Antani II

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www.youGUC.com REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] 1 Aprile 2011 Anno 1, n°2 L i n f o r m a r i o d e l G U C Anomia Senza RegoleFEDERALISMO Una panoramica sulla nuova Riforma Antani interroga gli esper Antani Supertramp: Non solo crisi Guc in Snow: Diario di bordo Antani: La sfida della fiducia

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Secondo numero della rivista Antani

Transcript of Antani II

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www.youGUC.com

REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] 1 Aprile 2011 Anno 1, n°2

L ’ i n f o r m a r i o d e l G U C

Anomia “Senza Regole”

FEDERALISMOUna panoramica sulla nuova RiformaAntani interroga gli esperti

AntaniSupertramp:Non solo crisi

Guc in Snow:Diario di bordo

Antani:La sfida della fiducia

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Sommario

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Responsabilità e Autonomiadi Stefano Bruno Galliriflessioni sul federalismo

Quali i vantaggi e quali gli svantaggi del federalismo municipale?di Maurizio Pellizzerriflessioni sul federalismo

La Sfida della Fiducia

L’intervistaIl GUC incontra gli Anomia. Una delle band più originali della provincia

Il Sindaco Nicola Leoni, Franca Ferretti e Cesare Battistelli dicono la loro sulla nuova riforma federalista

Antani raccontaLa rubrica

Blue ValentinesRiflessioni di fine inverno

Supertramp! Notizie, curiosità, riflessioni di gazoldesi e mantovani sparsi per l’Italia e per il mondo

Guc on Snow!Diario di bordo della II gita sulla neve

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Antani youGUC.com

La supercazzola

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Il CentocinquanteMario

COSTANZIA: NON CHI COMINCIA, MA QUEL CHE PERSEVERA(Leonardo Da Vinci)

di Marco Viviani

Siamo arrivati al secondo numero. Per molti aspetti, grazie al nostro esor-dio, la strada è già stata tracciata. Spariti i dilemmi degli inizi (Quale for-mato adottare? Quale sarà il nome del nostro foglio d’informazione?), ci troviamo ad affrontare nuove sfide. La prima, è legata alla continuità: abbiamo scelto uno stile, e abbiamo deciso che ogni numero dovrà an-noverare alcune rubriche fondamentali, per rendere subito riconoscibile Antani. Tuttavia, sarà necessario accertarsi, numero dopo numero, se lo stile manterrà inalterato il suo smalto, e se le rubriche che abbiamo stabi-lito ci aiuteranno a definire la realtà che ci circonda o invece, come un ve-stito divenuto stretto, dovremo cambiarle secondo le esigenze dei tempi che verranno. Possiamo considerare il primo Antani come un momento di prove generali, l’equivalente giornalistico dell’accordare gli strumenti. In effetti, per molti aspetti è stato così. Conosco chi collabora con me in queste pagine. Tuttavia, ho avuto modo di conoscerli sulla carta. Con un numero alle spalle, e con i loro pezzi già scritti, so cosa aspettarmi da ciascuno di loro. Siamo solo al secondo numero, ma sentiamo già l’esi-genza di crescere. Per questo, pur mantenendo il nostro stile scanzonato, abbiamo deciso di metterci in gioco con maggiore convinzione, di parlare di argomenti importanti, e di dare la parola su questi argomenti anche ai nostri collaboratori più stretti . Crisi e Federalismo, argomenti che ormai riempiono ogni prodotto mediatico e conversazione. Tuttavia, come già dal primo numero, abbiamo deciso di mantenere un equilibrio aureo: sebbene parleremo di argomenti di forte impatto, ci dedicheremo anche agli aspetti più leggeri. D’altronde, la realtà possiede un’inclinazione al-chemica nel dosare serio e faceto. Se vogliamo descriverla, è necessario comportarci di conseguenza.Comprendo che forse sia un po’ prematuro parlarne, ma invito tutti i let-tori a scriverci. Le opinioni sono linfa vitale per le pubblicazioni, tanto per sapere il vostro gradimento, quanto per evitare di instaurare un mero dialogo unilaterale.gazoldo under construction

GUC

Sommario

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Responsabilità e Autonomiadi Stefano Bruno Galliriflessioni sul federalismo

Quali i vantaggi e quali gli svantaggi del federalismo municipale?di Maurizio Pellizzerriflessioni sul federalismo

La Sfida della Fiducia

L’intervistaIl GUC incontra gli Anomia. Una delle band più originali della provincia

Il Sindaco Nicola Leoni, Franca Ferretti e Cesare Battistelli dicono la loro sulla nuova riforma federalista

Antani raccontaLa rubrica

Blue ValentinesRiflessioni di fine inverno

Supertramp! Notizie, curiosità, riflessioni di gazoldesi e mantovani sparsi per l’Italia e per il mondo

Guc on Snow!Diario di bordo della II gita sulla neve

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La sfida della fiduciadi Andrea Pasini

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Il primo Antani ha convinto proprio tutti. Un successo.

Bene, anzi, benissimo, ma la vera sfi-da inizia ora. La vera sfida è guardare avanti, è creare una continuità in gra-do di rendere questa rivista, nel me-dio termine, un punto di riferimento di informazione micro-territoriale. Una sfida certamente ambiziosa e complicata che il GUC, da solo, non ha nessuna possibilità di vincere. Nel Dicem-bre scorso, il nostro Antani ha visto la luce e solo due mesi più tardi, è sta-to selezio-nato dalla P r o v i n c i a di Mantova e premiato con un fi-nanziamen-to. Di certo non ce lo aspettava-mo, essere in graduatoria con un progetto come Antani, assoluto outsider, fuori dagli schemi delle classiche tabelle pun-teggio bandi, è stata una vera soddi-sfazione.

Avremmo potuto decidere di buttare questi soldi per stampare la rivista in una discreta tiratura garantendo per qualche mese la distribuzione di un significativo numero di copie (facen-do prevedibilmente felice un buon numero di nostri lettori); non lo ab-biamo fatto e non lo faremo, noi in-vestiremo quella somma per acqui-

stare materiale tecnico, per creare un prodotto migliore, più efficiente, più fruibile ed innovativo, in grado di durare nel tempo. Non vogliamo seguire la moda per cui si pianificano progetti a costo, spesso cuciti a misura di bando o dipendenti dalla simpatia dell’ente di turno e per questo destinanti ad implodere in se stessi; noi crediamo fermamente nella possibilità di pen-sare progetti virtuosi, in grado di ra-dicarsi e durare nel tempo, forti della

loro qualità strutturale e del loro va-lore intrinseco.

Progetti di questo genere risultano necessariamente più complessi da pianificare, perché comportano lo studio di un gran numero di varia-bili, presentano molte incognite ed, obiettivamente, un elevato rischio di insuccesso. Non basta insomma co-struire un buon progetto, serve crea-re un “prodotto” che abbia un’iden-tità, che sia fruibile: serve poter raggiungere il lettore con i canali giusti, serve soprattutto convincerlo

e serve, infine, fornirgli gli strumenti per poter diventare il principale pro-tagonista e sostenitore del progetto stesso.In tutto questo noi mettiamo sul piatto lavoro, un‘organizzazione e un progetto di qualità, indipendenza intellettuale e tanta passione; tutto il resto dipende da voi lettori e dal-la fiducia che saprete concedere ad Antani.

Ma perché si parla tanto di fiducia? Non facciamo gli ipocriti, un proget-to per funzionare ha bisogno si di idee ma soprattut-to di fondi, direte voi; perché fare questa pantomima sugli ideali quando quel che servireb-be è così concre-to?

La fiducia può es-sere un concetto c o n c r e t i s s i m o , è il collante che permette ad ogni tipo di interazio-

ne di funzionare: non esiste nessun rapporto di collaborazione sociale o commerciale, nessun network, che si possa creare o mantenere senza fiducia. La fiducia, è quindi un argo-mento dalla valenza fortissima, ma altrettanto inutile e vuoto, se non traslato concretamente in coerenti applicazioni pratiche. Tempo fa, ho letto con grande in-teresse un libro di Stephen M. R. Covey - da cui ho attinto il titolo di questo intervento - che pone grande attenzione sul ruolo tangibile che la fiducia riveste nelle dinamiche dei

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Antani youGUC.com

rapporti commerciali. Egli riconduce il concetto di fiducia ad una elemen-tare quanto efficace equazione ma-tematica: “più fiducia significa meno costi e più velocità, meno fiducia significa più costi e meno velocità”. Cita anche numerosi manager di successo, riporto un passaggio par-ticolarmente significativo, di Pierre Omidyar, fondatore di eBay: “il dato ragguardevole è che 135 milioni di persone hanno scoperto di poter avere fiducia di un completo scono-sciuto. Questo ha avuto un impatto incredibile. Le persone hanno più cose in comune di quanto non im-maginino.” Il concetto di fiducia, come detto, in sé, può essere del tutto banale se ri-condotto ad una sorta di necessaria panacea buonista, non lo è invece questa chiave d’interpretazione che lo pone come strumento concreto capace di creare valore.

Non terminerò questo mio interven-to filosofeggiando a vuoto, vi pro-porrò la soluzione progettuale che tutti insieme, noi del GUC, abbiamo pensato di sottoporre a voi lettori. I partner che fino ad oggi ci hanno permesso di stampare l’esiguo nu-mero di copie cartacee garantite, non ci possono - legittimamente – garantire una tiratura più significati-va, per evidenti ragioni di costo. Per questo, avendo deciso di puntare parallelamente ad un implementa-zione dei contenuti multimediali sul-la versione digitale e ad un coerente approvvigionamento di copie car-tacee, proponiamo a voi lettori de-gli abbonamenti annuali ad Antani, comprensivi di stampa, spedizione al domicilio e tessera socio del GUC ( e tutte le agevolazioni ad essa corre-late), per una cifra, a sola copertura dei costi naturalmente, che a calcoli definitivi si attesterà tra i 20 e i 25

euro annui.

Definito il “cosa”, ecco il “come”. Per i più avvezzi alla tecnologia, sarà disponibile un modulo online sul nostro sito www.youguc.com; gli altri lettori più affezionati alla car-ta, potranno abbonarsi spedendo o consegnando a mano, una richiesta in carta libera, riportante nome, co-gnome, indirizzo del domicilio e indi-rizzo mail (se presente), all’indirizzo: Sala Gianantonio Ferrari – Via Mar-coni 126 – 46040 Gazoldo degli Ippo-liti (MN). Le modalità di pagamento saranno accordate in base alle varie disponibilità.

Noi ci crediamo, abbiamo grande fiducia in Antani e pensiamo che il tempo ci darà ragione; speriamo che anche voi possiate credere in questo nostro progetto conceden-doci la vostra fiducia.

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Responsabilità e Autonomia.di Stefano Bruno Galli.

Nel 2009 i favorevoli al federalismo fiscale erano il 65%, adesso sono ca-lati al 44%, con una scomposizione interessante per classi d’età: 18-35 anni, favorevoli 58%; 36-55 anni, 41%; oltre 55 anni, 35%. Secondo un altro sondaggio, la percentuale dei favorevoli è, addirittura, ancora più bassa (27%) ed è calata quasi del die-ci per cento in sei anni, dal 2005, con punte attorno al venti per cento nel Meridione. La percentuale si è verti-ginosamente abbassata negli ultimi mesi, segno dell’ideologizzazione e della partitizzazione con la quale si è tornati ad affrontare la que-stione del federalismo. La cultura politica italiana è tornata indie-tro di almeno un decennio. Per la prima volta (e ci soccorre un altro sondaggio), la rissosità del siste-ma politico viene infatti percepita come il secondo/terzo elemento di preoccupazione degli italiani, dopo il lavoro (76%) e a pari merito con l’andamento dell’economia (33%) in un momento di crisi quale quello attuale. È evidente che questo ap-proccio negativo — ma c’è da com-prenderlo — al dibattito politico s’è abbattuto sul tema del federali-smo, che non è più (e forse non lo è mai stata sino in fondo) una riforma condivisa. Anzi, come accaduto an-che di recente è esso stesso ogget-to di rissa politica. Ma la riforma va avanti. Per fare i conti sino in fon-do con questo Stato, burocratico e accentratore, che ha dato vita alla democrazia del debito: si mangia il 53% del Pil per mantenere sé stes-so; ha un debito pubblico di oltre 1.850mld di Euro (e una delle ra-gioni va individuata nella separatez-za del centro di prelievo con il centro di spesa); non contiene gli sprechi della Pubblica Amministrazione che, oggi come oggi, ammontano a circa

80mld di euro l’anno — circa sei ma-novre finanziarie — e un’evasione di circa 70mld di euro, corrispondenti a circa la metà del reddito imponibile non dichiarato.

Da qualche parte bisognerà pur co-minciare a riformare questo Sta-to che, se si va avanti così, crollerà come un castello di sabbia in riva al mare. Una classe politica seria e responsabile avrebbe da tempo su-perato le ideologizzazioni e le parti-tizzazioni per cercare di rimetterlo in sesto. Per esempio, il principio dei

costi standard in luogo della spesa storica (che premiava chi spendeva di più e spendeva peggio) qualsiasi sistema politico l’avrebbe adottato ben prima dell’adozione di questa

legge, almeno una trentina d’anni fa; così come i meccanismi per com-battere la piaga dell’evasione fiscale e il necessario ricambio — in alcune aree del Paese — della classe politi-

ca attraverso il principio della re-sponsabilità e dell’autonomia.

E ciò è quasi paradossale poiché la fiscalità del Paese — con la legge 42 del 2009 — sarà riorganizzata su nuove basi, in senso autenti-camente federale, saldando cosi i centri di prelievo ai centri di spe-sa. Era questa la piu rilevante con-traddizione di un sistema che ha generato il rigonfiamento a dismi-sura del debito pubblico, ormai ben oltre la cifra di milleottocento miliardi di euro, proprio perchè centri di prelievo e centri di spesa erano scollegati. Chi spendeva (in prevalenza l’ente locale) non ave-va l’esatta percezione di quanto avrebbe dovuto realmente spen-dere in base alle entrate dello Stato centrale e al conseguente trasferimento all’ente locale. Per tale ragione di fondo — semplice e quasi banale — il centralismo fiscale ha dimostrato, nel corso degli anni, di essere fortemente diseconomico.

A ciò bisogna poi aggiungere la con-siderazione che l’erogazione dei fon-di dal centro agli enti locali avveniva sulla base della spesa storica, cioè in

ZoomStefano Bruno Galli è docente di

Storia delle Dottrine Politiche pres-

so l’Università Statale di Milano e

Presidente di Éupolis Lombardia –

Istituto Superiore per la Ricerca, la

Statistica e la Formazione.

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ragione della continuità dei livelli di spesa raggiunti l’anno precedente. Con l’adozione della spesa standard anche questo problema, connesso ai finanziamenti dello Stato a favore de-gli enti locali, viene risolto alla radice attraverso la federalizzazione della fiscalità. Coordinamento dei centri di prelievo e centri di spesa da un lato, spesa storica e spesa standard dall’altro: questi sono i due elementi che si oppongono frontalmente agli spaventosi livelli di indebitamento raggiunti dal Paese. Se è vero che gli enti territoriali contribuiscono a determinare circa il cinquanta per cento della spesa pubblica e sinora possono contare sul decentramento di circa il dieci per cento della fisca-lità, il segreto del federalismo fiscale consiste nell’innalzare progressiva-mente questo dieci per cento.

Il federalismo fiscale è una dottri-na autonoma, non già un deriva-to — una sorta di corollario — del federalismo istituzionale. Questo provvedimento si inserisce in una linea di perfetta continuità nel qua-dro del più generale processo di federalizzazione, che ha segnato la cultura politica e istituzionale del Paese nell’ultimo decennio, dopo la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà e il riconoscimento, attraverso gli statuti, dell’autonomia

e dell’autogoverno regionale. Anzi, rappresenta un punto di svolta mol-to importante. Perchè produce una significativa accelerazione di questo processo, inteso quale metodo di gestione politica del potere ammini-strativo, come strumento essenziale di gestione della cosa pubblica, come spina dorsale delle politiche pubbli-che. Occorre infatti ricordare — an-che agli scettici — che il federalismo non è un ordine politico statico, ma impone una continua negoziazione, in ogni circostanza concretamente operativa, tra il centro (sia esso lo Stato o la Regione) e la periferia, allo scopo di rispondere alle istanze dif-ferenziate degli interessi organizzati territorialmente.

Il federalismo eletto a metodo, a principio ispiratore delle scelte po-litiche per una gestione efficiente e decentrata delle politiche pubbliche, che soddisfi le istanze organizzate dei territori: questo è il vero senso della rivoluzione in corso. Una ri-voluzione che richiama tutti, dagli amministratori ai semplici cittadini, all’assunzione delle proprie respon-sabilità. Aumenteranno, soprattut-to, le responsabilità enerali della classe politica a tutti i livelli. Perchè il centralismo fiscale, oltre a essere diseconomico, alimenta anche una generalizzata deresponsabilità della

classe politica. Da ora in poi non vi saranno più alibi: l’ente locale dovrà ottenere i risultati migliori e i bene-fici maggiori. Cioè i conti dovranno tornare. L’ente locale è chiamato altresì a una gestione corretta e tra-sparente — da parte degli ammi-nistratori pubblici — delle risorse. Pena l’erosione del consenso da par-te dei cittadini che potranno control-lare e giudicare l’operato della classe politica e sanzionarlo con il voto. Au-menteranno, in questo modo, anche le responsabilità dei singoli cittadini che dovranno interpretare in modo attivo, consapevole e critico, la loro appartenenza a una comunità politi-ca territoriale. Perché il federalismo non è solo una soluzione tecnica migliore rispetto al centralismo. È una mentalità collettiva, fondata sui valori civici, e una filosofia politica. Il futuro insomma sarà il tempo del-la responsabilità e dell’autonomia: questa è la strada — l’unica strada — per risollevare le sorti del Paese, nella circostanza del suo centocin-quantesimo compleanno. Perché le fratture che ne scompongono la struttura e il tessuto sociale (da quel-la Nord/Sud all’evasione, agli sprechi nella pubblica amministrazione) pos-sono essere ricomposte solo con una terapia radicale come quella del fe-deralismo fiscale.

Guc ConsigliaEsiste un modo rigoroso per distinguere fra il reddito che un territorio produce e quello che riceve? Qual è il credito (o il debito) di ogni regione nei confronti di tutte le altre? A che cosa è dovuto l’eventuale de-bito? Troppa evasione fiscale? Troppa spesa pubblica? Troppa inefficienza nell’erogazione dei servizi? Se il federalismo dovesse fare sul serio, ossia attuare davvero qualche principio di giustizia territoriale, come cambierebbe la distribuzione delle risorse fra le regioni italiane? Per rispondere a queste e ad altre do-mande essenziali è necessario ricostruire dalle fondamenta la contabilità nazionale. Servono lenti nuove, per guardare l’Italia senza le lacune e le zone cieche della contabilità ufficiale. Ed è precisamente questo che fa la contabilità nazionale liberale, uno schema di analisi che riprende la distinzione classica tra settore produttivo e settore improduttivo dell’economia. Sulla base di questo schema e di un’immensa quantità di dati, raccolti non solo a livello nazionale ma singolarmente regione per regione, Luca Ricolfi fornisce una prima serie di risposte. E lungo il cammino non scopre solo le dimensioni del “sacco del nord”, oltre 50 miliardi che ogni anno se ne vanno ingiustificatamente dalle regioni settentrionali, ma tanti aspetti dell’Italia che non conoscevamo ancora.

Luca Ostilio Ricolfi (Torino, 1950) è un sociologo italiano.Al 2010, è professore ordinario presso l’Università di Torino, responsabile scientifico dell’”Osservatorio del Nord Ovest”, direttore della rivista di analisi elettorale Polena e membro dell’EAS (European Academy of Sociology). Ha scritto testi universitari di statistica e numerose opere di saggistica riguardanti l’analisi della scena politica italiana.

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Per comprenderne appieno il peso sulle tasche dei cittadini è necessa-riamente importante fare una breve premessa per chiarire cosa intendia-mo per federalismo fiscale.

Il federalismo fiscale è un sistema economico e politico che prevede un rapporto direttamente proporziona-le tra le imposte riscosse in un ter-ritorio (comune, provincia, Regione, Stato) e quelle effettivamente impie-gate, nel tentativo di promuovere le autonomie locali e creare un coordi-namento tra i vari livelli amministra-tivi e di governo, tagliando gli spre-chi e responsabilizzando gli enti.

In Italia il federalismo fiscale, che non era espresso nella Costituzione del 1948, è oggi previsto a seguito della riforma del titolo V operata con la legge costituzionale n. 3/2001, dall’art. 119 della Costituzione, che ne contiene i principi, ed è entrato in funzione a seguito dell’approva-zione della Legge n. 42/2009. I primi due commi del nuovo articolo 119 sono: “I Comuni, le Province, le Cit-tà metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le P r o v i n c e , le Città me-tropolitane e le Regio-ni hanno risorse au-t o n o m e . Stabiliscono e applicano tributi ed entrate pro-pri, in ar-monia con la Costitu-

zione e secondo i principi di coordi-namento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tribu-ti erariali riferibile al loro territorio”.

Il cosiddetto Fisco Federale è attua-to nell’Alto Adige, la cui autonomia sancita dallo statuto negli anni set-tanta, prevede un’ampia autonomia finanziaria e legislativa, le provincie speciali trattengono i nove decimi di tutte le entrate tributarie erariali (anche sui tabacchi, benzina e mar-che da bollo), particolare autonomia anche sui servizi in genere affidati al potere centrale quali: scuole, viabili-tà, infrastrutture.

Anche la Regione Siciliana, ai sensi degli articoli 36 e seguenti del pro-prio Statuto (Legge Costituzionale n.2 del 26 febbraio 1948), è dotata di completa autonomia finanziaria e fiscale.

In diversi Paesi europei vigono siste-mi di federalismo fiscale, che spesso sono accompagnati da un ordina-mento federale dello Stato: Germa-nia, Svizzera, Austria e Belgio sono

Stati federali, mentre la Spagna è uno Stato regionale, con forte auto-nomia fiscale alle singole comunità autonome, ma priva di un ordina-mento costituzionale federale. A li-vello mondiale, alcuni Paesi hanno sia un ordinamento federale riguar-do alla forma di Stato sia riguardo al sistema fiscale: è questo il caso di Stati Uniti, Canada, Brasile, Argenti-na, India e Australia.

Semplificando si può dire che il fede-ralismo fiscale italiano prevede dei meccanismi di riequilibrio dell’eco-nomia locale. Focalizzando la sem-plificazione a livello di federalismo regionale possiamo dire che: le re-gioni meno ricche, come possono essere, ad esempio, l’Umbria piutto-sto che la Calabria o la Basilicata, che

Quali i vantaggi e quali gli svan-taggi del federalismo municipale?.di Maurizio Pellizzer.

ZoomMaurizio Pellizzer è Dottore Com-

mercialista - Partner Studio RA -

Consulente e Revisore dei Conti di

Amm. Pubbliche. E’ presidente del

Gruppo Azione Locale delle Colline

Moreniche del Garda

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non possono chiaramente tenere il passo con quelle maggiormente in-dustrializzate e più ricche, diciamo la Lombardia o il Veneto, trovano il loro equilibrio all’interno del meccani-smo che viene definito Fondo Pere-quativo: vale a dire delle riserve che dovrebbero riequilibrare le finanze delle regioni più in difficoltà.

La novità del federalismo è rappre-sentata dall’aumento delle risorse proprie dei comuni, che diventeran-no prevalenti rispetto al totale delle entrate, cambiando il sistema dei trasferimento ai comuni basato fino ad ora sulla consistenza del livello di spesa storica (decre-ti Stammati). Si comin-cerà a parlare di fabbi-sogno standard, vale a dire quanto costa fare e produrre un servizio. Sostituisce il concetto di spesa storica che finan-ziava, con il meccanismo dei trasferimenti, anche l’incapacità territoriale a rendere efficiente ed economico un servizio. Viene eliminato il con-cetto del: più spendi e più ricevi. I costi stan-dard sono in fase di de-terminazione ed una volta definiti saranno pubblicati sul sito internet di ogni comune. Ogni cittadino potrà controllare l’efficienza del proprio comune. Obiettivo: determinazione livello di spesa reale = riduzione de-gli sprechi = meno tasse ai cittadini. Sarà un metro di valutazione di ogni singola amministrazione.

La recente approvazione del fe-deralismo municipale comporta il passaggio dalla finanza derivata a quella autonoma, sostituendo i tra-sferimenti statali con tributi propri e compartecipazioni. Viene totalmen-te riformata la finanza locale, fino ad oggi basata sui trasferimenti e da

diciotto forme di imposte e tasse, ac-corpando o eliminando 10 delle 18 forme impositive.

Nel triennio 2011 – 2013 le risorse dei comuni saranno rappresentate dalla compartecipazione sul getti-to della cedolare secca sugli affitti, dalla compartecipazione all’iva in sostituzione dell’imposta sul valore aggiunto, il 30 per cento del gettito delle imposte di registro, di bollo, ipotecaria e catastale, dalla mag-

giore entrata rappresentata dal re-cupero di evasione immobiliare, dal fondo di riequilibrio e dall’istituzione di imposte già conosciute come l’im-posta di soggiorno, per i comuni tu-ristici, e l’imposta di scopo (per rea-lizzare un’opera pubblica. Si riapre la possibilità di applicare l’addizionale irpef se la stessa non ha raggiunto lo 0,4%. Dal 2014 il fondo di riequilibrio sarà sostituito dal fondo perequati-vo e i comuni istituiranno: l’imposta municipale propria sugli immobili in sostituzione dell’ICI, con esclusione della prima casa. L’aliquota prevista è pari allo 0,76% con possibilità di incremento o diminuzione fino allo

0,3%; l’imposta municipale seconda-ria che sostituirà la tosap o il cosap.

Tale cambio di sistema genera in-dubbiamente anche dei vantaggi diretti in capo ai cittadini. Pensiamo alla cedolare secca sui contratti di af-fitto, sia liberi che concordati. Il con-tribuente può scegliere se tassare in via ordinaria il suo canone di affitto secondo il suo scaglione di reddito, oppure tassarlo in via definitiva nella misura del 21% per i contratti liberi

ed il 19% per quelli age-volati.

Altri vantaggi indiretti ai cittadini si potranno ave-re dalla determinazione dei fabbisogni standard del proprio ente che, se sarà gestito con efficacia, efficienza ed economi-cità, potrà contenere i costi fissi che dovran-no essere coperti dalla tassazione che ogni co-mune sarà chiamato ad applicare in virtù della propria autonomia im-positiva e per la propria autonomia finanziaria. Per comprendere il pas-saggio prima un Sindaco poteva aumentare una imposta ed il sistema dei trasferimenti basati sul

criterio della spesa storica non con-sentiva alcun controllo al cittadino/elettore; la nuova impostazione non permetterà più ad un Sindaco spen-dere più di ciò che serve poiché tutti potranno vedere e valutare le spese sul sito del comune.

Sicuramente il nesso cittadino/fisco municipale si farà sempre più stret-to, con una particolare attenzione del cittadino alla governance della propria città/comune ed un maggio-re controllo del comune, attraverso i propri organi, verso il cittadino e le imprese.

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eugualeemmecidueQuestione di opinioni

Ritenete che il federalismo, così applicato, porterà benefici agli enti locali ed ai cittadi-ni, o c’è il rischio che uno dei due (o entrambi) si ritroveranno danneggiati?

di Franca Ferrettidi Cesare Battistelli e Marco Nicocelli di Nicola Leoni - Sindaco

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Federalismo significa “unirsi con pat-to” cioè stare insieme sancito da rego-le condivise. Ma il federalismo fiscale che il governo Berlusconi e uno dei suoi principali alleati - la Lega nord – cerca di realizzare, non sembra proprio an-dare verso quell’intenzione. Il partito di Bossi ha sempre dichiarato di voler separare il nord Italia, secondo lui ric-co e industriale, dal sud, parassitario e povero, e per far questo ora cerca di arrivare ad un’autonomia finanziaria locale (federalismo fiscale). Ma non si capisce quanta autonomia reale pos-sano avere le amministrazioni locali, in quanto da una parte potranno au-mentare le tasse ma dall’altra saranno ancora maggiormente ridotti i finan-ziamenti del governo centrale verso regioni e comuni. Questa drastica ri-duzione di fondi sta già adesso obbli-gando gli enti locali a vendere i propri beni (che sono di tutto il popolo) per poter vivere. Quindi, si continuerà a privatizzare indirettamente i beni pub-blici, spesso a prezzi sottostimati, per cercare di trovare quei fondi che lo sta-to neoliberista più non eroga. Inoltre, visto che le tasse statali non saranno certo abolite, molto probabilmente si arriverà ad un aumento delle tasse (statali, regionali, comunali) per far fronte alle spese di amministrazione. Come faranno poi, nell’Italia campio-ne del mondo dell’evasione e dell’elu-sione fiscale i poveri enti locali (regioni e comuni) ad imporre il pagamento di imposte a potenti enti economici pri-vati sovranazionali che magari hanno sede nei loro territori, visto che tale ingrato e faticoso compito non riesce nemmeno allo stato italiano? Per la Lega la questione del federalismo è cruciale per la tenuta del proprio elet-torato. Di conseguenza si vede un go-

Il tema è certamente complesso ed articolato e la domanda richie-derebbe spazi di risposta ben più ampi di quelli disponibili. Se parlia-mo del nascente “federalismo mu-nicipale” esso sostituirà, a regime, 11 miliardi di trasferimenti statali ai Comuni con un mix di tributi pro-pri e compartecipazioni, e ridurrà da 18 a 10 i tipi di imposte cui si aggiungerà, dal 2014 l’Imu propria e secondaria. Sempre dal 2014, dopo una fase transitoria, sarà a regime anche il fondo perequativo che garantirà il 100% di copertura delle funzioni fondamentali dei co-muni meno ricchi.

Nel passaggio alla Camera dei De-putati, il 1° Marzo, presumibilmen-te verrà chiesta la fiducia e quindi il testo non dovrebbe subire ulteriori modifiche. Testo che ha recepito molte delle modifiche proposte da Anci, l’associazione dei Comuni ita-liani.

C’è sicuramente ancora incertez-za e si susseguono quotidiana-mente simulazioni e proiezioni; molto dipenderà dalle risorse messe realmente a disposizione e dalla possibilità di realizzare sul campo un’impostazione sostenibile dell’impalcatura. Nei prossimi mesi avremo più elementi concreti da analizzare. Ogni riforma può sem-pre nascondere rischi ed incognite, e anche se oggi esistono strumenti di analisi che possono abbassarne drasticamente l’impatto diventa fondamentale la capacità di pronta

Il federalismo non è una novità nella storia d’Italia: lo affrontarono Gioberti e Cattaneo nell’800, salvo poi lasciarlo cadere, visti i diversi sviluppi della storia dell’unità d’Ita-lia. La proposta federalista era fun-zionale all’unificazione di un Paese diviso.

Il federalismo di cui ora si sta par-lando è diverso: è una proposta che sottende la frantumazione del Paese, l’esaltazione degli egoi-smi territoriali, l’esclusione di una qualsiasi aspirazione alla solidarie-tà. Non può essere altrimenti, data la genesi dell’attuale federalismo, escamotage lessicale teso a ma-scherare un’idea, assurda e suici-da, di secessione.

Nessuno nega le differenze tra Nord e Sud. Invece di immaginare iniziative tese a superarle, si intro-ducono norme che cristallizzano la situazione, come nel vecchio detto napoletano “chi ha dato ha dato…”. Alcune linee legislative, quali il su-peramento del finanziamento sulla base della spesa storica, la defini-zione dei costi standard dei servizi e della Sanità in particolare, la re-sponsabilità degli Amministratori pubblici, nulla hanno a che fare con la necessità di una struttura fe-derale: riguardano invece l’obbligo di contenere un debito pubblico spaventoso, con la necessità, sem-pre più avvertita, di selezionare una classe politico-amministrativa meno improvvisata, con l’oppor-tunità di introdurre elementi reali di meritocrazia all’interno del pub-blico impiego, con la necessità di stabilire norme che tutelino la li-bertà di scelta amministrativa ma che evitino l’arbitrio. I nodi che il Paese deve sciogliere richiedono il massimo della consapevolezza e della partecipazione, certamente

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verno che, cercando di accontentare tutti, si barcamena in una riforma che finisce per non accontentare nessuno. Ci viene capziosamente detto che la questione del federalismo è cruciale per una qualche improbabile ripresa economica e che per essere competi-tivi servono le grandi aziende, ma poi creano le condizioni per la frammenta-zione economica nazionale.. Le nostre radici culturali sono minacciate da un sistema globale che sta distruggendo tradizioni locali millenarie sull’alta-re del consumismo e di mode che ci vengono imposte, subdolamente e non, dall’alto. Ciò che Marx chiamava genocidio culturale. E cosa significa quel “padroni in casa nostra”, quando non possedendo come Stato nemme-no la moneta circolante – di proprietà di enti non democratici che non sono eletti dai popoli - siamo vincolati nel-la spesa pubblica? Solo in un contesto di sovranità monetaria, nella quale lo stato potesse gestire il proprio debito pubblico, sarebbe auspicabile un fede-ralismo realmente utile a preservare le differenti realtà locali. Per strumenta-lizzare le differenze e racimolare qual-che manciata di voti.

Gazoldo a Sinistra

reazione nel caso vi siano correttivi da apportare in corso d’opera. Al-trettanto importante è il contesto temporale socio-economico in cui avvengono i cambiamenti: stiamo ancora scontando gli effetti di una crisi storica, che ha messo a dura prova la tenuta del tessuto econo-mico e sociale, e non creare osta-coli per un rilancio dell’economia diventa imperativo. Altrettanto im-perativo è che gli Enti non vengano messi nella spiacevole condizione di dover aumentare una pressione fiscale già notevole, per far fronte ai costi di servizi essenziali per una comunità e non più supportati da entrate fino ad oggi certe.

Un federalismo consapevole e ra-gionato, che porti il sistema degli Enti Pubblici a ragionare in termini di efficienza, equità, ottimizzazioni, lotta agli sprechi, semplificazione e competitività, è certamente il ben-venuto; in caso contrario ci atten-dono tempi di grande incertezza.

non garantiti se ognuno si arrocca nella propria realtà, forse al mo-mento prospera, sperando che si possa mantenere tale a dispetto di ciò che la circonda.

Le norme del cosiddetto “federa-lismo municipale” nascondono la necessità di ridurre i finanziamenti statali, date le difficoltà della spesa pubblica. Non si richiama, però, la gente ad una maggiore sobrietà: si scarica invece il fardello delle scel-te impopolari sulle realtà locali, dando agli amministratori la facol-tà di aumentare la tassazione. Se a questo si aggiunge qualche impo-sta, quale la tassa di soggiorno, che ipotecherà negativamente lo svi-luppo turistico (punto di forza del nostro Paese) o la recente soppres-sione dell’ICI (unica consistente im-posta locale), si ha il quadro di un modo di legiferare schizofrenico, combattuto fra scelte d’immagine, clientelari, e volontà di addossare ad altri i problemi.

Si evita di affrontare il problema: le spese vanno tagliate, anche in modo non uniforme, ma neppure filosofeggiando su quelle cosiddet-te improduttive che, guarda caso, sono sempre quelle degli altri.

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L’INTERVISTAdi Riccardo Donini, Stefano Cerutti, Marco Viviani

Per metterli a loro agio, abbiamo pensato ad un intervista partico-larmente informale, obiettivo rag-giunto con successo, data anche la naturale esuberanza e spigliatezza dei Ragazzi. Più che un’intervista, è sembrata una chiacchierata tra vec-chi amici, di fronte -letteralmente- a pizza e birra. Il tutto ha mantenuto un tono quasi anarchico, con battu-te e aneddoti a rendere più frizzante il tempo trascorso insieme. Pedro e Leo, il microfono e le sei corde del gruppo, reggevano la discussione. Lusaz e Dada, basso e batteria, ne fornivano il ritmo come avrebbero fatto sul palco. Dada in particolare, dava l’occasionale colpo sui piatti, con interventi esilaranti.

Ciao ragazzi, iniziamo a chiedervi: com’è nato il gruppo?

Il gruppo si è costituito nel 1998, anche se siamo approdati alla for-mazione definitiva nel 2003. La no-stra prima esperienza comunque, è avvenuta ai tempi del Liceo, durante una festa d’Istituto, quasi per caso: ci siamo trovati assieme a suonare “So Fine” dei Guns’n’Roses. Dopo quell’episodio, abbiamo comincia-to a suonare come Tribute Band dei Red Hot Chili Peppers, fino al momento in cui è arrivato il nuovo bassista Pietro (detto Lusaz) nel 2002-. Adesso puntiamo a mantenere la formazio-ne inalterata fino al 2018, in modo da fregare il pri-mato a Pooh.

Il nome della Band da dove viene?

Deriva dal greco “Anomòs” che si-gnifica “Assenza di regole”. Un nome che ci rispecchia dal punto di vista compositivo, soprattutto in relazio-ne all’assenza di un genere musicale vero e proprio: in diverse occasioni ci hanno etichettato con generi che non ci rispecchiano del tutto, come Nu Metal, Punk Rock, Alternative

Punk. Noi non vogliamo sentirci le-gati a nessun genere particolare, e anche se proveniamo dal Rock come influenza, legarsi troppo ad uno stile rischia di diventare una gabbia per la propria libertà creativa. Inoltre, ognuno di noi ha gusti musicali diffe-renti, che talvolta sono confliggenti. Ad esempio nel nostro ultimo album “The Beauty Of Fall” ci sono pezzi nei quali si sentono molte influenze diverse, come Post Rock o Hardcore Melodico; alcuni pezzi sono tirati, al-tri invece risultano più lenti.

Come nascono i testi e gli arrangia-menti?

Non c’è nessuno al di sopra degli altri che porta una canzone già costruita. Generalmente tutto il processo cre-ativo avviene per gradi, in maniera spontanea. Spesso capita che Leo arrivi con un giro di chitarra parti-colare, a cui poi successivamente si aggiungono i testi del Pedro, e poi si lavora tutti insieme per rendere la canzone completa. Non è un pro-cesso lineare, a volte hai in mente un testo, ma non riesci a cantarlo sulla musica che è stata scelta, poi trovi certe parole, che si fondono insieme quasi per istinto, e ottieni un risulta-

to che ti piace mol-to: non hai deciso di scrivere una canzone, non hai deciso di cosa parlare, tuttavia l’ispi-razione ti ha portato in quel punto preci-so. Probabilmente è proprio per questo

motivo che suoniamo da tanti anni insieme, perché esiste una sintonia particolare all’interno del gruppo, come un capirsi al volo avendo una visione comune.

Di cosa parlano le vostre canzoni?

Tutti i testi girano principalmente at-torno al bisogno di donne del chitar-rista Leo. Scherzi a parte, le canzoni parlano spesso di attualità, intesa

come ciò che accade attorno a noi. Tendenzialmente i testi sono una fi-nestra aperta sulla realtà politica e sociale del nostro Paese, un quadro

di conformismo e appiattimento cul-turale che spesso ci troviamo a criti-care. Ciò che scriviamo però, non si limita solo all’attualità politica, ma a quella in generale: in “World Loo-king At You” ad esempio si affronta il mondo dello spettacolo e di come questo influenzi la normale vita delle persone, che cercano disperatamen-te di scalare la cima senza un percor-so particolare, senza un obiettivo da conquistare. Non è importante di-ventare famosi PER QUALCOSA, l’im-portante è diventare famosi e basta, cercando la fama senza però volerle

“Suoniamo da tanti anni insieme, perché esiste una sintonia particolare all’interno del gruppo, come un capirsi al volo.”

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dare qualcosa in cambio.

Un altro esempio è dato proprio dal titolo dell’Album e dalla Concept Art: “The Beauty Of Fall”, traducibile sia come “Il Bello Della Caduta” o “Il Bello Dell’autunno”, stagione inte-sa come periodo di decadimento. E l’Autunno è adesso, dove predomina

un vuoto assoluto che viene premia-to. La stessa copertina riassume il concetto mostrando un uomo ben vestito che si incammina verso un paesaggio desolato.

Sacrifichereste la vostra originalità in favore di una maggiore visibilità?

No. Se fosse, l’avremmo già fatto con questo album. Preferiremmo altri dieci anni a questo livello piuttosto che tradire il nostro stile, che ci por-ta molte soddisfazioni, sopratutto quando vediamo che viene apprez-zato dalla gente che ci segue e che

ci viene ad ascoltare ripetutamente. Per quanto riguarda il cambiamento però, quello non lo escludiamo, nel senso che non cambiare è impossibi-le. Mutare può significare anche pro-gredire, fenomeno che per noi avvie-ne in maniera spontanea: ascoltiamo spesso le nostre vecchie demo, e ci rendiamo conto di come gli anni ci abbiano migliorato, e di come la no-stra musica si sia evoluta. Vedersi crescere ti spinge a non sacrificare tutto per qualcos’altro.

Acquisire notorietà ha portato qual-che cambiamento nelle vostre vite?

Il nostro stile di vita non è cambiato. Facciamo le prove ancora nel garage, spostando ogni volta la falciatrice per fare spazio alla batteria. Abbiamo acquisito un certo rilievo all’interno del panorama musicale mantovano che ci porta molte soddisfazioni. Per questo ci riteniamo for-tunati nell’avere sempre più spesso l’opportunità di venire chiamati a suo-nare in locali e feste. Un riconoscimento per noi importante è stato entrare nel mercato musica-le internazionale con il nostro primo Album “Closing Up The Basement”. E’ stata una soddisfazione ancora maggiore venir pubblicati in Inghil-terra, un paese notoriamente molto esigente dal punto di vista musicale e molto geloso dei propri generi.

Cosa pensate della realtà musicale italiana? Non trovate un po’ para-dossale venir pubblicati all’estero, prima di aver ancora acquisito una certa notorietà nel vostro paese d’origine?

Bè, in Italia la musica alternativa fatica ad imporsi sulla musica tradi-zionale. Siamo il paese di San Remo, delle canzoni d’autore melodiche e della musica leggera. Per questo è comprensibile venire notati in altre realtà come quelle straniere, ten-denzialmente più portate a puntare sulla sperimentazione e sull’origina-lità. E’ sopratutto una questione di gusti e di abitudine del pubblico.

E’ possibile vivere di musica?

Per noi non è una professione, è una passione. Inoltre è un po’ tardi per diventare professionisti. Occorre sa-pere che chi affronta la carriera di musicista spesso fatica a vivere solo della propria arte. Questo funzio-na anche per gli artisti considerati “BIG”, dal momento che le case di-scografiche preferiscono pubblica-re album che abbiano un impatto sicuro sul mercato, e che vendano il maggior numero di copie. Per que-sto si vedono spesso cofanetti, “Best Of”, tirature limitate. Difficilmente insomma, chi produce lascia poco spazio alla sperimentazione, anche a chi ha dato prova del proprio succes-so e che si è già affermato in questo mondo.

Siamo alla fine, avete qualche consi-glio per chi fosse interessato a fare

musica?

Un consiglio per tutti, anche per chi non ha mai pensato alla musica:

prendete uno strumento ed impara-te a suonarlo. Questo perchè è un bel passatempo, fai qualcosa che ti diverte, e ti ragala soddisfazioni. Per chi invece sta già suonando ed è agli inizi, consigliamo di passare oltre le cover - sia ben chiaro, tutti ci passa-no - ,superarle è una tappa necessa-ria per poter vedere cosa puoi fare di “tuo”. Nel caso poi si riesca a ve-der pubblicato un proprio disco con i propri testi e arrangiamenti, maga-ri anche all’estero, bè quella è una soddisfazione ancora più grande. Es-senziale è però l’UMILTA’, che siamo sinceri, vediamo poco nelle nuove leve. Abbiamo visto troppi ragazzini atteggiarsi a grandi rockstar quan-do nemmeno sapevano accordare i propri strumenti. L’arroganza non è contemplata dalla musica. Un’altra cosa: ascoltarsi spesso. Se si ascolta-no i propri pezzi registrati, magari a distanza di tempo, si nota quanto si è cresciuti in qualità, musicalmente parlando, e questo è utile per ren-dersi conto di come ci si è evoluti e dove si può migliorare ancora.

“L’arroganza non è contemplata dalla musica”

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Supertramp!Notizie, curiosità, riflessioni di gazoldesi e mantovani sparsi per l’italia e per il mondo.

“Non solo crisi”

di Sandra Buzzago Milano

A Milano l’importante è apparire! Nella città della settimana della Moda e della movida notturna

la crisi sembra non esistere perché nessuno ne parla; ma non per questo non c’è. Esempio: uscen-

do alla sera per il tipico aperitivo si vedono locali gremiti di yuppies in giacca e cravatta che rac-

contano quanti milioni hanno investito durante la giornata o viziate ragazzine che decidono dove

andare a ballare. Quello che nessuno dice è che si fa l’aperitivo perché con 8/10 euro non solo si

beve un cocktail ma si cena anche, grazie ai buffet ricchi di ogni leccornia, con un risparmio di 20/25 euro rispetto a

una cena al ristorante.

Insomma, il trucco c’è ma non si vede. Basta infatti parlare un po’ con la gente “normale” per scoprire che dal 2009

a oggi molte aziende dell’hinterland hanno chiuso e grandi multinazionali hanno tagliato gli esuberi; traduzione:

hanno lasciato a casa un sacco di gente! Anche nel mondo

accademico le conseguenze si sono fatte sentite grazie alla

combinazione letale di riforma e crisi: al Politecnico, che con-

ta molto sulla collaborazione delle aziende esterne, ho visto

ricercatori controllare preoccupati gli scontrini del negozio di

elettronica dove alcuni tesisti avevano comprato il materiale

per il loro lavoro (totale dell’operazione: 50 euro). In Olanda,

almeno fino a un paio di anni fa, i tesisti venivano pagati per il

loro contributo alla ricerca.

Il comune dal canto suo non sembra particolarmente preoccu-

pato e continua a sperperare allegramente nell’expo 2015, ma

temo che l’Italia non avrà nulla di tanto innovativo da esporre

se oggi la priorità è ovviamente aiutare chi non ha più un lavoro ma una famiglia ce l’ha, e nel frattempo i ricercatori

devono fare le pulci anche sulla carta igienica usata in laboratorio.

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Si parla tanto di crisi. C’è chi la deplora addossandole la colpa di tutto, chi dice che non esiste, invitando al più sfrenato

ottimismo. Alcuni pensano che il nostro paese ne sia colpito in maniera più grave, altri ritengono invece che il nostro

paese sappia gestirla al meglio, alla luce di un motivo o di un altro. Trampolieri vicini e lontani, a voi la parola! Come

si sente la crisi nelle città italiane ed estere? Le persone sono caute o prodighe? le amministrazioni comunali, o anche

nazionali hanno istituito particolari misure? C’è timore nell’aria o speranza?

Ho dato un argomento abbastanza serio ai miei trampolieri, per questo numero. Mi sono anche accertato che lo af-

frontassero con zelo, senza però frustrare in eccesso la loro creatività. Può sembrare banale, un argomento da “bar

sport”, considerando che tutti ne parlano, e non sempre con cognizione di causa. Tuttavia, se c’è una cosa che Super-

tramp ci può offrire, è la Prospettiva. Ed è proprio questa che ci serve, che ci può aiutare ad inquadrare meglio un

fenomeno globale. Dalle loro postazioni privilegiate in Italia ed all’estero, le loro riflessioni.

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di Simone CaniBarcelona (Spagna)

“Crisi” è una parola che fino a pochi anni fa faceva parte solo della nostra memoria storica ma che ora è ritornata prepotentemente alla ribalta, soprattutto nel vecchio continente. Se in Italia incute ancora timore in Spagna è avvertita come una realtà tangibile; in questa terra l’impatto subito è stato davvero pesante, soprattutto a causa della bolla immobiliare che fu voluta e creata

all’inizio del nuovo millennio sotto la spinta di un’economia ai tempi florida ma che, col senno di poi, si è rivelata un’arma a doppio taglio (causando il fallimento di numerose agenzie immobiliari e la perdita di posti di lavoro).

Il governo impone politiche fiscali rigide ma necessarie che però alimentano il dissenso popolare, soprattutto nelle comunità autonome. Anche il mondo dell’università e della ricerca subisce le conseguenze del cataclisma finanziario, soprattutto per quanto riguarda l’assegnazione di borse di studio agli studenti stranieri in quanto, in tempi di crisi, vengono privilegiati i candidati “autoctoni”.

Il tasso di disoccupazione è elevato (specialmente tra i giovani), tuttavia se si possiedono alcuni requisiti si ha diritto a un sussidio di disoccupazione, il che, combinato con il costo relativamente basso della vita, fornisce a molta gente la chance di vivere dignitosamente.

Le aziende tuttavia sembrano non arrendersi nel cercare di assumere personale altamente qualificato tanto che spesso incoraggiano gli studenti a inviare loro il CV e a sollecitare colloqui di lavoro.

di Francesca Scuttari

Canton (Cina)

Gli States subirono un bello scossone dopo aver visto alzarsi al 7,5% il debito pubblico in mano cinese (2010). Colpo di stato economico? Vorranno governare il mondo? Si è discusso molto sulle possibili ripercussioni che questa tendenza avrebbe potuto provocare, tutti gli economisti hanno espresso un’opinione.

Dallo scoppio della bolla, mentre la maggioranza dei paesi annaspava tra crescita zero, taglio dei posti di lavoro e riallocazioni, il dragone ci sbeffeggiava con una crescita economica media annua-

le del 10% e un mercato del lusso che sfila sulla muraglia cinese, come letteralmente fece l’italiana Fendi all’aurora della crisi. Le tv cinesi non trasmettono ancora nessuna Giulia di Pisa fare appello all’autenticità delle cose semplici come alternativa alla sfiducia ed alla frustrazione dal non poter più possedere, ancora nessun Eminem rivendicare l’orgoglio di una città lacerata nella sua natura produttiva e degenerata nel suo tessuto sociale. Quando vedrò uno spot in cui Yao Ming fà pubblicità di vestiti su misura, sarà il segnale che la crisi è arrivata tra la gente.

Per ora, si lascia spazio alle prime avvisaglie. Inflazione galoppante, prezzi degli immobili impazziti nelle maggiori città, e il governo che ne fissa regolamentazioni pesanti sull’acquisto. Le prime proteste contro le banche si fanno sentire ad Hong Kong (in Cina dubito se ne vedranno), in cui una decina di persone rivendica a suon di tamburi e vignette satiriche “Ridateci i nostri soldi, per favore siamo cinesi”.

Per il resto sfiducia e malumore non si respirano ancora. La gente spende, gli investimenti stranieri aumentano e il maggiore colosso bancario cinese sbarca in Galleria Vittorio Emanuele.

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di Paola Tellaroli Padova

La crisi nel mitico nord-est si nota prima per strada dai negozi vuoti nonostante i saldi, dall’au-mento delle persone che vanno al mercato a fine giornata per chiedere la verdura che domani non si vende e dalla comparsa, accanto alla cara vecchia statua umana di Charlie Chaplin in Via Roma, anche dell’esotica statua egizia e dall’uomo che modella palloncini. La si vede dagli addob-

bi natalizi riciclati dallo scorso anno, dal fatto che per Capodanno non c’è stato il solito concerto dal vivo e lo spettacolo pirotecnico non poteva durare più di un quarto d’ora per la riduzione del budget. La si riconosce nel fenomeno di rimpicciolimento della brioche al bar o dalla quantità di feste di partenza di amici per l’estero.

Ma la crisi si legge soprattutto sui giornali, che parlano di 130 mila veneti senza lavoro e raccontano storie come quella dell’arciprete di Cittadella che durante la messa chiese aiu-to per i debiti della parrocchia, del ragazzo disoccupato che tappezza la città con annunci da gigolò o dell’ex parrucchiera che vive sotto un albero. Si è letto tanto anche dei suicidi dei piccoli imprenditori che hanno spinto la Camera di Commercio ad attivare un numero

verde.

Ma l’aspetto della crisi che più sta facendo parlare ultimamente, e che riempie i giornali di articoli tragicomici è sicura-mente l’introduzione del piatto unico nelle mense scolastiche. Le mamme si lamentano perché il bis è vietato e sono sparite bresaola e frutta biologica. I titoli degli articoli che ogni giorno allietano la mia pausa caffé sono sempre più apocalittici: “Rivolta contro il piatto unico. I genitori: blitz a sorpresa”, “I genitori serrano le fila: il piatto unico è una follia”, “Più frutta e meno halibut”, “Risotto di zucca e spezzatino di manzo: ecco cosa vogliono i bimbi nelle mense”, “Piatto unico: la politica resti fuori”, “Tacchino arrosto e purè di patate: un fiasco”, “Il pane è precotto, stile autogrill” ma non tutti i mali vengono per nuocere: “Abolito il tortino di patate”!

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di Filippo GorniSevilla (Spagna)

Tutti sanno che la Spagna sta vivendo una situazione economia molto critica: la rivoluzione socia-lista di Zapatero sta miseramente fallendo e lo stato spagnolo rientra a pieno regime nei paesi a rischio insolvenza del debito.La disoccupazione a fine 2010 ha toccato il record dal 1997, con 4,7 milioni di persone senza la-voro (circa il 20,3% della popolazione attiva) con un aumento di ben 370 mila rispetto a dicembre 2009.

Un dato persino peggiore rispetto alle previsioni, considerando che l’economia continua a non girare e la diminuzione del Pil dell’0,3% non offre opportunità di crescita e di nuova occupazione. La situa-zione a dir poco critica si riflette sul calo dei consumi e sull’erosione della capacità di risparmio delle famiglie spagnole.I più colpiti sono come al solito i giovani, tra i minori di 25 anni la disoccupazione supera il 40% (il doppio rispetto a due anni fa), mentre nella fascia 25-29 anni il tasso tocca il 25%.Tra le regioni più colpite è presente l’Andalusia ma cosa ha fatto il socialista Zapatero per fronteggiare questa emergenza?Governo e sindacati si sono impegnati a promuovere diverse riforme, tra queste c’è quella previdenziale, con la finalità di alzare gradualmente (dal 2013 al 2027) l’età pensionabile dai 65 ai 67 anni con 37 anni di contributi minimi.In questo modo il Governo garantirà la sopravvivenza del sistema pensionistico an-che nei prossimi decenni ma se la pensione è ancora salva, parlando con le persone per strada si nota una certa incer-tezza sulla possibilità che il paese si riprenda economicamente.

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di Giulia Maestrini Parma

Crisi. E’ dal 2008 che se ne parla. Discutendo, litigando, protestando, facendo previsioni. Eppure io non ne so candidamente nulla. So quello che si dice, certo. So come è nata, quali abitudini l’hanno alimentata, i “colpevoli” che l’hanno pasciuta. Ma non l’ho vissuta. 23 anni e ancora altri 5, 6, 7 prima di fare il mio glorioso ingresso nel mondo del lavoro. Bambocciona? Forse. Fortu-nata?

Sicuramente.

La mia quotidianità universitaria, fatta di concretezze da studenti e burocrazie amministrative, mi mette di fronte ad una spiazzante verità: l’inadeguatezza degli strumenti offerti, l’indifferenza per la meritocrazia e la mancanza di passione nei nostri mentori sono le armi a disposizione del futuro per esorcizzare la recessione.

Le esperienze dirette all’annuale Banco Alimentare mi hanno però sorpreso per l’interesse suscitato, gratificato per la voglia di partecipare che quasi tutti hanno manifestato, riempiendoci di sportine e sorrisi e permettendoci, con la loro gene-rosità, di fare ancora meglio rispetto agli anni precedenti, quando ancora la gravità della crisi poteva essere dissimulata dai gruzzoletti sotto al materasso, dall’ottimi-smo e, perché no?, dall’incoscienza.

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Ho aspettato per un po’ di tempo che arrivasse del Feedback, per Antani. Il problema è che l’ho aspettato sui cana-li sbagliati. Il GUC, sotto molti aspetti, si serve delle mail, e ho dato per scon-tato che i nostri lettori avrebbero fatto altrettanto. Supposizione errata, corro-borata dalla mia esperienza personale: si scrive una lettera od una mail solo quando si hanno motivi profondi per instaurare una comunicazione, o quan-do esiste uno spazio apposito per poter contribuire con il proprio punto di vista (ribadisco: Antani è anche vostro, senti-tevi liberi di contribuire alla causa con i vostri articoli, racconti ed altro). Il tanto atteso Feedback è arrivato direttamen-te. Non di rado ho incrociato persone che hanno voluto parlare di Antani, sia solo per elogiare il risultato. In questo spazio, cercherò di fornire una risposta coerente. In primis, ringraziamo chi ha fatto complimenti al lavoro. Dal simpa-tico commento del signor Rossi “Questo gaglioffo scrive davvero bene!” (Adoro essere chiamato “gaglioffo”. Fa così tan-to sedicesimo secolo!) ai vari “Bravo!” e “Complimenti” sentiti in giro, forse non molto articolati, ma detti con vero entu-siasmo. Un altro modo di apprezzare il nostro lavoro lo posso interpretare nella

celerità con cui sono spariti i nostri nu-meri, e alle continue richieste per nuove copie. Ancora grazie.

Ringraziamo anche le (poche) critiche che ci sono arrivate, critiche costruttive che ci hanno aiutato a correggere qual-che errore. D’altronde, provengono da un professionista che ha preso in sim-patia la nostra iniziativa e che parla con cognizione di causa.

A chi si domandasse, come uno dei no-stri Supertramp, se si può contribuire al giornale, io dico che è il benvenuto. Non è necessario aver fatto corsi o aver letto manuali di scrittura creativa (che ahimè in Italia si fatica a trovare), basta aver qualcosa da raccontare o descrivere, il desiderio di impegnarsi e un po’ di at-tenzione per la grammatica. Al resto pensiamo noi.

Ribadisco: scriveteci! Siete voi lettori il motore di questa rubrica!

Per il momento non ho altro da aggiun-gere, vi auguro una splendida giornata.

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Blue Valentinesdi Macho Viviani

San Valentino è un giorno triste, se sei single. Un po’ come il giorno dei morti se sei vivo. Non è il primo San Valentino che passo da solo, e quan-do il trend si ripete con una certa frequenza si diventa edotti nell’ar-te dello sdrammatizzare. Affiorano sempre bellissimi pensieri per tirar-si su, del tipo: “in fondo, cos’hanno loro che tu non hai?” “Una ragazza” risponde una voce interiore, ripor-tandoti al dunque. Arte di sdramma-tizzare un bel paio di balle.

Ora, è con i single là fuori che voglio par-lare. Mi rivolgo sia a quelli che escono trascinandosi, su gomiti e ginocchia, da una storia che prima li ha accesi, poi infiammati, poi lasciati a bruciare finchè del poveret-to non è rimasto nulla. Mi rivolgo anche a quei di-sgraziati che si sono lasciati macerare, dopo una storia, il cui ricordo gli impedisce di vivere il presente. E anche a quelli che non hanno ancora trovato una tipa che prima li ami e poi li riduca a pezzet-tini come i due poveretti elencati in precedenza. Perché non c’è giorno migliore di San Valentino per ricor-darci della nostra condizione. Non parlerò del 14 febbraio, che non me-rita particolari attenzioni (pensate quel che volete, dai profitti della Pe-rugina ai post melensi su Facebook, non ho deciso di gettarmi nella mi-schia per parlare di San Valentino in sé, o di fare una critica al gusto aria fritta, che qualunque scribacchino

con il vezzo del mugugno o dal corsi-vo facile sarebbe capace di fare).

Parliamo invece della condizione del single. In parte uno stile di vita, in parte una scelta (altrui). Tutti noi sin-gle, nella nostra esistenza, ci saremo sentiti dire, allorquando deploriamo la nostra condizione, le seguenti fra-si:

“Non preoccuparti, prima o poi trovi quella giusta!”

ovvero: prima o poi dovrebbe passa-re. Come la cometa di Hubble, ma-

gari tra settant’anni passa. Intanto ti ringrazio per il conforto in pregevo-le cartongesso, che lascerà il tempo che trova, ed il tuo aiuto concreto, che mi aiuterà a ripetere di volta in volta tutti gli errori già commessi.

“Ma sei un così bravo ragazzo”

Ma no? Perché di solito nella vita rubo auto per rivenderne pezzi di ricambio. Comunque, la commedia umana a questo punto ha raggiunto livelli barocchi. Sappiamo tutti il ve-lato messaggio tra le righe, pari per offensività al clichè “Ma noi siamo solo amici”.

“Guarda, te lo assicuro, tempo pochi giorni e la trovi. Aspetta e vedrai!”

Questa è una frase della mia amica scema (chi non ha un amico scemo, gli ottimisti che vedono rosa persino le deiezioni canine?). Sono quattro anni che me la ripete. Ho il sospetto che come frase porti parecchio sfiga.

“Non è colpa tua, non hai fatto nulla di sbagliato.”

Allora perché io sono da solo e quel-le che mi hanno dato picche no? C’è qualcosa che mi sfugge.

“Chi non ti vuole non ti merita”

Sì, certo. E non esisto-no più mezze stagioni. E i negri hanno il rit-mo nel sangue. Chi di-sprezza compera ed il vecchietto dei western ha sempre la voce stri-dula.

“Mi domando davvero come fai ad essere an-cora da solo… sei (inse-rire complimento)”

Eh già, me lo domando anche io.

Non c’è molto altro da aggiungere, o meglio, sull’argomento viene versa-to quotidianamente un fiume di in-chiostro, ma non vale la pena dilun-garsi. Non pensiate che vivo questa condizione in modo particolarmente fastidioso. Tuttavia, capitano a tut-ti i momenti bassi. Quelle giornate, come San Valentino, nelle quali de-sidereresti riservare a quella perso-nificazione allegorica di Cupido una cura medievale, un lavoretto a base di pinze ed un buon saldatore.

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GUC on Snow = YOOO!!!di Marco “Gallo” Gallesi

Decisamente non c’è termine migliore per rappresentare quanto è stata divertente questa fantastica domenica sulla neve.Del resto non poteva essere altrimenti, viste le premesse: meta in uno dei comprensori più belli delle Dolomiti, corriere al completo e previsioni meteo che promettevano sole pieno con temperature a dir poco primaverili.Arrivati sulle piste la smania di sciare era davvero tanta che in pochi minuti eravamo già pronti: i novizi con gli istruttori dello Sport Time mentre gli snowboarder e gli sciatori in giro tra le tante piste e lo snowpark.Non sono mancate ovviamente le soste per foto (vedi FusoLab) e per le ottime grappette servite nelle tipiche baite.Una volta conclusa la giornata sulle piste cosa poteva esserci di meglio se non una abbondante merenda in compagnia?Ed ecco che “per magia” dalle nostre corriere compaiono tavoli con pane, salame, torte, vino, birre e bibite! Inutile dire che tutti sono rimasti piacevolmente colpiti.. non è

avanzato nulla!Il viaggi di ritorno è stato reso ancora più piacevole grazie al goliardico e folcroristico intrattenimento del nostro Alex Galli e del suo iCellulare.In poche parole una giornata davvero intensa all’insegna della compagnia, del divertimento e dello sport.Un grande ringraziamento ai ragazzi

dello Sport Time e a tutti i partecipanti con la promessa di organizzare ancora uscite in montagna.

Traccia consigliata: The Offspring – I Choose [Ixnay on the Hombre]

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Direttore: Marco VivianiIn questo numero hanno scritto e collaborato: Cesare Battistelli, Sandra Buzzago, Simone Cani, Stefano Cerutti, Riccardo Donini, Franca Ferretti, Marika Gavarini, Filippo Gorni, Giulia Maestrini, Sindaco Nicola Leoni, Matteo Mantelli, Andrea Pasini, Francesca Scuttari, Paola Tellaroli, Marco Viviani.

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REDAZIONE-DIREZIONE: VIA MARCONI 126 GAZOLDO D/IPP. - MAIL: [email protected] Aprile 2011 Anno 1, n°2

L ’ i n f o r m a r i o d e l G U C

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