reggio Calabria il 28 dicembre del 1908. La scossa principale raggiunse la magnitudo di 7,1 gradi Richter e in pochi istanti morirono quasi 130.000 persone. Lo “spettacolo” che si offrì ai soccorritori fu impressionante e desolante. A Messina le vittime furono circa 80.000, quasi il 45 % della popolazione della città, mentre a Reggio-Calabria i morti furono 15.000, numero che corrispondeva al 33% degli abitanti del comune.Il terremoto avvenne alle ore 5.21 del mattino, sorprendendo ancora nel sonno molte persone. Allibito rimase anche l’Osservatorio Ximeniano che fu costretto ad annotare che l’ampiezza dei tabulati per la registrazione meccanica dei terremoti (40 cm) non erano stati sufficienti per rilevare l’intensità della scossa.Lo scenario narrato dalle cronache e dai sopravvissuti dipinge una realtà apocalittica, alla quale sembrano essersi ispirate alcune futuristiche descrizioni immaginifiche delle città sopravvissute ad un combattimento post-atomico. La scossa del terremoto, infatti, perdurò per 37 secondi al termine dei quali Messina era stata rasa al suolo per oltre il 90 % dei propri edifici. La polvere sollevata dalla forza distruttiva

Lioni, Le roulotte impiegate come abitazioni provvisorie per gli sfollati in una fotografia dell’agosto 1981(fotografia di F. Zanzottera)

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avvolse l’intero territorio comunale e le cronache raccontano persino il momentaneo oscuramento del cielo. La grossa nuvola di polvere e di detriti investì, in questo modo, i superstiti e quanti cominciavano ad emergere dalle macerie. Molti di essi si diressero verso il mare per cercare istintivamente una via di fuga. In questo luogo, però, furono sorpresi da un maremoto con onde di proporzioni gigantesche comprese tra i 6 e i 13 metri di altezza. Il triste record fu registrato a Pallaro, frazione di Reggio Calabria, in cui le onde marine superarono di poco i 13 metri.Molte delle persone che rimasero ad aiutare i feriti o a vagabondare frastornati e sgomenti tra le macerie dovettero fare i conti con le esplosioni degli impianti a gas presenti in città e con gli incendi causati dal sisma. Impotenti assistettero, dunque, al rogo che interessò le vie Cardines, Cavour, Monastero Sant’Agostino, della Riviera e corso dei Mille.In un solo attimo scomparsero alla vista dell’umanità secoli di storia e i suoi monumenti più significativi. Tra questi il seicentesco Teatro Marittimo (o Palazzata) progettato da Simone Gulli e ricostruito da Giacomo Del Duca a seguito del terremoto del 1783. Distrutto risultò anche il seicentesco Palazzo Municipale, il sette-ottocentesco Palazzo della Dogana e la cinquecentesca Università, che costituiva il primo collegio gesuitico del mondo. Dalla devastazione non si salvarono nemmeno le chiese di Messina. Il Duomo, dalla struttura normanna riedificata dal Valenti dopo il terremoto settecentesco, la chiesa di San Gregorio, la chiesa dei teatini della Santissima Annunziata e la cinquecentesca Concattedrale dell’Archimandritato del Santissimo Salvatore furono, infatti, solo alcuni dei tesori storico-architettonici che crollarono al suolo.Anche Reggio Calabria subì un’impressionante devastazione. Tra i molti edifici pubblici e privati significativi che crollarono si annoverano i fabbricati napoleonici rivolti verso il mare, la barocca Villa Genovese-Zerbi, i Palazzi Mantica, Ramirez e Rettano, il Duomo e la Cattolica dei Greci. Insieme a queste testimonianze storiche e monumentali a Messina e a Reggio

Calabria furono danneggiate o distrutte tutte le infrastrutture di collegamento, le caserme, gli ospedali e altri edifici pubblici. Eloquente, inoltre, è il bilancio della distruzione dell’Ospedale Civile di Reggio Calabria in cui perirono 201 pazienti dei 230 ricoverati.La distruzione della rete delle comunicazioni e la perdita di una parte dell’apparato infrastrutturale isolarono di fatto Messina, che si trovò in una condizione particolarmente disagevole: incapace di inviare i messaggi di aiuto e difficilmente raggiungibile dai soccorsi.I primi aiuti furono portati dall’esercito russo, che giunse nel porto di Messina con una flotta di sei imbarcazioni composta dalle navi Bogatir, Cesarevitc, Guilak, Korietz, Makaroff e Slava. Poco dopo giunsero a Messina anche sei navi da guerra inglesi (la Duncan, la Euryalus, la Exnouth, la Lancaster, la Minervae e la Sutley). I primi soccorsi si occuparono di soccorrere i superstiti, ripristinare l’ordine in città, attrezzare campi medici per le prime cure e cercare i sopravvissuti sotto le macerie.Al termine di quei drammatici eventi le persone estratte ancora vive dalle rovine degli edifici crollati furono complessivamente 17.000 di cui 13.000 furono salvate dall’esercito italiano, 1.300 dalle armate russe, 1.100 dalle forze militari inglesi e 900 dai soldati tedeschi.Anche nel caso del Terremoto di Messina le descrizioni del desolante panorama veduto dai primi soccorritori e dai cronisti giunti nelle aree colpite dal terremoto sono eloquentemente drammatiche e, in alcuni casi, contengo espressioni significative che accennano a città che “solo un tempo furono”. Lo stesso mondo letterario si movimentò per descrivere ciò che vedeva. Giovanni Pascoli, che aveva insegnato presso l’Università di Messina, ebbe modo di scrivere “Qui dove tutto è distrutto, rimane la poesia”. Ada Negri, invece, volle infondere coraggio alle popolazioni colpite dal sisma ed esortare tutti gli uomini a prestare soccorso scrivendo i seguenti versi poetici: “Fratelli in Cristo destatevi dal sonno andate a soccorso con zappe e leve con pane e vesti. Nelle lontane terre

dell’arsa Calabria crollano ponti e città i fiumi arretrano il corso sotto le case travolte le creature sepolte vivono ancora chissà. Batte la campana a storno. Pietà fratelli, pietà”.Terminata la fase di prima emergenza e di soccorso alla popolazione privata delle proprie abitazione e senza più capacità produttive, si procedette animatamente a definire un piano per la ricostruzione. Tra le prime ipotesi avanzate per la riedificazione della città di Messina vi fu la proposta di costruire i nuovi centri abitati su un’area disabitata quasi completamente vergine, utilizzata fino a quel momento per scopi agricoli. Scartata questa tesi si decise di provvedere alla demolizione delle strutture pericolanti rimaste ancora in piedi e di procedere all’eliminazione di tutte le macerie. Si proseguì, dunque, a una nuova programmazione e progettazione urbanistica, basata su più moderni criteri di igiene e sicurezza urbana. Il terremoto, inoltre, fece prendere nuovamente coscienza

della necessità che in quest’area geografica si adottassero delle tecniche esecutive antisismiche e si sperimentassero nuove tipologie edilizie e innovativi materiali edili. Al dibattito che ne scaturì non rimasero assenti le università, che proposero nuove metodologie di calcolo e di verifica per la sicurezza sismica, promossero nuovi studi su materiali e tecniche antisismiche e studiarono tipologie di alloggio per sfollati.Tra le molte università ed enti culturali che si interessarono al problema sismico e, in particolare, ai drammatici effetti del terremoto del 1908, vi fu anche il Politecnico di Milano. Già nel gennaio del 1909, infatti, sulla rivista Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale diretto dal prof. Giuseppe Colombo comparve il bando del Concorso per Costruzioni edilizie nelle Regioni Italiane soggette a movimenti sismici. L’iniziativa, adottata anche dal Politecnico, era stata promossa dalla Società Cooperativa Lom barda di Lavori Pubblici in

Lioni, Gli effetti del sisma del 23 novembre 1980 sul patrimonio residenziale in una fotografia dell’agosto 1981(fotografia di F. Zanzottera)

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accordo con il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Milano. Il concorso fu bandito con l’intento di contribuire attivamente allo studio di nuove tipologie insediative per edifici civili, rurali ed industriali da poter realizzare con sicurezza nelle re gioni italiane maggiormente soggette a sommovimenti tellurici e sismologi-camente pericolose. Le soluzioni proposte dovevano necessariamente rispondere “per organismo, struttura e materiali, alle speciali condizioni di stabilità e di sicurezza richieste dal caso, accompagnate alle necessarie esigenze di igiene e di bene intesa economia in rapporto alle condizioni locali” (19). La scadenza del concorso fu prevista per il 31 marzo 1909 e il bando precedeva l’assegnazione di tre premi in denaro rispettivamente di 3.000 lire, 2.000 lire e 1.000 lire (20). La partecipazione consentiva alla Società Cooperativa Lombarda di poter effettuare dei pubblici esperimenti pratici sui modelli, riproducendoli anche al vero e con eventuali modificazioni e combinazioni, finalizzati alla comprensione dell’ef fettiva resistenza ai sismi delle tipologie proposte. Per questa ragione il bando prevedeva per gli organizzatori anche la possibilità di realizzare dei pubblici esperimenti con strumenti meccanici che avrebbero riproposto i “turbamenti sismici” naturali.Il Politecnico di Milano e numerose Istituzioni della città, dunque, ripresero con maggior veemenza gli studi intrapresi già da tempo sugli effetti dei terremoti, ai quali concorse anche l’ing. T. Bianchi. Dopo aver attentamente analizzato le differenti teorie dei più noti sismologi italiani e stranieri, special mente giapponesi, egli si dichiarò contrario a basare la “sollecita ed intera ricostruzione di due città dell’importanza di Messina e Reggio, e di tanti altri paesi grandi e piccoli”, solamente attraverso l’impiego del cemento armato. Egli suggeriva di utilizzare insieme al cemento armato sistemi che avvicinassero le nuove costruzioni agli edifici realizzati con tecniche tradizionali. Per supplire alla deficienza della muratura a sostenere sforzi di tensione l’ing. Bianchi proponeva di associare al cemento armato il ferro. Egli, inoltre, auspicava

l’adozione di un nuovo tipo edilizio caratterizzato da un’altezza limitata al pian terreno ed al primo piano; muri maestri costituiti da nervature di ferro verticali e da mura tura di mattoni; nervature incastrate nella fondazione a distanza di 4 m. l’una dall’altra; e tramezzi interni realizzati con mattoni comuni al piano terreno e con mattoni forati al primo piano (21). La copertura, invece, doveva essere scelta fra i tipi più leggieri, in modo tale che con la propria levità si potessero alleggerire le armature di sostegno, le quali dovevano es sere costruite in modo da evitare ogni carico sui muri di mattoni forati. Tutto il carico della copertura doveva quindi sostenersi attraverso le nervature dei muri maestri e una parte dei muri interni, che a tale scopo dovevano edificarsi totalmente con mattoni comuni.Le armature, inoltre, dovevano essere realizzate in modo da evitare qualsiasi spinta sui punti d’appoggio, mentre i soffitti si dovevano realizzare impiegando una rete metallica, che avrebbe consentito l’edificazione di coperture più leggere. L’ing. Bianchi aboliva dal suo modello ogni presenza di archi, volte e forme curvilinee, prediligendo l’impiego di porte e di finestre architravate con elementi metallici. Egli, inoltre, suggeriva di dotare le case di un sotterraneo che doveva essere costruito con solai simili a quelli del primo piano e non con strutture a volte a botte o a crociera.La coesione necessaria fra l’intonaco e le lamiere delle nerva ture era da assicurare attraverso l’impiego di strisce di lamiera collocate con passo regolare. Chiodature negli intervalli, aggrap pi alla nervatura mediante ripiegamento delle due estremità e la compenetrazione della malta con frasta gliamenti ricavati nei lembi leggermente ripiegati in fuori costituivano le garanzie di una maggiore coesione tra gli elementi.Oltre alla validità generale del sistema proposto dall’ing. Bianchi la rivista Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale sottolineava la convenienza economica di questo progetto rispetto a chi proponeva in zona sismica unicamente l’impiego del cemento armato (22).

Terremoto di Nicastro (1905)Solamente tre anni prima del grave terremoto di Messina l’Italia era stata funestata da un altro evento sismico che aveva raggiunto il suo apice con la scossa dell’8 settembre. L’epicentro fu individuato nel Golfo di Sant’Eufemia e la scossa più “importante” raggiunse la magnitudo di 6,8 gradi della scala Richter. In quest’occasione i morti furono 557 e migliaia gli sfollati. Tra i centri maggiormente colpiti vi fu il comune di Martirano, che nei secoli precedenti era stato già distrutto da analoghi eventi sismici. La conformazione geologica del sottosuolo e l’entità dei danni subiti dal comune, suggerirono di non ricostruire nuovamente il paese nel suo luogo originario, ma di edificare una nuova cittadina denominata Martirano Lombardo su un ampio appezzamento di terreno da disboscare posizionato sul fronte opposto della vallata e per il quale si dovettero creare nuove vie di comunicazione, il cui ampliamente fu progettato per essere realizzato in un secondo momento.Poco ricordato dalla trattatistica odierna fu, invece, un sisma che ebbe particolare significato per l’evoluzione del tema architettonico connesso allo studio di sistemi capaci di resistere alle scosse telluriche e ai movimenti sussultori e ondulatori della superficie terrestre. Per risolvere questo problema si costituì nel capoluogo lombardo il Comitato Milanese di soccorso pei danneggiati dal terremoto, che non si limitò a portare i primi soccorsi ed a costruire “ba-racche” per il ricovero provvisorio dei sinistrati, ma provvide negli anni seguenti alla realizzazione di casette in muratura, costruite prestando particolare attenzione alla distribuzione ra zionale dei semplici volumi architettonici e cercando di offrire, nel limite del possibile, le migliori condizioni igieniche. Il comitato lombardo non rispose al drammatico evento sismico attraverso l’edificazione dei soli edifici residenziali del paese ma volle farsi carico della ricostruzione dell’itero borgo, edificando 59 case tipologicamente differenti, un asilo infantile per 100 bambini ed un piccolo ospedale capace di ospitare 18 letti, suddivisi in due reparti, uno maschile e uno femminile.

L’impianto planimetrico della nuova Martirano Lombardo è molto semplice ed è caratterizzato dalla presenza di strade che si incrociano perpendicolarmente, da lotti dal rigido disegno geometrico e da una grande piazza centrale rettangolare attorno alla quale posizionare gli edifici pubblici e la chiesa. Attingendo al modello di case a corte lombarda i singoli lotti residenziali della nuova cittadina calabrese furono caratterizzati dal posizionamento perimetrale dello spazio disponibile, con la conseguente formazione di una corte chiusa all’interno della quale furono realizzati gli spazi per i servizi comunitari, quali la fontana, il forno e il lavatoio.Malgrado la standardizzazione e la razionalizzazione dei processi edilizi i fabbricati residenziali edificati a Martirano Lombardo corrisposero a tre tipologie differenti. Il primo tipo era costituito da un modulo abitativo agricolo capace di ospitare due famiglie. Ad ognuna di esse era assegnata una struttura a due piani costituita da una camera da letto e da un locale con funzione di soggiorno e cucina al piano terra e un vasto sottotetto attrezzato per il ricovero degli attrezzi da impiegare nei campi. Sul fronte secondario della case furono addossate le latrine private, assegnate a ogni singola unità abitativa (23).Per le famiglie degli operai il Comitato Milanese studiò una seconda tipologia abitativa, con soluzioni formali similari alla precedente ma con dimensioni leggermente maggiori. Ad ogni famiglia operaia venne assegnato un appartamento costituito da una camera da letto e un locale di piccole dimensioni con funzione di soggiorno e cucina. A differenza della tipologia agricola, caratterizzata dall’accorpamento di due sole unità abitative, le case operaie furono progettate per ospitare 8 appartamenti.Ancora differente fu un terzo tipo edilizio che offriva l’aggregazione di 16 appartamenti costituiti ciascuno da una camera da letto e da una cucina non di ampie dimensioni. Anche in questo caso lo schema planimetrico e volumetrico richiamava quelli già adottati negli altri edifici. Come nel caso della tipologia per gli operai, gli ingressi

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alle singole unità abitative erano autonomi e gli appartamenti erano sprovvisti di latrine, collocate in apposite strutture costruite al centro della corte.Il modello plani-volumetrico assunto per questi edifici, in particolare per la tipologia agricola, costituisce una ripresa delle “baraccate” studiate dai tecnici borbonici in seguito al sisma del 1783, più volte riproposte in Calabria nel corso del XIX secolo. Studiante con interesse dall’ing. Broggi le baraccate borboniche erano ancora esistenti nel meridione nei primi anni del XX secolo, poiché avevano resistito ai numerosi sismi che si erano concentrati nel sud’Italia nei due secoli precedenti. Molte di esse, osservava il Broggi, non erano più in buono stato di conservazione, poiché realizzate con modalità esecutive non adeguate e da lui giudicate “affrettate” e “di-fettose”. I tecnici del Comitato milanese decisero di mantenere i moduli spaziali delle tipologie edilizie borboniche, ma di variarne la struttura costruttiva. Originariamente le “baracche” settecentesche presentavano un’ossatura di legname formata da “ritti disposti in semplice fila agli angoli del fabbricato ed ai lati di porte e finestre; da traversi orizzontali colleganti i ritti e da dia gonali disposte in quegli scomparti non occupati da aperture”, che conferivano alla struttura la necessaria rigidità ed indefor-mabilità. “Questa struttura di legno veniva in seguito rivestita da ambo le parti da muratura in pietrame. L’ossatura restava quindi im prigionata nella muratura ed essendo formata da rozzi legni di castano non squadrati e piuttosto grossi, era causa di slegamento nella compagine della muratura, già poco ben collegata per di fetto di costruzione e per l’impiego di sabbie cattive”. In presenza di forti scosse sismiche i cementi si sgretolavano e fessure di differente entità si creavano in corrispondenza delle membrature, determinando spesso il distacco di grossi pezzi di muratura (24). I nuovi fabbricati realizzati a Martirano Lombardo, dunque, proponevano una doppia ossatura for mata da una duplice fila di ritti e traversi disposti lungo le due pareti, che, in questo modo, risultavano racchiuse all’interno

della doppia intelaiatura. In presenza di onde sismiche l’intelaiatura di rinforzo non solo non favoriva la decoesione tra i differenti materiali edili impiegati, ma costituiva un elemento di contenimento. Tutte le murature furono costruite in pietrame e malta di calce dolce con uno spessore di 40 cm. Esse, inoltre, vennero collegate ai ritti mediante l’impiego di zanche metalliche. Ad irrigidire la struttura dei nuovi edifici i progettisti inseriscono delle cerchiature metalliche della misura di 10 x 40 mm fatte correre sopra il piano dell’impalcatura e lungo i muri perimetrali ed interni (25). Per la copertura piana degli edifici fu impiegato il sistema brevettato dall’Ing. Domenighetti che prevedeva strati alterni di carta germanica e di holzcemenf da disporre su un assito piano e una protezione costituita da strati di sabbia e di ghiaia.Adeguate ai luoghi furono anche le scelte compiute per i pavimenti realizzati in lava metal-lica, mentre assai poveri risultarono i soffitti piani del piano supe riore, costruiti in cannucce intonacate applicate alle smezzole del tetto.Particolare attenzione, invece, venne posta alla progettazione delle canne fumarie che, per non indebolire la struttura coesa delle murature perimetrali rinforzate anche dalle scale in cemento armato, non furono eseguite nello spessore di muro ma addossate agli angoli delle cucine. L’operato del Comitato Milanese non si limitò alla sola riedificazione di Martirano Lombardo, ma interessò anche altri tre comuni fortemente danneggiati dal sisma. Ad Ajello, ad esempio, realizzò un nuovo quartiere costituito da otto edifici capaci di ospitare 80 famiglie, mentre a Briatico si costruirono sei caseggiati per l’accoglienza di 64 famiglie provenienti dal vicino paese di San Leo.In provincia di Catanzaro, inoltre, fu edificato un piccolo nuovo quartiere nei pressi dell’ingresso del paese di Jacurso, costituito da quattro caseggiati capaci di ospitare 32 famiglie.Tipologicamente e formalmente le case che furono edificate ad Ajello, Briatico ed Jacurso erano uguali a quelle proposte per gli operai di Martirano Lombardo, anche se in alcuni casi

presentavano consistenti differenze dimensionali. Negli edifici che aggregavano 16 appartamenti, ad esempio, le cucine furono eseguite con le stesse dimensioni delle camere da letto.Ulteriori differenziazioni riguardarono le tecniche costruttive. Gli edifici costruiti a Briatico, ad esempio, furono realizzati con murature in pietra a cantonetti prismatici, rinforzate da pilastri d’angolo e corree in muratura di mattoni forti, con legamenti in cemento armato e catene metalliche. Questa scelta fu determinata dalla localizzazione del nuovo insediamento, poco distante dalla stazione ferroviaria di Briatico e vicino al mare. I mattoni, dunque, giunsero attraverso la ferrovia, mentre la sabbia, opportunamente trattata, veniva prelevata alla foce di un torrente.Il sistema costruttivo impiegato (mattoni tradizionali, cemento e pietra) offriva, dunque, minori costi di realizzazione e una previsione di durabilità assai maggiore. Le murature, infatti, furono costruite con cantonetti prismatici di pietra del luogo alternati ogni 80 cm. a triple file di mattoni. Rinforzi furono eseguiti nei cantonali principali attraverso l’impiego di murature in mattoni forti addentellanti agli elementi in pietra. Tre corree in cemento armato con altezze variabili tra i 20 e i 25 centimetri furono realizzate a quote differenti, e una solida catena metallica fu inserita come nel sistema costruttivo delle case di Martirano Lombardo.Differente ancora fu la tecnica esecutiva utilizzata per la costruzione dell’Ospedale di Martirano e per le “costruzioni private” che sorsero per iniziativa dei “proprietari benestanti del luogo”. In questi casi, infatti, si scelse di edificare le strutture architettoniche impiegando murature in pietrame rinforzate e colle gate da cantonali, pilastri e corree di cemento armato, oltre che dalle usuali catene metalliche. La scelta, che era stata scartata per gli alti costi di approvvigionamento dei materiali edili e per gli scarsi risultati ottenuti dai test compiuti con la sabbia e la ghiaia estratta da un torrente limitrofo, si rese possibile grazie al ritrovamento di un filone di materiale sabbioso derivato dalla disgregazione di rocce calcareo silicee nella cava di pietra appositamente

coltivata in adiacenza del cantiere. Il materiale fu dunque attentamente studiato e, dopo opportuni trattamenti, fu alla base di nuove sperimentazioni pratiche. I risultati furono confortanti poiché il sistema adottato offriva una maggiore sicurezza sismica, un migliore irrobustimento della struttura dell’edificio, una maggiore durabilità del manufatto architettonico e un minore carico d’incendio. Le pareti, dunque, furono realizzate con muratura in pietrame colle gata a robusti pilastri in cemento armato, posti agli incroci principali dei muri. Collaborazione tra i differenti elementi fu ottenuta mediante la presenza di tre corree poste a quote differenti e realizzate in cemento armato con una tripla fila di tondini di 10 mm di diametro “intrecciata da altra tondina piegata a zig-zag”. Per maggior sicurezza nell’ospedale di Martirano i pilastri della misura di 40 x 40 cm furono dotati di alette collaboranti con la muratura. In tutti gli edifici, inoltre, fu inserita la classica catena metallica di 1 cm di spessore e 4 cm di altezza.Questo modello di costruzione fu alla base anche della progettazione di nuovi insediamenti voluti dal Comitato Lombardo per il terremoto che il 23 ottobre del 1907 colpì Canolo e che impegnò l’istituzione milanese nella ricostruzione di Ferruzzano.L’impegno profuso per soccorrere le popolazioni delle cittadine devastate dal Terremoto di Nicastro aiutò a prendere coscienza delle difficoltà insite in una ricostruzione post terremoto. Esso evidenziò le difficoltà derivate dalla distruzione delle reti infrastrutturali e di comunicazione, spesso già in uno stato di arretratezza tecnologica e di sottodimensionamento rispetto alle reali esigenze, e le difficoltà a reperire manodopera specializzata e materiali edili idonei. Nel caso specifico della ricostruzione seguita al terremoto del 1905 la maggior parte dei materiali furono fatti giungere direttamente dai poli industriali produttivi del settentrione, mentre un gran numero di operai fu chiamato dal Nord Italia e dalla Sicilia. Il terremoto, inoltre, aveva causato la totale assenza di alloggi per gli operai, imponendo la costruzione di strutture provvisorie

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per il riposo e l’alloggio del personale impiegato, e aveva causato ingenti danni alla viabilità, rendendo ancora più onerosi i trasporti dei materiali edili. Per la ricostruzione di Martirano Lombardo, ad esempio, si reputò conveniente la costruzione di fornaci per la calce dolce da realizzare nei pressi del torrente che forniva la materia prima e la ghiaia per le costruzioni. Per il trasporto di tutti i materiali edili fu dunque realizzata una funicolare le cui stazioni di arrivo e di partenza distavano in linea d’aria 1,2 km e possedevano un dislivello di circa 300 metri. Per l’ottimizzazione dei costi gli ingegneri milanesi collocarono la stazione di arrivo “poco più in basso dalla cava di pietre, pur essa vicinissima al cantiere, allo scopo di utilizzare i rifiuti della cava stessa pel riempimento delle benne discendenti le quali, col loro peso, azionavano la funico-lare”. Per il trasporto dei materiali fu realizzata anche una discreta rete “ferroviaria” sulla quale impiegare i “vagonetti Becauville”. Una conduttura provvisoria, infine, conduceva l’acqua raccolta in una sorgente posta a monte del cantiere.

La drammatica e affascinate storia dei terremoti in Italia (26) è fortemente connessa alla più avanzata sperimentazione ingegneristica e architettonica e offre un interessante variazione delle teorie urbanistiche e di panificazione territoriale attuate. L’architettura della ricostruzione, inoltre, mostra nei primi due decenni del Novecento interessanti parallelismi con l’edilizia residenziale popolare. Tema che non è ancora stato adeguatamente sviluppato dalla storiografia dell’architettura italiana e che, invece, offre interessanti ipotesi di studio da verificare. Ciò che è dunque auspicabile per i prossimi anni è un lavoro sinergico e pluridisciplinare sul tema dell’architettura della ricostruzione che sappia far dialogare in maniera proficua, i temi specifici della storia dell’architettura con quelli della statica, delle scienze delle costruzioni, e quelli connessi alla ricerca e alla sperimentazione di materiali innovativi.

Note1. www.emsc-csem.org/index.php?page=home (ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).2. www.ingv.it/ (ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).3. Elenchi redatti da Emanela Guidoboni, Graziano Ferrari, Dante Mariotti, Alberto Comastri, Gabriele Tarabusi e Gianluca Valensise (cfr. http://storing.ingv.it/cfti4med/, ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).4. www.regione.emilia-romagna.it/geologia/ (ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).5. www.ispro.it/site/content/la-storia (ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).6. www.fulmini.altervista.org/ (ultima consultazione del sito 31 maggio 2009).7. Il comune di Massa Martana fu l’epicentro di numerose scosse telluriche nella primavera del 1997. Tuttavia le principali si verificarono nei pomeriggi del 5 e 12 maggio, quando fu rispettivamente raggiunta l’intensità di 3,4 e di 4,5 gradi della scala Richter.8. A Colfiorito fu individuato l’epicentro della scossa delle ore 00:07 del 4 settembre, che raggiunse la magnitudo di 4,4 gradi della scala Richter. Cesi, invece, fu l’epicentro della scossa delle ore 2:33 del 26 settembre (5,8 gradi Richter), alla quale fece seguito la scossa con epicentro ad Annifo, registrata alle ore 11:42 (6,1 gradi Richter).9. Nella scossa notturna del 26 settembre una coppia di anziani rimase schiacciata dal crollo della loro abitazione a Collecurti, una frazione di Serravalle.10. A titolo esemplificativo del vasto numero di scritti presenti sul web senza data o firma dell’autore si rimanda al seguente testo: senza autore, Terremoto dei silenzi, www.lasvolta.net/tds/epicentro.html (ultima consultazione del sito 26 maggio 2009).11. Ai contributi erogati dallo Stato italiano fino all’anno 2000 sono da sommare i numerosi finanziamenti sanciti negli anni seguenti. Tra questi il quindicennale contributo di 3.500.000 euro sanciti dal comma 1013, dell’articolo 1 della legge 296 del 2006.12. Per la descrizione dettagliata del progetto si rimanda a: http://hcilab.uniud.it/terremoto/index.html (ultima consultazione del sito 27 maggio 2009); www.dimi.uniud/esporto/articoli/terremoto (ultima consultazione del sito 27 maggio 2009). Al progetto hanno collaborato Luca Chitaro (Direttore di Produzione), Demis Corvaglia (Modellazione 3D e Simulazione) Enrico Di Lenarda (Assistente alla Modella 3D), Eric Putel (Simulazione), Augusto Senerchia (Sonorizzazione e Montaggio) e Mattia Vale (Sceneggiatura e Regia dell’Animazione 3D).13. Per questo tema e per i danni subiti dagli edifici della città di Bologna in occasione del terremoto del 1929 si rimanda alla banca dati prodotta dalla SGA (Storia Geofisica Ambiente) di Bologna ed a: Boschi e., GuidoBoni e., ferrAri G., MAriotti d., vAlensise G., GAsPerini P., Catalogue of strong Italian Earthquakes from 461 B.C. to 1997, in “Annali di Geofisica, vol. 43, n. 4, pp. 609-868.

* Docente presso il Politecnico di Milano

14. Cfr. regio decreto del 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del primo agosto 1934, n. 179.15. Per questo tema si rimanda al Catalogue of strong italian Earthquakes dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (http://emidius.mi.ingv.it/DBMI04/presentazione.php, ultima consultazione del sito 30 maggio 2009).16. Cfr. Comunicato stampa del funzionario Antonio Piersanti datato primo marzo 2008 (http://portale.ingv.it/stampa-e-comunicazione/archivio-comunicati-stampa/comunicati-stampa -2008/terremoto-del-mugello-1 (ultima consultazione del sito 27 maggio 2009).17. Per i danni subiti dagli edifici romani in occasione del terremoto del 1915 si rimanda alla banca dati prodotta dalla SGA (Storia Geofisica Ambiente) di Bologna e a Boschi e., GuidoBoni e., ferrAri G., MAriotti d., vAlensise G., GAsPerini P., Catalogue of strong Italian Earthquakes from 461 B.C. to 1997, in “Annali di Geofisica, vol. 43, n. 4, pp. 609-868.18. Cfr.: http://forum.ilmeteo.it/showthread.php?t=33407; http://www.inu.it/blog/terremoto_abruzzo/wp-content/uploads/2009/04/portale-di-avezzano-il-terremoto.doc; http://dameilprimo.spaces.live.com/blog/cns!91F9B64D35F2ABB3!1466.entry; http://www.abruzzometeo.it/forum/archive/index.php/t-4719.html (ultima consultazione dei siti 29 maggio 2009).19. Senza autore, Concorso per Costruzioni edilizie nelle Regioni Italiane soggette a movimenti sismici, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 1, gennaio 1909, pp. 62-63.20. Il Programma del concorso fu redatto da un’apposita Commissione nominata d’accordo fra il Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Milano e la Società Cooperativa Lombarda formata dal prof. Mario Baratta, dall’ing. prof. Mario Mario (assessore municipale di Milano), dall’ing. Giannino Ferrini, dall’arch. Angusto Ghidini, dall’ing. Achille Manfredini, dall’ing. Luigi Mazzocchi, dall’ing. Cesare Nava, dall’arch. Giuseppe Sommarga e dall’ing. Paolo Taroni (deputato parlamentare).21. Senza autore, Tipo di costruzione capace di resistere ai movimenti sismici, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 12, dicembre 1909, pp. 744-75122. Cfr. Senza autore, Tipo di costruzione capace di resistere ai movimenti sismici, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 12, dicembre 1909, p. 751.23. Per questo tema specifico di rimanda: BroGGi A., Le costruzioni del Comitato Milanese Pro-Calabria, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 3, marzo 1909, pp. 158-165; BroGGi A., Le costruzioni del Comitato Milanese Pro-Calabria, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 4, aprile 1909, pp. 199-205.24. Cfr. BroGGi A., Le costruzioni del Comitato Milanese Pro-Calabria, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 3, marzo 1909, p. 162.25. L’ossatura degli edifici, scrive ancora Broggi, “si compone

anzitutto di un telaio di base le cui di mensioni esterne corrispondono a quelle perimetrali dell’edificio; questo telaio, posato orizzontalmente sul piano di risega delle fon dazioni, è costituito da doppie filagne congiunte fra loro ad in castro le quali corrono lungo tutti i muri del fabbricato. Sovra di esso si alzano in doppia fila i ritti, disposti lungo ogni spi golo verticale dell’edificio compresi quelli di porte e finestre, questi ritti, che si incastrano al piede nel telaio di base, sono in un sol pezzo e vengono alla loro volta collegati da altre fi lagne orizzontali, alcune disposte al piano d’appoggio delle im-palcature da solaio, altre alle estremità superiori dei ritti stessi e costituenti il piano di posa del tetto. Dette filagne, che sono pure doppie come quelle del telaio di base,si collegano fra loro e coi ritti mediante giunzioni a coda di rondine od a mezzo e mezzo come è indicato nella tav. 16, fig. 5. Tutta l’ossatura è composta con travicelli di larice della sezione di cm 10 X 10; appositi ferri a squadra della sezione di mm 10 x 35, applicati con viti mordenti a testa quadra, rinforzano, le giunzioni dei legnami; grappe di ferro disposte trasversalmente ad ogni metro e mezzo collegano fra loro i ritti che si fronteggiano e le filagne parallele dei telai orizzontali” (BroGGi A., Le costruzioni del Comitato Milanese Pro-Calabria, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere, Architetto Civile ed Industriale”, anno LVII, n. 3, marzo 1909, pp. 164-164).26. Tra i terremoti italiani del XX secolo superiori al quinto grado di magnitudo della scala Richter non citati per brevità in questo studio vi sono: il Terremoto di Linera dell’8 maggio 1914 (7,2 scala Richter); il Terremoto di Fivizzano del 7 settembre 1920 (6,4 scala Richter); il Terremoto del Piemonte del 1945 (5,2 scala Richter); il Terremoto di Linera del 19marzo 1952 (5,9 scala Richter); il Terremoto delle Marche del 25 gennaio 1972 (5,4 scala Richter); il Terremoto delle Marche del 14 giugno 1972 (5,9 scala Richter); il Terremoto di Livorno e Pisa del 24 aprile 1984 (5,7 scala Richter); il Terremoto di Gubbio del 29 aprile 1984 (5,2 scala Richter); il Terremoto di San Donato Val di Comino del 7 maggio 1984 (54,4 scala Richter); il Terremoto di Reggio Emilia del 15 ottobre del 1996 (5,4 scala Richter); il Terremoto della Basilicata e della Calabria del 9 settembre 1998 (5,2 scala Richter).

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Resistenza garantita I pannelli modulari per l’isolamento termoacustico, ignifughi e resistenti agli eventi sismicia cura della redazione

Focalizziamo l’attenzione sulle tecnologie utilizzate per i sistemi costruttivi, tematica di stringente attualità a causa della drammatica necessità di ricercare soluzioni innovative in edilizia contro i danni causati dai terremoti in Italia come all’estero. Il sistema costruttivo Emmedue si compone di una gamma di prodotti – muri portanti, divisori, solai e scale – composti da lastre in polistirene espanso (con densità e spessori variabili) e da due reti elettrosaldate in filo di acciaio galvanizzato collegate fra loro da connettori di acciaio. Tale sistema garantisce isolamento termoacustico, resistenza al fuoco e agli eventi sismici. Il miglioramento del confort termico è inoltre garantito dalla presenza diffusa del polistirene e dalla sua conduttività termica molto bassa che permette l’eliminazione dei ponti termici.

Modalità costruttive I pannelli possono essere trasportati a mano, da uno/due addetti, anche in forma assemblata e in dimensioni superiori ai 4 m2. Successivamente, nella fase di montaggio, può

essere lavorato e posizionato manualmente da un singolo addetto senza l’utilizzo di mezzi di sollevamento. Le tracce di servizio non richiedono assistenza muraria. I solchi nel polistirene si eseguono mediante un generatore di aria calda e le canalizzazioni degli impianti si posano dietro la rete metallica. In caso di tubi rigidi o semirigidi la rete metallica è tagliata per la lunghezza necessaria con l’impiego di normali cesoie e successivamente ripristinata con porzioni di reti piane di rinforzo. Una volta collegati i pannelli tra loro dopo la piombatura, realizzato il getto di calcestruzzo nel caso dei pannelli doppi e sistemati gli impianti, si può applicare l’intonaco direttamente sul pannello. La zincatura della rete di sostegno non preclude l’impiego di alcun tipo d’intonaco. Inoltre l’intonaco, applicato su pareti intimamente connesse tra di loro e armato per la presenza della rete metallica, risulterà monolitico, escludendo fenomeni di fessurazione derivanti da sollecitazioni meccaniche e/o termiche.

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Il pannello doppio è costituito da due pannelli base, sagomati e collegati tra loro da doppi connettori orizzontali che creano all’interno uno spazio da riempire con calcestruzzo di opportune caratteristiche e resistenza. Lo spessore del setto di calcestruzzo all’interno del “pannello doppio”, così come le caratteristiche del calcestruzzo stesso, saranno determinati in funzione delle esigenze strutturali. Il pannello è infine completato con l’applicazione dell’intonaco esterno. Il pannello doppio, fornito completo di armatura certificata da un Laboratorio ufficiale nel rispetto della legge 5 novembre 1971 n.1086 - d.m. 9 gennaio 1996, rispetta le prescrizioni sulle strutture in cemento armato secondo l’Eurocodice 2 (EC2). Pannello Doppio Angolare. Pannello da utilizzarsiin combinazione con il pannello doppio per la realizzazione degli spigoli. Il pannello angolare completa la gamma dei pannelli doppi, con i quali si realizzano setti portanti in conglomerato cementizio armato.

Caratteristiche tecniche

Pannelli singoliil pannello singolo è costituito da un traliccio spaziale di acciaio che racchiude una lastra di polistirene espanso ed è completato in opera con betoncino. Pannello Singolo semplice. Utilizzato come struttura portante, per costruzioni fino a quattro piani, con applicazione di intonaco strutturale su entrambi i lati; per tramezzi, divisori e tamponamento, in edifici nuovi o da ristrutturare; per tamponamento e divisori in edifici industriali e commerciali di grandi dimensioni; come cassaforma a perdere isolante per coperture e solai di luci contenute, predisposto con o senza nervature pre-gettate. Pannello Singolo “HP”. È un pannello speciale caratterizzato dall’applicazione di una doppia rete elettrosaldata su ogni lato e all’elevata strutturalità unisce una notevole resistenza alle azioni orizzontali, sia statiche che dinamiche. Per soddisfare esigenze di vario tipo è possibile richiedere la fornitura di pannelli singoli con inserti di materiali isolanti diversi quali sughero, lana di roccia o lamina di piombo.

Emmedue produce inoltre altre tipologie di pannelli.Nell’immagine: il pannello pianerottolo. Per la realizzazione di pianerottoli, solai e piastre armate bidirezionalmente. Conferisce un isolamento continuo all’intradosso del pannello.Il pannello pianerottolo si può sfruttare anche per qualsiasi piastra o soletta in c.a. da armarsi in due direzioni, con il vantaggio di un peso più modesto rispetto una soletta piena e della presenza di un isolante continuo che funge anche da cassaforma.

Pannello Scala È costituito da un blocco di polistirene espanso, sagomato in base alle esigenze progettuali, rivestito con due reti metalliche assemblate per cucitura con fili di acciaio saldati in elettrofusione. Questo pannello, adeguatamente armato e completato con getto in opera negli appositi spazi, viene utilizzato per la realizzazione di rampe scale da completare esternamente con del tradizionale intonaco, piastrelle, o altro materiale. Il pannello scala si caratterizza per l’agevole e veloce posa in opera, unita a una particolare leggerezza e resistenza strutturale.

Pannello Solaio. Con il pannello solaio Emmedue composto da una lastra sagomata in polistirene espanso si realizzano solai e coperture di edifici con aggiunta di acciaio integrativo all’interno di appositi travetti e successivo getto in opera di conglomerato cementizio.

EmmedueVia Toniolo 39/b Z.I. BellocchiFano (PU)tel. 0721 855650/1 fax 0721 854030www.mdue.it

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“In questo momento di difficoltà, è importante offrire le nostre diversificate sensibilità e professionalità, a testimonianza del nostro impegno e della nostra cultura della collaborazione. Il nostro essere innovatori di sistema e di prodotto, ci consente di sviluppare soluzioni all’avanguardia per la realizzazione di opere in grado di coniugare benessere e sicurezza nel tempo, nel pieno rispetto delle peculiarità architettoniche locali”. Questo, in estrema sintesi, il messaggio che Giuseppe Fava, presidente di Stile21, ha voluto trasmettere ai partecipanti del convegno, tenutosi a Parma lo scorso 7 maggio. L’incontro, patrocinato dai Comuni di Parma e di Langhirano, dall’ Ordine degli ingegneri, da quello degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori e dal Collegio dei geometri e geometri laureati della Provincia di Parma, fa parte di una serie di iniziative promosse da Stile21 mirate alla divulgazione dei benefici degli edifici realizzati con struttura di legno.

Gli interventi tenuti hanno spaziato dall’analisi del comfort abitativo e della salubrità degli edifici

Edifici a struttura di legno,una possibile soluzionea cura della redazione

Quali sono i vantaggi di abitare una struttura in legno?A questa e ad altre domande si è cercata risposta durante il convegno “Edifici a struttura di legno”, tenuto a Parma a inizio maggio, con il patrocinio degli Ordini degli ingegneri, degli architetti e dei geometri della provincia, e organizzato da Uni-Edil, azienda associata a Stile21.

Nella foto un momento del convegno organizzato da Uni-Edil. In piedi il moderatore dell’incontro, Almerico Ribera

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– l’equilibrata combinazione dei pacchetti costruttivi risolve i problemi di condensa interstiziale,

– il buon isolamento delle strutture in legno, data l’omogeneità del materiale, permette l’eliminazione dei ponti termici e della condensa superficiale.

Inoltre, anche con spessori ridotti delle pareti, si possono ottenere ottimi livelli di isolamento termico, con pareti calde e asciutte, soprattutto per quello che riguarda la tipologia a pannelli, e garantire un’adeguata inerzia termica, assicurando un idoneo comportamento della struttura, nei mesi estivi.

Il comportamento sismico e al fuoco degli edifici a struttura di legno, tipologie costruttive e riferimenti normativi sono stati, invece, i temi centrali dell’intervento dell’ingegner Maurizio Follesa, consulente e autore di volumi in materia.In relazione alle costruzioni in zona sismica, l’Eurocodice 8 prevede che le strutture “debbano

in legno, alla descrizione del comportamento di questo tipo di costruzioni in caso di sisma e incendio (1). E l’attenzione al benessere delle persone all’interno degli edifici in legno è stato il centro del primo contributo della giornata, a cura di Claudia Fedrigo, ingegnere del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’Università di Trieste. Chiaramente il rapporto tra temperatura e umidità dell’aria gioca un ruolo fondamentale per garantire il benessere abitativo e fra i materiali isolanti, la fibra di legno è molto indicata, perché assorbe acqua sino ad elevati valori di umidità relativa dell’aria e, per sua natura strutturale, non risente dell’aumento di trasmittanza, a differenza degli altri materiali isolanti.In conclusione, l’ingegner Fedrigo ha sottolineato i vantaggi dell’utilizzo del legno con funzione strutturale: – le costruzioni in legno possono essere

altamente traspiranti e igroscopiche grazie a una corretta disposizione degli strati che compongono pareti e solai;

essere concepite secondo il Criterio della gerarchia delle resistenze, ossia occorre prevedere che gli elementi strutturali a comportamento plastico raggiungano lo stato post-elastico quando gli elementi a comportamento fragile sono ancora in fase elastica e ben lontani dal raggiungimento della rottura”.Nel caso delle strutture in legno, tale criterio viene perseguito progettando adeguatamente i giunti con connettori meccanici, avendo cura di rendere gli elementi di legno più resistenti dei giunti e tenendo conto della duttilità dell’intera struttura, attraverso l’introduzione del fattore di struttura q.“Le indicazioni contenute nell’Eurocodice 8 sulla progettazione delle strutture di legno nei confronti delle azioni sismiche, sono tuttavia pressoché interamente riferite a edifici realizzati con sistema Platform”, ha sottolineato Follesa, e che “sono carenti, o talvolta del tutto assenti, i riferimenti per la progettazione e realizzazione di edifici costruiti con altri sistemi costruttivi, pur

citati e ammessi nella norma. Occorre pertanto un aggiornamento della norma, che tenga conto dello sviluppo dei nuovi sistemi costruttivi e degli importanti risultati ottenuti dalla ricerca in questo settore, soprattutto nel nostro Paese”.A questo proposito, è stata descritta la campagna di prove sperimentali condotta dal CNR-IVALSA tra il 2005 ed il 2007, finanziata dalla Provincia Autonoma di Trento, che ha portato all’esecuzione di una serie di test sismici su tavola vibrante, effettuate inizialmente su un edificio di tre piani, presso il National Institute for Earth Science and Disaster Prevention a Tsukuba in Giappone, e successivamente, su un edificio di sette piani, presso la piattaforma sismica E-Defence, dello stesso istituto, situata nella città di Miki, nei pressi di Kobe. In entrambe le prove, gli edifici sono stati sottoposti diverse volte alle riproduzioni di terremoti distruttivi (come quello di Kobe del 1995) a intensità crescenti, fino alla massima. I risultati sono stati sorprendenti: gli edifici hanno oscillato, ma sono rimasti perfettamente “in

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piedi”, manifestando, a test terminato, un livello di danno minimo.

Il convegno si è chiuso con la presentazione del manuale di progettazione e di manutenzione Stile21 a cura di Paolo Lavisci, consulente dell’associazione. Si tratta di un manuale costruttivo e di manutenzione basato su un capitolato prestazionale conforme ai sei requisiti essenziali della Direttiva prodotti da costruzione (89/106/Cee) e alle normative italiane, che hanno inserito il legno tra i materiali che possono essere utilizzati, in edilizia, con funzione strutturale.Le motivazioni che hanno determinato questa scelta sono da riferirsi a una maggiore richiesta di prestazioni termo-acustiche degli edifici e delle singole componenti edilizie e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso l’uso di materiali eco-compatibili ed eco-sostenibili.Il manuale, in continua evoluzione, si compone di 46 nodi strutturali e di 43 elementi costruttivi

e approfondisce anche alcuni accorgimenti per prevenire efficacemente funghi e muffe. La stabilità dell’edificio può contare su un adeguato margine di sicurezza: lo sfruttamento delle sezioni dev’essere inferiore all’80% della resistenza dei materiali. In caso di incendio, le strutture hanno una resistenza al fuoco minima di 30 minuti (se non diversamente richiesto) ed è garantita l’assenza di emissioni tossiche e nocive. Per quanto concerne la protezione al rumore, una precisa combinazione di strati di materiali isolanti, uniti ad un opportuno disaccoppiamento acustico e un accurato studio dei dettagli di connessione consentono di superare i requisiti di legge nei tre parametri fondamentali: potere fonoisolante delle partizioni tra ambienti (legge +2 dB), isolamento acustico di facciata (legge + 2 dB) e rumore da calpestio (legge – 2 dB). Rispetto ad un’abitazione tradizionale, il risparmio energetico è garantito da una trasmittanza inferiore del 10% rispetto ai requisiti applicabili in loco e dall’ottimizzazione di traspirabilità e inerzia termica. Infine, particolarmente importante, la durabilità delle costruzioni viene garantita dall’accuratezza nei particolari costruttivi “cordolo fondazione-parete”, “angolo parete-parete” e “collegamento parete-copertura”, che evitano l’ingresso e/o il ristagno dell’umidità, permettendo alla struttura di mantenere il proprio grado di sicurezza per 50 o 100 anni, nel pieno rispetto di quanto richiesto dalla normativa vigente. Il legno offre anche elevate performance antisismiche: questa tipologia di costruzione è caratterizzata da un ottimo rapporto tra resistenza e peso proprio in quanto, con una massa inferiore rispetto alle loro equivalenti in muratura, subisce in modo ridotto gli effetti dei sismi. Infine, gli elementi in legno vengono collegati tra loro tramite l’uso di connettori deformabili che, adeguatamente dimensionati, permettono alle strutture di raggiungere un comportamento duttile e dissipativo, ideale per resistere in caso di terremoto.

Note1. Invitiamo i lettori ad approfondire la discussione sulla scelta del calcestruzzo o del legno nelle costruzioni, consultando i numerosi articoli apparsi sul sito www.ingegneri.cc e a fornire le loro opinioni al riguardo.

Stile21Stile21 nasce da un gruppo di aziende qualificate che, pur mantenendo la loro autonomia, si sono associate per offrire le proprie risorse in modo differenziato: dalla fornitura degli elementi di carpenteria a piè d’opera fino alla completa costruzione del fabbricato. Stile21 si posiziona, sul mercato, con l’obiettivo di sostenere e favorire la crescita continua dei consorziati sia in termini qualitativi, sia di performance. Stile21 ha ottimizzato i benefici delle costruzioni di legno attraverso un protocollo tecnico prestazionale di eccellenza che ha come punti cardine le elevate prestazioni termiche e acustiche, la velocità di costruzione, la sicurezza al fuoco e al sisma, la durata nel tempo e il rispetto per l’ambiente. Stile21 è composto da quattordici aziende: Service Legno, Diemme Legno, Holzbau Hofer, Legnami Mattarei, Legnotech, Rao & Sartelli, Aldo Ciabatti, MC3, Zoppelletto, Abilegno Strutture, Mori Legnami, Marlegno, Eko Casa e Uni–Edil e i suoi partner sono Celenit, Heco Italia, Solas, Impronta, Roto e Mak-Holz.

Consorzio Stile21Via Delle Industrie, 1930175 – Marghera (VE)tel. 800 212 [email protected]

Nella foto Giuseppe Fava, Presidente di Stile 21

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Il legno, lo sappiamo, è il materiale che resiste più di altri in caso di sisma. Non è un caso che in Giappone, territorio celebre per le calamità sismiche, le case siano costruite per la maggior parte in legno e che, malgrado i numerosi eventi catastrofici, esistano ancora intatte decine di costruzioni storiche realizzate in legno.

A L’Aquila, in seguito al terremoto del 6 aprile scorso, un fatto significativo dimostra che la scelta del legno lamellare in zona sismica si è rivelata decisiva: ben 26 casi di coperture in legno lamellare realizzati da Holzbau, azienda, nota per le competenze e per l’esperienza nel settore, hanno resistito integre al sisma.

L’accuratezza nella fase di progettazione, il numero considerevole di strutture realizzate e la qualità del materiale utilizzato sono i requisiti fondamentali che Holzbau garantisce per assicurare la massima sicurezza e la stabilità delle sue strutture.

Sisma: quando il legno lamellare fa la differenzaa cura della redazione

Ben 26 casi di coperture in Legno Lamellare realizzate da Holzbau a L’Aquila hanno resistito intatte al sisma.

Copertura centro servizi a Cansatessa (AQ) Anno di costruzione 2003 82 mc di legno lamellare - 640 mq coperti

Una scelta, quella del legno lamellare, dettata oltre che dalla necessità di contenere i tempi, grazie a sistemi costruttivi prefabbricati e assemblati a secco, principalmente dall’urgenza di costruire con i massimi criteri di sicurezza e con metodi costruttivi all’avanguardia.

Di seguito, alcune immagini degli edifici realizzati, scattate dopo il sisma, che mostrano coperture molto diverse per tipologia e modalità costruttive, ma che testimoniano un fatto: nessuna presenta alcun tipo di fessurazione, nessun segno di cedimento o rottura.

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Coperture Ville a Preturo (AQ) Anno di costruzione 2005 81 mc di legno lamellare – 1.915 mq coperti Da notare che, nonostante il lieve danno provocato dalla caduta di un camino in muratura, le strutture hanno resistito perfettamente al sisma e hanno garantito la sicurezza e la protezione delle persone.

Copertura civile abitazione a Scoppito (AQ) Anno di costruzione 2007

35,40 mc di legno lamellare – 310 mq coperti

Copertura uffici a L’Aquila (AQ) Anno di costruzione 2006

28,3 mc di legno lamellare –285 mq coperti

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Coperture ville a schiera a Preturo (AQ) Anno di costruzione 2006 20 mc di legno lamellare – 425 mq coperti Da notare che le strutture hanno resistito perfettamente al sisma e hanno garantito la sicurezza e la protezione delle persone, nonostante il lieve danno provocato dalla caduta di un camino in muratura

Copertura centro commerciale a Scoppito (AQ) Anno di costruzione 2007 143mc di legno lamellare – 2.410 mq coperti

Copertura punto di vendita (AQ) Anno di costruzione 2005

27,5mc di legno lamellare – 370 mq coperti

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Copertura piscina Guardia di Finanza, Località Coppito (AQ) Anno di costruzione 2005

Copertura chiesa zona Torretta a L’ Aquila (AQ) Anno di costruzione 2008 26 mc di legno lamellare – 570 mq coperti

Copertura auditorium a L’Aquila (AQ) Anno di costruzione 2007 42 mc di legno lamellare – 450 mq coperti

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4 buoni motivi per preferire il legno lamellare in zona sismica

Leggerezza Il legno pesa circa il 75 % meno del cemento. Da un punto di vista fisico, la minore massa prodotta dal legno permette di contenere gli effetti della forza sismica, che sono proprio proporzionali alla massa volumica. Per questa ragione l’onda d’urto ha un effetto di gran lunga inferiore, a beneficio della tenuta della struttura.

Elasticità Per questo motivo l’onda d’urto del sisma si riflette meno che negli altri materiali. La deformabilità, cioè minore rigidità del materiale, ne aumenta la capacità di assorbire lo sciame sismico, con i benefici effetti.

Alta capacità meccanica Cioè la capacità di resistere a sollecitazioni consente ad una struttura in legno lamellare di sopportare meglio di altri le deformazioni, per un periodo molto maggiore e con minori riflessi per le parti vicine.

Capacità di dissipare l’energia Le diverse componenti di una struttura in legno lamellare sono unite da giunti che naturalmente assorbono e riducono i movimenti strutturali. In questo caso giova molto l’esperienza: un’azienda che ha più casi a disposizione, ha un know how superiore per fornire i sistemi di giunzione più adeguati a sopportare i sismi.

HolzbauVia Ammon, 1239042 – Bressanone (VE)tel. 0472 822666fax 0472 822600www.holzbau.it

Copertura - ingresso Casa di cura a Villa Letizia (AQ) Anno di costruzione 2000 41 mc di legno lamellare – 485 mq coperti

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Il software dell’azienda padovana è un programma di calcolo strutturale a elementi finiti con interfaccia tridimensionale che prevede l’input di elementi in cemento armato, muratura, acciaio e legno.Di particolare interesse è l’ambiente di input, completamente rinnovato, che supera i problemi di inserimento dati, a volte di non facile approccio.

L’input consiste nel semplice disegno 2D delle piante del manufatto che il programma trasforma automaticamente in disegno 3D attraverso un proprio CAD interno o interfacciandosi direttamente con AutoCAD®, AutoCAD LT®, IntelliCAD® for Concrete, AutoCAD Architecture®, ecc . Le modalità di input sono influenzate positivamente da due caratteristiche innovative del programma: la modellazione solida e la tecnologia di programmazione a oggetti. Nel disegnare gli elementi strutturali l’utilizzatore deve preoccuparsi solamente del loro corretto posizionamento nel disegno senza doversi occupare dei problemi di modellazione; le

Un CAD per l’antisismica Le caratteristiche di SismiCad 11 di Concretea cura della redazione

connessioni tra gli elementi sono infatti gestite dal modellatore solido che provvede a collegare tra loro nel modello matematico gli elementi che presentano interferenza geometrica nella rappresentazione grafica di input. Sono poi previste le verifiche e la produzione degli esecutivi anche secondo le recenti Norme Tecniche per le Costruzioni 2008.L’input, in origine progettato specificatamente per edifici, è in grado di gestire à qualsiasi tipo di struttura (reticolari, vasche, cupole, ecc.).Per agevolare la definizione geometrica della struttura e favorire il collegamento ai CAD 3D architettonici è disponibile una procedura alternativa di input della struttura basata sull’importazione di dati esterni. In pratica è possibile importare in un nuovo lavoro di SismiCad la geometria di alcuni elementi strutturali e i carichi, se previsti, da Autodesk Revit Structure®, Revit Architecture®, Nemetschek Allplan®, Graphisoft Archicad®, CADLine ARCHline XP® o altri software simili (Autodesk Architectural Desktop®, VectorWorks®, Microstation® ecc).

Completamente ridefinito qualche anno fa, SismiCad 11, il software sviluppato da Concrete per la progettazione strutturale nel campo dell’ingegneria civile, continua a crescere e si arricchisce continuamente di nuove funzionalità. Ecco una panoramica delle funzionalità più innovative.

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Interfaccia utenteNotevole è l’interfaccia utente di SismiCad che si basa su tre finestre principali.- La finestra disegno utilizzata per l’input permette la rappresentazione degli elementi strutturali con le rispettive proprietà.- La finestra modello visualizza i risultati del solutore e consente l’accesso a tutti i valori numerici della soluzione.- La finestra verifiche rende disponibili i risultati delle verifiche di tutti gli elementi strutturali e consente di visualizzare, oltre allo stato di verifica, tutti gli elaborati prodotti quali relazioni di calcolo, computi, disegni esecutivi.

La selezione di un elemento in una qualsiasi delle tre finestre permette il posizionamento in tempo reale sull’elemento corrispondente in una delle altre due.

Risultano così facilitate le operazioni di controllo sia dei risultati della modellazione che dei risultati delle verifiche. SismiCad lavora indifferentemente in lingua italiana e inglese sia nelle interfacce video che negli output grafici e di calcolo.

Le versioni di SismiCadAccanto alla versione base del programma esistono numerose opzioni per arricchire e personalizzare il proprio software, in funzione delle esigenze dei singoli progettisti. La versione “di partenza” è SismiCad CA a cui si possono aggiungere le integrazioni per murature, acciaio, legno, architettura e normative estere. Esistono poi delle versioni limitate per chi ha esigenze di calcolo ridotte e versioni indipendenti per chi ha necessità di calcoli molto specifici. Ecco in breve una presentazione di ciascuna di esse.

SismiCad CAQuesto prodotto è costituito da un programma di calcolo strutturale ad elementi finiti con interfaccia tridimensionale che prevede l’input di elementi in cemento armato, muratura (solo come carico di tamponamenti), acciaio e la verifica di elementi in cemento armato. Questa versione è una sorta di “base” e ha come integrazioni opzionali più comuni le verifiche per elementi in muratura, verifiche per elementi in acciaio e le verifiche per elementi in legno.

Integrazione MuratureQuesto prodotto è in grado di estendere le funzionalità di SismiCad CA, e SismiCad Light, alla verifica degli elementi in muratura. Sono presenti tutte le analisi per le verifiche della muratura portante in zona sismica compresa la modellazione a telaio equivalente con analisi pushover a fibre.

Integrazione AcciaioQuesto prodotto è in grado di estendere le funzionalità di SismiCad CA, e SismiCad Light, alla verifica di aste e giunzioni in acciaio, nonché alla progettazione automatica di reticolari (solo se su piano verticale con profili L o C anche accoppiati). Inoltre libera l’archivio delle sezioni in acciaio alla definizione di profili generici e personalizzati.

Integrazione LegnoQuesto prodotto è in grado di estendere le funzionalità di SismiCad CA, ma anche di SismiCad Light, alla verifica di aste in legno composte da più poligoni rettangolari o circolari. È inoltre da poco disponibile la verifica di case con pareti in legno massiccio.

Integrazione ArchitetturaQuesto prodotto è in grado di estendere le funzionalità di SismiCad CA, ma anche di SismiCad Light, integrandolo con software di terze parti destinati all’architettura. In pratica consente l’importazione della geometria strutturale se gli elementi sono già stati definiti in 3D con altri programmi di disegno architettonico.

Integrazione Norme EstereQuesto prodotto è in grado di estendere le funzionalità di SismiCad CA, ma anche di SismiCad Light, con la verifica di elementi in cemento armato e acciaio (Solo se in possesso della Integrazione Acciaio) attraverso alcune norme estere.Le norme previste sono: UBC 97, ACI 318, AISC, NSR-98 per i materiali; UBC 97, NSR-98, NTCDF, COVENIN 1998 per il sisma.

ConcreteStructural engineering softwareVia Della Pieve, 1935121 Padova (PD)tel. 049 8754720fax 049 [email protected]

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