ANSIA Antidepressivi utili nel trattamento DisturbiDisturbi Supplemento al n°5 di Popular Science...

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SSRI E SNRI Efficacia e sicurezza negli anziani ANSIA Antidepressivi utili nel trattamento PROFESSIONAL EDITION C L I N I C A L L E A D E R K A R EN D A V I S O N dell’UMORE Disturbi DISORDINE OSSESSIVO- COMPULSIVO RESISTENTE Promettente la stimolazione cerebrale GRAVIDANZA TMS come alternativa agli antidepressivi LITIO Influenza sulla funzionalità renale ed endocrina

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SSRI e SNRIEfficacia e sicurezza

negli anziani

ANSIA Antidepressivi utili nel trattamento

Professionaledition

C L I N I C A L L E A D E R

k A R E N D A v I s o N

dell’umoreDisturbi

DISORDINe OSSeSSIVO-COMPULSIVO ReSISTeNTePromettente la stimolazione cerebrale

GRAVIDANZATMS come alternativa

agli antidepressivi

LITIOInfluenza sulla funzionalità

renale ed endocrina

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sommario

clinical SHOT

8 GraVidanZatMs come alternativa agli antidepressivi

10ansia soCialelegame con un’iperattività del sistema serotoninergico

12inVeCCHiaMento CellUlare il rischio nel bambino potrebbe essere legato a depressione materna

HIGHLIGHTS

14ATTACCHI DI PANICOQuale psicoterapia è la migliore?

14anSiaantidepressivi utili nel trattamento

15DEPRESSIONE POST-PARTUMnon legata agli ormoni

16LITIOinfluenza sulla funzionalità renale ed endocrina

17DISORDINE OSSESSIVO-COMPULSIVOPromettente la stimolazione cerebrale per le forme resistenti

EVIDENCE BASED MEDICINE

20interventi per la cessazione del fumo in fumatori con trascorsi di depressione o depressione in corso

20terapia cognitivo-comportamentale per i disordini d’ansia in bambini ed adolescenti

21training autogeno per stress ed ansia

21terapia coniugale per la depressione

INSIDE

22 SSRI E SNRIefficacia e sicurezza negli anziani

26DEPRESSIONE, ANSIA E COORDINAzIONE TELEfONICA POST-TERAPEUTICA

THE CLINICAL GAME

30 fai la tua diagnosi e scopri se è esatta

CLINICAL LEADER

34 a tu per tu con Karen davison

Professional E dit ionD I S T U R b I D E L L' U M O R E

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Direttore Responsabile francesco Maria avitto

Direttore editoriale Vincenzo Coluccia

Direttore Scientifico lucia limiti

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A R TArt Director francesco MoriniImpaginazione niccolò iacovelliWeb Developer roberto Zanetti, Paolo Cambiaghi, Paolo Gobbi

I T & D I G I TA LICT Manager Giuseppe ricciDigital Operation Manager davide Battaglino

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Farmacisti ospedalieri 2.275

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Geriatri 5.465

Psichiatri 8.431

* Dati aggiornati al 31.01.2015

dell’umoreDisturbi

Supplemento al n°5 di Popular ScienceAgosto-Settembre 2015

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Clinical ShotLa scienza in immagini

GravidanzaTMS come alternativa agli antidepressivi

La stimolazione magnetica transcranica (TMS) riduce significativamente i principali sintomi depressivi durante la gravidanza e rappresenta un’alternativa sicura ed efficace agli antidepressivi per le donne che non desiderano assumere medicinali durante la gravi-danza stessa. secondo deborah Kim dell’Università della Pennsylvania, autrice di uno studio in materia, si tratta in effetti di un problema di accettabilità, in quanto le donne preferiscono la psicoterapia ai farma-ci ma l’accesso alla psicoterapia ed i suoi costi ne limitano l’impiego ed il fatto che non tutti vi rispondano indica la necessità di alternative.nell’indagine che ha coinvolto 12 donne in gravidanza è stato osser-vato che la tMs non influenza i livelli di progesterone né quelli di altri ormoni femminili e, quindi, non ha effetti sistemici significativi che possano impedire alla paziente di portare a termine con successo la gravidanza. la procedura dovrebbe anche essere scevra da effetti collaterali, in quanto il magnete influenza soltanto un’area di due centimetri quadrati della corteccia e, quindi, non si avvicina nemmeno alla zona uterina.secondo alcune evidenze, le donne in gravidanza necessitano di una dose di tMs superiore rispetto a quella normalmente impiegata ma la necessità di sottoporsi alla terapia 5 volte alla settimana per un totale di 20 sessioni non sembra costituire un deterrente per il paziente. secondo l’autrice, si tratta di pazienti la cui depressione non consente loro una normale attività lavorativa e, quindi, la necessità di andare in un certo posto ogni giorno non è un problema ma al contrario è cosa gradita, risultando d’aiuto per la paziente.secondo alcuni esperti, la tMs è in genere equivalente agli antidepres-sivi in termini di efficacia, ma in caso di pazienti gravemente depresse e melanconiche l’elettroshock o gli antidepressivi sono comunque da preferirsi in quanto la tMs sembrerebbe più adatta a gradi di depres-sione più moderati.

Fonte:12th World Congress of Biological Psychiatry

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Ansia socialeLegame con un’iperattività del sistema serotoninergico

L’ansia sociale è associata ad un’iperattività del siste-ma serotoninergico presinaptico, come accertato da uno studio basato sulla Pet condotto da andreas frick dell’Università di Uppsala su 36 pazienti. l’autore si è detto intrigato dai risultati, dato che sono stati riscontrati sia un aumento della sintesi che uno del riassorbimento della serotonina. se essi avessero rivelato un aumento dei livelli extracellulari di serotonina mediante aumento della sintesi e riduzione del riassorbimento, l’interpre-tazione dei risultati sarebbe stata più semplice, ma il cervello umano ancora una volta si è rivelato tutt’altro che semplice da comprendere.la neurotrasmissione serotoninergica a livello di amigdala, nucleo del rafe, striato, talamo, ippocampo, corteccia insulare e cingolato anteriore appare diversa nell’ansia sociale, ma il fatto che questa differenza derivi da una iperattività o ipoattività della serotonina rimane oggetto di dibattito. era stato precedentemente riscon-trato che il trattamento efficacie dell’ansia sociale, sia esso di tipo psicologico o farmacologico, era associato ad una riduzione della reattività dell’amigdala.Quanto rilevato nel presente studio suggerisce che i cambiamenti correlati al trattamento nella funzionalità serotoninergica a livello di amigdala e regioni correlate potrebbe rappresentare il possibi-le meccanismo alla base della riduzione nella reattività dell’amig-dala stessa. Molti esperti si chiedono come mai gli ssri risultano efficaci se l’ansia sociale è associata ad un aumento della sintesi della serotonina. Questi farmaci normalizzano i livelli deficitari di serotonina, ma questa visione è semplicistica, in quanto sicura-mente altri aspetti della segnalazione neuronale tramite diversi sistemi di neurotrasmissione contribuiscono alla fisiopatologia del disturbo, ma di fatto i meccanismi alla base dell’efficacia degli ssri potrebbero essere più complessi del previsto.

Fonte: JAMA Psychiatry online 2015

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InvecchiamentocellulareIl rischio nel bambino potrebbe essere legato a depressione materna

I bambini piccoli con madri gravemente depresse hanno maggiori probabilità di presentare una riduzione della lunghezza del telomero a livello leucocitario, un segnale di invecchiamento cellulare e di manifestare problemi compor-tamentali. secondo Janet Wojcicki dell’Università della Cali-fornia, autrice di un recente studio in materia condotto su 200 bambini, l’esposizione a stress psicologico e depressione è associato ad una riduzione della lunghezza del telomero negli adulti, probabilmente a causa dell’esposizione per tutta la vita allo stress ossidativo.nel pensare ai problemi comportamentali del bambino, spes-so ci si concentra sulle componenti psicologiche e sul modo in cui esse potrebbero impattare la performance scolastica e l’interazione con i coetanei, ma non necessariamente ci si interroga sull’impatto di questi problemi a livello cellulare laddove, invece, la riduzione della lunghezza del telomero è associata a malattie croniche e processi infiammatori.attualmente non esistono chiari punti di riferimento su quella che dovrebbe essere una normale lunghezza del telomero e su come intervenire su di essa ma, secondo l’autrice, esiste spesso una disconnessione fra gli approcci alla salute fisica e a quella mentale ed il fatto che si possa osservare un’invecchiamento biologico all’età di 4-5 anni e la sua associazione alla patologia psicologica è comunque innovativa, sottolineando la necessità di prendere seriamente questi disturbi comportamentali a tutti i livelli e ricercarne valutazione e trattamento.

Fonte: Transl Psychiatry online 2015

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attacchi di panicoQuale psicoterapia è la migliore?

La terapia cognitivo-comportamentare è ben con-solidata per il trattamento degli attacchi di panico, ma la psicoterapia psicodinamica risulta, oggi, mol-to promettente. I risultati del primo ampio studio che ha paragonato la terapia cognitivo-comporta-mentale, la psicoterapia psicodinamica focalizzata sul panico (PFPP) ed il training di rilassamento applicato (ART) ha dimostrato che, nonostante il fatto che tutti questi trattamenti migliorino il disturbo, la terapia cognitivo-comportamentale ha portato a risultati più costanti ed anche la PFPP si è dimostrata efficace, come affermato dall’autrice Barbara Milrod, del Weill Cornell Medical College di New York.Gli attacchi di panico sono prevalenti, disabilitanti e costosi e sono correlati ad un peggioramento delle condizioni di salute emotiva e fisica, nonché all’abuso di sostanze ed al suicidio. I trattamenti più efficaci comprendono la terapia cogniti-vo-comportamentale e/o la farmacoterapia, ma in generale i pazienti che ne soffrono preferiscono la psicoterapia ai farmaci. I precedenti studi sulle psicoterapie più efficaci si sono focalizzati in gran parte sulla terapia cognitivo-comportamentale, per quanto un piccolo studio randomizzato abbia suggerito che la PFPP sia efficace rispetto alla ART.La risposta alla terapia viene definita in termini di riduzione nel tempo nei punteggi della Panic Disorder Severity Scale (PDSS), ma nel presente studio i tassi di risposta considerati sono stati riferiti ad una riduzione complessiva del 40% ai punteggi nella scala PDSS.

Fonte: J Clin Psychiatry online 2015

“La terapia cognitivo-comportamentale ha portato a risultati più costanti ed anche la PFPP si è dimostrata efficace”

Barbara MilrodWeill Cornell Medical College, New York

Highlights

40%Riduzione

complessiva ai punteggi nella scala

PdSS dei tassi di risposta

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Gli ssri e l’agonista parziale dei recettori del 5-HT1A noto come vilazodone, attualmente approvati per il trattamento della depressio-ne maggiore negli adulti, risultano anche efficaci nell’alleviare i sintomi d’ansia nei pazienti con disordine d’ansia generalizzato. Secondo David Sheelan del South Florida College of Medicine di Tampa, autore di uno studio in materia che ha coinvolto 404 pazienti, alcuni medici presumono che tutti gli antidepressivi funzionino anche per i disordini d’ansia, ma non è così e ci si pone lo stesso interroga-tivo per ogni nuovo antidepressivo che esce sul mercato. Il vilazodone presenta alcuni essenziali meccanismi di azione che somigliano a quelli di alcuni SSRI standard, ma oltre a ciò presenta anche un meccanismo che riprende quello di un vecchio farmaco antiansiogeno noto come buspirone. Il disordine d’ansia generalizzato è un problema molto comune ed associato a deficit significativi: quando esso interviene in concomitanza con la depressione, risulta associato ad esiti peggiori ed ad un minor tasso di rispo-sta al trattamento. Pertanto, quando interviene da solo o in congiunzione con altri disordini psichiatrici, questo disturbo rappresenta un significativo carico per la salute di molti pazien-

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ansiaAntidepressivi utili nel trattamento

“Alcuni medici presumono che tutti gli antidepressivi funzionino anche per i disordini d’ansia, ma non è così e ci si pone lo stesso interrogativo per ogni nuovo antidepressivo che esce sul mercato”

david Sheelan, South Florida College of Medicine, Tampa

ti. Secondo molti esperti, non sono disponibili trattamenti efficaci e ben tollerati a sufficienza per gestirlo e, il fatto che altri trattamenti dimostri-

no almeno una parziale efficacia, è incoraggiante.

Fonte: 2015 Annual Meeting

404Numero

dei pazienti partecipanti allo

studio

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Depressione post-partumNon legata agli ormoni

Una nuova ricerca australiana ha concluso che la depressione post-natale non è causata da ormoni, come finora ampiamente creduto, ma è piuttosto un riacutizzarsi di disturbi mentali già avuti in passato. Lo studio, guidato dall’epidemiologo George Patton del Children’s Research Institute di Mel-bourne, ha utilizzato i dati di giovani donne per 25 anni. L’equipe di ricerca ha formato un gruppo di 1.000 partecipanti e ha comunicato con loro ogni sei mesi. Ha poi selezionato 384 soggetti con 564 gravidanze.Nel progetto descritto sulla rivista medica The Lancet, gli studiosi hanno esaminato le partecipanti in cerca di manifestazioni cliniche indicanti depressione, utilizzando le misurazioni della cosiddetta Edinburgh Postnatal Depression Scale. Le partecipanti sono state esaminate tre volte: nella 32/ma settimana di gravidanza, otto settimane dopo il parto e un anno dopo la nascita. I risultati dello studio rivelano che l’85% delle partecipanti con gravi sintomi di depressione post-natale soffrivano di disturbi mentali già prima della gravi-danza. In maggior parte, ne soffrivano già in adolescenza o poco dopo i 20 anni. I ricercatori hanno anche potuto formu-lare una previsione statistica riguardo ai rischi di depressione post-natale fra le partecipanti allo studio.Le donne che avevano avuto problemi

85%Percentuale di partecipanti con

gravi sintomi di depressione post-natale, che soffrivano di

disturbi mentali già prima della gravidanza

“Per molto tempo si è pensato che la depressione perinatale fosse qualcosa di unico, che si verificasse solo in quella fase della vita e avesse a che fare con gli scompensi ormonali associati alla gravidanza”

George Patton Children’s Research Institute, Melbourne

mentali in adolescenza o poco dopo i 20 anni avevano un rischio di uno a tre, mentre per chi non aveva precedenti di disturbi mentali il rischio era di uno a 12. “Per molto tempo si è pensato che la depressione perinatale fosse qualcosa di unico, che si verificasse solo in quella fase della vita e avesse a che fare con gli scompensi ormonali associati alla gra-vidanza”, scrive Patton. “La depressione

perinatale ha il potenziale di danneg-giare il legame con il neonato che è così essenziale per lo sviluppo emotivo del piccolo”, aggiunge. Secondo gli autori, i risultati dello studio possono aiutare a ridurre l’incidenza della depressione du-rante queste fasi se ci si concentra sulla popolazione ad alto rischio, assicurando adeguato supporto emotivo e sociale, come interventi di counselling.

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il litio, il fulcro per il trattamento del disordine bipolare, è associato a declino della funzionalità renale, ipotiroidismo ed ipercalcemia. Secondo Brian Shine, del John Redcliffe Hospital di Oxford, autore di un’indagine su più di 4.500 soggetti, tutti i pazienti che assumono una terapia con litio dovrebbero sottoporsi a monito-raggio regolare della funzionalità renale ma il basso rischio di gravi disfunzioni renali andrebbe valutato a fronte dei rischi derivanti dal disordine dell’umore di fondo e da quelli legati all’uso di altri stabilizzanti dell’umore.Gli effetti collaterali tendono a comparire precocemente nel decorso del trattamen-to ed una concentrazione di litio al di sopra della media risulta associata ad un aumento del rischio di tutte le correlazio-ni avverse osservate. Dato che le eviden-ze su dosaggio del litio e rischio renale sono scarse, un approccio ragionevole consisterebbe nel minimizzare la dose di litio impiegata in generale. I pazienti che ricevono litio dovrebbero anche sotto-porsi a test tiroidei regolari ed a dosaggio dei livelli di calcio una volta all’anno.Secondo diversi esperti, comunque, il litio rappresenta il miglior trattamento per molti pazienti con disordine bipolare in quanto conferisce sia stabilità dell’umore

a lungo termine che copertura preven-tiva, riducendo il rischio di suicidio e manifestando probabilmente anche effetti neuroprotettivi, ma mantenere i livelli di litio abbastanza alti da rima-nere efficaci ed anche abbastanza bassi da evitarne la tossicità rappresenta un difficile esercizio di equilibrio. La terapia con litio, dunque, rimane una sfida che trarrebbe beneficio da una migliore comprensione delle sue proprietà terapeutiche.

Fonte: Lancet online 2015

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LitioInfluenza sulla funzionalità renale ed endocrina

4.500Numero dei

partecipanti allo studio

“Tutti i pazienti che assumono una terapia con litio dovrebbero sottoporsi a monitoraggio regolare della funzionalità renale ma il basso rischio di gravi disfunzioni renali andrebbe valutato a fronte dei rischi derivanti dal disordine dell’umore di fondo e da quelli legati all’uso di altri stabilizzanti dell’umore” Brian Shine

John Redcliffe Hospital, Oxford

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Le tecniche di stimolazione cerebrale, che comprendono sia la stimolazione cere-brale profonda (DBS) che la stimolazione magnetica transcranica profonda (dTMS), stanno riscuotendo sempre maggiore attenzione come potenziali trattamenti per i disordini psichiatrici

Disordine ossessivo-compulsivoPromettente la stimolazione cerebrale per le forme resistenti

e, una delle principali aree d’interesse, è rappresentata dal disordine ossessivo-com-pulsivo. Una recente meta-analisi dei piccoli studi sinora pubblica-ti, per un totale di 44 pazienti, ha dimostrato che la DBS ha un’efficacia moderata in questi pazienti, e l’autore

Steve Kinsely, dell’Università del Queensland, ne definisce i dati come “incoraggianti”.Secondo l’autore si tratta di una procedura chirurgica che può essere presa in conside-razione nei casi non respon-sivi, prendendo in conside-razione in modo appropriato le controindicazioni etiche

e legali. La manipolazio-ne cerebrale invasiva nei pazienti psichiatrici risale al 1891. Nei primi programmi di lobotomia prefrontale veniva perforata la cupola orbitale a cui si accedeva passando sotto la palpebra. Fra il 1945 ed il 1955 sono stati effettuati 50.000 interventi psicochirur-gici negli USA e la scoperta della valenza terapeutica delle leucotomie prefrontali ha vinto il premio Nobel nel 1949, ma negli anni ’70 questi interventi non hanno più incontrato i favori dei medici, in parte per via del timore di effetti collaterali cognitivi e dell’incremento del rischio di mortalità.Oggi, invece, sussiste un in-cremento dell’interesse verso questi trattamenti in diverse patologie psichiatriche, fra cui depressione, sindrome di Tourette ed anoressia nervosa oltre al disordine ossessivo-compulsivo, ma gli studi randomizzati in mate-ria scarseggiano per ragioni etiche, dato che i pazienti di controllo vengono lasciati senza trattamento per molti mesi.

Fonte: American Psychiatric Association (APA) 2015 An-nual Meeting

1891Anno in cui risale la manipolazione cerebrale invasiva

nei pazienti psichiatrici

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A = eLeVATA abbiamo molta fiducia nel fatto che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale negli esiti con-siderati. le evidenze accumulate presentano deficit scarsi o nulli. e’ nostra opinione che i dati siano stabili, ossia che un nuovo studio non porterebbe ad un cambiamen-to nelle conclusioni.

B = MODeRATAsiamo moderatamente certi che la stima dell’efficacia sia vicina alla re-ale efficacia per gli esiti considerati. le evidenze accumulate presentano alcuni deficit. e’ nostra opinione che i dati siano probabilmente stabili, ma permangono alcuni dubbi.

C = BASSAla certezza del fatto che la stima dell’efficacia sia vicina alla reale efficacia per gli esiti considerati è limitata. le evidenze accumulate presentano deficit numerosi o importanti (o entrambi). e’ nostra opinione che siano necessarie ulteriori evidenze prima di poter concludere che i dati siano stabili o che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale.

D = INSUFFICIeNTenon abbiamo evidenze, non siamo in grado di stimare l’efficacia, o non abbiamo fiducia nella stima dell’ef-ficiacia per quanto riguarda l’esito considerato. non sono disponibili evidenze, oppure le evidenze accu-mulate presentano deficit inaccetta-bili, precludendo il raggiungimento di una conclusione.

Solidità delle evidenze: gradi e definizioni

Evidence based Medicine

eBM

Cosa sono?

L’EBm, in italiano “medicina basata sulle prove di efficacia”, ha come obiettivo quel-lo di assicurare che le decisioni cliniche siano informate dai risultati della ricerca, in particolare della ricerca clinica. Tra le sue funzioni chiave c’è quella di forni-re uno strumento di lettura rispetto ai dati della ricerca e di ricondurli al singolo paziente. Per accresce-re la credibilità delle deduzio-ni di un medico – rispetto, per esempio, all’utilità di un test o all’efficacia di una terapia o per una corretta prognosi – e per trasformare tali deduzioni in nozioni condivisibili dai colleghi e dall’intera comunità scientifica, diventa imprescindibile lo sforzo di standardizzare e validare le osservazio-ni maturate nel contesto della pratica medica. E per interpretare la letteratura scientifica esistente su eziologia, diagno-si, prognosi ed efficacia delle strategie terapeutiche è necessario comprendere e condividere le regole metodologiche di base. Non tutti gli studi clinici forniscono informazioni di uguale affidabilità, quin-di nella decisione clinica le prove di effi-

cacia avranno un peso maggiore a secon-da della robustezza della fonte che le ha prodotte. La visualizzazione più efficace di questa gerarchia è quella della pirami-de delle evidenze, che posiziona al pro-

prio vertice le prove sperimentali più af-fidabili e alla base quelle aneddotiche.

Sebbene esistano diverse varianti di piramide delle evidenze, la scala ge-rarchica di ciascuna pone al primo posto le informazioni desunte da revisioni sistematiche che inclu-dono studi clinici controllati di buona qualità; all’opposto, il pa-

rere degli esperti senza supporto di studi empirici occupano l’ultima

posizione. Nelle posizioni intermedie si trovano gli studi di popolazione e gli

studi osservazionali, nei quali la relazione tra l’intervento e l’effetto (o tra l’esposizio-ne a un fattore di rischio e l’effetto) non è causale e le inferenze di associazione sono spesso esposte a errori sistematici.

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Evidence summaries9/3/2014LiVELLo EViDENZE = C

L’aggiunta di una componente di gestione psicosociale dell’umo-re ad un intervento standard per la cessazione del fumo potrebbe incrementare i tassi di cessazione a lungo termine nei fumatori con depressione o trascorsi di depressione rispetto ai soli inter-venti standard.

Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via delle limitazioni degli studi (occultamento dell’allocazione poco chiaro e dati incompleti sugli esiti in metà degli studi, nonché mancato design in cieco) e dei risultati imprecisi (pochi eventi considerati negli esiti).Una revisione del database Cochrane ha incluso 33 studi che han-no investigato gli interventi per la cessazione del fumo con speci-fiche componenti per la gestione dell’umore per la depressione. Nei fumatori con depressione in corso, la meta-analisi ha rivelato un significativo effetto positivo con l’aggiunta della gestione psi-cosociale dell’umore ad un intervento standard per la cessazione del fumo rispetto al solo intervento standard (RR 1.47, 95% CI 1.13 - 1.92; 11 studi, n=1.844). Nei fumatori con trascorsi di depressione è stato riscontrato un effetto simile (RR 1.41, 95% CI 1.13 - 1.77; 13 studi, n=1.496). La meta-analisi ha rivelato un effetto positivo, per quanto non significativo, dell’aggiunta di bupropione rispetto al placebo nei fumatori con depressione in corso (RR 1.37, 95% CI 0.83 - 2.27; 5 studi, n=410). Il buproprione (RR 2.04, 95% CI 1.31 - 3.18; 4 studi, n=404) potrebbe incrementare significativamente la ces-sazione del fumo a lungo termine nei fumatori con trascorsi di depressione rispetto al placebo. Non sono disponibili dati a suf-ficienza per valutare l’efficacia di fluoxetina e paroxetina per i fumatori con depressione in corso, né quella di fluoxetina, nor-triptilina, paroxetina, selegilina e sertralina nei fumatori con tra-scorsi di depressione.

Bibliografia: van der Meer RM, Willem-sen MC, Smit F et al. Smoking cessation interventions for smokers with current or past depression. Co-chrane Database Syst Rev 2013;(8):CD006102

Interventi per la cessazione del fumo in fumatori con trascorsi di depressione o depressione in corso

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Evidence summaries27/3/2015LiVELLo EViDENZE = a

La terapia cognitivo-comportamentale rappresenta un trat-tamento efficace per i disordini d’ansia lievi-moderati nell’in-fanzia e nell’adolescenza, rispetto all’attesa vigile.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 41 studi per un totale di 1.806 soggetti. Gli studi hanno coinvolto bambini ed adolescenti con ansia di intensità lieve-moderata all’in-terno di reparti universitari e comunitari e nel contesto sco-lastico. Le analisi intention-to-treat (ITT) hanno dimostrato che la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) incrementa la remissione di ogni tipo di stato d’ansia rispetto all’attesa vigile (OR 7.85, 95% CI 5.31 - 11.60; 26 studi, n=1 350; NNT 6.0, 95% CI 7.5 - 4.6). Non sono state rilevate differenze negli esiti fra le impostazioni individuali, di gruppo e familiari/geni-toriali. Le analisi ITT hanno rivelato che la CBT non risulta più efficace rispetto agli altri trattamenti di controllo attivo diverso dalla CBT (6 studi, n = 426) o ai trattamenti abituali (2 studi, n = 88) nella riduzione delle diagnosi di ansia. Solo quattro studi hanno indagato esiti più a lungo termine dopo la CBT. Non sono state riscontrate chiare evidenze a suppor-to di un mantenimento dei miglioramenti nei sintomi di an-sia fra bambini e giovani. La piccola quantità degli studi ha impedito agli autori della revisione di paragonare la CBT ai farmaci. Bibliografia: James AC, James G, Cowdrey FA et al. Cogniti-ve behavioural therapy for anxiety disorders in children and adolescents. Cochrane Database Syst Rev 2015;(2):CD004690

Terapia cognitivo-comportamentale per i disordini d’ansia in bambini ed adolescenti

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Evidence summaries5/2/2003LiVELLo EViDENZE = C

Il training autogeno potrebbe avere un qualche effetto su stress ed ansia, ma le evidenze sulla sua efficacia sono inconcludenti.

Una revisione sistematica che ha incluso 8 studi per un totale di 245 soggetti è stata riassunta nel database DARE. I risultati complessivi suggeriscono che il training autogeno, o ciò che con questo termine viene descritto, in effetti riduca lo stress e l’ansia rispetto al mancato trattamento. In ogni caso, tutti gli studi presi in considerazione erano metodologicamente falla-ci. I risultati degli studi individuali non sono stati combinati. Non è stato possibile trarre alcuna conclusione certa da que-sta revisione sistematica.

Bibliografia: Ernst E, Kanji N. Autogenic training for stress and anxiety: a systematic review. Complement Ther Med 2000 Jun;8(2):106-10

Training autogeno per stress ed ansia

Evidence summaries26/4/2007LiVELLo EViDENZE = C

La terapia coniugale potrebbe risultare efficace quanto la psi-coterapia individuale o la farmacoterapia nel trattamento della depressione e potrebbe migliorare le relazioni all’interno delle coppie stressate.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 8 studi. Non sono state riscontrate differenze significative in termini di effi-cacia fra la terapia coniugale e la psicoterapia individuale, sia per quanto riguarda l’esito continuativo dei sintomi depressivi (SMD –0.12 95% CI –0.56 - 0.32, 6 studi), sia per l’esito dicotomico relativo alla proporzione di soggetti che sono rimasti a livello di casistica (RR 0.84 95% CI 0.32 - 2.22, 3 studi). Rispetto alla terapia farmacolo-gica, nella terapia coniugale è stato riscontrato un minor tasso di sospensione del trattamento (RR 0.31 95% CI 0.15 - 0.61), ma questo risultato è stato notevolmente influenzato da un singolo studio. Il raffronto con un trattamento minimale o nullo ha favorito la terapia coniugale per quanto riguarda i sintomi depressivi (SMD –1.28 95% CI –1.85 - –0.72, 2 studi) ed ha dimostrato un’efficacia mi-nore per quanto riguarda la persistenza della depressione (1 stu-dio).Commento: La qualità delle evidenze risulta ridotta per via della mancata costanza dei risultati (variabilità nei risultati ottenuti fra i vari studi) e dell’imprecisione degli stessi (dimensioni degli studi limitate per ciascun raffronto).

Bibliografia: Barbato A, D'Avanzo B. Marital therapy for depres-sion. Cochrane Database Syst Rev 2006 Apr 19;(2):CD004188.

Terapia coniugale per la depressione

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SSRI e SNRIeffIcacIa

e SIcuRezza NeglI aNzIaNI

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Secondo quanto riferito dal WHO, la depressio-ne maggiore è la principale causa di disabilità nel mondo. Essa è una condizione clinica comune ed alcune ricerche precedenti hanno dimostrato che la sua prevalenza mondiale ammonta al 15% circa nei soggetti residen-

ti in comunità. La depressione è meno frequente negli anziani che nei giovani: negli anziani infatti la sua preva-lenza varia fra l’uno e il cinque per cento, anche se sono presenti sintomi depressivi clinicamente significativi nel 15% di essi. La depressione negli anziani rappresenta un problema per la salute pubblica: essa ad esempio nelle fasi tardive della vita è associata ad un aumento del rischio di suicidio, cardiopatie ischemiche, insufficienza cardiaca, osteoporosi e scarsa funzionalità cognitiva e sociale. È sta-to dimostrato che la depressione negli anziani è associata a cambiamento come ipercortisolemia, adiposità viscerale ed aumento del rischio di ipertensione e diabete. Nell’an-ziano questa patologia spesso coesiste con altri disordini medici: alcuni studi hanno dimostrato che la prevalenza della depressione negli adulti con diagnosi di malattie cardiovascolari è del 15-20%. Essi hanno dimostrato anche che gli adulti con anamnesi di ictus sono propensi alla depressione e che la prevalenza della depressione post-i-ctus si avvicina in genere al 30%. Sono stati identificati diversi fattori di rischio di depressione nelle fasi tardive della vita, fra cui sesso femminile, precedenti episodi depressivi, supporto emotivo inadeguato, deficit mnemo-nici, vivere da soli, lievi deficit cognitivi e disturbi soma-toformi. La depressione in questa fase può presentarsi in modo diverso rispetto a quanto fa in età più giovanile: gli anziani depressi possono presentare più spesso disturbi del sonno, astenia, ritardo psicomotorio, deficit della me-moria e rallentamento della percezione cognitiva. Data la complessità dei sintomi di presentazione della depressione maggiore e la presenza di una gamma di comorbidità negli anziani, il trattamento con antidepressivi può portare ad un maggior numero di effetti collaterali per via della polifarmacoterapia e dei cambiamenti fisiologici correlati all’età. Gli anziani sono in genere sottorappresentati negli studi clinici sugli antidepressivi e, la maggior parte di essi, è a breve termine, il che rende difficile valutare l’incidenza degli effetti collaterali in questa fascia d’età e complica il processo decisionale riguardante le opzioni terapeutiche. Poche meta-analisi hanno sintetizzato i dati su efficacia e sicurezza degli antidepressivi negli anziani: queste analisi hanno determinato che gli antidepressivi sono in genere sicuri ed efficaci negli anziani, ma non hanno paragonato efficacia e sicurezza negli anziani con quelle relative a fasce d’età più giovanili. In assenza di evidenze comparati-ve dirette, una meta-analisi di rete rappresenta un solido approccio per la sintesi di tutte le evidenze randomizzate

disponibili ed ottenere dati comparativi sull’efficacia di interventi che non sono stati direttamente paragonati in uno studio randomizzato. È stato dunque effettuato uno studio che ha fatto uso dell’approccio meta-analitico di rete per determinare l’efficacia e la sicurezza comparative degli antidepressivi e, nello specifico, di SSRI e SNRI nella popolazione anziana. L’analisi effettuata ha chiaramente dimostrato l’efficacia di sertralina, paroxetina e duloxetina negli anziani con depressione maggiore, mentre le eviden-ze a favore di venlafaxina, citalopram, fluoxetina ed escita-lopram erano meno concludenti. Venlafaxina e duloxetina comportano inoltre un rischio di vertigini statisticamente superiore a quello del placebo, ma tutti gli agenti conside-rati risultano comunque più rischiosi del placebo in questo senso, ad eccezione della sertralina, benché l’effetto non abbia raggiunto per tutti la significatività statistica. La riduzione dei punteggi di gravità della depressione è cor-relata alla funzionalità ed alla qualità della vita ed un 50% di riduzione in questi punteggi è connesso a miglioramenti

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moderati dal punto di vista clinico. È noto che SSRI e SNRI producano diversi effetti collaterali per via della loro azione farmacologica ed alcuni degli effetti collaterali più comuni degli SSRI comprendono nausea, disturbi gastroin-testinali, cefalee, insonnia, tremori, aumento di peso e di-sfunzioni sessuali. Un recente studio osservazionale ha di-mostrato che gli SSRI sono associati ad un maggior rischio di cadute e fratture rispetto agli antidepressivi triciclici ed in altri studi osservazionali sono stati riportati tassi di cadute simili fra SSRI e SNRI negli anziani. Nel presente studio sono stati riportati soltanto pochi eventi relativi a cadute ed episodi sincopali e, date le grandi dimensioni del campione considerato, è molto probabile che questo gene-re di esito sia stato sottoriportato negli studi esaminati. Ciò evidenzia la chiara necessità di standard minimi per il riferimento di eventi negativi nelle popolazioni anziane in quanto i ricordi riportati dai pazienti possono essere scarsi e frammentari, specie negli anziani con depressione.

Gli anziani sono in genere sotto-rappresentati negli studi clinici sugli antidepressivi e, la maggior parte di essi, è a breve termine, il che rende difficile valutare l’in-cidenza degli effetti collaterali in questa fascia d’età e complica il processo decisionale riguardante le opzioni terapeutiche.

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DepressiONe,

aNsiae coordiNazioNe telefoNica

poSt-teRapeutIca

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DEprEssioNE E aNsia sono fra i disordini mentali maggiormente prevalenti e possono causare significativi carichi personali, sociali ed economici. Nonostante l’elevata preva-lenza di questi disturbi, che in Germania raggiunge il 15,3% per l’ansia ed il 7,7% per

la depressione, solo la metà circa di questi pazienti riceve un trattamento adeguato. Questo dato rivela una situazione di sottotrattamento ed evidenzia la necessità dell’ottimizzazione dell’assistenza nei pazienti con ansia e depressione. Alcune fra le barriere più significative che si frappongono nel cammino del paziente comprendono problemi di comunicazione e coor-dinazione fra servizi e provider diversi, e la fase di prosecuzio-ne assistenziale che segue il trattamento ospedaliero rappre-senta proprio una di queste falle. A seguito del trattamento ospedaliero, è clinicamente indicata la copertura psicotera-peutica ambulatoriale per la maggior parte dei pazienti con disordini d’ansia e depressione. In questa fase, lo scopo con-siste nel consolidare gli esiti del trattamento e minimizzare il cosiddetto effetto rebound, ossia la riduzione a lungo termine degli effetti positivi del trattamento intraospedaliero. Benché vi siano evidenze a supporto dell’efficacia del trattamento intraospedaliero, i suoi effetti spesso tendono a ridursi dopo la sua conclusione. Una porzione dei pazienti che dimostrano miglioramenti al termine della terapia ospedaliera tende a recidivare ed a ricercare aiuto da una varietà di provider psi-chiatrici. I disturbi depressivi presentano tassi di recidiva par-ticolarmente elevati, ed il rischio di ulteriori episodi aumenta con ogni singolo episodio di depressione: la prevenzione delle recidive, dunque, rimane estremamente desiderabile. È possi-bile presumere che l’alleanza terapeutica sia rilevante ai fini degli esiti della psicoterapia e della prevenzione delle recidive ma l’elevato rischio di queste ultime, indica la necessità di un ulteriore supporto prolungato tramite psicoterapia ambulato-riale onde mantenere gli esiti del trattamento a lungo termine una volta effettuato il ritorno alla normale vita quotidiana. Oltre alla psicoterapia ambulatoriale ed all’assistenza primaria e specialistica, i pazienti possono anche affidarsi ad interventi a bassa intensità come i gruppi di auto-supporto ed i servizi di consulenza. Esistono, pertanto, diverse opzioni di trattamento post-assistenziale, ma molti pazienti non accedono a queste forme di trattamento. Le barriere al trattamento che derivano da una mancata integrazione dei diversi livelli assistenziali possono intervenire a livello sistemico (come nel caso delle lunghe liste di attesa per la psicoterapia ambulatoriale) ed a livello individuale (come, ad esempio, a causa di una scarsa consapevolezza dei trattamenti disponibili da parte del pa-ziente). La coordinazione post-assistenziale telefonica basata sulla gestione dei singoli casi potrebbe costituire un approccio promettente per superare il gap esistente fra il trattamento ospedaliero e la fase successiva. Per gestione del singolo caso si intende un approccio incentrato sul paziente e basato sulle

situazioni intercorrenti che comprende il monitoraggio sistema-tico ed il supporto del paziente da parte di un “case manager”. Il suo scopo primario consiste nel coordinare ed integrare i servizi fra i vari ambiti terapeutici fornendo supporto autogestionale e monitoraggio continuo ai pazienti. Le precedenti ricerche internazionali sull’efficacia di questo modello gestionale hanno costantemente portato a risultati positivi sugli esiti del trat-tamento come sintomi, qualità della vita e soddisfazione del paziente, ma in diversi stati questo sistema gestionale non è stato ancora implementato e necessita di ulteriori convalide. Il primo studio sull’efficacia di un modello di gestione del singolo caso nei pazienti con depressione nell’ambito del sistema sani-tario tedesco ha riportato che la gestione telefonica in medicina di base determina un miglioramento degli esiti del trattamento rispetto alle forme assistenziali consuete in termini di riduzione dei sintomi, aderenza alle terapie mediche e soddisfazione del paziente. L’intervento era stato incentrato sul monitorare i sinto-mi di depressione, favorire l’aderenza alle terapie ed incoraggiare il paziente ad effettuare attività autogestionali ed indulgere in attività sociali o comunque piacevoli. È stato poi effettuato uno studio successivo in cui il focus dell’intervento consisteva nella

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coordinazione di un apparato post-assistenziale adeguato per i pazienti con disordini d’ansia e depressione. L’intervento è stato praticato da terapisti che hanno seguito una formazione specifi-ca, ed è stato incentrato sul supporto del paziente nel trovare ed organizzare il proprio precipuo trattamento post-assistenziale, fornendo strumenti che lo rendano in grado di gestire da solo il proprio apparato assistenziale. Questo genere di autogestione potrebbe rappresentare un’esperienza in grado di promuovere sentimenti di soddisfazione ed auto-efficacia nel paziente stesso. Lo studio è tutt’ora in corso, ma se si rivelerà efficace ed il sistema verrà ben accolto da pazienti e personale sanitario, si rendereb-be disponibile un approccio terapeutico integrativo accessibile in grado di aiutare a superare le barriere che si presentano nel decorso clinico dei pazienti a seguito del trattamento ospedalie-ro. Le barriere al trattamento legate alla mancata integrazione dei diversi sistemi assistenziali sono problemi comuni in diversi sistemi sanitari e, pertanto, la coordinazione post-assistenziale potrebbe essere adattata anche alle necessità di pazienti con altri disordini mentali e possibilmente diverse malattie croniche.

Fonte: BMC Psychiatry. 2015;15(90)

La coordinazione post-assistenziale telefonica basata sulla gestione dei singoli casi potrebbe costituire un approccio promettente per superare il gap esistente fra il trattamento ospedaliero e la fase successiva.

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La risposta corretta è: C

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paZiENtEMaschio, 35 anni, obeso giunge all’osservazione dello psichiatra per una visita di follow-up.

aNamNEsi FisioLoGiCaNulla da segnalare per lo sviluppo psicosomatico. A 15 anni era già in sovrappeso e a 20 anni obeso. Diploma di maturità a 19 anni. Nessuna attività fisica. Vive in famiglia con i genitori e 2 sorelle. Discreto mangiatore, beve alcolici dall’età di 18 anni (1l di birra ai pasti – superalcolici 2-3 volte a settimana). Non fuma. Nega uso di droghe. Alvo e diuresi nella norma. Ha svolto lavori saltuari per non più di 10 mesi consecutivi come impiega-to. Attualmente disoccupato da circa 3 anni. Nessuna attività sessuale da qualche anno.

aNamNEsi FamiLiarEGenitori in apparente buona salute. Due sorelle (anni 20 e anni 15 studentesse) in apparente buona salute.

aNamNEsi patoLoGiCa rEmotaStoria di depressione da circa 15 anni con un precedente episodio maniacale 3 anni fa (impulsività, grandiosità, pensieri che si rincorrono, eccessiva loquacità). Trattato in passato con uno stabilizzatore dell'umore e l’anno scorso con paroxetina.

aNamNEsi patoLoGiCa prossimaNonostante l'assunzione del farmaco come prescritto, non rileva nessun miglioramento, anzi lamenta peggioramento dei sintomi depressivi e ammette abuso di alcol. Riferisce di essere aumentato oltre 3 Kg dall’ultima visita. E’ molto infelice per l'aumento di peso. Lo psichiatra formula diagnosi di episodi depressivi associati a disturbo bipolare.

EsamE oBiEttiVoBMI 32 kg / m2 - PA 150/95 mm Hg.

Esami Di LaBoratorioGlicemia a digiuno 120 mg / dl, HDL 30 mg / dl; trigliceridi 300 mg / dL.

Quale dei seguenti è il trattamento di prima linea più appropriato per gli episodi depressivi associati a disturbo bipolare?a) Antidepressivi: citalopram; fluoxetina; paroxetinaB) Ansiolitici: diazepam; lorazepamC) Antipsicotici atipici: lurasidone; terapia combinata olanzapina più fluoxetina (OFC); quetiapinaD) Stabilizzanti dell'umore: divalproax; lamotrigina; litio

dell’umoreDisturbi

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Negli stati Uniti, attualmente, l’età media di insorgenza del disturbo bipolare con depres-sione (BP I) è tra i 18 ei 25 anni; tuttavia, si stima che 1 su 3 pazienti possa sperimentare sintomi bipolari per almeno 10 anni prima di ricevere una diagnosi accurata. Circa il 50% delle persone hanno l’esordio del disturbo bi-polare all'età di 14 anni; il 75% all'età di 24. An-che se più di 1 su 3 pazienti ha riferito di aver cercato l’aiuto medico o psichiatrico entro il primo anno dopo la comparsa dei sintomi del disturbo bipolare e di depressione, il 69% di questi pazienti è stato mal diagnosticato, prevalentemente con diagnosi di disturbo depressivo maggiore (MDD). Inoltre, si stima che la maggior parte dei pazienti abbia visto una media di 4 medici prima di ricevere una corretta diagnosi. In un campione di comunità di pazienti positivi allo screening per il disturbo bipolare con depressione, circa la metà (49%) non aveva ricevuto una precedente diagnosi di disturbo bipolare con depressione o MDD, quasi un terzo (31,2%) era stato precedentemente diagnosticato con MDD e solo il 20% aveva ricevuto una precedente diagnosi di disturbo bipolare I con depressione. Secondo il Ministero della Salute, il disturbo

bipolare è una condizione psichiatrica ricor-rente e una delle principali cause di disabilità nel mondo nella fascia di età 15-44 anni. Il disturbo è associato ad un rischio aumenta-to di suicidio (15 volte superiore). Sebbene la maggior parte delle persone trattate migliori nel tempo, due terzi possono presentare sintomatologia residua e almeno il 40% pre-senta una ricaduta nei successivi 2 anni.Di solito il primo episodio del disturbo si svi-luppa nella tarda adolescenza o nella prima età adulta (19-29 anni), per poi presentarsi più o meno frequentemente nel corso dell’intero arco della vita. Approssimativamente il 10-15% degli adolescenti che presentano episodi ricorrenti di depressione maggiore sviluppa-no un disturbo bipolare di tipo I. E l’abuso di alcol o droga frequentemente in comorbidità, aggrava significativamente gli esiti di salute.Il BP I (o psicosi maniaco-depressiva in cui a uno o più episodi maniacali si alterna-no episodi depressivi maggiori e periodi asintomatici) è dunque definito da almeno un episodio maniacale o misto che dura almeno sette giorni o da sintomi maniacali che sono abbastanza gravi da richiedere un ricovero immediato, con episodi depressivi maggiori (MDE) che in genere durano almeno

DisCUssioNE

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BiBLioGraFia

http://www.medscape.org/viewarticle/831037review of the evidence Base for depressive episode treatments in Bipolar disorder CMe-released: 09/17/2014

american Psychiatric association (aPa). diagnostic and stati-stical Manual of Mental disorders, fifth edition. Washington, dC: american Psychiatric association; 2013.

http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?lingua=italiano&i-d=189&area=distur-bi_psichici Ministero della salute -disturbo Bipolare - 1 aprile 2014

Mortality and medical comorbidity among patients with serious mental illness. Psychia-try serv. 2006;57:1482-1487.

Cardiovascular dise-ase and hypertension among adults with bipolar i disorder in the United states. Bipo-lardisord. 2009;11:657-662.

Patterns of psychotro-pic drug prescription for U.s. patients with diagnoses of bipolar disorders. Psychiatr serv. 2007;58:85-91.

2 settimane. Al contrario, il disturbo bipolare II è caratterizzato da un modello di entrambi gli episodi depressivi e ipomaniacali, di cui almeno un MDE, ma senza episodi maniacali o misti in piena regola. Gli episodi maniacali sono caratterizzati da un lungo periodo di euforia, estrema irritabilità e cambiamenti comportamentali che possono includere “pensieri in corsa”. I pazienti sono particolarmente distratti o irrequieti e possono dormire per tempi minimi senza sentirsi stanchi, avendo una percezione non realistica delle proprie ca-pacità. I pazienti si impegnano in compor-tamenti impulsivi, tra cui comportamenti ad alto rischio per il carico di nuovi progetti non realizzabili. In contrasto con il disturbo bipolare con depressione, la depressione maggiore non comprende episodi maniacali, episodi ipomaniacali o episodi misti. Il BP I rappresenta una popolazione di pazienti più omogenea rispetto al MDD. Anche se il disturbo bipolare è separato nella più recente edizione del DSM-5 da disturbi depressivi, i criteri diagnostici per MDEs associata a cri-teri del disturbo bipolare e per MDE associati a MDD sono identici, con solo la presenza di episodi maniacali, ipomaniacali o misti che

distinguono le due entità. Si tratta dunque di un disordine psichiatrico tutt’altro che facile da diagnosticare. Tra l’altro non è possibile distinguere tra MDEs associati a MDD e quelli associati con distur-bo bipolare perché i criteri diagnostici per il MDEs in entrambi sono identici, compreso un umore depresso e/o perdita di interesse o piacere, variazione di peso o di appetito, cambiamento nel ritmo del sonno, agitazione o rallentamento psicomotorio, affaticamento o perdita di energia, senso di inutilità, senso di colpa inadeguato, diminuzione della capa-cità di pensare o concentrarsi, indecisione, pensieri di morte, e/o ideazione o tentativi di suicidio. Pertanto, la strategia migliore per distinguere MDE associati a disturbo bipolare da quelli associati a MDD, è quello di concentrarsi su una storia passata di mania, ipomania e di stati misti (non la depressione).Oltre alla comorbidità psichiatrica, studi re-centi suggeriscono che il 55-58% dei pazienti con disturbo bipolare associato a episodi depressivi abbiano almeno una condizione medica di comorbidità. Tra queste vi sono: disordini endocrino-metabolici, disturbi car-diovascolari, muscolo-scheletrici e disturbi neurologici.

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Alimentazione e disturbi dell’umore, un tema di grande interesse soprattutto negli ultimi anni. in questo numero Popular Science ha voluto sentire il parere di un’esperta che da più di 15 anni si occupa di nutrizione e salute mentale. Karen davison che ha diretto un team nazionale “per la promozione della salute mentale attraverso l’alimentazione e le cure nutrizionali”, lavorando in collaborazione con la Mental Health Association del Canada per lo sviluppo di un piano nazionale, ha condotto, infatti, ricerche sulla correlazione tra disturbi dell’alimentazione e condizioni psichiatriche, tentativi di suicidio e insicurezza alimentare. Attualmente insegna alla Simon Fraser university e alla Kwantlen Polytechnic university.

Che cosa sappiamo e cosa ancora non sappiamo sulla relazione tra alimentazione e disturbi dell’umore?Sappiamo che ci sono diverse connessioni tra il cibo e la nutrizio-ne ed i disturbi dell’umore o più in generale la salute orale, tutta-via, abbiamo bisogno di lavorare ancora per stabilire al meglio le linee di condotta e le pratiche in quest’area. Studi sui campioni di grandi dimensioni hanno dimostrato un’associazione tra certi profili dietetici e la qualità della dieta e la prevenzione o la posticipazione della diagnosi di disturbi mentali. Buona parte di questo lavoro è stato svolto nell’area della depressione. Review sistematiche hanno anche mostrato prove che alcuni interventi nella dieta possono migliorare la situazione della depressione. C’è anche molto che non sappiamo ancora. È necessario studiare degli interventi che puntino alla sicurezza alimentare, formazio-ne delle competenze alimentari, educazione al “mangiar sano”, ed il modo in cui potrebbero migliorare i sintomi ed il benessere per chi ha disturbi dell’umore. Ci sono studi epidemiologici che suggeriscono che le associazio-ni tra la dieta e la salute mentale possano essere parzialmente spiegati da determinanti sociali come il genere, lo stipendio, l’istruzione ed il far parte o meno di una relazione sentimentale. Un determinante importante è l’insicurezza alimentare (definita come la disponibilità limitata o incerta di cibi nutrizionalmente adeguati o la limitata abilità di acquisire cibo accettabile con metodi socialmente accettabili). Gli studi hanno dimostrato che l’insicurezza alimentare è associata con diversi tipi di stati di salute mentali negativi come le abilità riflessive e cognitive compresse, la depressione, disturbi alimentari, tentativi di sui-cidio e l’uso di droghe. Ma mancano delle ricerche che abbiano specificatamente esaminato il ruolo dell’insicurezza alimentare negli individui con problemi mentali. C’è uno studio condotto

in Israele, che ha dimostrato che in un campione di individui che accedono a servizi psichiatrici di emergenza chi ha insicu-rezza alimentare presenta livelli più alti di disagio psicologico rispetto alle persone con sicurezza alimentare. Come parte del mio dottorato di ricerca, sui determinanti dell’assunzione di cibo negli individui con disturbi dell’umore, ho voluto verificare come l’insicurezza alimentare possa influenzare l’assunzione del cibo e la salute psicologica in un campione che vive nella comunità.

può descrivere il campione del suo studio?Gli individui che hanno partecipato al mio studio vivono nell’area di Vancouver, e sono stati scelti dalla lista dei membri dell’Associazione per i Disturbi dell’Umore della British Colum-bia. Tutte queste persone hanno più di 18 anni e vivono nella comunità. Come parte dello studio, abbiamo verificato che aves-sero un disturbo depressivo od un disturbo bipolare.Abbiamo anche prelevato dei dati da un sondaggio nutrizionale della nostra provincia - il British Columbia Nutrition Survey, o BCNS - che ci ha permesso un confronto diretto dei nostri risultati con un campione della popolazione generale connesso all’alimentazione e l’insicurezza alimentare.

Quindi, ci sono alcune associazioni tra l’insicurezza alimentare e le funzioni psicologiche?Per esaminare l’associazione tra l’insicurezza alimentare e le funzioni psicologiche abbiamo eseguito due tipi di analisi. La prima analisi riguarda la prevalenza di ridotte funzioni psicolo-giche, sociali ed occupazionali, sintomi di depressione e sintomi maniacali (YMRS) riguardo ciascuna domanda dello screening sull’insicurezza alimentare. I risultati indicano che c’era una significativa maggiore prevalenza della depressione e dei sintomi maniacali in chi ha risposto suggerendo che la propria dieta fosse compromessa a causa della mancanza di denaro. La domanda era “Negli ultimi 12 mesi non hai avuto abbastanza cibo da mangiare a causa della mancanza di denaro?”La seconda analisi esaminava le funzioni psicologiche tramite una misurazione chiamata “rapporti di prevalenza”. Questa misura compara il rapporto tra il numero di persone e lo stato psicologico (come la depressione) con il numero di individui che presenta insicurezza alimentare. Abbiamo esaminato i rapporti di prevalenza per lo stato psicologico e l’insicurezza alimentare da sola e dopo avere eseguito la correzione per altre variabili che includevano l’età, il sesso e lo stipendio. I rapporti di prevalenza in entrambe le analisi dimostrano che i sintomi maniacali sono

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DistUrBi DELL’UmorEL’iMpOrTANZA Di UNA COrreTTA ALiMeNTAZiONeA tu per tu con Karen Davison

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associati all’insicurezza alimentare. Un basso stipendio, variabile altamente correlata all’insicurezza alimentare, era associato con tutte le tre misurazioni psicologiche.

È possibile che l’insicurezza alimentare conduca ad un peggio-ramento dei disturbi dell’umore?Il nostro studio era trasversale, quindi non possiamo sapere con certezza se l’insicurezza alimentare induca i disturbi dell’umore oppure se sia vero il contrario ovvero che i disturbi dell’umore conducano all’insicurezza alimentare. Possiamo dire che l’insicu-rezza alimentare ed il peggioramento dei sintomi maniacali sono associati nel campione del nostro studio.Noi suggeriamo altre strade che potrebbero spiegare questa associazione. Una possibile spiegazione è che lo stress connesso all’insicurezza alimentare possa peggiorare le funzioni psicologi-che direttamente o indirettamente alterando l’assunzione delle sostanze nutrienti od il metabolismo. Per esempio, i risultati del nostro studio indicano che le persone con insicurezza alimentare hanno una maggiore prevalenza di assunzione di livelli inade-guati di folati. Un ridotto livello di folati può condurre a minori folati nel sangue, che danneggia il metabolismo monocarbonioso e peggiorare i sintomi psichiatrici. Un’altra possibile spiegazione

è riferita alla vitamina C. Chi ha insicurezza alimentare ha una assunzione significativamente più bassa di vitamina C. Però l’ab-bassamento del livello di vitamina C nel sangue potrebbe avere anche un effetto collaterale dello stress dovuto all’insicurezza alimentare, visto che la diminuzione della vitamina C accelera durante un periodo di stress. Precedenti ricerche suggeriscono che un basso livello di vitamina C nel sangue possa indurre irregolarità nel metabolismo del vanadio, col risultato di sintomi maniacali.Ci sono anche delle altre possibili ragioni per questi collegamenti tra l’insicurezza alimentare e la salute mentale. Per esempio, fattori sociali come lo stigma associato con un disturbo mentale possono contribuire all’insicurezza alimentare. Si è anche pro-posto che bassi livelli di glucosio, il che può essere un effetto di disturbi nutritivi da insicurezza alimentare, limitano il glucosio che arriva al cervello, aumentando la fatica fisica e mentale. Infine una dieta povera, che può essere risultato dell’insicurezza alimentare, può sbilanciare i batteri intestinali (disbiosi) condu-cendo ad un trasloco dei batteri, il quale può portare a risposte metaboliche, immunitarie ed infiammatorie che peggiorano la salute mentale.

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