Anno XXXVIII N. 3 Giugno - Luglio 2017 Euro...

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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna Anno XXXVIII N. 3 Giugno - Luglio 2017 Euro 2,00 Ischia: cenni storici della Chiesa di Portosalvo Fonti archivistiche Il monastero di S. Maria della Consolazione al Castello Le Madonne incoronate Giardini Ravino: in mostra foto dell'Archivio Carbone di Napoli La necropoli di Pithekoussai "palinsesto dell'archeologia mediterranea" "Rumor diversi e tai voci"

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Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportiviDir. responsabile Raffaele Castagna

Anno XXXVIIIN. 3

Giugno - Luglio 2017

Euro 2,00

Ischia: cenni storici della Chiesa di Portosalvo

Fonti archivisticheIl monastero di S. Maria

della Consolazione al Castello

Le Madonne incoronate

Giardini Ravino: in mostra foto dell'Archivio Carbone di Napoli

La necropoli di Pithekoussai"palinsesto dell'archeologia mediterranea"

"Rumor diversi e tai voci"

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Ad Ischia la IV edizione della conferenza internazionale

Greening the Islandsdal 28 al 30 settembre 2017

Join the 4th Greening the Islands International Conference – Ener-gy, Mobility and Water for Circular Island Economies – which will take place on Ischia (Naples) on 28-30 September 2017.

This year Greening the Islands will be an “online event” thanks to live streaming and the e-tools of GreeningTheIslands.net. From Ischia, key island actors will il-lustrate their best solutions and engage with a global community of experts to discuss how to make islands even more attractive and environmentally resilient. This no-vel format will transform the event into a three-day “documentary” on the green economy and demonstra-tes Greening the Islands’ ability not only to bring together participants in Ischia but also to connect its glo-bal GreeningTheIslands.net com-munity.

Greening the Islands will this year revolve around an enlarged concept of circular island econo-mies, embracing energy, water, waste, mobility, agriculture, touri-sm, culture and traditions.

To keep pace with innovation, Greening the Islands will give an update on the very latest solu-tions: leading examples of how to face the most critical issues of the over 500,000 islands in the world, improve the quality of life of islan-ders and build resilience to climate change and migration.

Once again the community of innovation providers, island ad-ministrations, institutions and in-vestors will meet for this unique an-nual appointment to demonstrate that a brighter future is possible for islands and not only.

In 2016 Greening the Islands in-troduced national conferences to

better focus on domestic issues. On 28 September participants will at-tend the Italian Greening the Islands conference, which will be translated into English. The Italian session will concentrate on the recently appro-ved decree granting incentives to renewables on islands through re-duced diesel consumption, that will be the first feed-in-tariff scheme ap-plied to islands, and on the result of a study to introduce simple, specific authorisation procedures for green projects on islands.

The conference will end with a site visit: participants will move by boat to the International School for Advanced Studies on Scientific Re-search on Sustainability for Islands on Procida and enjoy a visit to a stunning medieval village overloo-king the sea and a delicious seafood lunch at the island’s ancient port.

***

La 4a conferenza internazio-nale “Greening the Islands” - Energia, Mobilità e Acqua per le economie circolari delle isole - si svolgerà a Ischia (Napoli) il 28-30 settembre 2017.

Quest’anno Greening the Islands sarà un “evento online” grazie allo streaming live e agli strumenti elettronici di Gree-ningTheIslands.net. Da Ischia gli attori principali dell’isola il-lustreranno le loro migliori so-luzioni e si impegnano con una comunità globale di esperti per discutere come rendere le isole ancora più attraenti e resilien-ti all’ambiente. Questo nuovo format trasformerà l’evento in un “documentario” di tre giorni sull’economia verde e dimostra la capacità di Greening the Islands non solo di riunire i partecipanti a Ischia ma anche di collegare la sua comunità globale Greening-TheIslands.net.

Greening The Islands si svolge-ranno quest’anno in un concetto

(continua a pag. 4)

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 3

La Rassegna d’IschiaIn questo numero 2 Greening the Islands

5 Motivi

8 Nota illustrativa di un evento del 1907

10 L'Isola felice del cinema

Premio Ischia Internazionale

11 Lo spazio funerario

12 La necropoli di Pithekoussai "palinsesto dell'archeologia mediterranea"

20 Rassegna Libri - Intrigo a Ischia - Onorato - XXV Ann. Incoronazione Mad. di Portosalvo - Ischia, isola di Mussolini - Briganti 21 Cenni storici sulla Chiesa di Portosalvo 24 Le Madonne incoronate

27 (Annuaire ....) Ischia (testo francese e italiano)

31 Archivio Diocesano d'Ischia La S. Restituta della Cattedrale e lo scultore Arcangelo Testa

34 Ex Libris - Italy from the Alps..... - Naples et le Mont-Cassin

43 Picasso a Napoli (mostra)

40 Fonti archivistiche Monastero di S. Maria della Consolazione (III)

51 Il Monumento di G. Corafà restaurato

53 Vicoli stradine e vecchi ricordi

55 Mostre ai Giardini Ravino di Forio

57 Cronaca da Panza (giugno 1908)

58 Stemmi angioini

Periodico bimestrale di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi

Anno XXXVIII - n. 3Giugno - Luglio 2017

Euro 2,00

Editore e Direttore responsabile Raffaele Castagna

La Rassegna d’IschiaVia IV novembre 19

80076 Lacco Ameno (NA)Registrazione Tribunale di Napoli

n. 2907 del 16.02.1980Registro degli Operatori

di Comunicazione n. 8661

Stampa : Press Up - Roma

Le opinioni espresse dagli autori non impe-gnano la rivista - La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Di-rezione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione.Non si pubblicano pubblicità a pagamento. Nomi, ditte, citazioni sono riferiti a puro ti-tolo informativo, ad orientamento del lettore.

conto corr. postale n. 29034808 intestato aRaffaele Castagna - Via IV novembre 19

80076 Lacco Ameno (NA)www.ischialarassegna.comwww.larassegnadischia.it

www.iscla.info

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Chiuso in redazione il 28 maggio 2017 In copertina (I) - Ischia - sec. XIX(immagine comprata a Parigi da Valérie Castagna)

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4 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

allargato di economie circolari delle isole, che comprende l’ener-gia, l’acqua, i rifiuti, la mobilità, l’agricoltura, il turismo, la cultu-ra e le tradizioni.

Per rispettare l’innovazione, Greening the Islands fornirà un aggiornamento sulle ultime solu-zioni: esempi principali di come affrontare le problematiche più critiche delle oltre 500.000 isole del mondo, migliorare la qualità della vita degli isolani e costruire resistenze al clima, cambiamen-to e migrazione.

Ancora una volta la comunità

di fornitori di innovazione, am-ministrazioni, istituzioni e inve-stitori dell’isola si incontreranno per questo appuntamento an-nuale unico per dimostrare che un futuro più luminoso è possi-bile per le isole e non solo.

Nel 2016 Greening le isole ha introdotto conferenze naziona-li per concentrarsi meglio sulle questioni nazionali. Il 28 settem-bre i partecipanti prendranno parte alla conferenza Italiana Greening the Islands, che verrà tradotta in inglese. La sessione italiana si concentrerà sul decre-to recentemente approvato che concede incentivi alle energie rinnovabili sulle isole attraverso

un ridotto consumo di gasolio, che sarà il primo regime tarif-fario applicabile alle isole e sul risultato di uno studio per intro-durre procedure semplici e spe-cifiche di autorizzazione Per pro-getti verdi sulle isole.

La conferenza finirà con una visita sul sito: i partecipan-ti si trasferiranno in barca alla Scuola Internazionale per Studi Avanzati sulla Ricerca Scientifica sulla Sostenibilità delle Isole di Procida e godono di una visita a un meraviglioso villaggio medie-vale che si affaccia sul mare e un delizioso pranzo a base di pesce all’Antico porto dell’isola.

*

Una lirica per i Maronti

Alle “Petrelle” dei Marontivanno i ragazzini.Le “Petrelle” sono amatedai pescatori.Orientamentocol mare in tempesta.

Per noi sono qualcosadi più,sono il simbolodella gioventù;

sono la vogliadi correredi scalaredi tuffarsinell’acquae di sognarela vita e l’amore.

Giorgio Vuoso

Ischia

O te bella e illustre, isola amica, Che le fervide linfe, onde va riccoIl tuo terren vulcanico, segreta Hanno virtù sui morbi a cui l’umana Prole è subbietta. Innumeri sorgenti Zampillan dal tuo sen; sante mammelle Da cui succhiano gli egri avidamente Ia salute e la vita; e nel tuo grembo, Qual madre affettuosa gli raccogli, Gli rintegri, gli avvivi. E quale prima Fra l’acque tue, fra le tue terme, e qualeFra tuoi lavacri loderò, se cento E cento son? Come tacer i pregi Dell’acqua del Pontano, a cui dié nome Inclito ingegno, o degli antichi gorghiDi Cotto, di Fornello e di Fontana; 0 di quei d’Olmitello, di Citara, Di Nitroli, di Santa Restituta, Di Castiglion, di Rita, di Cappone; O d’altri ancor, possenti ed ammirandi I malori a scacciar? Ma senza laude Non andrai ne’ miei versi, alma sorgente Di Gorgitello, a cui più ch’ad ogn’altra, Quasi ad un tempio, accalcasi la folla, Implorando salute. E l’uom che prima Lento e pallido venne alla tua fonte, Ritemprato ne parte, e benedice A miracoli tuoi.(da Ischia, Canti tre di M. Marcello, Milano 1863. Carme giovanile dell’autore dedicato a Giacomo Stefano Chevalley de Rivaz, quale segno di riconoscenza)

Greening the Islands(segue da pagina 2)

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 5

Motivi Raffaele Castagna «Rumor diversi e tai voci»

si spargono per l’isola in rela-zione ai festeggiamenti svoltisi ultimamente in onore di Santa Restituta: è parso inopportuno invero che, mentre si auspicano larghe offerte per i lavori in atto nel tempio, si spandono laute ci-fre economiche per quei fuochi pirotecnici (o per le luminarie) che ormai costituiscono l’espres-sione più sentita e forse voluta di tutte le feste religiose. Se non ci sono spari, botte e fumo, non c’è festa, pensano (ahinoi!) in molti; anche quando magari esigenze diverse richiederebbero un uso più responsabile del danaro, da qualunque parte esso provenga; par che non ci siano ragioni va-lide a modificare tale comporta-mento e a far prevalere altre ma-nifestazioni per onorare i santi in genere e mostrare la propriafede. E si spera che per questa propen-sione e preferenza sviscerata dei fuochi non ci siano pur anco ri-sorse pubbliche!

Ma non si tratta soltanto di la-vori per la chiesa, in quanto da anni è chiuso l’annesso museo, opera fortemente voluta da Don Pietro Monti e più volte apprez-zata. Si dice che siano necessari dei lavori per mettere in sicurez-za certe strutture, e però nessuno prospetta soluzioni… E il com-plesso “Scavi e Museo” ha chiuso i battenti e respinge i suoi possi-bili visitatori.

*** L'area archeologica di Santa Restituta, scoperta e indagata da don Pietro Monti, rettore della Basilica, presenta la produzione ceramica che si è sviluppata a Ischia nel corso dei sevoli. Plinio infatti nella sua Naturalis Histo-ria fa derivare il nome dell'isola

non dalle scimmie, ma dai vasi di argilla (Pithecusa, non a si-miarum multitudine, ut aliqui existimavere, sed a figlinis do-liorum). In merito si può con-sultare il grosso volume di Gloria Olcese: Le anfore greco-italiche di Ischia: archeologia e archeo-metria, pubblicato nel 2010, nel-la cui presentazione si legge: «... don Pietro Monti, il sacerdo-te con la passione per l'archeo-logia che si è particolarmente dedicato allo scavo, pur se con scarso metodo, negli anni '70 sotto la sua chiesa di S. Restituta a Lacco Ameno di una parte del quartiere artigianale antico». Chi arriva a Lacco Ameno, nella Piazza di S. Restituta, si imbatte subito in questa realtà museale, già prima ancora di venire a co-noscenza della presenza del Mu-seo archeologico di Pithecusae. E la constatazione che il patri-monio ivi racchiuso non è aperto alla pubblica visione non depone di certo a pro del paese.

***

Alcuni anni fa il sindaco di Sor-rento, Giuseppe Cuomo, istituì l’Henrik Ibsen day, per ricorda-

re il drammaturgo norvegese e celebrarne il legame con Sorren-to, dove egli soggiornò a lungo; giornata fissata appunto per il 23 maggio, in cui ricorre l’anniver-sario della sua morte.

Analoghe iniziative avrebbero dovuto svolgersi a Casamiccio-la e ad Amalfi, luoghi che Ibsen frequentò nel corso del suo viag-gio in Italia. Non crediamo che ci siano sempre stati eventi in tal senso. Come sempre appa-iono all’orizzonte progetti, che poi svaniscono presto nel nulla e nell’oblio.

Leggiamo, per esempio, sulla rivista Lettera da Ischia, mensile per gli amici dell’isola, edito da Ischia nel mondo (luglio-agosto 1979), di un richiesta avanzata al Sindaco di Casamicciola, da un gruppo di scrittori ed artisti nor-vegesi, «di acquistare o prende-re in fitto la villetta nella quale soggiornò nel 1867 Enrico Ibsen durante la sua permanenza sull’isola d’Ischia”. La proposta aveva lo scopo di dare più degna sistemazione alla dimora isolana del grande drammaturgo scandi-navo, creando un luogo d’incon-tro e di studio a lui dedicato.

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6 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

L’Associazione “Italia nostra” intervenne a sostegno dell’ini-ziativa presso l’Amministrazione comunale di Casamicciola. Gli intellettuali norvegesi si riferi-vano proprio al fatto che a Ca-samicciola Ibsen scrisse il Peer Gynt.

***

A Casamicciola – scrive Wladi-miro Frenkel nella seconda edi-zione della sua guida su L’Isola d’Ischia1 - furono composti i pri-mi tre atti del Peer Gynt, nell’e-state del 1867 (150 anni fa – una data da ricordare) e dove certamente ne meditò il quarto e il quinto, ultimati nella città di Sorrento2.

Peer Gynt!... Quest’opera meravigliosa che sembra più romantica che... feerica e più fantastica che romantica, potet-te essere concepita soltanto in un “posto più bello del mondo”, come Enrico Ibsen soleva chia-mare Casamicciola, posto, che gli

1 L’Isola d’Ischia, nuova guida di Wla-dimiro Frenkel, con 50 illustrazioni e 3 cartine, II edizione, Napoli 1928. 2 Risulta dalla corrispondenza dell’Ibsen — tradotta in francese e pubblicata nel 1906 — che i primi tre atti, vergati a Casamicciola fra la metà di maggio e il principio di agosto 1867, furono spediti all’editore Hegel, per mezzo del console generale Danchertsen in Napoli, l’8 ago-sto del 1867, e nella lettera, che accom-pagnava il manoscritto, l’Ibsen, “appro-fittando della gentile offerta”, chiedeva al suo editore un anticipo di duecento scudi, promettendogli d’inviare il resto dell’opera da Sorrento... I due ultimi atti vennero impostati, infatti, due mesi più tardi: il 16 ottobre 1867, ma se il cal-do non fosse stato sì eccessivo durante il soggiorno del poeta a Casamicciola — “per lavorare con coraggio in questa temperatura che raggiunge talvolta i 30°, scriveva egli all’ editore, bisogna es-sere assai robusti”... — anche gli ultimi due atti del Peer Gynt sarebbero stati si-curamente terminati a pié dell’Epomeo, quei due atti che sono ancora più “casa-micciolani” e per il contenuto, e per il paesaggio, e per le deliziose melodie del Grieg.

offriva, ad ogni cangiar di posi-zione, una gamma, sempre nuo-va e sempre stupenda, di aspetti, di colori, di visioni, di suoni. Ed in verità: contemplando Casa-micciola dall’alto (Epomeo), od alle spalle (dalla Piccola Senti-nella), o di profilo (dalla Gran-de Sentinella), o di fronte (dal mare), non vi scorgiamo, forse, “aspre montagne, fiordi oscuri, burroni profondi, foreste di viti e di ginestre, creste bizzarre, vette biancastre?... non vi riconoscia-mo, forse, le “coste del Marocco, i paesaggi ardenti del Sahara, i tramonti di fuoco dell’Egitto?"... non vi godiamo, forse, “la carez-za del cielo ed il sorriso del mare” - di quel cielo e di quel mare, nel regno della luce e dei colori, che sono sempre stati i più efficaci ispiratori di poesia, di musica, di sogni?...

Solo in questo ambiente “più bello del mondo”, fra le scene va-riate: “or oscure, or incantevoli, or pittoresche, or romantiche, or voluttuose”, Ibsen potette riu-scire a creare quel poema divino, immortale, che, a dirla col criti-co russo Prosor, “seduce i pittori perché è il più pittoresco, i mu-sicisti perché è il più musicale, i filosofi perché è il più filosofico, i bambini perché è il più bambi-nesco”.

Ma tutte queste virtù eccezio-nali dell’opera - alle quali molti aggiungono, ed a torto, quella di essere Peer Gynt il più norvegese dei drammi dell’Ibsen - avrebbe-ro un interesse assai... relativo, se, nel dipingere con “colori vi-vissimi di pura poesia le scene seducenti dei suddetti cinque atti del poema”, Enrico Ibsen non fosse stato spinto, dall’incompa-rabile insieme di... Casamicciola, a sviluppare la modesta saga po-polare, nata a Gudbrandsdal nel sec. XVIII, in un concetto univer-sale ed umanitario, che ci rivela, attraverso la tragedia dell’anima

del figlio “avventuriero e vaga-bondo” di Aase, l’eterna tragedia dell’anima dell’umanità con tut-ti i suoi ideali e con tutte le sue aspirazioni...

Peer Gynt è il Faust di Enrico Ibsen: è l’umanità stessa che, dibattendosi senza tregua fra lo spirito e la materia, fra il bene e il male, non trionfa che attraver-so la pietà e l’abnegazione, sulle quali si erge l’amore puro, subli-me, ideale...

Enrico Ibsen, come Wolfan-go Goethe, era cosciente dell’u-niversalità della sua opera... E, come il poeta tedesco, si rifiutava ostinatamente, direi quasi... re-ligiosamente, di diffondersi sul “vasto simbolismo” del suo con-tenuto: “Faust - diceva il Goethe - è un soggetto incommensura-bile e tutti gli sforzi dello spiri-to per penetrarvi intiero riusci-ranno vani!”... “Per spiegarvi le circostanze - scriveva l’Ibsen al Passarge - che m’hanno condotto a comporre Peer Gynt, mi occor-rerebbe scrivere un volume”...

Però il Faust norvegese, creato in men di tre mesi sul suolo itali-co, sul suolo di Casamicciola - e qui si spiega l’orgoglio giustifi-cato di questo paese di aver dato ospitalità ad Enrico Ibsen - è più onesto e più umano del Faust tedesco, creato in trent’anni sul suolo germanico. Tutti e due “hanno i loro sensi inondati di viva delizia”, tutti e due “per ogni fibra sentono correnti del san-to e soave ardore che fa lieta la giovinezza”, tutti e due, inquieti, superbi ed arroganti, sono invasi dal Basta a te stesso del Vecchio di Dovre, dal Fa il giro del Gran Curvo e dal Mich drang’s, so grarie zu geniessen di Mefistofe-le, che sono espressioni caratte-ristiche dell’eterno trinum dell’e-goismo umano: libido sentiendi, libido sciendi, libido dominandi - ma, mentre l’uno, il Faust tede-sco, che “passa di dottrina tutti

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 7

quanti i cianciatori, dottori, ma-estri, scrivani e preti”, ricorre, come sappiamo, ad una lenona per affiatarsi con Margherita, commette una falsa testimonian-za per accattivarsi la “pia” Marta, avvelena la mamma della ganza, ne uccide a tradimento il fratello, l’abbandona incinta e nella mise-ria..., l’altro, il Faust norvegese, semplice contadino, senza posse-dere i quattro diplomi del dotto-re di Wittenberg, non seduce l’in-namorata Ingrid che... spontane-amente, in istato di ubriachezza e di collera... infantile contro il suo rivale, e, pur passando per “tutti i mestieri” nel corso del-la sua esistenza - da esploratore a cercatore d’oro, da profeta ad armatore, da commerciante a... imperatore - egli, senza attende-re trent’anni una... seconda par-te del dramma, come aspetta il dottore di Wolfang Goethe, non conserva il suo vero io che nella dolce Solveig - nell’ideale supre-mo dell’umanità: nella fede, nella speranza, nell’amore...

Tale universalità indiscussa del soggetto del poema di Enrico Ibsen e tale evidente superiorità morale del suo Faust-Peer Gynt avrebbero dovuto essere ricor-date qui, a Casamicciola, più che altrove, in occasione del centena-rio della nascita del sommo poeta di Norvegia, anche se avessimo potuto attribuire quella superio-rità morale non soltanto alla ac-cennata differenza del suolo, del clima e del paesaggio, ma, in par-te, alla... forma mentis dei due poeti, nutriti, l’uno dal lusso più raffinato, nel proprio home e nel Vaterland, e l’altro dallo squal-

lore più desolante, nei garnis e nell’esilio, l’uno amato, lodato, ricercato... e l’altro odiato, criti-cato, perseguitato.

Ma le vecchie tradizioni lette-rarie che impongono... di con-siderare Wolfang Goethe “il più gran lirico di tutti i tempi e di tutte le nazioni”, un “semidio, degno di confondersi con la di-vinità”, hanno impedito anche qui i pericolosi confronti e la... “profanazione” del genio dell’A-pollo Musagete germanico... Sul-la lapide commemorativa - che ammireremo in Piazza Marina - squisitamente dettata dal com-pianto Achille Torelli, non tro-veremo che la solita rievocazio-ne dell’ “isolamento” dell’Ibsen, “per altezza suprema d’ingegno”, dell’ “aspro clima” del suo pae-se e dell’ombra vaghissima dell’ “inimitabile Solveig”...

“… Non sarebbe ora l’occasione propizia - scrive V. A. Conte, il Podestà di Casamicciola, per pro-muovere almeno una settimana di rappresentazioni ibseniane (Peer Cynt all’aria aperta?...) su quest’isola infinitamente amma-liatrice”?

Sicuro: l’occasione è più che propizia... Ma ad una simile setti-mana hanno anche diritto Amalfi e Sorrento, dove l’Ibsen scrisse la Casa di Bambola e gli Spet-tri, e, specialmente, Roma, dove, nel Tempio di San Pietro, egli concepì il suo Brand: la tragedia dell’Assoluto, del “tutto o nulla”, che glorifica la volontà purificata, salda, inconcusssa.

E ancora: non dimentichiamo la celeberrima Castellammare di

Stabia, alla quale Enrico Ibsen “dedicò”, nel 1882, il suo dram-ma più battagliero contro la fal-sità, contro i troll, contro quella vecchia e sinistra morale - oppri-mente la coscienza degli onesti - che permette di “correggere” crudelmente coloro che scopro-no difetti ed errori... e di lascia-re incorretti gli stessi difetti e gli stessi errori.

La rappresentazione del dram-ma Un nemico del Popolo a Ca-stellammare di Stabia, dove, in-contriamo un Pietro Stockmann, un Hovstad, un Billing, un Kiil, un Aslaksen e “uomini nella fol-la”, in carne ed ossa, che ripeto-no le parole dell’Ibsen dette da 45 anni a questa parte, e dove il dott. Stockmann è più che mai... dichiarato “nemico del popolo” con la perdita dei beni materiali, per aver egli desiderato la costru-zione di fogne e di zone di prote-zione delle sorgenti medicamen-tose... - la rappresentazione, di-ciamo, del dramma. Un nemico del Popolo a Castellammare di Stabia, riuscirebbe sommamente interessante, istruttivo, salutare: essa spingerebbe i buoni stabie-si, nell’apprendere che “vivere significa lottare contro i troll nel cuore e nel cervello”, ad inchi-narsi dinanzi al genio profetico dell’Ibsen, che aveva messo in evidenza i fatti accaduti 20 anni dopo la sua morte..., e alla “gran-de scoperta” del dott. Stockmann che “l’uomo più potente del mon-do è colui che se ne sta solo”.

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Leggete

La Rassegna d'IschiaPeriodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi

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8 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Philippe Champault, illustre let-terato francese, in un’opera po-derosa, non ancora contraddetta, anzi da molti lodata, con tutte le risorse dell’arte e della scienza ha dimostrato che l’isola di Scheria, sulla quale fece naufragio Ulisse, non può essere altra all’infuori dell’isola d’Ischia. Posto questo, i principali luoghi verrebbero così identificati. Punto di approdo: Casamiccio-la. Una traccia del fiumicello nel quale Nausica, la giovine figlia del re Alcinoo, andò a rimbian-care i panni si riscontrerebbe in

Nota illustrativa di un evento del 1907

quella Lava che passa accosto all’odierno Monte della Miseri-cordia, nella quale, anche oggi, le donne del popolo vanno a lavare i panni.

Il bosco dei pioppi risponde-rebbe a quel largo che si dispiega a fianco alla chiesa di S. Antonio, a Ischia, dove pure fila una vena d’acqua: la Mirtina. La reggia poi torreggiante su la città alta an-drebbe posta sul Castello.

Gli studiosi di cose isolane, che amano vederci chiaro, si spiega-no innanzi da un lato il libro di Champault, da l’altro l’Odissea Omerica — in qualche versione o nel testo originale, dal quale con libere versioni sono stati tolti di peso gli squarci sotto indicati, dal libro quinto al tredicesimo, — e passeranno un’ora di spirituale diletto.

INNOParole di O. BUONOCORE

musica del Prof. Can. L. D’AMBRA

Rugiadosa ti levi, slanciata Sovra il mare, recinta di mirto, Quale donna ad mene votata Radiante s’appreIssi a l’altar.

Lampeggiavi al pensiero dei vati Sei lustri di secoli innanti, Aurore e tramonti rosati Musa ellenica tolse a cantar.

Ne la fuga dei secoli, a folle Approdaro a le belle contrade; Quali a far rifiorire le zolle, Quali a spargere cenere e sai.

Da le rocche turrite vegliava La fremente grand’anima isolana; A’ coloni la terra spianava, A’ tiranni il venefico stral.

Corruscante di luce divina, Agli albori dei secoli novi, Da le sponde di Cuma vicina Si specchiava la Croce sul mar.

E quel segno accogliendo, furtivo Lo serravi fremente sul core ; Infiorato di palme e d’ olivo L’inalzavi a l’onor de l’altar.

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 9

Canto de l’inno . Prolusione - Prof. Francesco Cenatiempo.

F. Thomé - Sérénade Espagnole - eseguita dal Sig. Pietro Calise.

PRIMA PARTE

Ulisse piglia terra a Casamicciola – Sestine Sig. Gamboni Giovanni

Origine dei Feaci - Epigramma greco-italiano Sig. Castagna Ernesto

Lungo il bel fiume - Canzonetta Sig. Lamonica Giuseppe.

Il primo incontro - Sciolti Sig. Pugliese Giuseppe

Puccini - Preghiera della Tosca Sig. Iacono Alfredo

PARTE. SECONDA

Nel bosco dei pioppi - Terzine Castiglione Giuseppe

La reggia del Castello - Ottave Sig. Buono Emiddio

Dinanzi al re di Scheria -Sciolti Sig. Di Meglio Francesco

Il Consiglio dei Feaci - Carme latino-italiano Sig. Manzi Raimondo

Gounod - Ave Maria Cantata dal Sig. D’Ambra Leonardo

PARTE TERZA

Il solenne convito. Sciolti Sig. Tallarico Carlo

I doni dei Feaci - Ottave Sig. Capuano Luigi

Solenni addii - Sciolti Sig. Del Deo Guglielmo.

Per l’onomastico di Mons. Vescovo – Sonetto Sig. Conte Michele

Marenco - Excelsior Sig. Calise Pietro

DISTRIBUZIONE DEI PREMI

Si ripete l’inno.

L'opera dello Champault cui ci si riferisce è Phéni-ciens et Grecs en Italie d'après l'Odyssée - del 1906, di cui è stata anche pubblicata nel 1999 una versio-ne italiana con il titolo: L'Odissea, Scheria, Ischia, a cura de La Rassegna d'Ischia.

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Ischia Film Festivall’isola felice del cinema

Dal 24 giugno al 1° luglio 2017 il Castel-lo Aragonese ospiterà la 15ma edizione della manifestazione

Anche quest’anno si rinnova l’appuntamen-to con l’Ischia Film Festival, che al compimento del terzo lustro presenta alcune novità. La prima è l’affiancamento alla direzione artistica da par-te del critico e giornalista cinematografico Boris Sollazzo; già da anni collaboratore del festival, Sollazzo divide quindi con Michelamgelo Messina l’onore e l’onere di selezionare le opere e gli ospi-ti che arricchiranno la quindicesima edizione del festival.

Circa 600 sono i titoli dei film arrivati al comi-tato di selezione per trovare un posto nelle cin-que sezioni del festival: Concorso, Primo Piano, Scenari Campani, Location Negata e Proiezioni Speciali.

A ospitare come sempre gli otto giorni della ma-

nifestazione sarà il maestoso Castello Aragonese, trasformato nelle sue chiese, nei suoi cortili e nel-le sue terrazze in una cittadella del cinema.

D’altronde, per un festival nato proprio per va-lorizzare le location in cui si decide di raccontare storie, avere una casa che di segreti da condivi-dere ne ha avuti e ancora tanti ne ha, è naturale, come lo è condividerla con delle persone speciali.

L’Ischia Film Festival lo ha sempre fatto; Pa-squale Squitieri è stato tra questi, ricevendo il premio alla carriera nel 2015. Il regista de Il pre-fetto di ferro, E li chiamarono briganti e tante al-tre opere importanti della storia del cinema italia-no, sarà ricordato con una doverosa retrospettiva.

E parlando di maestri del cinema europeo, il primo nome che l’Ischia Film Festival annuncia, come regalo per il quindicesimo compleanno, è quello di Krzysztof Zanussi. Un ritorno quello del grande cineasta polacco, già a Ischia nel 2006 per ricevere il premio alla carriera. Quest’anno vesti-rà invece i panni di Presidente dell’edizione 2017. Un onore per il festival e la prima di molte notizie che nelle prossime settimane sveleranno un pro-gramma ricchissimo e internazionale.

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Premio Ischia Internazionale di Giornalismo

Svetlana Alexievich, premio Nobel per la letteratura 2015, e l’inviato di guerra inglese Anthony Loyd sono i vincitori del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo.

“Sono felice di venire in Italia per ricevere il Premio Ischia a giugno”, è stato il commento della Alexievich. Nota per essere stata croni-sta dei principali eventi dell'Unione Sovietica della seconda metà del XX secolo: dalla guer-ra in Afghanistan, al disastro di Cernobyl, ai suicidi seguiti allo scioglimento dell'URSS, l'8 ottobre 2015 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura, "per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo".

Anthony Loyd è uno dei più importanti in-viati di guerra inglese: dalla Bosnia alla Sierra Leone, dall’Afghanistan al Kosovo e Iraq. Fu rapito e ferito in Siria.

Francesca Landi, dal 201 responsabi-le delle relazioni pubbliche e dei media per

Action Aid, è la vincitrice del Premio Ischia internazionale per la comunicazione sociale, mentre a Marco Bardazzi, direttore delle relazioni esterne di Eni, è andato il ricono-scimento come il più innovativo fra i comu-nicatori d'azienda dell'anno. A Sky Evening News il premio per l'Innovazione editoriale nella comunicazione digitale, attribuito ogni 4 anni per le iniziative legate al web e al digi-tale.

Il Premio Ischia è patrocinato dalla Presi-denza del Consiglio dei Ministri, dalla Regio-ne Campania, dalla Camera di Commercio di Napoli, dall’Istituto per il Credito Sportivo, da Autostrade per l’Italia, società Italia per Condotte d’acqua spa, dall'ACI, da Poste Vita, ADR Aeroporti di Roma e Coca Cola Italia.

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L’Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, con il contributo della Fondazione Taranto e la Magna Grecia e del Ministero dei Beni e del-le Attività Culturali e del Turismo, ha pubblicato gli Atti del LIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto dal 26 al 29 settembre 2013:

Poleis e Politeiai nella Magna Grecia arcaica e classica

La redazione è stata curata da A. Alessio, M. Lombardo, A. Siciliano e dalla Museion Soc. Coop.

Nel volume è riportato un intervento di Va-lentino Nizzo, riguardante la necropoli di Pi-thekoussai nella valle di San Montano (Lacco Ameno) dal titolo: “Lo spazio funerario - Per una stratigrafia dei rapporti socia-li: parentela, rito, tempo e filtri funerari nella necropoli di Pi-thekoussai”.

* Valentino Nizzo, Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia - Ministero dei Beni e delle At-tività Culturali e del Turismo.

«L’epoca in cui le ne cropoli erano considerate anche dagli studiosi semplicemen-te come miniere di oggetti antichi di interesse artistico o antiquario è tramonta-ta da molto tempo. Si deve osservare, tuttavia, come perduri ancora oggi talvol-ta un’attitudine che, se non è ugualmente deleteria, e però anch’essa deprecabile e derivante dalla stessa mentalità, cioè dall’interesse limitato ad una ricerca di ca rattere prevalentemente antiquario. Le necropoli non vengono più considerate come miniere di singoli oggetti, ma come minie re di associazioni di oggetti in base alle quali ognuno cerca di ela-borare il suo proprio siste ma di ripartizioni in periodi, fasi e sottofasi. Si cerca ancora la “bella” tomba ricca di oggetti e magari si pubblica soltanto una scelta delle tombe più “significative” in tal senso. In questo modo tutte le informazioni sulla struttura so ciale e sulla statistica della popolazione vanno irrimediabil-mente perdute. L’ideale sarebbe di poter scavare la necropoli di un insediamento interamente» (Giorgio Buchner - 1975).

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La necropoli di Pithekoussai“palinsesto dell’archeologia mediterranea”

di Valentino Nizzo

La perifrasi “palinsesto dell’archeologia mediterranea” per l’insediamento pithecusano costituisce “una delle migliori definizioni possibili per la realtà in discorso, almeno limitatamente ai suoi primi 5 o 6 decenni di vita (740 – 680 av. C.),

quelli meglio documentati nella porzione di necropoli finora messa in luce e pubblicata”

All’abilità e all’intuito di Giorgio Buchner si deve senza dubbio il merito di tale connotazio-ne poiché Pithekoussai è sin da subito divenuta un punto di riferimento imprescindibile per l’ar-cheologia del Mediterraneo proprio in virtù del-le capacità di scavo e di interpretazione del suo scopritore, che seppe mettere a frutto in modo estremamente efficace la straordinaria messe di dati e di informazioni restituita dalla necropoli, i cui resti erano tali da ricucire di colpo le distanze tra Oriente e Occidente e rinsaldare la cronologia della “prima colonizzazione” alla documentazio-ne storica e archeologica della Grecia, del Vicino Oriente e del mondo indigeno. Il sepolcreto, infat-ti, oltre a essere rimasto sostanzialmente intatto sin dai momenti della sua ultima frequentazione, presentava un utilizzo ininterrotto protrattosi per oltre 150 anni, con modalità d’uso che lasciavano ipotizzare l’esistenza di una spartizione preventi-va degli spazi funerari, assegnati a specifici “grup-pi familiari” fino alla loro definitiva estinzione e/o alla loro emigrazione. La distribuzione delle tom-be rifletteva, quindi, in un certo senso, l’assetto originario della “società dei vivi” e la distribuzio-ne demografica del campione lasciava supporre che non vi fossero in atto filtri o discriminazioni nell’accesso alla deposizione formale. La comuni-tà, inoltre, risultava composta da individui di ori-gine diversa, non solo greca o orientale ma anche peninsulare, con provenienze ipotizzabili da vari ambiti del mondo indigeno, riflesse non soltan-to dalla presenza di manufatti allogeni ma anche dalla scelta (spesso più complessa da riconoscere) di pratiche funerarie differenziate. Su quest’ul-timo fronte, inoltre, risultava particolarmente significativa la selezione del rito in rapporto alla classe d’età, almeno limitatamente alla compo-nente della comunità di probabile origine egea.

L’intreccio dei dati stratigrafici con quelli “so-ciologici” emergenti dalla compenetrazione tra l’adozione di specifiche pratiche funerarie, l’età e/o il ruolo dei defunti offriva agli interpreti l’i-

nedita possibilità di indagare il sepolcreto anche attraverso la sua complessa trama di relazioni fa-miliari, “etniche” e sociali. Ad analisi canoniche solitamente focalizzate su aspetti quali quelli le-gati all’organizzazione/composizione interna dei corredi e/o alla distribuzione di specifiche classi di manufatti in rapporto alle varie articolazioni orizzontali e verticali in cui poteva suddividersi la comunità, si aggiungevano in tal modo anche quelle derivanti dall’integrazione di questi ulti-mi dati con quelli relativi all’organizzazione dello spazio funerario per appezzamenti omogenei, sia sul piano della composizione demografica (per l’assenza di evidenti forme di discriminazione fu-neraria fondate sul genere, sull’età o sullo status sociale), che su quello della loro tendenziale ap-partenenza a “nuclei familiari” più o meno allar-gati.

La necropoli della Valle di San Montano diveni-va pertanto il terreno privilegiato per un’accurata e, per molti versi, inedita ricostruzione dell’evolu-zione diacronica di una comunità “multietnica”, la cui composizione pareva riflettere i canoni de-mografici “naturali” e la cui rappresentatività, al contempo, non sembrava essere eccessivamente distorta dall’azione di quei filtri rituali ai quali, la documentazione funeraria è soggetta. La proie-zione sul terreno e nella composizione dei corredi dei legami e dei retaggi familiari sembrava quindi incoraggiare un tipo di lettura nel quale le rela-zioni vicendevoli tra oggetti e persone potevano essere il frutto di scelte intenzionali, “‘etnicamen-te” e/o “geneticamente” (in senso sia meramente biologico che nell’accezione più ampia e proble-matica sottesa dal termine genos) indirizzate, da decodificare, quindi, anche alla luce di opposizio-ni di quest’ultimo tipo, senza per questo rischiare di trascendere in abbagli come quelli del Motel of the Mysteries. Ciò che altrove si cercava di ricom-porre - nei casi migliori - con l’ausilio di osserva-zioni scientificamente fondate come, ad esempio, le analisi paleobiologiche, nella necropoli di Pi-

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thekoussai poteva quindi essere colto attraver-so quanto di più “oggettivo” la documentazione archeologica può preservare per la ricostruzione analitica della linea temporale e, anche, di quel-la “genetica”: la sequenza stratigrafica (fig. 1); purché, naturalmente, la si sappia correttamente interpretare. L’assenza di distorsioni esterne do-vuta a questo insieme di circostanze straordinarie favoriva, dunque, la ricostruzione di un network affine a quelli teorizzati da Latour, le cui potenzia-lità espressive, nondimeno, risultavano ulterior-mente enfatizzate dal contesto semantico di cui facevano parte: quello della sintesi estrema di una esperienza terrena, in cui le trame di significati e di relazioni possono assumere la conformazione della regnatela weberiana nell’accezione codifica-ta da Geertz e che a Pithekoussai assume l’aspetto tipico del diagramma stratigrafico.

Tali potenzialità vennero intuite sin da subito da Buchner1, che condusse quelle esplorazioni con una rara sensibilità per le problematiche ge-ologiche e stratigrafiche registrando nei suoi tac-cuini tutte le relazioni fisiche tra sepolture che gli era possibile individuare, in un’epoca in cui tale metodo non si era ancora consolidato nella pras-si archeologica (quella dei classicisti, soprattutto) e, in particolare, veniva solitamente considerato estraneo alle problematiche di scavo dei sepolcre-ti2. Un patrimonio di informazioni che egli seppe magistralmente utilizzare nelle sue densissime

1 Cfr., in particolare, Buchner 1975, saggio in cui compare per la prima volta l’espediente grafico della sezione ricostrut-tiva dello sviluppo cronologico e planimetrico di un appez-zamento familiare, ammirevole per chiarezza e profondità interpretativa e, perciò, più volte ripresa per esemplificare l’evoluzione cronologica e stratigrafica del sepolcreto.2 Se si considera l’epoca in cui vennero condotte le prime ricerche si rimane colpiti per la sensibilità e la precocità con la quale vennero raccolte informazioni su aspetti che gli scavi coevi tendevano a trascurare, quali l’acuta osservazione delle complesse dinamiche deposizionali e postdeposizionali rico-noscibili all’interno delle sepolture e/o negli spazi liberi adia-centi (quali, ad esempio, la presenza di «strati dì cocci» con-seguenti allo smantellamento delle pire e allo spargimento dei corredi combusti, testimonianza tangibile dell’esistenza di pratiche funebri esterne allo spazio destinato alla deposi-zione) e l’attenta registrazione di tutte le relazioni “stratigra-fiche” esistenti tra le singole evidenze, sia quelle di carattere manifestamente intenzionale (e, quindi, potenzialmente in-terpretabili anche in chiave di legami di tipo familiare) che quelle involontarie. È molto probabile che Buchner mutuas-se tale peculiare sensibilità dagli interessi naturalistici del padre Paolo, che lo avevano portato, sin dagli anni giovanili antecedenti alla sua formazione paletnologica, a prestare particolare attenzione per i frequenti fenomeni geologici connessi al vulcanismo locale, utilizzati come chiave inter-pretativa per la comprensione delle dinamiche formative delle stratigrafie naturali e antropiche dell’isola.

sintesi e di cui si avvalsero quanti ebbero modo di collaborare con lui come Ridgway, Coldstream e Neeft, per citare solo alcuni. Tali informazioni, in-fatti, conferivano alle loro ricostruzioni un pecu-liare spessore, riversandosi poi nel più ampio di-battito sulle dinamiche e i tempi della “prima co-lonizzazione”, in virtù dei molteplici parallelismi e addentellamenti che la varietà della cultura ma-teriale di Pithekoussai consentiva di istituire. Una ramificazione di dati e di relazioni che, man mano che le ricerche proseguivano, si faceva sempre più solida nonostante, per ragioni indipendenti dalla volontà degli Editori, tardasse ad apparire la loro pubblicazione definitiva.

Quando finalmente ciò avvenne, nel 19933, l’a-spettativa creata dal completamento della pubbli-cazione del successivo lotto di scavi fu forse una delle cause che distolse l’attenzione dalle poten-zialità ancora inespresse di quanto si era fino ad allora presentato. Un primo tentativo in tal senso venne da me compiuto dieci anni dopo, in occa-sione del convegno romano Oriente e Occidente,

3 Buchner, Ridgway 1993.

Fig. 1 - Necropoli di Pithekoussai. Sezione schemati-ca dello sviluppo di un appezzamento familiare (da Buchner 1975, modificata). Le lettere maiuscole in-dicano le cremazioni con tumulo, quelle minuscole le inumazioni (a: di neonato a enchytrismos; b: di adulto senza corredo; c-d: di bambini con corredo).

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in una prospettiva volta essenzialmente ad af-frontare la complessa e all’epoca assai dibattuta problematica della cronologia della prima età del Ferro italiana4; in tale occasione, nell’ambito di un più ampio discorso sui rapporti tra Lazio ar-caico e mondo greco, la scansione stratigrafica del sepolcreto di Pithekoussai (forte, tra l’altro, dell’ancoraggio cronologico assoluto fornito dallo scarabeo di Bocchoris della tomba 325) venne da me utilizzata come cerniera di congiunzione tra le sequenze culturali indigene meglio definite e più delle altre connotate da riscontri diretti - per im-portazioni, esportazioni e/o imitazioni locali - e la cultura materiale dell’apoikia euboica: Osteria dell’Osa, Veio e Pontecagnano5. In tale occasio-ne venne, per la prima volta, ricostruita in tutta la sua estensione e presentata nella forma grafica del matrix la ramificazione delle relazioni strati-grafiche desumibili dalla monografia del 1993, combinate e integrate con i dati relativi all’analisi tipologico-associativa della cultura materiale del sepolcreto, lavoro poi ulteriormente approfondito in forma monografica nel 20076.

Il quadro d’insieme che se ne poteva trarre non solo offriva una conferma alla validità della sequenza cronologica tradizionale (per quel che concerneva, ovviamente, la fase evoluta della pri-ma età del Ferro) ma contribuiva a dare ulteriore sostanza alla ricostruzione storica prospettata a più riprese da Buchner e da Ridgway, conferendo alla stessa un’inedita profondità di dettaglio. Sul

4 Oriente e Occidente 2005. Il convegno romano costituì la prima occasione di confronto diretto fra i rappresentanti della teoria cosiddetta “tradizionalista” e quanti, invece, ave-vano sposato le tesi “rialziste” conseguenti alla prima divul-gazione di alcuni risultati radiocarbonici calibrati che sem-bravano cambiare la sequenza fino ad allora ipotizzata per la prima età del Ferro centroeuropea e, conseguentemente, italiana. I risultati ottenuti, infatti, sembravano produrre un significativo innalzamento della datazione assoluta della fine della prima età del Ferro dal 730/720 a.C. al 780/750 a. C, con conseguenze estremamente significative sull’interpreta-zione delle dinamiche storiche, economiche e sociali caratte-rizzanti questo periodo, tali da determinare uno scollamento tra la cronologia della prima colonizzazione ricostruita a par-tire dal confronto tra i dati della tradizione e quelli dell’ar-cheologia, e le sequenze relative della cultura materiale in-digena che, in tal modo, veniva ad essere connotata dai tratti caratterizzanti della rivoluzione orientalizzante con diversi decenni di anticipo rispetto allo stanziamento dei primi “co-loni” nella Penisola. Tali propositi revisionistici si sono oggi significativamente ridimensionati, con un progressivo rias-setto delle “nuove cronologie” su quelle tradizionali, almeno per quel che concerne le fasi terminali della prima età del Ferro. Sulla questione cfr, da ultimo, la sezione dedicata alla cronologia del convegno CeC 20125 Bartoloni, Nizzo 2005, con relativa discussione6 Nizzo 2007. Cfr. anche Ridgway 2009.

fronte metodologico, le connotazioni della cultu-ra materiale locale - caratterizzata dalla conviven-za di manufatti di varia origine e provenienza, la maggioranza dei quali frutto di una attività arti-gianale di alta specializzazione come quella cera-mistica tardo-geometrica - rendevano necessaria l’adozione di un sistema ibrido di codifica morfo-logica, sviluppato tentando di fondere i principi dell’analisi tipologica di matrice paletnologica (mutuati per tramite del magistero di R. Peroni) con quelli caratteristici dell’esame stilistico di tra-dizione classica7.

Come all’interno di una catena neuronale, il nu-mero delle “sinapsi” e, quindi, fuori di metafora, delle “relazioni” individuate (composizione del corredo, stratigrafia verticale e orizzontale, rela-zioni topografiche, quota, conformazione della sepoltura, caratteristiche del rituale ecc.) con-tribuiva a rafforzare il “sistema”, compensando con altre informazioni quelle che volta per volta potevano mancare. Quindi, indipendentemente dalle velleità o dalle potenzialità euristiche dell’a-nalista, quasi fosse un’antologia di Spoon River dell’VIII-VII secolo a. C., era la necropoli a “rac-contare” se stessa, trasponendo nelle varie rami-ficazioni del diagramma stratigrafico non solo la sequenza temporale dettagliata del suo sviluppo, ma anche le informazioni sulle relazioni sociali/familiari che tali rapporti, in molti casi, tende-vano a riprodurre sul terreno ripristinando, spa-

7 Questo procedimento ha comportato un’insolita ma molto rilevante inversione rispetto ai tradizionali criteri tassono-mici, volti a enucleare, in modo inevitabilmente soggettivo e aprioristico, una scansione - più o meno rigidamente in-cardinata entro progressivi livelli gerarchici - dello svilup-po morfologico di manufatti che per origini, complessità tecnica, materiale, estemporaneità della realizzazione, filtri ideologici, stato di conservazione e natura del contesto (ma l’elenco delle variabili potrebbe continuare) tendono a sfug-gire a logiche che è lecito aspettarsi forse solo nell’ambito di modalità produttive di tipo meccanizzato e ad alta codifica tecnologica. La disponibilità di parametri fondati su criteri oggettivi quali la successione delle sepolture ha infatti con-sentito di “modificare” tale impostazione, permettendo di desumere le linee di sviluppo della cultura materiale locale e, quindi, la successione gerarchica e temporale dei fattori tipo-logicamente rilevanti a partire dai dati forniti dalla stessa se-quenza della necropoli. La classificazione tipologica, quindi, non è stata finalizzata, come di consueto avviene, alla rico-struzione di una determinata cronologia sulla base di astrat-ti seppur utili algoritmi statistico-associativi ma è stata la stessa successione delle sepolture e l’evoluzione della cultura materiale all’interno di essa a suggerire tale classificazione, così come aveva colto sin dall’inizio Buchner, identificando gli oggetti che più degli altri mostravano peculiarità evolutive suscettibili di essere organizzate tipologicamente, come, in particolare, tutti quelli correlati direttamente alla cerimonia funebre (oinochoai, lekythoi, aryballoi).

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zialmente e fisicamente, quei legami dissolti dalla morte. L’aspirazione geertziana a una “immede-simazione partecipata” poteva in tal modo essere conseguita anche per una realtà estinta, offrendo solide “spalle” dalle quali osservare l’atteggiamen-to o, più correttamente, le modalità espressive dei “nativi” nel loro relazionarsi con la morte; diveni-va così possibile penetrare a ritroso le dinamiche della performance rituale, recependo la lezione di Rosaldo e tentando di cogliere nell’”oggettività re-lazionale” della stratigrafia le tracce residuali del “paesaggio rituale” e, dunque, potenzialmente, i riflessi “emozionali” di quelle pratiche che dove-vano accompagnare la morte di un congiunto e il lutto.

La stratigrafia dei rapporti sociali

Come si è detto, molti indizi testimoniano come l’organizzazione spaziale della necropoli possa ri-flettere delle precise relazioni di parentela, la cui riproposizione sul terreno era garantita da una precoce suddivisione dell’area in appositi ‘family plots”8, concettualmente affine, a nostro avviso, a quella rilevata per l’originario impianto urbanisti-co di Megara Hyblaea. Ciò consente di constata-re come, pur essendo in un momento iniziale del “fenomeno coloniale”, fin dal suo primo impianto il sepolcreto di Pithekoussai presentasse una ra-zionale scansione degli spazi e, dunque, una legit-timazione archetipica del diritto di proprietà e di trasmissione ad essi correlato (klèros), volta evi-dentemente a estendere anche alla sfera funeraria quel principio di “territorialità” che, più o meno contemporaneamente, nella dimensione embrio-nale della polis stava contribuendo a una più pun-

8 È opportuno precisare che la presenza di “lotti familiari”, già a suo tempo ipotizzata da Buchner e ripresa da Ridgway, non è documentata da parcellizzazioni fisicamente riconosci-bili sul terreno, ma può essere desunta più o meno indiretta-mente dalle modalità di occupazione degli spazi funerari, tali da presupporre l’esistenza di zone lasciate libere tra alcuni gruppi di sepolture e altri. Entro queste aree le deposizioni si inserivano agglutinandosi a quelle preesistenti, con modali-tà che, come si vedrà tra breve, spesso implicavano adegua-menti (nell’orientamento e/o nella relazione con altre sepol-ture) altrimenti difficili da comprendere in presenza di spazi attigui liberi e accessibili. L’analisi della successione strati-grafica delle sepolture consente di cogliere l’esatta diacronia e la natura di tali dinamiche, lasciando intuire l’esistenza di parcellizzazioni all’epoca degli scavi non riconoscibili ma che, nelle fasi di utilizzo della necropoli, dovevano costituire un condizionamento e un punto di riferimento importante per le pratiche funebri, in virtù di accordi reciproci che, na-turalmente, non siamo in grado di stabilire se fossero il frut-to di una condivisione tacita o “istituzionalizzata”, ipotesi, quest’ultima, che tenderei comunque a prediligere.

tuale riorganizzazione e definizione degli spazi dei vivi e a una loro più o meno netta cesura rispetto a quelli riservati ai morti, con effetti anche sulla rappresentatività demografica di componenti del-la comunità che solitamente subivano trattamenti funerari differenziati come gli infanti; per cui ap-pare lecito sottoscrivere quanto rammentato da Greco anche in questa sede, in merito alla natura sin dalle origini sinecizzata della polis occidentale e alla rilevanza assoluta del concetto di klèros per la comprensione dei suoi processi formativi.

Tuttavia, per fugare potenziali equivoci e fonda-re l’analisi della sequenza stratigrafica su presup-posti metodologicamente corretti, è opportuno sottolineare come l’individuazione meccanica di relazioni fisiche tra le sepolture non possa impli-care una loro valenza semplicisticamente “gene-tica” o “familiare”, ma debba presupporre una realtà sociologica ben più complessa e articolata, prossima a quella dell’oikos -da intendere nella sua accezione originaria, vicina al sostantivo la-tino familia - e, quindi, volta a inglobare al suo interno legami più complessi di quelli meramen-te genetici, in ossequio alla definizione datane a suo tempo da Ugo Enrico Paoli come «organismo nel quale sono compresi cose, persone e riti» che sembra anticipare i presupposti delle più recenti discussioni sul già richiamato concetto di agency e su quelli affini di material engagement ed entan-glement9. L’esegesi di questi “intrecci”, dunque, deve passare in primo luogo da un attento esame della loro natura e della loro intenzionalità, desu-mibili sia dai modi in cui tali rapporti prendono forma sul terreno, sia dal carattere e dai connotati interni (composizione, disposizione e caratteristi-che del corredo, sesso, età, ruolo del defunto) ed esterni (rito, orientamento e caratteri strutturali) delle sepolture che in essi sono coinvolti, ponendo sempre grande attenzione a non incorrere in cor-tocircuiti interpretativi fondati su di una malin-tesa quanto superficiale percezione dell’isomorfi-smo funerario, che può portare ad assimilare la successione delle sepolture con quella biologica delle nascite (invece che con quella delle morti) e/o a identificare automaticamente le deposizioni più antiche con quelle dei primi “coloni”10.

9 Da ultimo Hodder 201210 In merito a quest’ultimo punto non stupisce, infatti, che tra le tombe più antiche figurino prevalentemente inumazioni (circostanza che ha indotto alcuni a enfatizzare il ruolo degli orientali nelle prime fasi della necropoli e. quindi, dell’insedia-mento), poiché gli adulti di origine greca erano per prassi ritua-le incinerati e, quindi, essendo più anziani degli altri, morivano per ultimi pur essendo potenzialmente arrivati per primi (Niz-zo 2007, pp. 29-30). Per ragioni di spazio e per la connotazione

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Una delle peculiarità rituali che risulta parti-colarmente significativa per i nostri fini è quella presupposta dalla nozione di “agglutinamento’”: tale concetto ha infatti una notevole importanza per la ricostruzione delle “dinamiche” temporali e “relazionali” che possono essere sottese alla suc-cessione stratigrafica delle sepolture. Con questo termine Buchner ha indicato un particolare tipo di rapporto fisico documentato sia per i tumuli delle incinerazioni che per quelli, più rari, delle inumazioni e che consiste nell’unione e/o nell’ac-corpamento volontario di un cumulo di pietre, o pietre miste a terra, a un cumulo preesisten-te. Tale “agglutinamento” poteva attuarsi in due modi differenti: 1) agglutinando, attraverso una semplice sovrapposizione, il tumulo recenziore a quello preesistente, in modo tale da utilizzare la struttura precedente per integrare il perimetro di quella successiva; 2) oppure demolendo un trat-to del tumulo preesistente e accorpando ad esso quello recenziore. Appare estremamente plausi-bile che tale consuetudine - sulla cui volontarietà non possono sussistere dubbi - debba presuppor-re un qualche legame di parentela tra i defunti coinvolti in questi agglutinamenti ed è altrettanto evidente che, per la “dinamicità” stessa che è pos-sibile osservare nella “vita” della necropoli, tali azioni non possono essersi svolte in un lungo las-so di tempo e devono aver dunque sottinteso un esplicito consenso delle parti interessate, implica-te in un “rapporto fisico” che doveva necessaria-mente comportare una condivisione del regime di proprietà degli spazi occupati dalle sepolture, tale da legittimare agli occhi di tutti lo smantellamen-to e/o l’occultamento, anche integrale, di almeno una di esse. Per le stesse motivazioni e con le me-desime conseguenze logiche sono di estrema im-portanza anche altri tipi di relazioni la cui inten-zionalità appare manifesta, come, per citare alcu-ni esempi, la sovrapposizione puntuale della lente di terra di una cremazione con relativo tumulo a una sepoltura a inumazione11 o la deposizione di enchytrismoi o di inumazioni relative a individui

stessa di questo contributo mi propongo di offrire in questa sede solo alcune esemplificazioni, riservando ad altra occasio-ne una discussione più approfondita delle modalità e delle pro-blematiche ricostruttive degli “schemi familiari” pithecusani.11 Cfr. ad es. la sovrapposizione del tumulo 143 all’inumazio-ne 326, o quella del tumulo 156 alla tomba 431, del tumulo 185 alla fossa 455, del tumulo 200 alla fossa 593, del tumulo 210 alla fossa 585 e diversi altri casi tra cui, particolarmente significativi per la revisione da me proposta della sequenza relativa alla tomba “della coppa di Nestore”, risultano quelli del tumulo 168A all’inumazione 459 e del tumulo 168B all’i-numazione 456 (Nizzo 2007, pp. 33-36, fig. 20).

in tenera età in corrispondenza di sepolture pree-sistenti, rispettandole o intaccandole in parte.

La priorità data alla scelta di una determinata localizzazione della sepoltura è, in alcuni casi, tale da superare condizionamenti rituali come, ad esempio, quelli correlati all’orientamento.

Nelle inumazioni sono infatti frequenti situazio-ni in cui, in presenza o meno di spazio disponibile, viene loro conferito un orientamento divergente dalla norma al solo fine di collocarle in un deter-minato “lotto” della necropoli, a ridosso di altre deposizioni. Significativi risultano anche i casi in cui sepolture, accomunate spesso da analoghe costumanze rituali, vengono poste in parallelo a brevissima distanza le une dalle altre e a una quo-ta affine, senza reciproche interferenze.

Per le medesime ragioni la mancanza di relazio-ni sembra coerentemente manifestare la volontà di mantenere ben distinti “gruppi” di sepolture plausibilmente privi di legami genetici; anche questo aspetto ha una sua rilevanza per la deter-minazione dei “tempi” di formazione della necro-poli in quanto, dato il progressivo interramento cui la vallata era soggetta, l’assenza di rapporti fisici era condizionata necessariamente dalla rico-noscibilità delle strutture preesistenti.

Queste ultime, infatti, potevano essere segna-late in superficie da tumuli di pietre o segnaco-li che contribuivano ad accrescerne la visibili-tà rendendo meno frequenti, se non dopo un determinato lasso di tempo, sovrapposizioni dal carattere non intenzionale. Ne consegue che la disponibilità di simili apprestamenti, data la loro dispendiosità, può aver contribuito a preservare dalle sovrapposizioni involontarie le sepolture ri-feribili a individui di rango socialmente più eleva-to. Tale generalizzazione, sebbene vada verifica-ta caso per caso, parrebbe confermata sul fronte opposto dallo scarso rispetto con cui venivano invece trattate alcune inumazioni pertinenti a individui prevalentemente adulti, sepolti in fos-se poste a scarsa profondità e prive di pietre di riempimento, caratterizzati dalla povertà o dalla mancanza del corredo e, forse, identificabili come indigeni e/o, comunque, come soggetti di ceto so-ciale inferiore, privi dunque di un assetto proprie-tario e/o familiare che avrebbe potuto in qualche modo preservarli dalle perturbazioni più o meno violente alle quali, molto spesso, le loro tombe erano soggette, in seguito all’ampliamento o alla riassegnazione dei lotti circostanti.

Perturbazioni di questo tipo dovevano comun-que avere un carattere più o meno involontario, giustificato almeno in parte dall’assenza di sog-

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getti in grado di contestare l’illegittimità della violazione e/o privi “legalmente” della possibilità di farlo. Vi sono, infine, casi in cui la non intenzio-nalità delle sovrapposizioni è riconducibile a fat-tori di altro tipo, correlati alla natura degli spazi o alla semplice casualità, circostanze la cui identi-ficazione risulta comunque essenziale per la cor-retta interpretazione del significato dei sistemi di relazioni schematizzati per mezzo del diagramma stratigrafico12.

Alla luce della sintesi fin qui prospettata, mi pare dunque evidente come la lettura del matrix della necropoli di Pithekoussai, per i suoi tratti assolutamente peculiari, debba essere effettuata tenendo conto di un sistema semantico dalle va-lenze ben più complesse e articolate di quelle pu-ramente cronologiche13. L’evidenza stratigrafica ha infatti consentito di correlare fisicamente tra loro 532 contesti dei 618 noti, suddividendoli in 52 raggruppamenti composti da un minimo di 2 a un massimo di 82 unità. Le relazioni esistenti tra le varie sepolture hanno quindi posto una serie di vincoli e limiti oggettivi tenendo conto dei quali si è proceduto alla classificazione tipologica della cultura materiale pithecusana e, infine, a una ul-teriore puntualizzazione dell’intera sequenza sul-la base dell’analisi delle associazioni di corredo. Il quadro finale ha permesso di prospettare una scansione dei 150 anni circa di vita del sepolcreto in 31 “livelli”, grosso modo corrispondenti al nu-mero massimo di sovrapposizioni stratigrafiche dirette osservate sull’intero periodo integrando tra loro, sulla base della ricorrenza delle associa-zioni, segmenti diversi della sequenza14.

12 Tra gli indicatori più evidenti di sovrapposizioni non in-tenzionali vi è senza dubbio l’osservazione del dislivello fra il piano di campagna sul quale le strutture erano impostate: quanto più esso risulta maggiore tanto è plausibile ipotizza-re un lasso di tempo tale tra le due azioni da rendere “non visibile” la sepoltura più antica a quanti stavano realizzan-do quella recenziore. In altri casi la non intenzionalità di un eventuale disturbo è resa manifesta dall’erezione di piccoli muretti divisori che hanno al contempo la funzione di ripri-stinare l’unitarietà del contesto inavvertitamente alterato e quella di mantenere distinte le due sepolture; si tratta tutta-via di circostanze piuttosto rare ma comunque attestate (cfr. ad es. i casi delle tombe 355 e 354), le quali non implicano necessariamente che sia intercorso un lungo lasso di tempo tra la realizzazione delle sepolture che ne sono interessate.13 Si ricordi, per inciso, che il matrix costituisce la sintesi dei contatti fisici più significativi dal punto di vista cronologico ma che il sistema di rapporti è ben più ampio e complesso (si veda al riguardo l’Appendice I di Nizzo 2007 precedente-mente citata) e può arrivare a contare fino a un massimo di circa 10 relazioni dirette e 25 relazioni indirette registrato da Buchner proprio nel caso della tomba 168 (ib.. p. 34).14 Denominati progressivamente da 1 a 40, lasciando liberi

Anche in virtù di tali ragioni la sequenza pithe-cusana, per la sua solidità interna e per la quantità e qualità di parallelismi che ingloba, si è prestata e si presta ancora ad essere un punto di riferimento per quanti si occupino di problematiche coloniali e, nello specifico, dell’inquadramento temporale di un periodo compreso, approssimativamente, tra il 750 e il 680-650 a.C, consentendo di rag-giungere ulteriori livelli di approfondimento, quali la proposta di un’inedita scansione in due sottofasi del TG2 locale o la revisione critica della datazione e/o dell’articolazione di contesti di fon-damentale importanza come quelli delle tombe 325 e 168.

In diverse circostanze, infatti, l’analisi delle asso-ciazioni di corredo consente di verificare come gli elementi solitamente considerati più significativi dal punto di vista cronologico, quali il già ricor-dato scarabeo di Bocchoris della tomba 325, non siano in realtà quelli che consentono di definire l’esatta posizione temporale di un contesto, con tutte le conseguenze che è facile immaginare pos-sano derivarne. Tale consapevolezza può infatti emergere solo attraverso una valutazione di tutti gli aspetti disponibili, sia quelli esterni (rappor-ti stratigrafici, logiche spaziali, condizionamenti rituali) che quelli interni (definizione cronologica rispetto al resto della necropoli di altri elementi del corredo e utilizzo rituale degli stessi) correlati al contesto in discorso, in virtù dei quali sembra preferibile una sua datazione prossima o poste-riore al 700 a.C, ossia più recente di circa 20 o 10 anni rispetto a quella proposta, rispettivamente, da Neeft e da Buchner-Ridgway.

Situazioni affini possono essere discusse in re-lazione ad altri capisaldi, come l’altrettanto cele-bre tomba 168, per la quale ho da tempo prospet-tato una ricostruzione alternativa rispetto a quella tradita dagli Editori nel 1993, fondata non soltan-

i primi 9 nel caso in cui la necropoli, in seguito a una ripre-sa degli scavi, dovesse rivelare una fase antecedente rispetto a quella fino ad ora identificata, già testimoniata, peraltro, dal ben noto rinvenimento di frammenti MG su Monte di Vico. Sul significato da me attribuito al concetto di “livello” (da non intendere assolutamente in un’accezione “fisica”) e sulle modalità attraverso le quali sono pervenuto a tale arti-colazione rinvio a Nizzo 2007, pp. 13-17. Non torno in questa sede sulle ragioni che mi hanno indotto a scegliere i termini cronologici assoluti di ciascuna fase; poiché, tuttavia, vi sono stati alcuni fraintendimenti, ci tengo a ricordare che la fissa-zione de\V«inizio della fase di occupazione regolare della ne-cropoli» non «prima del 745-740» (ib., p. 84), non implica in alcun modo che tale termine vada esteso anche all’avvio del periodo TG1 (tradizionalmente riferito al 750 a.C), problema per il quale la porzione edita della necropoli non fornisce dati certi, ma solo un terminus ante quem.

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to su di una rilettura critica della documentazio-ne edita e su di una analisi di dettaglio delle ano-malie cronologiche e associative presenti nel suo cospicuo corredo poste a confronto con i dati noti per il resto della necropoli, ma anche sul riesame globale delle “logiche relazionali” sottese alla di-slocazione delle 82 sepolture che compongono il “gruppo” in cui essa è inserita e al loro potenziale significato “sociologico”.

Un gruppo che nei suoi circa 60 anni di vita, pur essendo connotato da elementi allogeni di origi-ne sia orientale che indigena, palesa appieno la sua omogeneità e compattezza sia per quel che concerne i condizionamenti rituali e spaziali che hanno guidato nel tempo la sua proiezione fune-raria sul terreno, sia per quel che riguarda il co-stume e la composizione dei corredi, con ricorren-ze peculiari negli apparati ornamentali, quali, ad esempio, la predilezione per le fibule in argento da parte dei soggetti ammessi all’incinerazione, circostanza che denota, evidentemente, il rango privilegiato dei defunti che le indossavano e, con-seguentemente, la posizione di rilievo dell’intero gruppo familiare (Fig. 2).

Come ha evidenziato giustamente Angela Pon-trandolfo citando criticamente un recente artico-lodi Olivia Kelley15, situazioni quali quella appena

15 Kelley 2012. L’analisi di Kelley si sofferma prevalente-mente sul “caso” della tomba 678 il cui corredo, fortemente caratterizzato da una “panoplia” di strumenti da carpenteria, costituisce il presupposto per una riflessione più ampia sulle dinamiche identitarie ed etniche interne alla necropoli, che recupera e sviluppa precedenti suggestioni elaborate, tra gli altri, da d’Agostino e Cerchiai. Le conclusioni, tuttavia, pur recependo correttamente parte della letteratura dedicata al contesto e a quelli affini noti in ambito peninsulare (cui adde D’AGOSTINO 2011, pp. 40 e sg.), offrono un quadro limita-to e parziale della situazione pithecusana nel quale la tomba 678 viene inserita sulla base di una non condivisibile speri-mentazione della cluster analysis, impiegata in modo tale da appiattire la variabilità funeraria della necropoli sulla sola base di parametri legati alla composizione dei corredi, senza distinguere tra loro le inumazioni dalle incinerazioni. I con-dizionamenti rituali correlati a queste ultime, infatti, com-portando la frammentazione e la dispersione anche integrale dei corredi, rendono poco proficua una loro comparazione con le inumazioni; circostanza peraltro sconsigliata anche dalla valutazione degli altri parametri oppositivi esistenti tra i due riti, correlati, come si è visto, all’età, all’origine etnica e/o allo status dei defunti. La documentazione pithecusana, infatti, per essere proficuamente discussa, necessita di una preventiva codifica semantica, in grado di valorizzare senza appiattirli meccanicamente i molteplici livelli di lettura cui si è fatto riferimento anche in questa sede. Per tali ragioni l’esame di casi come quello della tomba 678 non dovrebbe essere disgiunto da una valutazione complessiva del gruppo stratigrafico e spaziale di cui esso fa parte, a sua volta inserito nel contesto rituale e semiotico più ampio della necropoli, cosa che non è possibile discutere in dettaglio in questa sede.

menzionata mostrano in modo assolutamente chiaro come la società pithecusana, pur integran-do in posizioni spesso attive e dinamiche sogget-ti (e, per la logica dell’agency, anche oggetti) di provenienza orientale e indigena, sin dall’origine abbia esibito e mantenuto una sua ben definita connotazione culturale in termini greco-euboici, permeabile e aperta agli stimoli esterni per co-stituzione e, probabilmente, anche per necessità ma, al tempo stesso, attenta a “riprodurre” e “tra-smettere” le sue specifiche connotazioni identi-tarie e rituali. “Stemmi” come quello ricostruito per il “gruppo” della tomba 168 o per quello della tomba del “carpentiere” (la 678 del nostro gruppo BOI), pur essendo caratterizzati dalla presenza di elementi ibridi e, plausibilmente, anche di sog-getti allogeni, si inscrivono compiutamente nel sistema organizzativo, rappresentativo e ritua-le pithecusano, contribuendo - volontariamente o involontariamente - a perpetuarlo anche solo per il fatto di costituirne parte integrante e più o meno attiva. La comunità pithecusana, dunque, sembra anch’essa definirsi come tale non per specifici fattori di tipo genetico o etnico, ma per quell’insieme di “istituzioni politico-religiose” che ne regolamentano e definiscono sin dalle origini l’identità e la consistenza in rapporto a uno spe-cifico territorio, integrando in un Tutto dei grup-pi umani di diversa origine, inizialmente ostili, e assicurando la riproduzione di questo Tutto.È in casi come questi che, a mio avviso, acquisisce peculiare significato la nozione originaria di apoi-kia, da intendere valorizzando specificamente il termine oikos nella sua accezione archetipica che, come si è già ricordato, ingloba al suo interno un network di relazioni ben più articolate e comples-se di quelle familiari; network che gli apoikoi do-vevano portare con sé e/o riprodurre nella nuova realtà in cui si insediavano, esportando il “model-lo” culturale, rituale e identitario di cui erano lato-ri e, al contempo, adattandolo alle varie situazioni con cui entravano in contatto.

In tal modo la struttura dell’oikos veniva sì rige-nerata con forme e assetti il più possibile affini alle matrici originarie (che, ovviamente, preesisteva-no ed erano ben radicate all’atto dell’emigrazio-ne), ma le sue componenti, quasi inevitabilmente, si alimentavano attraverso l’interazione con l’am-biente circostante, dal quale potevano essere mu-tuate e integrate in forme più o meno imposte e/o istituzionalizzate persone, riti, oggetti e costumi. Come ha giustamente evidenziato d’Agostino, la forma che tale oikos assumeva sul terreno pre-figurava molti degli aspetti propri di quello che

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oggi - sulla base dell’accezione classica del termine - definiamo come genos, sia per la cura ripo-sta nella riproduzione spaziale e fisica di legami di tipo parente-lare volti evidentemente a enfa-tizzare la dimensione diacronica e, dunque, ereditaria dell’oikos, sia per i connotati di “subordi-nazione” e/o di “perifericità” conferiti a quei soggetti che, sebbene inglobati anch’essi nel-la comunità funeraria in quan-to, plausibilmente, inscritti nel-le logiche deìVoikos, non gode-vano delle prerogative del geno. La realtà pithecusana, per le sue specifiche peculiarità e l’alta antichità, mi sembra riflettere appunto quella già richiamata ambiguità terminologica e con-cettuale che connota la dimen-sione omerica dell’oikos e quella archetipica del genos, propo-nendo un modello “familiare’’ che anticipa molti dei connota-ti caratteristici di quest’ultimo, senza tuttavia trascendere in quelle esibizioni di status e di ricchezza che avrebbero poi ca-ratterizzato i meccanismi genti-lizio-clientelari riflessi nella ma-drepatria e, poi, anche a Cuma dalla diffusione di nuove e più complesse modalità di seppelli-mento ispirate a prototipi epici, come l’incinerazione entro urna di bronzo.

Valentino Nizzo

Fig. 2 -Necropoli di Pithekoussai. Diagramma stratigrafico sempli-ficato con distribuzione di alcune delle forme ceramiche più signifi-cative. Elaborazione V. Nizzo.

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Rassegna Libri Intrigo a Ischiadi Piera Carlomagno

Editore Centauria (Collana I fal-chi), pp. 197, 2017

Mina Scotto De Falco, matriar-ca di una dinastia di costruttori e proprietaria del lussuoso Hotel Makadi a Ischia, viene trovata morta in piscina in una notte di inizio estate. I sospettati?

Quasi tutti i familiari che risie-dono nello stesso albergo: i co-gnati avidi, le cognate pettegole, una nipote troppo affascinante, il secondo marito giovane e sciupa-femmine.

Passano solo poche ore e nei Quartieri Spagnoli di Napoli, viene uccisa Patrizia, il più bel femminiello della casa da gioco e di piacere della signora Candi-

da. Due mondi lontanissimi, due casi diversi. Oppure no? Indaga Annaluce Savino, spregiudicata cronista locale avvezza alle luci e alle ombre del bel mondo ischita-no. Indaga il commissario Baric-co, affascinante torinese trapian-tato tra le insidie della malavita napoletana. E inaspettatamente le loro ricerche si intrecciano e si rincorrono, facendo scintille...

Un giallo che è una festa dei sensi: la luce dell’estate del Sud, il respiro cupo della «città sotto la città», i profumi e le voci del mondo inquieto delle donne. Perché la Napoli di Piera Carlo-magno è femmina, tra signore dell’alta società, ragazze perdute, madri e sorelle di camorra e se-duttrici che non hanno paura di rischiare. Femmina e irresistibi-le. Femmina e affamata. Femmi-

na e vendicativa. E non concede quiete né certezze, fino allo scon-certante finale.

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Onoratodi Giuseppe FerrandinoEditore Bompiani (Collana Let-teratura italiana), pp. 208, 2017.

Un giovane borghese ambizio-so, pronto a conquistare Parigi e il mondo, convinto di essere de-stinato alla grandezza; le sue im-

prese letterarie, i suoi azzardi, gli investimenti sbagliati, gli amori guidati dall’interesse; l’ossessio-ne del denaro, sempre cercato, sempre dissipato; e poi pagine e pagine di romanzi, una penna dall’energia inesauribile, il plau-so dei salotti, l’eterno, torturan-te senso di inferiorità rispetto al mondo dei veri nobili e dei grandi ricchi che è sempre pron-to a voltar le spalle a chi cerca di appartenervi. Questa è la storia

Giuseppe Ferrandino (Ischia, 24 gennaio 1958)

Nato a Ischia, Ferrandino negli anni settanta s’iscrive alla facoltà di medicina dell’Università Federico II di Napoli, ma abbandona gli studi poco prima della laurea per intraprendere la professione di sce-neggiatore di fumetti. Collabora con importanti pubblicazioni come Orient Express, Nero, Lanciostory, Dylan Dog e Topolino e negli anni ottanta raggiunge l’apice della sua maturazione e fama, venendo considerato tra i più importanti sceneggiatori italiani di fumetti.

Nel 1993, con lo pseudonimo di Nicola Calata, pubblica il suo primo libro, Pericle il nero, presso la casa editrice Granata Press.

narrata in prima persona di Ono-rato de B..., così contorta e con-traddittoria da confondere anche il suo autore: in un miscuglio di bugie consapevoli e mera confu-sione, l’autoritratto di un grande scrittore è reso da Giuseppe Fer-randino con una lingua mimeti-ca e originale, densa e solenne, tronfia, altalenante tra le vertigi-ni dell’ispirazione e le piccolezze pesanti della vita di tutti i giorni.

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Il romanzo passa praticamente inosservato fino a quando, nel 1995, i diritti del libro vengono acquistati dall’editore francese Gallimard, che lo pubblica nel-la collana Série noir, trasfor-mandolo così nel caso editoriale dell’anno.

L’insperato successo francese convince Adelphi a ripubblicare il romanzo sul mercato italiano nel 1998, accolto con grande fa-vore dalla critica e dai lettori. Co-

struito come un noir statunitense secondo regole più cinematogra-fiche che narrative, il romanzo si distingue per linguaggio uti-lizzato nei dialoghi, un dialetto napoletano molto realistico, e per la caratterizzazione acuta e decisa dei personaggi, in cui i toni del realismo e dell’amarez-za si fondono sapientemente con una nota di grottesco di evidente contaminazione pulp. Il regista Stefano Mordini ne ha curato la

trasposizione cinematografica con l’attore Riccardo Scamarcio nel ruolo del protagonista. Il film ha concorso al festival di Cannes 2016. (da Wikipedia).

Ferrandino ha scritto (e pub-blicato con diversi editori) tanti altri titoli, nel corso degli anni. Ricordiamo ad esempio Save-rio del Nord Ovest (Bompiani, 2001), Spada e Rosmunda l’in-glese (Mondadori 2001 e 2007).

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XXV Anniversario dell'Incorona-zione della Vergine Maria rifugio dei peccatori(Ischia 1992 - 2017)A cura di Ernesta MazzellaGutenberg Edizioni, Fisciano (Salerno)

Opuscolo stampato in occasione del XXV anni-versario dell'Incoronazione della Beata Vergine Maria di Portosalvo Rifugio dei peccatori, avve-nuta il 30 maggio 1992 con il rito presieduto dal vescovo Antonio Pagano.

Dopo i messaggi del vescovo Pietro Lagnese e del parroco Luigi De Donato, sono riportati alcuni cenni storici sulla Chiesa di Santa Maria di Porto-salvo, che Onofrio Buonocore definì "un tempio maestoso, il più solenne dell'isola... condotto con grandiosità di luce...", "tempio fortemente voluto da Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, come completamento del porto". Non mancano immagini della Vergine Incoronata. Il testo è sta-to curato da Ernesta Mazzella.

Cenni storici sulla Chiesa di Portosalvo

La chiesa di Santa Maria di Portosalvo, uno dei templi più imponenti fra i tanti che sono disseminati nel territorio iso-lano, si staglia con la sua mole al centro dei due bracci che racchiudono quello specchio d’acqua, già laghetto suggestivo e pescoso, trasformato in uno dei porti più sicuri d’Italia.

Questa chiesa fu fortemente voluta da Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, come completamento del por-to già progettato, per offrire una più incisiva assistenza reli-giosa agli abitanti dei nuclei di S. Alessandro, via Nuova dei Conti e di via Quercia.

Re Ferdinando, continuando una consolidata tradizione dei suoi predecessori, era solito scegliere l’isola d’Ischia per trascorrervi dei periodi di vacanza insieme alla sua consorte, Maria Cristina di Savoia prima e, dopo la morte di lei, con la seconda moglie Maria Teresa d’Austria e con i figli. Tutti

risiedevano nel palazzo che dominava dall’alto la vasta area che apparteneva un tempo al protomedico di corte, il dottore Francesco Buonocore. Il Re dal 1853 veniva più spesso del solito ad Ischia non solo per motivo di vacanza, ma anche per seguire personalmente i lavori in corso per trasformare il laghetto in porto. Il pensiero di dotare gli abitanti della zona, che allora erano contadini, pescatori e pastori, di un tempio anche più ampio delle esigenze della scarsa popolazione della contrada rientrava nel vasto e lungimirante progetto di tra-sformazione e di qualificazione di tutta quell’area, fino allora poco sfruttata, ma che in seguito avrebbe raggiunto il ruolo di una cittadina progredita proprio grazie alla realizzazione del porto. Con l’apertura del porto Ferdinando II contribuì allo sviluppo dell’intera Isola; insieme al porto fece costruire anche altre opere pubbliche come l’acquedotto per l’approv-vigionamento idrico di Villa dei Bagni, ed altre infrastrutture messe in opera. La costruzione della chiesa di Santa Maria

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di Portosalvo, simbolicamente posta con la facciata principale in asse prospettico con l’ingresso stesso del porto, costituiva il suggello sacrale dell’intera opera volu-ta da Ferdinando II.

Completate, dunque, le pratiche bu-rocratiche per l’acquisizione delle aree, furono iniziati i lavori di scavo delle fon-damenta dell’erigenda chiesa che il re volle dedicare alla Madonna, come pro-tettrice dei naviganti, con il titolo di San-ta Maria di Portosalvo, nonché ai due santi più venerati dalla Corte borbonica: San Giuda Taddeo e San Francesco di Paola. Il titolo di Santa Maria di Por-tosalvo non era nuovo per gli ischitani; infatti già esisteva una chiesa con tale titolo, introdotto dai pescatori e marinai di Forio i quali, riuniti in una confrater-nita, nel 1657 fondarono la loro chiesa dedicandola a Santa Maria di Portosalvo e al Beato Gaetano, che verrà canonizza-to solo pochi anni dopo.

La cerimonia per la posa della prima pietra della chiesa di Portosalvo di Ischia fu stabilita per il 26 settembre 1854. Fer-dinando II vi presenziò, insieme alle più alte cariche dello Stato. L’opera architet-tonica fu affidata all’architetto della Real Casa Francesco Cappelli che diresse i la-vori portati avanti con lena e scrupolosi-tà dalle maestranze. Nel dicembre dello stesso anno i muri perimetrali avevano già raggiunto l’altezza di un metro. A metà del 1857 la chiesa era tutta costru-ita, e il 19 luglio fu solennemente bene-detta dal vescovo d’Ischia Mons. Felice Romano (1854-1872) al quale il re, pre-sente insieme con il principe ereditario Francesco e due dei principi cadetti, af-fidò l’opera compiuta riservandosi il di-ritto di patronato sulla gestione di essa attraverso un ecclesiastico di suo gradi-mento. Il Re scelse come primo rettore don Giosuè Lauro, di Villa dei Bagni.

Dopo la costruzione delle varie strut-ture del porto, tutta la zona di Villa dei Bagni ebbe uno straordinario sviluppo. Furono edificate molte case tra la secon-da metà dell’800 e il primo ventennio del 900 e gli abitanti raggiunsero il co-spicuo numero di tremila residenti. Si sviluppò sempre più il turismo termale per cui durante l’estate e l’autunno la popolazione si moltiplicava. Da questo sviluppo si avvertì l’esigenza di creare una parrocchia a Villa dei Bagni, la qua-le dipendeva ancora dal parroco di San Vito di Ischia Ponte, l’attuale chiesa di San Giovan Giuseppe che era allora sede della parrocchia di San Vito, e che si ser-viva di un economo per la zona del nuo-vo porto, abitante nella chiesa del Pur-gatorio, oggi comunemente detta “San Pietro”. Dopo lunghe e laboriose prati-

che burocratiche iniziate sin dal 1925 per interessamento dell’Amministratore Apostolico della Diocesi, in quei tempi vacante, Mons. Giuseppe Petrone, Ve-scovo di Pozzuoli, si riuscì, finalmente, ad elevare al ruolo di parrocchia la chie-sa di Portosalvo. La data di erezione ca-nonica risale al 26 luglio 1930, e il rico-noscimento civile con Regio Decreto al 4 dicembre 1930. Il vescovo Mons. Erne-sto De Laurentiis nominò il 7 aprile 1932 parroco Don Francesco Albano. Tra le molteplici opere realizzate da Mons Al-bano ricordiamo l’istituzione nella par-rocchia della Pia Opera del Suffragio, riconosciuta con decreto vescovile il 19 febbraio 1939, e dalla Penitenzieria Apo-stolica il 7 novembre 1939 che concede-va ai fedeli iscritti alla Pia Opera l’indul-genza plenaria. Nel 1959 furono eseguiti dei restauri, voluti da Mons. Albano. Al termine dei lavori la chiesa fu con-sacrata solennemente il 22 novembre 1959 da Mons. Antonio Cece, vescovo di Ischia (1956-1962). In questa chiesa nel 1951 fu celebrato il rito dell’ordinazione episcopale di Mons. Agostino D’Arco, l’ultimo vescovo ischitano, nominato ve-scovo di Castellammare di Stabia; il rito dell’ordinazione episcopale fu officiato dal Card. Piazza, Patriarca di Venezia, assistente Mons. Sperandeo, Vescovo di Calvi e Teano.

La chiesa è realizzata in stile neoclas-sico a croce latina. L’accesso è dato da tre grandi porte, le quali sono precedute da pronao sostenuto da colonne ioniche con timpano. L’interno della chiesa ap-pare molto luminoso, grazie all’uso del bianco e del grigio chiaro che colora e definisce l’intera struttura e alle grandi finestre. Si presenta con tre navate, tran-setto e abside. La navata centrale è lunga circa 60 metri. Scandita in tre campate coperte da volta a botte unghiata, in cui si aprono finestre ad arco ribassato, le quali illuminano con luce omogenea l’intero spazio. È divisa da una serie di arcate a tutto sesto, sormontate ed unite dal ritmo rettilineo della cornice, pog-gianti su grandi pilastri quadrati decora-ti da lesene corinzie.

L’altare maggiore è stato realizzato in

marmi policromi, nella seconda metà dell’800, probabilmente nel 1857, anno della benedizione della chiesa. La por-ticina del ciborio rappresenta l’Agnello Mistico, opera dell’argentiere napoleta-no Mattia Condursi. Sull’altare domina la maestosa pala che raffigura la Ma-donna di Portosalvo, dipinta nel 1855, il D’Ascia attribuisce l’opera al pittore isclano Vincenzo De Angelis, la D’Arbi-trio invece al pittore Luigi Niccoli. Con

la riforma liturgica, voluta dal Concilio Vaticano II, l’altare maggiore in fondo all’abside è andato in disuso. Dopo aver rimossa la balaustra in ferro battuto, fu eretto un nuovo altare rivolto al popolo (coram populo), per volere del parroco don Pasquale d’Abundo, consacrato so-lennemente il 20 luglio 1978 da Mons. Diego Parodi, Amministratore Apostoli-co d’Ischia, il quale depose nel sepolcre-to dell’altare le reliquie di S. Biagio e di S. Benedetto. Su questo altare nel 1993 ha celebrato il cardinale Joseph Ratzin-ger, futuro papa Benedetto XVI.

Le pareti di destra e di sinistra dell’ab-side sono aperte per ospitare due pal-chetti rifiniti con balaustre finemente lavorate. Il palchetto di destra è dedica-to alla cantoria, ove è collocato l’organo a canne, opera del maestro organaro Vincenzo Petrucci, realizzato nel 1857, restaurato nel 2007 dalla Premiata Dit-ta Bottega d’Arte Organaria “Ponziano Bevilacqua” di Torre di Nolfi (Sulmona). Il palchetto di sinistra era riservato alla famiglia reale: da qui Ferdinando II assi-steva alle celebrazioni senza che potesse essere visto dal popolo.

Le navate laterali si presentano più basse, anch’esse suddivise in tre campa-te guarnite da voltine ribassate; nei muri di perimetro si scorgono grandi finestre termali, incorniciate da fasce di stucco e finte paraste, le quali conferiscono an-che in queste zone una piena luminosi-tà. Nella navata di sinistra alla seconda campata si scorge una maestosa bacheca realizzata in legno e vetro con elegante frontone, contenente un gruppo di scul-ture a manichino, raffiguranti la Ma-donna “Rifugio dei peccatori”. oopera di un ignoto scultore napoletano della seconda metà del XIX secolo, al quale fu commissionata nel 1892 dal rettore della chiesa di quell’epoca, don Filippo Di Manso.

Il titolo mariano con il quale è vene-rata la Madonna in questa chiesa è ap-punto “Rifugio dei peccatori”. Il 30 mag-gio 1992, per volere del parroco Mons. Pasquale D’Abundo, fu solennemente incoronata da Mons. Antonio Pagano, vescovo d’Ischia (1983-1997). Di fron-te a quest’opera, nella navata di destra si ammira una identica bacheca conte-nente una statua lignea di San Giuseppe Moscati, acquistata nel 1990. Di recente, nel 2016, per volere del parroco don Lu-igi De Donato, sono state esposte al culto dei fedeli due nuove statue raffiguranti: Santa Teresa di Calcutta e San Pio da Pietrelcina.

Nella prima campata della medesima navata si ammira un Crocifisso ligneo opera della seconda metà del XX secolo.

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Nella terza campata vi è un elegante pul-pito dalla forma ottagonale, realizzato in legno da un ignoto artista campano della metà del XIX secolo.

Il transetto ospita due altari realizzati in marmi policromi. L’altare di sinistra è dedicato a S. Giuda Taddeo; la pala è opera del pittore Vincenzo De Angelis, realizzata nel 1855 e raffigura la Visio-ne di San Giuda Taddeo. La porticina del ciborio rappresenta l’immagine del Cuore di Gesù, realizzata in argento sbalzato opera del noto argentiere napo-letano Gennaro Russo, della prima metà dell’800. L’altare di destra è dedicato a San Francesco di Paola; la pala è stata dipinta dall’artista Battista Santoro nel 1855 e rappresenta San Francesco di Paola che attraversa lo stretto di Messi-na. La porticina del ciborio è lavorata in argento sbalzato, reca l’immagine della Gloria del Sacramento, è stata creata dall’argentiere Gennaro Russo.

Gli altari furono dedicati a questi due Santi per espresso volere di Ferdinando II, da lui considerati suoi particolari pro-tettori.

Nelle nicchie del transetto che non sono coeve alla chiesa, ma costruite solo una sessantina di anni fa, sono collocate due statue: in quella di sinistra vi è un Sacro Cuore di Gesù, opera acquistata

dopo il secondo conflitto mondiale, in quella di destra San Giuseppe, opera di un ignoto scultore della scuola napoleta-na del secolo XIX.

L’attuale pavimentazione in marmo bianco di Carrara è stata realizzata nel 2015, per volere dell’attuale parroco can.

Don Luigi De Donato; questa sostituisce quella già realizzata nel 1959, che a sua volta ha sostituto l’originario ed antico pavimento in cotto creato dalle matto-naie Mennella di Casamicciola.

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Ischia, l’isola di MussoliniDalla visita del Duce all’esilio di Racheledi Benedetto ValentinoValentino Editore, pagine 216, maggio 2017

“Il libro si incentra sul partico-lare legame tra il cittadino ono-rario B. Mussolini (delibera del Consiglio comunale d’Ischia del 4 agosto 1923) e Ischia, tra il fa-scismo e gl i isolani, un rapporto profondo che ha inciso nella so-cietà locale un segno indelebile”.

BrigantiControstoria della guerra conta-dina nel Sud dei Gattopardidi Gigi Di Fiore

Editrice UTET, 2017. Disponibile anche in versione e-book

"Fu quella l’altra triste ed eterna eredità di una guerra persa dai po-veracci, che ha lasciato nelle terre dei combattimenti l’idea dello Stato come un’entità vaga, che sa solo fu-cilare. Stato nemico, Stato oppresso-re che non cerca consenso, ma solo ubbidienza con la forza". In queste pagine Di Fiore amplia la schiera dei colpevoli, puntando il dito contro i “Gattopardi” meridio-

nali, proprietari terrieri e notabili che manovrarono la ribellione per i loro tornaconti, restando alla fine ancora i veri detentori del potere. Una classe dirigente immobile e co-darda, rimasta al suo posto facendo-si scudo con la violenta repressione e le armi dell’esercito. Una classe dirigente che ha, ancora oggi, tanti successori.

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In occasione dei festeggiamenti per il 25° Anniversario dell’Incoronazione dell’immagine della Madonna Maria SS.ma Rifugio dei peccatori, custodita nel-la chiesa parrocchiale di S. Maria di Portosalvo in Ischia, si è svolta dal 20 al 28

maggio la mostra iconografica dal titolo Le Madonne Incoronate. di Ernesta Mazzella

Le Madonne Incoronate

La mostra è nata dal desiderio del par-roco Can.co Don Luigi De Donato che, in collaborazione con il Consiglio Pastorale Parrocchiale e la Biblioteca di Portosal-vo, ha programmato la mostra, allestita dall’Avv. Giovanni Di Meglio e dalla Sot-toscritta, per far conoscere agli isolani ed ai tanti turisti che frequentano l’isola d’I-schia il ricco patrimonio storico artistico e la profonda devozione mariana del nostro popolo. La mostra, infatti, ha illustrato in ordine cronologico le varie immagini del-la Vergine che sono state incoronate nei diversi secoli, partendo da quella più anti-ca, la Madonna di Loreto, custodita nella Basilica a Lei dedicata in Forio, incorona-ta per ben due volte, la prima volta il 29 luglio 1787 per decreto del Capitolo Vati-cano su indicazione di Mons. Sebastiano De Rosa, vescovo d’Ischia (1775-1792) e grande devoto della Madonna, sino ad arrivare all’incoronazione più recente avvenuta il 10 maggio 2017 con l’imma-gine della Madonna di Fatima incoronata dal Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di S. Pietro e vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano. Questa incoronazione è avvenuta nella Basilica di S. Pietro dopo la benedizione della statua da parte di Papa Francesco in Piazza S. Pietro.

Come afferma il Di Lustro1 la pratica di rappre-sentare la Vergine con la testa adorna di un dia-dema regale è molto antica sia nella chiesa d’Oc-cidente che in quella d’Oriente. Tale pratica si è diffusa sempre maggiormente in seguito alla defi-

1 A. Di Lustro, Secondo centenario della solenne incorona-zione dell’immagine della Madonna di Costantinopoli, in La Rassegna d’Ischia, Anno XV, aprile 1994.

nizione di Maria quale “Θεοτόκος - Madre di Dio” nel concilio di Efeso del 431.

Sin dalla fine del XV secolo in Italia si è diffu-sa la consuetudine di incoronare le immagini di Maria con la corona d’oro. A tale scopo furono istituite anche delle fondazioni particolari. Si svi-luppò successivamente grazie anche all’attività del cappuccino Girolamo Paolucci Calboli, il qua-le impresse un grande impulso alla prassi dell’in-coronazione delle icone mariane, esortando i fe-deli a raccogliere per tale scopo metalli preziosi; molte incoronazioni si verificarono per suo im-pulso specialmente nelle regioni del nord Italia, in Lombardia ed in Emilia, seguite poi da altre per opera di suoi confratelli e degli stessi som-mi pontefici. Sempre in questo secolo promosse l’uso di incoronare le più famose immagini del-la Madonna anche il conte Alessandro Sforza di Piacenza, il quale destinò parte delle sue rendite per tre corone d’oro all’anno. I sommi pontefici non solo approvarono questa forma di pietà po-polare, ma “spesso, o personalmente o per mano di vescovi da loro delegati, ornarono di diadema immagini della Vergine Madre di Dio già insigni per la pubblica venerazione”2. Nel Seicento fu creato anche un rito particolare per le incorona-zioni della Madonna che fu usato particolarmente per quella decretata dal Capitolo Vaticano. Il rito dell’incoronazione viene decretato soltanto per “quelle immagini che, essendo oggetto di venera-zione per la grande fiducia dei fedeli nella Madre del Signore, godono di una certa notorietà, tanto che il luogo in cui son venerate è diventato sede e centro di genuino culto liturgico e di attivo impe-gno cristiano”3

Il decreto di incoronazione può essere emesso dal Capitolo Vaticano oppure dal Papa, che in quel caso indica le modalità dell’incoronazione con uno speciale “breve pontificio”. Con questo rito la chiesa si ripropone di venerare con atto

2 A. Di Lustro, op. cit. p. 15, cfr. nota 53, Pio XII, Ad coeli Reginam, lettera enciclica dell’11 ottobre 1954. 3 A. Di Lustro, op. cit.

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pubblico e solenne la Vergine Maria come regina, madre di Dio.

Il Concilio Vaticano II aggiunge: “L’Immaco-lata Vergine, preservata immune da ogni colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo, e dal Signore esaltata quale Regina dell’universo, per-ché fosse più pienamente conformata col Figlio suo, Signore dei dominanti e vincitore del pecca-to e della morte”.

Spetta al vescovo diocesano, insieme con la co-munità che presiede, di esprimersi sull’opportu-nità di incoronare le immagini della Madonna. Di norma il rito viene compiuto dal vescovo diocesa-no o da un prete da lui delegato. Ma se l’immagine viene incoronata a nome del Romano Pontefice, bisogna osservare le norme che vengono indicate nel Breve apostolico emesso dallo stesso sommo pontefice.

Le Madonne incoronate dal Capitolo Vaticano nella nostra Isola sono tre. Artefice delle prime due incoronazioni fu Mons. Sebastiano De Rosa. Egli, dopo aver solennemente incoronata la Ma-donna di Loreto4, il 29 luglio 1787 come già detto, facendosi interprete dell’entusiasmo e del fervore di devozione mariana scaturito nel popolo isola-no volle che il rito si ripetesse anche per l’imma-gine della Madonna di Costantinopoli, custodita nell’oratorio della Confraternita in Ischia Ponte. Il De Rosa, dunque, avanzò richiesta al Capitolo della Patriarcale Basilica di S. Pietro in Vaticano nel corso dello stesso anno 1787; purtroppo egli non poté ripetere il rito perché nel 1791 fu trasfe-rito alla sede vescovile di Avellino. L’incoronazio-ne fu svolta dal suo successore Mons. Pasquale Sansone (vescovo d’Ischia 1792 - 1799) il giorno 25 agosto1794. Trascorsero alcuni anni, dal 1791 al 1794, in quanto la Confraternita nel 1792 decise di costruire un trono in marmo nel quale colloca-re la statua della Madonna il giorno in cui sarebbe stata incoronata e solo dopo terminati i lavori di restauro si incoronò la Madonna; sull’orlo della corona si legge: “Capitulum S. Petri hanc coro-nam auream B M V ex legato Alexandri Sforza 1791”.

La terza è l’Immacolata, nella chiesa omonima

4 La Madonna è dipinta su tavola nel 1560 da un pittore manierista identificato in Decio Tramontano. L’immagine fu incoronata per la seconda volta il 25 luglio 1937 e ancora il 26 luglio 1987 dal Cardinale Giuseppe Casoria ed il ve-scovo d’Ischia Mons. Antonio Pagano. Cfr. M. Romano, Fo-rio nella III incoronazione della Madonna di Loreto, anno mariano locale (27 luglio 1986 – 26 luglio 1987), Litografia Cafieri, Napoli 1990.

in Casamicciola Terme nella frazione della Senti-nella, incoronata il giorno 3 ottobre 19545, anno mariano, per decreto dell’11 gennaio 1954 del Capitolo Vaticano; il sacro rito fu presieduto dal Cardinale Celso Costantini, Cancelliere di Santa Romana Chiesa accompagnato dal Cerimoniere Pontificio Mons. Fattinnanzi. La corona della Ma-donna fu realizzata dall’orafo Visconti.

L’8 settembre 1920 fu incoronata l’immagine della Mercede custodita presso la parrocchia S. Maria della Mercede in Serrara. Il popolo devo-to volle incoronare la Madonna ringraziandola per la fine della Prima Guerra Mondiale. Il pon-tificale fu celebrato dall’Arcivescovo di Rossano Calabro, Mons. Giovanni Scotti, presenti Mons. Giovanni Mazzella e Mons. Vincenzo Cuomo e il parroco Don Alfonso Mattera6. Dopo l’incorona-zione della Mercede fu la volta del quadro della Libera7 in Cattedrale, che fu incoronato il 7 set-tembre 1930 dal vescovo Ernesto De Laurentiis, fu presente alla solenne cerimonia il vescovo di Pozzuoli, Mons. Giuseppe Petrone, già Ammini-stratore Apostolico della Diocesi di Ischia (1925-

5 Santuario di Maria SS. Immacolata, Sentinella Casa-micciola Terme 1954-2004, Nel 50° anniversario della so-lenne incoronazione della veneratissima statua di “Maria SS. Immacolata” e nel 150° anniversario della proclama-zione del Dogma dell’Immacolata Concezione, a cura del Rettore don Raffaele Di Costanzo ed il Comitato per le cele-brazioni, Tipografia La Commerciale. 6 O. Buonocore, Monografie storiche dell’isola d’Ischia, Rispoli Editore, Napoli [1954], pp. 86-88.7 L’immagine è venerata per la secolare protezione svolta dalla Madonna a favore del nostro popolo per la liberazione da tante calamità. Fino al primo decennio del secolo XIX l’immagine era in una chiesa propria all’interno del Castello d’Ischia. In seguito allo spopolamento di esso, provocato dalla sua indemaniazione, il Capitolo della Cattedrale trasferì il quadro nella chiesa di S. Maria Assunta, già dei religiosi Agostiniani, ponendola su un altare in fondo alla navata a destra di chi entra. Nel 1906 il sacerdote Gennaro Iacono, trasformò in cappella una vecchia casa di pescatori che era confinante con la detta chiesa dalla parte del mare e dopo aver demolito il muro divisorio, congiunse con il resto della chiesa Cattedrale la nuova cappella che divenne, dopo aver trasferito in fondo a detta cappella l’altare, la nuova sede abituale del SS. Sacramento. È tradizione, che fu anche testimoniata per iscritto, ma lo scritto, consolidato pure dal notaio, non è giunto ai nostri giorni, che verso la fine del 1798 il volto della Madonna fu visto arrossirsi molto più di quello che è, e furono viste tutt’intorno alla figura della Madonna delle luci. Per questo ora si vedono le stelle d’argento intorno alla sagoma della Vergine. Fu quello un segno premonitore per ciò che sarebbe accaduto nell’anno seguente, 1799 quando a causa dei rivolgimenti politici che espulsero da Napoli, il re, il breve periodo della repubblica partenopea, e il ritorno del re, con la susseguente feroce reazione, diversi cittadini d’Ischia e dell’isola furono incarcerati e alcuni furono impiccati e le loro famiglie subirono la confisca dei beni.

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1928). Il quadro fu portato in processione fino ad Ischia Porto accompagnato dai capitoli della Cat-tedrale e della Collegiata e da tutto il clero della Diocesi. Oltre al vescovo d’Ischia parteciparono Mons. Giovanni Scotti, Arcivescovo di Rossano e Mons. Onorato Carcaterra OFM, vescovo titolare di Ipso. Il 9 novembre del 1980 il vescovo d’Ischia Mons. Diego Parodi pose sul capo della Vergine la corona di 12 stelle8.

Il 19 ottobre 1988 fu incoronata dal Papa santo Giovanni Paolo II, nella magnifica piazza di San Pietro, la statua della Madonna delle Grazie, della parrocchia di Lacco Ameno. Tra le varie imma-gini non possiamo non ricordare la bella Pietà nella chiesa della Confraternita di S. Maria della Pietà in Casamicciola Terme, la Madonna9 è stata incoronata dal vescovo d’Ischia Antonio Pagano nel mese di settembre del 1997. Sempre Mons. Pagano incorona il 30 maggio 1992 la Madonna Rifugio dei peccatori nella chiesa parrocchiale di Portosalvo d’Ischia, di cui quest’anno ricorre il 25° anniversario dell’incoronazione. Artefice dell’incoronazione fu il parroco Don Pasquale D’Abundo con il vice-parroco Don Filippo Capu-to. Fu inoltrata dal parroco la richiesta per l’in-coronazione il giorno 8 dicembre 1991, il Vescovo emanò il decreto il 10 maggio 1992. Alla solenne cerimonia presero parte il cerimoniere Don Anto-nio Angiolini, Mons. Pietro Buonocore, Don Lu-igi Trofa, Don Leonardo Iacono e Don Luigi De Donato. La corona della Madonna fu realizzata da vari orafi napoletani. Impreziosita da pietre pre-ziose e da sei cammei che raffigurano la Madonna Rifugio dei Peccatori, l’Annunciazione, la visita di Maria a S. Elisabetta, la Natività, l’Assunzione e la Madonna con Bambino10.

8 C. D’Ambra, Cenni storici, in Cattedrale d’Ischia. Venerata immagine di Maria SS. della Libera 75° anniversario dell’Incoronazione, s.d.9 L’autore del quadro è il famoso pittore Andrea Vaccaro (Napoli 1604-1670).10 Cfr. 25° Anniversario dell’incoronazione della Vergi-ne Maria Rifugio dei peccatori, a cura di E. Mazzella, Gu-tenberg Edizioni, Fisciano 2017.

S. Maria di Loreto, Basilica di S. Maria di Loreto, Forio.

la prima incoronazione il 29 luglio 1787la seconda il 25 luglio 1937

la terza 26 luglio 1987S. Maria di Costantinopoli, Arciconfraternita S. Maria di Costantinopoli, Ischia.

25 agosto 1789 S. M. della Mercede, Parrocchia S. M. della Merce-de, Serrara Fontana.

08 settembre 1920Madonna della Libera, Cattedrale, Ischia.

7 settembre 1930Immacolata, Santuario di Maria SS. Immacolata, Casamicciola Terme.

3 ottobre 1954S. M. delle Grazie, Parrocchia di S. M. delle Grazie, Lacco Ameno.

19 ottobre 1988 Maria SS. Assunta in Cielo, Chiesa Maria SS. As-sunta in Cielo, Lacco Ameno.

1988S. M. Rifugio dei peccatori, Parrocchia di Portosal-vo, Ischia.

30 maggio 1992Madonna della Libera, Chiesa di San Carlo, Forio.

giugno 1996La Pietà, Chiesa S. Maria della Pietà, Casamicciola Terme.

Settembre 1997Maria SS. Addolorata, Chiesa dell'Addolorata

Casamicciola TermeMadonna della Libera, Parrocchia di S. Antonio Abate, Ischia.

novembre 2008N. Signora di Fatima, Parrocchia di Maria SS. As-sunta nel Santuario Diocesano di San Giovan Giu-seppe della Croce,

Ischia. 10 maggio 2017

Il 2 giugno 2017 si terrà il convegno “Progettare il Mediterraneo. Architetture e paesaggi per il turismo in età contemporanea”.

Dal 3 al 6 maggio 2017, si è svolto un seminario dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale dal titolo “Donne, terme e bellezza a Ischia nel rinascimento”. Il convegno, apertosi a Castel Nuovo di Napoli, è poi proseguito nella biblioteca Antoniana di Ischia. I partecipanti sono stati anche accompagnati per una visita alla Torre di Guevara.In attesa della pubblicazione degli atti – che sarà effettuata a cura dell’Istituto organizzatore - va segnalata una scoperta comunicata nel corso dell’intervento dell’Avv. Benedetto Migliaccio. Si tratta di una cartografia del 1482, realizzata ad Ulm dall’umanista Nicolaus Germanus, che presenta tutto il mondo allora conosciuto. Come è stato mostrato da un ingrandimento della mappa, sulla quale risulta indicata la posizione dell’isola d’Ischia.

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IschiaLa mer, partout la mer; du couchant à l’aurore Des flots chassant des flots, plus loin des flots encore; Le soleil vient de fuir dans les gouffres amers; La nuit descend du ciel sur ses ailes de brume, Et de l’onde effleurant la crinière d’écume, Jette son voile sombre au front de l’univers.

Alors, sous l’œil de Dieu tout dort dans la nature, La vague à l’horizon meurt dans un long murmure; Le vent léger du soir passant mystérieux, L’accompagne, et des flots se faisant une lyre, Entonne à cet instant où la lumière expire, Un hymne à l’Eternel qui règne dans les Cieux.

L’œil chercherait en vain à découvrir des plages;Mais regardez là-bas, où des bancs de nuagesSe dorent aux rayons des astres çà et là,Monter à l’horizon mille profils bizarres,Des tours, de grands vaisseaux balançant leurs amarres,Des dômes, des toits blancs, une ville : Ischia!

Ischia, c’est la ville aux fêtes éternelles, La ville auprès des eaux dansant des tarentelles, C’est une reine assise au bord de l’Occident, Qui brandissant la coupe et chantant en délire Des hymnes furieux et que l’ivresse inspire, Tend une main vers Rome, et l’autre à l’Orient.

Ischia c’est la ville où des scènes infâmesCorrompent tous les cœurs, souillent toutes les âmes,Moderne Babylone et gouffre dévorant,Où l’homme, en accourant de tous les points du monde,Ne trouve sous ses pas rien qu’une vase immondeQu’apportent chaque jour les flots de l’Océan.

Dans la nuit les fronts noirs de ses palais antiques, Découpent sur les cieux leurs ombres fantastiques ; Un peuple tout entier gronde au pied de leurs murs,| C’est la ville qui court à la fête nocturne: Dans la coupe déjà le vin coule de l’urne, Et l’orgie en fureur hurle ses chants impurs.

Mais des nombreux clochers dont les flèches aiguësS’élancent vers le ciel et tremblent dans les nues,L’airain laisse planer sa voix sur la cité;L’Angélus à la ville annonce la prière,Car c’est l’heure où tout front s’incline vers la terre, Où tout redit Celui par qui tout fut créé.

En vain l’appel de Dieu retentit dans l’espace,

IschiaMare, ovunque mare; dal tramonto all’auroraFlutti su flutti, e flutti più oltre ancora;Il sole si è nei gorghi amari appena riverso;La notte scende dal cielo sulle sue ali di bruma,E dell’onda sfiorando la criniera di schiuma,Proietta la sua ombra cupa in faccia all’universo.

Allor, sotto l’occhio di Dio, tutto dorme nella natura,All’orizzonte a lungo mormora l’onda moritura;Il vento leggero della sera che passa arcanoL’accompagna e delle onde facendosene una liraIntona in questo istante in cui la luce spira,Un inno all’Eterno che regna nei cieli sovrano.

L’occhio cercherebbe vano di scovrir spiaggette;Ma guardate laggiùì, dove banchi di nuvoletteS’indorano ai raggi degli astri qua e là,Formarsi all’orizzonte mille profili stravaganti,Torri, grandi vascelli all’ormeggi0 oscillanti,Cupole, tetti bianchi, una città: Ischia!

Ischia è la città delle feste eternali,La città che danza la tarantella presso le terme,È una regina assisa al bordo dell’Occidente,Che brandendo la coppa e cantando in sfrenatezzaCanti furiosi e che ispira l’ebbrezza Tende una mano verso Roma e l’altra all’Oriente.

Ischia è la città ove scene infamanoE guastano i cuori, e tutte le anime turbano,Moderna Babilonia e voragine divorante,Dove l’uomo, accorrendo da ogni parte del mondo,Non trova sotto i suoi passi che un fango immondoChe ogni giorno i flutti del mare apportano

Nella notte i frontali neri delle palazzine anticheStagliano sul cielo le loro ombre fantastiche;Un popolo intero brontola a pié dei loro muri.È la città che corre alla festa notturna:Nella coppa già il vino scorre dall’urna,E la furia dell’orgia urla canti impuri.

Ma di molti campanili, i cui tocchi acutiSi levano nel cielo e vibrano tra le nubi,Il bronzo lascia planare la sua voce sul creato;L’Angelus annuncia alla città la preghiera,È il momento in cui tutti si chinano verso terra,Dove tutto ripete Colui dal quale tutto fu fatto.

Invano il richiamo di Dio risuona nello spazio,

Annuaire du Petit Séminaire du Rondeau et de l'Externat Notre-Dame, pour l'année 1892,

Grenoble 1892

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28 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Ardente à ses plaisirs, la foule fuit, s’efface;Si la foi vit encore, nul ne sait plus prier.Les bruits seuls des festins montent à Dieu dans l’ombreMêlés avec la brise ouvrant dans la nuit sombreSon aile qu’embauma la fleur de l’oranger.

Seul dans le temple obscur, sur les dalles de pierre Un prêtre en cheveux blancs courbe son front austère ; Ses larmes ont mouillé le marbre de l’autel: Il pleure ce vieillard; car il a vu l’offenseJusqu’au trône du Christ s’élancer, vague immense, Et tout le peuple aveugle insulter l’Eternel.

«O Père, ô Dieu, dit-il, toi dont les mains fécondes Dans le vide ont jeté la semence des mondes, O toi qui seul es grand, toi qui seul peux punir, Toi qui sais pardonner à qui pleure son crime, Daigne arrêter ton bras et donne à ta victime, Avant de la frapper, le temps du repentir.

Mais au joug du malheur si tu courbes ta tête,Si contre la cité la vengeance s’apprête,Avec que le troupeau frappe aussi le pasteur;Et vous, Mère du Christ, des flots brillante étoile,Couvrez aux yeux de Dieu tous les crimes d’un voile,O Marie, apaisez le courroux du Seigneur».

Les confuses rumeurs de la ville endormie Soupirent dans la brume une étrange harmonie Qui meurt dans le fracas des vagues vers le port. On croirait écouter de longs hymnes funèbres Que des chœurs de damnés chantent dans les ténèbres, Rêve d’un peuple entier à l’ombre de la mort.

Ce murmure d’un peuple, impuissant cri de rage, Bruit de festins impurs, ivresse, long outrage, Au Créateur monta d’un seul et large essor; Dans les parvis du ciel les célestes phalanges Inclinèrent leur front, et les hymnes des anges Expirèrent au loin sur les cithares d’or.

Dans le silence alors une voix éclatante, Plus forte que la voix dos ondes en fureur, Retentit, et les cieux frémirent d’épouvante: Ils avaient reconnu la voix de leur Seigneur.

Et cette voix cria: «Que le nom de l’impie Soit rayé pour toujours du livre de la vie: Pour toi l’heure est venue, ô peuple d’Ischia; Ange du châtiment, étends tes vastes ailes, Plonge ce peuple altier aux ombres éternelles, Qu’il connaisse la main du Dieu qu’il blasphéma».

Météore de flamme aux invisibles traces. Un Ange dans les cieux en silence glissa, Et comme un astre d’or franchissant les espaces, L’Ange envoyé par Dieu sur le monde plana.

Comme un rayon du soir glissant dans l’atmosphère,

Ardente nei suoi piaceri, la folla fugge, si fa da parte;Se la fede è ancora viva, nessuno sa più pregare.I soli suoni delle feste s’elevano a Dio nell’ombraMisti con la brezza ch’apre nella notte oscuraLa sua ala che profumò il fiore dell’arancio.

Solo nel buio tempio, sulle lastre di pietraUn prete dai capelli bianchi china la fronte austera;Le sue lacrime hanno bagnato il marmo dell’altare:Piange questo vegliardo; perché ha visto l’offesaSalire sino al trono di Cristo, vaga immensa,E, insensato, il popolo tutto insultare l’Eterno.

“O Padre, o Dio, dice lui, tu le cui mani fecondeNel vuoto han gettato la semenza del mondo,O tu che solo sei grande, tu che solo puoi punire,Tu che sai perdonare chi piange la sua colpa,Degnati di fermare il braccio e dà alla vittima,Prima di colpirla, il tempo del pentimento.

Ma al giogo della sventura se curvi la testa,Se contro la città s’appresta la vendettaCon cui anche il pastore colpisce la mandria;E tu, Madre di Cristo, stella brillante del mare,Copri con un velo agli occhi di Dio tutti i crimini,O Maria, placa l’ira del Signore”.

I confusi rumori della città addormentataSospirano nella nebbia una strana armoniaChe muore nel frangersi delle onde verso il porto.Credesi di sentire quasi come un lungo canto funebreChe cori di dannati cantano nelle tenebre,Sogno di un intero popolo all’ombra della morte.

Il mormorio di un popolo, grido impotente di rabbia,Vocio di feste impure, ebbrezza, continuo oltraggio,Salì al Creatore in un solo ed ampio corso;Nella corte del cielo le celesti schiere Chinarono la fronte, e i canti degli angeliSpirarono lontani sulle cetre dorate.

Nel silenzio allora una gran voce,Più forte di quella delle onde furiose,Risuonò, e il cielo tremò di terrore:Avevano riconosciuto la voce del loro Signore.

E questa voce gridò: “Che il nome dell’empioSia cancellato per sempre dal libro della vita:Per te è giunta l’ora, o popolo di Ischia;Angelo del castigo, stendi le larghe ali,Immergi questo popolo fiero nell’ombre eterne,Conosca esso la mano del Dio che bestemmiò”.

Meteora di fiamma dalle tracce invisibili,Un Angelo nel cielo passò in silenzio,E come un astro d’oro ch’attraversa lo spazio,L’angelo inviato da Dio al mondo planò.

Come un raggio della sera che scivola nell'atmosfera,

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 29

L’Ange Exterminateur descendit vers la terre,Et sur la ville s’arrêta,

Et d’un glaive élevant la lame étincelante, Comme le feu du ciel au sein de la tourmente.

Trois fois dans l’ombre il l’abaissa.

Partout le ciel est pur; la mer TyrrhénienneRoule ses vagues mollement,

Et la brise vient en jouant Tendre avec un soupir la voile sur l’antenne.

Là-bas s’ouvre le golfe, où, dans l’ombre du soirNaples, d’orangers couronnée,

S’élevant brillante et parée, Se penche sur les flots comme sur un miroir. Mais entendez au loin ces clameurs effrayantes;

Le Vésuve antique géant Vient-il de s’éveiller en grondant? Verse-t-il de nouveau ses lames écumantes?

Est-ce d’un peuple entier le long cri de terreurQui fait frémir l’onde tranquille?

Est-ce au loin l’assaut d’une ville, Ou le cri des mourants sous le fer des vainqueurs?

Non, le Vésuve est là silencieux, paisible, Avec son cratère fumant,

Et Naples s’endort en chantant: C’est des flots qu’a surgi cette clameur terrible.

Mais une île qu’entoure une ceinture d’ifsA l’horizon lève sa tête,

C’est Ischia la ville en fête, Et de chaque maison montent des cris plaintifs.

Partout Ischia tremble et gronde Comme un cratère de volcan, Ses falaises au loin dans l’onde Inclinent leur front menaçant. Sur le vieux môle qui l’abrite Le grand phare de Procida, Comme un fou que le vent excite Comme une torche qu’on agite Vacille non loin d’Ischia. Alors les hautes cathédrales Penchent leurs vieux clochers romans, Et sur la pierre de leurs dalles S’affaissent aux cris des mourants.Parmi les clameurs de la foule, Le front du palais byzantin S’enflamme, s’ébranle et s’écroule, Pendant que sur le sol s’écoule Un flot brillant d’or et d’airain. Mais de l’indigent la chaumière N’est pas épargnée à son tour, Et ses débris jonchent la terre, Parmi les débris de la tour. Dans l’enivrement de l’orgie

L’Angelo sterminatore discese sulla terra,E sulla città si fermò,

E di una spada alzando la lama scintillante,Come il fuoco dal cielo nella piena tormenta,

Tre volte nell’ombra l’abbassò.

Dovunque il cielo è chiaro; il Mar TirrenoRotola le sue onde dolcemente,

E la brezza ha appena in giocoteso con un sospiro il velo sull’antenna.

Laggiù s’apre il golfo, dove all’ombra della seraNapoli, coronata d’aranci,

Levandosi brillante e adornata,Si china sulle onde come su uno specchio. Ma sentite lontani questi spaventosi clamori;

Il Vesuvio, antico gigante, Si è risvegliato ringhiando?Riversa nuovamente le sue lave schiumeggianti?

È di un intero popolo il lungo grido di terroreChe fa fremere l’onda tranquilla?

È in lontananza l’assalto di una città,O il grido dei morenti sotto la spada dei vincitori?

No, il Vesuvio è là tranquillo, pacifico,Con il suo cratere fumante,

E Napoli cede al sonno nel canto:È dal mare che viene questo terribile clamore.

Ma un’isola che circonda una cinta di alberiAll’orizzonte solleva la testa,

È Ischia la città in festa,E d’ogni casa arrivano grida lamentose.

Ovunque Ischia trema e ringhiaCome un cratere di vulcano,Le sue rupi lontane nell’ondaChinano la loro fronte minacciosa.Sul vecchio molo che la riparaIl grande faro di Procida,Come un folle che il vento eccita Come una torcia che s’agitaVacilla non lontano da Ischia.Allora le eccelse cattedrali Inclinano i loro vecchi campanili romanici,E sulle lastre di pietra Si piegano alle grida dei morenti.Tra i clamori della folla,La facciata del palazzo bizantinoSi accende, si scuote e si sbriciola,Mentre sul pavimento s’abbatteUn flusso luminoso di oro e di bronzo.Ma la casetta del povero Non viene risparmiata, a sua volta,E i detriti ricoprono la terra.Tra le macerie della torre.Nella ebbrezza dell’orgia

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30 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Pâles, tremblants, les yeux hagards, Les convives, la foule impie, Aux clartés du grand incendie Sur le rivage errent épars; Mais seul le grondement des flammes Répond a leurs cris déchirants, Ou les cris lugubres des femmes Qui redemandent leurs enfants. Sous l’étreinte de l’épouvante, La foule descend vers le port... Les flots de la mer de Sorrente Dressent leur tête menaçante Et crient: N’attends que la Mort.

Mais plus de bruit. Déjà tout n’est qu’ombre et silence Sur l’étroite jetée où la vague s’élance En courroux et poussant un long rugissement. Abordons, écoutons; seul le souffle du vent Nous apporte en glissant à travers les ténèbres Quelques gémissements, quelques plaintes funèbres. Quel est donc cet îlot? Ce n’est pas Ischia;C’est un îlot désert ! — Ischia n’est pas là: Où sont donc tous ses feux qui parsèment d’étoiles L’horizon, quand la nuit jette ses premiers voiles? Où sont donc ses palais et ses vieux monuments? Ses villas qui faisaient miroiter leurs toits blancs? Ce bruit confus du soir qui montant du feuillage Réveillait les échos des rochers du rivage? Tout n’est plus que débris de temples renversés, De colonnes montrant leurs chapiteaux brisés. Appelons; mais l’écho du fond de ces ruines Où résonnait jadis le son des mandolines, Répond seul a nos voix dans ce désert du deuil, Où de chaque maison la mort marque le seuil. Mais un pécheur là-bas monte sur le rivage; Il vient a nous. «Pécheur, es-tu de cette plage? Quel horrible fléau sur cette île a passé? Je ne sais. Mais un soir tout le sol a tremblé; J’ai vu crouler sur moi les murs de ma chaumière Parmi les tourbillons d’une chaude poussière Que jetaient les palais on s’effondrant au loin: Je m’enfuis dans ma barque; on m’appelait en vain; Puis je n’ai plus rien vu, car la sombre tempête Des rochers d’Ischia m’a dérobé le faîte; J’invoquai, je priai la Mère du Sauveur: Elle m’a protégé des ondes en fureur, Des gens de Procida rencontrés dans ma fuite M’ont dit que cette ville entière était détruite, Depuis longtemps déjà je vogue sur les eaux, Craignant à mon retour des désastres nouveaux. Ces hommes qui là-bas au milieu des décombres, Une torche à la main, errent comme des ombres,Ce sont les fossoyeurs cherchant les morts épars; Ceux qui marchent après, tristes, les yeux hagards, Recueillant ça et là des membres dans la fange, Ce sont les seuls vivants do cette terre étrange: Et le pêcheur nous dit en montrant le ciel bleu: Quant aux morts, où sont-ils? C’est le secret de Dieu».

Pallidi, tremanti, gli occhi stravolti,I convitati, la folla empia,Al chiarore del grande incendioVagano sparsi sulla riva;Ma solo il ruggito delle fiammeRisponde alle loro grida strazianti,O le grida lugubri delle donneChe richiamano i loro figli.Nella morsa del terrore,La folla scende fino al porto...Le onde del mare di SorrentoDrizzano la loro testa minacciosaE gridano: non si aspettano che la morte.

Non più rumore. Già tutto non è che ombra e silenzioSullo stretto molo dove l’onda arrivacorrucciata e provocando un lungo boato.Approdiamo, ascoltiamo; solo il soffio del ventoCi porta scivolando attraverso le tenebreAlcuni gemiti, alcuni lamenti funebri.Qual è questa isola? Questa non è Ischia;È un’isola deserta! - Ischia non è là:Dove sono tutti i suoi fuochi che riempiono di stelleL’orizzonte, quando la notte proietta i suoi primi veli?Dove sono i suoi antichi palazzi e i suoi monumenti?Le ville che facevano luccicare i loro tetti bianchi?Il confuso rumore della sera che viene dal fogliameRisvegliava gli echi delle rocce litoranee?Tutto è solo detriti dei templi abbattuti,Di colonne che mostrano i loro capitelli rotti.Chiamiamo; ma l’eco dal fondo delle rovine,Dove una volta si sentiva il suono dei mandolini,Risponde sola alle nostre voci nel deserto del lutto,Dove d’ogni casa la morte segna la soglia.Ma un pescatore lassù viene al lido;Viene verso di noi. “Pescatore, sei di questo posto?Che terribile flagello è passato su quest’isola?Non so. Ma una sera tutto il suolo ha tremato;Ho visto crollarmi addosso le pareti della mia casaTra le nuvole di una calda polvere Provocata dai palazzi che si sgretolavano:Sono fuggito nella mia barca; m’han chiamato invano.Poi non ho più visto nulla, perché la scura tempesta Delle rocce d’Ischia mi ha oscurato i momenti-clou;Ho chiamato, ho pregato la Madre del Salvatore:Ella mi ha protetto dalle onde furiose,Genti di Procida incontrate nella mia fugaMi hanno detto che tutta questa città era distrutta,Da tempo vado vogando sulle acque,Temendo al mio ritorno nuovi disastri.Questi uomini che là tra le macerie,Una torcia in mano, vagano come ombre,Sono i becchini che cercano i morti sparsi;Coloro che vengon dopo, tristi, gli occhi stralunati,Raccogliendo qua e là delle membra nel fango,Sono i soli viventi di questa strana terra:E il pescatore ci dice, indicando il cielo blu:Ma i morti, dove sono? Questo è il segreto di Dio”.

Abel CHARBONNIER, Rhétorique, 18S4 - Traduzione di Raffaele Castagna

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 31

Archivio Diocesano di Ischia

Cronache religiose dell’episcopato di Felice Romano

Dal diario del cerimoniere vescovile di Ischia Can.co Aniello Sassone

[f.42] Ischia li 19 Maggio dell’Anno 1858.

Questo Nostro Ill.mo e R.mo Monsignor Vescovo della Diocesi d’Ischia D. Felice Romano, spinto dalla sua intima divozione verso la invitta Martire S. Restituta Vergine, e Martire, Padrona principale di tutta questa Diocesi d’Ischia, ne progettò una statua in personaggio, che in realtà fu costruita nella Capitale dallo Statuario D. Arcangelo Testa, quale terminata fu portata dentro una cassa nella nuova Chiesa di S. Maria di Porto Salvo, sita nella Villa de’Bagni d’Ischia. Il giorno 16 di Maggio giorno di Domenica alle ore pomeridiane circa 21 si portarono il Vescovo, Canonici, Clero, Confraternite, ed un gran popolo, venuto da ogni parte dell’Isola e particolarmente dall’Isola di Procida. In detta Chiesa ebbe luogo la benedizione della statua dal đ (detto) Vescovo Pontificalmente vestito; indi si diè principio alla solenne Processione nel modo seguente: Ci fu un piccolo Trionfo in cui ci era una barchetta ivi dentro una statuetta di S. Restituta con alcuni Angeli, che la sostenevano, portato da quattro ragazzi di circa anni 16, ed un coro di fangiulli ad una foggia vestiti, i quali spesso cantavano un Inno in onore della Santa, composto dal đ (detto) Prelato accompagnato da istrumenti musicali; immediatamente dopo veniva la Congregazione Laicale di S. Maria di Costantinopoli del Comune di Testaccio; appresso di essa veniva quella sotto il titolo di Maria SS.ma della Pietà del Comune di Casamicciola; in terzo luogo l’Arciconfraternita di questa Città di Ischia sotto il titolo di Maria SS.ma Incoronata di [f. 43] Costantinopoli; in quarto luogo venivano i Monaci de’ Minori Riformati di S. Francesco di Forio; in quinto luogo veniva il Clero col Parroco colla Sua Croce di S. Domenico di Campagnano; In sesto luogo veniva il Capitolo Collegiale e Parrocchiale

dello Spirito Santo e S. Vito Martire di questa Città; ed in ultimo luogo la Croce della Chiesa Cattedrale, il Seminario Diocesano, Quarantisti, Eddomadarii, Canonici, ed il Vescovo Pontificalmente vestito, che chiudeva la Processione, ivi immediatamente dopo veniva la statua della S. Padrona, portata da quattro persone vestite di sacco con mozzetta rossa, sotto il Pallio, che veniva portato da sei galantuomini del paese; immediatamente dopo la statua venivano le Autorità tutte di questa Città, cioè il Comandante della Piazza, accompagnato da tutti gli uffiziali, il Giudice Regio, il Sindaco coi suoi Decurioni; faceva ala alla Processione una Compagnia di linea del Regimento Re, non che un’altra compagnia di Soldati, cioè Reali Veterani, e Pontonieri, i quali andavano immediatamente dopo le Autorità, ma prima di essa era fissata la Banda municipale vestita con uniformi dell’Isola di Procida, che faceva delle melodie, e concerti di tempo in tempo, e nel suo silenzio facevano eco i tamburi delle due compagnie; dopo la Processione veniva un popolo così, venuto da ogni parte dell’Isola, non che da quella di Procida, come si è detto, che dalla

Arcangelo Testa - Santa Restituta (cattedrale-Ischia)

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32 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Villa de Bagni, accompagnò la Processione sino alla Chiesa Cattedrale. Arrivata la statua della S. Padrona Principale nella đ (detta) Chiesa [f. 44] Cattedrale venne collocata su di un Trono riccamente ornato, e poi ebbero luogo i Primi Solenni Vespri Pontificali.

Il giorno 17 si cantò Messa Pontificale, ed ebbe luogo dopo l’Evangelo un sermone in onore della Santa, recitato dal đ (detto) Vescovo sul Trono. Al dopo pranzo ebbero luogo i secondi Vesperi cantati, anche Pontificali, e dopo di esso, il Vescovo si spogliò della Veste Pontificale, ed indossatane la Cappa Magna salì sul pergamo, dove recitò altro sermone in onore della Santa medesima, e terminato che ebbe si vestì di bel nuovo degli abiti Pontificali, e così volle

dare al popolo fedele ivi raunato la solenne Benedizione del SS.mo Sacramento colla Sfera, e così ebbe termine la Sacra funzione in onore, e Gloria dell’Altissimo Iddio, e della S. Padrona Principale S. Restituta Vergine, e Martire, non che dal đ (detto) Vescovo, che con tanto zelo, impegno, cura, e dispendio il tutto fu fatto. La detta statua poi è stata situata nella đ (detta) Chiesa Cattedrale dentro un nicchio formato dentro mura in un Altare alla Santa dedicato, ch’è continuo alla Sagrestia, ornato l’annicchio con Serratura indorata, e con lastri, e ciò si è scritto da me Can.co Cancelliere ad perpetuam Dei memoriam.

Agnellus Can.us Sassone Cancellarius.

Gli archivisti dell’Archivio Diocesano d’Ischia, con questo primo intervento, vogliono dare il via alla pubblicazione di alcu-ne cronache religiose del secolo XIX. Partiamo con la presenta-zione alla parte di pubblico ischi-tano, attento e interessato alla storia della propria terra, della cronaca di un evento di partico-lare significato: l’arrivo ad Ischia di una statua di Santa Restituta realizzata da un famoso scultore della Napoli della metà del seco-lo XIX: Arcangelo Testa. Questa statua in legno fu voluta dal ve-scovo Felice Romano (1854-72) per la sua chiesa cattedrale.

Lo scultore Arcangelo Testa, a dire il vero, a tutt’oggi non anco-ra è stato studiato a fondo, e fino a poco tempo fa se ne conosceva solo il nome e nessuna opera si-cura, per cui gli sono state attri-buite solo alcune opere sparse nelle regioni dell’Italia Meridio-nale. Ora però con la pubblica-zione di questa cronaca e il sicuro documento che assegna al Testa almeno un’opera, c’è da sperare che possa nascere nuovo interes-se presso gli studiosi per la pro-duzione scultorea di questo arti-sta, che ha realizzato le sue opere non solo in legno, ma anche con

la tecnica del “manichino”. Que-ste sono per la massima parte delle “Madonne vestite” con vesti riccamente decorate con ricami in filo dorato.

Le cronache di alcuni eventi religiosi verificatisi durante l’e-piscopato di Felice Romano co-stituiscono una specie di “diario” che il Canonico Aniello Sassone inserisce in un registro delle sa-cre ordinazioni effettuate dallo stesso vescovo. Sono notizie di prima mano di una persona pre-sente ai diversi eventi narrati, perché egli era il cerimoniere del vescovo e quindi nessuno più di lui poteva essere meglio infor-mato su tali eventi. Questa fon-te archivistica, sebbene sia stata citata da alcuni studiosi anche in anni recentissimi, è rimasta, tut-to sommato, inedita fino ad oggi. La sua riscoperta è stata favorita, in qualche modo, grazie anche alla frequentazione dell’Archivio Diocesano di Ischia da parte di vari studiosi che chiedono infor-mazioni su diversi aspetti storici anche tramite Internet. Per la verità della cronaca, è anche do-veroso dire che in questi anni tra i responsabili e gli studiosi, che vengono in archivio, si è venuto a creare un rapporto di inten-

sa collaborazione con frequenti scambi di esperienze culturali che portano a un arricchimento reciproco non solo, ma anche a proficui risultati nel lavoro di ri-cerca e di studio. Dobbiamo dire a giusto nostro onore e vantaggio che l’Archivio Diocesano d’Ischia in questi anni è diventato un au-tentico “luogo di pensiero” e sta realizzando una sempre più ap-profondita conoscenza del nostro passato, della preziosità delle opere d’arte presenti sul territo-rio e una sempre più consapevole cognizione della nostra identità umana, storica, religiosa, artisti-ca e culturale. Grazie proprio a questo proficuo scambio di idee e di esperienze, è scaturito l’in-teresse per la figura di Arcangelo Testa, autore della nostra Santa Restituta.

Arcangelo Testa è uno scultore napoletano a tutt’oggi poco noto agli studiosi, come già detto, ma certamente uno dei più eccellenti del secolo XIX, particolarmente attivo nella Napoli dell’epoca. Le sue opere sono presenti in tutte le regioni meridionali e partico-larmente in Puglia e in Calabria. Inoltre sembra che il Testa pos-sa considerarsi erede nel secolo XIX della tradizione artistica na-

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 33

poletana, e ancora nell’Ottocento appare in qualche modo legato alla produzione della scultura li-gnea policroma napoletana del secolo precedente. Da quello che si conosce della sua arte, sembre-rebbe che abbia seguito gli stessi percorsi e i rapporti consolidati nei due secoli precedenti, met-tendo particolarmente in luce il filone dell’arte napoletana so-prattutto in Puglia e Calabria. Nel nostro caso particolare, dal con-fronto tra la Santa Restituta del-la nostra cattedrale e la statua di Santa Filomena della chiesa di S. Biagio di Bussi sul Tirino, in pro-vincia di Pescara, realizzata negli anni Trenta o Quaranta dell’800, soprattutto nel viso, l’atteggia-mento e la foggia del vestito delle due Sante, ci indurrebbero a pen-sare che potrebbero essere uscite dalla stessa bottega. La statua di Bussi allo stato attuale si presen-ta priva di alcuni piccoli elementi che potevano essere angeli o stru-menti del martirio della Santa che invece troviamo nella statua di Ischia (l’Angelo e la barca). An-che le vesti presentano caratteri simili soprattutto nella presenza dei “fiori a semina” che già trovia-mo nelle sculture del periodo tra XVII e XVIII secolo.

Altro elemento da segnalare nell’arte di Arcangelo Testa è la constatazione che egli conosca alcuni modelli iconografici che

ci riportano addirittura al nostro Gaetano Patalano, in modo par-ticolare al grande retablo della Incoronazione della Vergine, ori-ginariamente nella cappella dei Biscaglini nell’antica cattedrale di Cadice, che costituisce uno dei massimi capolavori del Patalano. Questo specifico modello è mag-giormente ravvisabile, a nostro giudizio, nella grandiosa macchi-na della Santissima Trinità che il Testa avrebbe realizzato per la chiesa di S. Rocco a Foggia nel 1835. Tutto questo ci porta alla considerazione che, essendo Ar-cangelo Testa uno scultore affer-mato nel corso del quinto decen-nio del secolo XIX, il vescovo Fe-lice Romano, che voleva dotare la sua chiesa cattedrale di una sta-tua della Santa patrona della sua diocesi, si sia rivolto a lui perché uno dei più affermati scultori di Napoli. Infatti il Testa nel quinto decennio del secolo XIX fu uno scultore molto noto non solo, ma anche un punto di riferimen-to importante per la statuaria in legno. Lo dimostrano le commit-tenze che sarebbe riuscito a otte-nere non solo in Campania, ma anche in Calabria e Puglia. Opere sue potrebbero essere la Madon-na di Costantinopoli del 1842 nella chiesa matrice di Bitritto, in provincia di Bari, o quelle di Gio-vinazzo: l’Immacolata nella chie-sa di S. Francesco, e la Madonna

del Carmine del 1842 nella chie-sa di Giovanni Battista. Per la Santa Restituta della catte-drale d’Ischia, bisogna aggiunge-re che essa presenta nella mano destra il giglio e il libro del Van-gelo (Mt. 1,1), mentre nella sini-stra la palma del martirio e una navicella d’argento. Ai suoi piedi vi è un Angelo e una barca con le vele spiegate quale riferimento all’arrivo prodigioso “ad ripas” a Lacco Ameno raccontato dalla Passio che tutti conosciamo. La veste presenta come ornamenti i “fiori a semina” come nella S. Fi-lomena di Bussi sul Tirino.

Appena arrivata a Ischia, la sta-tua di Santa Restituta fu colloca-ta sul secondo altare della navata si sinistra dove rimase per alcu-ni decenni fino a quando cioè fu realizzata la statua del Cuore di Gesù. In quella circostanza fu collocata in una nicchia nel tran-setto della stessa navata, sotto la grande tela di S. Agostino dipin-ta da Giacinto Diano nel 1759. Attualmente è collocata nella nicchia corrispondente nell’altro braccio del transetto, sotto la tela raffigurante S. Nicola da Tolenti-no anch’essa di G. Diano.

Agostino Di LustroErnesta Mazzella

Dal 12 aprile al 31 ottobre 2017 si terrà a Pompei, presso la Palestra Grande degli Scavi, la mostra "Pompei e i Greci" per raccontare la storia del Mediterraneo antico riflettendo sull'immigrazione con-temporanea, esplorando il rapporto, spesso contraddittorio, delle molteplici culture del Mediterraneo.

La mostra organizzata dal Direttore generale di Pompei Massimo Osanna e da Carlo Rescigno, pro-mossa dalla soprintendenza di Pompei con l'organizzazione di Electa, esporrà 600 reperti (ceramiche, sculture, ornamenti) provenienti da Pompei, Cuma, Sorrento, Capua. Ci saranno, inoltre, istallazioni multimediali e proiezioni della Battaglia di Cuma, curate dallo studio canadese Graphic Emotion.Ai visitatori sarà proposto un percorso storico allestito da Bernard Tschumi, architetto minimalista che ha disegnato l'allestimento del museo di Atene. I visitatori, inoltre, saranno accompagnati da guide turistiche, che esalteranno la grammatica greca degli oggetti.

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34 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Ex Libris

The three sister island Nisita, Procida, Ischia, the pearls of the

western sea.... (...) When you row past Nisita in the stillness of a sum-

mer afternoon, you hear the clanking of the prison-ers’ chains, and feel no desire to land here. We will steer for Cape Misenum, to the flat shore of Miniscola, and beckon the brown fishermen of Procida across to us from the island. The fair and peaceful day has smoothed the sea into a golden mirror ; it spreads between the curving coastlines like a flood of wine in a shining chalice. Peace and happiness seem to over-spread the mainland and the island, which looks entic-ing, and smiling as the face of a friend who greets us.

Prochyta, as it was called in Grecian times, was once a Grecian colony. The Hellenes lived here after they had founded Cumae; and any spot in which they have once dwelt is ennobled and consecrated for all time. The population of Procida, like that of Ischia and Capri, is said to be of Grecian origin, and where once the Ionian lute sounded, there still lingers some Ioni-an softness in the speech of the people. The poor folk of Procida and Ischia speak very differently from those of Naples or Pozzuoli; although perhaps the marina (sea-beach) of our little island is an exception to this rule, owing to the number of the coasting sailors from all the neighbouring shores, who meet here. Singu-lar houses with arched arcades, and strange-looking Saracenic cupolas stand here.

The sails of the ships flutter close to the arcades, and the roar of the waves lulls the fisherwife’s infant to sleep. This population earns its bread solely by the sea; the young men go forth into foreign waters, to Africa, or the coasts of Sardinia for the coral fish-ery, come back, buy a few feet of land, and marry a daughter of the island.

It is not on record that any one of them has brought back a foreign wife from his voyages; and the gay col-oured silk handkerchiefs which the girls and women wear on festal days, are presents brought home by the sweetheart or husband. At times the island is al-most exclusively inhabited by women, who cultivate the gardens, and on holiday evenings sit on the roofs or walls of the upper part of the island, and gaze over the sea where the ships come and go. Or else they sit before their doors erect and silent, like the daughter of Icarius, spinning and awaiting the return of the sea-traversing Ulysses. These women are for the most part handsome, and of gentle manners.

Le tre isole sorelleNisita, Procida, Ischia, le perle del mare oc-

cidentale... (...)Quando passi davanti a Nisita nella quiete di un

pomeriggio d’estate, senti il rumore delle catene dei prigionieri e capisci di non voler approdare qui. Ci dirigeremo verso Capo Miseno, fino alla riva piana di Miniscola, e inviteremo gli abbronzati pescatori di Pro-cida a venire verso di noi dall’isola. La bella e piacevole giornata ha reso il mare uno specchio dorato; esso si stende tra le curve coste come un diluvio di vino in un brillante calice. Pace e felicità sembrano avvolgere la terraferma e l’isola, che sembrano seducenti e sorri-denti come il volto di un amico che ci saluta.

Prochyta, come era chiamata in epoca greca, era una volta una colonia greca. Gli Elleni vissero qui dopo aver fondato Cuma; e ogni luogo in cui hanno una vol-ta dimorato è nobilitato e consacrato per ogni tempo. La popolazione di Procida, come quella di Ischia e di Capri, si dice che sia di origine greca, e dove una vol-ta suonava il liuto ionico, si sente ancora una dolcezza ionica nella parlata del popolo. Gli umili popoli di Pro-cida e di Ischia parlano molto diversamente da quelli di Napoli o di Pozzuoli; sebbene forse la marina (lido marino) della nostra piccola isola costituisca un’ecce-zione a questa regola, a causa del numero dei marinai provenienti da tutte le coste vicine che si incontrano qui. Sono presenti case singolari con arcate arcuate e insolite cupole saracene.

Le vele delle navi fluttuano vicino ai portici e il frago-re delle onde culla il sonno del neonato della moglie del pescatore. Questa popolazione guadagna il suo pane solo dal mare; i giovani vanno in acque straniere, in Africa o presso le coste della Sardegna per la pesca del corallo, ritornano, acquistano qualche metro di terra e sposano una figlia dell’isola.

Non è scritto che qualcuno di loro abbia portato una moglie straniera dai suoi viaggi; e i bei fazzoletti di seta colorati, che le ragazze e le donne indossano nei giorni festivi, sono i regali portati a casa da parte dell’innamo-rato o del marito. A volte l’isola è quasi esclusivamente abitata da donne, che coltivano i giardini, e nelle serate di festa si trovano sui tetti o nelle parti alte dell’isola, e guardano a lungo il mare dove c’è un andirivieni di navi. Oppure si siedono davanti alle loro porte erette e silenziose, come la figlia di Icario, filando e attendendo il ritorno degli Ulissi che attraversano il mare. Queste donne sono per la maggior parte belle e gentili.

Italy from the Alps to Mount Etnaedited by Thomas Adolphus TrollopeLondon, 1877

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Waiblinger deve essere stato di cattivo umore quan-do li accusò di “incredibilmente brutale stupidità e rude audacia”. Così anche quando dichiarò che “l’iso-la in sé non offre niente di pittoresco, ad eccezione di alcuni punti di osservazione, la cui parte occidentale rivolta verso Ischia è la più bella”. Tuttavia, ogni pit-tore deve essere rimasto incantato non solo dalle vedu-te, ma dagli affascinanti “particolari” e “motivi” di cui ogni strada e sentiero dell’isola sono pieni. Se si sale dalla Marina e ci si inoltra nel delizioso labirinto di vi-gneti che coprono la virginea isola come con un verde velo, quale splendida vegetazione si diffonde intorno a voi! E tra di essa quale varietà di piccole abitazioni, dimore di piacevole e bacchico godimento! Una densa nube di profumo si leva dai fiori di innumerevoli agru-mi (piante di limoni e cedri) in primavera; in estate gli alberi sono coperti di frutta dorata più abbondan-temente persino di quelli di Sorrento; e in autunno la ricca abbondanza di uva richiede il lavoro di tutte le mani per fare e conservare l’ottimo vino di Procida. Poi l’aria è così pura, il suono delle onde così rilassante e sognante, - oh questa isola è un piccolo paradiso! La vista dall’alto del castello, sui tetti della città superiore e inferiore, è molto sorprendente; alcune palme, in-sieme alle cupole dei tetti, danno l’aspetto di una città moresca.

I Saraceni sono in realtà stati qui, e hanno fatto molti danni nell’isola al tempo dei viceré spagnoli: special-mente sotto il comando del feroce Barbarossa. La sto-

Waiblinger must have been in a bad humour when he accused them of “incredibly brutal obtrusiveness and rude audacity”! So too when he declared that “the island in itself affords nothing picturesque, except a few points of views, of which the western one looking towards Ischia is the finest”. Yet every painter must have been enchanted not only with the views, but with the charming “ bits “ and “ motives “ with which every road and lane in the island abounds. If you mount up from the Marina and lose yourself in the delight-ful maze of vineyards which cover the maiden isle as with a veil of greenery, what a splendid vegetation spreads around you ! And amongst it what a variety of little dwellings, abodes of content and bacchic en-joyment! A thick cloud of perfume rises from the blos-soms of countless agrumi (lemon and citron plants) in the spring; in summer the trees are more heavily laden with golden fruit than even those of Sorrento ; and in autumn the rich abundance of grapes demands the labour of all hands to make and store the excellent Procida wine. Then the air is so pure, the sound of the waves so soothing and dreamy, - oh this island is a little paradise! The view from the heights of the castle, over the roofs of the upper and lower town, is very striking ; a few palm trees, together with the cupolas of the roofs, give it the aspect of a Moorish city.

The Saracens have indeed been here, and did much mischief in the island in the time of the Spanish vice-roys : especially under the leadership of the fierce

Ischia - Cortile

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Barbarossa. The history of the island furnishes an-other name connected with the annals of the Hohen-staufens: Giovanni da Procida. He was the originator of the Sicilian Vespers, in which he would fain have washed away in torrents of French blood the stain of Conradin’s execution, which he witnessed in the mar-ket-place at Naples. He was a nobleman of Salerno, and the island of Procida belonged to him.

From the last gardens of the island we look upon the desert little islet of Guevara, which is only a bit of the wall of an extinct crater sunk in the sea between it and Procida, and further still we see Ischia tower-ing up into its mountain of Epomeo. The fields spread dark blue along the sides of this mighty mountain, and numerous hamlets peep forth hospitable and in-viting from the shade of groups of trees. So farewell, fair Procida! Thy more perfect neighbour invites us ; and we exclaim by way of adieu:

“I would compare thee to some youthful nymph

Whose maiden charms are scarcely yet matured. Still might thy budding beauties chain my heart, But that thy sister’s full perfection wins me.’’

The sister is Ischia, and Ischia is perfection!The radiant island smiles at us across the waters,

and draws our boat as if with magic bands nearer and nearer to its shores. These shores are girdled with black lava, over which the waves break in white foam. Dark brown crags rise from these blocks of lava, bare, or only clothed with coarse plants that love the sea ; but at their feet, like a golden hem on the maiden’s robe, blooms the luxuriant yellow broom. From hence the land slopes gently upward to the middle of the towering Epomeo, and is covered to the remotest corner with pleasant vegetation; the whole land is a pleasure garden. When the sun shines on Ischia, you can distinguish from the sea the various forms and species of trees. The olive tree is contrasted with the vine, and this again with darker foliage, all harmonizing exquisitely with the light brown tufa soil, and forming a thousand gradations of light and shade; and nowhere are the habitations of men, vin-tagers’ cottages, and villas, so bright-looking as in this island, which enjoys an immunity from dust!

Ischia is now the fair realm of Flora and Pomona, and no one considers that it was once a masterpiece of Vulcan’s handiwork. At his behest and by his power, it rose by degrees out of the waves, higher and higher until it almost touched the dwelling of the gods with its burning forehead. The very foundation of this is-land is a volcano, Monte Epomeo, which stands in the centre of it. Fiery masses flowed out in broad streams from its vast crater, and spreading into the waters be-low, formed the flat circumference of the island. From its volcanic architect it received the form of its main outline, - a circular one. Other and subordinate pow-ers added the jagged ornamentation. These were the clefts or gullies of lava which opened in the flanks of

ria dell’isola fornisce un altro nome connesso con gli annali degli Hohenstaufen: Giovanni da Procida, che fu l’autore dei Vespri siciliani, in cui dovette affievolirsi in torrenti di sangue francese la macchia dell’uccisione di Corradino, perpetrata nel mercato di Napoli. Lui era un nobile di Salerno, e l’isola di Procida gli appartene-va.

Dagli ultimi giardini dell’isola lo sguardo si posa sulla deserta isola di Guevara, che è solo una parte di un cra-tere estinto sprofondato nel mare tra l’isola e Procida e ancora vediamo Ischia che domina con la sua mon-tagna dell’Epomeo. I campi si stendono azzurro-cupi lungo i lati di questa fiera montagna, e numerosi vil-laggi si affacciano ospitali e invitanti dall’ombra degli albereti. Quindi addio, fiera Procida! La tua vicina più perfetta ci invita; ed esclamiamo per la via dell’addio:

Vorrei confrontarti con una ninfa giovanileI cui incantesimi sono appena maturati.Ma le tue bellezze in erba incatenano il mio cuore,la piena perfezione della sorella mi vince .

La sorella è Ischia, e Ischia è perfezione! La splendida isola sorride a noi attraverso le acque e

trae la nostra barca quasi con lacci magici sempre più presso alle sue sponde, che appaiono avvolte tutt’intor-no da nera lava, su cui spumeggiano rumorose le onde. Le rocce blu-scure si alzano da questi blocchi di lava, brulle, o solo coperte di piante grasse che amano il mare; ma ai loro piedi, come un orlo dorato sulla veste di una fanciulla, fiorisce la lussureggiante vegetazione di gialle ginestre. Di qui il terreno s’alza dolcemente verso l’alto fino al centro dell’eccelso Epomeo, ed è co-perto sino all’angolo più remoto con una bella vegeta-zione; tutta la terra è un giardino di piacere. Quando il sole splende su Ischia, è possibile distinguere dal mare le varie forme e specie degli alberi. L’olivo è in contra-sto con la vite, e questa ancora con foglie più scure, tut-to armonizzandosi squisitamente con il tufo marrone chiaro e formando mille gradazioni di luce e di ombra; e in nessun luogo sono le umane abitazioni, le case dei vignaiuoli e le ville, paiono così luminose come in que-sta isola che gode di un’immunità dalla polvere!

Ischia è ora il regno fiero di Flora e Pomona e nes-suno ritiene che sia stato una volta un capolavoro del lavoro manuale di Vulcano. Al suo comando e per il suo potere, essa si alzò a gradi dalle onde, sempre più in alto fino a quasi toccare la sede degli dei con la fron-te bruciante. Il vero fondamento di questa isola è un vulcano, il Monte Epomeo, che è al suo centro. Materie infuocate scaturirono a torrenti dal suo vasto cratere, spandendosi nelle acque sottostanti, e formarono la piatta circonferenza dell’isola. Dal suo architetto vul-canico ricevette la forma del suo profilo principale, - una forma circolare. Altri e poteri subordinati aggiun-sero l’ornamento frastagliato. Queste furono le fessure o gole di lava che si aprirono sui fianchi della monta-

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the mountain after the higher crater had cooled, and pushed themselves out into the sea so as to surround the island with a series of capes and points. There are nine-and-twenty of these lava ornaments ; and the principal of them enumerated by the Ischian fisher-men are Punta San Pancrazio, Punta Sant’Angelo, and Capo Negro, in the south; Punta dell’Imperatore and S. Francesco in the west; Punta Caruso, Cornac-chio del Lacco, della Scrofa, and S. Pietro, in the north ; and to the east the rock on which Ischia’s ancient castle stands.

You land below this castle in the charming har-bour of Ischia made by Nature herself, as if in sport, by sinking an old crater and filling it with sea-water. It is quite circular, and as still as a mountain tarn ; not a wave is felt to move here. Rosy flowering olean-ders surround it with southern profusion, and gleam-ing white houses, and gardens filled with fruit, come down to the water’s edge. From hence a good road made of volcanic materials conducts us along the sea-board to the little town of Ischia. This road crosses a stream of lava, which suddenly and unexpectedly - in the year 1301, in the reign of Charles the Second of Anjou - poured out of a cleft beneath Monte Epomeo, after the volcano had been silent for nearly seventeen hundred years. Numerous blooming gardens which lay in its path were burnt up, the villas of the nobles (who preferred this side of the island to the other, on account of the protection afforded by the neighbour-

gna dopo che il cratere superiore si era raffreddato, e si spinsero nel mare per circondare l’isola con una serie di capi e punte. Ci sono ventinove di questi ornamen-ti di lava; e i principali di essi elencati dai pescatori ischiani sono: Punta San Pancrazio, Punta Sant’An-gelo e Capo Negro, a sud; Punta dell’Imperatore e di San Francesco ad ovest; Punta Caruso, Cornacchio del Lacco, della Scrofa e S. Pietro, a nord; e ad est la roccia su cui poggia l’antico castello di Ischia.

Voi arrivate sotto questo castello nell’affascinante porto di Ischia fatto dalla natura stessa, come per gio-co, affondando un vecchio cratere e riempiendolo con acqua marina. È piuttosto circolare, e ancora come un tumulo di montagna; non si sente un’onda muoversi qui. Rosei fioriti oleandri lo circondano con profusione mediterranea, e brillanti bianche case, e giardini pieni di frutta, arrivano fino al bordo dell’acqua. Da qui una buona strada fatta di materiali vulcanici ci conduce lungo la costa fino alla cittadina di Ischia. Questa stra-da attraversa un flusso di lava, che - improvvisamente e inaspettatamente - nell’anno 1301, durante il regno di Carlo II d’Angiò – si riversò fuori da una fessura del Monte Epomeo, dopo che il vulcano era rimasto tran-quillo per quasi 1700 anni. Numerosi giardini in fiore che si trovavano nel suo cammino furono bruciati, le ville dei nobili (che preferivano questo lato dell’isola all’altro, a causa della protezione offerta dal vicino ca-stello) furono distrutte e il flusso devastante cadde nel lungomare vicino a Punta Molina.

Ischia - Giardino

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38 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

La lava è da molto tempo fredda; ma la vegetazione adiacente non ha mai recuperato gli effetti di questo terribile bruciare: la lava presenta ancora una massa annerita e sterile. La gente chiama Cremato la par-te superiore del torrente e la bassa Arso - entrambi i nomi alludono alla sua ardente natura. Ci sono più di 12 crateri sull’isola, tutti raggruppati intorno al grande cratere dell’Epomeo come bambini intorno alla madre.

Le falde di quest’ultimo si raggiungono attraversan-do grandi deserti di lava e i blocchi di lava sono i ma-teriali dei quali sono costruiti i muri che circondano i numerosi vigneti: poiché l’industrioso popolo ha pian-tato l’uva ovunque la superficie della lava è diventata morbida per l’azione dei secoli. La strada si snoda tra questi vigneti fino al vertice della piramide montagno-sa. Camminiamo sotto i castagni e i fichi, e guardiamo tra i rami fino al mare, profondamente azzurro come il cielo, le deliziose sponde di Sorrento, leggermente velate di foschia, la magica, folgorante Capri, la picco-la piana isola sorella di Napoli, disarmata dai vapori grigi, con Sant’Elmo, il Castello, e i Camaldoli che bril-lano di sole. Giunti al villaggio di Moropano, l’infinita distesa del mare si estende davanti a noi. Molte vele scivolano sulla silente piana, e qui il cinguettio della ci-cala che ama il sole è l’unico suono ad essere avvertito.

Poi la strada stretta taglia attraverso alcune rocce rocciose; la terra è un deserto e soltanto poche erbe provano l’influenza di una breve primavera. Tutto il paesaggio ha una tonalità di giallo, che abbaglia la vi-sta, e sgomenta l’anima con la sua selvatichezza.

Qui, duemila piedi sopra il livello del mare, si trova il villaggio più alto dell’isola, e sopra il villaggio, cinque-cento metri più in alto, la montagna termina in un pic-co tagliente e frastagliato, nel cui tufo sono state scava-te una piccola cappella e l’abitazione di un abbronzato eremita. Da qui si guarda giù come un’aquila dal suo nido sul giardino dell’isola, e vede i nidi degli uomini che spuntano singolarmente o in gruppo dal fogliame verde scuro.

Poi guardiamo sul mare, e no, è troppo vasto, troppo glorioso! Più di un paio di occhi umani possono con-templare, o ricevere un cuore umano!

Il viaggiatore mette la penna giù, non volendo rovi-nare la grande immagine con parole fredde e insigni-ficanti; questa deve essere vista e non può mai essere descritta. Un estratto da una lettera scritta sulla cima della montagna ad un amico può servire a chiudere lo schizzo di Ischia, poiché non posso trovare niente di meglio da dire adesso di quello che ho fatto finora:

“Ho ricevuto un’immagine di pura bellezza nella mia anima, una di quelle che rimangono per sempre nella nostra memoria come la luce solare dell’Olimpo - che ci riporta al paradiso che abbiamo sognato nella nostra innocente gioventù. So che non sto dicendo troppo: io, che conosco così tanto l’Italia, sono consapevole del fatto che ci sono paesaggi più grandi - come, ad esem-pio, nel mio amato Lazio e in Siracusa, che influenzano la mente con le sublimi associazioni storiche. Ma l’ani-ma viene costantemente attratta indietro, all’Odissea,

hood of the castle) were destroyed, and the devastat-ing stream fell into the sea at length close to Punta Molina.

The lava has long ago grown cold ; but the adja-cent vegetation has never recovered the effects of this terrific scorching : the lava still presents a blackened and barren mass. The people call the upper part of the stream Cremato, and the lower Arso - both names alluding to its fiery nature.

There are more than twelve craters visible on the island, all clustered round the great crater of Epo-meo like children round a parent. The foot of the lat-ter is reached by traversing great wastes of lava, and blocks of lava are the materials of which the walls are built which surround the numerous vineyards : for the industrious people have planted the grape wherever the surface of the lava has become rotten and soft by the action of centuries. The road winds between these vineyards to the summit of the mountain pyramid. We ride along under chestnuts and fig trees, and look down between the branches upon the sea as deeply blue as the sky, on the delightful shores of Sorrento slightly veiled in haze, on the fairy-like, glimmering Capri, on the flat little sister island on Naples dimmed by grey vapours, with Sant’Elmo, the Castle, and Ca-maldoli glittering in bright sunshine. On reaching the village of Moropano, the limitless expanse of the sea stretches before us. Many a sail glides over the silent plain, and up here the chirp of the sun-loving cicala is the only sound to be heard.

Then the narrow road cuts through some rocky cliffs; the land is a wilderness and only a few and weeds feel the influence of a brief springtime. The whole landscape has a yellow tone, dazzling the eyes, and awing the soul with its savageness.

Here, two thousand feet above the level of the sea, lies the highest village on the island, and above the village, five hundred feet higher, the mountain termi-nates in a sharp jagged peak, in whose tufa a little chapel and the dwelling of a sunburned hermit have been scooped. From hence one looks down like an ea-gle from his eyrie over the garden of the island, and sees the nests of men peeping forth singly or in groups from the dark green foliage.

Then we gaze over the sea, and no, it is too vast, too glorious! more than one pair of human can eyes be-hold, or one human heart receive!

The traveller lays his pen down, unwilling to wrong the grand picture by cold and insignificant words ; it must be seen, and can never be described. An extract from a letter written on the summit of the mountain to a friend, may serve to close the sketch of Ischia, since I can find nothing better to say now than I did then:

“I have received one more image of pure beauty into my soul; one of those which remain for ever in our memory like the sunlight of Olympus - which carry us back to the paradise we dreamt of in our innocent youth. I know I am not saying too much. I, who know Italy so thoroughly, am well aware that there are

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grander landscapes - as, for example, in my beloved Latium, and in Syracuse, which influence the mind by sublime historic associations. But the soul is constant-ly drawn back to the Odyssey, and here is spread out before us the wave-resounding theatre of that most delightful of all fables; and the breath of old Legend blows from these shores and fills us once more with the sweet awe and wonder of our childhood. Here the atmosphere is full of serenity and joy”.

e qui si sparge davanti a noi l’onda che riecheggia il teatro della più deliziosa di tutte le favole; e l’alito della vecchia leggenda soffia da queste rive e ci ripara ancora una volta con la dolce paura e la meraviglia della nostra infanzia. Qui l’atmosfera è piena di serenità e di gioia”.

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Napoli e Montecassinodi Charles Joseph Van Est autore dei Ricordi d'Italia, Anversa 1850

***

Naples et le Mont-Cassinpar Charles Joseph Van Est, auteur des Souvenirs d'Italia, Anvers 1850

Une barque légère, poussée par de bons rameurs, nous faisait avancer avec la rapidité de l’éclair, vers la côte dentelée et escarpée de la charmante île d’Ischia. Celte petite étendue de terre, qui sépare le golfe de Gaëte du golfe de Naples, et qui n’est sépa-rée elle-même de l’île de Procida que par un canal fort étroit, n’est qu’une seule montagne à pic, dont la cime blanche et effilée s’élève jusqu’au ciel. Ses pla-teaux les plus rapprochés de la mer, et inclinés sur les flots, portent des chaumières, des villas rustiques et des villages à moitié cachés sous les treilles de vignes. Chacun de ces villages a sa marine, c’est-à-dire, un petit port où flottent les barques des pécheurs de l’île, et où se balancent quelques mâts de navires à voile latine. Les vergues touchent aux arbres et aux vignes de la côte.

Toutes les montagnes environnantes proviennent des érup tions de l’Epomeo, majestueux volcan qui s’élève au milieu de l’île, et qui montre partout sa cime nue et ses flancs chargés de bourgs populeux. Sa base est minée par des ravins profonds, ombragés de hauts châtaigniers, et sur les coteaux inférieurs qui s’abaissent jusqu’à la mer, croissent ces vignes aux-quelles on doit l’excellent vin blanc d’Ischia.

Les éruptions de l’Epomeo datent d’une époque fort ancienne. La première dont l’histoire fasse mention, remonte à 480 ans avant l’ère chrétienne. L’effroi qu’elle causa fut tel, qu’une colonie d’agriculteurs eubéens, qui s’y étaient établis, prirent la résolution d’émigrer. Rappelés par la fertilité du sol, ils en furent de nouveau expulsés par le volcan. Trois fois, de har-dis colons tentèrent la même épreuve, constamment suivie des mêmes résultats. Enfin les Napolitains y prirent position et construisirent la ville d’Ischia que l’Epomeo renversa encore, en 1302. Une partie des co-lons s’échappèrent par mer, l’autre fut engloutie toute vivante dans la lave qui mit toute l’île en feu, pendant deux mois entiers. Tels étaient le charme et la richesse

Una barca leggera, spinta da buoni rematori, ci fa-ceva avanzare con la rapidità del lampo, verso la costa dentellata e scoscesa dell’affascinante isola d’Ischia. Questa piccola distesa di terra, che separa il golfo di Gaeta dal golfo di Napoli, e che è separata essa stessa dall’isola di Procida da un canale molto stretto, non è che una sola montagna a picco, la cui cima bianca e slanciata si eleva fino al cielo. I suoi pianori più vicini al mare, ed inclinati sulle onde, presentano delle case con tetto di paglia, delle ville rustiche e dei villaggi a metà nascosti sotto i pergolati delle viti. Ciascuno di questi villaggi ha la sua marina, cioè, un piccolo porto dove fluttuano le barche dei pescatori dell’isola, e dove si dondolano alcuni alberi di navi a vela latina. I pen-noni s’innalzano all’altezza degli alberi e delle viti della costa.

Tutte le montagne circostanti provengono dalle eru-zioni dell’Epomeo, maestoso vulcano che si alza nel mezzo dell’isola, e che mostra dovunque la sua cima nuda ed i suoi fianchi carichi di borghi popolosi. La sua base è traversata da burroni profondi, ombreggiati da alti castagni, e sulle collinette inferiori, che si abbassa-no fino al mare, crescono queste viti alle quali si deve l’eccellente vino bianco di Ischia.

Le eruzioni dell’Epomeo datano ad un’epoca molto remota. La prima di cui la storia faccia menzione, risa-le a 480 anni prima dell’era cristiana. Lo spavento che provocò fu tale, che una colonia di agricoltori euboici che vi si erano stabiliti, presero la risoluzione di emi-grare. Richiamati dalla fertilità del suolo, furono espul-si di nuovo dal vulcano. Tre volte, degli arditi coloni tentarono la stessa prova, costantemente seguita dagli stessi risultati. Infine vi si stabilirono i Napoletani, i quali costruirono la città d’Ischia che l’Epomeo scon-volse ancora, nel 1302. Una parte dei coloni scappò per mare, l’altra fu inghiottita ancora vivente dalla lava che mise tutta l’isola a fuoco, durante due mesi interi. Tali erano il fascino e la ricchezza che presentavano il

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40 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

soggiorno e la coltura di Ischia che, alcuni anni dopo, gli emigrati ritornarono e vi si stabilirono per l’ultima volta; perché d’allora il terribile vulcano ha calmato il suo furore, e dorme come un leone assopito per la stanchezza di una lunga lotta. Guai ad Ischia, se questo sonno non è eterno!

Ma a questa popolazione, già così tristemente prova-ta, erano riservate ancora più dure prove. Alfonso d’A-ragona, sovrano di Napoli, dopo la disfatta di Renato d’Angiò, temendo che l’affetto degli abitanti dell’isola di Ischia non sopravvivesse alla caduta della dinastia angioina, ne bandì tutti i maschi e costrinse le vedove e le figlie delle vittime della guerra a sposare dei catalani e degli spagnoli scelti a caso nel suo esercito. Fu senza dubbio una politica, ma più odiosa di quella dell’assas-sinio, perché questo colpisce e non disonora.

Lo stesso principe fu soprannominato il Magnanimo e difatti ebbe i suoi giorni di grandezza e di generosità. «Voglio che il popolo tema per me e non tema me», diceva spesso. Questa massima fu solamente una vana parola per gli abitanti di Ischia.

Le acque di quest’isola sono famose nel mondo per la loro virtù medicale. Le proprietà igieniche delle acque non sono le uniche ad essere segnalate alla curiosità dei turisti o all’analisi degli scienziati. Il loro uso dà luo-go a fenomeni che meritano senz’altro di richiamare l’attenzione del fisico e del chimico. Sotto tale aspetto, esse potrebbero condurre a seducenti ed utili scoperte.

La popolazione dell’isola conta oggi 25.000 ani-me. Era molto più considerevole prima dell’eruzione del 1302. Ischia è localizzata su una roccia di basalto di 600 piedi di altezza, alla cima del quale si trova la cittadella, che conta 4.000 abitanti. La sua posizione è incantevole come lo è del resto quella di tutti i bor-ghi, villaggi e frazioni di questa terra ridente e fertile. Il costume degli abitanti è molto pittoresco: consiste, per le donne, in un corsetto di velluto. La camicia, in-crespata a piccole pieghe sul petto, è annodata sotto il collo; la gonna è corta e di colori vari; la pettinatura ha la forma di un piccolo berretto nero guarnito di oro, sormontato da uno spesso velo disteso sulla testa. Ad Ischia, come altrove, gli uomini e le donne cominciano ad abbandonare questo abito nazionale per avvicinar-si, ogni giorno, a questa triste e noiosa uniformità che le relazioni sempre più frequenti tendono ad imporre a tutti i popoli. Anche qui si ama adottare i frivoli ade-guamenti di queste mode che cambiano tanto rapida-mente come le idee del popolo che le introduce.

Ischia, l’Inarime di Virgilio e di Omero, e la Pythe-cusa di Plinio e di Strabone, offre parecchi ricordi sto-rici ai viaggiatori: è qui che Enea sbarcò lasciando la Sicilia per stabilirsi nel Lazio; è ad Ischia, che l’ultimo erede di Alfonso, spossessato della sua corona, venne a cercare un rifugio contro le armi di Luigi XII. Mu-rat, costretto a lasciare Napoli, dopo i rovesci del 1815, venne a sua volta a cercare nello stesso luogo un asilo momentaneo; anche lui s’imbarcò su questa riva per chiedere alla Francia ospitalità e protezione. Ma Na-poleone, solo contro l’Europa intera, era ridotto allora

que présentaient le séjour et la culture d’Ischia que, quelques années après, les émigrés revinrent et s’y établirent pour la dernière fois; car depuis, le ter-rible volcan a calmé sa fureur, et dort comme un lion assoupi par la fatigue d’une longue lutte. Malheur à Ischia, si ce sommeil n’est pas éternel !

Mais à cette population, déjà si tristement éprou-vée, étaient réservées de plus rudes épreuves encore. Alphonse d’Aragon, maître de Naples, après la défaite de René d’Anjou, craignant que l’affection des habi-tants de l’île d’Ischia ne survécût à la chute de la dy-nastie angevine, en bannit tous les mâles et força les veuves et les filles des victimes de la guerre à épouser des Catalans et des Espagnols pris au hasard dans son armée. Ce fut de la politique sans doute, mais plus odieuse que celle du meurtre, car le meurtre frappe et ne déshonore pas. Eh bien! Ce même prince a été surnommé le magnanime et en effet, il eut ses jours de candeur et de générosité. «Je veux que le peuple craigne pour moi et ne me craigne pas», disait-il sou-vent. Cette maxime ne fut qu’une vaine parole pour les habitants d’Ischia.

Les eaux de cette île sont renommées dans le inonde pour leur vertu médicale. Les propriétés hygiéniques de ces eaux ne sont pas les seules qui les aient signalées à la curiosité des touristes ou à l’analyse des savants. Leur usage donne lieu à des phénomènes qui méritent en tout point de fixer l’attention du physicien et du chimiste. Sous ce rapport, elles pourraient conduire à de piquantes et utiles découvertes.

La population de l’île compte aujourd’hui 25,000 âmes. Elle était beaucoup plus considérable avant l’éruption de 1302. Ischia est située sur un rocher de basalte de 600 pieds de hauteur, au sommet duquel se trouve la citadelle; elle compte 4,000 habitants. Sa situation est ravissante comme l’est du reste, celle de tous les bourgs, villages et hameaux de cette terre riante et fertile. Le costume des habitants est fort pittoresque : il consiste, pour les femmes, en un cor-set de velours. La chemise, plissée à petits plis sur la poitrine, est nouée sous leur cou; leur jupe est courte et de couleurs variées; leur coiffure a la forme d’un petit bonnet noir garni d’or, surmonté d’un voile épais posé à plat sur la tête. A Ischia, comme ailleurs, les hommes et les femmes commencent à abandonner ce costume national pour se rapprocher, chaque jour, de cette triste et ennuyeuse uniformité que des relations de plus en plus fréquentes tondent à imposer à tous les peuples. Là aussi on se met à adopter les frivoles ajustements de ces modes, qui changent aussi vite que les idées du peuple qui les donne à l’univers.

Ischia, l’Inarima de Virgile et d’Homère, et la Pythecusa de Pline et de Strabon, rappelle aux voya-geurs plusieurs souvenirs historiques : c’est là qu’En-ée débarqua en quittant la Sicile pour s’établir dans le Latium ; c’est à Ischia, que le dernier héritier d’Al-phonse, dépossédé de sa couronne, vint chercher un refuge contre les armes de Louis XII. Murat forcé de quitter Naples, après les revers de 1810, vint à son tour

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chercher au même lieu un asile momentané; lui aussi, s’embar qua sur ce rivage pour demander à la France hospitalité et protection. Mais Napoléon, seul contre l’Europe entière, était alors réduit aux dernières res-sources de la France épuisée. Murat, qui, par de faux rapports, comptait sur un parti en Calabre et princi-palement à Pizzo, vint, dans une simple cha loupe, dé-barquer imprudemment sur la place de cette dernière ville, accompagné, seulement, d’un aide-de-camp et de quelques hommes. Comme il montait la hauteur sur laquelle est bâtie la ville, il aperçut toute la popu-lation accourant à lui : il crut que c’était une mani-festation en sa faveur; mais s’étant aperçu bientôt du contraire, il voulut fuir dans une plantation d’oliviers et descendre de là, par un ravin, pour regagner son canot et se sauver. Mais des soldats, envoyés le long de la plage, l’atteignirent, en ce moment, et le firent prisonnier. Murat vit alors le sort qu’on lui préparait; et, avec toute la bravoure qu’on lui a connue, il décou-vrit sa poitrine, commanda lui-même le feu, et mou-rut avec le plus grand courage. Ainsi finit celui qui, de simple soldat, s’était élevé à un rang suprême, et dont la chute fui aussi terrible que sa fortune avait été surprenante et rapide. Ischia n’est pas la ville la plus considérable de l’île. C’est Foria, située sur un petit promontoire. Longtemps menacée par les pirates de la côte d’Afrique, cette cité, ainsi que les autres points du littoral, doivent, à la conquête d’Alger, la sécurité dont ils jouissent aujourd’hui.

De retour dans notre barque, nous cinglâmes, pen-dant une heure, vers le rivage de Procida, île habitée par une population d. quatorze mille âmes, dont les mœurs et les coutumes sont une imitation fidèle de ceux de la Grèce. Cette population se livre avec suc-cès à un commerce fort étendu, et emploie un grand nombre de navires. Ses habitants passent pour les meilleurs marins de l’Italie.

A peine arrivés sur la rade, nous vîmes accourir une foule de jeunes filles dans un accoutrement pit-toresque : robe courte, veste d’un vert sombre, galon-née d’or ou de soie, pieds nus. cheveux flottants sur les épaules ou noués sur la nuque, à l’aide d’un mouchoir aux couleurs brillantes; tel était l’ensemble de leur gracieux costume. Les unes tenaient une mandoline; les autres agitaient sur leurs tètes des tambours de basque. Elles chantaient en longues notes trainantes des airs marins, dont l’accent prolongé et vibrant avait quelque chose de plaintif. Elles attendaient le retour des barques de pécheurs.

Procida, petite place entourée de fortifications antiques, occupe une position avantageuse sur une pointe haute et fort escarpée du côté de la mer. De cette pointe, appelée Aleme, semblable à un piédes-tal antique, s’élèvent des roches garnies de petites demeures, basses et carrées.

Des toits plats, en forme de terrasses, des escaliers placés à l’extérieur, donnent aux maisons de Procida une apparence tout orientale qui s’accorde d’ailleurs avec la mise de ceux qui les habitent.

alle ultime risorse della Francia esausta. Murat che, seguendo falsi rapporti, contava su un partito in Cala-bria e principalmente a Pizzo, venne, in una semplice scialuppa, a sbarcare imprudentemente in quest’ulti-ma città, solamente accompagnato da un aiutante di campo e da alcuni uomini. Mentre saliva verso l’altura sulla quale è costruita la città, vide che tutta la popo-lazione accorreva a lui: credette che fosse una manife-stazione in suo favore; ma essendosi presto reso conto del contrario, volle fuggire in una piantagione di olivi e scendere da là, per un burrone, per riguadagnare la suo barca e scappare. Ma dei soldati, inviati lungo la spiaggia, lo raggiunsero, in questo momento, e lo fe-cero prigioniero. Murat vide allora la sorte che gli si preparava; e, con tutto il coraggio a lui riconosciuto, scoprì il suo petto, comandò lui stesso il fuoco, e morì con grande coraggio. Così finì quello che, da semplice soldato, si era elevato ad un rango supremo, e la sua caduta fu terribile tanto quanto era stata sorprendente e veloce la sua fortuna.

Ischia non è la città più considerevole dell’isola. È Foria, situata su un piccolo promontorio. Minacciata molto tempo fa dai pirati della costa di Africa, questa città, così come gli altri punti del litorale, devono, alla conquista di Algeri, la sicurezza di cui godono oggi.

Di ritorno nella nostra barca, sterzammo, durante un’ora, verso la riva di Procida, isola abitata da un po-polazione di quattordicimila anime, i cui usi e costumi sono una fedele imitazione di quelli della Grecia. Que-sta popolazione si dedica con successo ad un commer-cio molto diffuso, ed adopera un gran numero di navi. I suoi abitanti passano per i migliori marini d’Italia.

Arrivati appena sulla rada, vedemmo accorrere una folla di ragazze in un abbigliamento stravagante e pit-toresco: abito corto, giacca di un verde scuro, gallonata di oro o di seta, piedi nudi. capelli fluttuanti sulle spalle o annodati sulla nuca, con l’aiuto di un fazzoletto dai colori brillanti; tale era l’insieme del loro grazioso abi-to. Alcune tenevano un mandolino; le altre agitavano sulle loro teste dei tamburelli. Cantavano con lunghe note strascicate delle arie marine il cui accento prolun-gato e vibrante aveva qualcosa di lamentoso. Aspetta-vano il ritorno delle barche dei pescatori.

Procida, piccolo posto cinto di fortificazioni antiche, occupa una posizione vantaggiosa su una punta alta e molto scoscesa dal lato del mare. Da questa punta, chiamata Aleme, simile ad un antico piedistallo, si le-vano delle rocce con case piccole, basse e quadrate.

I tetti piatti, a forma di terrazzi, le scale poste all’e-sterno, danno alle case di Procida un’apparenza tutta orientale che si accorda col modo di vestire di quelli che le abitano.

Il castello che, un tempo, aveva qualche importanza, è oggi tutto smantellato e serve come posta di caccia. Le tristi muraglie di questo maniero ricordano il nome del crudele Giovanni da Procida, signore di questa iso-la e principale autore del famoso massacro del 1284, noto sotto la denominazione di Vespri Siciliani. Gio-

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Le château qui, jadis, avait quelque importance, est aujour d’hui tout démantelé et sert de rendez-vous de chasse. Les tristes murailles de ce manoir rappellent à l’esprit le nom du cruel Jean de Procida, seigneur de cette île et principal auteur du fameux massacre de 1284, connu sous la dénomination de Vepres sici-liennes. Jean de Procida, Gibelin fort attaché à la maison de Souabe, et brûlant de venger le sang de Conradin, trama ce triste complot contre Charles d’Anjou qui avait confisqué ses biens. Charles mourut bientôt avec la douleur d’avoir poussé ses sujets, par ses vexations et sa cruauté, à se livrer à cette violence extrême.

Remplis de ces tristes souvenirs de barbarie dont le moyen-âge nous a légué bien des exemples, nous détachâmes notre barque du rivage, et nous primes la direction de Naples. Déjà la nuit s’approchait et le calme du silence régnait sur la nature. Oh! si le jour n’est lui-même qu’une image de la vie: si les heures rapides de l’aube, du matin, du midi et du soir, repré-sentent les âges si fugitifs de l’enfance, de la jeunesse, de la virilité et de la vieillesse : la nuit â son tour sera l’image de la mort. La mort! ne doit elle pas nous dé-couvrir les splendeurs cachées du ciel, tout comme la nuit nous en étale les étoiles?...

vanni da Procida, ghibellino molto attaccato alla casa degli Svevi, e deciso a vendicare il sangue di Corradino, tramò il triste complotto contro Carlo d’Angiò che ave-va confiscato i suoi beni. Carlo morì presto col dolore di avere spinto i suoi sudditi, con le sue vessazioni e la sua crudeltà, a dedicarsi a questa estrema violenza.

Pieni di questi tristi ricordi di barbarie, di cui il me-dioevo ci ha tramandato molti esempi, staccammo la nostra barca dalla riva, e prendemmo la direzione di Napoli. Già la notte si avvicinava e la calma del silenzio regnava sulla natura. Oh! se il giorno non è esso stesso che un’immagine della vita: se le ore veloci dell’alba, del mattino, del mezzogiorno e della sera, rappresen-tano le età così fuggitive dell’infanzia, della gioventù, della maturità e della vecchiaia; la notte a sua volta sarà l’immagine della morte. La morte! non deve essa scoprirci gli splendori nascosti del cielo, proprio come la notte ce ne mostra le stelle?...

*

Remond e Delpech (XIX secolo) - Veduta di Lacco Ameno nell'isola d'Ischia(Galleria delle Stampe Antiche - Ischia Ponte)

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Per ricordare il centenario del viaggio di Pablo Picasso in Italia (1917-2017) dal 10 aprile al 10 luglio il Museo di Capodimonte di Napoli e l’Antiquarium di Pompei ospitano alcune opere di uno degli artisti più famosi del ‘900.

Picasso a Napoli

di Carmine Negro

Picasso viene in Italia, con il poeta francese Jean Cocteau, quando inizia a lavorare sul sipario di “Parade”, il balletto ideato dallo stesso Cocteau su musiche di Satie, andato poi in scena a Parigi nel maggio dello stesso anno. Arrivato in Italia a febbraio 1917, Picasso resta a Roma con Olga Koch-lova, première dei Ballets rus-ses e sua prima moglie. Quan-do Cocteau arriva a Napoli, scrive a Picasso per invitarlo a raggiungerlo, ma il pittore risponde: “Sto bene a Roma, e poi c’è il Papa”. Immediata la replica del poeta all’amico

pittore: “Sì, è vero, a Roma c’è il Papa, ma a Napoli c’è Dio’”.

In data 13 marzo, così scri-ve il drammaturgo francese Cocteau in una lettera alla ma-dre: “Siamo di nuovo a Roma dopo un viaggio a Napoli, e da lì a Pompei in auto. Credo che nessuna città al mondo possa piacermi più di Napo-li. L’Antichità classica bruli-ca, nuova di zecca, in questa Montmartre araba, in questo enorme disordine di una ker-messe che non ha mai sosta. Il cibo, Dio e la fornicazione, ecco i moventi di questo po-polo romanzesco. Il Vesuvio fabbrica tutte le nuvole del

mondo. Il mare è blu scuro. Scaglia giacinti sui marcia-piedi”.

Ma chi era Picasso?***

Pablo Picasso nacque a Ma-laga nell’Andalusia, profondo Sud della Spagna, nel 1881 da Don José Ruiz y Blasco, inse-gnante di disegno alla Scuola del-le Belle Arti e conservatore del Museo della città, e Maria Picas-so y López donna di origine geno-vese dalla quale prenderà il nome d’arte (Picasso). La formazione del giovane Pablo avvenne sotto la guida del padre Don José, che valorizzò il precoce talento del figlio, introducendolo all’eserci-zio della pittura e allo studio dei

Para

de

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grandi maestri. La madre rivela che le prime parole di Picasso furono «piz, piz», abbreviazione di lápiz, che in spagnolo significa “matita”. Nel 1891 la famiglia di Picasso si trasferì a La Coruña, in Galizia, dove Picasso ebbe modo di perfezionare le proprie doti artistiche frequentando, a partire dal 1892, i corsi di dise-gno della Scuola di Belle Arti. Nel 1895, con il trasferimento della famiglia Ruiz a Barcellona, Pablo giunse in una metropo-li ricca di suggestioni culturali, animata dai nuovi fermenti del Modernismo catalano e da una sostanziale “indipendenza politi-ca, stabilità economica e prospe-rità artistica”. Nel 1897 Picasso, trasferendosi a Madrid, decise di imprimere un decisivo impulso alla propria formazione artisti-ca: venne rapidamente ammes-so ai corsi dell›Accademia Reale San Fernando e visitò assidua-mente il museo del Prado, dove venne a contatto con le opere

di Velázquez, El Greco, Zur-barán e Goya.

A fine settembre del 1900, nel pieno di un grande fermento per l'inaugurazione dell’Esposizione Universale, dove, nelle collezioni del padiglione della Spagna, era esposto un suo dipinto, Picasso fece il suo primo viaggio a Parigi che lo entusiasmò per la grandio-ò per la grandio- per la grandio-sa abbondanza di stimoli artistici e per il fascino della gigantesca collezione del museo del Louvre. Tornò in Spagna il 30 dicembre del 1900. Il suicidio, il 17 febbra-io 1901, dell’amico Casagemas, reso folle dalla consapevolez-za dei tradimenti messi in atto dall'amata Germaine, lo scosse profondamente. L’artista iniziò a tormentarsi e, per colmare il proprio vuoto, tornò ossessiva-mente sul dramma di Carlos, con quadri malinconici e inquieti che fanno ricorso a un impianto mo-nocromatico azzurro. È l'nizio del cosiddetto “periodo blu”, che si protrasse dal 1901 al 1904,

un periodo passato tra Madrid e Barcellona. Nell’aprile 1904 Pi-casso si recò per la quarta volta a Parigi e vi si stabilì definitiva-mente. Fu in questo periodo che egli smise di usare il blu, colore freddo e impersonale, per rivol-gersi a gradazioni più calde e de-licate: è l’inizio quello che i critici definiscono “periodo rosa”. Il colore rosa, utilizzato nelle sue sfumature più tenere, accompa-gnato da tinte pastello chiare e nitide e valorizzato da un dise-gno morbido ed elegante, con-ducono a un’atmosfera ingenua e fanciullesca.

L’atmosfera decadente e gra-ve del periodo blu si trasforma nel mondo del circo, popolato da acrobati, pagliacci, arlecchini equilibristi e fragili ballerine; un mondo sospeso tra realtà e fan-tasia, privo della componente tragica del periodo blu ma anco-ra carico di un senso di infinita malinconia.

Picassoe Massine agli Scavi di Pompei - Foto scattata da Cocteau

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Nel 1905, Picasso, mentre visi-tava un villaggio spagnolo inca-stonato lungo i Pirenei, venne a contatto con la statuaria iberica preromana, che non si preoccu-pava né delle proporzioni, né del- né delle proporzioni, né del-delle proporzioni, né del-la prospettiva, né dell'armonia. Fu una scoperta assai feconda e alla base di un nuovo concetto estetico: il cubismo.

È stato il quadro “Les demoisel-les d’Avignon”, realizzato nella primavera del 1907 ad inaugura-re la stagione cubista di Picasso. Con un linguaggio clamorosa-mente innovativo il dipinto, che disintegra le forme, ritrae l’in-terno di un bordello barcellone-se. Cinque donne nude, costruite secondo il criterio della visione simultanea da più lati, sono pre-sentate con un aspetto che igno-ra qualsiasi legge anatomica.

L’opera, un riassunto sincro-nico di un percorso che l’artista ha fatto intorno ai soggetti da ri-trarre, che suscitò scandalo e lo espose all'incomprensione, ha consentito all'artista una grande sperimentazione e la messa in discussione del concetto stesso di rappresentazione artistica. Il pittore, sempre più convinto del-la semplificazione della forma, appariva interessato al segno puro capace di contenere in sé la struttura del rappresentato e la sua riconoscibilità concettuale. La fase cubista di Picasso durò circa dieci anni e segnò la sua de-finitiva consacrazione.

***Con lo scoppio della prima

guerra mondiale, Picasso, co-stretto a separarsi dai suoi nu-merosissimi amici francesi mo-bilitati per il conflitto, essendo cittadino spagnolo, rimase a Parigi. È qui che conobbe Jean Cocteau che coinvolse l'artista nella realizzazione di sipari, sce-

ne e costumi per Parade, il bal-letto che stava realizzando per la famosa compagnia dei Balletti russi di Sergej Pavlovič Djagilev. Il 17 febbraio 1917 i due parti-rono alla volta di Roma, dove la compagnia stava dando le prove per il balletto; nella città eterna Picasso ebbe l›opportunità di conoscere i futuristi e venire a contatto con l'arte rinascimen-tale e classica. Successivamente a Napoli si accostò all'arte pom-peiana e alla tradizione icono-grafica della maschera di Pulci-nella. Nel 1917, anche a seguito di questo suo viaggio in Italia, vi fu una inversione totale nel suo stile. Picasso abbandonò la spe-rimentazione per passare ad una pittura più tradizionale. Le figure divennero solide e quasi monu-mentali anticipando di qualche anno un analogo fenomeno che, dalla metà degli anni ’20 in poi, si diffuse in tutta Europa.

Per ricordare il centenario del viaggio di Pablo Picasso in Italia (1917-2017) dal 10 aprile al 10 lu-glio il Museo di Capodimonte di Napoli e l’Antiquarium di Pom-pei ospitano alcune sue opere.

Capodimonte ospita, per la pri-ma volta a Napoli, nella sala da ballo, il sipario Parade. Si tratta della più grande opera di Picasso, una tela di 17 metri di base per 10 di altezza, conservata al Centre Georges Pompidou di Parigi. La tela, che ha come tema il mondo del circo, per le sue dimensioni, è stata esposta solo in rare oc-casioni: a New York nel 1984 (al Brooklyn Museum), a Verona nel 1990 (al Palazzo della Gran Guardia), a Venezia nel 1998 (a Palazzo Grassi) e nel 2012-2013 al Centre Pompidou di Metz.

“Non dimenticherò mai - scrive Cocteau – lo studio di Roma di Picasso. Una cassetta conteneva il modello di Parade, il suo mo-

bilio, i suoi alberi, la sua barac-ca...”. Picasso di giorno lavorava nel suo studio in via Margutta per perfezionare scene e costu-mi e, la sera, al Caffè Greco in-contrava i pittori futuristi tra cui Balla, Depero, Prampolini, So-crate, o frequentava i loro atelier. Come ci ricorda Maria Teresa Ferrari, in un puntuale articolo sull’avventura teatrale di Picasso e il suo viaggio in Italia, Parade1 nacque a Roma dipinta con colo-ri a tempera e la collaborazione del pittore italiano Carlo Socrate. Con “Parade”, il pittore cubista tornò alla sua prima ispirazione legata al mondo del circo.

Il dipinto rappresenta una grande casa con ballerine e ani-mali che danno vita ad un circo suggestivo e poetico, allegro e nel contempo triste. Si tratta di un'opera straordinaria, lirica e malinconica assieme, di grande intensità emotiva.

Durante il soggiorno romano, Picasso e l’amico Stravinskij, compositore russo, sollecitati da Cocteau, si recarono sia a Napo-li che a Pompei alla scoperta dei tesori napoletani, da cui trassero spunti per il balletto” Pulcinella”. Il pittore, nel soggiorno napole-tano, alloggiò all’Hotel Vesuvio, in una stanza ad angolo con vista sul borgo di Santa Lucia. Picasso, ammaliato dalla città, visitò più volte il Museo di San Martino e la biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella. All’arti-sta rimase impressa l’esperien-za di una realtà popolare di cui il mondo delle maschere e della commedia dell’arte era una tra-sfigurazione scenica: sembrava inverosimile che Pulcinella si svelasse continuamente agli an-goli della città, in spettacoli po-

1 Maria Teresa Ferrari Picasso e l’av-ventura teatrale di «Parade» L’Arena del 26.08.2009.

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polari improvvisati. Picasso tes-seva una visione collettiva, non separava i monumenti artistici dalla vita popolare, i musei dalla strada e neppure i corpi dei bal-lerini che egli vedeva riflessi nelle statue antiche. A Napoli Picasso scoprì l’antico, nei luoghi canta-ì l’antico, nei luoghi canta- l’antico, nei luoghi canta-ti da Virgilio, ma soprattutto la commedia dell’arte. Questo in-teresse per la commedia dell’ar-te lo portò ad occuparsi delle scene e dei costumi del balletto “Pulcinella” di Igor Stravinskij, messo in scena il 15 maggio 1929 all’Opéra, senza dubbio tra le migliori realizzazioni dei Ballets russes. Tra tutti i balletti ai qua-li collaborò, Pulcinella rimase il suo preferito, quello che rispon-deva meglio al suo gusto perso-nale. “Picasso fece meraviglie – rilevò Stravinskij – mi è difficile dire se mi incantasse più il colo-re, la plasticità o il sorprenden-te senso teatrale di quest’uomo straordinario”. Gli studi a tem-

pera per le scene e i costumi rive-lano la magia che Napoli suscitò in lui: una magia che l’ortodossia cubista condannò.

A Capodimonte sono inoltre esposti i bozzetti eseguiti dall’ar-tista per il balletto Pulcinella, insieme ad alcune marionette e pupi della maschera napoletana dalla collezione Fundación Almi-ne y Bernard Ruiz-Picasso para el Arte. L’Antiquarium di Pom-pei accoglie i costumi del ballet-to disegnati dall’artista, che fu a Pompei nel marzo del ‘17.

“E’ un evento storico sia per Napoli, sia per Capodimonte, sia per Parade - ha sottolineato Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte e cura-tore della mostra - Picasso di-mostra la sua passione per l’arte popolare napoletana e la sua passione per il teatro popolare. L’emozione più grande quando è calato questo sipario, con la sua

bellezza fenomenale rappresen-ta tutta la dolcezza della pittura, con questo gruppo di artisti che in piena guerra immaginano lo spettacolo come il più diver-tente, il più avanguardista che mai”.

“La pittura è più forte di me, mi fa fare ciò che vuole”, diceva Picasso. Ed era davvero così: il più grande artista del Novecen-to sembrava posseduto dal suo stesso talento, dalla sua passio-ne, da una vitalità esplosiva e una specie di bulimia creativa che lo portava a sperimentare materiali e linguaggi senza fermarsi mai2.

Carmine Negro

2 Lea Mattarella Il genio cannibale del-la pittura Dall’archivio di “Repubblica” http://www.abellarte.com/37---lom-bra-di-picasso.html

Pablo Picasso, Léonide Massine e Sergei Diaghilev a Napoli (1917)

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Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’IschiaA cura di Agostino Di Lustro

Colligite fragmenta, ne pereant

Il monastero di S. Maria della Consolazione

III

Già sappiamo che la costruzione della nuova chiesa del monastero di Santa Maria della Con-solazione sull’antica città d’Ischia, costituì, per lo stesso monastero, un lungo periodo di difficoltà soprattutto economiche che, in certo qual modo, produssero un riflesso negativo anche sulla vita spirituale del monastero stesso. Terminata la co-struzione della chiesa e ripianati i debiti contratti per la realizzazione delle varie opere, si sperava che la vita del monastero potesse riprendere la sua normalità sotto tutti gli aspetti; nessuno poteva sospettare che fosse in agguato un’altra sciagura, ancora più grave che avrebbe colpito il monastero al punto da espellere le monache dalla loro sede naturale e ridurle sull’astrico. È vero che la vita del monastero si protrasse per un altro secolo, ma lentamente sancì la sua scomparsa definitiva av-venuta alla morte dell’ultima monaca nel 1911.

È nostro intento, per questo, presentare solo pochi cenni sulle vicende del monastero a conclu-sione di questo lungo excursus storico che ci ha impegnati per qualche tempo.

Motivo scatenante della soppressine del mo-nastero, fu la guerra tra Francesi da una parte e Anglo-borbonici dall’altra per la riconquista del regno di Napoli da parte del Borbone durante il periodo napoleonico. La principale fonte di infor-mazione su questo particolare momento storico, e in particolare sulla spedizione per la riconquista del regno di Napoli da parte di Ferdinando IV di Borbone, è il diario e le lettere del principe Leo-poldo, duca d’Ascoli, inviate alla corte a Palermo dove si era rifugiato re Ferdinando, per informar-la sull’andamento della spedizione1.

Il 26 giugno 1809 l’informatore di re Ferdinan-do riferiva nel rapporto che Ischia e Procida erano state riconquistate: «la prima dopo breve com-

1 Archivio di Stato di Napoli (A. S. N.), Archivio riservato di Casa Reale: spedizione d’Ischia n. 230; Archivio Borbone n. 596: giornale di Sua Altezza Reale D. Leopoldo anno 1809. Cfr. pure: N. D’Arbitrio- L. Ziviello, Leopoldo di Borbone a Ischia, Ischia Valentino Editore 2002.

battimento, la seconda per capitolazione; il solo castello d’Ischia, difeso dal generale Agostino Colonna di Stigliano, prima di capitolare del tut-to (28 giugno), aveva opposto ancor una certa resistenza, soprattutto per l’ostinazione dell’aiu-tante, un ufficiale inglese diserto2». Dal castello d’Ischia «erano stati sparati appena pochi colpi» ma, in questo scontro era stata colpita più volte la cattedrale causando notevoli danni. I maggio-ri danni e distruzioni provocate sul castello però non furono, forse, le bombe degli Anglo-borbo-nici, bensì altri eventi verificatisi nei mesi luglio e agosto perché, a dire dell’Onorato, «in agosto 1809, all’orché si diede il guasto della cattedra-le3», segno che si verificò in quel mese, non sap-piamo esattamente per opera di chi, la profana-zione dei luoghi di culto che invece non si era ve-rificata subito dopo la riconquista dell’Isola. Che il dissesto del castello non sia stato conseguenza delle bombe Anglo-borboniche ce lo attesta più esplicitamente l’Onorato quando scrive che l’ur-na sepolcrale di Giovanni Cossa «in agosto 1809 dall’insano furore di taluni popolari fu spezzata e infranta4».

Non conosciamo l’entità dei danni subiti dai locali del monastero a causa delle bombe, ma sta di fatto che le monache dovettero ben presto an-che loro abbandonare il monastero. L’Onorato a tal proposito scrive: «le medesime (monache) dal tempo della fondazione sin all’anno 1809 si sono mantenute in clausura con decoro, e con esem-plarità, d’onde poi se ne uscirono per una falsa voce che si fece correre nel mese di agosto in tem-po delle vicissitudini d’esso castello, che si doveva minare, se ne calarono nell’attuale città, e nella stessa ottennero un convento che prima abitava-no diversi frati conventuali5».

2 N. D’Arbitrio-L. Ziviello, op. cit. p. 43.3 V. Onorato, Ragguaglio istorico-topografico dell’isola d’Ischia, in Biblioteca Nazionale di Napoli, fondo S. Martino manoscritto 439 f. 153.4 Ibidem, f. 151.5 Ibidem f. 92. Sul convento francescano conventuale di Santa Maria delle Grazie o all’Arena, cfr. A. Di Lustro, Il con-

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48 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

Il 23 settembre 1809 il ministro della Giustizia e Culto scrive all’Intendente che le monache gli hanno fatto pervenire una lettera nella quale fan-no presente che esse sono costrette a vagare per la città d’Ischia perché non posseggono alcun locale dove poter vivere, dal momento che la guerra ha prodotto gravi danni al loro monastero. A tal fine il ministero ordina all’Intendente di risolvere tale problema di concerto con il vescovo. In quell’an-no però la chiesa di Ischia era vacante perché pri-va del vescovo dalla morte di Pasquale Sansone avvenuta nel dicembre 1799 ed era governata dal primicerio Giosuè Mazzella, vicario capitolare, ed era sotto la supervisione del vescovo di Pozzuoli Carlo Maria Rosini6. L’accordo con il vescovo fu raggiunto già il 25 settembre, come si deduce da una lettera da Pozzuoli del Sottintendete. Le mo-nache, che sono cinque e piuttosto avanti negli anni, più quattro converse, potranno essere ospi-tate nell’ex convento de frati Minori Conventuali dove ci sta un dormitorio e dieci stanze delle quali sei abbastanza grandi, quattro più piccole. Inoltre è fornito di un piccolo giardino e altre comodità anch’esse necessarie7. La concessione dell’ex con-vento di Santa Maria delle Grazie all’Arena alle monache, fu sancita qualche mese dopo, il 4 gen-naio 1810, «per superiore disposizione perché il loro monastero soffrì devastazioni nel 18098».

Nel 1840 fu inviata a Ferdinando Ferri la se-guente lettera con la quale si chiedevano infor-mazioni sui monasteri femminili soppressi e sulla destinazione delle monache superstiti: «Signore, si è compiaciuto con suo pregiato foglio de 2 cor-rente trascrivermi una lettera, pervenutali da Sua Eccellenza il Segretario di Stato Ministro di Grazia, e Giustizia, e degli affari Ecclesiastici, colla quale à manifestato le Sovrane Intenzioni di volere uno stato distinto di tutti i Monisteri di donne, che nella passata occupazione militare furono soppressi, indicando li comuni presso i quali erano stabiliti il rispettivo istituto religioso, la rendita che ciascuno di detti Monisteri avea il

vento francescano di Santa Maria delle Grazie o all’Arena, in La Rassegna d’Ischia anno XXXIV nn. 5 e 6 e anno XXXV n. 1 gennaio 2014. Il d’Ascia (cfr. G. d’Ascia, Storia dell’isola d’Ischia, Napoli 1867 p. 443) afferma che i Conventuali sarebbero rimasti in questo convento fino al 1806.6 Sulla presenza a Ischia di Carlo Maria Rosini, cfr. A Di Lustro, Le visite pastorali dei vescovi d’Ischia, in In Cam-mino insieme , bollettino della Diocesi d’Ischia, anno V nn. 1 e 2 gennaio 1988.7 Cfr. in A S N, Intendenza di Napoli primo versamento, culto 955.8 Cfr. in A S N, Intendenza di Napoli primo versamento, culto 955.

numero delle Religiose che vi convivevano, ed in quali altri monisteri furono traslate. Ed ella mi à comandato d’inviarle tale stato con tutte le su-dette indicazioni…..»9.

La relazione fatta giungere dal Ferri ci presen-ta una breve cronistoria del nostro monastero dal momento in cui le monache abbandonarono i locali dell’antico monastero. In essa leggiamo: «Provincia di Napoli – Pozzuoli 9 gennaio 1840, Per i Monisteri di donne moniche soppressi. Il Sottintendente del Distretto di Pozzuoli- Al Si-gnor Commendator Falangieri Intendente della Provincia di Napoli…. Per esecuzione de Sovrani Comandi ho l’onore di rassegnarle che in questo Distretto di mio carico un solo monistero di Mo-nache è stato in questo caso, e propriamente nel Comune di Ischia, ma poi a mie premure fu con-servato, e tuttavia esiste. Eccone la storia. Nel castello di detto Comune d’Ischia vi esisteva oltre alla cattedrale un Monistero di donne Monache sotto il titolo della Concezione (sic). Nel 1809 per le vicende della guerra furono obbligate di sortir-ne, onde nel castello sudetto non vi avesse altri, che i soli militari l’accesso per cui si ritirarono nelle rispettive famiglie, o in altre case particola-ri. Avvenne poco tempo dopo la soppressione di Monisteri di Conventuali, ed Agostiniani di quel Comune. Le religiose avanzarono loro ricorso per aver uno dei due divisati locali. Incaricato io dall’Intendente d’allora Signor Duca di Lauren-zana in data de 25 settembre 1809 a riferire fui di avviso di destinarglisi il soppresso monistero de’ conventuali. Fui secondato nella proposta, e venne superiormente accordato e le monache vi passarono. Il agosto 1811 sopravvenne la sop-pressione di alcuni monisteri di Monache fra quali quello della Concezione d’Ischia. Il voto generale di quella popolazione d’Ischia non che i reclami di dette Religiose, che dimandavano la conservazione di quel Monistero per diverse par-ticolari circostanze, e precisamente per l’età in cui trovavansi, che l’inabilitava a poterne sorti-re, ed esporsi a disaggi di mare, perché doveva-no passare in Sorrento, mi posero nell’impegno a premurarmene la conservazione. Una lunga corrispondenza io ebbi il piacere di ricavarne fa-vorevoli risultati, ed il Monistero sudetto rima-se, e rilasciate furono alle religiose stesse tutte le rendite, giusta la prevenzione avutane in data 30 settembre 1811 Divisione del Sergente Gene-rale n. 639 e tuttavia vi esistono. Tanto mi occor-re riferirle pregandola a gradite gli attestati del-

9 Ibidem

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la mia distinta stima, e perfetta considerazione. Ferdinando Ferri».

Il passaggio delle clarisse dal monastero sul castello all’ex convento dei Francescani Conven-tuali di S. Maria delle Grazie all’Arena permise di mettere in salvo alcune opere d’arte di particolare importanza esistenti nei locali del monastero. Tra queste bisogna ricordare il polittico, oggi smem-brato, conservato nella sacrestia della chiesa di S. Antonio ad Ischia. Di esso così scrive l’Onorato: «Nel sudetto tempio (cioè la chiesa delle Clarisse sul castello) esisteva, che poi si è conservato, un nobile e segnalato quadro contenente moltissime figure assai belle, e tra esse una Santa Chiara ed un San Francesco al naturale degno di essere ammirato10». Forse fu proprio in questa occasio-ne che, per poterlo più agilmente portarlo nella nuova sede, questo polittico fu smembrato. Con esso furono trasferiti nei nuovi locali destinati alle monache, anche altre tele che si trovano oggi anch’esse nella chiesa di Sant’Antonio a Ischia.

Citando sempre l’Onorato, dobbiamo ricordare che «di presso le monache d’Ischia sotto il titolo della Consolazione si conserva con ogni venera-zione un’antica reliquia, o sia intiero corpo di un santo martire col nome di Esuperanzio, di cui le monache in ogni anno festeggiano la memoria e città lo tiene e lo venera qual patrono e protet-tore del popolo: tale e tanta era la venerazione che il pontefice Clemente XI con breve apostoli-co (del 21 luglio 1649) accordò delle grandi in-dulgenze11». Queste reliquie furono donate da Don Ascanio Rinaldi e dal card. Marzio Grinetti, vicario generale e vice gerente del papa, a dona Costanza Panfili de Ludovisi e provenivano dal cimitero Ciriaco.

Le reliquie di questo Santo subirono un grave danno nel 1834 come ci narra questa breve me-moria tramandataci dalle stesse monache: «Suc-cesso avvenuto nella chiesa del Monistero delle Religiose Clarisse Claustrali sotto il titolo di S. Maria della Consolazione d’Ischia nel dì undici di settembre dell’anno 1834.- Celebrando le dette Religiose giusta il solito con solenne pompa nel sudetto giorno la Festività del glorioso Martire

10 V. Onorato, op. cit. f. 56 r.; G. Alparone, Un polittico del sec. XVI nel convento di S. Antonio de Frati Minori d’Ischia, in Cenacolo Serafico n. 4 anno 1961. . E. Persico Rolando, Di-pinti dal XVI al XVIII nelle chiese d’Ischia, Napoli Edizioni Graphotronic 1991 p. 102-106; A. Di Lustro-E. Mazzella, Le Madonne della Misericordia dell’isola d’Ischia storia arte religiosità popolare, Fisciano, Edizioni Gutemberg, 2016 pp. 47-50.11 V. Onorato, op. cit. f. 147 v V. Onorato, op. cit. f. 147 v

S. Esuperanzio, di cui esse Clarisse ne conserva-vano il Corpo da moltissimi anni ricevuto a tan-te istanze da Roma per l’eminente mano di un cardinale rimesso ad una sua Nipote di cogno-me d’Avalos che dimorava in detto Monistero da Religiosa, riposto e situato dentro una magnifi-ca urna di legno tutto indorato, e ricoperta di lastre, e ben suggellata con autentica Vescovile. Essendo esposto in detta magnifica urna il no-minato S. Martire sopra un Trono ben disposto nella sudetta chiesa, e dopo di essersi terminata la Messa solenne rimasto il detto Santo con lumi accesi d’avanti dopo chiusa la chiesa, e stando le Religiose ad ora di mezzogiorno ritirate nelle di loro celle, avvenne, che una candela di quelle ac-cese d’avanti al Santo Martire declinò un poco in faccia ad un’ornamento di quel Trono, ed essen-dosi attaccato il fuoco, si accese tutta la mento-vata urna in dove stava riposto il S. Martire. La buona sorte volle che una di quelle Religiose do-vendo andar in Sagrestia, si accorse di un fumo che aveva ingombrato tutta la sagrestia e non sapendo d’onde veniva, per cui si affacciò nella chiesa, e vidde un tale incendio. A tale veduta, immediatamente si chiamò gen-te che fosse accorsa, come di fatti accorsero due sacerdoti, e vedendo in mezzo alle fiamme tutta consumata l’urna in dove stava risposto il S. Mar-tire, e tutte le sue ossa quasi consumate dall’in-cendio medesimo, si cooperarono a smorzare il detto incendio, ed indi radunarono li residui di quelle ossa del S. Martire rimasti dalle fiamme, ed indi li situarono in un’altra piccola urna qual si è la presente, e tali residui di ossa del Glorioso Martire S. Esuperanzio sono quelli, che in questa urna si venerano dalla pietà de’ fedeli, contestan-dosi ancora dall’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignore D. Giuseppe d’Amante Vescovo della Diocesi d’Ischia, come si osserva dalla sua firma, che nella mdesima urna si conserva. Ioseph Epi-scopus Isclanus12» Le superstiti reliquie di Sant’Esuperanzio, ve-nerato come patrono secondario della diocesi d’Ischia, insieme con San Giorgio, fino alla ri-forma liturgica scaturita dalla costituzione «Sa-crosanctum Concilium» del Vaticano II, oggi sono venerate nella chiesa di Sant’Antonio sotto il primo altare di destra sul quale pende una tela raffigurante la «Levitazione» di San Giuseppe da Copertino, francescano conventuale. Questa tela è da considerarsi una delle ultime opere del pittore Alfonso di Spigna, morto il 1° novembre

12 V. Onorato, op. cit. f. 147 v V. Onorato, op. cit. f. 147 v

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50 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

178513. Non sappiamo se anche lo splendido busto dell’«Ecce Homo», oggi conservato in un corri-doio del convento di Sant’Antonio e attribuito a Nicola Fumo14, provenga dall’antico monastero delle Clarisse.

Sebbene per la legge n. 251 del 17 febbraio 1861 il monastero fosse stato soppresso, tuttavia le monache restarono al loro posto fino alla morte dell’ultima di esse avvenuta il 21 giugno 191115. I beni del monastero passarono alla Cassa Eccle-siastica per le Province di Napoli. I locali dell’ex monastero (ed ex convento dei Conventuali), con verbale del 29 settembre 1903, approvato con de-creto del 30 novembre dello stesso anno, furono ceduti in proprietà al comune di Ischia in applica-zione dell’articolo 20 della legge 3036 del 7 luglio 1866. La proprietà della chiesa rimase al Fondo Edifici di Culto ( F. E. C. ) che era succeduto alla Cassa Ecclesiastica. In seguito fu ceduta in uso al vescovo d’Ischia Mario Palladino con verbale del 23 marzo 1906, approvato con decreto del 29 marzo successivo, con obbligo da parte dell’ordi-nario diocesano di mantenere aperto il sacro edi-ficio, farlo officiare e provvedere a proprie spese alla sua manutenzione ordinaria. Insieme con la chiesa furono ceduti in uso anche alcuni locali ad essa adiacenti che dovevano servire locali utili alla rettoria della chiesa, rimanendone proprie-tario sempre il F.E.C. L’entità di questi locali fu ulteriormente precisata con una serie di atti del 1° aprile 1933 e 19 aprile 1934 approvati con decreto n.2662 del Ministero dell’Interno del 12 maggio 1934 e registrati presso la Corte dei Conti il 26 maggio successivo16.

Con la morte dell’ultima clarissa, Suor Teresa Scottion di Procida, i locali dell’ex convento-mo-nastero furono liberi e il comune di Ischia potè concederli in uso al canonico D. Onofrio Buono-core per le varie iniziative scolastiche da lui in-traprese 17. Ma fin dal 1916 gli amici ischitani del francescano P. Valentino Barile, gli chiesero di adoperarsi perchè i figli di S. Francesco potessero ritornare a Ischia. Il comune d’Ischia, dopo lun-ghe trattative, concesse ai Francescani metà dei

13 G. Alparone G. Alparone, Alfonso di Spigna appunti storico-artisti-ci, Napoli 1968 p. 30.14 Su questa statua, cfr. la scheda di G.G. Borrelli, in Su questa statua, cfr. la scheda di G.G. Borrelli, in Civiltà del Seicento a Napoli, Electa Napoli, 1984 pp. 169-69. 15 A.D.I., cartella Clarisse. A.D.I., cartella Clarisse.16 A.D.I., cartella chiesa di S. Antonio, lettera del 2 luglio 1997 del Ministero dell’Interno.17 O. Buonocore O. Buonocore, Ischia piccola Atene del Golfo, Rispoli Edi-tore in Napoli 1955 p. 28-29, L. Annicelli, Mons. Onofrio Bu-onocore, Ischia 2013, pp. 33 e ss.

locali dell’antico convento dei frati Minori Con-ventuali di San Francesco perché vi aprissero un nuovo convento, mentre l’altra metà dei locali ri-mase al Buonocore per le sue attività scolastiche. Così il 19 marzo 1920 il padre Valentino Barile potè insediare i Francescani Minori nell’antico convento di S. Maria delle Grazie o all’Arena di Ischia18. Successivamente fu trasferito nel con-vento di Ischia lo studentato dei Frati Minori della provincia monastica napoletana degli stessi Minori e qui si formarono le nuove leve dei figli di S. Francesco. Questi, nel corso degli anni, si ado-perarono perché la loro presenza a Ischia potesse diventare stabile e non soggetta ad eventuali col-pi di testa delle autorità comunali perché i locali del convento comunque restavano proprietà del Comune di Ischia. Finalmente, con atto del notar Bonaventura Morgera del 4 aprile 1933, il padre Giuseppe Faicchio, in nome e per conto della Provincia monastica francescana di S. Pietro ad Aram, comprava la maggior parte dei locali del convento, mentre il resto continuava a rimanere proprietà del comune. I locali annessi alla chiesa, come già precedentemente stabilito, erano esenti dalla giurisdizione del comune, e sebbene il ve-scovo d’Ischia l’avesse affidata ai frati per la sola ufficiatura religiosa, costituivano parte integran-te della rettoria e non del convento o dei frati né costituiva loro proprietà. Infatti continuavano ad essere proprietà del F.E.C. sia la chiesa che i locali già assegnati alla rettoria. Questa risulta essere la situazione ancora oggi esistente. Infatti l’Ordina-rio diocesano vi nomina un rettore nella persona del frate guardiano del convento di S. Antonio che provvede a quanto è necessario all’ordinato svol-gimento del culto19.

Agostino Di Lustro

18 O. Buonocore, op. cit. p. 31. O. Buonocore, op. cit. p. 31.19 A.D.I., cartella convento S. Antonio. A.D.I., cartella convento S. Antonio.

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 51

Restaurato a Testaccio (Barano)il monumento a Giorgio Corafà

Sabato 13 maggio 2017, a Testaccio (Barano) si è svolta la cerimonia di inaugurazione del restau-rato monumento a Giorgio Corafà che, qui giunto per cure termali, vi restò fino alla morte (1775). È ricordato per aver fatto costruire a sue spese, per la pubblica utilità, la strada che da Testaccio porta alla Marina dei Maronti, fiancheggiata da

piante di gelsi, per raggiungere facilmente la fon-te dell'Olmitello; nei punti più ripidi furono posti degli scalini.

La terra di Testaccio fu oggetto di una ricerca e di uno studio curati dagli alunni della Scuola Me-dia Statale di Barano, coordinati dal prof. Pasqua-

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52 La Rassegna d’Ischia n. 3/2017

le Baldino, e pubblicati su La Rassegna d'Ischia n. 5 Agosto 1996.

Giorgio Corafàun ospite benefattore

Il conte Giorgio Corafà, generale e viceré del re-gno borbonico delle Due Sicilie, fu ospite illustre e munifico di Testaccio. Vi aveva acquistato una casa posta sulla stradina che prende il suo nome e che conduce al lido dei Maronti. L’Amministra-zione comunale di Barano il 19.5.1771 gli cedette per dodici ducati (il viceré rifiutò l’offerta gratui-ta) un adiacente pezzo di terreno.

Era venuto all’isola d’Ischia per la pratica delle cure termali.

Qui morì all’età di 83 anni, nel 1775, come si può leggere nell’atto di morte del registro parroc-chiale:

Anno Domini millesimo septingentesimo sep-tuagesimo quinto, die sexta mensis septembris hora nona noctis. Eccellentissimus Dominus Ge-neralis Comes Dominus Georgius Corafà aliis ex-imiis titulis decoratus a Regia maestate Neapoli-tana, habitans Palatij sui in hoc oppido Testacij, Civitatis et insulae Ischiae, aetatis suae anno-rum octoginta trium, ut palam ipsemet proprio ore confessus est coram me infrascripto paroco, suis familiaribus et aliis, huc degens causa medi-caminum mineralium, in communione Sanctae Matris Ecclesiae, animam Deo reddidit; cuius corpus exanime Neapolim delatum fuit pro hon-orifica sepoltura. Refectus autem fuit sanctis sac-

ramentis Paenitentiae, Eucharestiae et extremae Unctionis a me infrascripto ParocoSancti Geor-gij eiusdem oppidi Testacii Ischiae. Philippus No-bilione Parocus.

Nell’anno del Signore 1775 il giorno 6 del mese di settembre alle ore 9 della notte, l’eccellentissi-mo signor generale, il conte signor Giorgio Cora-fà, onorato di altri insigni titoli dalla maestà del re di Napoli, dimorando nel suo palazzo in questa cittadina di Testaccio della città e isola d’Ischia, all’età di 83 anni, come egli stesso con la propria bocca pubblicamente dichiarò, alla presenza di me sottoscritto parroco, dei suoi familiari e di al-tri, qui degente per la terapia delle acque minera-li, in comunione della Santa Madre Chiesa, rese l’anima a Dio; il suo corpo esanime fu trasporta-to a Napoli per un’onorevole sepoltura. Fu anche confortato coi santi sacramenti della Penitenza, dell’Eucarestia e dell’Estrema Unzione da me sot-toscritto parroco della parrocchia di S. Giorgio della stessa cittadina di Testaccio d’Ischia. Filippo Nobilione parroco

Giorgio Corafà è ricordato soprattutto per aver fatto costruire una strada che permettesse di scendere dal casale di Testaccio alla Marina dei Maronti, ove si trovano le acque dell’Olmitello.

La strada fu costruita con pietre vulcaniche e fiancheggiata da piante di gelsi poi donate alla parrocchia di S. Giorgio.

Questo evento è citato in alcune lapidi che an-cora oggi è possibile leggere nel centro della fra-zione.

FERDINANDO IVHISPANICAE JUVENTUTIS PRINCIPE

NEAPOLITANORUM ET SICULORUM REGEVIAM INVIAM

A PAGO TESTACEO AD MARONTIAM ORAMIN PORRECTUM PASS ID IN LATUM PED VIII

SAXO QUADRATO CONSTRATAMET INCONTINENTI MORIS CCC CONSITIS

AD B. GEORGI SACRAE AEDIS SUPELLECTILEM ADDICTISGEORGIUS CORAFÀ COMES

MACEDONIS LEGIONIS TRIBUNUS ET MARESCALLUSREGIAE DOMUS CUBICULARIUS

AERIS SALUBRITATE RECREATUSBONO PUBLICO AERE PROPRIO FECIT.FRANCISCO VARGAS MACCIUCCA I CTO

BATULLAE MARCHIONE S. CLARAE VVIROREIPUBBLICAE PYTHECUSANAE CURATORE

TUENDAM CURANDAMQUEDECURIONES BARANENSES SPOPONDERUNT

MDCCLXXI

(Essendo) Ferdinando IV principe della gioventù spagnola, re dei Napoletani e dei Siciliani. una strada (fino ad allora) impraticabile dal villaggio di Testaccio fino al lido dei Maronti in estensione di passi 499 e in larghezza di 8 piedi con pietre squadrate lastricata e nei luoghi contigui essendo stati piantati 300 gelsi assegnati alla suppellettile del sacro tem-pio di S. Giorgio il conte Giorgio Corafà tribuno e maresciallo della legione mace-done cameriere della casa reale ristorato dalla salubrità dell’aria a pubblica utilità con proprio denaro fece.Al tempo di Francesco Vargas Macciucca I costituito, marchese di Batulla, quin-queviro di S. Chiara governatore della repubblica pitecusana, i decurioni di Ba-rano promisero di custodirla e curarla - 1771

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La Rassegna d’Ischia n. 3/2017 53

Vicoli stradine e vecchi ricordidi Bruno J. R . Nicolaus

«Dal Cairo a Sanà volo serale quasi completo su di un aereo vecchio modello, dipinto e messo a nuovo di fresco; comodissimi gli ampi sedili sep-pure sdruciti: il loro vecchiume fa a pugni con la freschezza delle pareti nuove di zecca. I viaggia-tori vestiti alla foggia occidentale si contano sulle dita: tutti maschi comunque. A bordo silenzio as-soluto: molti sgranano il rosario o meditano con gli occhi socchiusi: niente musica né voci, ogni tanto la radio gracchia con voce stridula qualche informazione o comando sussurrati nel vuoto. Rannicchiato nella poltrona mi sento studiato, spiato, osservato da tutte le parti: saranno cento gli occhi che mi fissano, sospettosi. Per rompere la tensione, tento di attaccare bottone col primo compagno di viaggio a tiro; provo in italiano, poi in francese e tedesco, alla fine in spagnolo: nessun risultato. Funziona solo l’inglese e male, ma è suf-ficiente: bastano pochi minuti e tutto l’aereo sco-pre chi sono, dove vado e a qual fine: un dottore professore in chimica, un ricercatore, un farma-cologo invitato al Congresso Scientifico Naziona-le di Medicina che aprirà i battenti nella Capitale domani.

Come d’incanto, ogni sospetto è fugato: nello sguardo dei vicini non leggo più ombra di timore, bensì gran curiosità frammista ad ammirazione e orgoglio. Tutti vogliono partecipare; vedere e palpare il programma del congresso che ho tirato fuori dalla cartella, gli estratti della mia relazio-ne, il testo della conferenza. E poi, gl’inviti del Comitato Scientifico e del Rettore dell’Università

D. O. M.

HEIC INCIPIT VIA AD MARONTHIUM DUCENS LITUSQUAM PROPRIO AERE AD PUBLICAM UTILITATEM AEDIDIT

COMES GEORGIUS CORAFÀ.ET OMNE IMPENSUM UNA CUM MORIS LATERALIBUS

SACELLO DIVI GEORGII DICAT DONAT;PRO UT INSTRUMENTO ROGANDO CONTESTABITUR

ET PRO DONATIONIS MONUMENTO TABULAM HANC POSUITET DIVI MARTYRIS SIMULACRUM SUPEREREXIT

ANNO REPARATAE SALUTIS MDCCLXIXPRIDIE KALENDAS IANUARIJ

A Dio Ottimo Massimo

Qui comincia la strada che porta al lido dei Maronti che con proprio dena-ro e per pubblica utilità fece costruire il conte Giorgio Corafà e l’intera spesa insieme con i gelsi laterali al tempietto di San Giorgio consacra e dona come attesterà con istrumento da rogarsi e a ricordo della donazione pose questa lapide e vi eresse sopra la statua del santo martire nell’anno 1769 della sa-lute riacquistata il 31 dicembre

redatti in arabo con traduzione a fronte in inglese, tutti stampati a colore su carta bellissima, al tatto morbida come il papiro dei tempi passati.

I documenti volano di mano in mano, sono ca-rezzati, esaminati e discussi con circospezione, ammirati e restituiti con grande rispetto dal quale trapela l’orgoglio nazionale, la fierezza di una stir-pe tra le più antiche. Comprendo benissimo l’or-goglio di questa simpatica gente: avere a casa pro-pria - nella Capitale - un convegno internazionale e come ospite d’onore uno scienziato straniero di grido, uno che viene da lidi lontani.

Dopo l’atterraggio, sulla via dell’uscita, vari pas-seggeri si avvicinano vociando per salutarmi e augurarmi felice permanenza e gran successo nel loro paese. Soddisfazione ed orgoglio si leggono negli occhi e nei gesti: gente ospitale, simpatica, pensavo tra me e me; mai l’avrei immaginato all’i-nizio. Il volo continuò tranquillo nel buio della notte e da quel momento mi sentii vezzeggiato da hostess premurose: ne ricordo gli occhi profondi e lo sguardo misterioso, come la notte senza luna né stelle.

Atterraggio perfetto poco prima di mezzanotte, controllo di polizia veloce; molto minuzioso per contro quello doganale. Frugano dappertutto, i doganieri solerti: ma che state cercando, chie-si, stupito. “Whisky e riviste con le donnine”, ri-sposero asciutti e concisi: tutti gli occidentali ne riempiono le valigie. Si meravigliavano che non avessi nulla del genere: mi guardavano con so-spetto borbottando e alla fine chiamarono il su-

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pervisore, mentre la coda dietro di me si allungava. Intervenne allora uno dei passeggeri col quale avevo chiacchierato durante il volo: fece un cenno breve ma energico al funzionario che si avvicinava e gli sussurrò qualcosa. Non capii cosa gli disse, ma afferrai il tono secco e deciso di chi è uso al comando: subito gli agenti si misero sugli attenti, lasciandomi passare senza fiata-re. Saltai sul primo taxi a portata di mano e giù di corsa nel buio verso la Capitale. Incappammo due volte in un posto di blocco lungo il breve percorso: miliziani con i kalashnikov spianati cacciavano la testa nell’abi-tacolo, rovistavano nel bagagliaio alla ricerca di merce di contrabbando. Cercano le piante di Quat, mi disse flemmatico il tassista: tutti masticano quat in questo paese e le foglie arrivano di notte in città dalla cam-pagna. Arrivato sano e salvo alla meta, mi sdraiai nel morbido letto di una camera sontuosa, degna di Mille e una notte. Dormii tranquillamente, ma la notte fu breve: quando la città era ancora immersa nel sonno, il sole del primo mattino già accarezzava le dune dorate e il muezzin chiamava i fedeli a raccolta.

Superate le solide mura di cinta, i primi raggi piom-barono nel suk guizzando tra vicoli vicoletti e stradine,

sfiorando le case e i minareti, penetrando ovunque in-discreti.

Attraverso la finestra socchiusa della principesca ma-gione oltre i sontuosi tendaggi, una luce velata inondò la stanza stuzzicando le membra stanche e scomposte sul letto: scuotendo la mente assonnata.

Come nebbia che si dissolve al contatto della brezza marina, il buio divenne penombra senza colore e calo-re. Penombra indiscreta che evoca nell’anima ancora assopita miraggi insperati.

Dal selciato ricoperto di un velo di sabbia nel vicolo sottostante, risuonò improvviso lo scalpitio di zoccoli inquieti e lo scalpiccio di piedi già stanchi, assieme alla cantilena di una prece, mormorata nel rauco idioma locale.

Come orchestrati da mano sapiente, i suoni saliva-no danzando nell’aria mescolandosi ai profumi esotici portati dal vento: una sinfonia di suoni, luci e profumi che supera ogni immaginazione.

Sul soffitto e sulle bianche pareti della vastissima stanza, esplose un gioco di magiche luci; ombre e fi-gure ora scure ora chiare correvano e saltavano come impazzite: s’inseguivano senza posa con l’andatura on-deggiante delle carovane di muli, cavalli e cammelli.

Il magico gioco, di luci velate, suoni sommessi ed essenze inebrianti, riportò alla mente armonie, che hanno radici in tempi lontani. Il balletto di luci conti-nuò: ora si accendeva, ora si attenuava e si spegneva; ora rallentava riprendeva; accelerava fino a svanire del tutto.

Al risveglio tutto scomparve: sparito il magico gioco di suoni, luci e profumi; come in un sogno.

Svanite le figure ondeggianti sulle pareti, ti resta nell’animo un dolce ricordo e un grandissimo dubbio: non sarà mica stato un sogno?

Forse fu solo un sogno, davvero».

Bruno J. R. Nicolaus

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"Verde Oltre Mare"Dall'1 al 31 maggio 2017 i Giardini Ravino di Forio

d'Ischia hanno ospitato nella Sala Moby Dick la mostra di Antonella Tomei, Verde Oltre Mare: un allesti-mento di 18 opere pittoriche il cui eccezionale cromati-smo dialoga con la suggestiva cornice spaziale, raccon-tando il recente percorso autoriale nella stessa natura che ha contribuito a generarlo.

L’esposizione, curata dalla stessa artista con la colla-borazione di professionisti da anni coinvolti nell’evol-versi della sua produzione, si è configurata come una straordinaria occasione per apprezzare la pienezza di un vero e proprio fiorire materico, cifra stilistica distin-tiva di una sensibilità ascendente e discendente che va ben oltre la descrizione del soggetto per ricrearlo, de-finitivamente, sulla superficie. Materia viva e vibrante, in un contesto in armonia, come mai prima, con l’ispi-razione vegetale e minerale delle impressionanti opere in mostra.

L’esperienza cui è stato chiamato il pubblico ha coin-volto a livello sensoriale per poi scendere nel profondo, suggerendo un immaginario denso di forme vive, una foresta brulicante di contrappunti cromatici. Un even-to di grande suggestione, nel quale Pittura e Natura hanno dialogato sullo sfondo di un comune orizzonte, catturando l’occhio del visitatore in un vortice di im-pressioni quasi tattili.

Mostre - Forio d'Ischia - Giardini Ravino Antonella Tomei è una pittrice e progettista di inter-

ni italiana. Vive e opera a Latina, esponendo in Italia e in Europa. Il suo percorso artistico è caratterizzato dalla reinterpretazione cromatica delle tecniche e degli equilibri compostivi tradizionali. L’uso di supporti di grande formato enfatizza la trama morbida del colo-re che fluisce in forme libere. La formazione classica, unita allo studio e all’applicazione della progettazione d’interni, trasforma la superficie bidimensionale in una dimensione priva di costrizioni spaziali, attraverso un movimento cromatico che supera il limite imposto dalle dimensioni. Le opere di Antonella Tomei sono già presenti in diverse collezioni private.

“…Verde Oltre Mare…: perfetto il gioco di parole con il blu oltre mare, perfetto se vi si attribuisce il signifi-cato di portare creazioni di origine organica vegeta-le oltre il mare. L’isola d’Ischia è detta l’isola verde, e le stesse piante raccolte nel giardino botanico che ha ospitato l’evento vengono da paesi oltre oceano…”.

L’opportunità di presentare al pubblico una mostra che racconta un percorso così potente ha trovato nei Giardini Ravino il genius loci d’elezione, l’ospite idea-le. Le Succulente, le Carnivore, le Velenose, i Minerali, Acqua e Terra, accompagnate dalle tre Rane che abi-tano questo scenario in continua crescita sono opere in grado di suscitare la magia propria della creazione arti-stica, riproducendo i contrasti e le armonie dell’infini-tamente piccolo e dell’incommensurabilmente grande.

Ai Giardini Ravino in mostra foto d’epoca dell’archivio Carbone di Napoli

A Napoli, presso lo studio fotogra-fico Prima Pagina in via Toledo 406, è conservato l’archivio fotografico Riccardo Carbone, composto da oltre 500.000 immagini prodotte nella più che trentennale collaborazione tra il fotografo Riccardo Carbone (1897–

Dal 2 giugno al 7 luglio 2017 i Giardini Ravino ospiteranno una sele-zione di foto d'epoca dell'archivio Carbone di Napoli

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1973) ed il quotidiano “Il Mattino” di Napoli.

L’Associazione Riccardo Carbo-ne nasce nel 2016 allo scopo di sal-vaguardare questo importante pa-trimonio e renderlo disponibile per la consultazione online.

I negativi sono sottoposti a ineso-rabili processi di degrado provocati da fattori ambientali e sono soggetti a un deperimento lento ma conti-nuo. Le ripetute richieste di aiuti fi-nanziari alle istituzioni, sia locali che nazionali, sono rimaste inascoltate.

Tante piccole scatole di cartone, ordinatamente numerate ed allinea-te sugli scaffali, contenenti lastre di vetro, stampe, rullini e una miriade di buste porta-pellicole, ciascuna contrassegnata con il titolo del ser-vizio fotografico scritto a mano, con una elegante grafia “antica”. Così si presenta l’Archivio: tanti piccoli contenitori di una grande memoria. Aprire queste scatole è come scoper-chiare un mondo: un’intera epoca scorre sotto i nostri occhi e non ci si stanca mai di sfogliare e cercare in questa miriade di istantanee, a vol-te casuali, che hanno catturato per

sempre un momento della nostra storia. Si tratta di un patrimonio di inestimabile valore, per tutti e di tut-ti, che purtroppo sta morendo. I ne-gativi sono sottoposti a inesorabili processi di degrado provocati da fat-tori ambientali e sono soggetti a un deperimento lento ma continuo. Le ripetute richieste di aiuti finanziari alle istituzioni sia locali che nazio-nali sono rimaste inascoltate. Non si può più aspettare, l’intervento deve essere immediato.

L’Associazione Riccardo Carbone nasce con l’intento di salvare l’archi-vio e di renderlo disponibile online per la libera consultazione. Il lavo-ro è già iniziato su base volontaria: le immagini vengono digitalizzate e catalogate secondo gli standard internazionali. Contestualmente si sta lavorando alla salvaguardia del fondo nel suo complesso, cercan-do di mettere in atto una strategia di conservazione curativa e pre-ventiva. L’impegno e le spese sono notevoli, chiediamo pertanto aiuto a chiunque voglia collaborare con noi per salvare questo immenso pa-trimonio culturale e di preservare conoscenze che rischiano di cadere

nell’oblio. Poiché l’obiettivo dell’As-sociazione Archivio Riccardo Carbo-ne è proprio quello di valorizzare e diffondere il grande e prezioso pa-trimonio di immagini dell’archivio, abbiamo deciso di applicare sulle fotografie una filigrana digitale non troppo invasiva, che ne tuteli i di-ritti ma che, al tempo stesso, renda possibile una visualizzazione chiara e d’insieme dell’immagine, comple-ta di tutti i particolari. A tal propo-sito, ci preme quindi segnalare che L’UTILIZZO delle foto provenienti dall’Archivio Riccardo Carbone è LIBERO E GRATUITO SOLO PER I CORREDI DI TESI O DI SITI, e chiediamo di menzionare sempre la fonte Archivio Riccardo Carbo-ne. Per le campagne pubblicitarie e la stampa a diffusione nazionale e internazionale, invece, è necessario RICHIEDERE I DIRITTI DI UTI-LIZZO e RIPRODUZIONE contat-tando, attraverso la mail [email protected], il proprietario dell’archivio il quale possiede tutti i diritti delle fotografie e i negativi originali.

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Forio (Isola d'Ischia) - I Giardini Ravino

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Da L'Isola d'Ischia Termale già Casamicciola, rivista quindicinale clinico-termale, amministratva, eclettica, anno IV n. 47 / domenica 28 giugno 1908

Cronaca da PanzaPanza, 21 giugno 1908

Il grande avvenimento della giornata, che segna una nuova era per Panza, è la visita fatta a questa fra-zione di Forio, dall’ormai famoso e formoso Sindaco di Casamicciola.

Per quanto preparata da lungo tempo, il gaudio e l’entusiasmo aspettati mancano del tutto; ciò non commosse peraltro né preoccupò il ‘visitatore non desiderato, e meno ancora il suo seguito, che era sor-ridente e lieto, come di una burla ben concertata.

È inutile chiedere il perché di tanta degnazione per un paese che egli mai à sognato e valutato e giammai valuterebbe quali che fossero gli eventi tristi o lieti. Ed i Panzesi, gente pratica quanto intelligente, à ospitato abbastanza benevolmente questo novello Messia in paglia e camicia amidata, ed i suoi turiferari di occa-sione, sorridenti come burloni. Ma ànno anche fatto di più; si sono financo rassegnati ad ascoltare il suo sconclusionato per quanto studiato, diciamolo pro-gramma, che abbondava di concessioni miracolose, fantastiche ed inverosimili, come per acquietare degli scolari ribelli, con chicche e zuccherini.

Fra le tante mirabolanti escogitazioni, una a pre-ferenza ne facea risaltare e ripetea, entusiasmando-si, lui solo, come ritornello di gradita canzone e che, secondo lui, dovea riuscire la più seducente e sugge-stionante, pure essendo evidentemente la più scioc-ca, per uomini di criterio e non rimminchioniti e si riducea, nientemeno che alla autonomia di Panza: quale splendida trovata!?

Egll il massiccio Sindaco, con una semplicità e sicu-rezza invidiabile, per quanto sospetta, promettea far costituire Panza Comune autonomo, alla svelta, pur-ché beninteso, tutte le schede degli elettori di Panza portassero il suo gran nome, qual rappresentante alla Provincia. La legge che prescrive per le autonomie delle frazioni in Comune, e tassativamente il numero necessario di abitanti, per lui era nulla, egli vi dava facilmente un calcio, mandandole in aria, e per la so-vrana approvazione egli mostrò quasi avere nel suo testone S. M. il Re, o S. E. il Ministro degli interni, per moverli secondo sua voglia ed il relativo decreto in saccoccia bello e firmato.

Figuratevi con che faccia i buoni Panzesi se la go-dessero quella gioia di postulante improvvisato e che aveva avuto la felice ispirazione di venire da Casa-micciola a portare una simile corbellatura ai Panzesi, nella propria casa e con tanta faccia... bella.

Ma in ogni modo i Panzesi qualche cosa vi ànno guadagnato. Per essi è un bello esempio di coraggio, che ànno avuto in così memorabile giornata. Essi

ànno dovuto ammirare, da una parte l’audacia di un ignoto; spintosi fin qui, fino a noi, in casa nostra, per mendicar i voti, con promesse puerili, cercando sfrut-tare un momentaneo dissenso locale a suo personale vantaggio, per sostituirsi lui, proprio lui, ai Maltese, ai Cigliano, figli legittimi della nostra stessa terra, che ebbero sempre la stima e l’affetto di tutti, concordi o discordi, nelle diverse passioni politiche, constatan-do dall’altra e con rossore, che dei Foriani sul serio o per burla, si sono prestati umili seguaci atteggiandosi a cospiratori, per un ignoto avventuriero ambizioso di Casamicciola, sprovvisto dei necessari meriti intel-lettuali, amministrativi, rendendosi, almeno all’ap-parenza, complici necessari, in una azione indegna, delle nostre genti o della giustamente vantata fre-grezza paesana, per umiliare Forio, privandola della unica rappresentanza da anni sostenuta con decoro, che li à procurato la generale stima cercando farla decadere, degradandola per sentimenti biasimevoli di partigianerie inconcepibili.

Per fortuna i Panzesi come tutta la gente foriana, nella maggioranza ànno cuore e dignità nel sangue, quindi una esatta intenzione della situazione presen-te. Essi guardando paurosi la prosperità che manca del tutto a Casamicciola dopo una lunga amministra-zione di questo grosso Sindaco e le sue continue ed irrealizzate promesse, non si lasceranno certamente corbellare dalla visita, né dalle insulse promesse e meno ancora dai finti o veri Pretoriani, camuffati per la circostanza a schiavi umilissimi di lui, denigratori del proprio paese in questa data vergognosa quanto indimenticabile.

Peraltro tutto lascia sperare ancora ed auguriamoci per l’onore della nostra terra e delle sue genti, che i Panzesi specialmente, si richiamino con serenità, nel dare il loro voto, immuni dalle malevoli insinuazioni e compiano il loro dovere, mantenendo alto il decoro della regione a parte qualsiasi ragione. Astio o ran-core, mantenendosi compatti in fraterna concordia, nell’eleggere a loro rappresentante al Consiglio pro-vinciale chi à sempre dato e può dare vantaggio e de-coro al paese, chi porta un nome intemerato o può dare sicuro affidamento della propria onestà, della intelligenza reputazione conquistata e provata da anni, senza tema di inganni, di debolezze, di partigia-nerie e defezioni vergognose.

In questa speranza abbiamo fiducia, sicuri che i Panzesi come i Foriani, rifuggiranno comunque dal complotto odioso per compiere una azione, indegna ed obbrobriosa, per gente che à sangue di questa ter-ra nelle vene, contro i nostri fratelli stessi, contro la nostra terra amatissima.

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Arte e potere, conflitto o consonanza?Potere e devozione, fede o rappresentazione?

di Ernesta Mazzella

Si direbbe che arte e potere siano in conflitto permanente come sem-brano contraddittori i concetti di bello e di potere. In effetti quasi per conseguenza si oppongono potere e arte. Si tratta veramente di realtà oggettivamente opposte o contrap-poste da doverle riguardare come due nemiche inconciliabili? Molti lo pensano. Sono anzi tanti a ritenere il potere nemico dell’arte, quindi del bello e dell’infinito. Molti ritengono l’arte il bene supremo dell’uomo e considerano il potere essenzialmen-te un male, anche se sia un male mi-nore da accettarsi per evitare mali peggiori. Una maniera di pensare che tradisce forse una inveterata e inestirpabile tendenza del cuore umano a vedere opposizione e con-trasto tra ciò che è definito e cate-gorico, il potere, e ciò che è immen-samente vario e polimorfo con tutta l’apparenza di una realtà svincolata da ogni legge, e da ogni norma, l’ar-te. Bisogna però ammettere che a tale persuasione e tendenza spingo-no, comunque, non pochi elementi e anche, in qualche modo, apparenze superficiali e interpretazioni non del tutto esatte del potere come dell’ar-te. È vero il potere e l’arte provengo-no uno dalla ragione e l’altro dal sen-tire, dal bello, dal sublime, dall’infi-nito, si presentano ovviamente con caratteristiche diverse. E tuttavia, ripetiamo, la vera posizione, quel-la cioè che risponde alla verità og-gettiva, è quella dell’opposizione o contrapposizione inconciliabili? Lo diranno i nobili e gli artisti.

L’arte e il potere posti accanto, vogliono essere oltre che un omag-gio agli uomini illustri, un contri-buto di vera ammirazione per un mondo, nel quale viene confermata l’inesauribile vitalità creativa del Medio Evo. Tanto nel consapevole uso dell’antico come risorsa mate-riale, linguaggio colto e tesoro sim-bolico attraverso il quale cercarono

espressione le prime affermazioni del valore dell’individuo, quanto nell’invenzione di un nuovo model-lo in architettura, scultura, pittura e trovandolo in forme lontane da ogni tradizione, con cui nell’epoca gotica dopo l’antichità venne rista-bilito il valore dell’immagine fisica della persona, accompagnata nelle rappresentazioni dagli emblemi del potere, gli stemmi araldici.

Gli atti principali, dunque, del potere sono: comandare o impor-re, vietare o proibire, permettere e punire. Esso comanda, impone di fare o non fare, impone di operare in modo determinato e non come si vorrebbe. Impone di obbedire e di cooperare al bene comune; di ucci-dere o di mentire, di far male ad un altro; permette di vivere in un deter-minato modo e di usufruire di certe realtà. Questa è una coincisa pano-ramica del potere.

L’arte è la prima e più importante delle passioni, è inclinazione, ten-denza a qualcosa che si desidera esprimere. Una tendenza e inclina-zione determinata da una forza mi-steriosa, coinvolge, senza parlare si esprime con assoluta chiarezza es-

sendo impulso collegato allo spirito, mozione vitale impulso che spinge qualcosa per amore. L’arte è inol-trarsi in quella selva del bello e del sublime. Abbiamo detto che l’arte è una forza misteriosa che determina movimento. Il potere e l’arte pro-vengono uno dalla ragione e l’altro dallo spirito mescolandosi poi in un connubio.

Sì è possibile che il potere e l’arte si fondono quando il potere diventa bontà, sensibilità, amore all’immor-

Napoli - Chiesa di S. Maria Donnaregina Vecchia

Stemma della dinastia d'Angiò-Durazzo

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tale e al bello, in quel caso l’arte diventa legge di vita e d’azione. Potere ed arte si ricompongono e si ritrova-no quando l’uomo ama la verità, cioè quando amando desidera ciò che è immortale, bello e sublime, quando ama ciò che è degno d’essere amato al disopra di tutto: l’arte. Il vero superamento del potere e dei suoi pesi si ha solo quando nell’uomo sboccia l’amore per l’arte, e se vero che il potere è duro è pur vero che i potenti si riscattano quando comprendono il valore del sublime, dell’eterno e sono umili davanti all’artista che crea. E l’artista creando immortala il potere usando stemmi, blasoni con grande audacia.

Un esempio di tale espressione lo si scorge nelle volte gotiche affrescate nella chiesa di S. Maria Donnaregina Vecchia di Napoli dove sono rappresentati gli stemmi Angioini. Lo stesso accade anche nell’Ischia angioina. Re-centemente durante alcuni lavori di restauro alle cappelle della navata sinistra dell’antica cattedrale sul Castello Aragonese è venuta alla luce una parte di volta trecentesca affrescata interamente con stemmi Angioini. Inoltre vi sono un'interessante Crocifissione ed altre fi-gure da studiare e scoprire. L’antica volta era nascosta da una bella volta barocca, realizzata in stucco bianco, la quale è stata sapientemen-te salvata e rimossa. Potere, arte, forza, bellez-za continuano ad affascinare in un conflitto e connubio senza fine.

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Cappella della Cattedrale (Castello Aragonese)e particolare (in basso)

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